Archivio del Tag ‘Massimo Mazzucco’
-
Macchina del fango, contro Trump la grande stampa Usa
Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.Il “Washington Post” ha pubblicato un paginone nel quale raccoglie tutte le presunte bugie e false affermazioni pronunciate da Trump negli ultimi mesi. Naturalmente, pur di aumentare il volume delle presunte “bugie”, il “Washington Post” non si fa scrupoli nell’elencare anche delle semplici opinioni di Donald Trump, che fa passare come “falsità” solo perché non sono supportate dai fatti (“unsupported claim”). Il “New York Times” è andato addirittura oltre, mettendo insieme una squadra di 20 giornalisti che sono stati incaricati di scavare nel passato di Trump, pur di far saltare fuori qualcosa di spiacevole sul suo conto. Ne è uscita una lista con dozzine di donne che sostengono di aver avuto con Trump un rapporto “ambiguo”, dove lui le avrebbe “usate” e contemporaneamente “denigrate” per il solo fatto di essere donne. Naturalmente, a nessuno del “New York Times” è venuto in mente che in certi casi possa essere la donna stessa a cercare questi rapporti “ambigui”, per ottenerne un chiaro vantaggio personale. Si chiama dare per avere. Berlusconi docet. Insomma, lo sbilanciamento contro Trump da parte delle testate più importanti è talmente evidente che porta a fare una riflessione: come mai in media di sistema temono così tanto un personaggio come Trump?Lo detestano semplicemente perchè è razzista e maschilista, o c’è sotto qualcosa di ben più grosso? (Di certo una presidenza Trump metterebbe un grosso freno alla politica imperialista espansionistica di Usa e Israele in Medio Oriente, tanto per dirne una). Ma la cosa più divertente è che i direttori di tutte queste testate si sono dimenticati di una cosa fondamentale: chi vota Donald Trump non legge certo né il “Los Angeles Times”, né il “New York Times” o il “Washington Post”. All’elettore razzista e xenofobo dell’Alabama non può fregar di meno di come Trump tratti le donne, e gliene frega ancor di meno del fatto che racconti bugie, visto che queste bugie coincidono regolarmente con quello che l’elettore repubblicano vuole sentirsi raccontare. Abbiamo quindi una totale spaccatura, sia a livello mediatico che a livello popolare, fra l’“intellighenzia” americana (localizzata sulle coste dell’Atlantico e del Pacifico) e il cuore profondo degli Stati Uniti, localizzato nel grande Mid-West, che ancora batte per veder sventolare in cima al Campidoglio la bandiera dei confederati. In America la Guerra Civile non è ancora finita. Quella di novembre sarà certamente una elezione che va ben oltre la semplice scelta fra un candidato democratico e uno repubblicano.(“Massimo Mazzucco, “La macchina del fango contro Donald Trump”, da “Luogo Comune” del 15 maggio 2016).Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani – “Corriere”, “Stampa” e “Repubblica” – decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c’è qualcosa di poco “giornalistico” in un’operazione del genere. Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il “New York Times”, il “Washington Post” e il “Los Angeles Times”, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump. Già da tempo il “Los Angeles Times” usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il “New York Times” e il “Washington Post”, che in un’azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell’uomo che nell’arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.
-
Mazzucco: 5 Stelle, lasciate perdere la presunzione d’onestà
Nel 2013 ho votato per i 5 Stelle, e continuerò a farlo finchè rimarrà un filo di speranza che questi ragazzi riescano a risanare il nostro sistema politico, marcio e corrotto. Però non si può continuare a propagandare l’onestà come se fosse un biglietto da visita, da presentare all’interlocutore ancor prima di pronunciare il proprio nome. Invece questo è quello che sta accadendo, sempre più spesso, con i 5 Stelle. Il caso più eclatante, che mi ha colpito particolarmente, è stato quello di Virginia Raggi, che lo scorso venerdì si è presentata da Mentana, a “Bersaglio Mobile”, dicendo sostanzialmente che i romani dovrebbero votare lei perchè è prima di tutto una persona onesta. E’ stato un gesto decisamente antipatico, pieno di presunzione e di saccenza. Ed infatti lo stesso Mentana, che di certo non è un nemico dei 5 Stelle, ha replicato dicendo «va bè, che un candidato sia una persona onesta lo si presume in partenza, poi però ci vuole anche qualcos’altro».In verità, la patente di onestà bisogna conquistarsela sul campo, comportandosi in modo corretto, trasparente ed utile per la comunità. Non puoi appiccicarti tu il bollino blu sulla fronte e andare in giro a dire “votate per me perchè sono onesto”. La patente di onestà è qualcosa che ti danno gli altri a ragion veduta, dopo aver lavorato correttamente sotto gli occhi di tutti. Non puoi anteporla tu come sine qua non per poter pronunciare il tuo nome. Sia chiaro: una cosa è cantare “onestà” come slogan da utilizzare in pubblico. E’ giusto che i 5 Stelle, collettivamente, chiedano onestà perchè sappiamo tutti che questo è il problema fondamentale che sta alla radice di tutti i mali del nostro paese. Ben altra invece è dichiararsi onesti a livello individuale, singolarmente, con nome e cognome. Anche perchè tutti nasciamo onesti, all’inizio. Sono poi le svolte della vita che ci portano a rimanerlo o meno. Quindi, uno che sia onesto oggi non è detto che lo rimanga anche domani. E se un solo 5 Stelle, che si proclama onesto prima di ricevere un mandato pubblico, finisse poi per diventare disonesto, dopo averlo ricevuto, segnerebbe automaticamente la fine per tutto il movimento.Guardate solo quello che i piddini sono riusciti a mettere in piedi, con l’inconsistente caso di Quarto, ed immaginate il putiferio mediatico che metterebbe in piedi una belva come Renzi se un domani uno qualunque dei 5 Stelle, dopo aver ricevuto un mandato pubblico, venisse anche solo sfiorato da un sospetto di corruzione. Ne verrebbe fuori un vero e proprio Carnevale di Rio, con i 5 Stelle nella parte dei coriandoli. Ragazzi, lasciatevelo dire: voi fate il vostro lavoro, in modo pulito e trasparente, e lasciate che siano gli altri a decidere se siete onesti o meno. Tanto, la storia arriva sempre a dare il suo giudizio corretto, prima o poi.(Massimo Mazzucco, “I 5 Stelle e la presunzione di onestà”, da “Luogo Comune” del 25 aprile 2016).Nel 2013 ho votato per i 5 Stelle, e continuerò a farlo finchè rimarrà un filo di speranza che questi ragazzi riescano a risanare il nostro sistema politico, marcio e corrotto. Però non si può continuare a propagandare l’onestà come se fosse un biglietto da visita, da presentare all’interlocutore ancor prima di pronunciare il proprio nome. Invece questo è quello che sta accadendo, sempre più spesso, con i 5 Stelle. Il caso più eclatante, che mi ha colpito particolarmente, è stato quello di Virginia Raggi, che lo scorso venerdì si è presentata da Mentana, a “Bersaglio Mobile”, dicendo sostanzialmente che i romani dovrebbero votare lei perchè è prima di tutto una persona onesta. E’ stato un gesto decisamente antipatico, pieno di presunzione e di saccenza. Ed infatti lo stesso Mentana, che di certo non è un nemico dei 5 Stelle, ha replicato dicendo «va bè, che un candidato sia una persona onesta lo si presume in partenza, poi però ci vuole anche qualcos’altro».
-
America, basta guerre: e così Trump rischia di vincere
Fino all’altro ieri Donald Trump era considerato soltanto una macchietta, un personaggio colorito salito alla ribalta solo grazie al momentaneo vuoto che si è creato ai vertici della classe dirigente del partito repubblicano. Al massimo – si diceva – vincerà la nomination dei repubblicani, ma poi Hillary Clinton lo schiaccerà come una lucertola sull’asfalto. La convinzione più diffusa a livello mainstream infatti era che Trump, con le sue posizioni estremiste, xenofobe e razziste, non sarebbe comunque mai riuscito a conquistare quella famosa fetta intermedia di elettori americani – i cosiddetti “indecisi”, collocati al centro dello schieramento elettorale – che di solito rappresentano l’ago della bilancia nelle elezioni presidenziali. Ma da qualche giorno le cose sono radicalmente cambiate, perché Donald Trump ha finalmente fatto il suo primo discorso sulla politica estera, e ha spiazzato tutti: invece del solito sproloquio vuoto e delirante, Trump ha messo insieme un discorso sensato, equilibrato e assolutamente ragionevole, che sembra aver fatto presa sul grande pubblico.In sintesi, ha detto Trump, gli Stati Uniti devono mettere fine alla loro politica interventista nel mondo, e ritrovare un equilibrio con le grandi potenze straniere, basato sul reciproco rispetto delle esigenze di ciascuno (grande festa ovviamente a Mosca, dove Donald Trump suscita decisamente maggiori simpatie della Clinton). Talmente “pericoloso” si è rivelato questo discorso per la politica dei guerrafondai americani (di cui la Clinton si propone come leader indiscussa) che tutte le grandi testate, dalla “Cnn” al “New York Times”, hanno dato contro al discorso di Trump, cercando di ridicolizzarlo e di minimizzarne la portata politica. Ma il discorso di Trump ormai ha lasciato il segno, e indietro non si può tornare: l’uomo dal ciuffo impossibile evidentemente si è circondato di persone che sanno consigliarlo, e una cosa ormai in America è chiara a tutti: se mai Hillary Clinton diventerà presidente, la sua non sarà certo una passeggiata.Non solo Trump le darà del filo da torcere, nei dibattiti presidenziali del prossimo autunno, ma ha anche dimostrato una grande dote camaleontica, nel trasformare con facilità il suo populismo da baraccone in una strategia politica solida e credibile. E come sappiamo, agli americani basta poco: un uomo deciso, che parla fuori dai denti e promette al suo popolo di restaurare l’antica grandezza della sua nazione, è più che sufficiente perché questo popolo gli metta incondizionatamente in mano il bastone del comando. Certo che sarebbe divertente vedere la guerrafondaia Hillary Clinton battuta per la seconda volta consecutiva in una corsa alla presidenza che l’aveva data, in ambedue i casi, come scontata vincitrice: come a dire che sì, è tutto deciso dall’alto, ma anche dai lati può arrivare ogni tanto qualche sorpresa inaspettata.(Massimo Mazzucco, “Perché Trump rischia di diventare presidente”, da “Luogo Comune” del 30 aprile 2016).Fino all’altro ieri Donald Trump era considerato soltanto una macchietta, un personaggio colorito salito alla ribalta solo grazie al momentaneo vuoto che si è creato ai vertici della classe dirigente del partito repubblicano. Al massimo – si diceva – vincerà la nomination dei repubblicani, ma poi Hillary Clinton lo schiaccerà come una lucertola sull’asfalto. La convinzione più diffusa a livello mainstream infatti era che Trump, con le sue posizioni estremiste, xenofobe e razziste, non sarebbe comunque mai riuscito a conquistare quella famosa fetta intermedia di elettori americani – i cosiddetti “indecisi”, collocati al centro dello schieramento elettorale – che di solito rappresentano l’ago della bilancia nelle elezioni presidenziali. Ma da qualche giorno le cose sono radicalmente cambiate, perché Donald Trump ha finalmente fatto il suo primo discorso sulla politica estera, e ha spiazzato tutti: invece del solito sproloquio vuoto e delirante, Trump ha messo insieme un discorso sensato, equilibrato e assolutamente ragionevole, che sembra aver fatto presa sul grande pubblico.
-
Shakespeare, un semi-analfabeta. Chi era il vero autore?
Nel corso della storia, moltissime persone sono morte senza che i loro meriti gli venissero riconosciuti dalle generazioni che le hanno seguite. Ma c’è anche una persona che rischia di aver fatto l’esatto contrario: ovvero, di avere ricevuto grandiosi onori nel corso della storia, senza esserseli minimamente meritati. Questa persona è William Shakespeare. Secondo molti storici, non fu affatto William Shakespeare a scrivere le monumentali opere che gli vengono attribuite, ma fu qualcun altro che utilizzò il suo nome, perché non voleva apparire pubblicamente come il reale autore di quelle opere. La questione shakespeariana esplose sul finire dell’ottocento, e tenne occupati diversi studiosi a livello mondiale per i primi due decenni del secolo scorso. Le motivazioni che portano a dubitare che sia stato Shakespeare a scrivere le opere che portano il suo nome sono diverse, ma si basano tutte su un assunto fondamentale: essendo nato, cresciuto e vissuto nel piccolo paesino di Stratford-upon-Avon – una cittadina dedita al commercio e alla pastorizia, ad un centinaio di chilometri da Londra – Shakespeare non poteva possedere la cultura letteraria e la conoscenza necessarie per scrivere le opere immortali che portano il suo nome.Anzi, detto in termini più brutali, Shakespeare era un vero e proprio ignorante: non possedeva un solo libro, e sapeva a malapena scribacchiare la propria firma. Non esiste un solo documento storico che lo descriva come uno “scrittore”, mentre esistono documenti da cui risulta che egli fosse un uomo d’affari, dedito alla compravendita di terreni e all’usura (difficile pensare che un usuraio possa avere lo stesso animo nobile di chi ha scritto “Romeo e Giulietta”). I testi shakespeariani inoltre rivelano una approfondita conoscenza della vita di corte, della nobiltà e dell’aristocrazia – tutte cose fuori dalla portata di un “commoner” come Shakespeare – mentre utilizzano spesso dei termini altezzosi e derisori proprio nel descrivere la classe sociale a cui Shakespeare apparteneva. Ma è dalla lettura stessa delle sue opere che si rivela la probabile falsità del suo presunto autore: il vocabolario dei testi shakespeariani utilizza oltre 20.000 parole, mentre nel linguaggio parlato dai commoners in quell’epoca il vocabolario era limitato ad un decimo circa di quella cifra.E’ come se di colpo il famoso “pastore lucano” si mettesse a dissertare di “fenomenologia della coscienza fra logica e trascendenza”. Lo stesso testamento autografo di Shakespeare rivela la piccolezza del mondo in cui viveva quest’uomo: si preoccupa di chiarire in modo dettagliato a chi vadano in eredità i suoi terreni, le sue proprietà e le sue cose private, ma si dimentica completamente di menzionare i suoi libri, i suoi scritti, ed almeno una ventina di opere mai pubbicate. Dubitare quindi della vera identità di questo autore è più che legittimo. Ma a questo punto si pone la domanda: chi mai si sarà nascosto dietro al su nome, e perchè mai avrà scelto di restare anonimo? Ed è qui che inizia il vero divertimento.(Massimo Mazzucco, “L’ignorante più famoso del mondo”, dal blog “Luogo Comune” del 23 aprile 2016).Nel corso della storia, moltissime persone sono morte senza che i loro meriti gli venissero riconosciuti dalle generazioni che le hanno seguite. Ma c’è anche una persona che rischia di aver fatto l’esatto contrario: ovvero, di avere ricevuto grandiosi onori nel corso della storia, senza esserseli minimamente meritati. Questa persona è William Shakespeare. Secondo molti storici, non fu affatto William Shakespeare a scrivere le monumentali opere che gli vengono attribuite, ma fu qualcun altro che utilizzò il suo nome, perché non voleva apparire pubblicamente come il reale autore di quelle opere. La questione shakespeariana esplose sul finire dell’ottocento, e tenne occupati diversi studiosi a livello mondiale per i primi due decenni del secolo scorso. Le motivazioni che portano a dubitare che sia stato Shakespeare a scrivere le opere che portano il suo nome sono diverse, ma si basano tutte su un assunto fondamentale: essendo nato, cresciuto e vissuto nel piccolo paesino di Stratford-upon-Avon – una cittadina dedita al commercio e alla pastorizia, ad un centinaio di chilometri da Londra – Shakespeare non poteva possedere la cultura letteraria e la conoscenza necessarie per scrivere le opere immortali che portano il suo nome.
-
Soros e i Putin-Papers, quando il pesce puzza dalla testa
«Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva – ho pensato – ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato». Così Massimo Mazzucco liquida immediatamente la super-sparata giornalistica destinata a screditare il leader russo. Ed è in buona compagnia: la stessa Wikileaks, scrive la “Stampa”, accusa gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere dietro i “Panama Papers”, e in particolare dietro all’attacco sferrato contro il presidente russo. Lo twitta l’organizzazione di Julian Assange, secondo cui tutto sarebbe passato attraverso l’Occrp (Organized Crime and Corruption Project), finanziato da Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo. La struttura che fa capo a Soros, si legge sul sito di Wikileaks, oltre che da Usaid è appoggiata dalle Open Society Foundations, nonché da organizzazioni giornalistiche come l’International Consortium of Investigative Journalists, da “Scoop” e dal Cpi, Center for Public Integrity.«La notizia dei Panama Papers, infatti, non avrebbe nulla di sconvolgente, se non fosse per il risalto esagerato che si è voluto dare alla figura del leader russo all’interno di questo presunto nuovo scandalo», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. «Ma quando vedi che tutte le testate occidentali – dal New York Times alla Bbc, dall’Espresso alla Cnn – mettono l’accento su Vladimir Putin, allora ti viene da sorridere: è chiaro che si tratta di una operazione di discredito progettata a tavolino». La cosa più “divertente”? «Tutte queste testate si danno un gran da fare per riempire la prima pagina con le foto dei vari personaggi coinvolti nello scandalo – da Cameron a Montezemolo, da Messi a Jackie Chan – ma il primo in alto a sinistra è quasi sempre lui: Vladimir Putin». Un’altra cosa che salta all’occhio, in una rosa così forbita di grossi personaggi mondiali, è «la totale assenza di un qualunque nome americano di rilievo». È come se il Dipartimento di Stato avesse chiesto alla Cia: avete qualcosa da poter utilizzare contro Putin? Sì, certo. Un bel mazzo di grossi nomi, che nascondono i loro soldi a Panama. Basta aggiungerci quello di Putin e far circolare lo “scoop” sui soliti canali, avendo però cura si “sbianchettare” gli americani.«La predominanza totale della figura di Putin da un lato, e la totale assenza di grossi nomi americani dall’altro, porta automaticamente a sospettare che questa sia la classica operazione telecomandata da Washington, per portare avanti la campagna di discredito contro il leader russo», conclude Mazzucco. «La tragedia è che ora, pur di stare al gioco, i giornalisti di mezzo mondo fanno finta di credere che se davvero un uomo come Putin volesse nascondere i soldi dalle tasse, sarebbe costretto a mettersi nelle mani di una qualunque holding di offshore panamense (pronta a ricattarlo in qualunque momento)». Non è credibile, secondo l’analista italiano, che il capo del Cremlino abbia dovuto far ricorso a simili sistemi di elusione fiscale: «Queste cose le fanno gli industriali e i personaggi pubblici di mezzo mondo, non le fanno gli ex-capi del Kgb».«Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva – ho pensato – ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato». Così Massimo Mazzucco liquida immediatamente la super-sparata giornalistica destinata a screditare il leader russo. Ed è in buona compagnia: la stessa Wikileaks, scrive la “Stampa”, accusa gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere dietro i “Panama Papers”, e in particolare dietro all’attacco sferrato contro il presidente russo. Lo twitta l’organizzazione di Julian Assange, secondo cui tutto sarebbe passato attraverso l’Occrp (Organized Crime and Corruption Project), finanziato da Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo. La struttura che fa capo a Soros, si legge sul sito di Wikileaks, oltre che da Usaid è appoggiata dalle Open Society Foundations, nonché da organizzazioni giornalistiche come l’International Consortium of Investigative Journalists, da “Scoop” e dal Cpi, Center for Public Integrity.
-
Quelli che credono che sia tutto falso, gli attentati e i morti
«Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere» (Jules Henri Poincarè). Hanno iniziato con l’11 Settembre. Dicevano che non era vero niente, che tutto quello che abbiamo visto in televisione era falso, che non c’era nessun aereo che ha colpito le Torri Gemelle, che era tutta una messinscena creata a tavolino con le tecnologie digitali. Lo si capiva – dicevano – perché il “naso” dell’aereo spuntava da una delle due torri, oppure perché in certi fotogrammi televisivi l’ala dell’aereo sembrava momentaneamente scomparire. Poi c’è stata Sandy Hook. Anche questa era tutta una messinscena governativa: i ragazzini morti non erano morti davvero, e i genitori che li piangevano erano soltanto degli attori professionisti, pagati per fingere. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che uno di loro addirittura rideva, mentre raccontava della strage, e lo si capiva dal fatto – dicevano – che le ombre sul terreno non coincidevano con l’orario in cui sarebbe avvenuta la sparatoria.Poi c’è stata la maratona di Boston. Anche quella tutta una messinscena, con morti e feriti che non erano altro che manichini o attori professionisti. Poco importava se addirittura si fosse vista l’esplosione della bomba in diretta Tv. Era chiaramente – dicevano – una finta bomba. Poi c’è stato l’assassinio in diretta tv della giornalista americana. Anche quello era tutto un falso, secondo queste persone, girato in studio davanti ad un greenscreen. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che le assi del pavimento visto dall’alto non combaciavano con quelle viste dalla prospettiva del telecronista. Poi c’è stato Charlie Hebdo. Tutto falso anche quello. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che il poliziotto colpito a terra non perdeva nemmeno una goccia di sangue, mentre gli sparavano in testa. Poi c’è stato il Bataclàn. Anche quello, secondo loro, era tutta una messa in scena. Non si spiegavano altrimenti – dicevano – le scarsissime foto dell’eccidio all’interno del locale parigino.E poi c’è stato Bruxelles, l’altro giorno. Anche quello, tutto falso. Tutto una grandiosa messa in scena. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che c’erano in giro pochissime foto dei morti e dei feriti all’aeroporto, e che il colore della parete del metrò di Bruxelles era diverso da quello delle fotografie. Le argomentazioni, in ciascuno dei casi, sono molto varie e molto articolate. Ma qui non si tratta di metterle in discussione una per una (l’abbiamo già fatto in abbondanza, caso per caso), quanto piuttosto di comprendere il meccanismo stesso che porta certe persone ad immaginare queste complicatissime messinscene, rifiutandosi poi di riconoscere la loro intrinseca assurdità. La prima domanda che bisognerebbe porsi, infatti, di fronte a questo genere di ipotesi, è un semplicissimo “perché”? Perché mai andare a complicarsi la vita con una manipolazione digitale, in un centinaio almeno di video diversi, creando addirittura dei falsi fori di entrata degli aerei (con esplosivi, si presume), quando in realtà sarebbe stato 1000 volte più semplice prendere due aerei e schiantarli veramente contro le torri gemelle? Dove sarebbe la logica, in una scelta del genere?Perché mai andare ad inventarsi un massacro nella scuola di Sandy Hook, che t’impone poi di far scomparire letteralmente dalla circolazione tutti coloro che hai elencato come vittime, quando in realtà è molto più semplice mettere una bomba e farla esplodere davvero? Perché mai raccontare che 130 persone sono morte massacrate, disseminando il pavimento di manichini, di sangue cinematografico e di falsi cadaveri, quando in realtà era molto più semplice ammazzare veramente 130 poveri sventurati? Perché dover ricorrere a degli attori – e stiamo parlando di centinaia di attori, nel caso di Bruxelles – per mettere in scena tutte quelle persone che fuggono sul piazzale dell’aeroporto, oppure che si riversano sui marciapiedi fuori dalla fermata del metrò, quando bastano due semplici bombe, piazzate negli stessi luoghi, per ottenere lo stesso risultato?Si potrebbe andare avanti all’infinito, ad elencare le complicazioni e le difficoltà – e quindi le scarsissime probabilità di riuscita – che incontrerebbe chiunque volesse mettere in piedi una messinscena così complicata, ma forse a questo punto conviene fare un’altra considerazione, e domandarsi perché si arrivi anche solo ad immaginare una tale mancanza di senso pratico, da parte di chi organizza gli attentati. Io ritengo che dopo l’11 Settembre (quello vero, perpetrato con veri aerei scagliati contro le Torri Gemelle) in molti di noi sia completamente crollato il muro delle certezze, al punto di non fidarsi più di nulla e di nessuno. Ci siamo sentiti abbandonati, soli, in balìa del nostro destino. In altre parole, con l’11 Settembre i media ci hanno così profondamente tradito, rispetto alla fiducia che riponevamo il loro, che da quel giorno non crediamo più assolutamente a nulla di quello che i media ci raccontano. Nemmeno al fatto che è esplosa una semplice bomba nella metropolitana di Bruxelles.(Massimo Mazzucco, “Quelli che «è tutto falso»”, da “Luogo Comune” del 28 marzo 2016).«Dubitare di tutto o credere tutto sono due soluzioni ugualmente comode che ci dispensano, l’una come l’altra, dal riflettere» (Jules Henri Poincarè). Hanno iniziato con l’11 Settembre. Dicevano che non era vero niente, che tutto quello che abbiamo visto in televisione era falso, che non c’era nessun aereo che ha colpito le Torri Gemelle, che era tutta una messinscena creata a tavolino con le tecnologie digitali. Lo si capiva – dicevano – perché il “naso” dell’aereo spuntava da una delle due torri, oppure perché in certi fotogrammi televisivi l’ala dell’aereo sembrava momentaneamente scomparire. Poi c’è stata Sandy Hook. Anche questa era tutta una messinscena governativa: i ragazzini morti non erano morti davvero, e i genitori che li piangevano erano soltanto degli attori professionisti, pagati per fingere. Lo si capiva dal fatto – dicevano – che uno di loro addirittura rideva, mentre raccontava della strage, e lo si capiva dal fatto – dicevano – che le ombre sul terreno non coincidevano con l’orario in cui sarebbe avvenuta la sparatoria.
-
Non credete a quelle bombe: sanno quando esploderanno
«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».Strategia della tensione, istruzioni per l’uso: Mazzucco, giornalista e regista di importanti documentari sull’11 Settembre (“Inganno globale”, “La nuova Pearl Harbor”) fornisce una sintesi sconcertante, in una recente conferenza in Friuli ripresa sul blog “Luogo Comune”. Tema: le modalità sistematiche con cui si ripetono i più recenti attentati, destinati – sempre – a impressionare profondamente il pubblico, diffondendo un senso generale di paura e insicurezza. «Pazienza se il pubblico non si accorge di essere preso in giro: il guaio è che sono i giornalisti a far finta di niente, come se non si accorgessero della ripetitività della trama», a partire dai primi due aspetti che saltano immediatamente all’occhio, l’esercitazione concomitante e la comparsa del “patsy”. Primo: «Quando c’è un attentato, c’è sempre la presenza contemporanea di esercitazioni di forze speciali che fanno esattamente, per finta, quello che poi succede davvero». Secondo: in brevissimo tempo, anche solo poche ore, viene individuato il “colpevole presunto”, perfetto per distrarre i media dalla scena del crimine: da quel momento, giornali e televisioni si occuperanno solo della biografia dell’arrestato, tralasciando di analizzare la dinamica reale degli eventi.Fa scuola, naturalmente, l’11 Settembre, con una decina di esercitazioni dell’aviazione programmate quella mattina, nonostante i ripetuti allarmi ricevuti dai servizi segreti di mezzo mondo, che da mesi parlavano di possibili attentati negli Usa, per giunta proprio con aerei di linea dirottati. Sicché, alcune di quelle esercitazioni prevedevano esattamente l’intervento dei caccia contro voli dirottati – ma nei cieli del Canada e dell’Alaska: a difendere il quadrante nord-est degli Stati Uniti, quello di New York e Washington, c’erano solo 4 intercettori. Troppo pochi, per districarsi nel caos che faceva impazzire i radar: «C’era in volo almeno il triplo dei velivoli, e gli addetti alla sicurezza non sapevano quali fossero quelli dirottati e quali no». Oltre ad allontanare i caccia e a creare confusione, secondo il giornalista investigativo Webster Tarpley le esercitazioni aeree programmate proprio quel giorno servivano anche a controllare dall’interno i computer della sicurezza, depistando le operazioni, grazie all’accesso diretto ai monitor della difesa, dietro a cui stavano ignare sentinelle. In più, quella mattina – stranamente – il grado di allerta era stato declassato a “normale”, il livello più basso. «Coincidenze o barzellette».Poi ci sono gli attentati a terra, i più diffusi. «Immancabile, la simultanea esercitazione antiterrorismo». Comodissima, peraltro: «Intanto perché qualcuno deve piazzarla, la bomba: se per caso viene colto in flagrante, può sempre dire che fa parte dell’esercitazione. Poi la bomba scoppia davvero, e un minuto dopo si sprecano le dichiarazioni di stupore: che combinazione, dicono tutti, è successo proprio mentre eravamo lì. E infine, proprio perché erano già lì – forze di sicurezza, soccorritori, ambulanze – si fa anche bella figura, soccorsi immediati e rapidissima cattura del “colpevole”». Sempre secondo Mazzucco, un caso da manuale è quello dei devastanti attentati dinamitardi di Londra, 7 luglio 2005: colpiti tre convogli della metropolitana e un autobus, 56 morti e 700 feriti. «In tutte e quattro le situazioni erano in corso esercitazioni anti-bomba. Dai responsabili della sicurezza, ovviamente “meravigliati” per la straordinaria coincidenza, giunse anche un’excusatio non petita: dissero che i loro uomini erano presenti in quei luoghi non a caso, ma per proteggere la City finanziaria». E attenzione: «In quelle ore, a Edimburgo, era in corso il G8: quale prefetto autorizzerebbe mai una esercitazione antiterrorismo nello stesso giorno in cui nel tuo paese è in corso un G8? Impensabile».Stessa dinamica negli Usa dieci anni prima, il 19 aprile ‘95. Oklahoma City: camion-bomba contro un edificio federale, il Murrah Building. Secondo la versione ufficiale, il veicolo era stato imbottito con oltre 2.300 chili di fertilizzante. Una strage: 168 morti, tra cui 19 bambini, e 680 feriti. Il più sanguinoso attentato terroristico entro i confini degli Stati Uniti prima dell’11 Settembre. «Mai, fino ad allora, gli americani si erano sentiti così vulnerabili», annota Mazzucco. «Furono le prove generali, per testare l’opinione pubblica prima del super-attentato delle Twin Towers?». Quella volta niente arabi, ma un estremista di destra, Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, arrestato e poi giustiziato sei anni dopo con iniezione letale. E l’esercitazione concomitante? C’era, naturalmente: Alex Jones, titolare dell’importante sito web “Prison Planet”, spiega che a Oklahoma City, nello stesso momento, erano in corso esercitazioni anti-bomba della polizia federale. Un’altra straordinaria coincidenza.Idem alla maratona di Boston, 15 aprile 2013: «Proprio sulla linea del traguardo – ricorda Mazzucco – si stava svolgendo un’esercitazione con cani anti-bomba». Gli altoparlanti ripetono l’annuncio, per il pubblico in apprensione che osserva le squadre di sicurezza: «Non preoccupatevi, è solo un’esercitazione». Tre secondi dopo l’ultimo annuncio, scoppia la bomba: 3 morti e 264 feriti. Dagli Stati Uniti alla Francia: Parigi, 13 novembre 2015, la carneficina del teatro Bataclan, 137 morti e 368 feriti. «L’indomani – rileva Mazzucco – il capo della protezione civile va in televisione e dice: ma tu guarda, proprio ieri mattina stavamo facendo un’esercitazione negli stessi posti. Una fortuna, per l’efficienza dei soccorsi». Ultimo capitolo, la mattanza di San Bernardino, California, 2 dicembre 2015. Marito e moglie sparano su un centro per disabili: 14 morti e 13 feriti. «E cos’era in corso, proprio lì, un attimo prima dell’attentato? L’esercitazione “Active Shooter”», sottolinea Mazzucco. «Non solo ci prendono in giro, ma contano sul fatto che non abbiamo memoria, capacità di collegare i fatti. Noi pazienza, ma i giornalisti dovrebbero farlo per mestiere: invece tacciono, guardano da un’altra parte, altrimenti perdono il lavoro».E’ successo ad Andrew “Judge” Napolitano, conduttore di una famosa trasmissione a “Fox News”: licenziato, dopo aver denunciato il ruolo dell’Fbi nella formazione e nell’assistenza dei terroristi di Oklahoma City. Stranamente, dopo aver fatto quel servizio, è stato liquidato. Napolitano parlava anche di 17 casi apparentemente sventati dall’Fbi, dove – diceva – era stata la stessa Fbi a infiltrare aspiranti terroristi, convincendoli: «Hanno reclutato islamici, giovani incazzati, e li hanno covinti ad agire, spiegando loro che avrebbero potuto cambiare il mondo ammazzando degli americani, per poi presentarli come “arabi dalla mentalità anti-americana”». Altre volte, «l’Fbi ha usato intermediari con precedenti penali, disponibili a collaborare in cambio di sconti di pena». Tra le illustri vittime del mainstream anche un grande giornalista come Dan Rather, prestigioso reporter della “Cbs”: «E’ stato liquidato con una “polpetta avvelenata” (una notizia falsa, fornitagli appositamente), per bruciargli trent’anni di grande giornalismo. La sua colpa? Aveva rivelato e denunciato lo scandalo di Abu Ghraib, il lager iracheno dove si infliggevano le peggiori torture ai soldati di Saddam».Non se ne esce, dice Mazzucco, se la stragrande maggioranza dei giornalisti si ostina a “non vedere”. Eppure, nell’attentato del 1993 al Wto – un camion-bomba nel parcheggio sotterraneo della Torre 1 – fu la stessa Fbi ad ammettere di essere implicata: stava infiltrando aspiranti terroristi e aveva fornito loro l’esplosivo, tramite l’ex militare egiziano Emad Salem, il quale confermò che il tutto avvenne addirittura con la supervisione del procuratore distrettuale. «L’Fbi sapeva, poteva evitare l’attentato», conclusero le televisioni americane. Perché la situazione “sfuggì di mano”? Forse lo si può dedurre da quanto dichiarò, poco dopo, l’ex direttore dell’Fbi di New York, Jim Kallstrom: «Quella bomba ha fatto tremare il nostro concetto di sicurezza nazionale, la convinzione di essere invulnerabili al terrorismo. Le crepe nella fiducia non potranno essere riparate. E’ successo una volta: potrà succedere ancora? E’ quello che ci domandiamo». Stesso retroscena nelle indagini dopo l’attentato di Boston, per il quale furono incolpati i giovani fratelli Dzokhar e Tamerlan Tsarnaev, di origine cecena. In piena caccia all’uomo, la madre dichiarò: «Perché fingono di non sapere dove siano? Da più di tre anni l’Fbi vive qui a casa nostra e segue i miei ragazzi».Proprio la fulminea cattura del “patsy” è l’ultimo capitolo di quella che, per Mazzucco, è chiaramente una farsa: «Nell’infernale caos dell’11 Settembre, già nelle prime ore, l’unica notizia data per certa era la responsabilità di Bin Laden». E qual è il modo più semplice per arrivare subito al “colpevole”? «Ovvio: trovi il suo passaporto. E’ noto, infatti, che tutti quelli che vanno a fare attentati se lo portano dietro». Nell’apocalisse di fuoco, fumo e macerie di Ground Zero, gli unici reperti intatti erano quelli: «Passaporti solo bruciacchiati un po’ ai lati con l’accendino, ma con foto e nomi sempre ben visibili: nemmeno un documento annerito o strappato». Il primo, trovato il giorno dopo il crollo delle Torri, a quattro isolati: apparteneva ad Abdul Aziz Alomari, quello che insieme a Mohamed Atta avrebbe dirottato il primo aereo. E nella “Buca di Shanksville”, in Pennsylvania, niente rottami di aereo (solo un cratere con ferraglia fumante) e 2 passaporti intatti, una bandana rossa (indumento “appartenente a un dirottatore”, secondo le presunte telefonate dei passeggeri di uno degli aerei), più la carta d’identità di un terzo terrorista, più la ricevuta di una lavanderia, con tanto di nome e cognome del quarto presunto attentatore.Ancora più clamoroso il ritrovamento all’aeroporto di Boston, dove viene ritrovata una valigia “dimenticata” da due dei presunti dirottatori del volo per San Francisco. Contenuto: il Corano, tute dell’American Airlines, manuali di volo del Boeing 767 e, addirittura, la lista completa dei terroristi. Passaporti provvidenziali anche in tasca ai terroristi di Londra, quattro pakistani, inizialmente dichiarati “membri di Al-Qaeda” (notizia poi smentita, nel silenzio dei media). Fondamentali, i documenti, per collegarli alle immagini filmate dalle telecamere del metrò. «Niente passaporti, niente identificazione». Stessa situazione per Charlie Hebdo: «Indossavano passamontagna per non farsi riconoscere, salvo poi “dimenticare” un passaporto in bella vista sul cruscotto dell’auto». Il caso più tragicomico? Quello di Oklahoma City, dove «la famosa “bomba al letame” avrebbe tirato quasi giù un intero edificio in cemento armato». E come venne arrestato, Timonthy McVeigh? Mezz’ora dopo l’esplosione, viene fermato alla guida di un’auto senza targa, lanciata al doppio della velocità consentita. Poi il poliziotto nota che ha la maglietta “macchiata di letame”, quindi si insospettisce, e nel baule scova – indovinate – un manuale per fabbricare le bombe col letame.Il copione non cambia, dice Mazzucco, e il primo della storia fu Lee Harvey Oswald, presentato al mondo come l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. «Non sono stato io», protestò, «io sono soltanto un “patsy”», cioè il diversivo perfetto per allontanare l’attenzione dalla dinamica del crimine, con tutte le sue incredibili incongruenze. Il caso è noto. Dopo la morte di Jfk, l’abitato di Dallas viene passato al setaccio. Ma Oswald, anziché sparire, prende con sé una pistola e se ne va in giro, armato, per la città. Lo ferma un poliziotto, l’agente Tippit, che gli chiede i documenti. Oswald estrae l’arma e gli spara. Poi si rifugia in un cinema, dove però si fa notare, perché entra senza pagare. Al che, la cassiera chiama la polizia, che lo arresta. Ma come lo collega a Tippit? Elementare: mentre estraeva la pistola gli è cascato il portafoglio, con dentro la patente. L’hanno trovato a terra, accanto al corpo dell’agente colpito. «Quindi – riassume Mazzucco – Oswald era andato ad ammazzare Kennedy pensando bene, anche lui, di portare con sé il documento di identità». Che altro aggiungere? «Siamo di fronte a una manipolazione totale. Ed è impossibile credere che i giornalisti non se ne rendano conto».«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».
-
Trump contro Sanders, se l’America archivia i moderati
«Le elezioni americane, comunque vadano a finire, non servono a cambiare il corso della storia: nessun presidente, per quanto tenace e caparbio possa essere, è in grado di farlo». Secondo Massimo Mazzucco, autore di documentari come “Inganno globale” sull’11 Settembre, le elezioni americane servono però a capire quale sia il sentimento generale della popolazione. E le primarie attualmente in corso «ci stanno dicendo una cosa molto chiara: sia da destra che da sinistra, la gente è stufa del tradizionale sistema politico». Il fatto che a destra stia vincendo un candidato, Donald Trump, che non è mai stato eletto ad alcun ruolo pubblico nella sua vita, secondo Mazzucco la dice lunga su quanto basso sia l’entusiasmo dei repubblicani per i loro rappresentanti moderati, “di sistema”, come Marco Rubio o Jeb Bush. Idem a sinistra, dove sta prevalendo un candidato, Bernie Sanders, che si dichiara apertamente “socialista”, «una parolaccia vera e propria, nella cultura americana». Così come i repubblicani bocciano Bush e Rubio, i democratici votano contro la loro rappresentante “moderata e di sistema”, Hillary Clinton.«La grande fatica che la Clinton sta facendo nell’imporsi in campo democratico, inoltre, rivela un’altra verità storica importante: quello che otto anni fa avrebbe rappresentato un cambiamento storico epocale, e cioè l’elezione della prima donna nella storia a presidente degli Stati Uniti, oggi è considerato semplicemente un fatto aneddotico: che vinca un uomo o una donna non fa più nessuna differenza per gli americani», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. «Le nuove generazioni di donne non si sentono più in dovere di votare la Clinton “in quanto donna”, ma sono tornate a mettere le questioni di principio al di sopra di quelle di gender. E a quanto pare, sulle questioni di principio Sanders è molto più forte della Clinton. È bastato infatti che Sanders denunciasse pubblicamente il fatto che la Clinton abbia preso 800.000 dollari di compenso dalla Goldman Sachs per una banalissima conferenza, per appiccicare alla sua rivale quell’etichetta di “servitrice dei banchieri” che fa decisamente storcere il naso alla base democratica».In sintesi, conclude Mazzucco, abbiamo un’America fortemente polarizzata, sia a destra che a sinistra, con l’estremismo radicale e xenofobo di Trump a fare da traino sul primo fronte, e con un richiamo ai diritti sociali della middle-class a fare da traino sul secondo. «Alla fine, molto probabilmente, prevarrà una posizione centrista e moderata (rep o dem che sia, non fa molta differenza – la convergenza prima di novembre è d’obbligo, da un lato come dall’altro)». Morale? Il vero vincitore «sarà il sistema stesso, che è stato progettato proprio per impedire scossoni e sbilanciamenti in qualunque direzione: “In medium stat power”, dicono i banchieri di Wall Steet». Ma un’America fortemente divisa al suo interno non può essere che un cattivo auspicio per il resto del mondo: «Un’America polarizzata e divisa infatti è molto più facile da controllare, con un’opinione pubblica che può essere molto più facilmente indirizzata verso una guerra sempre più disastrosa per il mondo intero».«Le elezioni americane, comunque vadano a finire, non servono a cambiare il corso della storia: nessun presidente, per quanto tenace e caparbio possa essere, è in grado di farlo». Secondo Massimo Mazzucco, autore di documentari come “Inganno globale” sull’11 Settembre, le elezioni americane servono però a capire quale sia il sentimento generale della popolazione. E le primarie attualmente in corso «ci stanno dicendo una cosa molto chiara: sia da destra che da sinistra, la gente è stufa del tradizionale sistema politico». Il fatto che a destra stia vincendo un candidato, Donald Trump, che non è mai stato eletto ad alcun ruolo pubblico nella sua vita, secondo Mazzucco la dice lunga su quanto basso sia l’entusiasmo dei repubblicani per i loro rappresentanti moderati, “di sistema”, come Marco Rubio o Jeb Bush. Idem a sinistra, dove sta prevalendo un candidato, Bernie Sanders, che si dichiara apertamente “socialista”, «una parolaccia vera e propria, nella cultura americana». Così come i repubblicani bocciano Bush e Rubio, i democratici votano contro la loro rappresentante “moderata e di sistema”, Hillary Clinton.
-
Onde gravitazionali? Ma certo, le te spiega Piero Angela
Dall’Ansa alla Bbc, da “Le Monde” al “New York Times”, la notizia è su tutte le più importanti testate del mondo: “Scoperte le onde gravitazionali”. C’è qualcosa che infastidisce nel leggere tutti questi articoli, tutti scritti in lingue diverse ma tutti sostanzialmente uguali fra loro: ed è quel sottinteso senso di “familiarità” che i giornalisti fingono di avere con la materia in questione, e che irrita profondamente il lettore. Sembra quasi di sentire le “lezioncine” di Piero Angela, quando ti spiegano con tono paternalistico che «le onde gravitazionali sono le increspature dello spazio-tempo generate da eventi cosmici violenti, proprio come le onde prodotte quando si lancia un sasso in uno stagno». Ma cosa vuol dire “increspature dello spazio-tempo”? Già io fatico ad immaginare uno spazio tridimensionale ma infinito, e fatico ancor di più ad immaginare un tempo del quale non mi è dato conoscere l’inizio, ma lo “spazio-tempo” esattamente che cos’è? E una increspatura nello spazio tempo, a sua volta, cosa dovrebbe essere?Perchè finchè mi fanno vedere il disegnino con il reticolato che si deforma sotto il peso della sfera va anche bene, ma immaginarsi la stessa cosa nel mondo reale è tutt’altra faccenda. Eppure loro ti parlano di “increspature” nello spazio-tempo come se stessero dicendo che il tuo tovagliolo è un po’ stropicciato. «Lo spazio è curvo», ti dice lo scienziato. «Certo, come no – gli rispondi tu – e mia sorella è un transatlantico». E poi ci sono i buchi neri, altro noumeno con il quale i giornalisti di mezzo mondo sembrano avere una grande familiarità: «E’ stata la collisione tra due buchi neri avvenuta un miliardo di anni fa a provocare il primo segnale delle onde gravitazionali mai scoperto», ti raccontano i giornalisti, come se si trattasse di un frontale fra due Tir in tangenziale. Ma che cos’è, esattamente, un buco nero? Certo, se dovessi chiederlo a Piero Angela, lui mi spiegherebbe che un buco nero è un punto dell’universo dove la gravità è talmente forte che nemmeno la luce riesce ad uscirne. Ma queste sono soltanto belle parole: chi riesce ad immaginarselo davvero, un luogo dal quale la luce non riesce ad uscire, non perchè ci siano delle pareti intorno, ma perchè la gravità la trattiene?E da dove viene questa gravità? E dove va a finire tutta la materia che cade nel buco nero? Che cosa succede a tutto quello che resta imprigionato lì dentro? Perchè nessuno si preoccupa dell’aspetto misterioso e inafferrabile (e per questo meraviglioso) dell’universo, e fanno tutti finta di aver a che fare con un problema semplicissmo, come quello del rubinetto che versa un tot di litri d’acqua al minuto nella vasca da bagno? In tutti questi articoli – di sapore molto più scientistico che non scientifico – manca lo stupore per la meraviglia inafferrabile del cosmo, e manca l’umiltà dell’essere umano, infinitamente piccolo di fronte a questa meraviglia. Manca lo stupore e manca l’umiltà, mentre abbonda decisamente la saccenza. Esattamente come nelle trasmissioni di Piero Angela.(Massimo Mazzucco, “Oggi sono tutti Piero Angela”, dal blog “Luogo Comune” dell’11 febbraio 2016).Dall’Ansa alla Bbc, da “Le Monde” al “New York Times”, la notizia è su tutte le più importanti testate del mondo: “Scoperte le onde gravitazionali”. C’è qualcosa che infastidisce nel leggere tutti questi articoli, tutti scritti in lingue diverse ma tutti sostanzialmente uguali fra loro: ed è quel sottinteso senso di “familiarità” che i giornalisti fingono di avere con la materia in questione, e che irrita profondamente il lettore. Sembra quasi di sentire le “lezioncine” di Piero Angela, quando ti spiegano con tono paternalistico che «le onde gravitazionali sono le increspature dello spazio-tempo generate da eventi cosmici violenti, proprio come le onde prodotte quando si lancia un sasso in uno stagno». Ma cosa vuol dire “increspature dello spazio-tempo”? Già io fatico ad immaginare uno spazio tridimensionale ma infinito, e fatico ancor di più ad immaginare un tempo del quale non mi è dato conoscere l’inizio, ma lo “spazio-tempo” esattamente che cos’è? E una increspatura nello spazio tempo, a sua volta, cosa dovrebbe essere?
-
Come blindare un segreto, da Hiroshima all’uomo sulla Luna
Nei giorni scorsi “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un articolo intitolato “Cospirazioni, l’equazione matematica che smentisce i complottisti”, nel quale si racconta che il fisico inglese David Grimes «ha elaborato una formula con cui si può ipotizzare la possibile durata nel tempo di una cospirazione: dovrebbero essere meno di mille gli individui coinvolti affinché il segreto resista per più di dieci anni. E così, viene dimostrato – prosegue l’articolo – che il “finto” sbarco degli americani sulla Luna è una delle tante infondate teorie di complotti che circolano su Internet. Lo studio di Grimes dell’Università di Oxford confuta questa e le altre presunte cospirazioni ricorrendo a una formula matematica. Si è scoperto infatti che sarebbe impossibile mantenere all’oscuro il mondo intero, anche per pochi anni, riguardo a fatti che hanno visto coinvolte migliaia di persone, qualcuna delle quali prima o poi avrebbe denunciato l’inganno. Nel progetto per la conquista della Luna, ad esempio, la Nasa aveva oltre 410mila addetti. Prima o poi qualcuno avrebbe parlato se ci fosse stata una messa in scena dello sbarco».Il nostro Grimes sarà certamente un ottimo fisico, ma forse conosce poco la storia (specialmente quella americana). Se la conoscesse, infatti, saprebbe come queste complesse operazioni – specialmente quelle segrete – vengano compartimentalizzate in modo tale da evitare proprio che i segreti più preziosi si diffondano involontariamente. L’esempio più classico è quello del Manhattan Project, il progetto militare segreto che portò, fra il 1942 e il 1945, alla costruzione delle prime bombe atomiche, poi utilizzate su Hiroshima e Nagasaki. Come è noto, il Manhattan Project coinvolse circa 130.000 persone, sparpagliate in tutta la nazione. Eppure… Da Wikipedia leggiamo: «In un articolo di “Life” del 1945 si stimava che prima del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki “probabilmente non più di poche dozzine di persone in tutta la nazione conoscessero il significato reale del Manhattan Project, e forse al massimo un migliaio di loro erano appena a conoscenza del fatto che il lavoro svolto riguardasse la ricerca sugli atomi”. La rivista ha scritto che gli altri 100.000 ed oltre impiegati del progetto “lavoravano come topi al buio”. Avvisati che la rivelazione di qualunque segreto sarebbe stata punita con 10 anni di prigione o una multa di $ 10.000 ($ 130.000 di oggi), costoro vedevano delle enormi quantità di materiale grezzo entrare nelle fabbriche da cui non usciva nulla, e manovravano leve e comandi protetti da spesse mura, dietro alle quali avvenivano delle reazioni misteriose” senza conoscere lo scopo ultimo del loro lavoro».Dopo la guerra, uno dei manager del progetto Manhattan dichiarò: «Nessuno sapeva che cosa accadesse a Oak Ridge [il quartier generale del Progetto Manhattan, ndr], nemmeno io lo sapevo, e molta gente pensava semplicemente di stare sprecando il proprio tempo in quel posto. Era mio compito dire a questi impiegati insoddisfatti che stavano svolgendo un lavoro molto importante, e quando loro mi chiedevano cosa fosse, io dovevo dirgli che era un segreto. Ma io stesso sono quasi diventato pazzo nel cercare di capire che cosa stesse accadendo lì dentro». Quindi, caro Grimes: se vogliamo usare una logica da supermercato, nella quale “siccome 400.000 persone lavorarono al progetto Apollo, allora vuol dire che 400.000 persone sapevano dell’inganno” facciamolo pure, ma intratterremo al massimo le platee più stupide di persone che vogliono sentirsi raccontare che i complotti non esistono. Se invece vogliamo affrontare seriamente questi problemi cominciamo a studiare la storia, lasciando da parte per un attimo le ridicole formulette matematiche.(Massimo Mazzucco, “Complottismo e numeri da circo”, dal blo “Luogo Comune del 3 febbraio 2016).Nei giorni scorsi “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un articolo intitolato “Cospirazioni, l’equazione matematica che smentisce i complottisti”, nel quale si racconta che il fisico inglese David Grimes «ha elaborato una formula con cui si può ipotizzare la possibile durata nel tempo di una cospirazione: dovrebbero essere meno di mille gli individui coinvolti affinché il segreto resista per più di dieci anni. E così, viene dimostrato – prosegue l’articolo – che il “finto” sbarco degli americani sulla Luna è una delle tante infondate teorie di complotti che circolano su Internet. Lo studio di Grimes dell’Università di Oxford confuta questa e le altre presunte cospirazioni ricorrendo a una formula matematica. Si è scoperto infatti che sarebbe impossibile mantenere all’oscuro il mondo intero, anche per pochi anni, riguardo a fatti che hanno visto coinvolte migliaia di persone, qualcuna delle quali prima o poi avrebbe denunciato l’inganno. Nel progetto per la conquista della Luna, ad esempio, la Nasa aveva oltre 410mila addetti. Prima o poi qualcuno avrebbe parlato se ci fosse stata una messa in scena dello sbarco».
-
Verità indicibili, le grandi intuizioni di Giuseppe Cosco
Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.Giuseppe Cosco fu anche il primo in assoluto ad intervistare e mettere in rete le informazioni su un oncologo molto particolare, che sosteneva di poter curare il cancro con il bicarbonato di sodio: tale Tullio Simoncini. Ho fatto due chiacchiere su Giuseppe Cosco sia con il figlio Alfredo, sia con Paolo Franceschetti, che naturalmente è un ottimo conoscitore del lavoro di Cosco. «A quel che mi risulta – dice Franceschetti – Cosco fu il primo a suggerire uno scenario con sfondo rituale per il grande mistero del Mostro di Firenze. Lui si è occupato di moltissimi argomenti dei quali oggi mi occupo io, e aveva già presentato, a livello intuitivo, molti collegamenti oscuri che oggi possono essere supportati da una ricerca ben documentata». Ed è proprio su questo argomento che ho posto al figlio la domanda: «Ma come faceva tuo padre a mettere insieme i vari pezzi di questo puzzle, quando ancora in rete non esisteva praticamente nulla al riguardo, ed era impossibile fare delle ricerche in merito?».«Mio padre lavorava in modo intuitivo – ha risposto Alfredo – e aveva la grande capacità di ricordare e di mettere insieme dei particolari apparentemente insignificanti, che trovava nei posti più disparati. Ad esempio, gli capitava di leggere una notizia su un quotidiano, e riusciva a ricollegarla a qualcosa che magari aveva letto in un libro, oppure ascoltato in una trasmissione televisiva, cinque anni prima». Infatti, se gli articoli di Cosco hanno una caratteristica in comune, è proprio quella di fare affermazioni che non sono quasi mai supportate da riferimenti verificabili: questo proprio perché la rete, come la intendiamo noi oggi, in quegli anni non esisteva ancora. Ed è questo che rende ancora più interessante il suo lavoro, a conferma che spesso l’intuizione è proprio la qualità principale che ci permette di giungere a conclusioni apparentemente irrazionali.Giuseppe Cosco era anche un esperto di grafologia, e come tale collaborava spesso con la magistratura di Catanzaro (la città in cui viveva), fornendo un importante contributo nelle varie indagini criminali. Ed è proprio in un tribunale di Catanzaro, durante un’udienza dove stava presentando una perizia grafologica, che Giuseppe Cosco si è improvvisamente accasciato, in un giorno del 2002, apparentemente colpito da un infarto. Paolo Franceschetti ha avanzato dei dubbi su questa morte improvvisa, che egli ha definito «quantomeno sospetta». Lo stesso figlio di Cosco, Alfredo, dice che le cause della morte sono state stabilite in modo superficiale e generico, anche se non ritiene che esistano elementi sufficienti per parlare con certezza di una eliminazione intenzionale.«Al giorno d’oggi – dice Franceschetti – sarebbe perfettamente inutile eliminare un personaggio del genere, che dice cose che sono comunque conosciute e diffuse dappertutto. Ma 15 anni fa Giuseppe Cosco era l’unico a sostenere queste tesi, ed è quindi assolutamente plausibile che qualcuno abbia voluto levarlo di mezzo, prima che arrivasse a rivelare i veri segreti della casta degli intoccabili». Di certo possiamo dire una cosa: che Giuseppe Cosco sia morto per cause naturali, oppure che sia stato eliminato, nessuno potrà mai cancellare il percorso e la memoria di un uomo che ha aperto per tutti noi un sentiero completamente nuovo: quello della ricerca e dell’indagine indipendente sulla rete. Un sentiero che oggi, grazie anche al contributo di personaggi come Giuseppe Cosco, sta diventando una vera e propria autostrada.(Massimo Mazzucco, “Un ricordo di Giuseppe Cosco”, da “Luogo Comune” del 20 gennaio 2016).Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.
-
Chi pilota l’Isis ha il terrore che smettiamo di avere paura
«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».Non un giorno a caso, ma quello in cui – spiega Carpeoro – nel lontano 1307 un gruppo di Templari riuscì a lasciare Parigi sfuggendo alle persecuzioni ordinate da Filippo il Bello: quei Templari riapararono in Scozia, dove si unirono a logge massoniche, all’epoca ancora “operative”, professionali (dedite cioè alla costruzione di cattedrali) per poi dar vita, in seguito, alla massoneria moderna. Già avvocato, pubblicitario e scrittore, eminente studioso di linguaggio simbolico nonché ex “sovrano gran maestro” della massoneria italiana di rito scozzese, Carpeoro ha aderito al “Movimento Roosevelt” fondato da Magaldi per contribuire al “risveglio” della politica italiana in chiave anti-oligarchica. Su Parigi la pensa come Carotenuto e lo stesso Magaldi: è semplicemente impossibile, sul piano tecnico, che i commando di jihadisti in azione nella capitale francese abbiano potuto agire da soli, senza la copertura decisiva di settori “infedeli” delle forze di sicurezza. In più, Carpeoro ravvisa la possibile applicazione del modulo standard concepito dalla Cia per attuare la strategia della tensione, basato su tre direttrici simultanee: due attentati strategici (uno principale, l’altro di riserva) e un terzo obiettivo, tattico-diversivo, per sviare la polizia e centrare più facilmente il “bersaglio grosso”.Secondo questo copione, sistematicamente attuato, il presidente Hollande potrebbe esser stato addirittura all’oscuro del complotto, sostiene Carpeoro: probabilmente il “bersaglio grosso” doveva essere lui, insieme agli altri spettatori allo stadio. «Poteva essere una strage ben peggiore, con persone uccise dall’esplosivo e altre dal caos scatenato dal panico, sugli spalti. Ma qualcosa è andato storto, perché qualcuno ha intercettato i kamikaze fuori dallo stadio. Solo a qual punto, quindi, i terroristi potrebbero aver ricevuto l’ordine di sterminare il pubblico del teatro Bataclan. Le sparatorie nel centro di Parigi? Solo un diversivo per distogliere le forze di polizia, ignare dell’operazione in corso». Obiettivo comunque raggiunto grazie al Piano-B, la strage nel teatro: terrore diffuso, insicurezza, bisogno di protezione e quindi maggiore disponibilità ad accettare strette repressive e persino la prospettiva della guerra. Retroscena: «Bisogna capire con chi parlò Hollande nei giorni precedenti, tenendo conto che negli ultimi anni, si veda la Libia ma non solo, è stata sempre la Francia a dare il via ai grandi sconvolgimenti geopolitici». Qualcuno potrebbe aver proposto a Hollande di aprire le danze anche stavolta (un mese fa, il capo dell’Eliseo annunciò di voler bombardare l’Isis in Siria), in cambio di un allentamento della stretta di Bruxelles sulla finanza pubblica francese.Non a caso, il governo di Parigi ha risposto all’attentato con massicci blitz dell’aviazione in Siria accanto alla Russia, e ha annunciato che per questo motivo la Francia sforerà il tetto europeo per la spesa pubblica. Se Magaldi ricorda quanto già rivelato un anno fa nel suo libro esplosivo – il ruolo della superloggia segreta “Hathor Pentalpha” dietro alla strategia della tensione (internazionale) avviata con l’11 Settembre – un ex stratega dell’intelligence come Carotenuto, ora impegnato sul fronte opposto anche attraverso il network “Coscienze in rete”, non usa giri di parole: «Per distruggere l’Isis in tre settimane non serve neppure una bomba, basta chiudere i rubinetti: bloccare via terra, cielo e mare i rifornimenti che l’Isis riceve ogni giorno, come le centinaia di Tir che varcano regolarmente il confine turco». Finora si è lasciato fare? Inutile stupirsene: «Non esiste terrorismo, e nemmeno strapotere mafioso, senza una protezione diretta da parte dei vertici. Come dimostra la storia delle Br, a lungo “imprendibili” e poi liquidate, lo Stato è infinitamente più forte di qualsiasi avversario di quel genere: se gli attentati hanno successo, è solo perché qualcuno, dall’interno, ha collaborato coi terroristi».L’ultima cosa che manca, oggi, è la manovalanza: «Non si può pensare che milioni di persone si rassegnino ad avere fame per sempre», dice ancora Carpeoro: «Questo sistema economico, radicalmente ingiusto, alla lunga non può che produrre rivoluzioni». Proprio per questo, dice ancora l’ex “sovrano gran maestro” della massoneria non-allineata di Palazzo Vitelleschi, gli elementi più lucidi della super-massoneria interazionale anglosassone hanno iniziato a opporsi all’élite oligarchica. Magaldi conferma: proprio a loro, oltre che all’opinione pubblica europea, è rivolto il terrorismo di Parigi, concepito come monito nei confronti dell’élite democratica, «in fase di riorganizzazione dopo decenni di dominio da parte dell’ala neo-aristocratica e reazionaria del massimo potere». Proprio quei poteri, chiosa Carotenuto, hanno operato ininterrottamente nella medesima direzione, la guerra, a partire dall’11 Settembre: Iraq e Afghanistan, Somalia, Yemen, poi le «finte primavere arabe» che hanno destabilizzato paesi come Egitto e Tunisia, fino alla doppia carneficina della Libia e della Siria. «Identico l’obiettivo: creare il caos, e in quel caos fra crescere la manovalanza del terrore, ieri Al-Qaeda e oggi Isis». Movente: «Solo in condizioni di evidente emergenza l’opinione pubblica occidentale più accettare la guerra e, entro i propri confini, decisive restrizioni della libertà che consegnano ancora più potere ai soggetti dominanti».Per Carpeoro, dietro a tutto questo non c’è neppure una grande visione, sia pure distorta: «C’è solo brama di potere, di dominio: se il 50% dell’energia di cui ho bisogno proviene da uno di quei paesi, non posso tollerare che vi si instauri una democrazia», in grado di insediare un governo che cambi le carte in tavola e pretenda diritti. Forse, sotto questo aspetto, la strage di Parigi – che è un’esibizione minacciosa – può essere anche un segnale di debolezza: gli egemoni ricorrono alla legge della paura perché temono di perdere terreno? Per Carotenuto, non è neppure questione di geopolitica o banche: «Al-Qaeda e l’Isis sono soltanto strumenti. Il vero obiettivo è dominare la nostra mente, condizionandola in eterno per renderci inoffensivi e rassegnati». Guai a dare la caccia ai fantasmi, insiste Carpeoro: si rischia solo di credere alla fiaba dell’Uomo Nero, proprio come vorrebbero gli egemoni. «Il potere è uno schema», non una piramide: «Puoi abbattere il vertice, e il giorno dopo i peggiori leader sono sostituiti con altri, identici. Il problema siamo noi, che accettiamo un sistema senza valori, che prevede che qualcuno stia meglio se altri stanno peggio: dobbiamo svegliarci, rifiutare questo tipo di società». E’ possibile che il “risveglio” sia già partito, ai piani alti? Lo spaventoso massacro di Parigi ne sarebbe una conferma: l’élite stragista comincia ad avere paura, al punto da scatenare l’orrore in mondovisione?«Non c’è un solo governo, al mondo, che non sia controllato da quei poteri»: per Fausto Carotenuto, già analista strategico-militare dei servizi segreti, è deprimente assistere alla farsa dei media mainstream, che si affannano a presentare “la mente”, “il basista” e “l’ottavo uomo” della strage di Parigi, come se si trattasse delle indagini per una normale rapina alle Poste. In compenso, su voci alternative come “Border Nights”, può capitare di avere – in appena un paio d’ore, grazie a semplici collegamenti Skype – informazioni e analisi di altissima qualità, capaci di superare centinaia di ore di infotainment e chilometri di carta stampata. E’ accaduto anche martedì 17 novembre, a quattro giorni dalla mattanza: ospiti della trasmissione, oltre a Carotenuto, un indagatore come Paolo Franceschetti (delitti rituali, Rosa Rossa, Mostro di Firenze), il regista Massimo Mazzucco (11 Settembre), Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) e un secondo massone, Gianfranco Carpeoro, esperto di codici simbolici: «Scordatevi qualsiasi altra pista, quello di Parigi è stato un attentato progettato da menti massoniche o para-massoniche e destinato innanzitutto ad altri massoni, i soli in grado di cogliere immediatamente il significato di quella data, 13 novembre».