Archivio del Tag ‘Mario Monti’
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Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip
L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.La malafede di Cameron e del capitalismo britannico, che hanno bisogno dei migranti ma vogliono pagarli il meno possibile per ricattare così anche i lavoratori nativi, è stata formalizzata nell’accordo. I lavoratori regolari provenienti dai paesi Ue per 7 anni avranno meno diritti e garanzie sociali degli altri. Si torna così al peggio della condizione della immigrazione europea, che l’Italia ha vissuto dalla strage di Marcinelle in Belgio ai gastarbeiter in Germania negli anni ‘50. Emerge tutta la truffa della cosiddetta cittadinanza europea. Essa vale solo per i ricchi e per gli Stati più potenti, mentre gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna, e son già decine di migliaia, saranno cittadini europei di serie B. Ad essi si aggiungeranno i migranti regolarizzati extracomunitari, che saranno europei di serie C e sotto di essi tutti gli irregolari che sono e saranno fuori classifica, esposti al più turpe commercio delle vite. Intanto ogni paese europeo costruisce i suoi muri contro i migranti, e i paesi più ricchi scaricano sui più poveri il compito di costruire lager e fili spinati per fermare i profughi.Con questo accordo l’Unione Europea rinuncia a qualsiasi finta utopia democratica e si riconosce come un’associazione brutale di interessi economici di poteri forti, con precise aree di influenza e affari. L’euro rinuncia a diventare quella moneta europea di cui cianciano i suoi sostenitori, e si consolida come moneta tedesca allargata. Il solo terreno che unifica i paesi europei resta quello, come dichiara l’accordo, dello sviluppo della competitività, cioè di quella concorrenza al ribasso sui salari e sui diritti sociali che è alla base delle politiche di austerità di ogni Stato. Cameron, Hollande, Merkel hanno mostrato che la classe politica dei governi europei che decidono in Europa, al di là di distinzioni di facciata, è fatta tutta della stessa pasta e agisce per rispondere agli stessi interessi e poteri economici e finanziari. Renzi e Tsipras si sono mostrati i soliti ridicoli servi. Rappresentano i paesi i cui popoli più pagheranno questa intesa e l’hanno approvata. A Renzi è bastata la bacchettata di Monti (e Napolitano), immagino che Tsipras sarà stato come al solito messo a posto da Merkel. Penosi. Essere contro la Ue si dimostra sempre di più una scelta morale e politica per la democrazia, contro quella che sempre più si rivela una costruzione reazionaria e autoritaria, coperta dall’ipocrisia. Mi auguro che i cittadini britannici votino No a questa porcheria.(Giorgio Cremaschi, “Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip”, da “Huffington Post” del 20 febbraio 2016).L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.
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L’agenda news e i figli del Capitano Merryl, fedeli a Londra
Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.Rispetto al primo quesito le anime candide sono propense a ritenere che la scelta delle notizie da valorizzare rientri nei poteri di indirizzo esercitati da un qualsiasi direttore responsabile posto a capo di un giornale o di una rete televisiva; sul “taglio” da dare alle notizie, poi, i più pensano altrettanto ingenuamente che dipenda in larga misura dalla specifica sensibilità del singolo giornalista che scrive il pezzo. Entrambe le risposte sono sbagliate. Avete mai notato come i grandi giornali, con sfumature minime, propongano sempre le stesse notizie nonostante la varietà pressoché infinita di fatti ipoteticamente raccontabili? Avete mai notato come l’operato di alcune figure, vedi Mario Draghi, non venga mai criticato neppure per sbaglio da nessuno dei tanti “giornali liberi” che affollano inutilmente le nostre edicole?Di fronte a due premesse certe come quelle appena evidenziate, esistono solo due risposte possibili. Una, irrazionale, così sfacciata da voler far credere ai cittadini che la sostanziale omogeneità di scelte e vedute che accomuna tutta l’informazione sia frutto del caso o del libero convincimento stranamente coincidente dei diversi direttori; la seconda, più verosimile e razionale, spiega come dietro il paravento di un pluralismo informativo che serve solo ad ingannare i tonti, si muovano con perizia alcune note centrali di intelligence che “imboccano” gli editorialisti più prestigiosi, sempre felici di farsi teleguidare dall’esterno nella certezza di ricevere in prospettiva sicuri vantaggi in termini di denaro o di carriera. Fantasie? Calunnie complottiste? Non direi. Se avete la pazienza di leggere l’ottimo libro “Colonia Italia”, scritto da Cereghino e Fasanella per Chiarelettere editore, troverete nomi, cognomi, prassi e documenti che finiranno per insinuare un sacrosanto dubbio perfino nel piddino più incallito.Scoprirete un mondo, fatto di spie e penne compiacenti, che non lascia nulla al caso; un mondo popolato da uomini spregiudicati e senza scrupoli, pronti a scrivere senza pudore che “il bianco è nero” e “il nero è bianco” per difendere i padroni. Fasanella e Cereghino, avendo avuto la bontà di leggere e studiare una serie di documenti di recente desecretati dal governo inglese, si sono imbattuti in una sfilza di nomi, fatti e storie del passato che, rivalutati alla luce di una consapevolezza finalmente matura, assumono ora un significato diverso. Ma le storie di ieri ci parlano dell’Italia e dell’Europa di oggi. Nulla induce a ritenere che le atmosfere e i compromessi raccontati nel libro di Cereghino e Fasanella, precisi nello spiegare ratio e genesi di alcune campagna di stampa così aggressive da deviare dolosamente il corso degli eventi politici (si pensi al “caso Montesi” o alla violenza strumentale e fasulla di alcune inchieste pensate per colpire Enrico Mattei), riguardino soltanto il passato. Perché oggi le cose dovrebbero funzionare diversamente? Magari tra trenta o quaranta anni, spulciando le carte immagazzinate dai diversi servizi di intelligence, capiremo come mai alcuni “illuminati” intellettuali nostrani continuino con sommo sprezzo del ridicolo a proporre analisi già smentite dalla realtà fattuale e dal buon senso.Ieri, in conclusione, ho casualmente ascoltato Mario Monti e Paolo Mieli ospiti negli studi de la7. Paolo Mieli, giorni fa, pubblicò un editoriale sulle pagine del “Corriere della Sera” titolato “Le accuse di troppo all’Europa”. Mieli propone alcune chiavi di lettura palesemente sgangherate che non meriterebbero troppa attenzione. Infatti, alla luce di quanto premesso,più che entrare nel merito delle cose dette e scritte, sarebbe forse più importante capire quali siano i mondi di riferimento di personaggi alla Paolo Mieli, figlio del leggendario “capitano Meryll”– al secolo Renato Mieli – già “press officer” dello “Psychological Warfare Branch” (Divisione per la guerra psicologica, ndm), allestito al tempo della seconda guerra mondiale dal “Comando generale delle forze alleate” per deviare, condizionare e indirizzare le scelte italiane in direzione del raggiungimento degli interessi inglesi. Chi può escludere che anche oggi predominino, mutatis mutandis, le stesse identiche dinamiche? Nessuno onesto intellettualmente, ritengo. E’ arrivato quindi il momento di ricostruire carte alla mano vicende che, pur sembrando antiche, sono quanto mai attuali.(Francesco Maria Toscano, “Ascoltando il figlio Capitano Merryl si capisce come la Divisione per la Guerra Psicologica non abbia mai levato le tende dall’Italia”, dal blog “Il Moralista” del 17 febbraio 2016).Abbiamo più volte spiegato come l’attuale dittatura eurocratica produca i suoi malsani effetti al riparo di un sistema mediatico complessivamente addomesticato alla bisogna. Senza inseguire fesserie e complotti non provati, spesso veicolati con l’obiettivo di distogliere l’attenzione dalle porcherie effettivamente verificate e verificabili, è facile notare come il connubio tra grande finanza e grande informazione (con magistratura a traino, pronta cioè ad azzannare i nemici del sistema indicati dalla stampa) influenzi e determini le scelte di indirizzo politico che condizionano poi nei fatti la vita di milioni di persone. Prima domanda: chi seleziona le notizie che il “mainstream” quotidianamente propone? Seconda domanda: chi sceglie il taglio informativo da offrire rispetto ai diversi fatti che giornalmente nel mondo si verificano? Sembrerebbero domande banali e scontate, e invece non lo sono affatto.
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Game over, l’orrida Europa non digerisce il pessimo Renzi
Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).E questa rigidezza dipende dal fatto che i nostri valenti alleati tedeschi e francesi hanno già forchette in pugno e tovagliolo al collo per banchettare suo beni italiani. Sul secondo punto, Renzi ha bisogno di fare qualcosa sul fisco per non arrivare alle elezioni con un bilancio fatto solo di promesse mancate. Magari, poi le tasse le raddoppierebbe un minuto dopo la vittoria elettorale. Ma anche qui gli europei non mollano: “Niente tagli fiscali, devi pagare gli interessi sul debito e non puoi fare altro disavanzo”. Ma perché tanta indisponibilità, mentre all’Inghilterra è stato concesso tutto o quasi? I soci di maggioranza della Ue non vogliono perdere Londra che (sbagliando) ritengono un punto di forza dell’alleanza, mentre non hanno alcuna particolare propensione a tenersi Roma che (ricordiamolo sempre) è il terzo debito pubblico mondiale. Se a minacciare un referendum sull’uscita dalla Ue fosse il governo italiano, a fare la campagna elettorale a favore dell’uscita, giungerebbe in Italia Juncker.In secondo luogo, proprio perché all’Uk è stato concesso tutto, poi non si può dare niente all’Italia, pena un assalto alla diligenza di tutti gli altri. L’Italia non è la Grecia, è uno dei 4 principali contraenti il patto e, dal punto di vista di Strasburgo ed Amburgo, sta dando un pessimo esempio agli altri. Se non si dà una lezione all’Italia, poi verranno la Spagna, il Portogallo, l’Estonia, Cipro, magari di nuovo la Grecia. In breve la Ue sarebbe solo una marmellata, mentre qui gli “alleati” intendono ribadire che nella Ue c’è chi comanda (la Germania), chi è capo in seconda (la Francia), chi ha diritto a privilegi (l’Inghilterra) e tutti gli altri che devono obbedire. Questo ordine interno non deve essere turbato per nessuna ragione e Renzi deve piantarla. Questo è il modo di vedere dei nostri ineffabili alleati. Beninteso: l’Italia se lo merita. Non si può mandare in giro per il mondo rappresentanti impresentabili come Berlusconi e Renzi, proni come Monti o Letta o deboli come Prodi e pretendere che gli altri ti prendano sul serio. O vigliamo parlare dei ministri degli esteri che abbiamo espresso?Lo scontro fra Renzi e la Commissione Europea è uno scontro fra un branco di squali feroci ed uno squalo scemo, impossibile fare il tifo per nessuno dei due. D’altro canto, ho l’impressione che l’elenco dei nemici di Renzi sia già molto lungo e cresce di giorno in giorno: la magistratura, le grandi banche italiane, ora la Farnesina, la tecnocrazia europea, il Consiglio di Stato, infine buona parte del mondo ecclesiale inviperito per la legge sulle unioni civili… E molto è dovuto all’arroganza personale dell’uomo, splendido esempio del “fiorentino spirito bizzarro” andato a male. Forse sono troppo ottimista ma ho l’impressione che, per Renzi, il cronometro della Ue abbia già iniziato a scorrere verso l’ora zero.(Aldo Giannuli, “Perché l’Europa non digerisce Renzi”, dal blog di Giannuli del 10 febbraio 2016).Prosegue imperterrita la “danza degli schiaffoni” fra Renzi e l’Unione Europea. In prima linea ci sono i popolari, ma il silenzio sprezzante dei socialisti pesa ancora di più. Quel povero diavolo di Pittella (per sua sfortuna capogruppo socialista a Strasburgo) cerca di sostenere il suo signore e padrone italiano, giungendo a minacciare la crisi dell’accordo popolari-socialisti che regge la Commissione, mentre i suoi compagni di gruppo francesi, tedeschi e olandesi lo guardano come lo scemo del villaggio con l’aria di pensare “Ma che stai dicendo?”. Da dove nasce questa inedita replica della Cavalleria Rusticana? I punti veri di dissenso sono due: l’applicazione del bail-in e la riduzione delle tasse. Renzi ha bisogno di margini di flessibilità molto più ampi (e usa l’emergenza rifugiati) perché vuol fare un taglio di tasse prima delle elezioni. Sul primo punto, Renzi, che non aveva mosso paglia contro la formazione della direttiva sul bail-in e neppure sulla sua immediata applicazione dal 1° gennaio 2016, aveva pensato di cavarsela con qualche furbata all’italiana (tipo il “salvabanche”), ma gli “europei” non glielo permettono, dando della direttiva l’interpretazione più restrittiva possibile (e ci vuol, poco perché la lettera è già più che sufficiente a bloccare il giullare).
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Prodi & D’Alema puntano su Tito Boeri per deporre Renzi
La scena che vi stiamo per descrivere si ripete ormai da un po’ di settimane con una certa continuità. E da quando i mercati hanno deciso di punire con decisione le Borse europee, e soprattutto quella italiana, facendo registrare delle brusche oscillazioni sui titoli bancari (ieri Milano ha chiuso a meno 5,63 per cento) e rimettendo in movimento lo spread tra titoli di stato italiani e titoli di stato tedeschi (spread che ieri ha superato i 150 punti base), capita sempre più spesso che i collaboratori più stretti del presidente del Consiglio si ritrovino a rispondere a domande brusche come quelle ricevute in queste ore, a Roma, da diversi ambasciatori. Il tema è il seguente e la domanda è stata rivolta ancora una volta ieri, da parte di un importante ambasciatore, a un esponente del Pd vicino al premier: “Ci risulta ci sia un piano per far cadere questo governo. Siete sicuri che il presidente del Consiglio non faccia la fine che ha fatto Berlusconi nel 2011?”. Il collaboratore di Renzi anche in questa occasione ha risposto con un sorriso e ha argomentato l’inesistenza di questa eventualità. La scena si ripete ormai da settimane con vari pezzi più o meno pregiati della diplomazia straniera.Ma al contrario di quello che si potrebbe credere, la ragione per cui si è diffusa, anche in molte ambasciate romane, la voce che ci sia qualcuno che stia provando a lavorare ai fianchi il presidente del Consiglio non è legata a un’invenzione di qualche malelingua diplomatica. E’ legata, piuttosto, alla presenza sulla scena internazionale di un pezzo di establishment italiano, un po’ sgangherato, che da alcune settimane tende a sponsorizzare la tesi, esplicita, che ci sia una connessione precisa tra lo stato di salute delle Borse italiane e lo stato di salute del governo. Un pezzo di establishment, dicevamo, guidato da uno speciale club con ottimi contatti in Europa formato da ex presidenti del Consiglio (Enrico Letta, Massimo D’Alema, Romano Prodi) che da tempo, a vario titolo, sostiene, in modo più o meno implicito, che – per salvare l’Italia e non condannare il nostro paese a una nuova recessione e a un imminente collasso economico – sia necessario, urgentissimo, preparare la strada a un’alternativa all’attuale presidente del Consiglio. Commissariare, adesso.L’idea che D’Alema, Letta e Prodi – spalleggiati da un establishment in movimento e in leggero riposizionamento che si riconosce negli editoriali di Eugenio Scalfari e in molti fondi del Corriere della Sera improvvisamente critici con il governo – possano ambire a innescare una scintilla capace di far saltare Renzi può apparire goffa e sconclusionata anche perché i tre ex presidenti del Consiglio si trovano ormai distanti anni luce dal Parlamento e dai giochi di palazzo e difficilmente sarebbe sufficiente una raffica di interviste o una mitragliata di dichiarazioni sulle agenzie, come quelle registrate negli ultimi giorni, per far cambiare il volto di un governo (anche se Enrico Letta, per esempio, mantiene da tempo ottimi rapporti con il Mef, dove si trovano diversi tecnici che Letta aveva a Palazzo Chigi, e con lo stato maggiore del Quirinale). Eppure, a credere alla possibilità di uno switch off, non sono soltanto gli amici del club degli ex premier e alcuni ambasciatori ma è anche un personaggio particolare, un tecnico di lusso con il profilo da perfetto politico, che da mesi prova ad accreditarsi, anche con il Quirinale, come il sostituto naturale di Matteo Renzi in caso di improvviso collasso di questo governo.Come se fosse lui, in un certo senso, il Mario Monti del 2016. Il nome del tecnico è quello dell’attuale presidente dell’Inps Tito Boeri, economista di fama internazionale, professore ordinario di Economia del lavoro all’Università Bocconi, già consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, della Commissione europea, già senior economist all’Ocse dal 1987 al 1996, già direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, ottimi rapporti con il mondo Rep. e ottimi legami con la sinistra non solo del Pd (ai tempi della riforma del mercato del lavoro, la proposta alternativa al Jobs Act, la legge Boeri-Garibaldi, fu sponsorizzata non solo dalla sinistra del Pd ma persino dalla sinistra a sinistra del Pd, fronte Pippo Civati). Nonostante sia stato proprio Renzi a nominarlo a capo dell’Inps – anche se la decisione è stata presa più sulla base della rinuncia degli altri candidati che su quella di un investimento specifico di Palazzo Chigi – dal giorno del suo insediamento all’Istituto nazionale della previdenza sociale Boeri ha scelto di muoversi con un passo non da tecnico puro ma da tecnico politico. Già pochi mesi dopo la sua nomina (24 dicembre 2014) ha cominciato a intestarsi alcune battaglie squisitamente politiche: lotta ai vitalizi (“Dimezziamo quelli sopra gli 80 mila euro”), lotta alle pensioni d’oro (“Ricalcoliamo tutte le pensioni retributive o miste con il solo calcolo contributivo”), lotta a favore dell’introduzione del reddito minimo (“Andrebbe introdotto un reddito minimo garantito per gli over 55”).Al di là delle dichiarazioni, che quasi somigliano comunque a una bozza di agenda di governo, la tentazione di Boeri (fratello di Stefano, architetto, ex assessore della giunta Pisapia) di svestire i panni del tecnico per indossare gli abiti del politico era già emersa esattamente due anni fa, quando il fondatore del sito Lavoce.info si illuse che le voci che lo davano come prossimo ministro del Lavoro del governo Renzi fossero vere – Boeri digerì a fatica la scelta fatta dal segretario del Pd di affidare invece quel ruolo a Giuliano Poletti. Oggi Tito Boeri coltiva una nuova illusione. E se da un lato il club delle prime mogli (D’Alema, Letta, Prodi) probabilmente non crede fino in fondo alla possibilità di spodestare Renzi da Palazzo Chigi (anche perché il presidente della Bce Mario Draghi, pur mantenendo alcune riserve nei confronti dell’atteggiamento del governo in Europa, non ha alcuna intenzione di triangolare neanche lontanamente con il partito della zizzania), dall’altro lato si può dire che il bocconiano Boeri sogna ormai da tempo di poter essere un giorno la guida di un governo alternativo a quello attuale (e poi chissà). Oggi i renziani sorridono, e sorridiamo anche noi. Ma se un domani dovesse esserci un qualche cortocircuito al governo il partito trasversale di Tito Boeri proverà in tutti i modi a trasformare il presidente dell’Inps nel Monti del 2016. Auguri, e figli spread.(Claudio Cerasa, “Chi vuol mandare in pensione Renzi”, da “Il Foglio” del 12 febbraio 2016).La scena che vi stiamo per descrivere si ripete ormai da un po’ di settimane con una certa continuità. E da quando i mercati hanno deciso di punire con decisione le Borse europee, e soprattutto quella italiana, facendo registrare delle brusche oscillazioni sui titoli bancari (ieri Milano ha chiuso a meno 5,63 per cento) e rimettendo in movimento lo spread tra titoli di stato italiani e titoli di stato tedeschi (spread che ieri ha superato i 150 punti base), capita sempre più spesso che i collaboratori più stretti del presidente del Consiglio si ritrovino a rispondere a domande brusche come quelle ricevute in queste ore, a Roma, da diversi ambasciatori. Il tema è il seguente e la domanda è stata rivolta ancora una volta ieri, da parte di un importante ambasciatore, a un esponente del Pd vicino al premier: “Ci risulta ci sia un piano per far cadere questo governo. Siete sicuri che il presidente del Consiglio non faccia la fine che ha fatto Berlusconi nel 2011?”. Il collaboratore di Renzi anche in questa occasione ha risposto con un sorriso e ha argomentato l’inesistenza di questa eventualità. La scena si ripete ormai da settimane con vari pezzi più o meno pregiati della diplomazia straniera.
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Spread, la trappola di Draghi per affondare Renzi (e l’Italia)
Nel 2011 fu lo spread a condurre l’Italia nelle mani di Mario Monti, con i risultati che ben conosciamo. Ora quello scenario potrebbe ripetersi. L’Unione Europea non ama chi la critica apertamente e Matteo Renzi si è avvicinato alla linea rossa, forse l’ha già superata. Ergo, secondo voci sempre più insistenti, potrebbe essere indotto a lasciare il posto. Con i soliti metodi. Ma quale sarà il pretesto, questa volta? Ho appena finito di leggere “Rimetti a noi i nostri debiti” l’ultimo saggio di uno dei pochi giornalisti economici davvero indipendenti, Luca Ciarrocca, il quale traccia uno scenario tanto semplice quanto logico e, forse, ineluttabile. Uno scenario in cui, ancora una volta, a dare il colpo di grazia all’Italia potrebbe essere Mario Draghi. Riassumo brevemente. Come sapete, la Banca Centrale Europea sta comprando titoli di Stato dei paesi Ue, fino a 60 miliardi di euro al mese, operazione nota con il termine di Quantitative Easing. Tuttavia la Bce non può comprare più del 25% di ogni emissione per singolo paese, e questo per evitare di dare l’impressione di un controllo politico da parte di Draghi. Controllo che in realtà però esiste.
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Colonia Italia, i media pro-austerity controllati da Londra
Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.Ma per davvero c’è ancora in giro qualcuno che può credere alla buona fede di chi predica il “successo delle politiche di austerità” volute dalla Merkel? Fino a qualche anno fa, prima dello scempio assoluto che oggi è sotto gli occhi di tutti, qualche allocco intimamente convinto del fatto che Monti e quelli come lui lavorassero al “risanamento dei conti nell’interesse dell’Italia e degli italiani” esisteva per davvero. Ora no. Nessuno è così stupido da non accorgersi che il fuoco brucia dopo avere visto per dieci volte di fila qualcuno ustionarsi maneggiando lo stesso braciere. I giornali italiani sono in malafede. Peggio: sono etero-diretti da centrali di intelligence occulte e deviate che tengono a libro paga la gran parte dei principali editorialisti nostrani, lautamente retribuiti in denaro o altre utilità in misura direttamente proporzionale alla mancanza di scrupoli, amore di verità e deontologia professionale ripetutamente dimostrata. I giornali italiani, da destra a sinistra, scrivono tutti le stesse cose.Ricordate i fiumi di bava che accompagnarono nel 2011 l’ascesa al potere di Monti per volontà del divino Napolitano? Ci vuole molto a capire che il nostro sistema informativo, formalmente plurale, si abbevera in realtà nascostamente presso le stesse identiche e velenose fonti? Una volta sedimentata simile ovvietà sarà allora giusto e possibile riconoscere l’esistenza di due categorie principali che separano i maggiori “intellettuali” italiani. Da un lato esistono quelli che scrivono a pagamento sotto dettatura del sistema massonico dominante; dall’altro ci sono quelli che raccontano le stesse cose gratis, per mero servilismo o innata subalternità nei confronti del potere. Mi viene difficile capire quale delle due categorie faccia più schifo. E’ pur vero che è possibile manipolare solo gli ingenui e gli ignoranti. Un popolo colto e fiero non si farà facilmente impressionare dalle tante menzogne scritte solo perché ripetute all’infinito da un manipolo di giullari al servizio dell’oligarchia finanziaria di comando.Paradossalmente, dopo avere aperto gli occhi ai troppi ciechi ancora in circolazione, le manipolazioni pacchiane cucinate nelle redazioni de “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, e “La Repubblica”– solo per citare i manganelli più grossi usati dai padroni – finiranno per agevolare il nostro compito. Quando tutti sapranno che simili quotidiani difendono costitutivamente interessi malvagi e privati, esperti nell’arte della bugia e del raggiro per meglio realizzare i sottesi obiettivi massonici perseguiti nell’ombra, la credibilità di ciascuno di loro finirà necessariamente sottoterra, rendendo automaticamente più forti e preganti le posizioni di tutti quelli che sostengono il contrario, divenuti adesso degni di attenzione e di rispetto per il solo fatto di non condividere – neppure casualmente e sporadicamente – le linee di indirizzo sposate da note centrali di disinformazione finalmente smascherate e offerte al pubblico ludibrio e all’ignominia eterna.La dittatura eurocratica imposta dai vari Merkel, Schaueble e Draghi – quest’ultimo così ridicolo da denunciare la presenza di complotti globali che ne ostacolerebbero l’operato – non potrebbe reggersi senza il sostegno indispensabile dell’informazione corrotta e prezzolata. Nulla viene lasciato al caso. E’ bello tuttavia constatare come oggettivamente aumenti il livello di consapevolezza di tanti cittadini non più disposti ad accettare acriticamente l’interessato punto di vista offerto dalle élite. Siamo dentro un passaggio storico decisivo. Troppi lestofanti cercano disperatamente di salvare uno schema che non regge più. E’ solo questione di tempo, ma la perfida piramide costruita dagli apprendisti stregoni che ancora (per poco) guidano l’Europa è destinata ad affondare. Ognuno di loro raccoglierà quanto seminato e a nulla varranno i cambi di casacca dell’ultima ora. I ripetuti attentati contro le democrazie dei diversi Stati europei costituiscono una prassi pericolosissima da sanzionare con la massima severità a scopo paradigmatico. Cosicché nessuno, nel prossimo futuro, immagini di poter a cuor leggero rispolverare le gesta di Merkel, Schaueble e Draghi, tristi epigoni del reich autentico, finiti anch’essi nella polvere e nel disonore nonostante le maggiori cautele adottate rispetto ai più truci predecessori.(Francesco Maria Toscano, “L’informazione putrida e corrotta tiene in piedi ancora per poco il tecnonazismo di Draghi e Schaeuble”, dal blog “Il Moralista” sel 6 gennaio 2016. Il libro: Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, “Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra”, Chiarelettere, 483 pagine, euro 18,60).Un bel libro di Fasanella e Cereghino, “Colonia Italia” edito da Chiarelettere, offre uno squarcio decisivo per comprendere il rapporto che lega politica e informazione. Dietro il paravento di una libertà di stampa brandita a mo’ di slogan si cela sempre una realtà differente e puzzolente, fatta di corruzione, manipolazione e compromessi che nulla hanno a che vedere conl’informazione. Non si tratta, badate bene, di singole devianze ma di un sistema rodato e collaudato: solo chi è disposto a prostituirsi intellettualmente può sperare di entrare nell’empireo del giornalismo. Partendo dallo spaccato preciso e puntuale preparato da Fasanella, offrirò un affresco del panorama informativo italiano, dominato da dinastie di “venduti con la penna” che mentono di generazione in generazione per indole, sport, interesse, malvagità e pavidità. Ma, badate bene di nuovo, non si tratta di storie del passato raccontate solo ora a bocce ferme. Tutt’altro. I metodi svelati nel libro in argomento sono attualissimi e tutt’ora dominanti.
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Lannes: scie chimiche, ecco le prove. Patto siglato nel 2001
Veleni dal cielo, contro tutti noi, da quasi 15 anni. Le scie chimiche? Verità sempre oscurata, perché aberrante: impossibile ammettere di irrorare i cieli con metalli pericolosi, per manipolare il clima a scopo militare. Inoltre, la colossale operazione-aerosol in corso da lungo tempo viola apertamente svariate disposizioni, che anche l’Italia aveva sottoscritto: una prescrizione europea e persino una convenzione dell’Onu, risalente al lontano 1977, ratificata nel 1980 grazie al presidente Sandro Pertini. Lo afferma un giornalista scomodo come Gianni Lannes, più volte minacciato di morte per le sue scottanti inchieste sulle eco-mafie. Molte delle sue denunce sono contenute nel suo blog, “Su la testa”. Sulle scie chimiche, Lannes sta per ripubblicare, aggiornato, il libro “Scie chimiche, la guerra aerea che avvelena la nostra vita e il pianeta”, già pubblicato da Arianna editrice. Retroscena rivelati e rilanciati anche a “Border Nights”, trasmissione web-radio: l’Italia, afferma Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava l’Italia in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”.Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: a differenza dei portali web delle autorità italiane, le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel. Tutti insieme appassionatamente, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato».I militari, continua Lannes, «hanno trasformato il Belpaese e l’Europa in una gigantesca camera a gas, grazie alle complicità istituzionali e all’omertà dilagante degli scientisti». In realtà, aggiunge il giornalista, quella delle «operazioni clandestine di aerosol» è una storia che risale addirittura agli anni ‘60, anche se poi ha avuto un incremento decisivo, in Europa, a partire dal 2002. «I primordi dell’operazione di copertura erano insiti nella mente perversa di Edward Teller, inventore della bomba all’idrogeno, che sulla scorta del Memorandum Groves del 1943, consigliò di usare armi nucleari in regioni abitate per fini economici di spopolamento». Teller è stato direttore emerito del Lawrence Livermore National Laboratory, dove furono elaborati i piani per le armi nucleari, biologiche e ad energia diretta. Nell’agosto 1997, Teller inviò un progetto in Italia, in un simposio svoltosi ad Erice sotto l’egida di Antonino Zichichi. «Vale a dire: il suo proposito di usare l’aviazione civile per diffondere nella stratosfera milioni di tonnellate di metalli elettroconduttivi, ufficialmente per ridurre il riscaldamento globale». Teller, poi, «ritenne che anche l’aviazione militare potesse essere usata per nebulizzare a bassa quota queste particelle tossiche nell’aria».Secondo Lannes, il piano-Teller ricompare nel 2001, a seguito del “Piano dettaglio accordo Italia Usa sul clima”. «Si tratta di accordi internazionali, indirizzati a costituire un alibi per le inevitabili violente mutazioni climatiche che la diuturna diffusione di metalli e polimeri in atmosfera ha determinato. Tra questi, un innaturale “effetto atmosfera” indotto proprio dalle cosiddette “scie chimiche” e dalle emissioni elettromagnetiche. La stessa Nasa, pur definendole in modo menzognero “contrails” ovvero “scie di condensazione”, imputa a queste coperture artificiali un riscaldamento anomalo della bassa atmosfera». Non una parola, naturalmente, sui grandi media: «La popolazione viene mantenuta all’oscuro di tutto, mentre si mandano in onda disinformatori sgangherati, pennivendoli prezzolati e negazionisti quotati in tivvù». Eppure, il testo del trattato (allegato 4) parla apertamente di “sviluppo di nuovi sistemi per la realizzazione di esperimenti di manipolazione dell’ecosistema che permettano di esporre la vegetazione a condizioni ambientali simili a quelle attese in scenari di cambiamento globale”.Nel 2001, Italia e Stati Uniti hanno sottoscritto un impegno inquivocabile: testare la “risposta” dell’ambiente a sollecitazioni atmosferiche sperimentali, verificare la “vulnerabilità degli ecosistemi”, il meteo, la disponibilità idrica e le precipitazioni, la reattività della flora, la fertilità dei suoli. Tra le attività programmate, anche “la progettazione di tecnologie per la manipolazione delle condizioni ambientali con particolare riferimento al controllo della temperatura e della concentrazione atmosferica di CO2”. Se non c’è non niente di pericoloso per la salute collettiva, si domanda Lannes, perché nascondere e occultare, fino a negare (in modo ormai ridicolo) la presenza quotidiana, nei nostri cieli, di fittissime striature anomale, spacciate per bizzarre nubi o scie di condensazione? «Forse perché la vasta e complessa operazione va ad intaccare i cicli biologici e compromette la qualità della vita».A livello politico, continua Lannes, in Italia l’operazione è stata gestita dal ministro Altero Matteoli, dal dirigente ministeriale Corrado Clini (poi ministro con Monti), mentre a livello tecnico (Cnr) in prima linea c’era soprattutto Franco Prodi, fratello di Romano Prodi, che su “Terra Nuova” nel 2008 dichiava: «Non mi consta che esistano esperimenti militari con dispersione di aerosol, tanto meno a danno della popolazione». Eppure, aggiunge Lannes, già nel 2003 il ministro della difesa Antonio Martino «ha autorizzato le forze aeree Usaf a sorvolare lo spazio italiano per provvedere alle irrorazioni chimiche, come da accordo Usa-Italia». Tutto torna, conclude Lannes: «Non a caso, il primo atto parlamentare (interrogazione a risposta scritta 4-05922) sull’aerosolterapia bellica in Italia risale al 2 aprile 2003. Ed è stato indirizzato da un deputato dell’allora Pds, ovvero da Italo Sandi, al ministro della Salute. Dopo 11 anni, quell’atto interrogativo non ha ancora avuto una risposta da ben 6 governi tricolore (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi)». L’attuale premier, inoltre, è arrivato ad annunciare a “Ballarò” «il trattamento sanitario obbligatorio agli iscritti del Pd che si azzardano a parlare di scie chimiche».Ma le leggi della fisica non sono mere opinioni, aggiunge Lannes: le scie di condensa (peraltro di brevissima durata) si formano notoriamente al di sopra degli 8.000 metri di altitudine, con meno 40 gradi centigradi e umidità inferiore al 70%. Quelle che ingombrano i cieli per intere giornate, evidentemente, non possono esserlo. Lo sospettava anche Katia Belillo, autrice di un’interrogazione presentata nel 2007 al ministro della salute, rimasta senza risposta. Sul caso era intervento anche il Parlamento Europeo già il 14 gennaio 1999, con una delibera contro le sperimentazioni Haarp. Secondo il report 2013 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, «i popoli europei respirano attualmente misture di veleni tossici, aerosol di dimensioni microniche e submicroniche». Le sostanze tossiche utilizzate per le operazioni di aerosol, continua Lannes, «sono composte da metalli, polimeri, silicati, virus e batteri». Sotto accusa l’alluminio, un fattore determinante nell’Alzheimer: è una sostanza neurotossica che danneggia il sistema nervoso centrale e i processi omeostatici cellulari. «L’intossicazione di metalli, soprattutto il bario, produce un abbassamento delle difese immunitarie. Alluminio e bario modificano il ciclo vegetale ed uccidono la flora batterica dei terreni».«La diffusione in atmosfera di metalli pesanti come bario, alluminio, manganese – scrive ancora Lannes in post pubblicato da “Su la testa” – costituisce il colpo finale all’ambiente e alla salute umana, giacché questi elementi chimici sono neurotossici e perciò inducono patologie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer, la Sla, nonché leucemie, tumori, malattie respiratorie gravi come la bronchiolite costrittiva». L’unico punto ancora da determinare sarebbe il livello di inquinamento e il grado di compromissione della salute collettiva. Che influenza hanno avuto, le operazioni di scie chimiche dal 2003 ad oggi, sulla salute pubblica e sulle singole persone, in particolare a danno dei bambini? Quali malattie infettive dell’apparato respiratorio sono state già provocate dalle scie chimiche? Quali allergie sono state scatenate dall’intossicazione acuta e cronica da metalli pesanti? Impossibile parlarne? Eppure, fa notare Lannes, nel 1977 la Corte Costituzionale ha sancito che «il segreto può trovare legittimazione solo ove si tratti di agire per la salvaguardia di supremi, imprescindibili interessi dello Stato (quali l’indipendenza nazionale, l’unità e indivisibilità dello Stato, la democraticità dell’ordinamento), e quindi «mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale». Per il giornalista, siamo di fronte a un «avvelenamento di massa» perpetrato da oltre 10 anni, in violazione dell’articolo 32 della Costituzione e anche della Convenzione europea di Aarhus del 1998, ratificata dall’Italia nel fatidico 2001, l’anno del patto segreto sull’irrorazione dei cieli.Veleni dal cielo, contro tutti noi, da quasi 15 anni. Le scie chimiche? Verità sempre oscurata, perché aberrante: impossibile ammettere di irrorare i cieli con metalli pericolosi, per manipolare il clima a scopo militare. Inoltre, la colossale operazione-aerosol in corso da lungo tempo viola apertamente svariate disposizioni, che anche l’Italia aveva sottoscritto: una prescrizione europea e persino una convenzione dell’Onu, risalente al lontano 1977, ratificata nel 1980 grazie al presidente Sandro Pertini. Lo afferma un giornalista scomodo come Gianni Lannes, più volte minacciato di morte per le sue scottanti inchieste sulle eco-mafie. Molte delle sue denunce sono contenute nel suo blog, “Su la testa”. Sulle scie chimiche, Lannes sta per ripubblicare, aggiornato, il libro “Scie chimiche, la guerra aerea che avvelena la nostra vita e il pianeta”, già pubblicato da Arianna editrice. Retroscena rivelati e rilanciati anche a “Border Nights”, trasmissione web-radio: l’Italia, afferma Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava l’Italia in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”.
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Il dopo-Renzi sarà anche peggio (si accettano scommesse)
Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».In palio, a quanto pare, ci sarebbe «la sostituzione del terzo governo italiano non eletto, filo-atlantista, euroservo e antipopolare». Secondo Dezzani, dopo Renzi ci sarà «un governo tecnico per attuare misure estreme contro di noi, il quarto non eletto dopo Monti, Letta e Renzi, forse guidato da Ignazio Visco». Oppure, piano-B: l’establishment euro-atlantico potrebbe giocare a sorpresa la carta del Movimento 5 Stelle, che Dezzani definisce «appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare e addomesticare il voto di protesta». Secondo Giannuli, invece, potrebbe sorprenderci il ritorno del re dei dinosauri, il super-privatizzatore Massimo D’Alema, o magari quello dell’estromesso Letta, «per riorientare il partito», il Pd strattonato da Renzi. O ancora, il ritorno in Italia, a capo del governo, di Federica Mogherini, attuale “Lady Pesc”, che «farà addirittura rimpiangere Renzi». Eugenio Orso, poi, teme addirittura «l’avvento del famigerato governo-Troika commissariale definitivo, che non lascerebbe più spazio ai tentennamenti dei collaborazionisti locali nell’applicare le controriforme e fare le privatizzazioni, svendendo tutte le municipalizzate».E’ difficile dire cosa accadrà veramente, ammette Orso, visto che il 2016 che è appena agli inizi. Meglio allora procedere con cautela. Primo passo, un governo tecnico per attuare misure estreme, con a capo (come scrive Dezzani) Ignazio Visco. «Abbastanza probabile, se decideranno di continuare ancora per un po’ la sequenza di governi tecnici-nominati (dall’esterno, naturalmente)». La carta 5 Stelle? Secondo Dezzani, il movimento di Grillo non è che l’emanazione truffaldina, mascherata, dell’establishment euro-atlantico: «Del direttorio grillino – riassume Orso – il “papabile” potrebbe essere Di Maio, molto più di Fico e Di Battista, quotatissimo com’è negli immancabili sondaggi». Per Orso, sarebbe una soluzione «non troppo probabile», ovvero «possibile ma rischiosa per le élite, proprio per l’incapacità dei grillini nell’amministrare senza combinar casini (non nascondiamolo!) e per possibili resistenze alle controriforme contro il paese di una parte dei rappresentanti pentastellati e/o della base (i supporter del cinque stelle non sanno di essere eterodiretti!)».Sul ritorno di personaggi come D’Alema e Letta, «per superare il renzismo nel Pd e mantenere l’entità collaborazionista di governo», pronta ai diktat di Bruxelles, meglio sorvolare: una «minestra riscaldata», come dice Giannuli. E la Mogherini, distanziatasi da Renzi per fare da magafono dell’Ue? «Ha qualche probabilità in più», scrive Orso, «perché ci sarebbe, a supporto, per far digerire la pillola agli idiotizzati sinistroidi politicamente corretti, anche la retorica, amplificata dai lacchè giornalistici, sul primo capo di governo donna, emancipata, capace, relativamente giovane e brillante: Mogherini, la salvatrice dell’Italia al femminile, dopo Monti il salvatore e Renzi il rottamatore! Per noi, un deciso passo in avanti verso il burrone». In cima ai timori di Orso c’è però il commissariamento definitivo da parte della Troika: «Rappresenterebbe l’ultimo passo necessario per neutralizzare e saccheggiare l’Italia. Le élite renderebbero così il paese una pattumiera euroatlantista nel Mediterraneo, con poca industria e masse di straccioni adatti a lavori sottopagati, a “basso contenuto tecnologico”, esattamente quel che prevede il “sogno europeo” – ossia il progetto euroglobalista – fuor di retorica e propaganda per i gonzi».Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».
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Italia colpita e affondata da Monti & Fornero (e Napolitano)
Qualità della vita in Italia? Collata inesorabilmente. E il declino parte dal 2011, quando la crisi economica ha investito l’Europa e i mercati hanno sferrato il loro attacco all’Italia. In seguito a quei momenti (economicamente) drammatici, con il timore che lo spread potesse mandare gambe all’aria il Belpaese, arrivarono le dimissioni del governo Berlusconi e la decisione di Giorgio Napolitano di affidare la guida del paese a Mario Monti. Scelta azzeccata? Per nulla. I dati emersi dallo studio realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio dimostrano che proprio l’esperienza del governo tecnico e soprattutto la legge Fornero hanno determinato il crollo della soddisfazione dei cittadini per la qualità della vita in Italia. Le cifre sono chiare e non lasciano spazio all’immaginazione. Dato come 100 l’indice di soddisfazione per la qualità della vita nel 2015, nel 2010 l’indice era 119. Poi è iniziato il crollo. Nel 2011 l’indice era di 117, poi nel 2012 è sceso a 102. Il calo di soddisfazione non ha ancora fermato la sua corsa. Enrico Letta e Matteo Renzi non sono riusciti a risollevarlo, nonostante gli annunci dell’attuale premier.L’indice, infatti, nel 2014 scende ancora a 102. Non bastano infatti gli annunci per far creadere agli italiani di stare bene. Non bastano nemmeno 80 euro in busta paga. I numeri dello studio sull’insoddisfazione degli italiani sono la cartina di tornasole delle reali condizioni del paese al di là delle parole del premier. Andando oltre, lo studio mette tra le cause dell’insoddisfazione anche il divario enorme tra Nord e Sud Italia. «All’Italia – si legge nello studio – occorre un salto di qualità che vada non solo nella direzione di un recupero di fiducia ma soprattutto in un progetto che punti a colmare i gravi ritardi tra nord e mezzogiorno. E’ inimmaginabile pensare di recuperare il terreno perduto con la crisi e competere con le economie europee più avanzate se permangono differenze così forti nelle varie aree del paese, differenze che si riflettono inevitabilmente nella velocità di risalita e che espongono a crisi cicliche e a un progressivo degrado economico delle aree più povere».Se nel 2015 l’indice di soddisfazione per la qualità della vita personale è stato pari a 112 nel nordest e a 109 nel nordovest, mentre l’indice registrato a Sud è di 85 e 87 nelle isole. Anche il reddito delle famiglie povere si concentra la Sud. Più attive sopra il Po le imprese innovatrici, mentre per quanto riguarda la struttura culturale prevale il centro Italia. Dati a vantaggio del Nordest anche per quanto riguarda i servizi sociali e il sistema sanitario. In questo campo il Sud e le Isole non raggiungono nemmeno la media nazionale. Nel complesso l’indice della qualità dello sviluppo, utilizzando come base di confronto la media nazionale pari a 100, colloca il nordest al primo posto con 111 punti, seguito dal nordovest (107), dal centro (103), mentre il sud e le isole si fermano molto più in basso, a 87 punti. E mentre crisi economica, governo Monti e legge Fornero hanno affossato il paese, Matteo Renzi fa finta di nulla. Difficilmente inserirà questi dati nella prossima slide.(Giuseppe De Lorenzo, “Crolla la qualità della vita, colpa di Monti e Fornero”, da “Il Giornale” del 23 gennaio 2016).Qualità della vita in Italia? Collata inesorabilmente. E il declino parte dal 2011, quando la crisi economica ha investito l’Europa e i mercati hanno sferrato il loro attacco all’Italia. In seguito a quei momenti (economicamente) drammatici, con il timore che lo spread potesse mandare gambe all’aria il Belpaese, arrivarono le dimissioni del governo Berlusconi e la decisione di Giorgio Napolitano di affidare la guida del paese a Mario Monti. Scelta azzeccata? Per nulla. I dati emersi dallo studio realizzato da Tecnè e dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio dimostrano che proprio l’esperienza del governo tecnico e soprattutto la legge Fornero hanno determinato il crollo della soddisfazione dei cittadini per la qualità della vita in Italia. Le cifre sono chiare e non lasciano spazio all’immaginazione. Dato come 100 l’indice di soddisfazione per la qualità della vita nel 2015, nel 2010 l’indice era 119. Poi è iniziato il crollo. Nel 2011 l’indice era di 117, poi nel 2012 è sceso a 102. Il calo di soddisfazione non ha ancora fermato la sua corsa. Enrico Letta e Matteo Renzi non sono riusciti a risollevarlo, nonostante gli annunci dell’attuale premier.
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Della Luna: banche e sangue, stanno per portarci via tutto
I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati. Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie. Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45! Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide). Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.Non sa, inoltre, che molti crediti divenuti inesigibili figurano invece a bilancio come a rischio ordinario solo perché il loro ammortamento, cioè la scadenza delle rate, è stato sospeso dalle banche stesse in accordo con i clienti morosi, nel reciproco interesse. Non sa che molti crediti, apparentemente coperti da idonee garanzie, in realtà sono scoperti, perché le garanzie sono state sopravvalutate ad arte al fine di concedere crediti a compari e a clientele politiche che era inteso che non li avrebbero rimborsati. O che sono beni sopravvalutati per consentire agli amici-venditori di venderli per un prezzo moltiplicato a compratori fasulli. Non sa che le garanzie immobiliari acquisita dalle banche a collaterale dei crediti erogati si sono fortemente svalutate e sono divenute pressoché invendibili, fonte più di spese che di recuperi, a causa della quasi morte del settore immobiliare fortemente voluta con la politica fiscale dal governo Monti, sicché le banche, pur avendo sulla carta la possibilità di recuperare i loro crediti vendendo gli immobili ipotecati a copertura, in realtà incasserebbero troppo tardi perché il realizzo possa aiutare a superare la crisi odierna.Non sa che il sistema bancario italiano non crolla solo perché continua: a ricevere aiuti (credito gratuito) dalla Bce; ad avere la possibilità di realizzare profitti illeciti, ossia solo perché le varie autorità competenti non gli impediscono di continuare; ad applicare commissioni illegittime, interessi usurari, anatocismo; nonché a collocare titoli-spazzatura o sopravvalutati; e, come già detto, a non dichiarare in bilancio tutte le perdite sui crediti. Tutte queste cose, al contrario, le sa la Banca Centrale Europea, che a giorni manderà i suoi ispettori nelle banche italiane, e si sa già che cosa quindi questi signori troveranno. Ecco il perché delle turbo-vendite massicce anche allo scoperto dei titoli delle banche italiane. Si sa che l’ispezione, se non solo minacciata ma anche rigidamente eseguita (e qui c’è spazio per mediazione politica e il buon senso, ovviamente) potrà portare a un disastro di tutto il sistema bancario e a conseguenze radicali per l’intero paese. Più dell’arrivo della Troika, di nuove tasse di emergenza per finanziare la bad bank, di un bail-in generalizzato, di una legge che ipotechi forzatamente i beni immobili degli italiani a garanzia di qualche prestito di salvataggio da parte del Fmi.E siccome una qualche situazione esplosiva molto probabilmente si realizzerà prima che sia stato instaurato il nuovo, schiacciante sistema di dominio autocratico del premier, cioè la riforma costituzionale ed elettorale del governo Renzi, è abbastanza possibile che il paese si ribelli. Soprattutto se verrà divulgata la notizia che gli stessi fondi di investimento e altri investitori istituzionali che stanno conducendo la campagna di svendita dei titoli delle banche italiane, sono quelli che partecipano la Banca d’Italia, le agenzie di rating, e la stessa Bce, la quale adesso manda le ispezioni. È molto pericoloso che la gente apprenda chi e come le sta portando via il risparmio e la casa e il posto di lavoro e, al contempo, la libertà.(Marco Della Luna, “Banche e sangue, questa è l’Italia che riparte”, dal blog di Della Luna del 21 gennaio 2016).I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati. Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie. Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45! Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide). Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.
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William White: il mondo va verso epiche bancarotte
«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.Dunque è una questione di potere: i vincenti (non so se ho detto Germania) devono subire un ridimensionamento a favore dei perdenti? Ovvio che resistano: gli attacchi di Juncker a Renzi sono uno dei fenomeni della resistenza dei vincitori, che non vogliono fare la loro parte, e continuare a vincere fino al default generale dei perdenti. Secondo mr. White, i creditori europei sono quelli che probabilmente subiranno un più grosso taglio da un giubileo. Le banche europee hanno ammesso di avere un trilione di prestiti non funzionanti; sono pesantemente esposte ai mercati emergenti e stanno certamente prolungando debiti marciti che non hanno mai rivelato (viene a mente Deutsche Bank, il buco con un paese attorno? Non solo…). Il sistema bancario europeo dovrà essere ricapitalizzato su scala mai immaginata prima, e le nuove regole di bail-in significano che ogni depositante sopra i garantiti 100 euro dovrà contribuire al pagamento (si capisce perché Berlino ha salvato le sue banche con quasi 300 miliardi di soldi pubblici, poi ha fatto votare al parlamento italiano le norme sul bail-in?)White è uno dei pochissimi che ha detto ad alta voce, dal 2008, che la finanza occidentale stava andando a sbattere provocando una violenta crisi finale. Il solo a dire che stimolare l’economia a forza di stampaggio e tassi zero da parte delle banche centrali dopo la crisi Lehman (2007) alimentava “stimoli” dell’Asia e nei mercati emergenti, gonfiando bolle di credito, e un aumento dell’indebitamento in dollari che era difficile da controllare in un mondo di libera circolazione di capitali. La globalizzazione capitalistica ha sempre prodotto lo stesso danno finale: chi lo ha negato per tutti questi anni, è solo perché ci guadagnava: faceva vincere la sete del potere invece della verità. Il risultato? che anche gli emergenti sono oggi nel gorgo del debito. I debiti privati e pubblici sommati sono saliti in questi mercati al 185% del Pil, e nei paesi Ocse del 265 per cento: «Il 5 per cento in più rispetto all’altro ciclo del 2007» che ha portato al disastro Lehman e alla crisi recessiva mondiale in corso. Con questa complicazione: «I mercati emergenti, allora, furono parte della soluzione. Adesso anch’essi sono parte del problema». Traduzione: il capitalismo si salvò indebitando (pardon, “facendo giungere capitali per lo sviluppo dei”) paesi emergenti, fino a renderli come sono ora, insolventi. Ora anche loro anno bisogno di un giubileo.Che cosa produrrà il crollo del sistema dando il via alle epiche bancarotte mondiali? Impossibile dirlo: «Il sistema ha perso la sua ancora ed è prono alle rotture in modo inerente». Una svalutazione cinese può metastatizzare. «Ogni paese grande s’è lanciato in una guerra valutaria, anche se si ostina a dire che il quantitative easing non ha nulla a che fare con la svalutazione competitiva. Hanno giocato, tranne la Cina – fino ad ora». L’effetto dello stampaggio è uno spendere in anticipo sul futuro; ciò provoca una tossicodipendenza e, alla fine, non riesce più a “fare trazione” Alla fine, il futuro arriva nel presente, e non puoi più spenderlo. E il gioco mica l’han cominciato dal 2007. Già nel 1987 la Fed ha iniettato troppo stimolo per prevenire una “purga” (dei creditori) dopo il crash che avvenne allora. Dopodiché le “autorità”, banche centrali e governi, hanno lasciato che ogni boom facesse la sua corsa, pensando che avrebbero avviato la pulizia più tardi, e rispondendo ad ogni shock con altra stampa, alacremente. Ciò ha portato, secondo l’esperto della Bri, la finanza a una convinzione della facilitazione perpetua, fino alla caduta degli interessi al disotto del loro “tasso naturale”, cessando di essere un segnale del rischio di credito.«L’errore fu peggiorato negli anni ’90, quando Cina ed Europa dell’Est sono state unite improvvisamente all’economia, inondando il mondo con esportazioni a basso prezzo. I prezzi calanti dei beni industriali hanno mascherato l’inflazione degli attivi (finanziari) che stava avvenendo. I politici sono stati indotti all’inazione da una serie di credenze consolanti, che ora si rivela false. Sono stati indotti a credere che finché l’inflazione è sotto controllo, tutto va bene». Ecco in poche limpide parole perché gli americani hanno accelerato la globalizzazione, fatto entrare il gigante cinese nel mercato mondiale nonostante la sua economia statalista, ed aperto all’Est europeo: per gonfiare la loro bolla, e andare avanti ancora un po’. Adesso la Cina, dopo uno sviluppo eccessivamente rapido artificialmente montato dai capitali, si è trasformata da locomotiva in valanga. Una valanga immane.La Fed ha prodotto bolle su bolle, fino a provocare quella in cui siamo oggi: la “debt deflation” preconizzata da Irving Fisher, il grande economista della Grande Depressione. Oggi la Fed è in «un terribile dilemma», e tenta di raddrizzare la nave sottraendosi a ulteriori quantitative easing. «Se alzano i tassi, sarà brutta. Se non li alzano, non si fa’ che peggiorare la cosa. La situazione è così maligna, che non esistono risposte giuste per risolverla. E’ la trappola del debito, non c’è uscita facile». Secondo mr. White, un inizio sarebbe che i governi smettano di dipendere dalle banche centrali per non essere loro a fare il lavoro sporco. Le banche centrali non possono risolvere un problema di insolvenza, possono solo risolvere problemi di liquidità. I politici «devono ritornare al fondamentale attività di bilancio, chiamatela keynesiana se volete, e lanciare un mai visto e potente programma di investimenti sulle infrastrutture, che si paghi grazie alla crescita maggiore».E’ il momento delle soluzioni alternative, del “quantitative easing per il popolo”? la speranza è che al Forum di Davos i potenti del mondo affrontino in questo problema così limpidamente posto da White e dal “Telegraph”. Ecco uno dei motivi per cui la cancelliera Merkel ha annullato la sua partecipazione a Davos? Se è così, sarà un crollo disordinato, una guerra europea. I tedeschi e Bruxelles sanno che posson perdere tutto,e fanno i duri….E noi, o metà dei media e del popolo italiota, a “prendere le distanze da Renzi”. Lo so anch’io che Renzi è un peso minimo. Ma è lui a questo passo cruciale della storia, ed è la carta con cui dobbiamo giocare. Se aspettiamo – come sempre facciamo noi italiani – l’arcangelo Michele che prenda il governo italiota, per finalmente sentirci ben guidati e pronti alla lotta, abbiamo da aspettare…la possibilità reale è che ci mettano di nuovo Monti, Letta, o Giuliano Amato, o Napolitano. O la Mogherini: vi ho fatto paura, vero?(Maurizio Blondet, “Il mondo va verso epiche bancarotte”, dal blog di Blondet del 20 gennaio 2016).«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.
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Frode e usura? Per le banche sono la regola, non l’eccezione
Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i codiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie. La classe finanziaria, da quando esiste (cioè dalla Prima Guerra Punica) ad oggi, si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici, finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli. Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la continuazione delle frodi.In particolare, negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di emissione (vedi il golpe monetario del 16 dicembre 2006 e la riforma-regalo del decreto legge 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi “Euroschiavi” e “Sbankitalia”). Con la prima delle due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni in vere proprie truffe sui mercati finanziari, regolati e non, mandando spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai gestori criminali.Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri. Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale – manifesta concretamente quanto è servile e criminale la cosiddetta casta politica.Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante, e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi (né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli (per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai pagare il fio.Quando oggi si parla all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente, sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico, aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini di fattori impersonali.Alle volte, dopo crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall, la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30, impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario. Ma dopo simili riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché lungimirante), regolarmente recupera le posizioni perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla società.Proprio quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori quote di potere politico. Se teniamo presente questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio Pci sono dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo finanziario, con la sua capacità di pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di profitti ed affermazione.In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci aggiustati ad arte per nascondere le perdite.(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i cosiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.