Archivio del Tag ‘massoneria’
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Bergoglio: preti pedofili, vergogna. Dopo le parole, i fatti?
Di fronte all’irrefrenabile scandalo dei comportamenti amorali di tanti preti e suore, Bergoglio in Irlanda dichiara: «La Chiesa ha fallito, provo vergogna». Bene, era ora che, invece di “coprire” i misfatti per salvare la “santità” dell’istituzione – come hanno incredibilmente fatto Papi precedenti, anche “santi subito” – un Papa ammettesse come stanno le cose. Ma ora vediamo se trarrà conseguenze logiche e pratiche da queste dichiarazioni… Infatti, così dicendo, Bergoglio ha in pratica ammesso che Santa Madre Chiesa non è né Santa né tanto meno Madre, visto come si è comportata con i bambini. E quindi rimane solo una “fallibile”, ricca e potente istituzione “mondana” come un’altra. Priva di infallibile “guida divina”. Perché se questa guida divina ci fosse stata, certamente non avrebbe coperto i preti pedofili, non avrebbe compiuto le mille nefandezze della sua storia, e avrebbe formato meglio preti, suore e curie dal punto di vista etico.Ma allora ragioniamo: se “ha fallito” – come dice il Papa – vuole dire che “non è infallibile”, e quindi dovrebbe rinunciare alla sua pretesa di essere una autorità morale superiore, e scendere dal gradino che pretende ormai abusivamente di occupare. E magari darsi da fare per aiutare la gente dal basso (come alcuni dei suoi membri privi di potere già fanno), e non “dall’alto”, visto che questo “Alto” chiaramente non guida la Chiesa, ma solamente le coscienze individuali che si aprono al vero amore per gli altri. E quindi rinunciare finalmente all’imperiale, verticale “principio di autorità”, che non ha un suo fondamento. E rifondare finalmente se stessa su un “principio di fratellanza” orizzontale (troppo spesso la Chiesa ha amato più se stessa del prossimo). Lo farà? Qui si vedrà se le sue parole sono genuine, o solo un tentativo di frenare l’enorme emorragia di fedeli e di regolare qualche conto interno alle gerarchie vaticane. La “protesta delle scarpe” lasciate sul selciato di Dublino da un gruppo di vittime di preti pedofili era accompagnata dallo striscione “no words” (basta parole). Ci auguriamo che gli atti non si riducano a fare fuori qualche pezzo di Curia inviso ai gesuiti…(Fausto Carotenuto, “Bergoglio rinuncerà finalmente al Principio di Autorità?”, dal nesmagazine “Coscienze in Rete” del 26 agosto 2018. Già analista geopolitico dell’intellicence Nato, nel libro “Il mistero della situazione internazionale”, edito da UnoEditori, Carotenuto fornisce una sua personalissima “mappa” del potere mondiale in chiave spiritualistica. Nella sua ricostruzione, il mondo sarebbe dominato sostanzialmente da due “piramidi oscure”, al cui vertice si troverebbero poteri massonici e poteri gesuitici, in concorrenza tra loro ma, nei momenti decisivi, alleati – di fatto – nel disegno di dominio che accomunerebbe entrambi, da secoli. Sempre secondo Carotenuto, le cosiddette “piramidi oscure” – anche se i loro membri non ne sarebbero sempre consapevoli, lavorano in realtà per conto della “fratellanza bianca”: sono semplici “forze dell’ostacolo”, la cui funzione consiste nel costringere la coscienza dell’umanità a risvegliarsi progressivamente. Carotenuto è ottimista: sostiene che almeno il 30% della popolazione mondiale ha ormai imparato a non fidarsi più del potere, oggi essenzialmente economico-finanziario, che dirige la politica. L’analista insiste sul carattere eminentemente spirituale delle “forze dell’ostacolo”: le crisi e le guerre, dice, vengono spesso scatenate per sete di denaro, di risorse e di petrolio, ma in realtà – sottolinea – la vera missione, da parte delle “piramidi oscure”, consiste nel generare la maggiore sofferenza possibile, drammaticamente “necessaria” all’umanità per prendere coscienza del fatto che solo la fratellanza universale potrà spezzare le catene dell’odio).Di fronte all’irrefrenabile scandalo dei comportamenti amorali di tanti preti e suore, Bergoglio in Irlanda dichiara: «La Chiesa ha fallito, provo vergogna». Bene, era ora che, invece di “coprire” i misfatti per salvare la “santità” dell’istituzione – come hanno incredibilmente fatto Papi precedenti, anche “santi subito” – un Papa ammettesse come stanno le cose. Ma ora vediamo se trarrà conseguenze logiche e pratiche da queste dichiarazioni… Infatti, così dicendo, Bergoglio ha in pratica ammesso che Santa Madre Chiesa non è né Santa né tanto meno Madre, visto come si è comportata con i bambini. E quindi rimane solo una “fallibile”, ricca e potente istituzione “mondana” come un’altra. Priva di infallibile “guida divina”. Perché se questa guida divina ci fosse stata, certamente non avrebbe coperto i preti pedofili, non avrebbe compiuto le mille nefandezze della sua storia, e avrebbe formato meglio preti, suore e curie dal punto di vista etico.
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Ricordati che devi morire, dice all’Italia il massone Cottarelli
C’era una volta l’Italia. Era un paese pieno di problemi, come tutti gli altri paesi europei. Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due qualità fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.Neoliberismo, morte dello Stato sovrano. Cartellino rosso: ora basta, dovete soffrire. Chi lo dice? Loro, l’élite finanziaria, la Banca Mondiale, il Fondo Moneriario. Un nome? Carlo Cottarelli. E perché mai dovremmo soffrire? Perché sì, è la risposta. Ed è vero: lo conferma il “Corriere della Sera”. Queste sono cose che succedono, oggi, e che irritano moltissimo alcuni italiani. Come Gioele Magaldi, per esempio. Magaldi è un italiano trasparente. E’ anche un massone, è stato il “maestro venerabile” della prestigiosa loggia Monte Sion del Goi, il Grande Oriente d’Italia. Ricorda, a ogni pie’ sospinto, che questo paese è stato “fabbricato” da massoni, nell’Ottocento. Si chiamavano Garibaldi, per dire. E poi altri massoni, nel Novecento, alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno rimesso insieme i cocci di quel che restava del paese dopo il fascismo. Meuccio Ruini, repubblicano, presidente della commissione per la futura Costituzione. E Pietro Calamandrei, comunista, presidente della Costituente. Massoni, che all’epoca significava: fine dei privilegi di casta, suffragio universale, laicità e sovranità elettorale per ogni cittadino, uomini e donne, ricchi e poveri.S’infuria, Magaldi, tutte le volte che qualcuno disconosce il ruolo storico della massoneria nella genesi della Repubblica italiana. Si irrita, quando Di Maio e Salvini firmano il loro “contratto di governo” dove sta scritto che nessun massone potrà mai far parte del governo gialloverde. Minaccia, Magaldi, di fare i nomi degli interessati: è pieno, il governo gialloverde, di massoni importanti. Si spazientisce, Gioele Magadi, se qualcuno – magari della Lega – gli chiede di intercedere, presso la massoneria sovranazionale, per proteggere il governo Conte, così ferocemente avversato dalla supermassoneria reazionaria. Va bene, dice: vedremo. Ma perché, intanto, non dichiaratar apertamente l’appartenenza massonica di ministri e sottosegretari? Parla, Magaldi, di cose che purtroppo sa. Per esempio: Luigi Di Maio, l’attuale capo dei 5 Stelle, prima delle elezioni bussò – inutilmente – alla porte degli stessi circuiti “neo-aristocratici” che avevano messo alla porta Matteo Renzi, un leader teoricamente progressista. Oggi, dice Magaldi, Di Maio è maturato parecchio. Tante cose sono cambiate, in Italia, in pochissimi mesi.Come fa, Magaldi, a esprimersi in questi termini? Semplice: fa parte, lui stesso, del circuito massonico sovranazionale. E’ stato “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, pietra miliare della massoneria internazionale progressista. Cos’è una superloggia? Una Ur-Lodge, ha spiegato nel suo libro “Massoni” (edito da “Chiarelettere”, venduto in decine di migliaia di copie ma passato sotto silenzio dalla stampa mainstream) è un circolo esclusivo di persone importanti, che concorrono a decidere i destini del mondo senza che i media ne parlino mai. Ne ha parlato lui, infatti: ha messo a disposizione un archivio di 6.000 pagine, ma nessuno si è sognato di chiedergliene conto, e meno che meno di contestarlo o smentirlo. Silenzio assoluto. Ci sono tutti, in quel libro: Licio Gelli e Pinochet, Allende e i Kennedy, Martin Luther King, Kissinger e Bush, Gorbaciov, Draghi e Napolitano. E il mitico Cottarelli?Fa parte del penultimo capitolo della nostra infelicissima storia recente, dice Magaldi a David Gramiccioli, conduttore del seguitissimo programma “Massoneria On Air” su “Colors Radio”. Che dice, l’ex commissario alla spending review del paramassone Enrico Letta? Semplice: che dobbiamo soffrire. Che le promesse del governo gialloverde sono irrealizzabili. Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni, reddito di cittadinanza? Pura follia, dichiara il Cottarelli al “Corriere della Sera”, che lo presenta – si stupisce Magaldi – come un paladino della crescita. Lui, Cottarelli? Tanto per cominciare, sottolinea Magaldi, Cottarelli è un massone. Un massone occulto, non dichiarato. Poi è un massone che appartiene ai circuiti sovranazionali, quelli delle Ur-Lodges. E soprattutto: milita nella destra politico-economica, la Chiesa neoliberista che prescrive al popolo di tirare la cinghia. E’ lo stesso Cottarelli che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oppose all’ipotesi di governo gialloverde, nel bocciare Paolo Savona al ministero dell’economia. Ma attenzione, ricorda Magaldi: poco prima, era stato lo stesso Di Maio a sventolare il nome di Cottarelli come campione di virtù politica, in campo economico.Oggi, sul “Corriere della Sera”, Cottarelli ripete stancamente la sua luttuosa canzone: non ce la possiamo fare. Sembra non conoscere la storia dell’Italia democratica: è come se parlasse del Burundi, non di un paese del G8. Ricorda il frate medievale che, nel film “Non ci resta che piangere”, ripete a Massimo Troisi il suo illuminante monito: “Ricordati che devi morire”. No, Cottarelli, gli risponde Magaldi: certo, avete cercato di farla morire, l’Italia, ma non ci siete riusciti. Ce l’avete messa tutta: voi, la Merkel, Draghi, Monti, Napolitano, Juncker e tutta la banda. Massoni, dal primo all’ultimo. Massoni opachi, non dichiarati, e in più “neo-aristocratici”, allergici alla democrazia. Ma, per vostra sfortuna, l’Italia non è il Burundi (e detto tra noi, non è ancora morta). Era, e resta, una delle prime dieci economie del pianeta. Come lo è diventata? Non certo tagliando la spesa pubblica, non certo amputando il deficit. Non sa, Carlo Cottarelli, come fu che l’Italia divenne la quinta economia del mondo? Col debito pubblico, ovviamente. Non lo sa, il Cottarelli? No, non è possibile, come è impossibile che non lo sappia il “Corriere della Sera”, che presenta il Cottarelli come una specie di guru venuto da altri mondi, da qualche cartoon della Disney.Se ne rammarica, Gioele Magaldi. Se ne sorprende. Ma avverte: verrà il giorno, molto presto, in cui nessuno potrà più permettersi di dire all’Italia “ricordati che devi morire”. Nonostante le molte manchevolezze, aggiunge, è bene sostenere – oggi – il provvisorio governo gialloverde: almeno pensa alla vita degli italiani, non alla loro morte. A quella ci hanno pensato in tanti, da Berlusconi a Prodi, passando per D’Alema e Amato, Padoa Schioppa, Dini, Ciampi e compagnia piangente. Un coro greco: povera Italia. Ma era solo teatro. Ci siamo cascati? Eccome. La cosa sconcertante, rileva Magaldi, è che ci siano ancora in giro i Cottarelli, riveriti – a reti unificate – come arcangeli dell’apocalisse, anziché spazzati via come mosconi fastidiosi e deprimenti. Questo, infatti, dice l’economista del Fondo Moneriario: dobbiamo soffrire, dobbiamo morire. Non possiamo proprio immaginarcelo, un futuro migliore. Siamo dunque il Ruanda? No, siamo l’Italia. Qualcuno, prima o poi, lo spiegherà a Cottarelli (e al “Corriere della Sera”, se mai ancora esisterà).…..Italia, Europa, felicità, mondo, Rinascimento, Risorgimento, ingegno, lavoro, storia, dopoguerra, macerie, Usa, Piano Marshall, Eni, Enrico Mattei, Prima Repubblica, boom, economia, miracolo economico, sacro, debito pubblico, deficit, deficit positivo, John Maynard Keynes, genio, Gran Bretagna, America, Seconda Guerra Mondiale, democrazia, Europa, Urss, crescita, figli, genitori, crisi, benessere, neoliberismo, morte, Stato, sovranità, sofferenze, élite, oligarchia, finanza, Banca Mondiale, Fmi, Carlo Cottarelli, Corriere della Sera, Gioele Magaldi, massoneria, Monte Sion, Goi, Grande Oriente d’Italia, Ottocento, Giuseppe Garibaldi, Novecento, Seconda Guerra Mondiale, fascismo, Meuccio Ruini, repubblicani, Costituzione, Pietro Calamandrei, comunisti, Costituente, privilegi, casta, suffragio universale, laicità, sovranità, elezioni, cittadini, donne, ricchi, poveri, Luigi Di Maio, M5S, Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini, governo gialloverde, Lega, Giuseppe Conte, supermassoneria, reazionari, Luigi Di Maio, elezioni bussò, aristocrazia, neo-feudalesimo, Matteo Renzi, leader, progressisti, superlogge, Thomas Paine, Ur-Lodges, Massoni, bestseller, Chiarelettere, silenzio, stampa, media, mainstream, disinformazione, destino, mondo, globalizzazione, Licio Gelli, Cile, P2, Loggia P2, Augusto Pinochet, golpe, Salvador Allende, Jfk, John Fitzgerald Kennedy, Bob Kennedy, Robert Kennedy, Martin Luther King, Henry Kissinger, George W. 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Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due doti fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.
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“Progressisti” alle europee: Laura Boldrini, una garanzia
«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).Per un progressista italiano – un sincero democratico – avere di fronte Laura Boldrini alle prossime elezioni europee sarebbe magnifico: un perfetto replay del funesto referendum costato la vita, politicamente, a Matteo Renzi, altro campione (scorrettissimo) del “politicamente corretto”. Che ghiotta occasione, per milioni di elettori: se molti di loro non saranno ancora pienamente convinti dall’ibrida alleanza gialloverde, a chiarir loro le idee provvederebbe all’istante Laura Boldrini, icona perfetta di tutto quello che in Italia ha smesso di funzionare – ma nel modo più subdolo, cioè evitando di farlo sapere agli italiani. L’erosione dei diritti del lavoro, la flessibilità del precariato, i tagli sanguinosi al welfare e alle pensioni, i ticket della sanità privatizzata. E in generale, tutto il paese regalato – a fette, a trance, a tonnellate – a imprenditori affamati di profitto, a capitali franco-tedeschi, a consorterie paramassoniche di origine atlantica che poi magari evitano di spendere soldi nella manutenzione dei beni ottenuti in omaggio, fino al punto da lasciar crollare – con morti e feriti – anche i viadotti autostradali. Chi c’era, a Palazzo Chigi, mentre tutto questo accadeva? Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato. Un’ombra di autocritica, dal centrosinistra? Non pervenuta. In compenso, riecco Laura Boldrini.Resuscita, la Boldrini – e con lei Martina e i gregari del Pd e dintorni, comparse di cui si stenta a ricordare i nomi – solo grazie al furore mediatico che si abbatte su Salvini, il quale insiste nel bloccare gli sbarchi dei migranti per mettere in difficoltà gli strozzini europei dell’Italia, per niente sicuro che il suo governo gialloverde riesca, in autunno, a disobbedire all’eterno diktat di Bruxelles riuscendo a finanziare almeno in parte la riduzione delle tasse, la riforma della legge Fornero, l’istituzione dello sbandierato reddito di cittadinanza. Tutte cose che suonano estremamente democratiche, persino “di sinistra” per usare l’obsoleto lessico boldriniano, visto che si tratterebbe che lasciare più soldi in tasca agli italiani. Ma appunto, non se ne parla: deve morire (sotto l’accusa di xenofobia) il primo governo che lavora per gli italiani, non a caso temuto e detestato dai poteri che tifano per Laura Boldrini e contro il popolo italiano. Che dire, ad esempio, del campione dei diritti umani Emmanuel Macron, devoto amico di Papa Bergoglio? E che dire del venerabile Günther Oettinger, secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare? A proposito: è stato proprio Oettinger a proporre a Strasburgo il disegno di legge che avrebbe imbavagliato il web, pochi mesi dopo la martellante campagna finanziata dalla stessa Boldrini contro le “fake news” della Rete. Che ticket formidabile, Boldrini-Oettinger: un invito a nozze, per gli elettori progressisti impegnati a scegliere, nella primavera 2019, tra “due visioni del mondo”.Così come oggi Laura Boldrini non esisterebbe neppure più, senza Matteo Salvini, è una vera fortuna che l’ex presidente della Camera sia ancora in campo, in vista delle prossime europee: la sua candidatura avrà il potere, prodigioso, di motivare gli incerti. Tutto diventerà lampante: gli elettori avranno un’occasione d’oro per bocciare sonoramente, una volta per tutte, partiti e politicanti sedicenti progressisti, che hanno letteralmente assassinato ogni residua istanza progressista in Italia, ogni barlume di residuale democrazia. Sono gli infidi maggiordomi del rigore, i sacerdoti dell’austerity, i cavalieri del Fiscal Compact. Sono i farisaici notai del pareggio di bilancio inflitto all’Italia come una micidiale piaga biblica, da cui il paese non si è ancora ripreso – né potrà farlo, come noto, senza una robusta, radicale, rivoluzionaria sterzata. Una mareggiata, a livello europeo, con centinaia di milioni di elettori disposti a inviare a Bruxelles l’ultimo avvertimento: o si straccia il Trattato di Maastricht, che affida ai banchieri della Bce il governo del continente, o l’Europa salta per aria. Servirà un plebiscito, come quello che mandò a casa Renzi. E quindi servirà – più che mai – Laura Boldrini, a ricordare agli italiani come votare, per mandare finalmente a casa tutti gli Oettinger, i ladri, i bari e i professori del “politically correct” che ancora fanno la morale all’Italia, dopo averla razziata e affondata per conto dei soliti, potenti padroni stranieri.«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).
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Che sollievo, scoprire la dinamite nel viadotto di Genova
Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il comodissimo Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».Tanti gli interrogativi sulla catastrofe di Genova, da parte del pubblico della diretta “Carpeoro Racconta” del 1° settembre: molti insistono – ancora – sulla evidente presenza di “bagliori” poco prima del drammatico schianto, preceduto da un rombo chiaramente udibile. Clamorose le dichiarazioni dell’ingegnere padovano Enzo Siviero, già docente universitario a Venezia: a “Reteveneta” ha detto che le modalità del crollo lasciano aperta, almeno al 50%, la possibilità (teorica) di un attentato. Ipotesi che la magistratura di Genova liquida con le parole del procuratore Francesco Cozzi: «Puro delirio». Già, ma la storia delle immagini scomparse causa “guasto” delle webcam di Autostrade per l’Italia? Carpeoro taglia corto: «Non sono un tecnico e non mi intendo di ponti – premette – ma sono certo che gli inquirenti siano in possesso di tutte le immagini inerenti il crollo, peraltro riproposte continuamente anche in televisione». Bagliori? «Appunto: la presenza di un bagliore non significa automaticamente “esplosione”». Il botto? Idem: «Ogni crollo è preceduto da un cedimento, da un collasso strutturale evidentemente anche rumoroso. In ogni caso: di che siamo parlando? La magistratura è al lavoro, sta indagando. Scoprirà quello che è successo. Tenendo conto del fatto, ormai accertato, che non sono state rinvenute tracce di esplosivo: e le esplosioni ne lasciano sempre».Massone, esoterista, studioso di simbologia e autore di “Summa Symbolica”, opera in più volumi sul significato dei simboli che ci circondano e che il più delle volte subiamo passivamente, non sapendoli “leggere”, Carpeoro – esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi – invita spesso il suo pubblico a stare in guardia, rispetto al “pensiero magico” di cui è imbevuta la società, e del quale il potere si serve sempre per depistarci, ogni volta, dal vero obiettivo. «Seriamente: riguardo a Genova, l’unico vero beneficiario teorico dell’ipotesi complottista chi sarebbe? Lei, la società autostradale oggi sotto accusa: sarebbe comodissimo, per Autostrade, potersi assolvere grazie all’ombra di un attentato. Ma evidentemente non c’è il minimo presupposto per poter sfruttare questa possibilità». Si parla di ponti, dopotutto: «E’ ormai appurato che le attuali infrastrutture hanno una durata media di cinquant’anni: dopodiché occorre mettervi mano, pena il rischio che vengano meno gli standard di sicurezza. Ed è quello che, in tutta Italia, non sta più succedendo: per questo crollano ponti, viadotti, scuole e persino le chiese antiche, che avrebbero a loro volta bisogno di frequenti interventi di restauro e consolidamento».Il vero complotto, dice Carpeoro, è consistito nell’aver “regalato” la nostra rete autostradale, all’epoca delle privatizzazioni “allegre” varate dal centrosinistra, con il patrimonio nazionale elargito a imprenditori “amici”, non vincolati a rigorosi obblighi. Il dramma di Genova? «Dovuto, evidentemente, a incuria criminosa». Da parte dei Benetton? Attenzione, avverte sempre Carpeoro: nel gruppo Atlantia, che controlla Autostrade, sono presenti grandi poteri internazionali, anche massonici: dalla superloggia neoliberista “Three Eyes”, «cui fa riferimento l’ambiente paramassonico frequentato dai Benetton, notoriamente finanziatori dei Clinton», all’altra famigerata superloggia ultra-reazionaria, la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, a cui – secondo Magaldi – è collegato Larry Fink, il patron dell’immenso fondo d’investimento BlackRock, azionista di Atlantia. Non sarà facile togliere a questa gente la gallina dalle uova d’oro rappresentata dalle autostrade italiane: «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America e la concessione non verrà affatto revocata, o magari si farà un’altra gara, aperta allo stesso gruppo».Questa è la sostanza, ribadisce Carpeoro, e le leggende sulla demolizione controllata del viadotto genovese – con fantomatiche cariche esplosive – servono proprio a non vedere la tragica realtà dei fatti: è sempre l’Uomo Nero a far sparire la verità, mettendo al riparo – ancora una volta – il sistema, che è marcio. In questo caso, l’esasperazione complottistica rischia di lasciae in ombra uno scandalo storico e colossale, come quello delle privatizzazioni-omaggio fatte sulla pelle degli italiani. Siamo infatti prigionieri di un paese che (grazie all’euro e al rigore imposto da Bruxelles) sta letteralmente crollando, non potendo più ricorrere alla spesa pubblica. Non bastassero i censori della Commissione Europea è pronta la minaccia dello spread alle prime avvisaglie di aumento del debito, teoricamente pubblico ma ormai di fatto privatizzato anche quello, essendo denominato in euro anziché in moneta sovrana. Magari la colpa fosse dell’Uomo Nero, in questo caso travestito da bombarolo: sarebbe un sollievo, scoprire che la colpa è di un unico delinquente. «In realtà, a questo ci ha portato l’evoluzione spirituale degli ultimi anni», ripete Carpeoro: «Ci serve sempre un nemico immaginario, che in fondo è rassicurante. Fa molta più paura scoprire che l’unico vero nemico è proprio il sistema».Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il provvidenziale Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».
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Magaldi: cade il governo? Tanto meglio per Lega e 5 Stelle
Cade il governo Conte, in autunno? Non reggerà alla prova del fuoco rappresentata dal bilancio 2019 da sottoporre a Bruxelles? Tanto meglio: Lega e 5 Stelle farebbero il pieno di voti, nel caso di elezioni anticipate. Facile profezia: l’eventuale nuovo esecutivo avrebbe un programma meno timido e sarebbe pronto a rompere in modo ancora più netto con l’attuale governance europea, fondata sulla grande menzogna del rigore ammazza-Stati spacciato per amara medicina. Gioele Magaldi non ha dubbi: se l’esecutivo gialloverde dovesse davvero cadere, l’establishment politico-mediatico violentemente ostile a leghisti e pentastellati avrà ben poco di cui rallegrarsi, perché gli elettori premieranno Salvini e Di Maio con un autentico plebiscito, come ben si è visto dagli applausi dei genovesi scrosciati all’arrivo dei due vicepremier ai funerali delle vittime del viadotto Morandi. Tutto si tiene, nei drammi estivi che hanno scosso l’Italia: la responsabilità politica del disastro di Genova ricade sulla stessa élite che ha privatizzato la penisola, regalandola agli “amici degli amici”, salvo poi imporre a un paese impoverito di accogliere senza fiatare i migranti (quasi un milione, negli ultimi tre anni) che l’Europa vorrebbe che restassero interamente a carico nostro.«Ecco perché applaudo Salvini: per una volta, il ministro dell’interno ha “tenuto il punto”, rinunciando a piegarsi ai diktat dell’oligarchia europea», dice Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”. Troppo comodo – e ipocrita – il moralismo di chi accusa il leader della Lega di mancanza di umanità, specie se l’attacco proviene dal potere neoliberista che ha razziato l’Africa e imposto, ai lavoratori italiani, il “dumping” salariale dei neo-schiavi, costretti a fare concorrenza sleale alla nostra forza lavoro, accettando condizioni disumane di sfruttamento. Dov’era, il centrosinistra che oggi si scaglia con inaudita violenza contro Salvini, quando si trattava di gestire l’economia in modo equo, evitando di far sprofondare il paese nella crisi più nera? Bersani “impiccava” lo Stato al nodo scorsoio del pareggio di bilancio, insieme al cappio della legge Fornero sulle pensioni, prima ancora che Renzi facesse piazza pulita – con il Jobs Act – degli ultimi diritti sindacali. Ed ecco oggi la “guerra tra poveri”, che oppone lavoratori italiani e stranieri, vittime – tutti – della stessa catastrofe macroeconomica: lo Stato in bolletta, impossibilitato a investire denaro per produrre lavoro grazie a una gestione privatistica dell’euro, senza neppure il paracadute degli eurobond a garantire il necessario debito pubblico.Nel lucido ragionamento di Magaldi, la tragedia di Genova e la rissa mediatica sui naufraghi a bordo della nave Diciotti («con le accuse surreali rivolte a Salvini dalla magistratura») sono due facce, drammatiche, della stessa medaglia: da una parte la vecchia élite che ha prodotto solo macerie (infrastrutturali e sociali) e dall’altra il primo governo “sovranista”, da 25 anni a questa parte, che cerca di rimediare allo sfacelo. «Per fortuna – insiste Magaldi – Salvini ha inaugurato la linea necessaria, quella della fermezza: che non ha certo per bersaglio i migranti, ma l’ipocrisia con cui Bruxelles vorrebbe continuare a non-gestire un fenomeno vergognoso come l’esodo da paesi africani letteralmente depredati dell’élite europea». Azione necessaria, quella del governo Conte, ma non sufficiente: «Sarà meglio che, anche sui provvedimenti econonici, Salvini e Di Maio comincino a passare dalle parole ai fatti, cercando di attuare quello che hanno promesso agli italiani. Nel caso non ce la dovessero fare, però – aggiunge Magaldi – non sarebbe affatto un male». Già, perché dopo eventuali elezioni anticipate, aggiunge, la coalizione “gialloverde”, ormai strategicamente coesa, farebbe l’en plein e ripartirebbe con maggiore slancio, per abbattere il Muro di Bruxelles fondato sulla “teologia” dell’austerity.Keynesiano e progressista, Magaldi non ha dubbi: tutta l’Europa è in crisi, perché negli ultimi decenni il continente è caduto, letteralmente, nelle mani di una ristretta cerchia di oligarchi. Hanno contrabbandato per virtù l’ideologia del rigore di bilancio, con trattati-capestro che hanno amputato gli Stati del potere sovrano di investire nell’economia. Risultato: classe media in via di estinzione, popoli impoveriti, democrazie svuotate ed élite divenute improvvisamente miliardarie, padrone di tutto ciò che prima era pubblico – acqua, energia, trasporti, telefonia e Poste, persino le autostrade. Nel bestseller “Massoni”, Magaldi ha fornito nomi e cognomi della cabina di regia – supermassonica – che ha pilotato questa globalizzazione selvaggia e senza diritti, a beneficio esclusivo delle multinazionali finanziarie. Il complottismo degli ultimi anni punta il dito contro le malefatte della Trilaterale? «Ma quella è solo una emanazione, peraltro piuttosto trasparente, della Ur-Lodge “Three Eyes”», a lungo ispirata da personaggi come Kissinger, Rockefeller e Brzezisnki.I blogger più esasperati, come Daniel Estulin, se la prendono con il Bilderberg e i suoi invitati, da Lilli Gruber al segretario di Stato vaticano Pietro Parolin? «Aprite gli occhi: le notizie che lo stesso Bilderberg lascia filtrare servono solo a produrre il gossip necessario a distogliere l’attenzione dai veri manovratori, i “fratelli controiniziati” delle Ur-Lodges reazionarie: personaggi che, certo, non finiscono sui giornali». Che fare, dunque? Esattamente quello che sta facendo il governo Conte, ribadisce Magaldi, fautore di un risveglio democratico europeo, di cui l’Italia “gialloverde” sembra destinata a fare da apripista. Una “profezia” che il presidente del Movimento Roosevelt (“metapartito” nato proprio per rianimare lo scenario politico italiano in senso progressista) aveva formulato in tempi non sospetti: vedrete, aveva annunciato, che alla fine sarà proprio questa scassatissima Italia a invertire il corso della storia, mettendo in campo forze politiche in grado di smascherare la grande impostura neoliberista che ha impoverito l’Europa spolpando Stati e popoli.Quelle a cui stiamo assistendo oggi, in fondo, sono le prove generali di una rivoluzione culturale: verrà il giorno in cui la parola “spread” perderà ogni significato, perché la finanza pubblica sarà tornata a garantire pienamente tutto il deficit necessario a rimettere in piedi il paese, cominciando dalla ricostruzione delle troppe infrastrutture fatiscenti, lasciate agonizzare da governi costretti a elemosinare “a strozzo” gli euro della Bce. «A proposito: spero che i familiari delle vittime di Genova non si rivalgano solo sugli eventuali responsabili della società autostradale, ma chiedano di essere risarciti anche dai governi precedenti, che hanno creato le premesse del disastro». In ogni caso, Magaldi è ottimista: «Che il governo Conte regga o meno alla prova d’autunno, è irrilevante: indietro non si torna. La destrutturazione politica della Seconda Repubblica è ormai nei fatti». Gli italiani sembrano aver capito che centrodestra e centrosinistra fingevano soltanto di essere alternativi. Nella realtà non hanno fatto altro che obbedire ai diktat dei grandi privatizzatori neoliberisti: quelli che oggi sparano su Salvini, temendo che l’Italia si stia davvero risvegliando.Cade il governo Conte, in autunno? Non reggerà alla prova del fuoco rappresentata dal bilancio 2019 da sottoporre a Bruxelles? Tanto meglio: Lega e 5 Stelle farebbero il pieno di voti, nel caso di elezioni anticipate. Facile profezia: l’eventuale nuovo esecutivo avrebbe un programma meno timido e sarebbe pronto a rompere in modo ancora più netto con l’attuale governance europea, fondata sulla grande menzogna del rigore ammazza-Stati spacciato per amara medicina. Gioele Magaldi non ha dubbi: se l’esecutivo gialloverde dovesse davvero cadere, l’establishment politico-mediatico violentemente ostile a leghisti e pentastellati avrà ben poco di cui rallegrarsi, perché gli elettori premieranno Salvini e Di Maio con un autentico plebiscito, come ben si è visto dagli applausi dei genovesi scrosciati all’arrivo dei due vicepremier ai funerali delle vittime del viadotto Morandi. Tutto si tiene, nei drammi estivi che hanno scosso l’Italia: la responsabilità politica del disastro di Genova ricade sulla stessa élite che ha privatizzato la penisola, regalandola agli “amici degli amici”, salvo poi imporre a un paese impoverito di accogliere senza fiatare i migranti (quasi un milione, negli ultimi tre anni) che l’Europa vorrebbe che restassero interamente a carico nostro.
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Mafia, Wall Street e traditori: così è stata svenduta l’Italia
Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza aglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di Tangentopoli gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L’allora ministro degli interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l’uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal ministro degli interni. L’attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante. Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: «Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi». Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il “nuovo corso” degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993. Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della “strategia della tensione”, e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un’altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un’autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone.I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse “colpire le opere d’arte nazionali”, ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle «menti più fini dei mafiosi» (da “reti-invisibili.net”). Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull’economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria. Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia («la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo Stato e piegarlo ai propri voleri»), Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: «Non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti a un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste» (“La Repubblica” , 27 maggio 1992).I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: «Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm» (“La Repubblica”, 28 maggio 1992). Anche il pubblico ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: «Su un piatto della bilancia c’è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti» (“La Repubblica”, 10 giugno 1992). Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo (“La Repubblica”, 23 giugno 1992).Che gli assassini di Capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano. Il ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: «Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana» (“La Repubblica”, 23 giugno 1992). Lo stesso presidente del Consiglio, Amato, durante una visita a Monaco, disse: «Falcone è stato ucciso a Palermo, ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove». Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell’onestà e dell’assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale “La Repubblica”, il 25 giugno 1992: «Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato».L’omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: «Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove» (“La Repubblica”, 27 maggio 1992). Infatti, quell’anno gli italiani capirono che c’era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all’élite che coordina le mafie internazionali. Quell’anno l’élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c’era in atto un’operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: «Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo Stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso: delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona» (“La Repubblica”, 11 agosto 1992). Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: «Bisogna stare attenti, molto attenti… Ho parlato del vecchio “piano di rinascita democratica” di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione… Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale».«Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est… Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche» (“L’Unità”, 12 agosto 1992). Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: «Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leader dei partiti di governo».Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani. La stampa martellava su Mani Pulite, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli enti statali in società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli “hedge funds” per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il Sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul “Financial Times”, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: «Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico» (da “Solidarietà”, febbraio 1996).Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo aveva permesso a Soros di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.Spiegano il presidente e il segretario generale del Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà, durante l’esposto contro Soros: «È stata annotata nel 1991 l’esistenza di un contatto molto stretto e particolare del signor Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria Goldman Sachs & co. come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il signor Soros conta sulla strettissima collaborazione del signor Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della Albertini e co. Sim di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di Soros».«L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht Britannia della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di Stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa “Eir” (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione» (dall’esposto della magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995).I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la «necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo», pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico-finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: «I mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria» (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, Rivista N. 4, gennaio-aprile 1996).Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché «se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco». Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana. Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato (“Solidarietà”, ottobre 1993). Il 6 novembre 1993, l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare «le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute».Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una Spa. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva «risanare il bilancio pubblico», ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche, e al ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del gruppo bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers, si fecero avanti per attuare un’Opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il titolo, che durante l’Opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla Jp Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. La Telecom, come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema. Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre privatizzazioni – Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia – si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del presidente del Consiglio.Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione lavori pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: «Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom» (“La Repubblica”, 5 settembre 1999). Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (bond) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale Spa (società della famiglia Tanzi), Citigroup Inc. (società finanziaria americana), Buconero Llc (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche Spa (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton Spa (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat Spa). La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise bond per circa 1.125 milioni di euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli italiani venne dato il contentino di Mani Pulite, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.(Antonella Randazzo, “Come è stata svenduta l’Italia”, da “Disinformazione.it del 12 marzo 2007. La Randazzo ha scritto libri come “Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa”, edito da Kaos nel 2006, “La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell’era dell’egemonia Usa” edito nel 2007 da Zambon e “Dittature. La storia occulta”, pubblicata da “Il Nuovo Mondo”, nel 2007).Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza anglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.
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Proclamato: nessun mistero, è l’Ottava a governare la vita
La Legge dell’Ottava? Io non ho inventato niente. Ho solo messo insieme quello che già c’era, per capire come e quanto fosse presente, ovunque, sul pianeta. Cos’è questa informazione? Di per sé è una legge, e l’amministrazione di questa legge è diventato il modo in cui tutti gli ambiti iniziatici si sono “allenati” ad essere “speciali”. Mi riferisco a tutti gli ambiti iniziatici: la Legge dell’Ottava non è solo un’interpretazione dei Rosacroce in Occidente; riguarda, nei millenni, tutto il mondo iniziatico, a tutte le latitudini. Perché questa grandissima diffusione di questa legge? Perché riguarda il modo in cui la natura si esprime, e a sua volta la natura va intesa come il modo in cui il divino si manifesta. Un ultimo passaggio: per questa legge, la natura è il divino. Con molta semplicità, bisogna immaginare che questa legge si basi su una struttura numerica che si ripete sempre e comunque, in tutti gli ambiti fisici e (cosa che sfugge alla maggior parte delle persone) soprattutto negli ambiti psichici. Esempio classico, la luce del sole: a noi appare come bianca, ma sappiamo tutti che – una volta “aperta” – ha dentro 7 colori; quindi, la summa di quei 7 colori (più uno: la luce bianca) è la sintesi di questa legge. Per cui, la legge è costituita da 7 momenti, più uno: ed ecco l’Ottava.Idem in ambito musicale: le 7 note, quando decidono di aumentare di frequenza, passano alle 7 note successive assorbendo immediatamente il “do” seguente (do, re, mi, fa, sol, la, si, più uno: do). E’ una legge che ha a che fare con la modalità aggregante dei cristalli, che sono 7. Ha a che fare con il modo in cui i gas si comportano, ha a che fare con la chimica. E’ una legge che la scienza conosce: la conosce, ma finora non ha avuto “voglia” di metterla insieme e definirla unica, presente a tutti i livelli. La cosa più importante? L’interpretazione di questa stessa legge diventa, dentro di noi, una modalità con cui “divenire”. O meglio: se è una legge che si interpreta a livello musicale, possiamo intendere noi stessi come degli “strumenti” che possono essere “suonati”, facendo dei salti. Da millenni, per “suonarsi” in modo diverso, tutti gli ambiti spirituali utilizzano le virtù. Chi è nell’ambito yogico definisce tutto ciò “chakra”. Potrei andare avanti all’infinito, ma tutto ha sempre a che fare con il 7, che viene inserito ovunque, nei contesti di tutte le religioni (comprese quelle bibliche) e in quelli delle “anatomie sottili” dell’Oriente. E’ sempre un uso interpretativo di questa legge che, a livello psichico, permette alle persone di cambiare le proprie “frequenze”, a loro volta intese come virtù, a loro volta intese come nostra capacità di apparire, in questa realtà, con determinate caratteristiche.Questo tipo di legge, interpretata nelle sue specifiche applicazioni, ha dato inizio alla possibilità di costruire edifici secondo questa legge, ma anche dipingere, scrivere e computare, sempre secondo questa legge. E tutti questi passaggi, fino a un certo periodo nella storia dell’umanità, sono stati compiuti da personaggi eccelsi, in ogni civiltà: personaggi che interpretavano l’Ottava. Quello che è successo sul pianeta, negli ultimi cinquemila anni, è esattamente questo. Possiamo aggiungere una chicca, che sono i cerchi nel grano: il loro è un linguaggio chiaramente simbolico (l’Ottava si esprime attraverso il simbolo); e quando i cerchi sono autentici, si esprimono attraverso quella simbologia. Com’è fatta, la simbologia dell’Ottava? Una cosa classica sono le “otto direzioni” (per dirne una, la ruota a 8 raggi del mondo buddista). Poi la legge acquista una complessità numerica, ma sappiate che questo nucleo (il 7+1) è il nocciolo duro di tutto il sapere iniziatico mondiale. Le interpretazioni sono all’ennesima potenza: Feng-Shui, Qi-Gong, Thai-Chi, il Palladio, Raffaello, Michelangelo… tutta gente che interpreta questa legge.Teoricamente, in Europa, l’interpretazione dell’Ottava e la sua amministrazione in ambiti precisi (come quello dei Rosacroce) si è interrotta in modo palese alla morte di Salvador Dalì. Da allora – e non è la prima volta – il mondo iniziatico sembra essere scomparso. Tutto quello che possiamo definire adesso “Rosacroce”, o massoneria, è fuffa. Ci saranno anche brave persone, ma sono assolutamento convinto che si possa escludere, da queste presenze associative, la capacità di intendere e di applicare questa legge come l’hanno avuta certi personaggi, perlomeno fino a Dalì in Europa. Questa cosa è andata avanti per cinquemila anni, e si è deciso di terminarla alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Subito dopo, la presa economica di certi sistemi è stata tale, per cui anche personaggi che dovevano amministrare interi Stati non ne sono rimasti indifferenti (prima, ad affiancare normalmente molti leader erano persone di quel tipo).Poi, certo, è esistito anche un certo Rol, per dire, ma si era ormai sfilacciata quella maglia di personaggi che avevano compreso la storia dell’umanità – con modalità spesso sotterranee – dettando i tempi per smettere di costruire le cattredali e iniziare a occuparsi di opere d’arte, smettere di occuparsi d’arte e iniziare a occuparsi di proto-scienza, per poi magare calarsi in forme architettoniche avveniristiche, eccetera. E lì dietro c’è questa spinta: è una forma decisionale dettata dai mondi iniziatici – chiamateli come volete: sono Sufi, sono Rosacroce qui da noi, sono Fedeli in Amore quando c’è Dante, sono Giordaniti quando c’è Giordano Bruno, si chiamano Radix Davidis (matrice ebraica) prima di arrivare in Europa. E’ un cambio di nomi, di intestazioni, ma anche un cambio di utilizzo di quella legge. La faccio breve: utilizzarla vuol dire cercare di assomigliare il più possibile a Dio, visto che Lui non si dà i limiti che ci diamo noi – perché noi i limiti non li abbiamo, ce li diamo. Ci sono dei limiti oggettivi dettati dalla nostra finitezza, certo, ma non abbiamo limiti a livello mentale, e soprattutto a livello emozionale: quelli ce li diamo noi. A questo livello, allora, si capisce quello che possiamo fare in questa tridimensionalità, perché l’Ottava è la suprema conoscenza delle dimensioni, che a loro volta sono la componente di tutto quello che è natura. E la natura, con le sue leggi, non è solo qui.Come la nostra scienza sa, la natura è presente in altre dimensioni: e lì si manifesta con caratteristiche che non sono le nostre. Si manifesta col tempo e senza lo spazio, con lo spazio e senza il tempo, senza il tempo né lo spazio. Non mi sto inventando nulla: è fisica. Già l’immensamente piccolo queste cose le mostra con una certa precisione. E questo ci dovrebbe far pensare che il lavoro fatto da quelle persone è eccezionale. Non c’è moltissimo interesse, da parte dell’ufficialità, a divulgare tutto ciò – o meglio: manca l’interesse a divulgarlo ufficialmente, mentre c’è grandissimo interesse nell’affrontarlo personalmente, per poi trarne ispirazione per fare poi quello che definiamo ufficialità scientifica. E’ sempre stato così. E questa è la sfumatura giusta, credo, con cui definire il modo attraverso cui, oggi, questa cosa non sembra avere diffusione. Ma il condizionale è d’obbligo: almeno negli ultimi anni, per quanto riguarda il mondo della simbologia, c’è stato un risveglio non da poco. Sta succedendo anche in Italia, dove i freni in questo senso sono maggiori, per via della Chiesa.All’estero è diverso: se i nostri simbologi potessero intervenire fuori dall’Italia, farebbero sfracelli, perché come al solito siamo i primi. Io mi sono confrontato – non lo dico per boria – e vi dico che è così. All’estero non ho ancora incontrato nessuno che ne sappia più di noi: mi farebbe piacere ascoltarlo. Noi in Italia potremmo tranquillamente vivere d’arte? Ma certo. Quando si comincia a capire che l’arte è una forma di agopuntura fatta per il cuore e per la mente, il modo in cui tu puoi presentare l’arte è un’altra cosa. Non è un semplice “è stato costruito da…”. Bisogna aggiungere: “E fa quest’effetto”. E quello è l’incipit di un percorso personale, che puoi fare anche a casa tua, e che comunque ti accompagnerà per tutta la vita. Su tutto il nostro territorio, noi abbiamo – spalmata – questa eredità, che non utilizziamo. Ovunque si abiti, in Italia, questa cosa è visibile, si coglie. A parte i luoghi che ormai sono stati conclamati come perfetti per fare un atto di turismo, come Roma e Venezia, abbiamo fin troppo, in questo senso. Soprattutto, perdiamo tempo. Non capiamo come vada interpretato, tutto ciò.(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate a Michele Stedile nella diretta in web-streaming su Skype “Domande e risposte” del 14 marzo 2018, pubblicata su YouTube. Studioso ed esperto di simbologia, Proclamato ha pubblicato studi spesso illuminanti, come i libri su Arcimboldo e Newton, Cartesio e Giordano Bruno, l’architettura “sottile” partendo da Vitruvio e la mistica medievale Ildegarda di Bingen).La Legge dell’Ottava? Io non ho inventato niente. Ho solo messo insieme quello che già c’era, per capire come e quanto fosse presente, ovunque, sul pianeta. Cos’è questa informazione? Di per sé è una legge, e l’amministrazione di questa legge è diventato il modo in cui tutti gli ambiti iniziatici si sono “allenati” ad essere “speciali”. Mi riferisco a tutti gli ambiti iniziatici: la Legge dell’Ottava non è solo un’interpretazione dei Rosacroce in Occidente; riguarda, nei millenni, tutto il mondo iniziatico, a tutte le latitudini. Perché questa grandissima diffusione di questa legge? Perché riguarda il modo in cui la natura si esprime, e a sua volta la natura va intesa come il modo in cui il divino si manifesta. Un ultimo passaggio: per questa legge, la natura è il divino. Con molta semplicità, bisogna immaginare che questa legge si basi su una struttura numerica che si ripete sempre e comunque, in tutti gli ambiti fisici e (cosa che sfugge alla maggior parte delle persone) soprattutto negli ambiti psichici. Esempio classico, la luce del sole: a noi appare come bianca, ma sappiamo tutti che – una volta “aperta” – ha dentro 7 colori; quindi, la summa di quei 7 colori (più uno: la luce bianca) è la sintesi di questa legge. Per cui, la legge è costituita da 7 momenti, più uno: ed ecco l’Ottava.
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Pezzi di merda: fenomenologia dell’odio nell’Italia di Salvini
Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.Negli ultimi tre anni, si apprende, l’Italia ha accolto la quasi totalità dei 700.000 migranti sbarcati sulle sue coste. Il resto d’Europa non li vuole. Deve tenerseli, per forza, l’Uomo Nero. Al quale però non si concede – in cambio – di abbassare le imposte, alzare le pensioni, distribuire un reddito di cittadinanza. “Pezzi di merda”, li qualifica senza giri di parole il filosofo televisivo Massimo Cacciari – ma attenzione: l’insulto non è affatto rivolto ai mostri dell’Unione Europea, i fanatici del rigore, gli affamatori della Grecia, i devastatori dell’Italia, i predoni delle autostrade che poi crollano. Su quelli, tuttalpiù, sono piovute fumose analisi, formulate in italiano forbito. L’espressione brutalmente gergale è invece indirizzata agli insensibili criminali che osano trattenere un centinaio di africani, giovani adulti, a bordo di un natante della Guardia Costiera ormeggiato in un porto siciliano. Tra i “pezzi di merda” più autorevoli, se non altro per il ruolo istituzionale che riveste, è il vicepremier Di Maio, il primo a esprimere – sotto forma di minaccia aperta, alla buon’ora – la possibilità di sospendere i finanziamenti miliardari che l’Italia è tenuta, dai trattati, a versare alla burocrazia Ue.Mentre i filosofi incendiano le strade, già lastricate di furore e di violenza, di odio squadristico e mediatico contro l’insolente governo che gli italiani – quei farabutti – hanno osato votare e ora sostanzialmente approvano, maledetti loro, uno dei due consoli che reggono l’esecutivo Conte arriva dunque ad avvertire i cosiddetti partner europei: attenzione, la corda potrebbe spezzarsi. Si comincia ventilando l’indicibile – la renitenza contributiva – e così ci si infila su un sentiero che potrebbe portare addirittura là dove fino a ieri sarebbe stato impensabile: lo spettro dell’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, finalmente presentata per quello che è – una cricca di tecnocrati imbroglioni, al soldo della peggiore oligarchia speculativa. Questo è un paese in cui il presidente della Repubblica, parlando con l’allora premier incaricato, lo ha cortesemente (ma irritualmente) invitato a passare a salutare il governatore della Banca d’Italia, l’esimio Ignazio Visco, super-banchiere convinto – al pari del tedesco Günther Oettinger, o del connazionale Carlo Cottarelli – che saranno “i mercati”, in futuro, a “insegnare” agli italiani come votare, pena la scure dello spread, nel caso ripetessero l’errore imperdonabile di premiare gli sciamannati 5 Stelle o, peggio, l’Uomo Nero, cioè l’illuso che voleva il professor Paolo Savona al ministero dell’economia e un principe del giornalismo indipendente come Marcello Foa alla presidenza della Rai.Scherziamo? Siamo impazziti? L’ultima presidente della Rai, Monica Maggioni, è ora presidente della sezione italiana della Commissione Trilaterale, mentre la collega Gruber – quella che ospita frequentemente il noto filosofo, talora affetto da coprolalia – è saldamente ospite dei gagliardi passacarte messi assieme dal conte Étienne Davignon e dall’imperatore David Rockefeller, riuniti per la prima volta nel lontano 1954 all’hotel de Bilderberg a Oosterbeek, in Olanda. Lo stesso Visco, che governa Bankitalia (di proprietà di banche private) è il pupillo di Mario Draghi, che nel 1992 salì a bordo del panfilo Britannia e oggi governa la Bce (di proprietà di banche private). Draghi risulta essere un membro autorevolissimo dello stesso club che annovera tra i suoi eletti il presidente emerito Napolitano e il francese Jacques Attali, l’uomo-ombra di Macron: prontissimo, tramite l’obbediente Tajani, ad attivare il network sotterraneo dimostratosi capace di indurre Berlusconi a venir meno alla parola data a Salvini, sulla nomina di Foa. Tutto è partito dall’Eliseo, cioè dal vertice politico del paese che, oggi anno, depreda 14 Stati africani portandogli via l’equivalente di 500 miliardi di euro, costringendo i loro giovani a imbarcarsi verso le nostre coste.Qualcuno spieghi, ai migranti soccorsi dalla Diciotti, che non possono fidarsi dell’uomo bianco che si finge loro amico. “Timeo Danaos et dona ferentes”: i greci mi fanno paura anche quando portano doni, dice Laocoonte, nell’Eneide, di fronte al Cavallo di Troia appena giunto davanti alle mura della città assediata. Se solo i giornalisti avessero fatto il loro dovere, accusa il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, in questi anni avremmo avuto meno guerre, meno stragi, meno vittime, perché quasi tutte le guerre, così come l’opaco terrorismo stragista, sono state organizzate a tavolino, dalla stessa élite bugiarda, agitando false prove per demonizzare leader che riteneva scomodi. L’hanno potuto fare, sempre, grazie alla connivente reticenza dei giornali, delle televisioni. Lo stesso si può dire dell’intellighenzia nazionale “embedded”, quella che oggi – tra appelli rabbiosi (e schizzi di sterco) – si permette il lusso di criminalizzare l’Uomo Nero, ignorando deliberatamente i crimini mostruosi dell’oligarchia-fantasma che ha declassato il paese, condannandolo al declino dopo averlo svenduto, pezzo su pezzo, fino a farlo crollare come il ponte di Genova. Un’Italia alla frusta, amputata della sua sovranità e taglieggiata dai finti ragionieri di Bruxelles. Eppure, nel paese a cui la Francia impedisce di eleggere il presidente della televisione di Stato, ci si scaglia selvaggiamente contro il ministro che “sequestra” i migranti su una nave.Il crollo delle dittature è spesso preceduto da violenze inconsulte. In Romania, Nicolae Ceaucescu ordinò alla Securitate di sparare nel mucchio, al primo accenno di ribellione popolare. E il satrapo Siad Barre, a lungo padrone della Somalia grazie anche al provvido sostegno post-coloniale italiano, non esitò a ordinare alla polizia di mitragliare il pubblico dello stadio che aveva osato contestarlo. Si dirà che siamo in Italia, dove vige la legge semiseria della “bolla di componenda”, sintetizzata dal genio letterario di Camilleri: ogni conflitto si trasforma in una tempesta in un bicchier d’acqua, se alla fine tutti si portano a casa la loro fetta di torta. Si dirà che il cosiddetto governo gialloverde, quello dell’Uomo Nero, sta esasperando la crisi dei migranti solo per aprire un fronte alternativo da cui attaccare Bruxelles, cioè il super-potere che gli vieterà di mantenere le promesse fatte agli elettori il 4 marzo, pena il ricatto dell’incursione finanziaria sul costo del debito pubblico di un paese reso vulnerabilissimo, come gli altri dell’Eurozona, dall’assenza di una moneta sovrana con la quale difendersi dal racket della Borsa. Sia come sia, lo spettacolo cui si è costretti ad assistere rivela qualcosa di estremamente inedito: mentre giornali e intellettuali lanciano palle di letame, gli elettori osservano con attenzione le mosse del loro governo, il primo esecutivo – nella storia ingloriosa dell’Ue – completamente sgradito da Bruxelles.Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera italiana diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.
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Frater Kronos: voi popolo siete bestie, tocca a noi guidarvi
Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.Tutto ciò deve avvenire secondo regole ben precise. Pena il caos e l’anarchia distruttiva a danno di coloro che meritano davvero l’appellativo di donne e uomini, che hanno un’anima e uno spirito, che non riducono il proprio orizzonte esistenziale al solo aspetto materiale. È giusto considerarmi un aristocratico, ma appunto “neo”. Nel senso che, al di là del mio retaggio familiare, considero positiva la distruzione dell’Ancien Régime da parte dei liberi muratori del Sette-Ottocento. E reputo apprezzabile e necessaria anche la distruzione del potere temporale diretto delle Chiese, di quella cattolica in primo luogo. Sarebbe stato assurdo, in un mondo progredito sul piano scientifico e tecnologico come quello occidentale, perpetuare un controllo teocratico invasivo sulla società e la convivenza civile. Lo sbaglio, semmai, è consistito nella pretesa di edificare delle società troppo democratiche, anarcoidi e massificanti, puntando in modo eccessivo sui diritti e poco sui doveri dell’uomo e del cittadino. Sarebbe stato più giusto sostituire le aristocrazie del lignaggio con demoaristocrazie dello spirito, calibrate sul grado di elevatezza iniziatica degli aspiranti governanti. L’errore storico gravissimo dei massoni progressisti è stato quello di pensare che fosse giusto e opportuno estendere la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza a tutti gli esseri umani, anche a quelli indegni sul piano morale, intellettuale e spirituale.(Estratto di un intervento del misterioso “Frater Kronos”, presente con altre tre eminenze grigie della supermassoneria internazionale nell’appendice conclusiva dell’esplosivo volume “Massoni, società a responsabilità illimitata – La scoperta delle Ur-Lodges”, firmato da Gioele Magaldi e pubblicato nel 2014 da Chiarelettere, con prefazione di Laura Maragnani, redattrice di “Panorama”. Nel sito “Isola di Avalon”, Seyan Nagur ipotizza che “Frater Kronos” sia il miliardario super-speculatore George Soros, promotore di Open Society e finanziatore delle “rivoluzioni colorate” che hanno scosso l’Europa, inclusa la crisi ucraina. Grande sostenitore di Barack Obama, Soros è attualmente presidente del Soros Fund Management, dopo aver rivestito un ruolo di vertice nel Council on Foreign Relations, cuore del vero potere statunitense. Il suo appoggio al movimento sindacale polacco Solidarnosc, nonché il supporto all’organizzazione cecoslovacca per la tutela dei diritti umani “Charta 77”, ricorda il sito, contribuirono al crollo dell’Unione Sovietica. Gli si attribuisce un ruolo decisivo anche nella “Rivoluzione delle Rose”, costata poi alla Georgia la perdita dell’Ossezia del Sud, abitata da russi.Fortemente avversato dall’Ungheria, suo paese d’origine, oggi Soros è considerato tra i massimi finanziatori della “tratta dei migranti”, che nel Mediterraneo utilizza l’opaca rete delle Ong. Nel brano del libro di Magaldi (ove compare l’autore stesso, con lo pseudonimo di “Frater Jahoel”) emerge la visione apertamente sinarchica di “Frater Kronos”: secondo la dottrina ottocentesca del marchese Alexandre St-Yves d’Alveydre, medico francese e massone – la “sinarchia d’impero” – le élite sarebbero chiamate addirittura sul piano morale a governare le masse, ritenendo il popolo incapace di autogovernarsi. Da qui la diffidenza verso il sistema democratico promosso già nel Settecento dalla massoneria progressista attraverso l’Illuminismo. Diffidenza emersa in storici saggi come “La crisi della democrazia” che le superlogge reazionarie – guidate dalla “Three Eyes” di Kissinger, Brzezinski e Rockefeller – nel 1975 affidarono, per tramite della Commissione Trilaterale, a intellettuali come Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki.Una pietra miliare, che spiega l’involuzione oligarchica del potere finanziaerio globalista, neoliberista e privatizzatore, con il quale oggi l’umanità è costretta a fare i conti. Per contro, anche attraverso le rivelazioni contenute nel libro di Magaldi – cui seguirà nel 2019 un secondo volume, “Globalizzazione e massoneria” – si fa sempre più diffusa la percezione della vera natura del tornante storico che stiamo vivendo, con i suoi club esclusivi e i suoi inaccessibili protagonisti. Dunque, il “Frater Kronos” che parla in modo così apertamente franco e sconcertante, nel libro di Magaldi, è davvero George Soros, bestia nera di tutti i movimenti sovranisti che, per reazione, stanno sorgendo in Europa? Proprio Soros, scrive “Isola di Avalon”, è il tipico rappresentante di quella sedicente “sinistra” mondiale «che ha come unico scopo la destrutturazione degli Stati sociali e democratici per imporre il suo Totaler Staat Mondiale, quello degli autoreferenziali àristoi. Tra questi “neomalthusiani” ricordiamo Tony Blair, Bill Clinton, François Mitterrand, Jacques Attali, Gerhard Schröder, Christine Lagarde, François Hollande, non dimenticando il Pd italiano»).Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.
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Il ponte dei soldi, il ponte degli avvoltoi, il ponte del dolore
Il ponte Morandi è crollato a Genova producendo tanti morti, feriti, sfollati, problemi e dolore per la gente comune. La società privata che lo gestisce ha continuato a rappezzarlo negli anni – come ha fatto per tutte le autostrade italiane – con un occhio attento a fare quanto indispensabile per mantenere la concessione, ma soprattutto a garantire enormi profitti. Ed è chiaro che per generare questi enormi profitti, mantenere ed aumentare le concessioni governative e le quotazioni in Borsa, in Italia occorre avere a disposizione un apparato di “protezione”: lobbies massoniche, pezzi di partiti, di Chiesa, circuiti bancari e assicurativi, dirigenti “amici” al ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all’Anas, nella magistratura. Un notissimo massone piduista molto introdotto in Vaticano – vero e proprio successore di Gelli – ha per anni manovrato per garantire a questa gente delle autostrade il massimo delle coperture. E quindi il massimo di profitti. Si sa: amicizie, simpatie, protezioni…. generano profitti enormi. Ma questi profitti generano prima o poi tanti morti, feriti, sfollati, problemi di tutti i tipi e dolore per la gente comune. E anche – loro non se ne rendono conto – buchi neri nelle anime di tutta questa filiera di avvoltoi.La Prima Repubblica aveva già al suo interno forti germi di malaffare. Ma nel tessuto del quadro politico di allora c’erano ancora forti freni morali. La Seconda Repubblica, sorta sostanzialmente grazie all’assassinio di Moro, al vero e proprio golpe di Tangentopoli ed all’avvento al potere di ondate di individui proni al capitale finanziario nazionale ed internazionale, ha prodotto una degenerazione pressoché totale. L’industria e i servizi pubblici sono stati saccheggiati da stormi di avvoltoi: trasporti, acqua, energia, chimica, comunicazioni, stabilimenti di tutti i tipi, sono stati distribuiti a voraci pescecani. Il cui scopo non era dare servizi alla gente, ma solo incrementare i profitti. E l’operazione è stata fatta dopo aver tolto dal tessuto politico – con omicidi e colpi di mano – elementi di moralità o quanto meno di sovranità che ancora contavano per la generazione di Moro, Pertini, Craxi e altri leader della Prima Repubblica. Le istituzioni e i partiti, ridotti a deboli strutture rette da ominicchi servi dei poteri finanziari ed anticoscienza nazionali ed internazionali, hanno facilitato tutto questo.Ora questa “Terza Repubblica”, annunciata dalla nuova maggioranza M5S-Lega, afferma di voler fare pulizia, di voler togliere di mezzo questo sistema di malaffare. Noi speriamo veramente che, almeno in parte, riesca veramente a farlo. E che non si fermi solo a voler cambiare con uomini propri le corrotte dirigenze attuali, lasciando sostanzialmente intatto un sistema di potere oscuro e finanziario internazionale che, in fondo, vuole solo rinnovare una classe politica e dirigenziale. Una classe che il potere vero – quello anticoscienza dietro le quinte – considera ormai talmente corrotta, esaurita ed inefficiente da non essere più utile come strumento di manipolazione dell’opinione pubblica. Nel frattempo tragedie umane colme di dolore: tanti morti, feriti, sfollati, problemi di tutti i tipi e dolore per la gente comune. Speriamo che almeno tutto questo generi ancora, per reazione, risvegli di coscienza.(Fausto Carotenuto, “Il ponte dei soldi, il ponte degli avvoltoi, il ponte del dolore”, da “Coscienze in Rete” del 16 agosto 2018).Il ponte Morandi è crollato a Genova producendo tanti morti, feriti, sfollati, problemi e dolore per la gente comune. La società privata che lo gestisce ha continuato a rappezzarlo negli anni – come ha fatto per tutte le autostrade italiane – con un occhio attento a fare quanto indispensabile per mantenere la concessione, ma soprattutto a garantire enormi profitti. Ed è chiaro che per generare questi enormi profitti, mantenere ed aumentare le concessioni governative e le quotazioni in Borsa, in Italia occorre avere a disposizione un apparato di “protezione”: lobbies massoniche, pezzi di partiti, di Chiesa, circuiti bancari e assicurativi, dirigenti “amici” al ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all’Anas, nella magistratura. Un notissimo massone piduista molto introdotto in Vaticano – vero e proprio successore di Gelli – ha per anni manovrato per garantire a questa gente delle autostrade il massimo delle coperture. E quindi il massimo di profitti. Si sa: amicizie, simpatie, protezioni…. generano profitti enormi. Ma questi profitti generano prima o poi tanti morti, feriti, sfollati, problemi di tutti i tipi e dolore per la gente comune. E anche – loro non se ne rendono conto – buchi neri nelle anime di tutta questa filiera di avvoltoi.
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Fascismo? Ci vuole orecchio, per smontare chi odia Salvini
«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?Dal Quirinale a Confindustria, dalla magistratura a Bankitalia, da Macron a Juncker: ha solo nemici, quello che Montanari definisce il “ministro della paura”. Nemici così potenti da riuscire a impedire – in modo rocambolesco, grazie al solito Berlusconi alleatosi col Pd – l’elezione di un giornalista di razza come Marcello Foa alla presidenza della Rai, bloccata (secondo il massone Gianfranco Carpeoro) da una triangolazione telefonica tra il francese Jacques Attali (mentore di Macron), Giorgio Napolitano (membro della stessa superloggia, la “Three Eyes”, secondo Gioele Magaldi) e Antonio Tajani, massone anche lui. Dov’è il monopolio della forza di cui parla Montanari? Abbagli colossali, sia pure da un eminente intellettuale innamorato del patrimonio artistico italiano? «Ho indicato proprio in Saviano – scrive sempre Montanari su “Micromega” – uno dei non molti intellettuali liberi, e disposti a schierarsi». Salviano chi? L’autore di “Gomorra”, condannato a vita a recitare la parte della vittima sotto scorta, per la gioia del suo marketing editoriale? Allude, Montanari, allo stesso Saviano che in Italia spara a man salva sul leader della Lega ma, appena si volge verso il Medio Oriente, si schiera con Israele senza mai una parola sulle brutalità che lo Stato ebraico guidato da Netanyahu infligge ai “negri” della situazione, cioè ipalestinesi?Affacciandosi sul Paese delle Meraviglie, Tomaso Montanari è comunque capace di stupirsi: evidentemente, per lui, il “ministro della paura” non è l’unico imputato. «Come si fa a chiedere agli italiani sommersi e sfruttati – scrive – di stringersi intorno ai valori della Costituzione proprio mentre Sergio Mattarella, massimo garante della Carta e del suo primo articolo, si genuflette di fronte a un Sergio Marchionne?». Già. Ma dov’era, Montanari, quando Mattarella faceva il ministro nel governo D’Alema, l’esecutivo che “regalava” la rete autostradale italiana ai Benetton? Se ne riparla oggi, dopo l’immane tragedia del crollo a Genova del viadotto Morandi, con il governo Conte deciso a imporre ad Autostrade per l’Italia la revoca della concessione. Non vede come stanno realmente le cose, il professor Montanari? «Come possiamo pensare che gli italiani in difficoltà ascoltino i nostri appelli antifascisti se essi sono sostenuti dallo stesso establishment che esalta Marchionne, il quale non ha voluto restituire all’Italia, e a ciò che resta del suo stato sociale, nemmeno i soldi delle tasse sul proprio gigantesco patrimonio?». Le domande di Montanari, che appare sinceramente disorientato, sembrano rivolte all’interlocutore sbagliato. Cosa si aspetta, Montanari, da un potere-ombra così ipocrita e marcio da usare all’occorrenza le bandiere della sinstra per varare, in Italia, il neoliberismo più selvaggio?Equivoci, probabilmente figli della “santa alleanza” contro il falso bersaglio – Berlusconi – che ha permesso ai veri dominus di agire indisturbati per vent’anni, graniticamente supportati (senza chiasso, né olgettine) dal centrosinistra dei Prodi e dei D’Alema, degli Amato e dei Padoa Schioppa. L’impegno civile di Tomaso Montanari è cristallino: nel marzo 2017 è diventato presidente del cartello “Libertà e Giustizia”, succedendo a Nadia Urbinati. Nel giugno 2017, con Anna Falcone, è stato fra i promotori di “Alleanza Popolare per la Democrazia e l’Uguaglianza”, giornalisticamente ribattezzata come “percorso del Brancaccio”, dal nome dell’omonimo teatro romano dove si riunirono le prime 1.500 persone. Obiettivo: creare una lista civica nazionale della sinistra. Progetto poi naufragato a meno di sei mesi dalle elezioni, visto anche lo stato confusionale della sinistra stessa, reduce da due decenni di antiberlusconismo militante spacciato per progressismo. Si tratta della stessa sinistra che preferì sparare sul Cavaliere piuttosto che sul pareggio di bilancio inserito da Monti nella Costituzione con l’appoggio di Bersani, così come oggi – pur con i suoi dubbi – Montanari preferisce colpire Salvini, piuttosto che un establishment che aveva ridotto l’Italia a Cenerentola politica d’Europa, prona a qualsiasi diktat, incluso quello di tenersi i migranti salvati nel Mediterraneo dalla marina tricolore.Montanari è uno di quegli intellettuali italiani che non esitano a utilizzare la parola “fascismo” per connotare l’azione di Salvini, cioè del leader più rappresentativo del primo e unico governo – dopo tanti anni – formatosi a furor di popolo, sotto la spinta squisitamente democratica degli elettori, ansiosi di metter fine a una lunga sequela di “governi dell’orrore”, pronti a precipitare il paese (loro sì) nella paura: la paura di perdere tutto e di sprofondare in un’Italia senza futuro. «Tutto l’establishment che chiama al conflitto contro Salvini – riconosce Montanari – è quello che diceva e dice che non è possibile alcun conflitto sociale: che è invece lo strumento per creare giustizia sociale, ed è stato disinnescato proprio dal Partito Democratico e dai suoi sostenitori». Quando Salvini dice “prima gli italiani”, per il professore «nessuna risposta è credibile se non afferma la necessità di un conflitto invece “tra gli italiani”», ovvero tra i poveri e i ricchi, che notoriamente «non vogliono le stesse cose», per citare lo storico britannico Tony Judt. Quand’anche: perché Montanari spara su Salvini, che non ha alcuna responsabilità nella catastrofe della Seconda Repubblica, evitando di usare il termine “fascismo” per i decisivi collaborazionisti del “nazismo tecnocratico”, ai cui “successi” si deve, oggi, la vasta popolarità del leader della Lega?«Alla sinistra dei politici, professori, giornalisti paghi di appartenere alla ristretta cerchia dei salvati, disinteressati a cambiare il mondo e capaci solo di parlare di “austerità” e “responsabilità” – aggiunge Montanari – è subentrata una destra con una visione terribile e propagandistica, sanguinosa e fasulla». Sempre secondo il professore, «Salvini sa benissimo che non potrà cambiare in meglio la vita degli italiani: ed è per questo che accende la miccia della caccia al nero». C’è un che di vertiginoso, nel ricorrente abuso dei termini: il fascismo si impose in modo strisciante con le violenze delle camicie nere, incoraggiato dall’élite e ignobilmente tollerato dallo Stato liberale, monarchia in primis. Crede davvero, il professor Montanari, che l’ex anarchico ed ex socialista Mussolini abbia potuto marciare su Roma in solitudine, senza l’appoggio dei poteri forti attraverso il network discreto della massoneria? Crede che abbia potuto guidare svariati governi senza il sostegno decisivo del Vaticano, accanto a quello dei latifondisti e della grande industria?E perché mai spendere ancora, impunemente, nel 2018, la parola “fascismo”? Non vede, Montanari, da quale pulpito democratico vengono le lezioncine impartite all’Italia sui diritti umani? Non sa, Montanari, da quale scuola proviene l’illustre burattino francese Macron? Non vede quali onori gli sono stati tributati, in Vaticano, dall’uomo che la dottrina cattolica considera il vicario di Dio in terra? Conosce un altro fascismo, Montanari, che oggi sia più feroce di quello con cui la Germania e la Bce hanno ridotto la Grecia come un paese del terzo mondo? «Bisogna saper vedere, e saper dire, che Salvini è il sintomo terribile, e finale, della malattia che ha devastato questo paese anche “grazie” a ciò che chiamavamo “sinistra”», sostiene Montanari. Ma, anziché attaccare a testa bassa il tumore, lo storico dell’arte si accanisce su quello che considera il sintomo, come se i buoi non fossero già scappati dalla stalla. E questa incredibile miopia, probabilmente, mette fuori gioco molta parte dell’intellettualità italiana: se Salvini sarà sempre di più il nuovo leader del paese, con i suoi toni spesso così indigesti, lo si dovrà anche e soprattutto a chi vede l’autoritarismo dove non c’è, senza averlo visto – in tempo utile – là dove c’era, e dove sta tuttora, esercitando il suo immenso potere, ogni giorno, contro l’Italia e l’avvenire degli italiani.«Roberto Saviano ha invitato a rompere il silenzio sulla politica e la retorica sostanzialmente fasciste di Matteo Salvini». Lo scrive il giovane storico dell’arte Tomaso Montanari, 46 anni, autore (con Antonello Caporale) del libro “Matteo Salvini, il ministro della paura”, ovvero: “Come il leader della Lega ha conquistato gli italiani”. Per le edizioni del Gruppo Abele, Montanari ha inoltre scritto “Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità”. Parafrasando Enzo Jannacci, su “Micromega” il professore spiega che «ci vuole orecchio, per battere Salvini». Sempre Montanari – proprio a causa dell’alleanza gialloverde con la Lega – ha rifiutato la propoposta avanzatagli da Luigi Di Maio, che lo voleva ministro dei beni culturali. Vincitore nel 2016 del Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra, tre anni prima Montanari era stato insignito, da Giorgio Napolitano, dell’onorificenza di commendatore «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio». E sempre nel 2013 – sotto il disastroso governo Letta – era stato membro della commissione per la riforma del Mibac, istituita dal ministro Massimo Bray. Su “Micromega”, a proposito di Salvini, Montanari cita il filosofo Norberto Bobbio: «Non lasciare il monopolio della verità a chi ha già il monopolio della forza». Quale monopolio? Non vede, Montanari, che il governo Conte è assediato a reti unificate da tutti i media mainstream e da tutti i poteri che contano, italiani ed europei?
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Vedrete che i Benetton (Three Eyes) si terranno Autostrade
«Lasciate perdere i complotti basati sui lampi che si vedono durante il crollo del viadotto Morandi: quelle ciance sul web servono solo a non vedere l’unico vero complotto all’origine del disastro di Genova». E cioè: una sciagurata sottovalutazione del rischio, grazie una concessione-omaggio, imbarazzante e piena di parti segrete. Una profezia? «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America, e alla fine la concessione ad Autostrade per l’Italia non verrà revocata. Oppure: verrà bandita una nuova gara d’appalto, che sarà facilmente vinta dagli stessi azionisti di Atlantia, Benetton e soci». Affermazioni che, all’indomani della catastrofe di Genova, Gianfranco Carpeoro – avvocato e saggista – affida alla diretta web-streaming condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, in tandem con Massimo Mazzucco. Ecco il complotto: «Lo sono, nei fatti, tutte le privatizzazioni fatte in Italia negli ultimi 50 anni. Oggi non sapremmo neppure più come gestirle, le autostrade. Dove trovare i soldi per i cantieri urgenti? L’Ue ci impedirebbe di usarli, con la scusa che sforeremmo il budget». I Benetton? «Hanno fatto ben poco, a livello di manutenzione. E non hanno fatto niente per soccorrere i senzatetto, che avevano bisogno di aiuti immediati. Sono avviliti, per l’accaduto? La sera dopo la tragedia erano a una festa, da loro organizzata a Cortina: mangiavano, bevevano e cantavano». Potevano permetterserlo? Eccome: i Benetton, scandisce Carpeoro, sono un ingranaggio del sistema messo in piedi dalla più potente massoneria sovrazionale, vicina ai Clinton e ai Bush.Altro che maglioncini: tra i soci della concessionaria delle autostrade italiane, oltre agli industriali di Treviso, figurano presenze ingombranti come la londinese Hsbc, uno dei maggiori gruppi bancari del mondo, nonché un fondo di Singapore (Gic Private Limited) e la fondazione bancaria della torinese Crt. Ma soprattutto il primo fondo d’investimenti del pianeta, lo statunitense Blackrock di Larry Fink, che – ricorda Carpeoro – Gioele Magaldi nel suo libro “Massoni” collega direttamente alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, sinistra superloggia massonica internazionale fondata dai Bush e sospettata di aver ideato la strategia della tensione, prima in Europa e poi nel mondo, reclutando Bin Laden e ispirando la strage dell’11 Settembre a Manhattan. Di che stiamo parlando? «I Benetton fanno parte di quel mondo: vicinissimi a Obama, a Hillary Clinton, alla superloggia “Three Eyes”». In Atlantia, aggiunge Carpeoro, vi sarebbero quote intestate a Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Si dice Benetton, ma in realtà i padroni delle nostre autostrade sono tantissimi, e per lo più non italiani, «confermando lo schema delle privatizzazioni italiche». Tra parentesi: «Avete notato che i politici che le promossero – Prodi, D’Alema, Amato – aprirono simultaneamente fior di fondazioni miliardarie? Coincidenze, ovvio».Potrebbe la magistratura congelare i beni dei Benetton? «Certamente, ma anche i giudici tengono famiglia», taglia corto Carpeoro, poco convinto anche della possibilità che il governo Conte possa davvero mantenere la promessa di togliere un osso così ricco alla complessa struttura di potere che – attraverso i Benetton – ha avuto in regalo le austostrade costruite coi soldi degli italiani. Troppo potente, il club, e troppo debole la politica: «Ormai, in Italia, chi è al governo non può decidere quasi niente». La bomba esplosa in Veneto in una sede della Lega vicino a Treviso e l’effrazione domestica suibita dai genitori di Salvini? «Può essere uno strumento di pressione: a Craxi, quando stava per vuotare il sacco sul sistema del finanziamento illegale di cui beneficiavano tutti i partiti, violarono le abitazioni dei figli per indurlo a tacere». Questo, per Carpeoro (e Mazzucco) è il vero “complotto” di Genova: un maxi-regalo ai privati, senza vincoli per gli oneri di manutenzione, a scapito – come si è visto – della sicurezza. Oliviero Toscani rimprovera gli italiani di eccessiva severità verso i Benetton? «Ovvio, è sul loro libro paga: ha mostrato che tutti, in Italia, hanno un prezzo», dichiara Carpeoro. «E ha mostrato che quello è il suo prezzo: per essere inaffidabile, inattendibile e inaccettabile».«Lasciate perdere i complotti basati sui lampi che si vedono durante il crollo del viadotto Morandi: quelle ciance sul web servono solo a non vedere l’unico vero complotto all’origine del disastro di Genova». E cioè: una sciagurata sottovalutazione del rischio, grazie a una concessione-omaggio, imbarazzante e piena di parti segrete. Una profezia? «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America, e alla fine la concessione ad Autostrade per l’Italia non verrà revocata. Oppure: verrà bandita una nuova gara, che sarà facilmente vinta dagli stessi azionisti di Atlantia, Benetton e soci». Affermazioni che, all’indomani della catastrofe di Genova, Gianfranco Carpeoro – avvocato e saggista – affida alla diretta web-streaming condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, in tandem con Massimo Mazzucco. Ecco il complotto: «Lo sono, nei fatti, tutte le privatizzazioni fatte in Italia negli ultimi 50 anni. Oggi non sapremmo neppure più come gestirle, le autostrade. Dove trovare i soldi per i cantieri urgenti? L’Ue ci impedirebbe di usarli, con la scusa che sforeremmo il budget». I Benetton? «Hanno speso ben poco, a livello di manutenzione. E non hanno fatto niente per soccorrere i senzatetto, che avevano bisogno di aiuti immediati. Sono avviliti, per l’accaduto? La sera dopo la tragedia erano a una festa, da loro organizzata a Cortina: mangiavano, bevevano e cantavano». Potevano permetterselo? Eccome: i Benetton, scandisce Carpeoro, sono un ingranaggio del sistema messo in piedi dalla più potente massoneria sovranazionale, vicina ai Clinton e ai Bush.