Archivio del Tag ‘Mark Zuckerberg’
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L’Ue minaccia il web: non avrete altra verità che la nostra
E’ da un anno e mezzo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti preparano il terreno. E ora ci siamo: tra non molto avremo una rete di fact-checkers, naturalmente indipendenti, naturalmente rispettosi di un rigoroso codice etico e naturalmente dediti alla causa suprema: la lotta alle fake news, ovvero al mostro che agita i sonni dell’establishment. Tutto questo, in realtà, come ripeto da tempo, ha un solo scopo: legittimare l’introduzione della censura, limitare l’impatto e la diffusione di idee non mainstream, naturalmente negando che di censura si tratti. Ma così sarà: non c’è vera democrazia quando qualcuno si arroga il diritto di decidere cos’è vero e cos’è falso, e rendendo inviolabile e sacra, quella che in realtà una pericolosissima forma di strabismo, perché si addita solo una parte del problema, le fake news veicolate dai social media, e si ignora il vero scandalo, che è rappresentato dalla manipolazione delle notizie creata all’interno dei governi, il cui impatto è infinitamente superiore. Qualunque frottola sulla Siria, sull’Ucraina, sulla Grecia resta rigorosamente impunita, purché abbia origine dentro a un’istituzione; proprio quelle istituzioni che ora pretendono, per il nostro bene, di limitare i confini della libertà di espressione.L’Unione Europea ieri ha compiuto un altro fatale passo, annunciando misure “propedeutiche”, in attesa di ulteriori “messe a punto”, già annunciate per dicembre. L’impostazione è soft, per non allarmare le masse, e infatti pochi media ne hanno parlato; l’esito, però, è scontato. Non può essere altrimenti quando si annuncia, come ha fatto il commissario Ue alla sicurezza Julian King, che «la manipolazione della pubblica opinione attraverso le fake news è una minaccia reale alla stabilità e alla coesione delle nostre società europee», annunciando «la creazione prima dell’estate di una rete europea indipendente di fact-checkers e a settembre di una piattaforma europea sulla disinformazione per aiutarli nel loro lavoro. Inoltre Bruxelles lancerà un nuovo bando quest’anno per la produzione e la diffusione di informazione di qualità sull’Ue attraverso notizie fondate sui dati». Già, ma quali verifiche? Quali dati? Quelli certificati da Macron o dal Dipartimento di Stato americano che hanno deciso di bombardare la Siria senza prove, solo sulla base di notizie riportate dai media e dai social media? Quelli diramati da Ong che pur presentandosi come non governative in realtà sono finanziate dai governi occidentali, diventando uno strumento dissimulato ma molto efficace nell’ambito delle moderne guerre asimmetriche?King ha varato anche misure per i social media da Facebook e Twitter, proprio mentre Zuckerberg, al Parlamento Europeo, annunciava la creazione di un piccolo esercito di ventimila guardiani per garantire la correttezza delle “elezioni europee del 2019”, ovvero per togliere linfa e visibilità a idee e movimenti sovranisti e critici nei confronti della Ue. Dunque per limitare dall’alto la libertà d’opinione, come accade solo nei regimi autoritari. Purtroppo si conferma lo scenario che abbiamo delineato Alberto Bagnai, Vladimiro Giacché e il sottoscritto, durante l’affollatissima conferenza che si è svolta sabato scorso a Roma, organizzata da “L’intellettuale Dissidente” e dall’associazione “a/simmetrie”. Una conferenza che ha suscitato l’entusiasmo de presenti e che potete seguire grazie a “Byoblu” di Claudio Messora, che l’ha filmata. La battaglia che si profila per un’informazione davvero libera sarà dura, molto dura. E avremo bisogno, come non mai, del vostro sostegno.(Marcello Foa, “Ci siamo: la Ue crea una rete di censori. La libertà d’opinione è in pericolo!”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 27 aprile 2018. Nel video realizzato da “ByoBlu”, la conferenza romana con Foa, Bagnai e Giacché).E’ da un anno e mezzo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti preparano il terreno. E ora ci siamo: tra non molto avremo una rete di fact-checkers, naturalmente indipendenti, naturalmente rispettosi di un rigoroso codice etico e naturalmente dediti alla causa suprema: la lotta alle fake news, ovvero al mostro che agita i sonni dell’establishment. Tutto questo, in realtà, come ripeto da tempo, ha un solo scopo: legittimare l’introduzione della censura, limitare l’impatto e la diffusione di idee non mainstream, naturalmente negando che di censura si tratti. Ma così sarà: non c’è vera democrazia quando qualcuno si arroga il diritto di decidere cos’è vero e cos’è falso, e rendendo inviolabile e sacra, quella che in realtà una pericolosissima forma di strabismo, perché si addita solo una parte del problema, le fake news veicolate dai social media, e si ignora il vero scandalo, che è rappresentato dalla manipolazione delle notizie creata all’interno dei governi, il cui impatto è infinitamente superiore. Qualunque frottola sulla Siria, sull’Ucraina, sulla Grecia resta rigorosamente impunita, purché abbia origine dentro a un’istituzione; proprio quelle istituzioni che ora pretendono, per il nostro bene, di limitare i confini della libertà di espressione.
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Reddito di cittadinanza: è il piano (infernale) degli oligarchi
Mark Zuckerberg non ha bisogno di presentazioni: mister Facebook vale 64 miliardi di dollari. Altro paperone-prodigio: il sudafricano Elon Musk, patron di Tesla e Space-X. Cos’hanno in comune, a parte i giacimenti aurei? La fede nel reddito di cittadinanza. La pensano così anche l’americano Richard Branson della Virgin e il canadese Stewart Butterfield, l’inventore della banca-immagini Flickr e di Slack, applicazioni per messaggerie. Uomini d’oro e potenti oligarchi, improvvisamente anche umanitari: si stanno battendo a favore del reddito di base garantito, osserva Chris Hedges, a lungo corrispondente estero del “New York Times”. «Sembra che siano dei progressisti e che esprimano queste loro proposte con parole che parlano di morale, prendendosi cura degli indigenti e dei meno fortunati». Ma dietro questa facciata, scrive Hedges, c’è una cruda consapevolezza: soprattutto la Silicon Valley «vede un mondo – quello che questi oligarchi hanno contribuito a creare – tanto iniquo che i consumatori di domani, che dovranno sopportare la precarietà del lavoro, salari sotto i minimi, l’automazione e la schiavitù di un debito che blocca tutto, non saranno in condizione di spendere abbastanza per comprare i prodotti e i servizi offerti dalle grandi corporations».
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Esultanza immortale: gran bel video, il palestinese colpito
«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come per un goal sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?Odio, macelleria e menzogne. L’industria delle fake news. «Assad è un animale», proclama l’autorevole zoologo Donald Trump, rifiutando però un’indagine dell’Onu che chiarisca chi ha usato davvero le armi chimiche, nella zona siriana della Ghouta, la stessa in cui – come appurato proprio dalle Nazioni Unite – furono i “ribelli” a gasare civili siriani, sperando di innescare la vendetta del giustiziere Obama. Stesso copione nel replay di qualche tempo fa, nel nord della Siria: sono i “ribelli” a detenere quegli arsenali tossici, basta una cannonata finita su un deposito per fare una strage. Da dove vengono molti di quei gas? Dalla Libia del dopo-Gheddafi, hanno svelato fior di inchieste giornalistiche. Ne sapeva qualcosa l’ambasciatore americano di Bengasi, saltato in aria con la dinamite, insieme ai suoi carteggi imbarazzanti elettronici con la Clinton, che a sua volta “sbianchettò” le email, azzerando le memorie dei suoi server. Qualcuno vuole che sia l’Onu a fare luce sull’ultimo massacro? Ingenui: la verità è ormai una barzelletta, dosata a rate dal telegiornale in modo smart, in mezzo alla pubblicità. E la strage impunita è figlia di quella precedente, la macelleria non raccontata. L’omissione è menzogna. Per noi è solo un’opinione, per altri è la strada che porta al cimitero.L’ultimo grande voto, in Medio Oriente, fu quello che volò con la pallottola diretta al cranio di Yitzhak Rabin. Dopo di allora fu archiviata la pratica palestinese, la storiella umoristica dei due Stati gemelli. Un imponente smottamento: le false primavere, la grandine di fosforo su Gaza. E i tagliagole in costume medievale sceneggiati a Hollywood, pagati e armati fino ai denti, protetti da droni onniveggenti. Putin e l’Iran, l’abominevole Erdogan socio dell’Isis, spalleggiato da una Nato clandestinamente a zonzo sulle alture della Siria, bombardate dai caccia israeliani in violazione di qualsiasi legge. La verità non interessa più, è insopportabile: come l’antico marinaio cui dà voce Coleridge, che tenta di convincere gli increduli gettando loro in faccia l’immane ferocia del naufragio. E se qualcuno poi dovesse sopravvivere, in ogni caso non sarà mai creduto: era il cinismo sfrontato dei nazisti, a tormentare Primo Levi. La verità è una pattuglia di scolari in gita, sorpresi a festeggiare mentre sparano su gente disarmata, filmando le balistiche prodezze in un’allegra gara di barbarie. Un video come quello può valere tonnellate d’odio, sangue futuro sparso a orologeria. Jeremy Corbyn, da Londra, è l’unico a suonare le dolenti note del poeta: peggio per tutti, se nessuno ascolterà la verità. Bombe e menzogne a oltranza, mentre un Senato alieno – dall’altra parte dell’oceano – ascolta il mesto pigolio di Zuckerberg.«Figlio di puttana, che clip leggendaria!». Parole immortali, come il proiettile che ha abbattuto in mondovisione l’ennesimo palestinese, oltre il reticolato dello zoo di Gaza. Domande: chi si premura sempre di difendere Israele da qualsiasi accusa non rischia forse di incoraggiare all’infinito il bowling dell’orrore, il tiro a segno contro gli inermi mandati allo sbaraglio? Sconforta, l’esercito israeliano che si sente schiamazzare – come allo stadio – al di qua della telecamera dello smartphone, esultando come per un goal. Beninteso: l’eroico cecchino è umanitario, responsabile, armato dall’Unica Democrazia Del Medio Oriente, quindi aspetta lodevolmente che dallo scarafaggio di Hamas si allontani il bambino che gli ronza attorno. Poi finalmente spara (alle gambe dell’insetto adulto) scatenando l’ordalia del tifo. A strillare come fossero in tribuna sono ragazzi in armi, che sanno di essere impuniti. Militari di leva, non serial killer sociopatici. Eppure impazziscono di gioia, di fronte allo strike – gran bel colpo, figlio di puttana! – e soprattutto: gran bel video, accidenti a te. Sulla base di questa antropologia da videogame, c’è qualcuno al mondo che sia disposto a scommettere un bottone su uno straccio di pace, tra i Neanderthal di Tel Aviv e i Negri di Gaza, gli untermenschen arabi, gli scarafaggi palestinesi?
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Non basta uscire da Facebook, va chiusa anche WhatsApp
Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.Il patron di Facebook, Mark Zuckerberg, ha detto al “New York Times” di non ritenere che ci sia stato un numero significativo di abbandoni di Facebook. Molti siti, aggiunge “La Stampa” hanno intanto spiegato che, in realtà, cancellare il proprio account non è sufficiente per smettere di fornire dati al social network. La canadese “Ctv News” ricorda (pubblicando il contenuto anche su Facebook) che la società di Zuckerberg ha acquisito Instagram nel 2012 e poi i sistemi di messaggistica Cros e Whatsapp, nonché la società per lo sviluppo di realtà virtuale OculusVr e lo stesso Tbh, il social network usato soprattutto dai più giovani. L’amara soerpresa? «I termini per l’uso dei dati e la privacy di queste società permettono lo scambio di dati con Fb», scrive Magliocco. «La società di Zuckerberg, quindi, continuerebbe a raccogliere informazioni sulle persone attraverso queste altre app, se non vengono anch’esse abbandonate». E non è tutto: pure utilizzare il proprio account di Facebook per risparmiare tempo quando ci si iscrive ad altre applicazioni, come Airbnb, «probabilmente mette in collegamento i dati registrati da queste app con il social network». Se si vuole sapere quali siano queste applicazioni “contagiose” si può accedere al loro elenco attraverso il menù “impostazioni”.Inoltre, come ha dimostrato proprio il caso di Cambridge Analytica, i dati possono essere raccolti anche attraverso il collegamento con gli altri, aggiunge la “Stampa”: «Per essere certi che le proprie informazioni siano al sicuro non bisognerebbe essere in contatto con altre persone attraverso applicazioni che, nelle impostazioni usate da queste persone, siano potenzialmente collegate con Facebook». Ma ci vuol altro, per scoraggiare gli utenti di Facebook – ormai 2 miliardi, in tutto il mondo. Il quotidiano torinese cita lo psicanalista Aaron Balick, autore del libro “The Psychodynamics of Social Networking”, intervistato dall’edizione britannica di “Wired”. Per Balick, il problema nel lasciare Facebook sarebbe soprattutto di ordine psicologico: la preoccupazione per la propria privacy non supererebbe ancora la comodità di mantenere rapporti attraverso il social network, perché «a questo punto Facebook è integrato nelle nostre vite di relazione». Come dire: sappiamo di essere in trappola, ma ci restiamo tranquillamente. E pazienza se ogni nostro sospiro viene schedato e tradotto in numeri, a beneficio del marketing o del controllo politico.Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.
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Giovani in fuga da Facebook, al riparo dai genitori guardoni
Siccome voglio fare l’influenzzzzer, anzi il guru, anzi il playboy, mi sono iscritto a Instagram! Sì, proprio il social che va per la maggiore tra i “ciòfani” e che agevola le pratiche onanistiche anche delle persone più anziane. «Non posso non esserci», mi sono detto. Anche se Instagram mi sembra più una Bibbia mediatica per segaioli impenitenti, così come all’inizio non mi piaceva Facebook, mi farò andare bene anche Instagram. Non possiamo sottrarci alle novità tecnologiche, fare i luddisti e spaccare le macchine con la clava. Non possiamo tirarci fuori. Ebbene, frequentando il “nuovo” social, mi sono subito accorto di una cosa: tutti i ragazzi che fino a 5 anni fa erano su Facebook, ora sono su Instagram e “fanno finta” di essere ancora presenti nel vecchio social. I loro profili Fb sono morti come Emma Bonino dopo le elezioni del 4 marzo. I loro ultimi commenti risalgono alla terza guerra punica. Su Instagram, invece, pullulano le stories (minchiate galattiche ove fano vedere video di 4 secondi dove fanno versi) e foto ritoccate all’inverosimile che farebbero sembrare figa anche Rosy Bindi. Eppure, diciamocelo chiaro: Instagram non arriva neanche ai garretti di Facebook.In Facebook si possono fare tutte le cose di Instagram e molte di più. Su Fb puoi mettere video e musica, mentre su Instagram hai pochi secondi di sintesi che ti lasciano più insoddisfatto di Donald Trump al cospetto di Putin. Su Fb puoi fare dialoghi così lunghi e articolati che metterebbero in imbarazzo Platone. Su Fb veicoli immagini di tutte le dimensioni, mentre su Instagram occorre accontentarsi dei miseri pixel offerti dagli smartphone, con relativi ritagli. Insomma, non ha alcun senso usare Instagram, bastava che Zuckerberg si adoperasse un attimo per ottimizzare meglio Fb ai telefonini 2.0 e il gioco era fatto. Invece, l’informatico di Harvard ha preferito comprarsi tutto il pacchetto di Instagram. Aveva forse intuito che i “ciòfani” sarebbero transitati in massa sul nuovo social? E comunque, perchè lo fanno? Il motivo me l’han fatto capire mia figlia dodicenne e una studentessa, che alzano il sopracciglio ad ogni mio post con aria compassionevole. E proprio mi sorprendo di non averlo capito prima. Fuggono da noi! Fuggono dagli “adulti” e dalla loro smania di sembrare giovani. Fuggono dai discorsi politici e dalle polemiche infinite dei thread. Fuggono da adulti guardoni, sempre fuori sincrono e impacciati con le nuove tecnologie, anche se fingono di saperla lunga. Fuggono dal controllo.La grande fuga è iniziata già da qualche tempo, ma nel 2018 è destinata ad aumentare in modo clamoroso. Le ragioni dunque sono social-familiari. La prima è che su Fb, o anche su Twitter, ci sono tanti genitori che “spiano”. In questi ultimi mesi, e proprio come ha fatto il sottoscritto senza averci pensato, gli adulti stanno arrivando anche su Instagram e i ragazzi non a caso hanno aperto anche dei nuovi profili Snapchat (un social ancora più “evanescente” di Instagram). Non mi stupirei affatto se, continuando così, le nuove generazioni transitassero armi e bagagli nel Deep Web, l’Internet oscuro e demoniaco dove trovi anche i kalashnikov in vendita e dove preti e puttanieri si scambiano i ruoli. La verità è che i ragazzi fanno benissimo e che noi adulti dobbiamo piantarla. Siamo decisamente più ridicoli e patetici dei nostri vecchi quando facevano la loro comparsata in discoteca alle undici di sera fingendo di bersi un bicchiere al bar. Dobbiamo invecchiare, farci crescere la barba, andare a caccia, comprarci l’Ape, fare la legna e toglierci dalle palle. Però comincate voi che mi leggete; io infatti orami sono un influenzzzer, guru, blogger e tutto il repertorio.(Massimo Bordin, “Fuga da Facebook”, dal blog “Micidial” del 12 marzo 2018).Siccome voglio fare l’influenzzzzer, anzi il guru, anzi il playboy, mi sono iscritto a Instagram! Sì, proprio il social che va per la maggiore tra i “ciòfani” e che agevola le pratiche onanistiche anche delle persone più anziane. «Non posso non esserci», mi sono detto. Anche se Instagram mi sembra più una Bibbia mediatica per segaioli impenitenti, così come all’inizio non mi piaceva Facebook, mi farò andare bene anche Instagram. Non possiamo sottrarci alle novità tecnologiche, fare i luddisti e spaccare le macchine con la clava. Non possiamo tirarci fuori. Ebbene, frequentando il “nuovo” social, mi sono subito accorto di una cosa: tutti i ragazzi che fino a 5 anni fa erano su Facebook, ora sono su Instagram e “fanno finta” di essere ancora presenti nel vecchio social. I loro profili Fb sono morti come Emma Bonino dopo le elezioni del 4 marzo. I loro ultimi commenti risalgono alla terza guerra punica. Su Instagram, invece, pullulano le stories (minchiate galattiche ove fano vedere video di 4 secondi dove fanno versi) e foto ritoccate all’inverosimile che farebbero sembrare figa anche Rosy Bindi. Eppure, diciamocelo chiaro: Instagram non arriva neanche ai garretti di Facebook.
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Il Grande Fratello sa tutto di noi, soprattutto grazie a noi
Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.Gli utenti di Facebook, poi, sanno benissimo (o dovrebbero sapere) che non sono proprietari dei contenuti delle loro “pagine”: dal punto di vista legale, in base al diritto editoriale, tutto ciò che viene pubblicato – parole e pensieri, immagini e video – non appartiene in nessun caso a loro, ma solo a Facebook. In quanto editore unico e senza vincoli, il social network è liberissimo di rimovere i contenuti quando vuole, senza neppure l’obbligo di lasciarne una copia, privata, a disposizione dell’utente. Quasi un terzo dell’umanità ormai utilizza Facebook, affidando alla piattaforma social la rappresentazione pubblica – più o meno realistica – della propria identità personale. Facebook offre una vasta gamma di servizi – a costo zero per l’utente, ma remunerati in altro modo: è ovvio che faccia gola, al marketing, la più grande banca dati del pianeta. Perché stupirsene? Se si fa una qualsiasi richiesta a Google, il motore di ricerca la registra, classificando subito l’utente e proponendogli – sotto forma di proposta pubblicitaria – merce analoga a quella già cercata. Anche Google “sa” chi siamo e cosa ci piace. Anche Google svolge un servizio gratuito per l’utente. Un servizio prezioso, ormai imprescindibile, e remunerato altrimenti, cioè mettendo il profilo psicologico del potenziale cliente a disposizione del mercato.Con l’avvento degli smartphone, oggi il sistema sa anche – sempre – dove siamo. Attraverso i social, le chat, le email, il sistema sa cosa pensiamo, dove andiamo, chi incontriamo. Anni fa, fece scalpore la rivelazione – esternata dal solo Marcello Foa – del capo dei servizi segreti svizzeri: spiegò che ogni parola in uscita dai nostri computer finisce in due immensi archivi, dislocati a Londra e a Washington. Il Grande Fratello è in ascolto, certo: ma qualcuno può davvero stupirsene? Smentendo il vittimismo complottistico, un osservatore atipico come Paolo Franceschetti (avvocato, autore si studi scomodi sui misteri italiani) offre la seguente riflessione: perché ci illudiamo che in passato la situazione del “popolo” fosse migliore? Fino a ieri non ci voleva molto per rischiare il carcere, bastava mancare di rispetto al sovrano (e l’altro ieri peggio ancora, si finiva sul rogo per il solo fatto di aver manifestato idee difformi dal dogma vigente). Oggi, al contrario, si assiste a una diffusione di opinioni quale mai s’era vista, in migliaia di anni. Circolazione istantanea di idee, libera e planetaria. Osservata e spiata? Vietato meravigliarsene.Quanto a Facebook, parla da sola la sua data di nascita. Serviva un sistema per raccogliere dati e schedare milioni di persone, in modo da trarre d’impaccio l’intelligence Usa, in enorme imbarazzo dopo la storica débacle dell’11 Settembre. Zuckerberg ha offerto la soluzione più brillante, a costo zero per lo Stato: sarebbero stati direttamente i cittadini a raccontare tutto di sé – chi sono, dove vivono, in cosa credono, che amici hanno. Facebook ha raccolto milioni di confidenze, che oggi sono diventate miliardi. Ma non le ha carpite: gli sono state offerte spontaneamente. Il sistema ha solo creato uno spazio (pubblico) per esprimerle e condividerle. Uno spazio che prima non esisteva, e di cui gli Zuckerberg del pianeta avevano intuito il bisogno, la necessità percepita. Parlare, raccontarsi: prima dell’avvento dell’email (non secoli fa: si parla della vigilia del Duemila) le persone avevano smesso di scriversi lettere. Hanno ricominciato a scrivere proprio grazie alla posta elettronica. Milioni di persone hanno ristabilito contatti epistolari frequenti, recuperando anche il gusto della scrittura. Facebook e gli altri social media completano l’offerta, realizzando un diario digitale personale ma condivisibile, arricchito da segnalazioni e link, veicolando in questo modo l’altra grande fonte recente di idee e informazioni: i blog.Nella sua ricostruzione della storia del Cristianesimo, formulata da un punto di vista ruvidamente anticlericale, un’autrice come Laura Fezia sostiene che il “format” cristiano sia stato inoculato come un virus nell’imperialismo romano, per corroderlo dall’interno fino a farlo crollare. Tradotto: se non riesci a battere il nemico in campo aperto, ti conviene infiltrarlo. E’ nemico, oggi, il web? E’ sicuramente padrone: compra, vende, orienta, controlla, manipola. Non è un amico disinteressato: se l’ha fatto credere, bluffava. Ma spesso (quasi sempre) è un alleato di cui non si può fare a meno. E’ un orizzonte sistemico, nel quale vivere, e in cui – come in ogni altra cosa – convivono due modi di intendere e volere. Il bene e il male? Dipende sempre dal punto di vista: il male della gazzella coincide con il bene dei cuccioli della leonessa. Sarà anche una savana, il web, ma non è senza padroni: è anzi un giardino zoologico severamente protetto e custodito dai grandi proprietari dell’infrastruttura strategica, da cui ormai dipende il pianeta, che è diventato infinitamente e istantaneamente manipolabile. Sono infatti tramontate le fiabe ingenue sull’innocenza della Rete, utilizzate anche in Italia a fini politici. Ma la Rete resta, e – con i suoi limiti – è ancora disposizione: per ospitare idee, magari, oltre che immagini delle vacanze e piatti “stellati”, fotografati al ristorante.Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.
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Cambridge Analytica e Facebook: vittime 50 milioni di utenti
Una macchina devastante: manipolazione di massa, via Facebook, a scopo politico. Dietro allo scandalo Cambridge Analytica che sta facendo crollare in Borsa il social network di Mark Zuckerberg (2 miliardi di utenti, quasi 9 miliardi di dollari in pubblicità nel 2017) emerge una squadra formata da personaggi capaci di mettere insieme tecnologia, finanza e politica. Sono il “genietto pentito” Christopher Wylie, lo stratega trumpiano Steve Bannon, il miliardario Robert Mercer affascinato dall’intelligenza artificiale, il “manipolatore della psiche” Aleksandr Kogan e il manager Alexander Nix. «Una storia di profili rubati, manipolazioni, forse anche di tangenti e di corruzione», scrive Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”. Due gli obiettivi: spingere la Gran Bretagna fuori dall’Europa e Donald Trump verso la Casa Bianca. Un racconto reso possibile da una straordinaria inchiesta giornalistica del “Guardian”, firmata da Carole Cadwalladr. La reporter ha scavato per un anno sui retroscena della Brexit, fino a convincere Wylie a svelare i misteri della Cambridge Analytica. Il suo lavoro si è poi sommato all’indagine del “New York Times”. Tutto nasce nel 2013, quando sbarca a Londra un giovanotto canadese di 24 anni, Wylie, specialista in tendenze della moda, con un’idea sovversiva: rivoluzionare il marketing politico grazie a una specie di “porta a porta” digitale. «Si raccolgono i profili delle persone, si analizzano e poi si confeziona un messaggio su misura».Wylie prepara così il contenitore da cui nascerà Cambridge Analytica, la società di analisi da lui stesso fondata. Nel 2014 l’incontro con Steve Bannon, a cui offre «gli strumenti per la sua guerra psicologica». Per convincere il direttore di “Breibart”, la voce online della destra radicale americana, il «gay-vegano-canadese» Christopher usa la metafora dei sandali Crocs: «Non si può dire che siano belli, eppure tutti li vogliono». Si trattava solo di mettere la Brexit (e poi Trump) al posto dei sandali, scrive Sarcina. E i soldi per l’operazione? Bannon chiede l’appoggio di Robert Mercer, 71 anni, informatico tra i primi ad applicarsi all’intelligenza artificiale (poi approdato al misterioso e quasi “mistico” hedge fund Renaissance Technologies). Con un portafoglio di oltre 25 miliardi di dollari, Robert Mercer e la figlia Rebekah «sono finanziatori generosi delle varianti più conservatrici della politica americana e non solo», ricorda il “Corriere”. Hanno comprato quote in “Breitbart” e si sono appresati a sostenere Cambridge Analytica. Dove e come procurarsi i profili dei navigatori? Ci ha pensato Aleksandr Kogan, 31 anni, nato in Moldavia e cresciuto a Mosca fino all’età di 7 anni, quando la famiglia emigrò negli Stati Uniti.Kogan ha studiato psicologia a Berkeley e ha conseguito un Phd (dottorato di ricerca) all’università di Hong Kong. Nel 2012 è diventato assistente alla cattedra di psicologia a Cambridge, in Gran Bretagna. Ha condotto ricerche sofisticate, ma per la Analytica ha creato la app “Thisisyourdigitallife”, che offre «un esame della personalità compiuto da un team di psicologi». Kogan l’ha collocata sulla piattaforma Facebook, “catturando” subito 270 mila utenti. In realtà, scrive Sarcina, quell’applicazione «è una specie di sifone usato per risucchiare i dati sensibili dei sottoscrittori e dei loro amici». Un’enormità: «In totale 51 milioni di profili sottratti senza il consenso degli interessati: materiale prezioso per gli intrugli di Bannon». A gestire – come manager – il meccanismo è stato Alexander Nix, 42 anni, di Londra, reduce da studi all’Eton College (la scuola dell’establishment britannico), con laurea all’università di Manchester. Nel 2003, Nix ha lasciato la finanza per occuparsi di «comportamento e comunicazione politica». Ha diretto lo Strategic Communication Laboratories Group, fino a quando Bannon e Mercer l’hanno scelto come amministratore delegato di Cambridge Analytica (ora sospeso dalla società, per un video trasmesso da “Channel 4 News” in cui «si vede il distinto manager offrire “belle ragazze dell’Ucraina” per discreditare l’avversario politico di un suo cliente nello Sri Lanka».Una macchina devastante: manipolazione di massa, via Facebook, a scopo politico. Dietro allo scandalo Cambridge Analytica che sta facendo crollare in Borsa il social network di Mark Zuckerberg (2 miliardi di utenti, quasi 9 miliardi di dollari in pubblicità nel 2017) emerge una squadra formata da personaggi capaci di mettere insieme tecnologia, finanza e politica. Sono il “genietto pentito” Christopher Wylie, lo stratega trumpiano Steve Bannon, il miliardario Robert Mercer affascinato dall’intelligenza artificiale, il “manipolatore della psiche” Aleksandr Kogan e il manager Alexander Nix. «Una storia di profili rubati, manipolazioni, forse anche di tangenti e di corruzione», scrive Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”. Due gli obiettivi: spingere la Gran Bretagna fuori dall’Europa e Donald Trump verso la Casa Bianca. Un racconto reso possibile da una straordinaria inchiesta giornalistica del “Guardian”, firmata da Carole Cadwalladr. La reporter ha scavato per un anno sui retroscena della Brexit, fino a convincere Wylie a svelare i misteri della Cambridge Analytica. Il suo lavoro si è poi sommato all’indagine del “New York Times”. Tutto nasce nel 2013, quando sbarca a Londra un giovanotto canadese di 24 anni, Wylie, specialista in tendenze della moda, con un’idea sovversiva: rivoluzionare il marketing politico grazie a una specie di “porta a porta” digitale. «Si raccolgono i profili delle persone, si analizzano e poi si confeziona un messaggio su misura».
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Zizek: solo i miliardari progressisti salveranno l’umanità?
Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?Perché sappiamo che le parole contano nei dibattiti pubblici: e anche se ciò di cui parla Gates non è “vero socialismo”, parla dei limiti fatali del capitalismo – e, ancora una volta, possiamo chiedere: gli autoproclamatisi socialisti attuali hanno una visione seria di cosa il socialismo debba essere oggi? Il paradosso della nostra situazione è quindi che, mentre la resistenza contro il capitalismo globale sembra non riuscire ad indebolirne l’avanzata, i suoi oppositori sembrano non essersi accorti dei vari trend che segnalano chiaramente la progressiva disintegrazione del capitalismo. Ed è come se le due tendenze (resistenza ed auto-disintegrazione) si muovessero a ritmi diversi e non riuscissero a incontrarsi: abbiamo dunque inutili proteste in parallelo a voci di imminente decadenza, ma sembra che non ci sia modo di riunire le due in un atto coordinato (come il superamento del capitalismo). Miliardari buoni? Come si è arrivati a questo? Mentre la sinistra (o perlomeno la maggior parte) cerca disperatamente di proteggere i diritti dei vecchi lavoratori contro l’assalto del capitalismo globale, è quasi esclusivamente il capitalismo più “progressista” (da Elon Musk a Mark Zuckerberg) che parla del post-capitalismo – come se il vero argomento del passaggio dal capitalismo, come lo conosciamo, ad un nuovo ordine post-capitalista sia stato appropriato dal capitalismo stesso.Di conseguenza, sta emergendo un nuovo gruppo di “intellettuali organici”, che esemplificano la privatizzazione dei nostri beni comuni. La figura di Elon Musk è emblematica, e appartiene alla stessa classe di Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg ed altri: tutti miliardari “socialmente consapevoli”. Rappresentano il capitale globale nella sua forma più seducente e “progressista”: in breve, nella sua forma più pericolosa. Ma allora questi ultra-ricchi possono salvarci? Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk non sarebbe Sloterdijk se non avesse tratto questa provocatoria conclusione: prima si pensava che solo i poveri (uniti) avrebbero potuto salvare il mondo, il ventesimo secolo ha invece mostrato le conseguenze catastrofiche di questo atteggiamento e la violenza distruttiva generata da un risentimento universalizzato. Ora, nel ventunesimo secolo, dovremmo finalmente avere il coraggio di accettare il fatto che solo i ricchi possono salvare il mondo, e possiamo dire che individui eccezionalmente creativi, che donano con generosità, come Gates e Soros, hanno fatto per le lotte per la libertà politica e contro le malattie più di quanto non abbia fatto qualsiasi intervento statale.La diagnosi di Sloterdijk non deve essere confusa con la solita protesta liberal-conservatrice contro il cosiddetto “risentimento di sinistra”. Perché l’idea centrale che sostiene questo sproloquio è che ne abbiamo avuto abbastanza della “tirannia del welfare” che abbonda nel nostro “dispotismo democratico”; come nel medioevo, l’orgoglio personale è oggi il più grande peccato, ed il nostro diritto fondamentale è sempre più semplicemente il “diritto alla dipendenza”. Approccio alternativo: «Il welfare oggi è una droga dalla quale dipendono sempre più persone. Una buona idea umana diventata una sorta di oppio dei popoli», ha detto Norbert Bolz, un altro pensatore tedesco. Quel che rende Sloterdijk diverso però è che intende la propria proposta come strategia per assicurare la sopravvivenza della più grande conquista economico-politica dell’Europa moderna, il social-democratico welfare State.Secondo Sloterdijk, la nostra realtà – perlmeno in Europa – è la democrazia sociale “oggettiva”, in contrapposizione alla democrazia sociale “soggettiva”. E per tenerla in vita, dovremmo creare una “nuova semantica”, un nuovo spazio di idee egemoniche in cui la cultura dell’orgoglio ed il riconoscimento dei vincenti (non solo in senso economico ma anche morale) avranno il proprio posto. Ma può funzionare? Io non la penso così. Torniamo a Bill Gates: individua correttamente la causa ultima dei nostri problemi (ecologici) nel capitalismo, e poi, invece di proporre cambiamenti al sistema stesso, fa appello al senso comune dei singoli capitalisti. Non sarebbe molto più appropriato cercare di creare un sistema non capitalista, che però premi anche i vincenti? Questi due desideri sono veramente inconciliabili?(Slavoj Zizek, “Solo i miliardari progressisti possono salvare l’umanità?”, da “Rt” dell’8 dicembre 2017; analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, con traduzione di Hmg).Il comunismo ha fallito nel XX secolo, ma ora sta permettendo ai super-ricchi di dettare al resto dell’umanità l’unico sistema alternativo? Forse dobbiamo progettare un sistema socialista, che riconosca anche il successo. Bill Gates, la seconda persona più ricca sulla Terra, ha ripetutamente criticato il capitalismo. Nel 2015 ha spiegato che il suo ragionamento si basa su un semplice calcolo ecologico: l’uso di combustibili fossili deve essere radicalmente ridotto se si vuole evitare una catastrofe globale, e il settore privato è troppo egoista per produrre alternative pulite ed economiche, il che significa che l’umanità deve agire al di fuori delle forze del mercato. Gates stesso ha in programma di spendere 2 miliardi di dollari del proprio denaro per l’energia verde, anche se non c’è alcuna fortuna da ricavarne. Ha inoltre invitato altri miliardari a contribuire a rendere gli Stati Uniti senza fossili entro il 2050 con un simile gesto filantropico. Da una posizione di sinistra ortodossa, è facile prendere in giro l’ingenuità della proposta di Gates. Tuttavia, più questi rimproveri sono giusti, più rendono palpabile la miseria della sinistra genuina: qual è la loro proposta plausibile su cosa dovremmo fare?
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Amazon è partner Cia, di Bezos anche il Washington Post
Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che la relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.«Bezos ha acquisito la sua ricchezza grazie allo sfruttamento della sua forza lavoro, circa 300.000 persone in tutto il globo», scrive “Dedefensa” citando il sito economico Wsws.org. «I lavoratori di Amazon guadagnano 233 dollari al mese in India, per una media di solo 12,40 dollari l’ora negli Stati-Uniti». I dipendenti hanno tutele minime, salari bassi, contratti flessibili e spesso temporanei, aggiunge “Dedefensa”, in un post tradotto da Vollmond per “Come Don Chisciotte”. A rischio, pare, anche le condizioni di sicurezza sul lavoro: «In settembre, quando Phillip Terry, di 59 anni, è stato schiacciato da un carrello elevatore in una fabbrica di Amazon a Indianapolis, il ministro del lavoro ha dichiarato che l’impresa potrebbe essere costretta a pagare 28.000 dollari d’ammenda. Bezos guadagna una cifra simile in un minuto, più dei suoi operai americani in un intero anno». La società, inoltre, «esige gli stessi privilegi dei governi del mondo, privilegi fiscali e altre agevolazioni gratuite in cambio della costruzione dei suoi magazzini». Amazon messo in competizione più di 200 città americane desiderose di diventare il secondo quartier generale della compagnia, ottenendo in cambio enormi donazioni. «Chicago, per esempio, ha offerto ad Amazon un “pacchetto di incentivi” da 2,25 miliardi di dollari, mentre Stonecrest, in Georgia, ha deciso di cambiare il suo nome in “Amazonie” e di nominare Bezos “sindaco a vita”».Ma il binonio Bezos-Amazon, aggiunge “Dedefensa”, ha un tratto assai particolare, ovvero «la sua relazione estremamente forte e pubblicamente ostentata con la Comunità di sicurezza nazionale (Csn), e in particolare la comunità dell’intelligence». La sua collaborazione con la Cia è ormai palese, rileva il blog, dopo il contratto firmato nel 2013 tra Amazon e l’agenzia di Langley: 600 milioni di dollari, con i quali Bezos ha comprato il “Washington Post”, da allora divenuto «l’organo officiale della sicurezza nazionale (in particolare della Cia) e, durante la campagna Usa-2016, l’organo anti-Trump», in nome della posizione assunta dalla stessa Central Intelligence Agency. Una vera e propria luna di miele, con la Cia che «afferma apertamente la sua soddisfazione per questa cooperazione». Da registrare anche una visita ad Amazon altamente mediatizzata dal segretario alla difesa, James Mattis, «che ci permette di comprendere che anche il Pentagono amoreggi con Bezos». Ovvero: «Non si lavora più in segreto, come accadeva prima dell’affare Snowden». Secondo le fonti citate da “Dedefensa”, «Bezos ha trasformato la sua società in un organo semi-ufficiale dell’apparato di informazione militare americana». Amazon e la Cia hanno appena annunciato il lancio di un nuovo sistema di cloud “regione segreta”, nel quale la società ospiterà dei dati per la Cia, l’Nsa, il Dipartimento della difesa e altre agenzie di informazione militare.Un portavoce della Cia ha recentemente qualificato l’accordo sull’acquisto del “Washington Post” da parte di Bezos come «la migliore decisione che abbiamo preso». Nel quadro delle spese militari approvate a novembre dal Senato, Amazon sarà tra i maggiori fornitori di attrezzature informatiche. «L’uomo da 100 miliardi di dollari – scrive “Dedefensa” – ha impiegato la propria ricchezza per esercitare un’influenza considerevole nei corridoi del potere. Quest’anno Amazon ha finanziato il governo federale sborsando più di 9,6 milioni di dollari». Bezos è ricorso alle pagine del “Washington Post” per promuovere l’agenda del Partito democratico. Il “Post”, sotto la gestione di Bezos, è stato uno dei principali difensori della campagna contro la Russia, pubblicando nel novembre 2016 la lista “PropOrNot”, «una finta compilation di agenzie di stampa presumibilmente “propagandisti russi” includente anche siti di informazione di sinistra». In più, Bezos «sta prendendo nettamente le distanze dal piccolo mondo dei super-ricchi, e soprattutto dai compari della Silicon Valley». Lo si evince «dall’affermazione quasi pubblica dei legami tra Bezos e il servizio di informazione ed eventualmente i militari», con la convinzione che la Cia sia priviligiata come interlocutrice principale.Beninteso: «Tutta la Silicon Valley, dalla preistoria di Gates alla sexy-semplicità di Zuckerberg, ha sempre camminato a braccetto con la Comunità di sicurezza nazionale, Snowden ce l’ha ampliamente dimostrato». Ma con Bezos è un’altra cosa, continua “Dedefensa”: «La relazione è alla luce del sole, ambo le parti ostentano soddisfazione, e nulla ci può dire dove essa possa portare, né chi dei due domini l’altro; c’è un problema di preponderanza del potere». Secondo un analista come Robert Parry, il “Washington Post” di Bezos ha influenzato tutta la stampa mainstream, compreso il “New York Times” e gli altri grandi media occidentali, anche non americani. «L’isteria del Russiagate – scrive Parry – ha provocato un enorme abbassamento del livello giornalistico», per il fatto che i principali media statunitensi hanno ignorato le regole fondamentali nell’acquisizione di vere prove, prendendo per buone semplici vociferazioni sulla presunta interferenza russa nelle elezioni presidenziali. «Dato che la creazione di questa isteria antirussa, avviata dal 2013-2014 (Siria e sopratutto Ucraina), poteva effettivamente essere un obiettivo strategico della Cia, si può concludere che la missione sia stata compiuta. Ma a che prezzo?».Quanto alla Cia, non può non destare attenzione «la sua maniera di uscire allo scoperto, come ha fatto e continua a fare, affermando pubblicamente la sua soddisfazione di “lavorare” con un tale partner». La Cia è incredibilmente potente, come lo stesso Bezos, rileva “Dedefensa”. Ma si ha l’impressione – rispetto alle operazioni che furono affettuate dall’agenzia nel primo mezzo secolo dalla sua fondazione – che si sia persa un po’ di quella “sottigliezza”, tipica del recente passato. «Tra questi due partner – conclude “Dedefensa” – ci sono diverse cose in comune: il potere, la brutalità, il cinismo, la falsa virtù affermata perentoriamente e, in breve, tutto ciò che caratterizza la politica-sistema dal 2001, ma ostentato, istituzionalizzato, ufficializzato, proclamato». Se si analizza il risultato dei primi 16 anni di geopolitica Usa a partire dalla data-spartacque dell’11 Settembre, osservando «questo mostro Bezos-Cia», secondo il blog «si ha un’impressione per certi aspetti temperata: la loro potenza combinata può dare la vertigine, ma la vertigine può anche generare errori di manovra e cadute ancora più brutali». L’unione tra Bezos e la Cia era nell’aria da tempo, ma «si tratta di un’unione eccessiva che nasconde in sé la chiave della propria autodistruzione».Jeff Bezos non è solo l’uomo più ricco del mondo, dopo aver superato la vetta dei 100 miliardi di dollari grazie al “black friday”, impennata che ha relegato in seconda posizione Bill Gates, patron della Microsoft. L’uomo-Amazon, che ha inaugurato l’ultima generazione dei nuovi iper-miliardari, con «un ammontare di denaro diluviano e perennemente in crescita», è anche un cardine del potere “totale” dell’élite: il maxi-contratto da 600 milioni stipulato con la Cia, ricorda “Dedefensa”, gli ha permesso di acquisire una testata giornalistica leader come il “Washington Post”, che da quel momento ha preso di mira gli avversari geopolitici dell’intelligence, condizionando l’intero mainstream statunitense, a cominciare dal “New York Times”. A questo si aggiunge «l’interessante maniera con cui Amazon si appropria di territori concreti, rispolverando il fenomeno della “città di una sola compagnia”», come al tempo in cui Detroit “apparteneva” alla General Motors. L’Institute for Policy Studies ha stabilito che i tre miliardari più ricchi possedevano quanto la metà più povera degli Stati Uniti. Grazie a Bezos, questo studio è sorpassato: perché il miliardario, nel frattempo, ha accresciuto la propria ricchezza di altri 20 miliardi di dollari. Nel mondo intero, i cinque miliardari più ricchi possiedono quanto la ricchezza della metà della popolazione mondiale, all’incirca 3,5 miliardi di persone.
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L’ultimo uomo: l’orrore dell’antropologia marx-capitalista
Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.Pennetta, autore tra l’altro del blog “Critica scientifica”, fa quel che dovrebbe fare ogni studioso: costruisce la sua analisi su documenti e citazioni precisi, a cui dà un senso e una prospettiva storica. Ne “L’ultimo uomo” si propone di delineare il collante ideologico e teorico che modella la società di oggi, sempre più destrutturata nell’identità, sempre più tecnologica, sempre più confusa sessualmente, sempre meno religiosa e che tende pericolosamente verso la prossima era, in cui per il tramite delle nuove divinità, la scienza e la tecnologia, si pretende di sovvertire le leggi della natura. Non è lungo, raggiunge appena le 200 pagine ed è di piacevolissima e fluida lettura, ma è talmente ricco di contenuti che, quando lo concludi, d’istinto sei portato a rileggere alcuni passaggi, per apprezzare connessioni tanto raffinate quanto illuminanti. Pennetta ripercorre la storia e a suo giudizio le illusioni del darwinismo, spiegando come da una teoria in sé plausibile ma che non può essere considerata definitiva, si sia creato il dogma in nome del quale si sono giustificate nuove forme di dominio sociale ed economico.In tal senso rivela nessi sorprendenti tra capitalismo e marxismo, spiega l’autentica funzione della Fabian Society, svela le inclinazioni malthusiane veicolate dal femminismo. Quel che colpisce, nella sua analisi, è la capacità di dimostrare le conseguenze sulla nostra società di teorie in apparenza lontane e per molti versi astruse. Il romanzo “Mondo nuovo” di Aldous Huxley è stato profetico e alcune mode dell’era moderna (come la rivoluzione sessuale, quella psichedelica, il New Age) ritentrano in un percorso di modellamento sociale. Questo libro rischia di essere traumatico sopattutto per il lettore in buona fede di sinistra, quello più moderno, progressista, evoluto. Quello, per intenderci, che legge “Repubblica”, vota Pd e adora i guru, soprattutto stranieri. Pennetta denuncia, anzi dimostra, come dietro a tali guru, a cominciare da quelli della Silicon Valley, come Bezos, Brin, Zuckerberg, si celino intenti che rappresentano l’antitesi di quello che un tempo era la sinistra, in quanto ultraélitisti e che rispecchiano l’approccio filosofico di Ayn Rand, secondo cui «esiste una differenza antropologica fra gli esseri umani: da una parte gli eletti, gli imprenditori illuminati, e dall’altra una massa di personaggi parassitari condannati a vivere degli avanzi dei primi».Da qui la strumentalizzazione di battaglie apparentemente giuste e in realtà infide dei movimenti che appellandosi a ogni forma di diritto distruggono le fondamenta della nostra società, rendendola totalmente liquida e dunque facilmente manipolabile. Da qui il ruolo di ariete, tutt’altro che innocente, delle Organizzazioni non governative, di partiti come quello radicale, della pretesa di una società unisex come strumento per liquefare la famiglia e l’identità biologica. “L’ultimo uomo” rischia, però, di essere traumatizzante anche per il lettore liberale-conservatore, che crede sia nel libero mercato sia in una società tradizionalista, perché si accorgerà che quel liberismo non è solo meritocratico ma ha finalità sconvolgenti di ingegneria sociale. E’, insomma, un saggio per lettori che vogliono capire, aperti di spirito. Mira a far nascere una nuova consapevolezza, ad aprire gli occhi su dinamiche che restano invisibili ai più ma che trasformano la nostra esistenza, rendendo sempre più vicina una società talmente avveniristica e scientifica da poter fare a meno persino di te, caro lettore, e di me. Di noi tutti. In ultima analisi dell’uomo stesso.(Marcello Foa, “La manipolazione invisibile della società funziona così”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 12 luglio 2017. Il libro: Enzo Pennetta, “L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista”, Circolo Proudhon Edizioni, 200 pagine, 16 euro).Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.
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Comandano loro, non Renzi o Beppe. E neppure li capiamo
Il “Senato Mondiale” parla questa lingua, leggete: «Oggi grande occasione per i Buy The Fucking Dip (Btfd), con i Fangs Stocks a caduta libera, salvati proprio all’ultimo in Europa dai Brfd… Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente. Alla fine però neppure i Btfd hanno salvato i Fang. S&P ci dice che la Crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su. In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli. Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Non ci avete capito niente, ma così parla ogni giorno il vostro Padrone, quello che Noam Chomsky già nel 1989 chiamava con immensa saggezza “Il Senato Mondiale”, i Mercati, contro cui non esiste appello. Sono coloro che decidono se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano.Ciò che impressiona me, è che se ci pensiamo bene sono almeno 30 anni che i telegiornali all’ora di cena fra maccheroni e cotolette vi fanno sentire questo nome, i Mercati. Dovrebbe esservi entrato in testa come il Mulino Bianco. Poi, Gesù, con la ‘crisi’ del 2008 ve l’hanno pompato in testa ogni secondo per almeno 8 anni quel nome, ma no, ancora gli Italians non sanno che cazzo sia il Mercato, anche se Lui è il Padrone: decide se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano. Sappiamo a cosa corrono dietro gli Italians con la bava alla bocca: al pollitalico pollaio, Stato-Mafia, Grillo, Feste dell’Unità, talk shows, le denunce di “Striscia la Notizia”, insomma cacchina di pollo. Altri lettori di altri paesi sono un po’ meno tonni… ma ok.“Buy The Fucking Dip (Btfd)”: sono i mega-investitori che oggi si precipitano a comprare e vendere qualsiasi titolo di Borsa che stia crollando. Scommettono nelle 10 ore o 72 ore in un rialzo, e poi vendono. Non guardano in faccia a un cazzo di nessuno, e hanno più potere di spostare denaro dell’imperatore Adriano nella Roma antica, direi 100.000 volte di più. Non guardano in faccia a nessuno ’sti Btfd, neppure ai Fang. Hey, e dire che oggi sul pianeta Terra più potenti dei Fang chi c’è? Fang sta per i titoli di Facebook, Amazon, Netflix e Google. Gente come Zuckerberg, Bezos o Brin che sta col culo appeso a ’sti Btfd, parola ‘fucking’ di mezzo inclusa. Non so se rendo l’idea… Ma neppure ’sti Btfd poi agiscono in accordo e infatti i Fang hanno finito la sessione sottoterra, povero Zucker…“Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente”: Aapl non è altro che la Apple, mica nulla. Il Senato Mondiale ha decretato che ultimamente gli eredi di Steve Jobs non hanno fatto scintille né con l’auto alla Artificial Intelligence, né col sistema operativo Ios. E allora giù bastonate all’azienda oggi fra le 4 più potenti del mondo. Gli analisti di Standard & Poor’s (S&P) si sono fatti prendere dal panico e tutto il settore High-Tech è stato trascinato nelle Borse dietro al capitombolo di Apple. Alè, e via in fumo abbastanza soldi per sfamare 10 Afriche e occupare tutti i disoccupati europei (anche tuo figlio… tonno che leggi Travaglio).“S&P ci dice che la crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su”. Semplice: i valori economici di speculazioni fatte su aria fritta rimangono comunque a galla. La crescita fatta da cibo, pensioni, sanità, stipendi reali, infrastrutture, case, ecc., continua a scivolare nel bidè. Che è esattamente cioè che il Senato Mondiale vuole.“In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli”. Questo è un vero mistero. I mega-investitori sono ancora convinti che Grillo sia anti-euro (hahahahahahhahaha!!!!!!!!!), e io non trovo una spiegazione per ’sta bufala napoletana. Ma rimane significativo che se i 5S sono bastonati, il Senato Mondiale premia i titoli di Stato di Roma chiedendo al governo meno interessi sui Btp e altri titoli, dimostrando che se l’Italia obbedisce al Senato Mondiale, allora ci fanno risparmiare quel gruzzoletto di miliardi in interessi da pagare, se no sono cazzi. Comanda il Mercato cicci, non Renzi o Beppe, lo capite che non comandano Renzi o Beppe, tonni?“Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?”. Sanno qualcosa che voi non sapete perché leggete Travaglio e Feltri, e non me. Io e Giancarlo Algieri (prima di me) ve l’avevamo detto che le Blockchain che sostengono le Criptovalute come Bitcoins e Ethereum stavano prendendo il volo. Ora si scopre che mentre noi ci preoccupiamo dell’euro, o del patto franato fra Renzi e Grillo, il Padrone – il Senato Mondiale – ha convinto la più micidiale banca del mondo, Goldman Sachs nientemeno, a entrare nella speculazione sulle Criptovalute, quelle che permetteranno alla National Geospatial Intelligence Agency di spiare ogni singolo cittadino del mondo là dove mette anche i 25 centesimi dei suoi fottuti soldi, cioè: quando, con che abitudini, per chi, da dove a dove, a che ora, con quali tendenze, se è coinvolta la politica, l’attivismo, insomma, il Grande Fratello di George Orwell moltiplicato per un miliardo…Ho detto a sufficienza. La morale della favola: cari Italians, lo so che il 99.9% di voi è bestiame che mai vale la pena salvare, ma quello 0,1% che invece non se lo merita di finire nel tritacarne dei Mercati deve recepire questo messaggio: o impariamo a conoscere il Nemico e ci sporchiamo le mani a farci un culo così per capirne le mosse nei suoi 100 anni avanti a noi, o è meglio uccidersi.(Paolo Barnard, “Market, il Senato Mondiale: vanno studiati, se no dove andate, dove?”, dal blog di Barnard del 13 giugno 2017).Il “Senato Mondiale” parla questa lingua, leggete: «Oggi grande occasione per i Buy The Fucking Dip (Btfd), con i Fangs Stocks a caduta libera, salvati proprio all’ultimo in Europa dai Brfd… Aapl bastonati, mentre il S&P 500 Tech Sector gli è andato dietro disastrosamente. Alla fine però neppure i Btfd hanno salvato i Fang. S&P ci dice che la Crescita di nuovo collassa mentre il Valore sta su. In Italia l’anti Eurozona M5S è sprofondato nelle amministrative, rendimenti Btp al ribasso, Mercati ora più tranquilli. Goldman bearish sui Bitcoins, dicono che si attestano fra un massimo di 2.230 e un minimo di 1.915, sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Non ci avete capito niente, ma così parla ogni giorno il vostro Padrone, quello che Noam Chomsky già nel 1989 chiamava con immensa saggezza “Il Senato Mondiale”, i Mercati, contro cui non esiste appello. Sono coloro che decidono se tuo figlio finirà la sua vita da individuo o da servo della Tech-gleba in un loop di vita disumano.
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Eurocrati a Roma, Isis a Londra: tutto in famiglia
Un attentato proprio a Londra, in pieno calendario Brexit, alla vigilia del summit romano per celebrare l’Ue, da cui la Gran Bretagna sta scappando. «La gente in Occidente deve capire che se l’informazione che riceve tocca gli interessi del complesso militar-securitario, quell’informazione è dettata dalla Cia. La Cia serve quegli interessi, non gli interessi del popolo o della pace», dice Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro Usa. «E’ snervante scrivere per anni le stesse cose», fa eco Fulvio Grimaldi sul suo blog, mettendo in parallelo l’ennesimo euro-attentato targato Isis (a Londra, stavolta) e l’euro-meeting di Roma. Come dire: il terrorismo “a orologeria” è spesso l’alibi perfetto per qualcosa di ancora peggiore, una guerra di sterminio o – come in questo caso – la celebrazione della burocrazia Ue, mostruosa macchina (istituzionale) di spoliazione e trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, come vogliono le multinazionali finanziarie cui risponde Bruxelles. Una storia infinita, per Grimaldi, che risale addirittura a Pearl Harbour, «dove Roosevelt sollecitò i giapponesi a bombardare la sua flotta», per poi arrivare alla “Pearl Harbour 2.0”, cioè il Golfo del Tonchino, dove «inesistenti barchini nordvietnamiti hanno permesso agli Usa di bruciare viva mezza Indocina», fino alla recente «tragicommedia dell’11/9, quando missili Cia e Mossad travestiti da aerei di linea hanno bucato torri a suo tempo dinamitate dall’interno».Il giornalista cita anche «la farsa di Londra 2005, in cui a uno zainetto lasciato nella carrozza del Tube è stato attribuita la voragine causata da un ordigno posto sotto la carrozza», quindi il triplice attentato di Amman, sempre nel 2005, «preceduto dall’evacuazione dei cittadini israeliani e coronato dall’uccisione di dirigenti palestinesi riuniti con militari cinesi». E poi «Bali, Mumbai, Madrid, Charlie Hebdo, dove certi terroristi camuffati ma identificati grazie all’esibizione ex-post dei documenti in macchina, hanno operato liberamente sotto lo sguardo di pattuglie di polizia». E poi Bruxelles, dove l’attentato all’aeroporto «è stato mostrato utilizzando un vecchio video di Mosca». E Monaco, dove «il più sofisticato armamentario antiterrorista germanico ha lasciato un tizio passeggiare e sparacchiare in un centro commerciale per quattro ore, prima di rinvenirlo e seccarlo mentre se la filava lontano dal luogo». E Nizza, dove «il giro della morte del Tir non lascia un’ammaccatura sulla carrozzeria e un’immagine nelle venti telecamere lungo il percorso (o meglio le ha lasciate tutte, ma il governo ha deciso che non servivano e andavano distrutte). E’ successo anche con quelle del Bataclan».Incongruenze che, per Grimaldi, diventano «lacerazioni smisurate nel tessuto dello storytelling delle stragi», subito «rammendate da tutti i cerimonieri mediatici turibolanti ai piedi degli Alti Sacerdoti, mentre sull’altare dei sacrifici umani celebrano il trionfo dell’arma finale contro classi e popoli subalterni e potenzialmente sovversivi». Ogni giorno, sui media, «viene fatta sparire la verità», tra chiacchiere assortite sulla ipotetica “guerra all’Occidente”, «ora transitata dalla trincee ai ponti di Londra e domani a piazza San Pietro». Facili profezie? «L’avevano già detto, ripetuto, ribadito: “Ci saranno attentati del terrorismo islamico. La questione è solo il quando e il dove”. Veggenti». I talk-show sono assordati da «latrati antislamici di energumeni di una Weltanschauung decerebrata dove, dopo i comunisti che mangiano i bambini, siamo ai musulmani che mangiano le donne». Ricompaiono anche «fossili» come Daniela Santanchè, Maria Giovanna Maglie, Antonio Caprarica, Alessandro Meluzzi.Guerra all’Occidente? Suvvia: «La Nsa, ci è stato rivelato da Snowden e Assange e confermato da Trump, e le altre sorelle depravate dedite al voyeurismo, ascoltano tutto, vedono tutto, ti spiano dallo smartphone, dallo schermo di tv e computer, dal citofono, dall’asciugacapelli. Incamerano un miliardo di dati al minuto». Possono davvero non sapere ciò che si andrebbe preparando? Ora Renzi, «per interposto Gentiloni, gli vende pure (all’Ibm) tutti i nostri dati sanitari. Non ne hanno scampo né la cancelliera tedesca, né la presidente brasiliana, né gli ultimi ruotini del carro, che siamo tutti noi». Eppure, «vigliacco se gli capitasse una volta di intercettare il malvivente che si fa mandare da Al Baghdadi a massacrare gente, proprio là dove non c’è comunicazione, o apparizione, che non siano controllate dal più sofisticato apparato tecnologico mai visto, neppure da quelli di StarTrek». Evidentemente abbiamo a che fare con autrentici supereroi oscuri, «in grado, a distanza, di prendere i comandi di un aereo, come quelli dell’11 Settembre decollati e scomparsi per sempre, l’altro tedesco sui Pirenei, o di un camion, come quello di Nizza, o di un Suv, come quello di Westminster, e fargli fare quello che gli pare».Supereroi neri e «disturbati, manipolati, fuori di testa, che pensano di assaltare il Parlamento britannico con forchetta e coltello, tanto poi tutti quanti muoiono: capitasse mai che ne esca vivo uno che ci racconti, magari senza waterboarding, chi lo manda». Ma a noi, a quanto, pare, non interessa: ormai «ci accontentiamo della firma». E così, «anche la scorribanda del presunto Imam radicale di nome Brooks, dopo un po’ di suspence per un migliore ascolto, ha avuto la sua rivendicazione tradizionale». Scotland Yard, la migliore polizia antiterrorismo del mondo, «s’era scordata che quell’Imam era ancora in galera (che ridere: Caprarica, a “La Gabbia”, aveva giurato di riconoscerlo!) e quindi ha dovuto degradare l’attentatore a milite ignoto del terrorismo, pur sempre islamico». Tale Massud, «come sempre noto delinquente, dunque ricattabile, dunque soggetto debole», come quello, «cocainomane etilizzato, dell’aeroporto parigino». L’uomo perfetto per “indossare” la firma dell’Isis. «Uno col coltello a Parigi, un altro che a Londra assalta con due coltelli il più poderoso schieramento di sicurezza del paese, quello attorno alle massime istituzioni. Due abbattuti senza pensarci su mezza volta. Senza pensare quanto sarebbe stato facile e utile bloccarlo, magari con uno spruzzo al peperoncino, e arrivare tramite lui alla centrale operativa alla tana del mostro», aggiunge Grimaldi.Noi però continuiamo a non vedere che «l’Isis, come la carta di ricambio Al Qaida e tutti i terroristini aggregati, sono addestrati, armati, finanziati, riforniti, vestiti e nutriti, medicati (in Israele), da Usa, Nato, Israele e relativi azionisti, affittuari e sicari tra Turchia e Golfo». Ma visto che Barack Obama «soleva mandare un McCain a lisciargli il pelo, a rinnovargli l’affetto», allora «quando l’Isis dice “siamo stati noi”, è logica stringente, e ragion pura anche per Kant, che sono stati loro: gli sponsor, i padrini, i committenti». Troppo facile? «I nostri “esperti” da cento euro al grammo di islamofobia, queste ovvietà banali non le prendono neanche in considerazione», continua Grimaldi. «Interessante l’evoluzione del terrorismo a uso domestico», comunque. «Finite, nella fase, le grandi operazioni da laboriose pianificazioni e con risultati epocali, coinvolgenti apparati di Stato e complesse e numerose componenti professionali, con relativi rischi di gole profonde, errori, sovrapposizioni e trascuratezze, come quelle grandiose dell’11 Settembre, si è passati a progetti realizzabili con mezzi e numeri più modesti».I colpi grandi, «tipo aerei tirati giù o palazzi fatti saltare», ormai «si sono lasciati ai paesi “arretrati”, dove non si fa tanto caso alle toppate». Da noi «si è passati alle coppie di terroristi e ai minigruppi, rigorosamente islamici, visti a Parigi e Bruxelles e, con Wuerzburg, Nizza, Monaco, fino a Londra oggi, ai terribilissimi “lupi solitari”». Ovvero: «Poca spesa, impegno minimo, soggetti adulterati e manovrabili ed effetti anche migliori, più diffusi, capillari, terrificanti. Il panico del vicino, del passante, della vettura qualsiasi, dello sconosciuto, o conosciuto, della porta accanto. Meravigliosa invenzione: insicurezza totale, irrimediabile e, di contro, Stato di polizia, società securitaria, lotta di classe o di liberazione annientate». E pazienza se la privacy non c’è più: tanto, ad archiviarla, «ci hanno già pensato i sicari principi della Cupola, i terrroristi soft: i Tim Cook, Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg». Tra «Grande Fratello, ciarle private strepitate al telefonino, selfie in Facebook, ti hanno ridotto a un demolitore pubblico della tua identità, alla mercè di tutti», e soprattutto «dello Stato spione e gendarme e del suo golpe strisciante». Sicché, data «l’enormità della mazzata Brexit» inflitta «alla cosca atlantica fin dagli anni ‘50 installata dalla Cia in Europa, per conto Rockefeller e Rothschild, utilizzando fiduciari come Davignon e Monnet, per fare a pezzi nazioni sovrane e costituzionalmente antifasciste», oggi «a Londra, che aveva appena fissata la data per lo scioglimento degli ormeggi, andava mandato un segnalino». Beninteso: «Poca roba, rispetto al potenziale e all’arsenale di Isis». Un Suv e due coltelli: «Un primo avviso».Osserva Grimaldi: «A Westminster è successo, mica a Canterbury. Al Parlamento dove stanno quelli che brexitano. E sul ponte di Westminster, immancabile per ogni turista eurifero e dollaroso. Come quelli di Sharm el Sheik e di Luxor, che non ci vanno più da quando, nel fedifrago Egitto di Al Sisi che ha fregato i cari Fratelli Musulmani, l’Isis (si fa per dire) fa saltare in aria la gente». Grimaldi teme «quei necrofori che, sabato e domenica a Roma, contro Brexit e altri Exit che girovagano per l’aere europeo, cercheranno di insufflare nel corpaccio in putrefazione dell’Ue quanto basta per fargli fare un po’ di scatti mesmerici». Il pericolo è che, «nel nome dell’Europa ricucita da sarte di palazzo come Laura Boldrini», noi popolo «ci si lasci fregare ancora una volta: prima, prendendo le mazzate perché osiamo ancora andare in piazza, e poi accettando che, anche solo a sollevare le sopracciglia sull’onnicomprensivo e onnipotente tasso di criminalità della classe dirigente, si finisca fuori. O piuttosto dentro. Come amici dei terroristi». E conclude: «Visto cosa si può combinare con una macchina e due coltellini svizzeri?».Un attentato proprio a Londra, in pieno calendario Brexit, alla vigilia del summit romano per celebrare l’Ue, da cui la Gran Bretagna sta scappando. «La gente in Occidente deve capire che se l’informazione che riceve tocca gli interessi del complesso militar-securitario, quell’informazione è dettata dalla Cia. La Cia serve quegli interessi, non gli interessi del popolo o della pace», dice Paul Craig Roberts, già sottosegretario al Tesoro Usa. «E’ snervante scrivere per anni le stesse cose», fa eco Fulvio Grimaldi sul suo blog, mettendo in parallelo l’ennesimo euro-attentato targato Isis (a Londra, stavolta) e l’euro-meeting di Roma. Come dire: il terrorismo “a orologeria” è spesso l’alibi perfetto per qualcosa di ancora peggiore, una guerra di sterminio o – come in questo caso – la celebrazione della burocrazia Ue, mostruosa macchina (istituzionale) di spoliazione e trasferimento di ricchezza, dal basso verso l’alto, come vogliono le multinazionali finanziarie cui risponde Bruxelles. Una storia infinita, per Grimaldi, che risale addirittura a Pearl Harbour, «dove Roosevelt sollecitò i giapponesi a bombardare la sua flotta», per poi arrivare alla “Pearl Harbour 2.0”, cioè il Golfo del Tonchino, dove «inesistenti barchini nordvietnamiti hanno permesso agli Usa di bruciare viva mezza Indocina», fino alla recente «tragicommedia dell’11/9, quando missili Cia e Mossad travestiti da aerei di linea hanno bucato torri a suo tempo dinamitate dall’interno».