Archivio del Tag ‘massacro sociale’
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Boyd: via dall’euro-finanza, solo investimenti sostenibili
Ogni paese che ha adottato l’euro ha perso immediatamente il controllo della propria politica monetaria: mentre in apparenza venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, scendevano in picchiata i tassi d’interesse in molti paesi prima ritenuti a più alto rischio: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i cosiddetti Piigs. Questo provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in questi paesi, che hanno così sperimentato una stagione di rapida crescita economica. Ma, senza la possibilità di svalutare la loro moneta di fronte a paesi più pronti a ridurre il costo del lavoro, come la Germania, il deficit commerciale dei Piigs si è considerevolmente espanso. «L’obiettivo dell’euro – sintetizza Roger Boyd – era rendere la Germania più competitiva, poiché l’euro era valutato meno di quanto lo sarebbe stato il marco tedesco, ma più delle precedenti valute Piigs». La soluzione? Uscire quanto prima dall’Eurozona, e dirottare gli investimenti finanziari sull’economia reale dei territori, accorciando le filiere oggi mondializzate e sottoposte alle oscillazioni speculative.Quando è esplosa la crisi finanziaria del 2007-2009, scrive Boyd in un post su “Come Don Chisciotte”, gli operatori sono diventati sempre più consapevoli dei rischi e hanno cominciato a ritirare i loro investimenti a quesi paesi. «La dimensione di scala di questi spostamenti di denaro ha spinto verso l’alto i tassi di interesse, drenando fondi significativi dall’economia reale», osserva Boyd. Inoltre, «l’impatto di questi cambiamenti è stato esacerbato dal numero delle bolle speculative sulla finanza e le proprietà», prodotte dai precedenti bassi tassi di interesse e larghi afflussi finanziari. E il mondo economico in collasso ha ridotto anche l’export verso gli altri paesi, andando ad intaccare la bilancia commerciale. «Il risultato finale è stato un collasso nelle economie dei Piigs e il bisogno di azioni di ristrutturazione monetaria e finanziaria da parte dell’Unione Europea e dell’Fmi per stabilizzare i default fuori controllo».Tuttavia, le azioni di stabilizzazione non hanno affatto rimediato alla situazione: al contrario, «hanno posticipato una crisi più ampia, a scapito di una larga riduzione della capacità di spesa dei governi e degli standard di vita». Così, «la popolazione di questi paesi viene usata per proteggere le sempre più esposte banche europee e i maggiori investitori». Secondo Boyd, «questi paesi avrebbero fatto molto meglio a lasciare l’Eurozona, riprendere il controllo delle loro politiche monetarie e di cambio e svalutare le loro monete per recuperare competitività». L’uscita dall’euro avrebbe creato «un breve periodo di grande dolore», oltre il quale però «sarebbe iniziato il miglioramento». Molto meglio, in ogni caso, dell’attuale «lento affondamento verso la miseria», ben rappresentato dal ministero della salute della Grecia, secondo cui il trattamento anti-cancro «non è urgente se non nelle fasi finali».Alla morte lenta dell’Eurozona – l’estinzione delle economie dei paesi europei, imposta dalla rigidità della moneta unica, sottratta alla gestione democratica dello Stato – si contrappongono le altre soluzioni, tutte positive. Vale l’esempio dell’Argentina, mille volte citato: per contrastare l’iper-inflazione degli anni ‘80, Buenos Aires decise di vincolare la sua moneta al cambio fisso col dollaro, nel 1990. Per qualche anno funzionò, «con il riversamento di investimenti esteri e l’abbassamento dei tassi di interesse», e l’Argentina «sperimentò la stessa rapida crescita che i cinque paesi europei avrebbero mostrato nel decennio seguente». Ma, a fine anni ‘90, una serie di crisi finanziarie portò gli investitori a togliere i loro soldi dal paese: questo mandò in crisi la capacità della banca centrale argentina di mantenere il tasso di cambio fisso e convertibile. «Un grande aumento del prezzo del dollaro Usa causò uno speculare aumento della valuta argentina, rendendo i prezzi dell’export meno competitivi. Ciò fu esacerbato da una svalutazione della valuta brasiliana, paese destinatario di quasi il 30% dell’export argentino».Il risultato finale fu una svalutazione ancor più grande della valuta, e un default causato dal debito sovranazionale dell’Argentina. «Svalutando la propria moneta e mandando in default il debito estero, il paese fu in grado di preparare il terreno per una vigorosa ripresa economica nel decennio successivo», ricorda Boyd. «Questo esempio fu seguito dall’Islanda durante la crisi finanziaria del 2007-2009, che si rifiutò di pagare i correntisti esteri delle sue banche e svalutò considerevolmente la sua moneta. Ancora, la crescita ripartì dopo un periodo di crisi molto intenso, ma breve». Decisivo il ruolo della politica: «Sia il governo argentino che quello islandese furono costretti ad agire nell’interesse del loro popolo, piuttosto che dei finanziatori, a causa di estese proteste pubbliche e pressioni. In Islanda fu necessario l’intervento del presidente per forzare un referendum abrogativo delle decisioni dei politici. Nei Piigs, invece, gli interessi dei finanziatori e dell’Unione Europea sono stati anteposti a quelli dei cittadini».Altro caso parallelo, quello dei paesi colpiti dalla crisi asiatica del 1998: «L’unico paese che implementò controlli sugli scambi e proibì lo scambio offshore della sua valuta, la Malesia, riuscì ad uscire dalla tempesta, mentre Thailandia, Taiwan e Sud Corea dovettero sottoscrivere significative liberalizzazioni economiche e finanziarie in cambio dei pacchetti di aiuto capitanati dall’Fmi». Lo stesso copione – sregolati afflussi di capitale in un paese, conseguente bolla finanziaria sugli asset e deficit della bilancia commerciale, alla radice di altri problemi finanziari ed economici – è stato ripetuto molte volte. «Quando il “sentiment” cambia ne deriva una crisi, perché il più alto numero possibile di investitori scappa». Secondo Boyd, Malesia, Argentina e Islanda «hanno mostrato che i credi neo-liberali non sono sacrosanti e in molti casi sono solo profezie auto-avveranti». In fatti «possono essere messi in campo controlli sui capitali, i debiti possono essere mandati in default, gli speculatori possono essere puniti per i loro comportamenti rischiosi, e il cielo non cadrà».Tutto questo ha a che fare col cambiamento climatico, l’esaurimento delle risorse naturali e la distruzione ecologica? Assolutamente sì: perché le ferite della grande crisi terrestre «stanno diventando sempre più un impedimento al funzionamento delle moderne economie e dei loro sistemi finanziari: il flusso di denaro investito da un sistema caotico a un altro deve essere arginato, per proteggere le economie e fornire una relativa stabilità, necessaria ad una transizione di successo verso un futuro sostenibile». E i debiti, che richiamano «schemi del futuro che non possono aver luogo», oggi hanno bisogno di essere rinegoziati «per permettere un’equa condivisione delle sofferenze tra i ricchi e il resto del mondo». Inoltre, conclude Boyd, i controlli sugli scambi e le ristrutturazioni del debito diventeranno un punto fermo del nostro futuro: «Gli schemi di movimento senza sforzo di soldi e benessere attorno al mondo saranno cosa del passato: così come si contrarrà il mondo fisico, così farà quello finanziario. Investimenti locali, e investimenti in asset realmente produttivi come aziende agricole, daranno prova di essere molto più resilienti, nelle future crisi, di investimenti in asset finanziari in posti lontani».Ogni paese che ha adottato l’euro ha perso immediatamente il controllo della propria politica monetaria: mentre in apparenza venivano rimossi i rischi sui tassi di cambio, scendevano in picchiata i tassi d’interesse in molti paesi prima ritenuti a più alto rischio: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i cosiddetti Piigs. Questo provocava un significativo aumento del flusso di investimenti in questi paesi, che hanno così sperimentato una stagione di rapida crescita economica. Ma, senza la possibilità di svalutare la loro moneta di fronte a paesi più pronti a ridurre il costo del lavoro, come la Germania, il deficit commerciale dei Piigs si è considerevolmente espanso. «L’obiettivo dell’euro – sintetizza Roger Boyd – era rendere la Germania più competitiva, poiché l’euro era valutato meno di quanto lo sarebbe stato il marco tedesco, ma più delle precedenti valute Piigs». La soluzione? Uscire quanto prima dall’Eurozona, e dirottare gli investimenti finanziari sull’economia reale dei territori, accorciando le filiere oggi mondializzate e sottoposte alle oscillazioni speculative.
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La pistola scarica di Grillo, contro Renzi e i boss dell’Ue
«Non sono certo voti di sinistra quelli che hanno spinto il Pd oltre il 40% nel nord-est, un’area dove la sinistra storicamente non ha mai superato il 20%». Massimo Cacciari non ha dubbi: «L’elettorato deluso da Berlusconi e poi dalla Lega ha detto: ok, proviamo anche questa, ma è l’ultima spiaggia». Non è una cambiale in bianco, quella concessa a Renzi: deve fare qualcosa di concreto per risolvere la “questione fiscale” che paralizza le aree più produttive del paese, massacrate dall’iper-tassazione indotta dall’euro. Italia smarrita: ha votato solo il 57% degli aventi diritto, poco più di un italiano su due. L’astensionismo è il primo partito virtuale: fatto di italiani delusi da tutto, anche da Grillo. Forse, soprattutto da Grillo, reduce da una campagna elettorale surreale: la battaglia era per la democrazia boicottata dall’Unione Europea, mentre il leader 5 Stelle ipnotizzato dall’“ebetino” si è prodotto in esternazioni-spettacolo sulla “peste rossa”, sulle auto blu e sulle prevedibili malefatte dei piccoli ladri dell’Expo milanese.I dominus dei mercati non l’hanno nemmeno preso in considerazione, il Movimento 5 Stelle, come possibile pericolo per l’élite finanziaria europea responsabile dell’austerity indotta dalla moneta unica: secondo Paolo Barnard, che cita documenti riservati, a impensierire gli oligarchi che affidano alle larghe intese Merkel-Schulz il dominio delle nostre democrazie in via di rottamazione sono stati lo Ukip di Nigel Farage, che ha fatto man bassa di voti in un paese che detesta l’Unione Europea pur non dovendo subire le forche caudine dell’euro, e soprattutto il Front National di Marine Le Pen, che ha umiliato il regime “socialista” di Hollande sulla base di una tesi chiarissima: visto che l’Eurozona è incompatibile con la democrazia, non c’è altra strada che il ritorno alla sovranità nazionale, pena l’uscita della Francia dall’attuale Ue. Naturalmente i pompieri sono già al lavoro per spegnere l’incendio evocando anche a Parigi il fantasma dello spread, ma sanno che – grazie alla prodigiosa “stabilizzazione” offerta dal Pd di Renzi, la grande speculazione finanziaria non corre pericoli: tutto continuerà come prima, loro ad arricchirsi e noi a sprofondare nella crisi.Dell’imbarazzante Renzi, in tutta la campagna elettorale Beppe Grillo si è limitato a dire che è «il nulla», anziché la stampella fondamentale della Merkel dopo il crollo di Hollande e la sconfitta dei socialisti spagnoli, greci e britannici. Un “nulla” che oggi vale il 40% dei votanti italiani, peraltro. E il 43% che non ha votato? Certo non si è fidato di Grillo né come potenziale leader di governo – non un’idea su come “cambiare le cose”, nemmeno nell’oretta concessa da Bruno Vespa – né come credibile leader anti-euro: il programma del Movimento 5 Stelle infatti si limitava a un “no al Fiscal Compact” e un altrettanto pletorico “referendum sull’euro”, quello che semmai si sarebbe dovuto tenere vent’anni fa. Oggi, chi si candida a governare un paese – tanto più un grande paese come l’Italia – sull’euro dovrebbe avere idee chiarissime, schierarsi per il sì o per il no, fornire spiegazioni esaurienti e proporre soluzioni credibili. «Noi noi siamo contro l’euro», ha detto Casaleggio a Marco Travaglio, alla vigilia del voto. Nemmeno Tsipras è no-euro, del resto, e la Lista Tsipras è stata sostenuta largamente da Sel, che è alleata in tutta Italia col Pd di Renzi. L’Italia è la grande assente di questa decisiva tornata europea, per molti aspetti storica. E quasi metà degli italiani, quelli che hanno disertato le urne, non hanno di fronte soluzioni convincenti per tornare a votare domani.«Non sono certo voti di sinistra quelli che hanno spinto il Pd oltre il 40% nel nord-est, un’area dove la sinistra storicamente non ha mai superato il 20%». Massimo Cacciari non ha dubbi: «L’elettorato deluso da Berlusconi e poi dalla Lega ha detto: ok, proviamo anche questa, ma è l’ultima spiaggia». Non è una cambiale in bianco, quella concessa a Renzi: deve fare qualcosa di concreto per risolvere la “questione fiscale” che paralizza le aree più produttive del paese, massacrate dall’iper-tassazione indotta dall’euro. Italia smarrita: ha votato solo il 57% degli aventi diritto, poco più di un italiano su due. L’astensionismo è il primo partito virtuale: fatto di italiani delusi da tutto, anche da Grillo. Forse, soprattutto da Grillo, reduce da una campagna elettorale surreale: la battaglia era per la democrazia boicottata dall’Unione Europea, mentre il leader 5 Stelle ipnotizzato dall’“ebetino” si è prodotto in esternazioni-spettacolo sulla “peste rossa”, sulle auto blu e sulle prevedibili malefatte dei piccoli ladri dell’Expo milanese.
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Non trovi lavoro? Ti ha fregato Joseph Lee, 358 anni fa
Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.Ora mi prudono le dita, comincerei un trattato di 80 pagine su come il Laissez Faire sia diventato modernità, dogma economico unico, Eurozona, Austerità, morte del sociale, morte dei diritti, disoccupazione di massa, Economicidio, etc. Ma no. Ancora solo pochissime righe. Vi faccio notare come funziona il Vero Potere. Prima lezione: quanto vecchie sono le sue idee. Questo mi affascina del Vero Potere. Esso non cambia mai idea, mai. Stabilì i suoi principi secoli fa, e li ripropone oggi identici sotto le vetrate da terzo millennio dell’Eurotower di Francoforte. Il Laissez Faire nasce in particolare nel 1656 da un tizio di nome Josph Lee, che lasciò scritto questo: «E’ una massima innegabile che ciascuno, per la luce della natura e della ragione, farà ciò che torna a suo maggior vantaggio… Il progredire della singola persona tornerà a vantaggio della comunità».Da allora il principio non è mai cambiato. I Neofeudali del Vero Potere lo hanno oggi portato all’apice, con la distruzione della sovranità di spesa degli Stati in Eurozona, dove viene proibito alla collettività di sborsare anche un singolo centesimo per creare il VERO lavoro. Non è la collettività che deve fare rete di sicurezza, mai! L’individuo si arrangi, sgomiti, o si riduca la vita a scaricare bancali all’Ikea dopo 6 anni di università, spacci, lecchi scarpe, faccia la puttana, si arricchisca sulla miseria di milioni di altri, o crepi. E se crepa è colpa sua, “voleva dire che era un inetto” (Margaret Thatcher, Monti, Barroso, Rehn, Amato, Draghi, Lagarde, tutti Mr & Ms Laissez Faire).Un Programma di Piena Occupazione finanziato dallo Stato, a reddito degno per il 100% dei disoccupati italiani, secondo la Mosler Economics Mmt, e che ti salverebbe vita, la dignità e i figli, caro disoccupato, è impossibile in un sistema odierno di Laissez Faire. Mi spiace, anzi, sorry, visto che lo devi a Mr. Joseph Lee che era inglese, e ti ha fottuto 358 anni fa. Il Vero Potere è antico, non cambia mai le sue idee. Impara a conoscerlo, che magari poi sei tu che lo fotti. Se lo conosci lo fotti (qualcuno lo dica ai 5 stelle).(Paolo Barnard, “Non trovi lavoro, ti ha fottuto Joseph Lee 358 anni fa”, dal blog di Barnard dell’11 maggio 2014).Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.
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Riforme criminali targate Ocse, prepariamoci al peggio
Riforme criminali: contro il lavoro, il reddito, il benessere diffuso dei cittadini. Per quelle “riforme” è in corso da vent’anni una campagna martellante, sintetizza Marco Della Luna. E il loro unico, vero obiettivo è «rendere la società market-friendly, “marktkonform”, ossia amica del mercato (finanziario)». A nulla vale il confronto con la realtà: flessione del Pil e dell’export, boom del debito pubblico, disoccupazione dilagante. E’ perché “dobbiamo fare le riforme”, recitano i politici e i media mainstream. Sono le “riforme” in corso da due decenni nell’area Ocse, «quelle riforme che tanto ci chiedono l’Europa, il Fmi, il Colle». Oggi, in Italia, sono le “riforme” di cui parla il nuovo autocrate Renzi, consacrato dal battesimo elettorale delle europee. Riforme già viste altrove, purtroppo: «Sono state socialmente costose e insieme controproducenti rispetto al fine di rilanciare l’economia e l’occupazione». Hanno rilanciato solo i maxi-profitti, non il benessere diffuso. «Il loro scopo è un altro: la concentrazione dei redditi e del potere».
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Kissinger: abbiamo vinto, i vostri Stati sono in bolletta
«Vedo in questa crisi globale una grande opportunità», perché «la crisi finanziaria ha fatto il trucco, cioè ha limitato i mezzi che ogni Stato aveva per affermare i propri interessi». Così Henry Kissinger, potentissimo profeta del super-potere mondiale, all’occorrenza anche golpista – ieri coi carri armati, oggi col dominio finanziario di una ristretta élite. «Non c’è neppure più bisogno d’inventarsi un nuovo ordine internazionale», dice l’ex segretario di Stato americano in un’intervista. «Già i problemi esistenti oggi costringono tutti a soluzioni comuni e globali». Li chiama “interessi comuni”, come fossero accordi amichevoli tra buoni vicini di casa, ma in realtà intende l’esatto contrario: «I vicini di casa, cioè gli Stati – scrive Paolo Barnard – vengono prima colonizzati da un unico sistema finanziario, poi sottoposti a crisi di quel sistema talmente devastanti da incatenarli l’uno all’altro, e così per salvarsi sono costretti a cedere tutte le sovranità e a trovare un unico regime politico, o un’unica gestione».Barnard la chiama “l’era degli interessi comuni”, ma ovviamente nell’accezione più orwelliana e ipocrita possibile: la nuova epoca «sarà dettata dalla nazione egemone, in particolare da una minuta élite di uomini». Per Kissinger, «uno dei sacerdoti occulti di questo complotto», l’attuale amministrazione Obama «deve saper cogliere nella crisi la scintilla per costruire un nuovo sistema internazionale». Lo scenario è favorevole: «Ci sono già importanti parallelismi d’interesse fra le grandi potenze, cioè Usa, Cina, Russia, India ed Europa». E aggiunge: «Conosco l’opinione secondo cui si comincia convertendo l’intero pianeta alla nostra filosofia politica». Il super-oligarca americano non vede grossi ostacoli: «Ho parlato a diversi leader mondiali. Ho cercato di capire fino a che punto la crisi finanziaria ha aumentato la loro disponibilità a cooperare con gli Usa».«Di nuovo: il Complotto è lampante, è di una semplicità diabolica», insiste Barnard. «Ripeto: negli scorsi 40 anni il sistema finanziario ha colonizzato tutti, dall’Iran all’Indonesia, dal Giappone alla Russia, dal Brasile a Europa, Cina, Africa. Wall Street e Eurozona fanno deflagrare la più potente crisi in quasi un secolo». L’Eurozona, in particolare, con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, «la incancrenisce con le Austerità dell’Economicidio, che di rimbalzo mandano sempre più in crisi le potenze anche più distanti, come la Cina». Il sistema, aggiunge Barnard, funziona con degli shock che rimbalzano uno contro l’altro e ri-rimbalzano indietro per ri-sfasciare i paesi da cui si erano originati, in un domino, o cane che si morde la coda, senza fine.«I mezzi sovrani di ogni nazione vegono disabilitati dalle proporzioni immani di questi shock», come nel caso delle banche “too big to fail”, troppo grosse da affrontare coi mezzi tradizionali democratici. «E allora ecco che i cosiddetti leader mondiali vengono costretti a mettersi nella mani di élite di globocrati che sono gli unici oggi in possesso delle chiavi per spegnere questa macchina mostruosa». Interi blocchi continentali, vicini a divenire delle superpotenze economiche fino a pochi anni fa, «si consegnano a questa gestione “comune” in mano a pochissimi uomini: i Neofeudali. Ecco il Complotto». Il vero potere in mano a un’élite esigua, che ormai ha raggiunto l’obiettivo indicato quarant’anni fa dal memoriale di Lewis Powell: neutralizzare completamente lo Stato come governatore democratico del popolo. Togliendoli la linfa vitale: la possibilità di fare spesa pubblica per sostenere il sistema del benessere diffuso.«Vedo in questa crisi globale una grande opportunità», perché «la crisi finanziaria ha fatto il trucco, cioè ha limitato i mezzi che ogni Stato aveva per affermare i propri interessi». Così Henry Kissinger, potentissimo profeta del super-potere mondiale, all’occorrenza anche golpista – ieri coi carri armati, oggi col dominio finanziario di una ristretta élite. «Non c’è neppure più bisogno d’inventarsi un nuovo ordine internazionale», dice l’ex segretario di Stato americano in un’intervista. «Già i problemi esistenti oggi costringono tutti a soluzioni comuni e globali». Li chiama “interessi comuni”, come fossero accordi amichevoli tra buoni vicini di casa, ma in realtà intende l’esatto contrario: «I vicini di casa, cioè gli Stati – scrive Paolo Barnard – vengono prima colonizzati da un unico sistema finanziario, poi sottoposti a crisi di quel sistema talmente devastanti da incatenarli l’uno all’altro, e così per salvarsi sono costretti a cedere tutte le sovranità e a trovare un unico regime politico, o un’unica gestione».
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Fermare il Pd, il partito che ha fatto più danni all’Italia
Non ignoro i limiti ed i problemi del M5S e su questo sito, ma è anche vero che si tratta di un movimento giovane, che deve ancora attraversare il lungo tunnel della propria definizione. Quanto all’accusa di populismo (che peraltro Grillo non respinge ed anzi rovescia in una orgogliosa rivendicazione): io non sono affatto populista, vengo da una cultura politica che non è affatto populista, però so che ogni processo di rivolta contro il sistema ha sempre avuto esordi di tipo populista. Ma, soprattutto, so che questa polemica contro il populismo è la foglia di fico dietro cui queste miserabili élite nascondono le loro incapacità, la loro voracità, i loro ignobili privilegi. Questo mi dice da che parte stare in questo scontro. Io credo che siamo in un momento cruciale della storia del nostro paese. Ed in particolare in Italia, le cosiddette élite stanno dando il peggio di sé.Dopo un ventennio nel quale hanno preparato il disastro presente, si apprestano a svendere questo paese: pezzi pregiati di Eni, Finmeccanica, porti, patrimonio immobiliare e artistico, Ferrovie, Cdp, tutto sta per essere svenduto ed alla fine ci ritroveremo con lo stesso debito ma molto più poveri. Ricordate la svendita delle Partecipazioni Statali degli anni Novanta? Dovevano servire ad abbattere il debito: che fine hanno fatto? In questi venti anni abbiamo avuto un ceto politico sostanzialmente omogeneo, salvo sfumature di stile: stessa cultura politica liberista, stesso uso cinico delle tecniche surrettizie di raccolta di consenso, stessa moralità politica. Entrambe hanno occupato l’intero spazio politico con il solito argomento: vota me per non far vincere l’altro. Ma era una falsa alternativa, come l’esito finale di questo ventennio nero rende evidente.Dunque, è arrivato il momento di rovesciare questa classe dirigente in tutte le sue “varianti”. La specie berlusconiana sembra felicemente avviata all’estinzione, ma ora è il momento di pensare al Pd. Il partito che ha fatto più danni sul piano della democrazia (per tutte si pensi alle leggi elettorali maggioritarie e senza preferenze ed alla riforma del titolo V nel 2001; alla riforma dei servizi segreti del 2007), che sta svendendo la Banca d’Italia, che ha sempre espresso il maggior grado di asservimento agli Usa, che in 20 anni non ha svolto alcuna azione di contrasto alla corruzione, che non ha fatto alcuna legge sul conflitto di interesse chiedendo i voti per farla, che per i giovani propone solo e sempre maggiori periodi di lavoro gratuito (servizio civile, praticantato post laurea, lavoro in azienda durante il periodo scolastico), che, con il pacchetto Treu, ha dato il via alla demolizione dei diritti dei lavoratori, che ha difeso la legge Fornero, etc.Ora, l’approdo alla segreteria Renzi è il punto di arrivo finale della degenerazione di quello che fu un grande partito di sinistra ed è oggi un piccolo covo di intriganti e faccendieri. Posso avere molte perplessità sul M5S, ma in compenso ho la certezza che il Pd di Renzi sia il nemico da battere e punire. E’ probabile che in questo turno Renzi cresca, l’importante ora è ostacolarne al massimo l’avanzata per batterlo nella prossima occasione. Il M5S è lo strumento più efficace che ho per colpire questa classe politica. C’è poi un secondo ordine di motivi: è evidente ormai che l’ordinamento della Ue, con l’euro al centro, sta soffocando l’Europa ed occorra un forte ripensamento di questa costruzione tecnocratica. Se l’Europa dei popoli non è solo uno slogan, ma un’aspirazione vera, occorre prima mandare in frantumi questa Europa dei finanzieri e dei tecnocrati che è inconciliabile con l’altra. Il M5S, in Italia, è l’unico martello che ho a disposizione per colpire l’Europa delle banche, se non voglio lasciare campo libero, su questo tema, alle formazioni fasciste, xenofobe, di destra.Inoltre, come ho sempre dichiarato, sono un convinto fautore della legge elettorale proporzionale come unica garanzia di vera rappresentanza non manipolata e, non solo il M5S è l’unica forza politica dichiaratamente proporzionalista, ma soprattutto so che una forte affermazione del M5S avrebbe l’effetto immediato di paralizzare l’abominevole legge Renzi-Berlusconi che è in discussione in Parlamento. E’ sufficiente che il M5S emerga come secondo polo per far passare qualsiasi velleità di legge maggioritaria a doppio turno. E già questa sarebbe da sola una ragione sufficiente. Dunque, sulla base di queste considerazioni, voterò il M5S.Tuttavia, faccio anche i miei auguri alla lista Tsipras di raggiungere il quoziente richiesto. Una sconfitta di questa lista sarebbe molto negativa, comportando la dissoluzione della sinistra radicale. Certo sarebbe stato auspicabile che questa lista avesse espresso posizioni meno ambigue su questioni come l’Euro e non si fosse rifugiata nello slogan fumoso dell’Altra Europa, che vuol dire tutto e niente; ma sarà un alleato importante la prossima volta, quando avrà chiarito le sue posizioni. E, dunque, che per ora non le manchi il quoziente. Ci pensino quei malpancisti del Pd che non se la sentono di votare per il M5S: hanno quest’altra occasione di voto per sbarrare la strada a Renzi.(“Perché voto M5S, auguri anche alla Lista Tsipras”, estratti dell’intervento che Aldo Giannuli ha pubblicato sul suo blog il 18 maggio 2014).Attenti agli applausi: quelli che Grillo ha rimediato a Torino, nella straripante piazza Castello. Secondo il blog marxista “Contropiano” è utile prendere nota di cosa enstusiasma i seguaci: dalla battaglia No-Tav all’“euro-nazismo” di Schulz, che dimentica i meriti dell’Urss («Non avesse vinto Stalin, oggi Schulz avrebbe una svastica sulla fronte»). E c’è anche il fantasma buono di Enrico Berlinguer, evocato da Giuseppe Zupo per dire che il Movimento 5 Stelle è «l’unico erede, oggi in Italia, della battaglia berlingueriana per la “questione morale”», cioè istituzioni pulite come argine necessario contro la tentazione della violenza, di fronte alla rabbia per uno Stato dilaniato dalla corruzione di casta. Un’élite così moralmente fragile da farsi “comprare”, a poco prezzo, da chi vuol finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone: votare 5 Stelle, dice un ex esponente di Rifondazione Comunista come il professor Aldo Giannuli, storico e politologo, significa punire la classe politica (Pd, in primis) che ha tradito l’elettorato di sinistra per fare politiche di destra, al servizio esclusivo dei poteri forti.
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Cesaratto: l’euro uccide la democrazia, ditelo alla sinistra
Il nostro è un paese dall’identità storicamente fragile. Sfiducia nello Stato nazionale o sfiducia nella saldezza democratica del popolo hanno fatto in modo che sia a destra che a sinistra si guardasse all’Europa per rafforzare la nostra debole costituzione. Un pizzico di utopia spinelliana ha fatto il resto. Quest’ultima di per sé non guasta, se non fosse andata (in particolare a sinistra) troppo oltre, dimenticando che l’Europa è un consesso di Stati nazionali che fanno ciascuno il proprio interesse. L’utopismo ha inoltre offuscato il segno reazionario che ha preso la costruzione europea, soprattutto col progetto della moneta unica. Come l’antico gold standard, la moneta unica è uno strumento disciplinante. C’è chi ha detto che precisamente attraverso questa crisi, frutto dell’euro, la moneta unica sta realizzando i suoi obiettivi: un ritorno a un capitalismo ottocentesco, quello del gold standard appunto. La sinistra ha assistito imbelle e genuflessa agli ideali europeisti, allo svuotamento dei poteri dello Stato nazionale.Quest’ultimo è il playing field naturale della democrazia, del conflitto democratico su come creare e distribuire le risorse. Una volta svuotato dei sui poteri, trasferiti a livello sovra-nazionale, con lo Stato nazionale scompare la democrazia. Fior di economisti hanno sostenuto l’incompatibilità fra moneta unica e democrazia! Il Parlamento Europeo non può sostituire le democrazie nazionali perché troppo cacofonico. Lì finiscono per prevalere gli interessi nazionali, mentre le classi lavoratrici nazionali non hanno più un terreno rivendicativo su cui esprimersi. A me pare, contrariamente alle accuse mosse dagli utopisti delle liste di sinistra, che Stati sovrani siano il presupposto di democrazia e cooperazione internazionale, mentre sia l’europeismo superficiale a fomentare il nazionalismo: dio ci scampi dagli utopisti!L’Europa dovrebbe invertire il segno delle politiche di bilancio con un forte sostegno della Bce nel controllo dei tassi di interesse e nell’agevolare forme di ristrutturazione del debito (vi sono varie proposte in merito). Il dramma è che la Germania non è interessata a quest’Europa. Essa ha un modello mercantilista (export-led) basato su un forte ordine sociale interno accompagnato dalla moderazione salariale e fiscale che non intende mettere in forse (e ciò è comprensibile). Quindi è un bel pasticcio. Parlare di Europe federali vuol dire vaneggiare. Una forte affermazione delle forze anti-euro è dunque benvenuta, se smuoverà le acque, anche se sia chiaro che in nessun senso personalmente appoggio compagini xenofobe o di destra con cui, a differenza di qualche collega (o presunto tale), non intendo avere rapporti.La sinistra avrebbe dovuto riprendere la bandiera della nostra libertà nazionale in un senso democratico e positivo, ma ne ha paura. Questo è un dramma. Una rottura consensuale dell’euro sarebbe benvenuta, ma è un processo assai complicato, forse troppo. Ma certo, se l’Europa ci prova a chiederci di applicare il Fiscal Compact, allora la rottura se la saranno cercata. Ricordiamo poi che tutto il dramma europeo cade in un quadro mondiale a sua volta assai complesso: dal pericolo di una “stagnazione secolare” del capitalismo – anche alla luce delle crescenti disuguaglianze che mortificano la domanda aggregata oltre che le coscienze – alla sfida epocale dei paesi emergenti fatta del combinato disposto di bassi salari e crescente tecnologia. Una vera unione politica, che implicherebbe uguali diritti sociali, non è e non sarà nel futuro prevedibile all’ordine del giorno. Dimentichiamoci queste stupide utopie.(Sergio Cesaratto, dichiarazioni rilasciate a “ForexInfo” per l’intervista “L’Europa che non c’è”, ripresa da “Megachip” il 6 maggio 2014. Eminente economista, esperto di politica fiscale europea, il professor Cesaratto è docente all’università di Siena e curatore del blog “Politica Economia”).Il nostro è un paese dall’identità storicamente fragile. Sfiducia nello Stato nazionale o sfiducia nella saldezza democratica del popolo hanno fatto in modo che sia a destra che a sinistra si guardasse all’Europa per rafforzare la nostra debole costituzione. Un pizzico di utopia spinelliana ha fatto il resto. Quest’ultima di per sé non guasta, se non fosse andata (in particolare a sinistra) troppo oltre, dimenticando che l’Europa è un consesso di Stati nazionali che fanno ciascuno il proprio interesse. L’utopismo ha inoltre offuscato il segno reazionario che ha preso la costruzione europea, soprattutto col progetto della moneta unica. Come l’antico gold standard, la moneta unica è uno strumento disciplinante. C’è chi ha detto che precisamente attraverso questa crisi, frutto dell’euro, la moneta unica sta realizzando i suoi obiettivi: un ritorno a un capitalismo ottocentesco, quello del gold standard appunto. La sinistra ha assistito imbelle e genuflessa agli ideali europeisti, allo svuotamento dei poteri dello Stato nazionale.
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L’euro di Hitler, una moneta unica per l’Europa nazista
Sembra che la Grande Germania, ritornata soggetto geopolitico egemone in Europa, stia realizzando attualmente la prospettiva immaginata dai politici e dagli economisti nazisti per il loro dopoguerra vittorioso: di rendersi esportatrice netta di merci verso una periferia monetariamente subalterna ad una moneta unica che allora sarebbe stato il marco e adesso è l’euro. Alla metà degli anni ’30 la stabilità degli scambi commerciali con l’estero era stata raggiunta in Germania mediante accordi bilaterali di clearing che consentivano di scambiare le merci senza “consumare” moneta perché le importazioni, non coperte da esportazioni, venivano contabilizzate in una “stanza di compensazione” e rinviate al futuro, senza interessi, in attesa d’essere saldate con esportazioni a venire. A seguito dei successi militari del 1940 una sua evoluzione venne ritrovata nella compensazione multilaterale tra le nazioni progressivamente alleate o conquistate, così che se la Germania si trovava con un debito verso A ma pure con un credito verso B, B pagava A e la Germania era libera dal debito senza nessun movimento di valuta.Nasceva in questo modo l’idea di costituire un Grande Spazio di scambi commerciali europei di cui la Germania sarebbe stata il centro, come nel 1940 spiegava una nota della Cancelleria del Reich: «I grandi successi della Wehrmacht tedesca hanno creato i fondamenti per il Nuovo Ordine Economico Europeo sotto il dominio tedesco. La Germania, dopo aver concentrato negli ultimi anni le proprie forze principalmente sul riarmo militare, potrà seguire in futuro anche la strada della crescita economica e dello sviluppo delle proprie forze produttive su ampia base e una grossa crescita del tenore di vita ne sarà la conseguenza». Questo Nuovo Ordine Economico Europeo sarebbe però nato asimmetrico, perché gli stati aderenti si sarebbero collocati in due diversi gironi d’importanza: un “cerchio interno” composto dalla Germania allora impinguata dell’Austria e dei Sudeti, dal Protettorato di Boemia e Moravia, dal Governatorato Generale polacco e da Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Lussemburgo in quanto nazioni razzialmente affini ma pure economicamente omogenee, tanto da potersi pensare ad un unico livello dei prezzi, dei redditi e dei salari; ed un “cerchio esterno” in cui avrebbero gravitato Svezia, Svizzera e poi Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (i Pigs, i paesi “maiali” già previsti!) con estensione all’Unione Sovietica (quando sconfitta), alla Turchia e all’Iran per proiettare il Grande Spazio fino al Pacifico e al Golfo Persico.Qui però prezzi e salari sarebbero stati mantenuti più bassi per favorire le esportazioni verso il cerchio interno. Il marco avrebbe dovuto diventare la moneta comune (in mancanza, «la fissazione di tassi di cambio stabili sarebbe assolutamente necessaria»), mentre sarebbe stata istituita una Banca Centrale Europea con sede a Vienna, che allora era tedesca, per il conteggio incrociato dei saldi tra i paesi associati «in cui, naturalmente, la Germania deve essere predominante». Tanto progetto d’unificazione commerciale e monetaria europea non ha però mai visto la luce, travolto dal rovesciamento delle sorti della guerra dal 1942 in poi. Ma si può avanzare il legittimo sospetto che, dopo la costituzione della Unione Monetaria, la Germania post-1989 abbia ripreso con determinazione l’idea del Grande Spazio europeo partendo dall’adozione di una politica commerciale lucidamente “mercantilistica” per compensare con l’esportazione all’estero il rigore fiscale e la moderazione salariale interne (e qualcuno ha scritto che «se non ci fossero state le robuste esportazioni verso l’Europa periferica, la Germania sarebbe scivolata dalla bassa crescita alla stagnazione»).Ma il disavanzo commerciale che si veniva a formare in periferia, non più correggibile con le “svalutazioni competitive” di un tempo per il vincolo della moneta unica, come sarebbe stato coperto? A sostenere la capacità di spesa dei paesi “maiali” sono intervenuti i prestiti di capitale dal centro; per cui, se quelli s’indebitavano, questo otteneva il doppio vantaggio di guadagnare interessi sul denaro prestato, assicurandosi contemporaneamente un mercato di sbocco privilegiato perché privo di rischio di cambio. Il gioco non è tuttavia senza difetto perché, mentre la periferia si deindustrializza per l’invasione delle merci straniere, il centro si fa partecipe della sua progressiva instabilità finanziaria per quell’indebitamento crescente di cui è creditore. E così quando, e ai primi casi d’insolvibilità periferica (in Grecia, ma soprattutto a Cipro), il centro ha temuto che i propri crediti potessero venire “ripudiati”, è corso ai ripari richiedendone alla periferia il rientro, almeno in parte, coatto. Sta in questo il senso del Trattato per la stabilità, il coordinamento e la governance, sinteticamente noto come “Fiscal Compact”, approvato il 23 luglio 2012 dal Parlamento italiano.Con esso si sono a tal punto irrigiditi i vincoli di bilancio pubblico e di debito sovrano da poter essere giudicato, dopo il Trattato di Maastricht (1991) ed il Trattato di Lisbona (1999), come «il terzo atto della storia dell’euro che radicalizza in maniera inedita i principi neoliberisti che hanno caratterizzato fin dall’inizio la costruzione della moneta unica», anche a rischio di realizzare una forma di austerità perpetua che potrebbe fare esplodere l’Unione Monetaria Europea. Il Fiscal Compact richiede all’articolo 3 che le spese statali vengano integralmente coperte da imposte e tasse (al netto di variazioni minimali emergenziali); in caso contrario è previsto «un meccanismo automatico di correzione» che di fatto priva i paesi colpevoli d’infrazione d’ogni potere decisionale proprio. L’articolo 4 impone invece il rientro del debito pubblico al 60% del Pil a partire dal 2015 (un impegno confermato dalla “Agenda Monti” del 24 dicembre 2013), il che significherebbe per l’Italia, che ha un debito pubblico del 134% su di un Pil di oltre 2.000 miliardi di euro, un aggravio sul bilancio statale e per vent’anni di una quota di restituzione del debito di oltre 50 miliardi all’anno.Ma perché un simile provvedimento è stato introdotto? Chi l’ha pensato si è affidato a certe stime del Fondo Monetario Internazionale, secondo le quali ad un punto di “contrazione fiscale” (più imposte e tasse e/o meno spesa pubblica) corrisponderebbe un calo del Pil dello 0,5%, e quindi una riduzione del rapporto debito-Pil. Però all’inizio del 2013 lo stesso Fmi ha convenuto che quella stima funziona soltanto in caso di crescita economica, perché in recessione la riduzione del Pil sale all’1,7%, aumentando (e non diminuendo) il rapporto debito-Pil e quindi costringendo ad ulteriori interventi d’austerità che peggiorano il rapporto e così via seguitando (come s’è visto in Italia con le manovre di riduzione del debito dei governi Monti e Letta che, invece di diminuirlo, lo hanno aumentato). Ma se tutto questo succede in periferia, che capita al centro? Di fronte ad un eventuale collasso economico periferico, esso vedrebbe restringersi l’area privilegiata d’esportazione dovendo ricercare altri sbocchi fuori dalla zona-euro, dove però il rischio di cambio esiste.E qui, a fronte di un euro troppo rivalutato, la sostituzione delle esportazioni potrebbe non risultare “a somma zero”, come sta già succedendo alla Germania: calano le esportazioni verso i paesi Ue, ma «Berlino sbaglierebbe davvero molto se d’ora in poi potesse pensasse di poter puntare tutte le sue carte solo sul resto del mondo. Con una domanda interna tendenzialmente debole e senza la vecchia Europa che torni a comprare il “made in Germany”, il suo attivo rischia di non correre più come quello di un tempo, sicché nel 2012 la somma del saldo complessivo Ue ed extra-Ue ha fatto segnare soltanto quota 185 miliardi, un livello ancora lontano, dopo cinque anni, dal record storico di 194 miliardi toccato nel 2007». Quale soluzione allora ci sarebbe per il centro se non quella di una svalutazione competitiva dell’euro per guadagnare maggiori quote di mercato? Ma questa decisione, favorevole agli industriali, danneggerebbe il sistema finanziario, che vedrebbe minacciato quell’euro forte difeso fino ad ora a spada tratta. Ecco perché non è da escludere l’alternativa di un arroccamento su di un euro del nord che abbandoni al proprio destino i paesi “maiali” per riciclare il centro come luogo privilegiato d’importazione di capitali invece che di esportazione di merci. E’ quest’ultima una soluzione praticabile? L’antagonismo tra finanza e industria è un tema ricorrente nella storia economica.Sembra che la Grande Germania, ritornata soggetto geopolitico egemone in Europa, stia realizzando attualmente la prospettiva immaginata dai politici e dagli economisti nazisti per il loro dopoguerra vittorioso: di rendersi esportatrice netta di merci verso una periferia monetariamente subalterna ad una moneta unica che allora sarebbe stato il marco e adesso è l’euro. Alla metà degli anni ’30 la stabilità degli scambi commerciali con l’estero era stata raggiunta in Germania mediante accordi bilaterali di clearing che consentivano di scambiare le merci senza “consumare” moneta perché le importazioni, non coperte da esportazioni, venivano contabilizzate in una “stanza di compensazione” e rinviate al futuro, senza interessi, in attesa d’essere saldate con esportazioni a venire. A seguito dei successi militari del 1940 una sua evoluzione venne ritrovata nella compensazione multilaterale tra le nazioni progressivamente alleate o conquistate, così che se la Germania si trovava con un debito verso A ma pure con un credito verso B, B pagava A e la Germania era libera dal debito senza nessun movimento di valuta.
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Il giudice: l’euro condanna a morte l’Italia antifascista
Il trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».Una volta attuate, dichiara Barra Caracciolo ad “Abruzzo Web”, le democrazie costituzionali contemporanee portano a una crescita incrementata programmaticamente da un intervento pubblico «che è, prima di tutto, correttivo dell’assetto di forze che il capitalismo tende a creare». Un assetto «redistributivo verso la parte più debole, e largamente maggioritaria, della comunità sociale». L’effetto di questa correzione statale è che «tutti stanno meglio», perché la priorità indiscutibile è «la soddisfazione dei bisogni collettivi, non certo la stabilità finanziaria intesa come garanzia della intangibilità dei profitti del capitalismo finanziario». La democrazia moderna quindi “aiuta” la maggioranza, non i privilegiati, e questo «non sta bene a chi sta in cima alla piramide», anche perché la crescita del benessere diffuso «comporta una crescita culturale della massa e fa sì che questa abbia maggiore peso politico», contrastando le élite che tendono invece a condizionare i governi dall’alto del loro potere economico. Ed ecco spiegata l’attuale Ue con la sua Eurozona: sbaraccare lo Stato democratico e restituire il potere all’oligarchia, secondo uno schema pre-moderno, neofeudale.Certo, chi è a favore dell’euro spara a zero contro l’Italia, considerata incapace di intercettare al meglio i fondi europei. Errore, interviene il magistrato: i fondi europei sono nel bilancio dell’Ue ma non dell’unione monetaria, «che è stata deliberatamente creata senza un bilancio fiscale federale: i trattati non offrono strumenti compensativi degli squilibri interni all’area euro, e le dimensioni dei cosiddetti fondi Ue sono assolutamente inadeguate al Pil europeo». Ogni altro sistema federale al mondo – Usa, Canada, la stessa Germania – dispone di ben altro budget. Dato il peso economico dell’Europa, secondo l’economista francese Jacques Sapir servirebbe un bilancio federale europeo paragonabile a quello degli Stati Uniti. «Ma di questo bilancio, la Germania dovrebbe sopportare un peso pari a 8-9 punti del proprio prodotto interno lordo: un risultato semplicemente impensabile, e certamente respinto senza equivoci dalla stessa Germania».Dall’Unione Europea (non dall’area euro) si ripete che agli Stati come l’Italia viene semplicemente “restituita”, in parte, una somma che gli Stati hanno già versato. Per effettuare questa contribuzione netta, dati i vincoli di bilancio (drastica limitazione del deficit, fino all’attuale vincolo al pareggio di bilancio), «dobbiamo sostanzialmente rinunciare ai programmi pubblici previsti dalla nostra Costituzione» dice Caracciolo. «L’Unione Europea, in pratica, ne vieta la piena attuazione nei livelli solidaristici da essa previsti, non si scappa. Insomma, diamo dei soldi e ne riceviamo di meno, il meccanismo è questo. Le priorità, poi, vengono pianificate a livello eurocentrico, secondo finalità settoriali, ben diverse da quelle previste dalla nostra Costituzione». Cifre: ogni anno, secondo la Corte dei Conti, sono oltre 6 miliardi in meno che riceviamo rispetto alla nostra contribuzione. Inoltre, per la stabilizzazione della moneta unica – cioè degli squilibri creati dall’euro – solo negli ultimi tre anni abbiamo dovuto pagare, a vario titolo ed emettendo debito pubblico aggiuntivo (che ci viene poi rimproverato come “colpa”, costringendoci a ulteriori dosi di austerità) oltre 53 miliardi, tra cui i 10 miliardi di soccorsi bilaterali concessi a Spagna e Grecia.Ma anche spendendo per sostenere i paesi più deboli, l’Unione Europea non fa la cosa giusta, nel modo giusto: «I fondi accumulati per tenere su i sistemi bancari greci o spagnoli non sono stati usati per incrementare i bilanci di intervento sull’economia reale di quei paesi, ma vengono direttamente dati in pagamento alla Bce», che compra – da Francia e Germania – i titoli di Stato spagnoli e greci Parigi e Berlino avevano acquisito. Oppure, gli “aiuti” vengono immediatamente girati dagli Stati debitori al sistema bancario dei paesi creditori, quello tedesco in primis. In ogni caso, data la sua esiguità, per un vero “salvataggio” non sarebbe sufficiente neppure il fondo del Mes, il meccanismo europeo di stabilità. E così, nel frattempo le tasse aumentano: «Dall’assetto giuridico attuale non possiamo attenderci che una continua progressione della pressione fiscale», dice Barra Caracciolo. Una super-tassazione, «spesso artificiosa e contraria alla Costituzione», realizzata sia attraverso la moltiplicazione del tipo di imposte, sia attraverso «il continuo allargamento normativo delle basi imponibili», che però tendono a contrarsi dato che siamo in recessione.Uno dei drammi italiani è proprio il crollo della domanda interna di consumi, che aggrava il debito perché riduce il gettito fiscale e compromette il futuro: «Se non c’è più domanda interna, non c’è incentivo alcuno a fare nuovi investimenti in Italia. Chi vorrebbe produrre non lo fa perché non ci sono prospettive di vendere il prodotto, e il carico fiscale rende difficile immaginare anche la convenienza dell’esportazione». Per il magistrato, «siamo nel pieno della visione neoclassica dell’economia», quella della destra economica. «Siamo praticamente in stagnazione dal 1992». Già all’epoca del Trattato di Maastricht «era evidente che non si potesse tollerare un vincolo di cambio e di bilancio fiscale del genere e mantenerlo insieme alla crescita». L’euro – moneta rigida e non sovrana – non può che deprimere l’economia, tagliando le gambe all’unico possibile volano risolutivo, l’intervento statale: in una situazione di crisi, senza investimenti pubblici il settore privato crolla.«In un’economia liberista come quella dell’area euro, fondata sulla lotta all’inflazione e sulla limitazione dell’intervento pubblico, si finisce nella trappola della liquidità», spiega Luciano Barra Caracciolo. «Anche se i tassi praticati dalla banca centrale sono vicini allo zero, i soldi rimangono là, fermi. E i risparmi fermi non si trasformano in investimenti». Questo viene regolarmente imputato «alla mancanza di produttività del lavoro, che viene ulteriormente compresso nel salario: ciò che chiamano “riforme strutturali”», dalla riforma Fornero al Jobs Act di Renzi, dopo il pacchetto Treu del primo governo Prodi e poi la legge Biagi. Secondo Giulio Sapelli, siamo sull’orlo di una guerra. In realtà, la competizione tra Stati è già esplosa: avremmo dovuto cooperare, ma è lo stesso Trattato di Maastricht a parlare di “economia sociale di mercato fortemente competitiva”, prefigurando quindi «una competizione tra Stati per la supremazia sul mercato unico».Eccoci qua: «Privi di governo federale e di sovranità monetaria, stretti da vincoli di bilancio che escludono ogni autonoma politica economica e industriale nazionale, gli Stati non hanno più la parte essenziale della sovranità. Ma quella sovranità, sottrattagli ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione per consentire di aderire a un’organizzazione internazionale, non è poi esercitata da nessuno, in termini di politiche di interesse generale dei popoli. È come se ci fosse un buco nero in cui la sovranità si disperde». Gli Stati della nuova Europa? «Devono competere tra loro, altre vie non vengono indicate». Secondo Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia, tutto questo non porta sviluppo: si può anche vincere sulle esportazioni, ma nessuno vince se si vuole realizzare questo obbietivo tutti insieme simultaneamente. Risultato: zero crescita comune, proprio grazie alla perduta sovranità “dispersa nel nulla”. L’export in ogni caso non è la soluzione: «Le esportazioni si mandano avanti comprimendo domanda interna e salari: quindi, negli effetti sociali, siamo in guerra», sottolinea Caracciolo. «Chi perde si trova di fronte a perdite epocali e a un impoverimento che diviene irreversibile».Apriamo gli occhi, aggiunge il magistrato: «Non è l’euro ad aver garantito la pace: semmai è uscire dall’euro che porterebbe finalmente a una “pace”, intesa come armonizzazione cooperativa sul piano commerciale e industriale, che oggi non c’è perché è appunto incentivata una guerra commerciale-finanziaria dalla stessa struttura istituzionale della non-politica monetaria accentrata nella Bce». A questa analisi, la propaganda comune – e i mezzi di informazione di massa – replicano nel solito modo, cioè puntando il dito contro i presunti vizi italiani: non abbiamo mai saputo governarci bene, quindi non cresceremmo nemmeno in caso di uscita dall’euro. Il che è falso, puntualizza il giudice: «L’Italia se la cavava benissimo, riuscendo a stare almeno alla pari di Francia e Inghilterra, con una struttura industriale più dinamica». Fino all’irruzione dello Sme, il sistema monetario europeo e quindi il “vincolo esterno” alla spesa pubblica, «la realtà economico-industriale italiana non era affatto quella mostruosità che è stata dipinta ad arte da chi voleva “ridimensionare” l’Italia». Cifre alla mano, Bara Caracciolo smentisce i pro-euro: tra gli anni ‘70 e gli ‘80 l’Italia aveva una bassa spesa pubblica, inferiore di 10 punti alla spesa tedesca.C’era un deficit strutturale, certo, «ma il deficit non è un in sé un elemento negativo per il prodotto interno lordo», visto che corrisponde «all’immissione pubblica di moneta nel sistema», cosa che da noi «ha generato un grande risparmio privato», il primo d’Europa: gli italiani, in altre parole, si sono arricchiti anche grazie all’azione strategica dello Stato, che ha “speso a deficit per i cittadini”, aziende e famiglie, permettendo al sistema-paese di svilupparsi nel modo che abbiamo visto. Il debito pubblico? Altra mistificazione: nel 1981, al momento del divorzio fra Tesoro (Andreatta) e Banca d’Italia (Ciampi), il debito era appena al 58%, sottolinea Barra Caracciolo. Poi è esploso, quando è stato affidato ai titoli di Stato sul mercato finanziario privato, imbrigliando lo Stato prima con lo Sme – tassi di cambio a oscillazione limitata – e infine con l’euro, moneta iper-rigida che ci vincola «a realtà economiche come la Germania, strutturalmente inconciliabili con la nostra». Morale: «Sottraendo deficit e debito dalle mani dello Stato sovrano, si è avuta un’esplosione degli interessi». Non a caso, naturalmente: «Già in quel momento hanno cominciato ad arricchirsi minoranze di privati che sono diventati i sottoscrittori privilegiati di questo debito a interessi superiori al livello dell’inflazione, determinandosi un trasferimento a loro favore dei soldi dei contribuenti».Uno dei refrain del centrosinistra – da Prodi a Renzi – è la necessità di tagliare la spesa pubblica. E’ solo «una scusa», replica Luciano Barra Caracciolo. «In termini assoluti la spesa italiana non è mai stata alta, era sotto controllo: il problema del deficit era in realtà dovuto alla pressione fiscale relativamente bassa rispetto agli altri paesi europei come Francia e Germania», con in più una vasta evasione fiscale. Con Maastricht, si è cercato di “rimediare” aumentando la pressione fiscale su tutte le categorie produttive. Questo, insieme al cambio sfavorevole (l’euro troppo “forte”) e al venir meno del sostegno pubblico (il taglio del deficit) ha provocato «il blocco dello sviluppo industriale», cioè la grande crisi italiana, sottoposta allo choc improvviso della moneta unica, del rigore fiscale e della fine del sostegno pubblico. Il problema dunque non è l’Italia, ma questa Unione Europea. Il famoso malgoverno italiano? «Non era peggiore di altri ordinamenti in competizione, come Francia e Germania», e in ogni caso gli illustri tangentocrati del passato non hanno certo impedito al paese di svilupparsi rapidamente, arricchendo famiglie e aziende. «Capiamoci bene», insietre Caracciolo: «Con le attuali politiche fiscali, e specialmente col pareggio di bilancio, si azzererà il risparmio privato delle famiglie».«È un fatto di contabilità nazionale, non si può non capire un concetto così elementare», continua il magistrato. «Se devo tenere il deficit sotto un certo limite, si deve comprimere la domanda fino a provocare la recessione». Ma attenzione: il deficit non è un problema. Al contrario: «E’ il risparmio del settore privato». Sono soldi che lo Stato spende per cittadini e aziende. Se invece si taglia, e quindi si comprime la domanda interna di beni e servizi, il saldo arriva allo zero. Pareggio di bilancio, appunto. Così, l’onere degli interessi viene trasferito «nelle mani di chi detiene il debito pubblico», cioè «non certo le famiglie, ormai marginalizzate». Peggio ancora: «Col pareggio di bilancio si arriverà addirittura a un risparmio negativo: per fronteggiare la vita e le tasse, i cittadini dovranno vendere i propri beni patrimoniali, intaccando lo stock di risparmio. Questi beni andranno in sovraofferta, e i prezzi caleranno drammaticamente. Guardate i prezzi degli immobili, già in aperta flessione. In vent’anni di Fiscal Compact i valori reali saranno ridotti almeno a un terzo rispetto ai picchi della metà degli anni 2000. Alla fine del processo saremo tutti più poveri».E mentre il Pd continua a chiedere “più Europa”, proponendo il tedesco Martin Schulz alla guida dell’Ue, «si sta deindustrializzando l’Italia: la Germania su tutte vuole controllarla, in quanto sua principale concorrente industriale nell’area euro». Obiettivo: fare del nostro paese «una gigantesca fabbrica-cacciavite, a bassi salari, progressivamente decrescenti». Insiste il giudice: «La Germania non vuole un’Italia viva e vitale, proprio perché è il principale concorrente sul mercato unico. Fingendo di non volerci – come confermano le posizioni di Helmut Kohl durante la trattativa finale per l’introduzione dell’euro – costrinse l’Italia a entrare nella moneta unica, sapendo di poterla neutralizzare definitivamente nella sua competitività grazie al livello di cambio impostoci per sempre». Certo, televisioni e giornali non hanno certo aiutato gli italiani a capire quello che stava accadendo: «Gli editoriali italiani degli ultimi trent’anni sui più importanti quotidiani ci hanno detto enormi bugie, falsificando il senso economico del deficit e della spesa pubblica. Un lavoro ben orchestrato dai padroni finanziari. Colpevolizzando gli italiani e l’Italia spendacciona siamo arrivati alla povertà: dovevamo espiare i peccati e rinunciare a tutti i nostri diritti sociali. In Europa funziona così». Alla Bce è vietato espressamente di sostenere gli Stati e l’occupazione. «Se non cambiamo è la fine: di tutti».I trattati europei violano apertamente la Costituzione italiana, vanno in direzione diametralmente opposta: per la nostra Carta, «scritta da persone che avevano fatto la Resistenza e preso atto dell’anti-socialità di un certo capitalismo», la spesa sociale (deficit) è il “mestiere” dello Stato: «L’essenza stessa delle democrazie è la garanzia del benessere a lungo termine, che c’è solo con la piena occupazione della forza lavoro». L’euro e gli eurocrati fanno esattamente il contrario: costringono lo Stato a tagliare la spesa sociale, cioè a tradire la propria missione costituzionale. Lo afferma un magistrato, Luciano Barra Caracciolo, già membro del Consiglio di Stato, impegnato a smascherare l’impostura della governance Ue, affidata a tecnocrati al servizio dell’élite finanziaria. Personaggi che colpevolizzano paesi come l’Italia, che in realtà versa a Bruxelles molto più di quanto non riceva. E’ il gioco sporco dell’oligarchia: «Tanto più si privilegia il capitale nella sua dimensione finanziaria, tanto più si sacrifica il livello di benessere generale e si sposta la ricchezza nelle mani di pochi».
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Scarpinato: la crisi aumenta il potere del sistema-mafia
Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Gemania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.L’oscenità del potere? E’ l’impostura culturale che la mafia è solo una storia di brutti sporchi e cattivi, di cui sono protagonisti personaggi come Riina, Provenzano o i casalesi. La realtà è che, tranne un breve periodo che dura dal 1980 al 1990, i più grandi capi della mafia sono sempre stati borghesi. Il capo della mafia di Corleone, prima di Riina e Provenzano, era un medico chirurgo: il dottor Michele Navarra. La lezione della storia ci insegna che in questo paese nessuno – fosse di centro, destra o sinistra – ha mai potuto governare senza venire a patti con questo blocco sociale che è anche il principale responsabile del sottosviluppo del Mezzogiorno, della privazione sistematica delle risorse. Situazione che oggi è più grave: a causa di fattori macrosistemici come l’avanzare del federalismo fiscale, il tetto massimo stabilito alla spesa pubblica dopo il Trattato di Maastricht e altri fattori di crisi economica, il Sud precipita sempre di più in una situazione di degrado economico, la forbice del differenziale tra Nord e Sud aumenta, una parte del Nord tende a staccarsi per seguire la locomotiva del Nord Europa e abbandonare il Sud al suo destino.Questo Sud privato di risorse avrà il problema di garantire a milioni di persone di mettere insieme il pranzo e la cena. In assenza di spesa pubblica, il pericolo è che per evitare che il Sud diventi una polveriera sociale ci si affida all’economia alternativa del crimine, cioè che il Sud diventi un’enorme zona di no-tax, una sorta di Singapore del Mediterraneo, dove l’economia si genererà grazie al porto franco, all’afflusso di capitali sporchi, alle case da gioco, alla benzina defiscalizzata e quant’altro. Noi continuiamo ad avere un Parlamento, consigli regionali, governi e organi rappresentativi affollati di persone che sono state condannate per mafia, e che nonostante ciò restano degli “intoccabili”. Continuiamo ad avere quella che poco fa ho chiamato borghesia mafiosa, che è un pezzo importante di classe dirigente, ed è il vero terreno su cui si gioca il futuro della lotta alla mafia.Nel libro “Il ritorno del Principe” leggo il sistema di potere mafioso attraverso la lente dei “Promessi sposi”: non ci si può illudere di sconfiggere la mafia arrestando solo i Bravi. Rispetto a quella legale dello Stato, l’offerta sociale mafiosa prospera quando le persone non hanno la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti, quando sono costrette a piegarsi per avere un lavoro, per avere un minimo di dignità sociale, quando uno Stato non è in grado di offrire occupazione e pari dignità ai cittadini. È allora che molta gente è spinta a mettersi nelle mani della mafia, che quantomeno garantisce una sopravvivenza economica.(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate ad Antonello Castellano per l’intervista “Il lato osceno del potere”, apparsa su “Narcomafie” e ripresa da “Megachip” il 22 aprile 2014. Magistrato antimafia, Scarpinato ha firmato con Saverio Lodato il libro “Il ritorno del Prinicipe”, edito da Chiarelettere).Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini. Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti. La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Germania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la S maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.
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La crisi europea alle urne, voto-contro e astensionismo
Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.Altri, meno pessimisti, sperano che l’establishment di Bruxelles – espressione della Bundesbank e della Bce – possano prendere buona nota degli avvertimenti che, stando ai sondaggi, il voto del 25 maggio riserverà: non tanto in Germania, quanto soprattutto in Francia e in Gran Bretagna, dove è attesa una forte affermazione di Marine Le Pen e Nigel Farage. Determinante l’eventuale successo dei no-euro in Francia: se non si tornerà alla leva fondamentale per finanziare la democrazia, cioè la sovranità monetaria, la Le Pen minaccia l’uscita della Francia dall’Ue. Insieme a Londra, Parigi sembra destinata a trainare un fronte molto vasto, che passa per l’Olanda e l’Austria: formazioni politiche generalmente definite nazional-populiste, ovviamente “di destra”, si incaricano di rappresentare il dilagante malcontento per una crisi sempre più spietata, mentre il centrosinistra europeo (Spd, socialisti francesi e Pd) restano il più solido puntello del micidiale euro-sistema, che precarizza il lavoro in ossequio al neoliberismo finanziario anglosassone e al mercantilismo tedesco.Nel frattempo, la superpotenza americana imbriglia l’Europa tra le maglie del Ttip, il Trattato Transatlantico che potrebbe metter fine agli ultimi capolsaldi del dritto costituzionale europeo in materia di ambiente, lavoro, sanità e sicurezza alimentare, mentre – dopo aver minacciato la Siria e l’Iran – ora affronta direttamente la Russia sul piano geopolitico militare, puntando soprattutto ad accerchiare la Cina con una inedita proiezione nel Pacifico. Secondo Barnard, solo il nuovo capitalismo di Pechino – fondato sulle immense riserve russe di gas e petrolio a sorreggere lo yuan come futura moneta internazionale – potrebbe innescare un benefico terremoto macro-economico in grado di mandare a monte i piani degli euro-oligarchi, che da trent’anni lavorano per metter fine alla sovranità democratica in Europa e alla nostra economia sociale. Un orizzonte sul quale, evidentemente, è impensabile che possa incidere il risultato elettorale per le europee. Che, almeno per l’Italia, sembra destinato essenzialmente al mercato politico interno, cioè il derby Renzi-Grillo. L’Italia non è mai stata male come adesso, e non c’è più neppure l’alibi del detestato Cavaliere. Quanto peserà il partito del non-voto?Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cioè Lega Nord e Fratelli d’Italia: sono i due partiti che puntano le armi con più decisione contro l’euro-regime che ha imposto l’austery, portando l’Italia sull’orlo del collasso. Altri, come la Lista Tsipras, mirano invece a correggere il rigore di Bruxelles, senza mettere in discussione il Trattato di Maastricht, quindi l’euro, sul quale Grillo – accreditato all’estero come forza euroscettica – propone di indire un referendum, limitandosi per ora (come Tispras) a dichiarare guerra al Fiscal Compact. Tra gli opinion leader, il più acuto nel proporre un’analisi organica sulla devastante crisi europea è Paolo Barnard, che denuncia la barbarie del neo-feudalesimo di Bruxelles, storicamente organizzata dalle grandi famiglie dell’élite oligarchica franco-tedesca, ostili alla democrazia e quindi a qualsiasi economia sociale. Soluzioni politiche? Nessuna: Barnard è tra quanti considerano le elezioni europee perfettamente inutili, dato che l’Europarlamento continuerà a non avere nessun potere sul governo dell’Unione.
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Euro-nazisti, negano la strage. Hitler era meno bugiardo
Quattro milioni e 68.250: è il numero delle persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel 2013, con un aumento del 10% sull’anno precedente. Lo ha calcolato la Coldiretti, analizzando il piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti realizzato dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in riferimento ai dati Istat sulle famiglie rimaste senza reddito. Notare che si tratta di cifre ufficiali, approssimate per difetto, visto che non tengono conto di chi ha chiesto aiuto attraverso canali informali, cioè amici e parenti. Un dato destabilizzante, rileva “Come Don Chisciotte”, nonostante sia stato sostanzialmente oscurato dai media mainstream. Colpo d’occhio: «Se mettessimo in fila quelle persone, dando a ciascuna soltanto mezzo metro di spazio, si formerebbe una fila che parte da Reggio Calabria e finisce a Bruxelles», ovvero la città «in cui ha sede il meccanismo di dominazione tirannica basato sullo smantellamento delle istituzioni democratiche e sull’impoverimento generalizzato che si definisce Unione Europea».Si può calcolare che, «per ciascuno di quelli che hanno chiesto un pasto caldo o il pacco alimentare, ci sia solo un’altra persona a condividerne in qualche modo o a subirne di riflesso le sofferenze: giusto quanti ne bastano per far sì che quella fila, una volta arrivata a Bruxelles, possa tornare indietro fino a Reggio Calabria». E se agli italiani costretti a umiliarsi aggiungiamo milioni di cittadini Ue, ridotti in miseria dalla moneta unica? «A quel punto, il continente che un tempo possedeva il più avanzato e inclusivo sistema di welfare – e per questo era universalmente stimato e rispettato come quello in cui la sua civiltà millenaria si esprimeva al livello più alto – si vedrebbe attraversato in ogni direzione da file di diseredati, lunghe migliaia e migliaia di chilometri», scrive “Clack” su “Come Don Chisciotte”. «Se i progetti grandiosi della Ue, come i cosiddetti corridoi ferroviari trans-europei ad alta velocità che avrebbero dovuto attraversare il continente da un lato all’altro sono rimasti in gran parte sulla carta, in compenso l’Europa reale ha realizzato file ancora più lunghe di poveri, disoccupati e affamati, e ha fatto in modo da distribuirle sul territorio in maniera persino più capillare».Solo la Seconda Guerra Mondiale, aggiunge il blog, è stata capace di produrre qualcosa di simile: le conseguenze della moneta unica sono paragonibili a un evento bellico di quella portata. «Negli Stati che dovrebbero essere affratellati dai trattati di unione si sta effettivamente combattendo una guerra», con mezzi «forse più micidiali dei carri armati, essendo capaci di produrre danni ancora maggiori». Tutto questo per che cosa? «Per dare soddisfazione alla patologia di accumulazione compulsiva di un branco di oligarchi, e il doveroso compenso ai politici al loro servizio», politici «non eletti da nessuno» ma con un potere da usare «nella realizzazione del più micidiale strumento di devastazione sociale e istituzionale oggi conosciuto, quello che risponde al nome di euro». Sicché, «di fronte a un disastro simile, causato deliberatamente, il capo del terzo governo fantoccio che si succede in Italia in poco più di due anni non trova di meglio che rispondere con l’elemosina degli 80 euro una tantum», che peraltro «dovranno essere ripagati mediante misure più costose e permanenti, come al solito a spese dei redditi medio-bassi».Quella somma andrà a chi ha già una busta paga, per quanto misera. Viceversa, chi non ha niente – ovvero il milione e più di famiglie senza reddito – non avrà nulla. «Questo in base alla logica consolidata negli anni che prevede l’abbandonare al proprio destino la fascia dei più bisognosi, di giorno in giorno più ampia». Per “Clack”, è «il principio fondamentale della politica sociale dei partiti di falsa sinistra, da decenni intenta alla spoliazione e all’impoverimento generalizzato dei ceti subalterni». Quei partiti – Pd in testa – si sono «messi al servizio delle élite per eseguire le politiche più oltranziste della destra finanziaria», che sono lo strumento per realizzare «gli obiettivi propri del capitalismo assoluto», anche di fronte all’opinione pubblica si tenta sempre di «nascondere le responsabilità oggettive di chi ha precipitato nelle condizioni attuali un paese che, prima della moneta unica, era ai vertici delle classifiche dei paesi manifatturieri e caratterizzato da un benessere diffuso con equità ragionevole». Torniamo al potere assoluto dell’élite, al tempo i cui, in Colorado, i Rockefeller facevano strage delle famiglie dei minatori, che chiedevano condizioni di vita meno disumane.Autori ed esecutori della restaurazione iper-capitalistica e della conseguente macelleria sociale oggi in atto? Sono «nazisti, moderni Mengele», anche se questo può «apparire come la più inaccettabile delle enormità, alle anime belle e tanto volenterose del progressismo nostrano, fedele seguace della sinistra asservitasi al fondamentalismo reazionario del liberismo globalizzato». Nel mondo occidentale si viene ammaestrati fin dalla più tenera età a riconoscere il nazismo come il male assoluto per definizione, inarrivabile per ogni altra cosa. Ma se il nazismo «agiva in nome e per conto del proprio Stato», sia pure con metodi abominevoli, la classe politica di oggi «opera su mandato di poteri esterni, dei quali si è fatta collaborazionista, o meglio fantoccio». Inoltre, «il nazismo riconosceva la propria natura, non aveva problemi a palesarla», viceversa «i moderni sgherri dell’assolutismo iper-capitalista si mascherano vilmente dietro le loro teorie deliranti», ripetute fino a renderle dogma, «dietro la facciata delle istituzioni democratiche che nel frattempo hanno provveduto a sovvertire, svuotandole».Proprio l’essersi palesate in quanto tali è stato il primo punto debole di quelle dittature, aggiunge il blogger, che non a caso a suo tempo sono state finanziate molto generosamente dalle banche controllate da chi oggi persegue il disegno di dominazione globale. Le dittature storiche le guerre le dichiaravano, combattendo alla luce del sole, mentre i tiranni di oggi «muovono guerre invisibili ma ancora più micidiali, che sovente hanno per vittima il loro stesso Stato o quelli con cui si è legati da trattati di unione o amicizia». Se il nazismo non temeva l’evidenza delle sue azioni, l’istinto dei dominatori attuali è quello, innanzitutto, di nascondersi, mentire, non ammettere i loro obiettivi. E’ una «cripto-dittatura», ben più pericolosa e devastante «proprio perché praticamente invisibile». Continua “Come Don Chisciotte”: «Definire nazisti gli autori dell’odierno massacro sociale, dunque, è fuorviante ma soprattutto riduttivo». Già Orwell, in “1984”, segnalava la mancanza di vocaboli adeguati a definire un totalitarismo pervasivo e subdolo, non dichiarato. E’ questo il vero capolavoro dell’élite: l’uomo comune – la sua vittima – non sa neppure cosa stia accadendo. Come potrebbe difendersi dall’aggressione?Quattro milioni e 68.250: è il numero delle persone che in Italia sono state costrette a chiedere aiuto per mangiare nel 2013, con un aumento del 10% sull’anno precedente. Lo ha calcolato la Coldiretti, analizzando il piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti realizzato dall’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, in riferimento ai dati Istat sulle famiglie rimaste senza reddito. Notare che si tratta di cifre ufficiali, approssimate per difetto, visto che non tengono conto di chi ha chiesto aiuto attraverso canali informali, cioè amici e parenti. Un dato destabilizzante, rileva “Come Don Chisciotte”, nonostante sia stato sostanzialmente oscurato dai media mainstream. Colpo d’occhio: «Se mettessimo in fila quelle persone, dando a ciascuna soltanto mezzo metro di spazio, si formerebbe una fila che parte da Reggio Calabria e finisce a Bruxelles», ovvero la città «in cui ha sede il meccanismo di dominazione tirannica basato sullo smantellamento delle istituzioni democratiche e sull’impoverimento generalizzato che si definisce Unione Europea».