Archivio del Tag ‘Matteo Salvini’
-
Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
-
Italia contesa: Macron e Merkel (Pd-M5S) contro Usa (Lega)
Una crisi di governo che ha anche il sapore di uno scontro internazionale. Il voto sulla nomina del nuovo presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva già chiarito quale fosse la linea di faglia tra Lega e Movimento Cinque Stelle in campo internazionale. Da una parte il partito di Matteo Salvini, profondamente incastonato su posizioni atlantiche e orientato all’asse con l’amministrazione Trump in un’ottica anti-europea e legato allo schieramento sovranista mondiale. Dall’altra parte il Movimento 5 Stelle, che sposa invece la linea della moderazione, incentrata sul sostegno alla von der Leyen e che ha ribadito, proprio con il discorso di Giuseppe Conte in Senato, la concezione dei due pilastri su cui si fonda la linea internazionale pentastellata: Europa e alleanza atlantica. Due visioni non per forza contrapposte, ma che in questo periodo si sono sempre più polarizzate. All’ombra della crisi di governo, si staglia infatti uno scontro di rilevanza internazionale che nella contesa del Senato si è manifestata in tutte le sue forme. Con l’Unione Europea, questa Unione Europea, a esser l’epicentro di una crisi nazionale che ha il sapore di un redde rationem di matrice internazionale. E non a caso è proprio dagli Stati Uniti che è arrivato il placet a Salvini per scatenare una crisi di governo che nasce da questioni interne ma che ha profonde motivazioni strategiche.Come spiegato più volte in queste settimane, Washington è apparsa molto delusa dal governo gialloverde. E il voto finale sulla von der Leyen è stata una sorta di dichiarazione di voto generale sulla direzione che avrebbe intrapreso questo esecutivo nel prossimo futuro. Nel momento in cui l’amministrazione Trump ha chiesto una netta presa di posizione nei confronti dell’asse franco-tedesco, Conte ha scelto un’altra strada: quella promossa proprio da Angela Merkel e Emmanuel Macron. Un cambiamento rispetto ad alcune battaglie pentastellate che è stato confermato dallo scontro frontale a Palazzo Madama, dove il premier ha ribadito quella scelta mentre il leader della Lega, ricordando punti tipici di tutti i programmi sovranisti europei (su cui Trump è pienamente concorde), ha parlato di un’Italia libera dai vincoli dell’Europa sia sul fronte migratorio sia su quello economico e finanziario. Solo alcuni passaggi, che però hanno chiarito come una delle grandi questioni su cui è nata questa crisi agostana è stata proprio Bruxelles, sul cui trono c’è una Ursula von der Leyen che ha già fatto capire in tutti i modi di discostarsi completamente dal fronte sovranista e che di fatto ha sconfessato pienamente la Lega all’interno dell’esecutivo italiano.Il richiamo all’alleanza “Ursula” non è semplicemente una definizione giornalistica sul possibile nuovo governo giallorosso Pd-5 Stelle. C’è qualcosa di più profondo in quella terminologia: è proprio il “sistema Ursula” a essere in gioco, che significa l’Unione Europea a trazione franco-tedesca e gli interessi della Cina. Da una parte c’è la Lega filo-atlantica cui è arrivata la condanna di Macron e Merkel, la benedizione di Trump e la ridondante accusa di legami con il Cremlino fissata nello schema del Russiagate. Il Carroccio guidato da Salvini rappresenta quel blocco che si oppone a una certa logica europeista che si basa al contrario sul rafforzamento dell’alleanza tra Parigi e Berlino quali nuclei dell’Ue, sul fronte comune anti-Trump e anti-Putin, e che strizza l’occhio alla Cina con investimenti che però mirano ad arricchire solo una parte del vecchio continente. In questo fronte si è unito anche il Movimento 5 Stelle, che ha palesato la condivisione di questa strategia con due mosse: il memorandum per la Nuova Via della Seta e il voto a favore della von der Leyen. Due mosse apprezzate e condivise proprio dal Partito Democratico, visto che quando era al governo ha fatto il possibile per includere Roma nel progetto cinese della One Belt One Road, che ha contrastato in tutti i modi l’attuale amministrazione americana e russa e che, infine, ha pienamente sostenuto nell’ambito del Partito Socialista Europeo, il voto alla von der Leyen. Di fatto, in politica estera, l’alleanza Ursula è già un realtà. Pd e Cinque Stelle si trovano già sulla stessa barricata e hanno già isolato la Lega per convergere nel grande gioco europeo.(Lorenzo Vita, “Con Trump o con l’Ue, la vera crisi di governo”, dal “Giornale” del 21 agosto 2019).Una crisi di governo che ha anche il sapore di uno scontro internazionale. Il voto sulla nomina del nuovo presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva già chiarito quale fosse la linea di faglia tra Lega e Movimento Cinque Stelle in campo internazionale. Da una parte il partito di Matteo Salvini, profondamente incastonato su posizioni atlantiche e orientato all’asse con l’amministrazione Trump in un’ottica anti-europea e legato allo schieramento sovranista mondiale. Dall’altra parte il Movimento 5 Stelle, che sposa invece la linea della moderazione, incentrata sul sostegno alla von der Leyen e che ha ribadito, proprio con il discorso di Giuseppe Conte in Senato, la concezione dei due pilastri su cui si fonda la linea internazionale pentastellata: Europa e alleanza atlantica. Due visioni non per forza contrapposte, ma che in questo periodo si sono sempre più polarizzate. All’ombra della crisi di governo, si staglia infatti uno scontro di rilevanza internazionale che nella contesa del Senato si è manifestata in tutte le sue forme. Con l’Unione Europea, questa Unione Europea, a esser l’epicentro di una crisi nazionale che ha il sapore di un redde rationem di matrice internazionale. E non a caso è proprio dagli Stati Uniti che è arrivato il placet a Salvini per scatenare una crisi di governo che nasce da questioni interne ma che ha profonde motivazioni strategiche.
-
Salvini ringrazia il suo maggiore alleato involontario: Renzi
Un governicchio solo in chiave anti-Lega? Così i renziani aiutano il ritorno di Salvini al governo, sostiene Giuseppe Pennisi in un’analisi sul “Sussidiario”. Corsi e ricorsi storici: nel 1996 venne formato L’Ulivo e nel 2006 l’Unione, sempre contro il percepito pericolo che la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi preludesse a una “svolta autoritaria”. Nel giro di cinque anni, ricorda Pennisi, l’Ulivo dovette formare ben quattro differenti governi a causa delle litigiosità interne, e l’Unione si liquefece appena due anni dopo essersi insediata a Palazzo Chigi. E oggi? Il Pd «è un coacervo di partiti con differenti visioni del mondo», Liberi e Uguali e Sinistra e Libertà «sono coesi ma piccoli». In più, il tentativo di ricostruire un assetto politico bipolare, con un centrosinistra più e meno unito, «mal si concilia con +Europa, per anni di casa nel centrodestra, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle, che specificatamente si considera, a ragione, come espressione di una politica in cui il bipolarismo è finito e i temi sono differenti da quelli del passato». In questo quadro «è azzardato pensare a una coalizione di lunga durata, anche se il potere è un collante tale che il M5S sta rinunciando a uno dei cardini del suo Statuto (il limite di due mandati per le cariche elettive)».E qui entra in ballo, prepotentemente, l’economia: si sta avvicinando una recessione e frena anche la Germania, essenziale per l’export del “made in Italy”. Il 15 agosto è stato diramato un rapporto allarmante del Wto: «I nuvoloni sono tanti che il temporale è vicino», scrive Pennisi. E in questa situazione, «i volenterosi collaboratori» di Matteo Renzi stanno facendo sì che «l’edizione rinnovata (e ristretta) dell’Ulivo e dell’Unione si trovino, con i parlamentari M5S che paiono temere le elezioni come la peste bubbonica, a gestire la legge di bilancio per l’anno prossimo». Per quanto possano essere “simpatici” ad alcuni alti dirigenti della Commissione Europea, «dovranno trovare l’equilibrio tra stabilizzazione di finanza pubblica e risposta alla recessione». Operazione possibile solo dolorosamente, cioè «con una profonda ristrutturazione della spesa», il cui disegno però «non è ancora iniziato». Se l’operazione-tagli scattasse, «toccherebbe mostri sacri e clientes tanto del nuovo Ulivo/Unione, quanto del M5S», fino a «causare profonde fratture». Secondo Pennisi, è verosimile che, per evitare di essere commissariato dalla Bce, dal Fmi e dalla Commissione Ue, l’eventuale governo sponsorizzato da Renzi «sia costretto ad aumenti delle imposte indirette (Iva) e dal posporre investimenti».Di fatto non si combatterebbe la recessione, ma si intonerebbe un coretto sul tema “siamo arrivati troppo tardi”: «Proprio ciò che gli italiani non amano ascoltare». Si aggraverebbero le ineguaglianze. Da Bankitalia, Emanuele Ciani e Roberto Torrini confermano: si stanno acuendo le diseguaglianze «all’interno di aree, e non tra aree», e a livello nazionale «il differenziale si ridurrebbe del 15% se la distribuzione delle ore di lavoro per famiglia nel Sud fosse simile a quella del Centro-Nord». Quindi, osserva Pennisi, «misure come il reddito di cittadinanza, tanto care al M5S ma poco apprezzate dal Pd, se non valutate e ritarate potrebbero, nel contesto di una recessione, aggravare la diseguaglianze». La pressione anche europea è tale, comunque, che il “governo Renzi” «riuscirebbe a togliere alcune castagne dal fuoco al futuro governo di Matteo Salvini», che verrebbe «aiutato anche da una linea maggiormente “buonista” nei confronti dei migranti che sono (a torto o ragione) anatema per il suo elettorato». Quindi, conclude Pennisi, «chi crede di lavorare per un Matteo, lavora sostanzialmente per l’altro. O fa il doppio gioco».Un governicchio solo in chiave anti-Lega? Così i renziani aiutano il ritorno di Salvini al governo, sostiene Giuseppe Pennisi in un’analisi sul “Sussidiario”. Corsi e ricorsi storici: nel 1996 venne formato L’Ulivo e nel 2006 l’Unione, sempre contro il percepito pericolo che la coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi preludesse a una “svolta autoritaria”. Nel giro di cinque anni, ricorda Pennisi, l’Ulivo dovette formare ben quattro differenti governi a causa delle litigiosità interne, e l’Unione si liquefece appena due anni dopo essersi insediata a Palazzo Chigi. E oggi? Il Pd «è un coacervo di partiti con differenti visioni del mondo», Liberi e Uguali e Sinistra e Libertà «sono coesi ma piccoli». In più, il tentativo di ricostruire un assetto politico bipolare, con un centrosinistra più e meno unito, «mal si concilia con +Europa, per anni di casa nel centrodestra, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle, che specificatamente si considera, a ragione, come espressione di una politica in cui il bipolarismo è finito e i temi sono differenti da quelli del passato». In questo quadro «è azzardato pensare a una coalizione di lunga durata, anche se il potere è un collante tale che il M5S sta rinunciando a uno dei cardini del suo Statuto (il limite di due mandati per le cariche elettive)».
-
Berlusconi gioca la carta Draghi: è la trappola per Salvini
Tramite Alessandro Sallusti, il vecchio Berlusconi – in apparenza fuori gioco, costretto all’angolo – prova a giocare la carta Mario Draghi. Lo conferma l’editoriale del 20 agosto del direttore del “Giornale”. Titolo: “Una telefonata a Draghi ci allungherebbe la vita”. Sortita che conferma l’allarme lanciato settimane fa dal saggista Gianfranco Carpeoro, in contatto con l’élite massonica progressista europea. Già la scorsa estate, Carpeoro aveva rotto le uova nel paniere ai congiurati italo-francesi, intenzionati a impedire che Marcello Foa, candidato da Salvini, conquistasse la presidenza della Rai. Le rivelazioni di Carpeoro, in web-streaming su YouTube, avevano sortito l’effetto di smontare il piano. La notizia veicolata dall’avvocato milanese: il mentore di Macron, Jacques Attali, aveva telefonato nientemeno che a Giorgio Napolitano per chiedere lumi su come fermare Foa. Napolitano avrebbe consigliato ad Attali di contattare Antonio Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo. «In seguito, Tajani ha sentito direttamente il Cavaliere». Una consuetudine che da allora non si sarebbe interrotta, e che – sempre secondo Carpeoro – oggi coinvolgerebbe in modo stabile anche lo stesso Beppe Grillo e Davide Casaleggio, figlio del massone occulto Gianroberto Casaleggio («fu lo stesso Gianroberto – dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – a spiegarmi perché non voleva che si sapesse della sua affiliazione alla massoneria»).Ora la rete sotterranea di contatti sarebbe in pieno fermento. Il nuovo piano, secondo Carpeoro, fino a ieri era il seguente: “cucinare” Salvini a fuoco lento, per costringerlo alla resa entro fine anno e aprire le porte a un “governo di salvezza nazionale”, presieduto proprio da Draghi, che nel frattempo – curiosa coincidenza – ha rifiutato di sostituire Christine Lagarde alla guida del Fmi. Poltrona prestigiosa, almeno quanto quella della Bce. Perché rifiutarla? Per tenersi libero in vista dell’approdo a Palazzo Chigi? Avverte Magaldi: l’Italia è l’epicentro di uno scontro epocale tra progressisti e reazionari a livello mondiale. E spiega: proprio in Europa si è sperimentato l’attuale modello di governance post-democratica, dove le elezioni non contano più. E l’Italia è l’unica trincea spendibile, per un cambio di rotta, perché i sistemi politici di Francia e Germania sono bloccati. Ma perché Berlusconi insiste tanto su Draghi, l’uomo che nel 2011 lo defenestrò dal governo? Risposta: essere garante della carta-Draghi, emarginando Salvini, per il Cavaliere è l’unico modo per tentare di rientrare nel grande giro. Possibile? Sembra proprio di sì, a leggere l’editoriale di Sallusti, evidentemente “ispirato” dall’editore.«Senza un leader forte non c’è governo che tenga – scrive Sallusti – e un’ammucchiata di mezzi leader non farà mai un leader, così come nessuno dei pochi leader in circolazione è proponibile, per ovvi veti incrociati tra le forze che andranno a comporre questo eventuale nuovo governo-ammucchiata». E allora? Sallusti premette di non voler “dare consigli” a Mattarella, ma poi lo fa: «Io una telefonatina a Mario Draghi la farei. Così, tanto per non lasciare nulla di intentato». Ma come, Sallusti invoca l’uomo-simbolo del peggior rigore? «Si tratta di un pregiudizio, di una falsa vulgata», cinguetta il Sallusti edizione agosto 2019. «Mario Draghi è in realtà un arci italiano, europeista convinto e intelligente che da presidente della Banca Centrale Europea ha tenuto testa agli egoismi e alle spinte franco-tedesche». Bingo: ci siamo. Questo ritratto di Draghi (falsissimo) è esattamente quello che lo stesso Draghi – vero cannibale e devastatore dell’Italia, dai tempi del Britannia – ha voluto che i media gli cucissero addosso. «Non penso a un governo tecnico, ma politico e soprattutto finalmente autorevole e rispettato», chiosa Sallusti, che osa scrivere che il killer Draghi avrebbe «salvato l’Europa dal default». Salvini è avvertito: il piano avanza, anzi galoppa, con la benedizione di Silvio e l’entusiastica collaborazione di Renzi e Grillo, pedine italiane dell’euro-circuito massonico oligarchico.Tramite Alessandro Sallusti, il vecchio Berlusconi – in apparenza fuori gioco, costretto all’angolo – prova a giocare la carta Mario Draghi. Lo conferma l’editoriale del 20 agosto del direttore del “Giornale”. Titolo: “Una telefonata a Draghi ci allungherebbe la vita”. Sortita che conferma l’allarme lanciato settimane fa dal saggista Gianfranco Carpeoro, in contatto con l’élite massonica progressista europea. Già la scorsa estate, Carpeoro aveva rotto le uova nel paniere ai congiurati italo-francesi, intenzionati a impedire che Marcello Foa, candidato da Salvini, conquistasse la presidenza della Rai. Le rivelazioni di Carpeoro, in web-streaming su YouTube, avevano sortito l’effetto di smontare il piano. La notizia veicolata dall’avvocato milanese: il mentore di Macron, Jacques Attali, aveva telefonato nientemeno che a Giorgio Napolitano per chiedere lumi su come fermare Foa. Napolitano avrebbe consigliato ad Attali di contattare Antonio Tajani, allora presidente del Parlamento Europeo. «In seguito, Attali ha sentito direttamente il Cavaliere». Una consuetudine che da allora non si sarebbe interrotta, e che – sempre secondo Carpeoro – oggi coinvolgerebbe in modo stabile anche lo stesso Beppe Grillo e Davide Casaleggio, figlio del massone occulto Gianroberto Casaleggio («fu lo stesso Gianroberto – dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – a spiegarmi perché non voleva che si sapesse della sua affiliazione alla massoneria»).
-
Mattarella esaudirà Renzi-Grillo (Ue) o gli Usa, cioè Salvini?
Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».Bruciato Conte, secondo Del Duca resta impensabile che i 5 Stelle accettino un premier gradito al Pd. E se nell’assegnare l’incarico Mattarella si prenderà qualche giorno «sarà solo per consentire all’attuale premier di partecipare venerdì e sabato al G7 di Biarritz», da dimissionario, ma non ancora del tutto fuori gioco. «In ogni caso, il punto critico che determinerà l’esito della crisi appare il confronto dentro il Pd, con i renziani nettamente in vantaggio sul piano comunicativo, della narrazione di questa nuova convergenza come utile e necessaria per il bene del paese. Il favore della grande stampa a questo schema appare evidente». L’unico schema alternativo al “governo giallorosso” in grado di evitare le urne sarebbe quello di una ricomposizione in extremis di una convergenza fra 5 Stelle e Lega, «che in astratto non si può escludere, ma che non potrebbe vedere Salvini nella compagine di governo e – di conseguenza – neppure Luigi Di Maio». I segnali in questa direzione – dice Del Duca – non mancano, «soprattutto dal lato leghista», mentre i 5 Stelle in Senato hanno espresso rabbia nei confronti dell’ex alleato, che li ha appena scaricati.Alla fine sarà Mattarella a dover operare una scelta, anche se «non farà nulla per imporre una soluzione piuttosto che un’altra», sostiene Del Duca. Anzi, se i renziani si attendono che dal capo dello Stato possa venire l’invito a farsi carico del governo con i 5 Stelle in nome di un interesse superiore, «la delusione è dietro l’angolo: certi interventi che si son visti con Scalfaro e Napolitano ben difficilmente saranno replicati dall’attuale inquilino del Quirinale». C’è da sperarci, visto che proprio Mattarella – per la gioia di Draghi, tramite Ignazio Visco di Bankitalia – nel 2018 fu il primo frenare il governo gialloverde, privandolo della spinta di Paolo Savona, che avrebbe radicalmente reimpostato le linee economiche aprendo una vertenza a testa alta con Bruxelles. Savona avrebbe cercato di sottrarre il paese alla sudditanza dai cosiddetti “mercati”, pilotati dai poteri forti dell’Ue. Se invece sta per compiersi l’ennesimo “scippo” di democrazia, col partito più votato costretto all’opposizione, non ne manca il corollario: oltre al grottesco attivismo di Renzi e all’indegno voltafaccia del suo alleato Beppe Grillo, parlano da sole le esternazioni dei grillini in Senato il 20 agosto: camionate di odio contro Salvini, accuse ridicole (assenteismo) e silenzio di tomba sull’infinita serie di tradimenti dell’elettorato e fallimenti governativi di cui si sono resi responsabili i pentastellati.Nell’inevitabile foga polemica della parlamentarizzazione della crisi, si rischiano di perdere di viste le linee di fondo che l’hanno innescata, ovvero l’attacco concentrico dell’establishment ai danni dell’ingombrante leader della Lega, il politico più amato dagli italiani. Assediato dalla magistratura anche sul caposaldo della sua politica di bandiera – lo stop all’accoglienza illimitata e demenziale dei migranti – Salvini si è visto recapitare una richiesta mostruosa, quasi 50 milioni di euro da “restituire” allo Stato, per rimediare all’antico ammanco (infinitamente inferiore) addebitato alla Lega di Bossi. Da lì la spedizione esplorativa di Gianluca Savoini a Mosca, in cerca – si dice – di aiuti finanziari russi per consentire alla Lega di sopravvivere come partito e quindi svolgere regolare attività politica? Salvini, sostiene Gianfranco Carpeoro, non aveva alternative: sapeva che, se non avesse aperto il divorzio politico (ben motivato, peraltro, dall’imbarazzante latitanza governativa dei grillini) entro fine anno sarebbe finito in trappola, costretto in un modo o nell’altro alle dimissioni. Ora la palla è nel campo di Mattarella: sarà “passata” a Renzi e Grillo, allineati al rigore di Bruxelles come conferma il voto a Ursula von der Leyen, o invece la parola sarà restituita agli elettori, come – sostiene Giulio Sapelli – in fondo chiedono gli Usa, che restano vicini a Salvini, unica carta europea teoricamente disponibile per limitare, domani, lo strapotere dell’oligarchia reazionaria e post-democratica europea?Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».
-
Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
-
L’Italia ha già perso, se ricomincia lo stesso vecchio film
Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.La rottamazione del governo Conte è cominciata prima ancora che si aprisse lo spoglio delle fatali schede delle europee: a votare era andato soltanto un italiano su due. Già allora gli elettori si erano pronunciati a larghissima maggioranza, scendendo in sciopero e bocciando, di fatto, il miles gloriosus padano e il suo omologo partenopeo. Bei tomi: si erano permessi di illudere la cittadinanza, maneggiando una mitologia dal sapore escatologico. La fine dei tempi, l’inizio di una nuova era di giustizia. Orizzonti stellari, mirabolanti: la sfida alla tirannide euro-burocratica, l’esorcismo contro la paura del declino e della povertà celebrato evocando il crollo delle tasse e la cornucopia della mancia di Stato, già brillantemente inaugurata dal proto-populista fiorentino, altro campione di chiacchiere. “Sì, ma noi siamo diversi”, avevano giurato i valorosi paladini, gli alieni della Terza Repubblica fondata sulla palingenesi del potere in chiave messianica: da un lato il rozzo giustiziere nordico della razza bianca, dall’altro la gracidante scolaresca reclutata via web dal partito-azienda di proprietà di un ex comico, salito a bordo del Britannia tra i massimi oligarchi. A disegnargli la rotta, anni dopo, fu un informatico schivo e visionario. Un uomo misterioso e reticente, pieno di segreti, membro di un’élite intenzionata a fare esperimenti (anche politici, elettorali) per testare la risposta della mandria umana.Solo l’abissale disgusto per i predecessori, gli sciagurati ultimi reggenti della macelleria-Italia (Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) aveva spinto gli elettori a votare, per disperazione, gli sfrontati cavalieri dell’impossibile, i fantapolitici delle promesse universali. Speravano, gli italiani, che fosse vero almeno il 10% di quanto garantivano, leghisti e grillini. Ma al primo urto col potere vero, quello euro-finanziario, l’Italietta gialloverde è saltata per aria. Se fossero stati sinceri, Di Maio e Salvini, si sarebbero dimessi allora, di fronte ai ceffoni rimediati a Bruxelles, all’umiliazione subita nel vedersi negare il diritto di risollevare l’economia attraverso il deficit. Sono rimasti entrambi al loro posto, invece, pensando solo al modo di salvare la pelle, l’uno a spese dell’altro, tra agguati e abiure, tradimento dopo tradimento. Oggi si dibattono in una vasca di fango, menando fendenti, per la gioia dei boia dell’Italia, cioè le spietate nomenklature franco-tedesche. Il leghista tenta la fuga in solitaria, slealmente, mentre il grillino – scornato, e altrettanto sleale – prova a imbrigliarlo, ricorrendo ai peggiori trucchi, grazie all’abbraccio mortale del vecchio potere, che non aspettava altro che veder distrutta la teorica anomalia italiana creatasi avventurosamente nel 2018. Poteva essere una falla nell’euro-sistema? Non certo con quei due tizi al timone.Comunque vada, sarà un insuccesso (facile profezia). Ancora una volta, gli elettori non hanno strumenti all’altezza: solo cavalli azzoppati, vecchi brocchi, giovani avventati. Malgrado loro, comunque, i gialloverdi hanno resuscitato una specie di memoria nazionale, l’ombra di qualcosa che in altri tempi di sarebbe chiamato orgoglio, spirito identitario, diversità italiana. Ora stanno cercando di distruggerlo, questo fantasma, perché è troppo ingombrante per la loro statura. Il pubblico può ammirare lo spettacolo, dalla crepa che si è aperta nel muro: vede benissimo, oggi, che nessuno degli attori in campo ha la minima chance per costruire qualcosa di solido, credibile, adatto a tutti. Servirebbero statisti, cioè politici capaci di pensieri lunghi, oltre l’orticello. Non se ne vede l’ombra, anche perché la maggioranza continuna a restare a casa: non partecipa, non rischia, non si impegna. Una buona metà degli elettori non va oltre il tifo, la comodissima caccia all’uomo nero. L’altra metà non riesce più ad avvicinarsi alle urne, ma non fa nulla per darsi una speranza, una prospettiva. Prevale lo sconforto, insieme alla nausea. Ci si domanda se tutto questo ha un senso, e se ce lo meritiamo. La risposta è implicita: alzi la mano chi può dire di aver mosso un dito per evitare di rivedere all’infinito lo stesso film.Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.
-
Sapelli: con Pd-M5S l’Italia sparisce come paese industriale
La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.In altri tempi sarebbe andata così. L’ambasciata americana avrebbe svolto un ruolo di primo piano, anche se non sotto i riflettori, per ovvie ragioni. Un governo costituente? Il sistema è così disgregato che un governo costituente non farebbe che sancire la disgregazione. Farebbe la stessa fine della bicamerale di D’Alema. Si dovrebbe riscrivere una parte della Costituzione, ma chi potrebbe farlo? Ci vorrebbe una riflessione sullo Stato in Italia e non vedo chi potrebbe farla. Prima di fare un governo costituente bisogna creare una nuova classe politica. Lo stesso proposito di ridurre il numero dei parlamentari al di fuori di una visione istituzionale è pazzesca. Del M5S non mi sorprendo perché è il massimo che poteva produrre. La Lega però non doveva prestarsi. In questo è ancora figlia di Tangentopoli. E dato che secondo me la Lega è un animaletto destinato ad andare lontano, strada facendo dovrebbe depurarsi, proprio come fanno le lumache.Che governo sarebbe quello di una maggioranza M5S-Pd? Un governo “clintoniano”, sponsorizzato dai grandi big dell’industria finanziaria mondiale. Porterebbe avanti una politica di sottomissione piena dell’Italia all’austerity europea. Uno scenario che farebbe il gioco della Francia. La crisi tedesca determina un ripiegamento di Berlino, e questo dà alla Francia una grande spinta, anche se la sua produzione industriale è ferma. Parigi però ha un rapporto privilegiato con l’Africa, che sfrutta grazie al franco Cfa avvantaggiandosi negli scambi e nelle materie prime. Senza il contrappeso tedesco, l’attivismo di Parigi rafforzerà la Cina, che ha con la Francia un rapporto privilegiato in Europa da più di un secolo. Il governo M5S-Pd sarebbe in un modo o nell’altro la vittoria di Attali. Se questo governo prende forma, l’Italia tra vent’anni non esisterà più come paese industriale. Se Salvini non l’ha compreso, l’unico fattore che potrebbe deviare questo corso degli eventi sarebbe un intervento del presidente della Repubblica, mandando il paese alle urne.Sappiamo tutti che prima di sciogliere le Camere durante la legislatura il capo dello Stato è tenuto a verificare l’esistenza di un’altra maggioranza in Parlamento. Che probabilmente ci sarebbe. D’altra parte sappiamo bene che Napolitano ha risolto i problemi a modo suo, e sempre impedendo agli italiani di votare. Come se ne esce? È la contraddizione di Mattarella. Se Mattarella varasse un governo M5S-Pd, per la prima volta andrebbe contro i suoi legami di profonda amicizia verso gli Stati Uniti, la stessa che ha ispirato il suo dovere quando è stato ministro della difesa (governi D’Alema II e Amato II). D’altra parte, consentendo la parlamentarizzazione della crisi e il patto M5S-Pd, darebbe vita a un governo contrario agli interessi americani attuali in Italia. E a mio modo di vedere, a quelli dell’Italia stessa. Quale sarebbe il programma reale del governo giallorosso? Subordinazione totale alle politiche europee dell’austerità, accelerazione del processo di deindustrializzazione, svendita degli asset strategici del paese.Una cura greca, cura si fa per dire; esattamente l’antitesi delle riforme di cui l’Italia avrebbe bisogno. Ovvero: creare una banca pubblica per il sostegno alle Pmi, quello che una volta facevano le grandi banche partecipate. L’austerity non è stata affatto moderata dal quantitative easing, che salva le banche ma non il credito. La cosa curiosa del M5S è che fino ad oggi ha governato da una posizione tipicamente disgregatrice, ostile allo sviluppo e antropologicamente negativa, cioè tutti sono ladri, cattivi e colpevoli tranne noi. Adesso, inaspettatamente, il ribellismo è diventato iper-governismo: le polemiche interne sono cessate, Grillo ha cambiato rotta senza un confronto pubblico, senza che nemmeno abbia votato la “rete”. Tutto è avvenuto attraverso gli ordini impartiti da una cuspide. Prova evidente dell’etero-direzione del M5S.Cosa dovrebbe fare Salvini? Spiegare con più chiarezza qual è la vera posizione di questo governo nei rapporti con l’Ue, la Cina, la Russia e gli Usa. Invece di un post su Facebook, la Lega dovrebbe fare un documento con i suoi punti fermi: fedeltà alla Nato, permanenza nell’euro per cambiare i trattati e la politica economica europea mediante alleanze, rapporti con la Russia su posizioni non dissimili da quelle di Colombo o Andreotti, cioè di dialogo, come io credo che Salvini voglia fare. Questo è il momento di fare politica. Anche con la Germania? Alla luce dell’incipiente crisi tedesca, non c’è momento migliore per far capire al Partito popolare europeo che l’austerity è sbagliata.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Il segreto della crisi è tra il Colle e Washington”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 17 agosto 2019).La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.
-
Grandi manovre, ma piccoli partiti. E tanti saluti agli italiani
Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.Quanto alla Meloni di Fratelli d’Italia, la sua consueta rigidità non le consente di vedere che l’alleanza elettorale con Salvini, senza neppure la mediazione del Cavaliere, porterebbe ad uno scontro nel paese dove nulla sarebbe scontato: l’estrema destra contro tutti gli altri difficilmente vince in Occidente, tanto più in un paese come l’Italia che conserva ancora freschi ricordi del proprio drammatico passato. Ciò premesso, è interessante osservare come ciascuna fazione del panorama politico italiano lavori unicamente in vista del proprio tornaconto, infischiandosene dei cittadini e degli interessi reali dell’Italia. Tutti, senza eccezione alcuna. A cominciare dalla Lega, che avrà pure le sue buone ragioni nel denunciare i ripetuti “no” dei Cinquestelle al programma di governo, ma che sceglie il momento peggiore per staccare la spina e non lo fa certo sull’onda di un’emozione ma sulla base di calcoli ben precisi che riguardano il proprio assetto interno (la mancata approvazione della legge sulle autonomie, cara alle regioni del nord) e la contemporanea impossibilità di mantenere le tante promesse all’esterno (investimenti produttivi, sterilizzazione dell’Iva e contemporanea approvazione della Flat Tax), per la manifesta contrarietà di quanti, nel governo e fuori, si sono impegnati a “non strappare” con l’Europa.Salvini aveva la possibilità di portare in Parlamento l’approvazione della Flat Tax e degli investimenti produttivi, lasciando ai Cinquestelle la responsabilità di bocciarli; preferisce invece assumere in proprio la responsabilità della crisi col pretesto della Tav, esponendosi a tutti i contraccolpi del sistema: un atto coraggioso o ingenuo o soltanto imposto dal vecchio nucleo della Lega Nord? Per continuare con Zingaretti che vuole andare alle elezioni subito per lucrare sulla perdita di consensi dei Cinquestelle, ridimensionare definitivamente Renzi, togliendogli il monopolio dei gruppi parlamentari, e riattivare il bipolarismo centrosinistra- centrodestra. Con Renzi che per mantenere il suddetto monopolio è disposto persino ad allearsi con i Cinquestelle per un governo di scopo e/o di garanzia elettorale. Con Grillo e Di Maio che faranno di tutto pur di non vedere dimezzata la propria rappresentanza parlamentare. Con Meloni e Berlusconi di cui si è già detto.(Sergio Magaldi, “Grandi manovre e piccoli partiti”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 10 agosto 2019).Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.
-
Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
-
Mazzucco: povera Italia, se spera nel “salvatore” di turno
È stato geniale. Con un semplice 17% in Parlamento, Salvini è riuscito ad andare al governo facendo un accordo acrobatico e improbabile con i Cinque Stelle. In realtà a lui di quello che c’era scritto nel “contratto di governo” non importava più di tanto. Quello che gli importava veramente era di avere il ministero degli interni, perché grazie a quello Salvini ha potuto impostare “da dentro” una campagna elettorale permanente. Come ministro degli interni, infatti, ha potuto mostrare i muscoli e ha potuto chiudere i porti delle coste italiane. Gli è bastato così respingere qualche centinaio di migranti, per passare agli occhi di tutti come il salvatore della patria. “Se Salvini vuole respingere i migranti – ragiona l’uomo della strada – vuol dire che ha veramente a cuore l’Italia e gli italiani, e quindi io alle prossime elezioni lo voterò sicuramente”. In questo modo il favore di Salvini è schizzato rapidamente verso l’alto, e quello che solo un anno fa era un relativamente magro 17%, si è letteralmente raddoppiato con le elezioni europee. E ora, quello che era il 34% delle europee, arriva in certi sondaggi a sfiorare il 38.Se tutto andrà secondo programma, alla prossima tornata elettorale Salvini porterà a casa un comodo 40%, che aggiunto ai voti della Meloni gli permetterà di governare l’Italia “con pieni poteri”, come lui stesso ha chiesto di fare. Solo allora si aprirà veramente per lui il momento della verità: sarà davvero in grado di fare una manovra espansionistica in debito, dando così almeno temporaneamente respiro all’economia italiana, oppure dovrà anche lui cedere di fronte al ricatto inevitabile dei famosi “mercati internazionali”? E a quel punto, a chi darà la colpa Salvini? Ai cattivi di Bruxelles, o a quelli “che hanno governato prima di lui”, rendendo impossibili le condizioni per risorgere? In realtà, questa è una domanda assolutamente irrilevante, perché nel frattempo sarà sorto qualcun altro che avrà detto che Salvini ha sbagliato tutto, e che “la vera alternativa siamo noi”.Il ciclo della politica è qualcosa di infinito, e di questo ciclo il vero responsabile è il popolo, che non riesce mai ad impadronirsi degli strumenti per valutare seriamente la situazione complessiva. Non comprende quali siano i grandi giochi di potere, e continua a sperare che arrivi un nuovo salvatore che ci tolga ogni volta dalla situazione drammatica in cui ci troviamo. Oggi questo salvatore si chiama Salvini, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo comunque non cambia: il salvatore non è altro che il burattino di turno messo lì davanti agli occhi del popolo per illuderlo nuovamente, e per poter così completare un altro ciclo di preservazione dello status quo. Finchè il popolo italiano non avrà capito questo, per noi di speranze ce ne sono ben poche.(Massimo Mazzucco, “A.A.A. Salvatore cercasi”, dal blog “Luogo Comune” dell’11 agosto 2019).È stato geniale. Con un semplice 17% in Parlamento, Salvini è riuscito ad andare al governo facendo un accordo acrobatico e improbabile con i Cinque Stelle. In realtà a lui di quello che c’era scritto nel “contratto di governo” non importava più di tanto. Quello che gli importava veramente era di avere il ministero degli interni, perché grazie a quello Salvini ha potuto impostare “da dentro” una campagna elettorale permanente. Come ministro degli interni, infatti, ha potuto mostrare i muscoli e ha potuto chiudere i porti delle coste italiane. Gli è bastato così respingere qualche centinaio di migranti, per passare agli occhi di tutti come il salvatore della patria. “Se Salvini vuole respingere i migranti – ragiona l’uomo della strada – vuol dire che ha veramente a cuore l’Italia e gli italiani, e quindi io alle prossime elezioni lo voterò sicuramente”. In questo modo il favore di Salvini è schizzato rapidamente verso l’alto, e quello che solo un anno fa era un relativamente magro 17%, si è letteralmente raddoppiato con le elezioni europee. E ora, quello che era il 34% delle europee, arriva in certi sondaggi a sfiorare il 38.
-
Buone ragioni per fare la crisi, con la benedizione degli Usa
L’analisi delle vicende politiche è analisi della rete e dell’interazione dei rapporti tra forze e interessi internazionali e intranazionali, non di gusti morali dei soggetti decisori. La politica è l’arte del possibile e l’elaborazione delle scelte politiche si basa sulla stima del fattibile alla luce di informazioni incomplete e con molte variabili. Al popolo però si dirà: I have a dream, Yes we can, I care, Change! L’Italia è un paese militarmente occupato dal 1945 ad opera degli Usa con 134 basi; il Pentagono ha vasti mezzi (“slush fund”) per tenere a libro paga i vertici militari dei paesi sottomessi onde assicurarsi la loro “compliance” (i militari di professione combattono per chi li paga). Inoltre l’Italia non controlla la propria moneta legale e riceve gran parte della sua legislazione e delle regole per il bilancio da organismi esterni europei, esponenziali di interessi franco-tedeschi. E’ una sorta di protettorato, di fatto e di diritto. Credere che possa fare una politica interna sovrana è come credere che i bambini siano portati dalla cicogna.Salvini, che ho conosciuto personalmente, non è pazzo né stolto né avventato né privo di consiglieri. Se ora ha deciso di far cadere il governo, presumibilmente ha prima ricevuto assicurazioni precise che le cose andranno in un modo accettabile e non disastroso, ossia non verso un nuovo colpo di Stato e un nuovo governo tecnico di saccheggio guidato da un Reichskommissar. Tali assicurazioni (“Matteo, sta’ sereno!”) possono essere venute solamente da Washington, dalla potenza egemone e militarmente controllante, anche sul Quirinale; esse sono state rese possibili dalla virata atlantista fatta dalla Lega quando Trump lo ha richiesto – virata peraltro senza alternative, stante la soggezione dell’Italia agli Usa e al sistema del dollaro.È abbastanza verosimile che, negli ultimi tempi, Salvini, soprattutto tramite Giorgetti, abbia negoziato un accordo con Washington e con l’asse franco-tedesco nel senso di togliere dal governo il M5S, siccome forza ritenuta socialistoide, antiamericana, pasticciona e velleitaria in economia, inidonea a trovare un modus vivendi col sistema dato di potere, essenzialmente finanziario con orientamento non espansivo. Si tratta, insomma, di liberarsi dai grillini e fare un nuovo governo più compatibile col contesto internazionale, che permetta la tranquillità e la stabilità necessarie ai ceti produttivi che sostengono la Lega e – non dimentichiamo – il reddito nazionale. Vedremo presto se quest’ipotesi sarà confermata o no.Concordo con la valutazione di Diego Fusaro, ossia che dalla combinazione dei programmi di Lega e M5S poteva venire l’innovatività necessaria per un cambiamento contro il sistema dato (un cambiamento non strutturale, però, perché i capi del M5S avevano già da anni silenziato la questione monetaria); ma il sistema dato è una controparte troppo forte per il governo gialloverde e per la stessa Italia, quand’anche fosse unita in quella impresa. Perciò bisogna scendere a compromessi, applicare l’arte del fattibile e la scelta del minore dei mali. Ad ogni modo, la compagine proprietaria del M5S ha, per ora, esaurito la sua missione inespressa, quella di raccogliere e indirizzare la protesta antisistema di sinistra. Infatti è venuta allo scoperto e ha fatto eleggere Ursula von der Leyen.(Marco Della Luna, “Matteodicea, buone ragioni per fare la crisi”, dal blog di Della Luna del 10 agosto 2013).L’analisi delle vicende politiche è analisi della rete e dell’interazione dei rapporti tra forze e interessi internazionali e intranazionali, non di gusti morali dei soggetti decisori. La politica è l’arte del possibile e l’elaborazione delle scelte politiche si basa sulla stima del fattibile alla luce di informazioni incomplete e con molte variabili. Al popolo però si dirà: I have a dream, Yes we can, I care, Change! L’Italia è un paese militarmente occupato dal 1945 ad opera degli Usa con 134 basi; il Pentagono ha vasti mezzi (“slush fund”) per tenere a libro paga i vertici militari dei paesi sottomessi onde assicurarsi la loro “compliance” (i militari di professione combattono per chi li paga). Inoltre l’Italia non controlla la propria moneta legale e riceve gran parte della sua legislazione e delle regole per il bilancio da organismi esterni europei, esponenziali di interessi franco-tedeschi. E’ una sorta di protettorato, di fatto e di diritto. Credere che possa fare una politica interna sovrana è come credere che i bambini siano portati dalla cicogna.