Archivio del Tag ‘Matteo Salvini’
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Fassina: solo la destra sa che la politica deve proteggerci
Penso che il Ddl firmato da 5 Stelle e Lega sulla Banca d’Italia sia parte della ricostruzione del primato della politica sull’economia. La politica monetaria è uno degli strumenti politici più importanti. E ritenere che la politica debba rimanere fuori dalla politica monetaria è stato un errore, frutto di un pensiero unico che si è affermato in modo assolutamente trasversale. Il disegno di legge che hanno presentato i capigruppo di Lega e 5 Stelle al Senato è sostanzialmente un passo avanti; non è che finisca l’indipendenza di Bankitalia, c’è un richiamo esplicito ai trattati europei. Si introduce il meccanismo previsto per la Bundesbank, quindi non una misura nord-coreana. E cioè: il governo nomina presidente e direttore generale, un membro del direttorio (vicepresidente), e altri due membri del direttorio (anch’essi vicepresidenti) vengono nominati uno dalla Camera e l’altro dal Senato. E’ esattamente il modello vigente in Germania. E solo una sinistra che ha completamente smarrito un minimo di autonomia culturale può considerare eversivo e inaccettabile questa proposizione, che a mio avviso invece fa fare un passettino avanti, alla politica, nel governo di uno strumento fondamentale come quello della politica monetaria.
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“Sciogliere CasaPound? Non per fascismo, ma per mafia”
L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».Nel 1973, continua Giannuli, Ordine Nuovo fu disciolto dopo una sentenza di primo grado che lo indicava come “partito fascista”. «La cosa suscitò molte perplessità in Aldo Moro, che era certamente antifascista ma era un giurista». L’allora ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, come lui stesso ammise, «era cosciente di star facendo una forzatura ma decise ugualmente di farla, come misura politica». Un anno dopo toccò ad Avanguardia Nazionale, il gruppo di Stefano Delle Chiaie, «ma si era in un momento particolare, segnato da frequenti stragi e tentativi di colpo di Stato, ed è piuttosto improbabile – osserva Giannuli – che oggi un ministro dell’interno (anche a prescindere dalle sue idee politiche) possa decidere uno scioglimento dopo una sentenza solo di primo grado». Ammette lo storico: «La natura del reato è piuttosto sfuggente e offre molti appigli alla difesa». Anche se la XII disposizione dice che è vietata la ricostruzione del partito fascista “sotto ogni forma”, «sarebbe necessario ascoltare molte decine di testimoni (fra poliziotti, carabinieri, vittime di aggressioni, esperti)». Giannuli crede alla natura “fascista” di CasaPound sia dubitabile, ma sa che sul caso «si aprirebbe una discussione molto complessa e sicuramente non breve: un percorso di non meno 5 anni».Un consiglio ai firmatari dell’appello contro CasaPound? «Prendete carta bollata e penna ed andate alla Procura della Repubblica di Roma a depositare una denuncia per ricostituzione del partito fascista. Possibilmente firmate tutti la denuncia (presidente dell’Anpi, direttore di “Repubblica”, segretario generale della Cgil, segretario reggente di “Sinistra Italiana”) e curate prima un libro bianco con l’elenco degli episodi, i documenti, le foto, insomma le prove a supporto». Quello che per ora non viene aperto, continua Giannuli, è un procedimento penale a Roma contro l’occupazione irregolare dello stabile che ospita la sede nazionale del movimento guidato da Simone Di Stefano, candidato nel 2018 con un programma politico iper-sociale, apertissimo alle istanze di cui un tempo si sarebbe fatta portavoce la sinistra. Ma Giannuli resta ferocemente critico rispetto a CasaPound, e vorrebbe veder sopprimere il movimento. «Una denuncia a livello centrale, chiedendo di centralizzare tutte le inchieste periferiche – insiste – costringerebbe la magistratura a far qualcosa, magari decidere un’archiviazione di cui assumersi la responsabilità (ma non credo che ci sia un solo magistrato disposto a sfidare l’opinione pubblica in questo modo)».Peraltro, lo stesso Giannuli non ritiene che la strada della presunta “ricostituzione del partito fascista” sia quella più rapida e produttiva. «E non credo che la configurazione di CasaPound come gruppo fascista sia il profilo più esaustivo», ammette. Giannuli però non demorde: spera che contro CasaPound si possa impugnare l’articolo 416 bis, cioè – addirittura – l’associazione a delinquere di stampo mafioso. «In primo luogo – scrive – abbiamo un’impressionante serie di reati certissimi e reiterati: incitamento all’odio razziale, ripetute violenze private, intimidazioni. Ed è evidente – aggiunge – il vincolo associativo che collega i molti casi: sembra palese che non si tratti di azioni scollegate, e che è a CasaPound che esse fanno capo». Associazione a delinquere? Il problema, prosegue Giannuli, è come classificare l’associazione, se semplice o di stampo mafioso. «E qui ci sono diversi elementi da prendere in considerazione: i non infrequenti rapporti con alcuni clan romani, ma soprattutto l’uso del metodo intimidatorio». Sempre Giannuli ricorda che è esattamente sulla considerazione della valenza intimidatoria dei metodi d’azione delle organizzazioni degli imputati (anche in assenza di fatti di sangue) che la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto di poter applicare il 416 bis.L’Anpi ha chiesto la messa fuorilegge di CasaPound come organizzazione neofascista (ai sensi della XII disposizione finale della Costituzione). Subito dopo, “Repubblica”, la Cgil e “Sinistra Italiana” si sono associati. Nel suo documento, l’Anpi si rivolge direttamente al ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Ormai, dopo le aggressioni ai giovani del Cinema America e dopo le spedizioni contro la famiglia Rom che aveva ottenuto legalmente una casa popolare – scrive Aldo Giannuli – sono d’accordo sul fatto che la presenza di CasaPound non sia più tollerabile e la questione vada risolta una volta per tutte». Ma siamo sicuri, si domanda il politologo dell’anteneo milanese, che l’alibi “antifascista” sia la carta migliore? La XII disposizione finale della Costituzione non è immediatamente applicativa, spiega Giannuli: occorre procedere ai sensi della “legge Scelba” che sanziona la ricostituzione del disciolto partito fascista. Ovviamente, «Salvini non può sciogliere un’organizzazione motu proprio». Per farlo «occorre un a sentenza definitiva passata in giudicato, che riconosca quella organizzazione come “ricostituzione del partito fascista”».
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Se l’Ue ci vuole morti, meglio trattare con Parigi e Berlino
Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.A casa nostra si delineano scenari chiari purchè non si finisca a dare con una mano e prendere con l’altra: è importantissimo che al promesso e ineludibile calo (della pressione) delle tasse non faccia da controbilanciamento un pari taglio della spesa pubblica (quella fu la causa prima del crollo della classe media negli Usa dei Bush); così – ma questo pare più che altro, almeno si spera, un mero problema di comunicazione – il salario minimo garantito deve significare un livello minimo della paga oraria (non la definizione di un “reddito minimo” che, nelle esperienze passate, ha creato più problemi che altro). Quindi, il taglio delle tasse (necessario, prioritario, sacrosanto e promesso) o si accompagna ad una rottura totale con la Commissione per via del deficit – finchè non si dimostrasse, ma ci vuole almeno un annetto contabile – che alla minore pressione corrisponde un maggiore gettito, o si accompagna alla introduzione di qualche moneta non a debito (ad esempio i minibot, a determinate condizioni).La linea moderata – verso la Commissione – non considera che l’obiettivo della Ue consiste nella sottomissione dell’Italia (resa totale e incondizionata, quindi le “trattative” sono inutili: o si china la testa completamente o tanto vale alzare il tiro e prepararsi allo scontro). Paradossalmente, sarebbe meglio trattare con Francia e Germania direttamente, dopo aver portato la comunità sull’orlo di una crisi monetaria e di nervi. Infatti, il comparto metalmeccanico (delizia e croce della Germania) sta entrando in crisi, e le tensioni sociali – soprattutto in Francia – stanno aumentando.(Nino Galloni, “Se Draghi non stacca la spina, se Salvini…”, da “Scenari Economici” del 19 giugno 2019).Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.
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Giornali muti sulla crisi italiana, ma pronti a sbranare Feltri
Basso impero, l’avrebbe definito Giorgio Bocca. Il giornalismo italiano? Scomparso, ridotto a recitare veline di palazzo. Eppure a quanto pare esiste ancora, se è vero che due cronisti – Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi – si appellano addirittura all’Ordine dei giornalisti, letteralmente indignati. Contro il silenzio del mainstream? Contro le bugie quotidiane del sistema radiotelevisivo? Contro l’omertosa reticenza delle redazioni di fronte a qualsiasi evento di rilievo, italiano e internazionale? Macché. Ce l’hanno con Vittorio Feltri, che si è permesso di insolentire nientemeno che il commissario Montalbano, cioè un personaggio letterario, proprio mentre il suo autore – Andrea Camilleri – lotta in ospedale tra la vita e la morte. Borrometi è un giornalista coraggioso, messo in pericolo dalla mafia. Ruotolo, popolare in Tv, è lo storico inviato di Michele Santoro. «Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere – scrivono, in una lettera al presidente dei giornalisti italiani, Carlo Verna – hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E cos’avrebbe mai detto, Feltri, di così inaccettabile? «Mi dispiace, perché un uomo anche vecchio che muore suscita in te un certo dolore. Però – ecco il passaggio sotto accusa – mi consolerò pensando al fatto che Montalbano non mi romperà più i coglioni».Le parole di Feltri sono andate in onda sulla Rai nella trasmissione radiofonica “I lunatici”, di Radio Due, condotta da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio. «Quel terrone mi ha stancato», dice Feltri, riferendosi al commissario siciliano interpretato in televisione da Luca Zingaretti. Tutte le volte che gli capita di vedere Montalbano in Tv, aggiunge il direttore di “Libero”, gli torna subito alla mente il fratello dell’attore, cioè il neosegretario Pd Nicola Zingaretti, che «non è proprio il massimo della simpatia». Aggiunge Feltri: «Questa però è una mia opinione un po’ così, scherzosa». Quanto all’anziano autore di Montalbano, invece, Feltri si esprime in questi termini: «Camilleri, che ha avuto successo dopo i 70 anni, in me suscita ammirazione perché è stato un grande narratore, che peraltro si inserisce nella tradizione siciliana della letteratura insieme a scrittori come Pirandello e Sciascia». Ma niente da fare, a Borrometi e Ruotolo non basta: «Abbiamo deciso di autosospenderci dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti perché ci consideriamo incompatibili con l’iscrizione di Vittorio Feltri all’albo professionale», scrivono, anche se poi è il presidente stesso, Scarpa, a precisare: è solidale con loro, però dall’Ordine non ci si può “autosospendere”, ma solo cancellare.«Riteniamo gli scritti e il pensiero del direttore Feltri veri e propri crimini contro la dignità del giornalista», scrivono i due. «Ne va della credibilità di ognuno di noi e della nostra categoria. Adesso basta. O noi o lui». E aggiungono: «Quel “terrone che ci ha rotto i coglioni” per noi figli del Sud è inaccettabile. Non è in gioco la libertà di pensiero. Sono in gioco i valori della nostra Costituzione». Accusano: «Ogni suo scritto trasuda di razzismo, omofobia, xenofobia. “Dopo la miseria portano le malattie” (rivolto ovviamente ai migranti), l’ormai tristemente celebre “Bastardi islamici” o, uscendo dal seminato delle migrazioni, robaccia come “Più patate, meno mimose” in occasione dell’8 marzo (e le diverse varianti dedicate anche a Virginia Raggi, con il “patata bollente”) o “Renzi e Boschi non scopano”. Poi gli insulti a noi del sud con il celebre “Comandano i terroni” e infine il penultimo, di qualche mese fa, “vieni avanti Gretina” (dedicato alla visita a Roma di Greta Thunberg)». L’idea che il direttore di “Libero” offre, concludono Borrometi e Ruotolo, «è che si possa, impunemente, permettersi questo avvelenamento chirurgico». A Feltri imputano mancanza di senso del limite, deontologia, misura, buon senso e addirittura dignità. «Continuiamo a batterci contro la censura e gli editti, ma non possiamo accettare tra noi chi istiga all’odio. Ne va della nostra credibilità».Nato a Modica (Ragusa), Borrometi vive sotto scorta da quando è stato aggredito, in Sicilia, per le sue scomode inchieste sul business mafioso. Cronista dell’Agi, è stato trasferito a Roma per metterlo al riparo dalle continue minacce. Il potere lo conosce da vicino: Borrometi è stato ricevuto a Palazzo Chigi da Gentiloni, a Palazzo Madama da Pietro Grasso e in Vaticano da Papa Francesco, mentre Mattarella l’ha fatto “Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”. Anche Ruotolo vive sotto scorta, dopo le minacce ricevute nel 2015 dal Clan dei Casalesi. Napoletano, è stato a fianco di Santoro dai tempi di “Samarcanda”, fine anni Ottanta. Nel 2013 si è candidato con Antonio Ingroia nella lista “Rivoluzione civile”, rimasta fuori dal Parlamento. Nel corso della campagna elettorale, al termine di un dibattito televisivo si è rifiutato di stringere la mano a Simone Di Stefano (CasaPound) dichiarandosi «orgogliosamente antifascista». E adesso, insieme a Borrometi, tuona contro Feltri: «O lui, o noi». Suona quasi come un appello perché il reprobo sia espulso dall’Ordine dei giornalisti, organismo che peraltro esiste solo in Italia, retaggio dell’occhiuta sorveglianza di Mussolini sulla stampa nazionale. A proposito: perché non abolirlo, l’inglorioso ordine professionale, visto che bastano e avanzano le leggi vigenti per tutelare sia i giornalisti che le vittime del propagandismo squadristico truccato da giornalismo?Ma il tema – libertà dell’informazione, senza recinti polverosamente post-fascisti – non sfiora Rutolo e Borrometi (non oggi, almeno). Il nemico si chiama Vittorio Feltri, monumento nazionale del giornalismo-contro (contro i giornalisti conformisti, in primis). Fieramente ostico, scontroso, sulfureo – spesso urticante, volutamente sgradevole – Feltri affonda i suoi strali quotidiani nella melassa inguardabile del mainstream gracidante, dei colleghi appiattiti sull’imbarazzante galateo del pensiero unico (politicamente corretto, ma per nulla giornalistico). Spariti Bocca, Biagi e Montanelli, è proprio la mediocrità desolante dei replicanti – i vari Giannini, Floris, Berlinguer, Formigli, Annunziata – a fare di Feltri il gigante che probabilmente non è. Amico personale della Fallaci, Feltri ha seguito la grandissima giornalista nella cecità assoluta dimostrata dall’Oriana nazionale di fronte all’11 Settembre, senza vedere che lo “scontro di civiltà” era una montatura terroristica interamente occidentale. Già berlusconiano e sempre controcorrente, pronto alla solitudine delle polemiche più aspre, a Feltri non difetta certo il coraggio: semmai, come quasi tutti gli altri, non ha compreso per tempo la reale natura del “golpe” neoliberale del 2011, dietro la maschera di Mario Monti. E ancora oggi, purtroppo, fatica a discernere tra debito pubblico e debito reale del sistema-paese, anche lui criminalizzando il deficit dello Stato, in un paese da decenni in avanzo primario: lo sa, Feltri, che lo Stato incassa con le tasse più di quanto non spenda per i cittadini?Quanto ai suoi detrattori – tantissimi, quasi tutti i suoi colleghi – va detto che, in questi anni, hanno brillato per renitenza professionale e alto tradimento dei lettori e dei telespettatori: se il famoso Ordine avesse un senso, quanti di loro avrebbero diritto di farne parte? Che c’azzeccano, con la categoria giornalistica, la Monica Maggioni reclutata dalla Trilaterale nonostante fosse dirigente Rai? E che dire di Lilli Gruber, ospite fissa del Bilderberg? Non hanno niente da dire, su questo, gli illustri Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi? Pensano davvero che siano gli eccessi polemici e le cadute di stile a compromettere la dignità professionale dei “cani da guardia della democrazia”? Dicono ancora qualcosa i nomi di Bob Woodward e Carl Bernstein (“Washington Post”) che nel remoto 1972 – ben prima dell’odierna era glaciale – fecero crollare la presidenza Nixon con lo scandalo Watergate? Vinsero il Pulitzer, ovviamente, ma non erano al guinzaglio di alcuna corporazione post-mussoliniana. Un altro Pulitzer, il connazionale Seymour Hersh, è stato franco quanto l’insopportabile Feltri: se i giornalisti non avessero abdicato al loro compito fondamentale, in questi anni avremmo avuto meno guerre e meno stragi, perché – di fronte a una stampa con la schiena diritta – il potere non avrebbe osato spingersi oltre certi limiti.Bassa macelleria fondata sulla menzogna sistematica, praticabile solo a patto di non avere noie, dalla stampa. Un caso mondiale, emblematico? Le inesistenti “armi di distruzioni di massa”, pretesto per invadere l’Iraq di Saddam ponendo le premesse per una destabilizzazione geopolitica di tipo stragistico, cominciata con l’abbattimento delle Twin Towers e culminata coi tagliagole dell’Isis a seminare il terrore sia in Medio Oriente che nel cuore dell’Europa, con attentati sinistramente massonici (non islamici) nella loro spietata simbologia. Chi lo dice? Gioele Magaldi, per esempio: un autore che per l’italico mainstream resta oscuro quanto il suo besteller, “Massoni”, letteralmente ignorato da tutti i talkshow nonostante facesse nomi e cognomi, da Napolitano in giù, come inutilmente ricordato persino in Parlamento dai 5 Stelle. Dove sono, i giornalisti italiani, quando qualcuno si espone per svelare i retroscena della crisi che sta sventrando il paese? Oggi sono tutti a fischiare comodamente il puzzone di turno, Matteo Salvini, mettendo nel mazzo – per buon peso – lo stesso Feltri, notorio estimatore del capo leghista. Tutto fa brodo, pur di non avvistare il pericolo: va benissimo anche lo scalpo di Armando Siri (solo indagato, tuttora) per colpire la Flat Tax e il governo gialloverde, che ha avuto l’improntitudine di pensare che l’Italia si potesse governare anche senza sottomettersi alle mafie politiche locali, succursali delle mafie politiche europee.Per il mainstream che odia Salvini e detesta Feltri, il supermassone occulto Mario Draghi, quasi onnipotente signore d’Europa dopo l’esordio sul Britannia da cui collaborò alla svendita del paese, resta essenzialmente Super-Mario, ipotetico futuro premier quando finalmente il vero potere si sarà scrollato di dosso gli intrusi dell’ultima ora, i pasticcioni gialloverdi. Il governo non è libero di decidere nulla – ha ammesso Pino Cabras, parlamentare pentastellato, in un convegno del Movimento Roosevelt a Londra – perché nei ministeri e nei palazzi-chiave, cominciando dal Quirinale, domina il Deep State. Qualcuno, della libera stampa italiana pronta ad azzannare Feltri per gli sberleffi a Montalbano, si è peritato di rilanciare la notizia? Gli specialisti dell’antimafia sono coraggiosamente impegnati sul fronte della micro-mafia nazionale. Ma i loro colleghi come si regolano, con la vera macro-mafia, quella eurocratica, che da trent’anni ha dichiarato guerra all’Italia sbaraccando la Prima Repubblica? Divorzio fra Tesoro e Bankitalia, Sme, Trattato di Maastricht, Fiscal Compact, pareggio di bilancio. L’ex potenza industriale mediterranea ha perso il 25% del suo potenziale in una manciata di anni. Crisi, recessione, esasperazione. Dov’erano, i giornalisti, mentre tutto questo accadeva? E dove sono oggi? Nel solito posto: comodi, in platea, a distrarre il pubblico. Che screanzato, quel Feltri. Sia messo al bando, perché sciupa la foto di gruppo del glorioso giornalismo italiano.(Giorgio Cattaneo, “Con che coraggio attacca Feltri – per le battute su Montalbano – il giornalismo italiano che da trent’anni non dice la verità sulla crisi del paese?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 giugno 2019).Basso impero, l’avrebbe definito Giorgio Bocca. Il giornalismo italiano? Scomparso, ridotto a recitare veline di palazzo. Eppure a quanto pare esiste ancora, se è vero che due cronisti – Sandro Ruotolo e Paolo Borrometi – si appellano addirittura all’Ordine dei giornalisti, letteralmente indignati. Contro il silenzio del mainstream? Contro le bugie quotidiane del sistema radiotelevisivo? Contro l’omertosa reticenza delle redazioni di fronte a qualsiasi evento di rilievo, italiano e internazionale? Macché. Ce l’hanno con Vittorio Feltri, che si è permesso di insolentire nientemeno che il commissario Montalbano, cioè un personaggio letterario, proprio mentre il suo autore – Andrea Camilleri – lotta in ospedale tra la vita e la morte. Borrometi è un giornalista coraggioso, messo in pericolo dalla mafia. Ruotolo, popolare in Tv, è lo storico inviato di Michele Santoro. «Le parole di Vittorio Feltri su Andrea Camilleri e le sue opere – scrivono, in una lettera al presidente dei giornalisti italiani, Carlo Verna – hanno rappresentato per noi la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E cos’avrebbe mai detto, Feltri, di così inaccettabile? «Mi dispiace, perché un uomo anche vecchio che muore suscita in te un certo dolore. Però – ecco il passaggio sotto accusa – mi consolerò pensando al fatto che Montalbano non mi romperà più i coglioni».
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Magaldi: l’Italia perde perché la paura paralizza i gialloverdi
Il nemico spara sulla folla, ma i difensori si limitano a lanciare innocui petardi dalla torre su cui si sono rifugiati. E fissano l’orizzonte, nella speranza che arrivi qualcuno a salvarli dall’assedio. Ma sbagliano tutto, se sperano che quel qualcuno si chiami Donald Trump: «Il presidente americano non è generoso con l’Italia come lo fu Roosevelt: è stato eletto solo per smascherare l’equivoco della finta sinistra, rompendo gli schemi del pensiero unico. Ma resta un isolazionista, campione di un’America non così propensa a proiettarsi verso di noi, prigionieri dell’austeriy europea». Gioele Magaldi biasima Salvini e Di Maio, che ora sembrano invocare l’aiuto americano contro i censori di Bruxelles: possibile che l’Italia non abbia il coraggio di ribellarsi da sola, e aspetti sempre che siano altri a cavarle le castagne dal fuoco? Psicologia: «Il vero guaio dei gialloverdi è che hanno paura, e su quella paura campano, alla grande, i loro avversari. Se solo i nostri smettessero di farsela sotto, scoprirebbero che il nemico è assai meno forte di quello che pensano. Ma servirebbe innanzitutto un atto di coraggio. Per esempio: mandare a casa ministri inadeguati, come Tria a Moavero, e spedire a Bruxelles – come commissario Ue – qualcuno che incarni davvero la rottura, non l’ennesimo compromesso».C’era una volta il governo del cambiamento. Poi, del cambiamento è rimasta solo la speranza tenuta accesa dalla Lega, «l’unica ad aver resuscitato l’eresia post-keynesiana candidando economisti come Bagnai e Rinaldi, pronti a smontare il dogma neoliberista del rigore di bilancio che provoca ad arte la crisi eterna». Ma, dopo il fallito assalto a Bruxelles – senza neppure il fegato di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil, imposto da Maastricht per imbrigliare l’economia e minare il benessere diffuso – ora i gialloverdi galleggiano in un mare grigio, quello delle promesse mancate. Una su tutte: il magro sussidio che i 5 Stelle hanno chiamato reddito di cittadinanza, e che invece è solo «una tessera annonaria della povertà, che gli stessi beneficiari – pochissimi – si vergognano a esibire». Risultato: voti dimezzati. Elementare: in tanti hanno smesso di votarli, i grillini, se appaiono la copia scolorita della Lega o addirittura un possibile alleato del Pd-fantasma, come avevano lasciato credere alla vigilia delle europee. Chi sono, i 5 Stelle? Cosa sono diventati? Chi è davvero il Re Travicello piovuto a Palazzo Chigi quasi solo per “troncare e sopire”, andreottinanamente, le istanze salviniane?Ma a parte Giuseppe Conte, «Grillo Parlante non richiesto», nella lista dei deludenti c’è anche Marco Bussetti, ministro dell’istruzione. Per non parlare di Giulia Grillo, che al dicastero della sanità non ha fatto nulla per chiarire il caos-vaccini scatenato da Beatrice Lorenzin, su pressione di Big Pharma, sotto il governo Gentiloni. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, il presidente del Movimento Roosevelt ne ha per tutti: e il primo della lista è Giovanni Tria, già “diffidato” (massonicamente, in termini di richiamo alla lealtà) la scorsa settimana. «Il “fratello” Tria aveva promesso di attenersi a una linea progressista, opposta a quella dei circuiti massonici neoaristocratici che dominano l’Ue». Di fatto, al netto di qualche sterzata in extremis, il ministro dell’economia si limita – insieme a Conte – a giocare in difesa. Obiettivo: tentare di portare a casa, evitando la procedura d’infrazione, il ridicolo 2% di deficit contrattato a Bruxelles. Per l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, sarebbe stato necessario almeno un 4% per vederne gli effetti già in primavera, sotto forma di crescita, in virtù del “moltiplicatore della spesa pubblica”, in base al quale un investimento mirato, messo a bilancio come deficit, può fruttare anche il 300% in termini di Pil. Ma nulla di tutto ciò è accaduto, essendo mancato il coraggio di rivendicare l’autonomia finanziaria italiana.«Badate, non è solo una questione di deficit», sostiene Magaldi: «Basterebbe stralciare dal computo del deficit gli investimenti produttivi: infrastruttre strategiche e sostegno al sistema economico nazionale, famiglie e aziende, insieme a un robusto alleggerimento fiscale». Facile a dirsi, ma il Deep State è in agguato. Lo ha ricordato il pentastellato Pino Cabras al convegno “rooseveltiano” di Londra, sul New Deal di cui avrebbe bisogno l’Europa: «Non siamo soli, al governo», ha ricordato Cabras: «Insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche lo “Stato profondo”, che ha in mano l’alta burocrazia e rema contro il cambiamento». Per capirci: appena ti muovi, sale lo spread. «Ecco, appunto: se si cambiassero le regole della Bce – dice Magaldi – si potrebbero emettere finalmente gli eurobond, cioè titoli di Stato europei garantiti dalla banca centrale di Francoforte, e così lo spread sparirebbe automaticamente». Di nuovo: facile, in teoria. In pratica, invece, proprio il supermassone reazionario Mario Draghi – l’uomo che non vuole saperne, di eurobond – si è già premurato di bocciare persino i minibot, con cui il governo vorrebbe saldare i debiti pregressi della pubblica amministrazione, per evitare che le aziende creditrici falliscano. Non a caso: i soliti poteri forti stanno manovrando per portare proprio Draghi a Palazzo Chigi, per commissariare l’Italia dopo l’effimera sbornia di speranze gialloverdi.E che fanno, Salvini e Di Maio, mentre il paese sta scivolando verso una crisi catastrofica? «Vanno negli Usa, nella vana speranza che Trump possa aiutare l’Italia, stritolata dai veri sovranismi nazionalistici – quelli di Germania e Francia, protagonisti della Disunione Europea». Diciamola tutta, insiste Magaldi: «L’Europa non esiste proprio: è tutta da costruire, dalle fondamenta». Viceversa, vogliamo fare da soli? «Benissimo, ma il compito che avremmo di fronte sarebbe lo stesso, anche fuori dall’Ue e dall’Eurozona: l’Italia ha infrastrutture fatiscenti, trasporti insufficienti, aziende in crisi, salari bassi, lavoro scarso». Finora, l’Ue ha raccontato la fiaba del “pilota automatico” che governerebbe l’economia. «Una truffa, con cui il noeliberismo si è affermato come religione. E i risultati sono sotto i nostri occhi: gli italiani sono più poveri e precari». Unico possibile Piano-B: un New Deal rooseveltiano. «Massicci investimenti pubblici, oculati e strategici». Non si scappa: «Lo Stato deve poter spendere. L’Ue non vuole? Pazienza: dovrà rassegnarsi». Il problema è politico, ma si continua a girarcisi attorno facendo finta di niente: «I politici italiani devono capire di dover affrontare finalmente uno scontro, con Bruxelles. Senza questo, i governi – compreso quello gialloverde – naufragheranno, di fronte all’inevitabile fallimento: senza soldi, non è possibile varare nessuna politica salva-Italia».Siamo a un punto di svolta decisamente storico, secondo Magaldi: se non altro, Lega e 5 Stelle hanno sdoganato la dottrina sociale keynesiana, rompendo il tabù del marmoreo pensiero unico ancora presidiato dal Deep State italico, Bankitalia e Quirinale in primis. Guai a disobbedire ai mercati, disse Mattarella bocciando Paolo Savona come ministro dell’economia. Un anno fa, l’allora battagliero Di Maio insorse, gridando l’esatto contrario: peggio per noi, se continuiamo a farci dettare la politica economica dall’oligarchia finanziaria che impone le sue regole ai governi, vanificando le elezioni e mortificando la democrazia. Dov’è finito, oggi, il coraggio dei gialloverdi? Sbiadiscono, i grillini, declinando verso la palude dove agonizza il Pd di Zingaretti, ancora impantanato a recitare la mortale ortodossia neoliberista: «Come pure Forza Italia, lo stesso Pd ripete che quest’Europa andrebbe cambiata, ma si guarda bene dal dire come, cioè in senso progressista: spesa pubblica strategica, senza più vincoli di bilancio».L’ultimo guardiano del cambiamento, almeno a parole, è Salvini. Seguiranno i fatti? Per ora, i segnali non sono rassicuranti. Armando Siri, architetto della Flat Tax, è stato silurato dal giustizialismo elettoralistico dei 5 Stelle, senza che il capo della Lega sia insorto per lasciarlo al suo posto, nel governo. «E peggio: ora si fa il nome di Enzo Movero Milanesi come possibile commissario europeo, quando invece il massone neoconservatore Moavero – già “montiano”, anche se poi convertitosi teoricamente all’impostazione progressista – sarebbe da licenziare: graditissimo ai potenti neoaristocratici che comandano in Ue, come ministro degli esteri non ha fatto assolutamente niente. E vogliamo mandare lui, a Bruxelles, come rappresentante del governo del cambiamento?». Per Magaldi, la chiave sta nella dicotomia che oppone paura e coraggio. «Con che faccia c’è ancora chi propone l’uscita dall’euro e dall’Ue, quando il governo non ha osato neppure infrangere il totem del 3% del deficit?». Se solo trovasse la forza di agire, chiosa Magaldi, l’esecutivo avrebbe grandi sorprese: «Mettendo da parte la paura, scoprirebbe che il nemico non è affatto invincibile. E i nostri avversari lo sanno benissimo: per questo continuano a spaventarci». Gli unici a non capire come stanno le cose sembrano proprio i nostri ipotetici difensori: se non faranno sul serio, finiranno presto nel museo delle cere in compagnia di Renzi e di tutti gli altri rottamatori all’italiana, bravi solo a chiacchiere.Il nemico spara sulla folla, ma i difensori si limitano a lanciare innocui petardi dalla torre su cui si sono rifugiati. E fissano l’orizzonte, nella speranza che arrivi qualcuno a salvarli dall’assedio. Ma sbagliano tutto, se si illudono che quel qualcuno si chiami Donald Trump: «Il presidente americano non è generoso con l’Italia come lo fu Roosevelt: è stato eletto solo per smascherare l’equivoco della finta sinistra, rompendo gli schemi del pensiero unico. Ma resta un isolazionista, campione di un’America non così propensa a proiettarsi verso di noi, prigionieri dell’austeriy europea». Gioele Magaldi biasima Salvini e Di Maio, che ora sembrano invocare l’aiuto americano contro i censori di Bruxelles: possibile che l’Italia non abbia il coraggio di ribellarsi da sola, e aspetti sempre che siano altri a cavarle le castagne dal fuoco? Psicologia: «Il vero guaio dei gialloverdi è che hanno paura, e su quella paura campano, alla grande, i loro avversari. Se solo i nostri smettessero di farsela sotto, scoprirebbero che il nemico è assai meno forte di quello che pensano. Ma servirebbe innanzitutto un atto di coraggio. Per esempio: mandare a casa i ministri inadeguati, come Tria a Moavero, e spedire a Bruxelles – come commissario Ue – qualcuno che incarni davvero la rottura, non l’ennesimo compromesso».
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Cazzaromachia: la politica italiana è una guerra tra buffoni
Borghi contro Draghi, Vampiri contro Lycan, Salvini contro lo Spread, Alien contro Predator. Strutturalmente incompatibile con una vera democrazia, il regime capitalista ha soltanto due modalità: fascismo “presentabile“, e fascismo impresentabile. Il primo è rappresentato oggi in Europa dai cosiddetti Europeisti, responsabili fra l’altro dell’austerity, che ha causato l’aumento della mortalità infantile in Grecia, e della dottrina Minniti che finanzia i lager libici. Il fascismo impresentabile è invece rappresentato dai cosiddetti Sovranisti, che condiscono quella stessa dottrina con truci slogan razzisti da stadio, e tentano di forzare un po’ i vincoli dell’austerity soltanto per foraggiare gli intrallazzi dei loro sponsor. E pagare i debiti della pubblica amministrazione con le banconote di Paperopoli. Dalla stessa parte della barricata c’è il Movimento 5 Stelle, che però non è sovranista, è survivalista, cioè disposto a tutto pur di sopravvivere e salvare le poltrone.Principale caratteristica comune di tutti gli schieramenti è l’essere un branco di cazzari. Persino i loro nomi sono una menzogna: Macron, il frontman degli Europeisti, è in realtà più nazionalista e protezionista di Trump, mentre i presunti patrioti Sovranisti della Lega sono gli stessi che incitavano a pulirsi il culo con la bandiera tricolore. Se le alternative sono queste, perché in tanti si ostinano ancora a votare? Ecco alcune ipotesi. Per scaramanzia. Un rituale ossessivo compulsivo, perlopiù innescato dallo stress, come certe piccole superstizioni quotidiane. Questo spiegherebbe perché d’estate l’affluenza alle urne cali in modo significativo: la luce solare svolge notoriamente un’azione antidepressiva, contrastando le sindromi Ocd. Per sfregio. Per ripicca, per vendetta. Cercare di punire i partiti e/o i leader che ti hanno fregato la volta precedente, votando i loro peggiori nemici dichiarati. Coi quali però di solito dopo le elezioni andranno insieme al governo.Per il Lol. Il candidato del Pd più votato alle europee è stato Carlo Calenda. Questa è la prova che parte dell’elettorato considera il voto un’occasione per compiere una burla collettiva, uno scherzo, una beffa nello stile delle teste di pietra attribuite a Modigliani. La testa di Calenda però non è di pietra. E neanche di Modigliani. Per sbaglio. È ipotizzabile che una rilevante percentuale degli elettori si ritrovi nella cabina elettorale avendola scambiata per un bagno pubblico. Questo spiegherebbe l’abbondante risultato della Lega.(Alessandra Daniele, “Cazzaromachia”, da “Carmilla” de 9 giugno 2019).Borghi contro Draghi, Vampiri contro Lycan, Salvini contro lo Spread, Alien contro Predator. Strutturalmente incompatibile con una vera democrazia, il regime capitalista ha soltanto due modalità: fascismo “presentabile“, e fascismo impresentabile. Il primo è rappresentato oggi in Europa dai cosiddetti Europeisti, responsabili fra l’altro dell’austerity, che ha causato l’aumento della mortalità infantile in Grecia, e della dottrina Minniti che finanzia i lager libici. Il fascismo impresentabile è invece rappresentato dai cosiddetti Sovranisti, che condiscono quella stessa dottrina con truci slogan razzisti da stadio, e tentano di forzare un po’ i vincoli dell’austerity soltanto per foraggiare gli intrallazzi dei loro sponsor. E pagare i debiti della pubblica amministrazione con le banconote di Paperopoli. Dalla stessa parte della barricata c’è il Movimento 5 Stelle, che però non è sovranista, è survivalista, cioè disposto a tutto pur di sopravvivere e salvare le poltrone.
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Conte, Tria e Moavero: stranieri, nella nazionale al governo
Un, due, Tria. Tra i grillini e i leghisti in campo c’è una terna arbitrale gradita al Quirinale e a Bruxelles. L’arbitro è l’Avvocato, professor Giuseppe Conte da Volturara Appula, i segnalinee sono il ragionier Filini in arte Giovanni Tria e il segnaposto-ombra Enzo Moavero Milanesi. È il Trio Carbone del governo e dovrebbe servire a eliminare i molesti gonfiori intestinali della Commissione Europea. È la zona grigia tra il governo italiano e la Commissione Europea, il cuscinetto a tre punte in mezzo ai due; la piccola azienda artigianale in cui si rattoppano e si modificano i prototipi, adattandoli alla sagoma del cliente. Sono i tre stranieri della nazionale di governo, tre tecnici con permesso temporaneo di soggiorno, tre marziani spopulisti che non stanno né di là né di qua, e che nella mitologia governativa rappresentano le Parche del Compromesso. Il professor avvocato Conte gode di un reddito di presidenza, variante del reddito di cittadinanza, un sussidio percepito anche senza svolgere la sua mansione. Ma lui sceneggia bene il ruolo di premier, sarà un figurante ma fa la sua figura. Non essendo né il padre del governo né il figlio del movimento grillino o del partito leghista, l’ho definito manzonianamente il Conte Zio.Anche anagraficamente ai due leader di governo lui non potrebbe essere padre e non è coetaneo, ma solo Zio. Il Conte Zio appare nei “Promessi sposi” come attore non protagonista, perché gli sposi sono loro, Renzo Salvini e Lucia Di Maio. «Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un certo credito», spiega Manzoni: «Il suo prestigio era aumentato dopo un viaggio all’estero», non a Bruxelles ma a Madrid. Diplomatico, prudente, scaltro, un po’ inconsistente «come quelle scatole…con su certe parole arabe e dentro non c’è nulla». Era zio di due personaggi del romanzo, don Rodrigo e il conte Attilio, non sappiamo chi dei due sia Matteo e chi Luigino. Gli auguriamo di non finire come il Conte Zio manzoniano con la peste. Ma lui si barcamena con discreta furbizia tra i due committenti di governo e gli inquilini del piano di sopra (il Colle e la Ue). Ha imparato pure a simulare astuti penultimatum e a fingere che, se non si fa come lui dice, se ne va, li molla.Poi c’è il segnalinee Tria. Per lungo tempo il sardonico economista ha avuto la funzione di far sparire il coniglio dal cilindro di governo. Di Maio proponeva, Salvini disponeva e lui riponeva. Voluto da Mattarella al posto di Savona, Tria ha qualcosa di fantozziano. Lenti spesse come il rag. Filini, che pure a lui scendono sul naso, sguardo spaesato, passo incerto, look impiegatizio da dopolavoro aziendale. Tria non si oppone mai apertamente ai provvedimenti annunciati, si limita a farli sparire, a posporli, a frenarli, a neutralizzarli. Rassicura i giocatori che si faranno, ma poi aggiunge sempre a mezza voce una frasetta, una postilla, buttata là bisbigliando e vanifica il tutto, come quelle clausole infami in corpo minimo in fondo ai contratti: lo faremo senz’altro, ma quando avremo i soldi, oppure quando avremo i conti a posto, oppure senza modificare il bilancio, o ancora, a costo zero, quando l’Europa sarà d’accordo o quando la Raggi pulirà Roma. Insomma mai.La gag si ripete all’infinito. Ricomincio da Tria. La presenza di Tria al governo è ironica, l’atteggiamento pubblico è sornione e beffardo con un sorriso interiore che lievemente s’affaccia sul suo volto. Quando parla si capisce che sta raggirando qualcuno, e quel qualcuno sta al governo, sta nella massa degli elettori, sta nelle cabine di comando europee. Si capisce che non crede affatto alla bontà e alla realizzabilità del programma dei grillo-leghisti ma anziché prenderli di petto li prende per i fondelli. Non escludo che a volte abbia ragione lui, il Ministro dell’Affossamento, con delega ai sabotaggi e alla castrazione chimica dei decreti economici. Lui è il Cavallo di Tria dell’establishment, del Quirinale, dell’Europa. Che è poi il terzo partito invisibile al governo, con almeno tre ministeri.Il terzo ministero, anzi il terzo uomo, segnalinee invisibile, è uno strano drone lasciato alla Farnesina dai tecnici: viene da Monti, da Prodi, da Letta, ha un bel curriculum economico-professionale, una sola volta candidato alle politiche, bocciato dagli elettori, con Scelta Cinica del sullodato Monti. Di lui agli esteri non risulta pervenuta alcuna notizia, la scientifica sta cercando di trovare qualche traccia, qualche impronta che attesti il suo coinvolgimento. Forse lavora direttamente presso le altre ambasciate o fa il ministro di notte, al buio, quando non lo importuna nessuno. Di lui non resta memorabile nulla come ministro eccetto due cose marginali: l’inquietante sorriso senza sorriso, con una dentatura aggressiva e lasca, il cui morso potrebbe essere usato per punzonare i pacchi spediti all’estero e l’eroico antifascismo mobiliare, perché respinse dal suo ministero una scrivania che sarebbe appartenuta a Mussolini. E lo fece professandosi antifascista.Perché, sapete, le scrivanie di marca fascista sono una minaccia alla democrazia, un pericolo per l’Europa, bisogna respingerle… Se si organizzano con gli armadi e le sedie, rischiano di marciare su Roma… Benché abbia due cognomi, Moavero Milanesi non ha un nome riconosciuto. Scrive lettere anonime all’Europa e gli rispondono facendo denuncia contro ignoti. “Omnia tria sunt perfecta”, dicevano i latini, e un mio compagno di scuola traduceva “in ogni treno c’è un prefetto”. Ma questa è la terna arbitrale che ci tocca, il Trio Lescano per cantarle all’Europa, la cinghia di trasmissione con l’Ue, il Quirinale e l’establishment. Non so se siano un bene, un male, un nulla. Ma mi incuriosisce vedere come andrà a finire, cosa faranno in caso di crisi o caduta del governo in carica. Se si ricicleranno altrove, se fuggiranno all’estero o se verranno riposti nelle apposite custodie.(Marcello Veneziani, “Quella terna tra Roma e Bruxelles”, da “La Verità” del 13 giugno 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Un, due, Tria. Tra i grillini e i leghisti in campo c’è una terna arbitrale gradita al Quirinale e a Bruxelles. L’arbitro è l’Avvocato, professor Giuseppe Conte da Volturara Appula, i segnalinee sono il ragionier Filini in arte Giovanni Tria e il segnaposto-ombra Enzo Moavero Milanesi. È il Trio Carbone del governo e dovrebbe servire a eliminare i molesti gonfiori intestinali della Commissione Europea. È la zona grigia tra il governo italiano e la Commissione Europea, il cuscinetto a tre punte in mezzo ai due; la piccola azienda artigianale in cui si rattoppano e si modificano i prototipi, adattandoli alla sagoma del cliente. Sono i tre stranieri della nazionale di governo, tre tecnici con permesso temporaneo di soggiorno, tre marziani spopulisti che non stanno né di là né di qua, e che nella mitologia governativa rappresentano le Parche del Compromesso. Il professor avvocato Conte gode di un reddito di presidenza, variante del reddito di cittadinanza, un sussidio percepito anche senza svolgere la sua mansione. Ma lui sceneggia bene il ruolo di premier, sarà un figurante ma fa la sua figura. Non essendo né il padre del governo né il figlio del movimento grillino o del partito leghista, l’ho definito manzonianamente il Conte Zio.
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Carpeoro: magistratura politica, ipocrita chi si scandalizza
«Possibile che ci si scandalizzi per i collegamenti tra Palamara e il Pd? Quando la Procura di Roma era definita “il porto delle nebbie”, a nominarne il capo era Giulio Andreotti. E a Milano, Bettino Craxi tentò disperatamente di opporsi alla nomina, altrettanto “politica”, di Francesco Saverio Borrelli, futuro capo del pool Mani Pulite, messo lì apposta per distruggere il leader del Psi». L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, si sfoga su YouTube in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” dopo la figuraccia di Luca Lotti, renziano di ferro messo in pista dall’ex rottamatore per tentare di influenzare i magistrati, tenendoli lontani da inchieste scomode su Matteo Renzi, suo padre Tiziano e lo stesso Lotti. «E’ giusto che gli italiani si indignino, di fronte a questo», premette Carpeoro. «Ma perché invece non si indignarono quando furono analoghe “conventicole” a fare di Borrelli il procuratore capo di Milano? La modalità è sempre la stessa». Protesta Carpeoro: «Siamo un paese ipocrita, in cui si finge di non sapere come funzionano, queste cose». Risultato: «In Italia non cade mai nessuno, per ragioni politiche. Possono anche crollare ponti, ma un politico viene fermato solo e sempre se a un certo punto gli si scatena contro la magistratura».Mesi fa, Carpeoro aveva “profetizzato” l’offensiva giudiziaria in arrivo contro la Lega. Obiettivo: disarcionare Salvini, scomodo per l’establishment italiano “consonante” coi poteri forti europei – che infatti anche oggi contestano, all’unisono, persino una misura innocua come i minibot: «Non presuppongono interessi e quindi non costituiscono debito aggiuntivo, checché ne pensi il “ragionier” Draghi», prontamente applaudito dal suo uomo in Bankitalia, il governatore Ignazio Visco. Recentissimo, peraltro, anche il taglio della testa di Armando Siri, disarcionato dalla carica di sottosegretario alla vigilia delle europee, su gentile richiesta dei 5 Stelle (in allarme, per i sondaggi sfavorevoli). Giustizialismo a orologeria? Certo, a vittima non è stata casuale: Siri era l’architetto della Flat Tax all’italiana, altra misura – come i minibot – concepita per alleggerire la situazione economica, dando ossigeno alle aziende e rilanciando occupazione e consumi. Per inciso: Siri ha ricevuto un semplice avviso di garanzia, neppure un rinvio a giudizio (l’ipotesi di accusa: potrebbe aver tentato di favorire, a pagamento, imprese del settore eolico). Non risultano esserci prove, per ora. Ma intanto l’indiziato – un cervello di rilievo strategico, nella Lega – ha dovuto abbandonare la poltrona.Per Carpeoro, è un quasi-attentato anche la richiesta, all’ex Carroccio, di “restituire” 49 milioni di euro: «Significa impedire a un partito di svolgere democraticamente l’attività politica». Non si tratta di un episodio isolato: non c’è settimana che non scattino le manette per qualche sindaco o assessore leghista. Giudiziario anche lo stop alla politica di Salvini si migranti, come dimostra il caso della nave “Sea Watch”: «L’hanno sequestrata per sottrarla al ministero dell’interno e far sbarcare i migranti», disse Carpeoro al momento del sequestro, «ma vedrete – annunciò – che poi la nave verrà dissequestrata». Detto fatto: altra “profezia” regolarmente confermata dai fatti. «Così hanno trovato il modo di fermare Salvini, e in questo modo l’Unione Europea potrà continuare a lasciarci soli di fronte agli immigrati, senza minimamente preoccuparsi – come chiede Salvini – che altri paesi, insieme a noi, se ne facciano carico». Anche qui: possibile che, dove non si riesce a fermare un leader per via politica, intervenga puntualmente un magistrato? Nel caso dei migranti, sull’Italia ricade il peso maggiore. E così per tutto: dai minibot agli sgravi fiscali, fino all’atteggiamento dell’opposizione – Pd e Forza Italia – che praticamente tifa per lo spread, cioè contro l’Italia, pur di veder cadere il governo. Autolesionismo: «Il guaio è che ci piace, farci del male da soli. E se non bastiamo – conclude Carpeoro – ci mettiamo d’accordo con gli stranieri, pur di affossare il nostro governo. Magari, con l’aiuto della magistratura».«Possibile che ci si scandalizzi per i collegamenti tra Palamara e il Pd? Quando la Procura di Roma era definita “il porto delle nebbie”, a nominarne il capo era Giulio Andreotti. E a Milano, Bettino Craxi tentò disperatamente di opporsi alla nomina, altrettanto “politica”, di Francesco Saverio Borrelli, futuro capo del pool Mani Pulite, messo lì apposta per distruggere il leader del Psi». L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, si sfoga su YouTube in video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” dopo la figuraccia di Luca Lotti, renziano di ferro messo in pista dall’ex rottamatore per tentare di influenzare i magistrati, tenendoli lontani da inchieste scomode su se stesso, su suo padre Tiziano Renzi e sullo stesso Lotti. «E’ giusto che gli italiani si indignino, di fronte a questo», premette Carpeoro. «Ma perché invece non si indignarono quando furono analoghe “conventicole” a fare di Borrelli il procuratore capo di Milano? La modalità è sempre la stessa». Protesta Carpeoro: «Siamo un paese ipocrita, in cui si finge di non sapere come funzionano, queste cose». Risultato: «In Italia non cade mai nessuno, per ragioni politiche. Possono anche crollare ponti, ma un politico viene fermato solo e sempre se a un certo punto gli si scatena contro la magistratura».
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I 5 Stelle fanno affondare l’Italia (e Salvini) di fronte all’Ue
Sebbene dimezzato da continue sconfitte elettorali, il Movimento 5 Stelle continua a imporre al governo una serie di misure economiche che danneggiano l’economia, scompensano i conti pubblici, alzano lo spread, provocano sanzioni europee e, con la loro demagogica balordaggine, discreditano l’Italia e il suo governo proprio mentre questo dovrebbe difenderci dalle sanzioni e contemporaneamente criticare e far modificare le dannose regole finanziarie europee vigenti. Così i proprietari del Movimento stanno preparando il terreno a un nuovo colpo di Stato europeista e a un nuovo governo tipo Monti (con premier Draghi o Cottarelli o lo stesso Conte), quindi a una nuova mazzata di tasse e di recessione. A quel punto la Lega sarà distrutta nella sua immagine e nella sua leadership. E magari l’ala sinistra del Movimento potrà sguazzare in un clima di fiscalismo pauperista e pseudo-socialista, alleandosi alla sinistra, mentre Conte progetta una carriera sotto l’ombrello del Quirinale, e con una Lega non più competitiva perché segata.La spesa pubblica più necessaria e produttiva per il paese era quella dell’Industria 4.0, ossia dell’innovazione tecnologica, che aveva avviato una piccola ripresa già da sé, e in prospettiva preparava il recupero della gradualmente perduta produttività dell’industria nazionale, punto cruciale per la ripresa e quindi per il risanamento dei conti pubblici. Ebbene, i proprietari del Movimento 5 Stelle sono riusciti a imporre nella ultima legge di bilancio di togliere fondi all’Industria 4.0 per darli al cosiddetto reddito di cittadinanza, un provvedimento demagogico, assistenzialista, che va a beneficio in buona parte di persone che non dovevano ottenerlo e che in generale al lato pratico risulta favorire il parassitismo anche grazie agli esempi di soggetti che lo hanno ottenuto pur avendo redditi e proprietà nascosti. Ma si poteva fare di peggio, e i grillini lo hanno fatto adesso: hanno imposto di togliere altri soldi all’Industria 4.0 per finanziare il provvedimento salva-Comuni, ossia un provvedimento che pone a carico dello Stato il dissesto di numerosi Comuni italiani male amministrati storicamente, a cominciare da Roma, dando così l’opportunità agli amministratori inefficienti e corrotti di evitare la dichiarazione di dissesto e le connesse ispezioni della Corte dei Conti, con le conseguenze anche penali per loro stessi.Il messaggio che i proprietari del Movimento hanno così dato è chiarissimo: continuate pure a sprecare, ad amministrare male, a fare buchi, tanto poi faremo pagare il Pantalone, cioè il contribuente. Questo è il meridionalismo del Movimento, mentre il 96% dei Comuni lombardi ha chiuso i bilanci in attivo. In conclusione, hanno tolto i soldi da dove erano massimamente benefici per metterli là dove saranno massimamente dannosi. Aggiungiamo a queste folli operazioni economiche il Decreto Dignità e il Reddito Minimo, dannosi per l’occupazione, e sommiamoli agli effetti della Quota 100, e avremo una finanza pubblica destabilizzata congiunta a un’economia in recessione e a una dimostrazione di incapacità e demagogia davanti agli occhi del mondo intero. Dopo tali prove di incapacità, il governo non sarà qualificato per obiettare e resistere e controbattere agli attacchi della Commissione Europea, la quale, come ricordato recentemente da Federico Rampini, ha una storia di doppio standard, ossia di applicazione rigorosa delle regole, anche le più irragionevoli, ai paesi deboli, e di sistematica esenzione da quelle regole dei paesi forti, cioè Francia e Germania.Il confronto con la Commissione Europea e con le errate e arbitrarie regole che essa impone faziosamente si può affrontare solo con un governo di ministri credibili e competenti e che abbia fatto una politica economica scientificamente razionale e moralmente sana, mentre ciò che questo governo ha fatto in economia consentirà alla controparte franco-germanica di screditare e delegittimare ogni sua obiezione e rivendicazione, liquidandola come piagnisteo di chi non sa amministrarsi, rinforzando lo stereotipo negativo dell’Italia. Qualora Salvini e la Lega non smettano subito di inseguire il Movimento sul piano suicida della demagogia e della velleità (come col condono sul contante); qualora non denuncino e non fermino immediatamente l’azione dei capi del Movimento (meglio se con la persuasione, ma occorrendo anche a costo di una crisi di governo); e qualora non disinneschi la mina della procedura di infrazione comunitaria (dato che non vi è il consenso popolare per rompere e uscire), allora il risultato a breve sarà un’Italia messa in ginocchio dalla cosiddetta Europa, con un probabile colpo di Stato per mettere su un altro governo tipo Monti, con ulteriori cessioni di sovranità e con ulteriori tasse, fallimenti e saccheggi dei migliori asset nazionali. Altro che governo del cambiamento! E a quel punto, con che faccia si presenteranno Salvini e la Lega agli elettori quando sarà concesso nuovamente di votare?(Marco Della Luna, “Movimento mortale per Lega e Italia”, dal blog di Della Luna del 13 giugno 2019).Sebbene dimezzato da continue sconfitte elettorali, il Movimento 5 Stelle continua a imporre al governo una serie di misure economiche che danneggiano l’economia, scompensano i conti pubblici, alzano lo spread, provocano sanzioni europee e, con la loro demagogica balordaggine, discreditano l’Italia e il suo governo proprio mentre questo dovrebbe difenderci dalle sanzioni e contemporaneamente criticare e far modificare le dannose regole finanziarie europee vigenti. Così i proprietari del Movimento stanno preparando il terreno a un nuovo colpo di Stato europeista e a un nuovo governo tipo Monti (con premier Draghi o Cottarelli o lo stesso Conte), quindi a una nuova mazzata di tasse e di recessione. A quel punto la Lega sarà distrutta nella sua immagine e nella sua leadership. E magari l’ala sinistra del Movimento potrà sguazzare in un clima di fiscalismo pauperista e pseudo-socialista, alleandosi alla sinistra, mentre Conte progetta una carriera sotto l’ombrello del Quirinale, e con una Lega non più competitiva perché segata.
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Magaldi: vogliono comprare Tria e Conte per il dopo-Salvini
«E bravo Matteo Renzi, finalmente promosso “cameriere” del Bilderberg». Dall’alto del suo nuovo ossevatorio, l’ex leader Pd dice che il governo gialloverde non ha finora toccato palla su nessuno dei temi dell’agenda-Italia? «Se è per questo neppure il suo governo toccò palla, esattamente come i governi Letta e Gentiloni». Solo ciance, dietro alla rigida obbedienza all’ordoliberismo Ue. Però Renzi ha ragione, ammette Gioele Magaldi: dopo un anno, Lega e 5 Stelle hanno totalizzato lo stesso punteggio del fanfarone fiorentino, cioè zero. La differenza? Al Giglio Magico è subentrato «il Cerchio Tragico, targato Di Maio». E se Salvini non ha ancora trovato il coraggio di mandare a stendere Bruxelles, il pericolo maggiore viene dall’interno. Il primo “imputato” è il ministro Giovanni Tria, che sembra passato armi e bagagli al “partito di Mattarella”, intenzionato a bloccare qualsiasi cambiamento. E il peggio è che ad alzare la diga ora ci si mette pure Giuseppe Conte, con la sua prudenza esasperante. Attenti: è come se Conte e Tria fossero già “in vendita”, disposti a far naufragare l’esecutivo in cambio della promessa di future poltrone. Magaldi si rivolge a Salvini: «Se ora gli impediscono di fare la Flat Tax e di varare i minibot, stacchi la spina al governo: a quel punto saranno gli italiani, alle elezioni, a dire come la pensano».
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Uno vale zero: la squallida pochezza dei “traditori” 5 Stelle
«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.Persino la promessa elettorale mantenuta nel vano tentativo di comprarsi una manciata di voti s’è rivelata una mezza truffa: quel reddito di cittadinanza pubblicizzato come “l’abolizione della povertà”, ma in realtà costruito in modo che potessero effettivamente ottenerlo solo meno d’un quinto di coloro ai quali era stato promesso, ricevendo in media solo meno di metà della cifra promessa. La convinzione di potersi comprare a prezzo scontato il voto di chi è povero è quanto di più classista si possa concepire. Infatti ci aveva provato anche il Pd, col micragnoso “reddito d’inclusione”. Intanto, vinte le europee, Salvini ha di fatto gettato la maschera, e la felpa, da “amico del popolo”, per imporre il suo programma solidamente classista: Flat Tax per favorire i contribuenti più ricchi, autonomia differenziata per favorire le regioni più ricche, Grandi Opere per favorire gli speculatori, condoni per favorire gli evasori, e decreti sicurezza per manganellare e incarcerare chiunque dissenta.È questa, da sempre, la sostanza del fascismo leghista. Il resto è clickbait. Perciò l’improvviso “antifascismo” elettorale del socio M5S non è più credibile di quello del Pd, che con la Lega condivide Grandi Opere e Dottrina Minniti su migranti e manganelli. Ogni altra Grande Opera al Nero che il Movimento Zero Stelle controfirmerà, sarà un altro passo verso l’estinzione.(Alessandra Daniele, “Uno vale zero”, da “Carmilla” del 2 giugno 2019).«Il governo vale bene ogni compromesso» (Denis Verdini). Persino peggio di Renzi dopo il referendum, Disastro Di Maio ha negato ogni responsabilità diretta nella meritatissima disfatta elettorale del Movimento 5 Stelle. E con la scontata complicità della farsesca Piattaforma Casaleggio, s’è imbullonato a tutte le sue poltrone, una sull’altra. Quando tempo fa ho definito il Movimento 5 Stelle la peggiore truffa di massa dopo lo schema Ponzi, sono stata ingiusta verso Ponzi: dopotutto lui non ha consegnato il suo paese a Salvini. Il fatto che, dopo un decennio d’iperboliche promesse di palingenesi, i grillini siano finiti a fare i Minions del trippone leghista non è che la prova definitiva della loro squallida pochezza. Dalla Val di Susa a Pomigliano, da Taranto a Melendugno, non c’è comunità che il M5S non abbia tradito. Dal contratto nazionale per i riders, alla nazionalizzazione della società autostrade, non c’è impegno solenne che non si sia rimangiato.
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Cucù, i minibot-vudù: così la Germania disinforma i tedeschi
Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?Qui però si ferma il giornalismo, quello di Eckert e di tanti colleghi, anche italiani. Con un’aggravante: neppure stavolta “Die Welt” spiega ai connazionali che la Germania se la gode, in Eurozona, solo grazie a privilegi esclusivi: non rispetta le condizioni-capestro che invece impone agli altri. E’ lo stesso Galloni a riassumere il senso della “vacanza europea” della Germania. Primo: le piccole banche tedesche – solo loro – si permettono il lusso di non rispettare i vincoli del Trattato di Basilea. E quindi continuano di fatto a emettere credito (quindi moneta-debito) verso l’economia reale. Secondo: il governo di Berlino non include nel bilancio la colossale spesa previdenziale: il costo delle pensioni non pesa sul debito nominale dello Stato. Terzo: nel calcolo del debito pubblico non entra neppure l’ingentissima spesa pubblica dei Lander, le Regioni. Se aggiungessimo queste voci – ha ricordato sul “Giornale” un imprenditore italiano come Fabio Zoffi, da anni attivo a Monaco di Baviera – il debito pubblico reale della Germania risulterebbe il 280% del Pil, cioè più del doppio del tanto vituperato debito italiano, per il quale il Belpaese viene sistematicamente messo in croce dai signori di Bruxelles.Se Daniel Eckert chiarisse tutto questo, probabilmente i lettori di “Die Welt” capirebbero perché l’Italia – in affanno, per disperata carenza di liquidità – tenta di giocare anche la carta dei minibot. «Sbaglia, chi pensa che siano l’anticamera dell’uscita dall’euro», sostiene su “ByoBlu” un parlamentare come Pino Cabras, in quota ai 5 Stelle: le forme di moneta parallela servono proprio a rimanere aggrappati alla moneta unica. Acrobazie italiane? Certo, perché l’Italia non gode dei privilegi della Germania e neppure di quelli della Francia, ricorda ancora Galloni, citando il franco Cfa che Parigi impone a 14 ex colonie africane. «Quella è valuta a pieno titolo, perché circola in più paesi, mentre i minibot non avrebbero valore fuori dall’Italia». Mario Draghi teme che possano aggravare il debito pubblico? Galloni lo smentisce anche su questo: «Tecnicamente, sarebbero solo “titoli di pagamento”, a valere su debiti già maturati e contabilizzati dalla pubblica amministrazione». Se poi lo Stato li accettasse come pagamento delle tasse, potrebbero anche essere scambiati come moneta: «Ma sarebbero moneta parallela solo nazionale, senza corso legale fuori dall’Italia, e in più accettabile – come mezzo di pagamento – solo su base fiduciaria, cioè con la possibilità di non accettarla».In altre parole, riassume Galloni: «I minibot sono perfettamente legali, in quanto non violano nessuna delle condizioni richiamate da Draghi: sarebbero illegali se corrispondessero all’emissione di euro o se costituissero uno stock aggiuntivo di debito pubblico, e invece non sono né una cosa né l’altra». La rabbia di Draghi, aggiunge Galloni, deriva semmai dalla piena consapevolezza di non poter intervenire sul vero problema, cioè la distribuzione della liquidità. Infatti, la Bce si occupa solo dell’erogazione complessiva della massa monetaria: «Gli euro emessi da Francoforte finiscono largamente alla finanza anziché all’economia reale, settore di cui ormai fanno parte anche gli Stati, ridotti a elemosinare credito alle banche». Con due eccezioni, appunto: la Germania (cui è permesso di non rispettare le regole Ue) e la Francia, che a sua volta “respira” grazie al franco Cfa: «Si dirà che il Cfa non viola il Trattato di Lisbona perché quello delle ex colonie francesi è un circuito chiuso. Ma se è legale il franco Cfa – chiosa Galloni – allora sono “legalissimi” i minibot italiani, concepiti per tamponare la disperata “fame” di liquidità a cui la Bce non riesce a rimediare. E questo, Draghi lo sa benissimo».Non lo sanno, di sicuro, i lettori tedeschi “informati” da Eckert, allarmatissimo all’idea che Roma vari minibot di piccolo taglio (100 euro) come pagamento di aziende che attendono di essere saldate dallo Stato, e addirittura impiegabili anche per pagare le tasse (e quindi scambiabili, da un contribuente all’altro, come pagamento alternativo agli euro). «Da quel momento in poi, è solo un piccolo passo verso una valuta parallela», scrive Eckert, che evidentemente ignora la differenza fondamentale tra “valuta” (convertibile in oro, in euro o in divise estere) e “moneta parallela” (non convertibile, né spendibile fuori dal paese). Mai e poi mai, i minibot potrebbero essere “valuta parallela”. Eppure, scrive sempre Eckert, è esattamente «quello che potrebbe mirare a fare» quel mascalzone di Matteo Salvini, «leader della Lega di destra». La prova? «Il portavoce economico della Lega, Claudio Borghi, è un acceso sostenitore dei piccoli mostri fiscali». Fantastico: la Germania bara su tutto, dopo aver raso al suolo la Grecia e sabotato l’Italia, ma a produrre i “mostri” è il terribile Claudio Borghi, universalmente noto per essere di gran lunga il più mite e prudente tra gli economisti al lavoro per tentare di tamponare la voragine-Italia creata da questa Europa a trazione franco-tedesca, sfrontatamente autocelebratasi nell’inaudito Trattato di Aquisgrana (che fa a pezzi l’idea stessa di Unione Europea).«Come per gli altri paesi dell’unione monetaria, vale anche per l’Italia: la moneta a corso legale è solamente l’euro», strilla Daniel Eckert, sfoderando accenti criminologici contro gli incorreggibili italiani. Ma sbaglia, anche qui: in base all’articolo 128 del Trattato di Lisbona, l’euro è l’unica moneta a corso legale a livello di valuta (valida anche per l’estero), mentre lo stesso trattato non esclude affatto la creazione di monete parallele, anch’esse “a corso legale”, sebbene solo entro il territorio nazionale. «Se i minibot si diffondessero in tutta l’economia italiana e venissero passati di società in società e di cittadino in cittadino, lo Stato italiano potrebbe farsi il proprio denaro», aggiunge l’ineffabile Eckert, senza domandarsi – di nuovo – perché mai gli italiani dovrebbero ricorrere a questa mossa, che crea loro un sacco di guai diplomatici. «Nel corso del tempo – aggiunge – i nuovi coupon sarebbero negoziati sul mercato e quotati ad un prezzo (presumibilmente inferiore) rispetto all’euro». Per “Die Welt”, «sarebbe l’inizio della strisciante uscita dell’Italia dall’euro». Si possono scrivere stupidaggini di questo tipo, nel 2019, su un grande giornale europeo? Eccome. E succede in quasi tutti i giornali europei, grandi e piccini.Sempre in chiave criminologica, il “detective” Eckert consulta un super-tecnocrate come Thomas Mayer, capo-economista del “Flossbach von Storch Research Institute”. Con i minibot, sostiene Mayer, si può almeno «minacciare di lasciare gradualmente l’euro, se si è costretti dall’Ue a ridurre il deficit». Un altro “guru” interpellato da Eckert, il banchiere Erik Nielsen (capo-economista di Unicredit a Londra), chiarisce che i minibot «non sono l’inizio di una nuova valuta». Ma Eckert non si dà per vinto: «La confusa politica di comunicazione di Roma – scrive – ha contribuito a confondere l’idea potenzialmente significativa di cartolarizzare il debito pubblico, con la dottrina “voodoo” di una valuta parallela». Dopo il thriller, ecco l’horror: i lettori di “Die Welt” apprendono da Eckert che l’abominevole governo italiano pratica pure la stregoneria del voodoo. Aggiunge il giornalista tedesco, come monito: in Grecia, Yanis Varoufakis aveva seguito una strategia simile durante il suo breve mandato come ministro delle finanze. «Alla fine, tuttavia, non è riuscito a prevalere contro la Troika». E certo: Ue, Bce e Fmi hanno disintegrato Atene, riducendo la Grecia a paese del terzo mondo, coi bambini uccisi dall’assenza di medicine negli ospedali. Gran bel risultato.«La Commissione e altri paesi preferirebbero non minacciare una uscita dell’Italia», dice Thomas Mayer, secondo cui «Salvini ha carte migliori oggi, rispetto a Varoufakis nel 2015», riferendosi all’importanza dell’economia italiana rispetto a quella ellenica. L’Italia, riconosce infine lo stesso Eckert, è la terza economia più grande nell’Eurozona dopo Germania e Francia, ma «a differenza di altre economie», il Belpaese, pure membro fondatore della Comunità Europea del 1957, «non ha apparentemente beneficiato dell’appartenenza all’unione monetaria». Evviva. «Soprattutto dopo la crisi finanziaria – aggiunge Eckert – la debolezza degli europei del Sud è divenuta sempre più evidente: l’indice della Borsa di Milano oggi è allo stesso livello di dieci anni fa, e il Dax è più che raddoppiato nello stesso periodo. Mentre altre importanti economie europee possono indebitarsi a tassi d’interesse pari a zero o appena marginali – continua Eckert, sempre senza mai chiedersi il perché – i partecipanti al mercato dei capitali italiani richiedono il 2,6% per i titoli di Stato decennali». E la Grecia ridotta alla fame, che il giornalista definisce «agitata», ora «paga solo leggermente di più, il 2,8%».“Die Welt” ricorda che il debito italiano «è uno dei più alti del mondo», pari a oltre il 130% del Pil. «Secondo le normative dell’Ue, è consentito un massimo del 60%». Bravo Eckert: evita di ricordare che il debito nominale della Germania è attorno all’80% (quindi oltre la soglia Ue). Ma soprattutto: non sa, o finge di non sapere, che il debito pubblico tedesco – quello vero – è oltre il triplo della cifra dichiarata. Su queste basi omertose e omissive, reticenti e quindi disastrosamente fuorvianti, il “professor” Eckert – senza curarsi di informare davvero i lettori tedeschi – si permette di aggiungere che, visto il boom elettorale delle europee, in cui «i populisti di destra hanno raddoppiato la loro percentuale di voti», arrivando a superare il 34%, ora «l’uomo politico della Lega potrebbe impostare le eventuali elezioni anticipate come un voto sull’indipendenza del paese da Bruxelles». Anche qui: per quale motivo, tutto questo dovrebbe accadere? Ma niente da fare: alle domande, Eckert preferisce le risposte: «Da sola, la minaccia di una valuta parallela potrebbe destabilizzare l’Eurozona». Ah, questi italiani: pazzi criminali. «Con un debito totale di 2,3 trilioni di euro, Roma ha un enorme potenziale di minaccia». Brrr, che paura…Ai suoi lettori tedeschi, il giornalista Daniel Eckert non racconta la verità. Il suo articolo appena pubblicato su “Die Wielt” non è che l’ultimo esempio di come l’opinione pubblica europea venga regolarmente disinformata, da cronisti che sono a loro volta disinformati oppure in malafede. «Il governo italiano gioca con il fuoco», avverte Eckert: «I politici della Lega di Matteo Salvini continuano a mettere sul tavolo l’idea di una moneta parallela». E spiega: «I minibot, ora resi possibili dal Parlamento, sono un primo passo in questa direzione». Aggiunge: «Portano un nome che suona in qualche modo carino: i minibot. Ma una volta diffusi, i loro effetti potrebbero non essere carini. Perché i minibot sono uno strumento finanziario con il quale il governo populista d’Italia potrebbe scardinare l’Eurozona». Secondo l’economista keynesiano Nino Galloni, è esattamente il contrario: qualsiasi forma di moneta parallela, compresi gli eventuali minibot, serve all’Italia proprio per tentare di restarci, nell’euro. Quella che Eckert evita di porsi è la domanda fondamentale: perché. Ovvero: perché l’Italia propone i minibot? La risposta, implicita, arriva alla fine dell’articolo (tradotto da “Voci dall’Estero”). E cioè: l’Italia non ha guadagnato nulla dall’Eurozona, anzi. Ma di nuovo: perché?