Archivio del Tag ‘Mario Draghi’
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Smascherato il Bomba, l’Italia crederà al prossimo Renzi?
Ha perso Renzi, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non potesse rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?Sono bravi, i tribuni della plebe, a fare in modo che il popolo invaso prenda lucciole per lanterne: madornale, il 40% rimediato dal Pd renziano alle europee 2014, appena un anno e mezzo fa. Un mandato troppo grande, evidentemente, per il piccolo fiorentino, l’uomo del bar specializzato nel gioco su più tavoli. Ti può andar bene una volta, ma non sempre: alla lunga, diventi antipatico. Bel problema: per te, ma soprattutto per i tuoi capi, già al lavoro per trovare una soluzione di ripiego che risulti indolore, per i loro sovrani interessi. A caldo, dovranno sicuramente punire la plebe insubordinata: colpirne uno per educarne cento, come scrive Paolo Barnard sul “Daily Express” di Londra, perché guai se gli italiani la passano completamente liscia dopo aver detronizzato l’amico di Angela e Hillary, di Obama e del Ttip – guai, perché gli inglesi post-Brexit potrebbero pensare di uscire indenni anche loro dalla morsa dei neo-feudatari, e a maggior ragione i francesi si sentirebbero incoraggiati, nel 2017, a licenziare i collaborazionisti di casa, eleggendo all’Eliseo una outsider come la signora Le Pen a cui nessuno, a Bruxelles e Berlino, ha finora potuto dare ordini.Si mette male? I signori dello spread picchieranno sodo? Fino a che punto, è da vedersi: vista la situazione – con i media mainstream che non controllano più l’opinione pubblica – quanto conviene, ai dominus, trasformare l’Italia in una specie di Grecia? La storia insegna che i sommi manovratori prediligono di gran lunga l’illusionismo, un po’ come fu per lo stesso Renzi, il super-rinnovatore che ha semplicemente tagliato i diritti del lavoro, come richiesto dalla cupola di Bruxelles, in ossequio al piano di svalutazione interna (salari, pensioni, welfare) imposto dalla moneta unica. Per introdurlo, l’euro, in Italia è stato necessario lo tsunami di Mani Pulite, che ha tolto di mezzo personaggi come Craxi e Andreotti, che mai avrebbero calato le brache a Maastricht. Gli italiani, allora, gridarono alla liberazione, alla rivoluzione. Oggi, la crisi ha colpito in modo devastante: i giovani del 2016 non sono quelli degli anni ‘90, che un futuro a casa ce l’avevano. Il bisogno di riscostruzione è percepito in modo lancinante, come conferma lo stesso consenso accordato fino a ieri persino a Renzi, che infatti ha perso solo quando ha voluto spaccare il paese in due. Comunque vada, dicono molti osservatori, sarà dura. Molte favole sono state archiviate come frottole. Ma una narrazione veritiera per ora si fa strada solo in negativo, a suon di No.Ha perso Renzi, il Bomba, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non possa mai rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
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Regalare l’Italia ai suoi predatori, fingendo di difenderla
Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».Una colossale spoliazione, che la “casta” al potere ha consentito «in cambio di carriera assicurata», in patria ma anche «in Europa, o nelle grandi banche saccheggiatrici che essi hanno servito, secondo il noto schema delle “porte girevoli”». Questo, aggiunge Della Luna, «è il regime che predica tanto su corruzione ed evasione, e presenta il supergarante Cantone». Guardiamo ai fatti: «Il governo Monti, solo per citarne uno, ha raccolto 57 miliardi di tasse in più dagli italiani, affondando il settore immobiliare ed esasperando così la recessione, per dare aiuti alle decotte banche greche e non solo, con cui pagassero alle banche franco-tedesche i loro illeciti profitti ottenuti con prestiti predatori precedentemente concessi». Im pratica, «fu un enorme aiuto di Stato a banche private, imposto dall’“Europa”», la stessa Europa che oggi «non consente al governo italiano di aiutare le proprie banche in crisi». Motivo del divieto: «Devono essere spolpate da Jp Morgan e soci, il cui uomo di fiducia, Morelli, è già stato messo da Renzi a capo di Mps».Questi governi, continua Della Luna, «sopravvivono solo perché e finché la Bce continua ad assicurare artificialmente l’acquisto dei loro titoli pubblici». Nel regime dell’Eurozona non puiò che essere così: è la Bce a tenerli in vita in questo modo, «per evitare che collassino mentre procede il programma di espianto e trasferimento all’estero delle risorse italiane: capitali, cervelli, aziende, mercati». Matteo Renzi paladino degli interessi nazionali? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò. «A parte gli effetti provvisori e già scemati della costosa decontribuzione, il Jobs Act ha ridotto i diritti del lavoro e non ha aumentato strutturalmente gli impieghi», sottolinea Della Luna. «Le promesse di superare l’austerity merkeliana ed europea si sono dissolte o sono rinviate sine die di fronte al “nein” di chi comanda in Europa». Inevitabilmente, quindi, «malgrado le mancette degli 80 euro», la festa è finita subito: «L’euforia si è sgonfiata e consensi per Renzi sono fortemente scesi dal 40% iniziale dovuto al marketing e all’effetto novità». I sondaggi dicono che vincerà il No: «Salvo un loro errore clamoroso, il piano è fallito». La “riforma” renziana? L’ennesimo tassello del grande piano, che «mira ad abolire lo Stato di diritto, la rappresentanza democratica, la possibilità di opposizione e alternanza interna al sistema giuridico», quindi «l’obbedienza dell’Italia a Berlino e Parigi via Ue, dietro la simulata polemica con la Commissione Europea e il governo Merkel».Il piano era semplice: «Creare euforia e consenso legati alle riforme di Renzi per trasformare l’Italia in un paese governabile, “marionettando” un solo uomo», cioè il capo del Pd. Corollario: rendere costituzionale «la subordinazione di Roma a Berlino e Parigi», e soprattutto «completare il trasferimento-svendita» del paese, con le aziende strategiche (inclusa Bankitalia) affidate al controllo di banche straniere. Renzi? E’ stato solo l’ultimo atto di una tragica farsa che risale agli anni ‘80, scrive Marco Della Luna nel suo blog, in cui denuncia il pericolo di brogli che incomberebbe sul referendum del 4 dicembre, dato l’altissimo rischio che Renzi lo perda, costringendo i suoi padroni occulti a rallentare l’assalto all’Italia. «Al governo e ai potentati che esso serve – scrive Della Luna – non resta che puntare su brogli massicci per vincere il referendum e insieme prepararsi a guidare gli sviluppi, in caso che perdano, mediante i soliti strumenti dei premi e dei ricatti finanziari e giudiziari». Niente di nuovo: «La principale occupazione dei governanti italiani, perlomeno da Andreatta in poi, è stata quella di trasferire, senza che l’opinione pubblica capisse che cosa facevano, il risparmio, le risorse finanziarie, le migliori aziende, le imprese strategiche, tra cui soprattutto la Banca d’Italia, a multinazionali finanziarie straniere».
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Addavenì Roosevelt, ma per ora ci sono i padroni di Matteo
Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.Tutti a sparare contro Gelli, dice Gioele Magaldi, e nessuno che dica – a parte lui – che nello stesso anno in cui Berlusconi entrava nella P2, Napolitano veniva affiliato alla “Three Eyes”, la potentissima Ur-Lodge plasmata da personaggi come Kissinger e Rockefeller. Proprio alla “Three Eyes”, dice sempre Magaldi (massone progressista), il giovane Matteo sta tuttora “bussando”, sperando di essere accolto – nella “Three Eyes”, faro storico della destra massonica mondiale, ma anche presso altri «circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», come le superlogge “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Compass Star-Rose” e “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, il terribile Wolfgang Schaeuble. Sono informazioni ormai accessibili al pubblico: Magaldi le ha inserite nel suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere, che i media mainstream hanno evitato di recensire. «Non c’è la documentazione di quanto si afferma», ha detto qualcuno. Magaldi ha sempre risposto prontamente: «Ho a disposizione 6.000 pagine di documenti, se qualcuno dubita della veridicità di quanto ho lo scritto me lo dica, gli dimostrerò che si sbaglia». Silenzio assoluto, naturalmente.Tornando a Matteo: ha avuto buon gioco nel liquidare Letta («che è un esponente dell’Opus Dei», dichiara un altro analista di appartenenza massonica, Gianfranco Carpeoro, autore del dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, pubblicato da Uno Editori). Lo stesso Carpeoro aggiunge: quei “salotti” non lo vogliono, Renzi, perché allarmati – persino loro – dalla straordinaria disinvoltura del fiorentino, troppo privo di scrupoli (“Enrico stai sereno”) persino per i super-squali del massimo potere. Fatto fuori brutalmente Letta, Renzi ha illuso anche Berlusconi, facendosi credere disponibile a condividere il ridisegno strutturale del paese, dalla Costituzione alla legge elettorale. E, prima ancora, aveva bruciato sul traguardo il pessimo Bersani, inchiodato da Grillo alla “non-vittoria” del 2013. Bersani, ovvero: l’emblema della sinistra “politically correct” che ha dato a intendere agli italiani, per vent’anni, che il problema del paese era Berlusconi, e non la svendita dell’Italia ai super-padroni stranieri che manovrano i tecnocrati di Bruxelles, utilizzando l’abortita Unione Europea per svalutare le economie del Sud Europa, deindustrializzare, delocalizzare, demolire i diritti, far crollare il Pil, far esplodere il debito, ridurre l’ex classe media all’esasperazione che sta dietro al successo di Marine Le Pen e Donald Trump.I tempi stanno per cambiare? Forse, e non solo negli Usa. Lo disse, mesi fa, una delle più importanti eminenze grigie del “back office” super-massonico del potere americano, Zbigniew Brzezinki, già consigliere di Carter e stratega della globalizzazione. Ammonì Obama e la Clinton: basta provocazioni, è tempo di un accordo stabile con Russia e Cina. Su un altro piano, a queste dichiarazioni fa ora eco un altro super-potente, il francese Jacques Attali, già braccio destro di Mitterrand e “maestro” di Massimo D’Alema. L’epoca dell’austerity è finita, ha detto, ed è stata una catastrofe per l’Europa. Serve un nuovo Roosevelt che cambi faccia al vecchio continente, tornando a investire sulla spesa pubblica per produrre posti di lavoro. Sembra di sognare: nato come socialista, Attali divenne uno dei massimi artefici della politica neo-conservatrice che ha devastato l’Europa, da Maastricht in poi, precipitando nella crisi i paesi dell’Eurozona. Ora Attali ci ripensa: abbiamo sbagliato tutto, ammette. Nel suo piccolo ha sbagliato tutto anche Matteo, ultimamente, facendosi benedire dal tandem morente Obama-Hillary.Si mette male, per il referendum renziano? Chi può dirlo. Certo è che non esiste ancora un piano-B. Da una parte la Merkel e Juncker a puntellare la tecnocrazia della crisi, dall’altra l’esplosione dei cosiddetti populismi. Al povero Matteo, gli italiani credono sempre meno – e a milioni correranno a votare, anche solo per cancellargli dalla faccia il suo trionfalismo ipocrita e provinciale, ormai grottesco. Ma dov’è l’alternativa? Dov’è il nuovo Roosevelt di cui parla l’anziano Attali? Secondo un sondaggio commissionato dalla “Stampa”, due italiani su tre hanno paura di abbandonare sia l’euro che l’Unione Europea, non riconoscendo né l’uno né l’altra come le vere cause del disastro che subiscono, tra aziende chiuse, lavoratori a spasso, super-tassazione, erosione dei risparmi, zero futuro. Di fronte c’è un Everest praticamente invalicabile, la disinformazione sistemica: il debito pubblico è visto ancora come una colpa, anziché una leva di sviluppo. Le élite ci hanno lavorato per decenni: media, università, libri. Sfugge, al cittadino comune, il valore decisivo della sovranità statale. Non gliel’hanno spiegato né i sindacati né la sinistra di Bersani e quella di D’Alema, che andava a scuola da Attali quando ques’ultimo progettava l’annientamento dell’Europa. Restano i 5 Stelle, dice qualcuno. I 5 Stelle, appunto. Il nuovo Roosevelt può attendere.Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.
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Magaldi: serve un’Italia che esca dall’orrore di questa Ue
L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.Quindi, da un lato abbiamo Jean Monnet che scrive il discorso di Robert Schuman che inaugura appunto una traiettoria economicistica dell’Europa, e dall’altro abbiamo il progetto di Coudenhove-Kalergi, che negli anni ‘20 e ‘30 era stato un progetto vago, generico, a cui avevano aderito anche progressisti – si parlava di Europa unita in un contesto in cui c’era il nazismo e l’idea di un’Europa davvero triste e tarata su una serie di disvalori, quindi l’appello all’Europa unita sembrava un appello contro la barbarie fascio-nazista. Invece, poi, Coudenhove-Kalergi negli anni ‘40 ha chiarito meglio il suo progetto: una sorta di neo-feudalesimo, dove al posto dei feudatari di epoca medievale ci sono i tecnocrati, in una scala gerarchica che li pone al di sopra di qualunque sovranità popolare. Questa sorta di ideologia neo-feudale e la declinazione economicistica si saldano insieme e portano a che cosa? Lo vediamo: portano a un’Europa che tutto è, tranne che unita sotto il proprio governo continentale. E’ solo un equilibrio di nazioni. Questi soggetti, che hanno costruito questa Europa, sono nemici di qualunque valore europeo. La loro Europa è come la loro democrazia: la si propone come retorica, ma non la vive come sostanza.Lo dico a chi si dice anti-europeista o contro l’Europa: l’Europa non c’è mai stata. Come si fa a essere contro qualcosa che non c’è? Non esiste nessun livello continentale, legittimato democraticamente, che conti davvero. Il Parlamento Europeo è un organo stucchevole, limitatissimo nei poteri. La Commissione Europea è un consesso di cicisbei, che non fanno altro che eseguire i dettami e rispettare i limiti imposti della Banca Centrale Europea, e per il resto le nazioni si guardano in cagnesco e fanno, ciascuna, quelli che sembrano interssi nazionali ma in realtà non lo sono: sul medio-lungo periodo, anche la nazione che sembra aver lucrato di più da questa Disunione Europea, la Germania, avrà dei grossi problemi, perché sta venendo meno la capacità di consumo, stanno morendo i ceti medi, in Europa, e quindi la Germania avrà anche problemi con le sue esportazioni, su cui ha tanto puntato. La cancelleria tedesca – tramite Angela Merkel, anche lei “libera muratrice” di circuiti oligarchici – è anch’essa ostaggio di quegli stessi gruppi sovranazionali che puntellano questa globalizzazione, dove non si globalizza il diritto di ciascuno a una vita dignitosa, anche sul piano economico.E’ una globalizzazione dove, oltretutto, le carte sono truccate, perché evidentemente si può competere e liberalizzare il commercio tra le diverse produzioni solo se si gioca con le stesse regole: se tu “giochi” in un paese dove si tutela il lavoro, mentre in altri paesi il lavoro è di tipo neo-schiavistico, c’è qualcosa che non funziona. L’obiettivo di ogni sincero progressista è quello di ripristinare la coscienza della democrazia. Invece ho osservato con raccapriccio che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno per che cosa va a votare, a questo referendum costituzionale. Forse, se vogliamo essere degni di sovranità, se vogliamo poterci lamentare a buon diritto di quella espropriazione di sovranità, di benessere e di diritti che imputiamo ai nostri governanti a livello nazionale, a Bruxelles e in altre parti del mondo, forse dovremmo iniziare a informarci un po’ di più. Abbiamo bisogno di pedagogia politica, di informarci meglio sul mondo in cui viviamo, altrimenti saremo sempre manipolati, o vittime di questo scontro insensato, tra “buoni e cattivi”, spesso alimentato dagli stessi burattinai che ci svuotano di diritti e di democrazia. E’ una visione un po’ complottistica: c’è un’élite maligna che governa il mondo, un’élite demo-pluto-giudaico-massonica. Ma le cose non stanno così.La massoneria è stata la principale artefice delle libertà, della sovranità popolare, della democrazia e anche della nostra possibilità di criticare il potere, oggi – la libertà di critica, di espressione, di giornalismo. Con i coniugi Roosevelt, la massoneria è stata anche un faro, nel ‘900, di difesa di questa libertà e democrazia contro la barbarie nazifascista. Poi è stata anche alla base della New Frontier kennedyana, cioè di quel sogno – interrotto con le uccisioni dei fratelli Kennedy e di Martin Luther King – di una Great Society, che in parte Lyndon Johnson riuscì a realizzare, continuando il progetto kennedyano (e cioè: estendere sempre più diritti, possibilità di istruzione e mobilità sociale, a vaste fette della popolazione). Tutto questo si è interrotto. Dagli anni ‘70, il faro che ha illuminato in senso tenebroso la società mondiale è stato quell’idea enucleata in “The crisis of democracy” (di Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki), un libello che contiene i fondamenti di questa idea secondo cui troppa democrazia “fa male”.Se lo dissero i massoni reazionari della “Three Eyes”, che commissionarono quel testo alla Trilateral Commission: la democrazia va limitata. Quello è un testo di più di quarant’anni fa, però noi ne viviamo oggi tutte le conseguenze. Per capire questo non basta protestare, non basta avercela con la casta, con i corrotti, con i cattivoni, con la finanza – la finanza è uno strumento, come il denaro: non è né buono né cattivo, dipende da come lo si gestisce. Noi abbiamo bisogno di un mondo in cui la politica torni a essere preminente sull’economia e sulla finanza, e in cui economia e finanza collaborino per garantire prosperità a tutti e a ciascuno.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per la video-intervista “Dietro a Donald Trump, le trame della massoneria progressista”, pubblicata da “ByoBlu” l’11 novembre 2016. Massone progressista, già gran maestro della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, Magaldi ha fondato l’associazione Grande Oriente Democratico, è stato affiliato alla superloggia internazionale Thomas Paine e ha fondato il Movimento Roosevelt, organismo meta-partitico che si propone di sollecitare un profondo risveglio sovranista della politica italiana. E’ autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere, nel quale denuncia lo strapotere di 36 Ur-Lodges a carattere apolide, alcune delle quali coinvolte nel disegno geopolitico neo-feudale e nella strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre all’Isis. Nell’intervista su “ByoBlu”, Magaldi dichiara anche che Matteo Renzi sarebbe «tuttora “bussante” presso circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», dalla “Three Eyes” in cui militerebbe anche Giorgio Napolitano, ad altre superlogge come la “Pan-Europa”, la “Edmund Burke”, la “Compass Star-Rose” e la “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble).L’Italia non ha bisogno di questo appassionarsi, francamente un po’ melodrammatico e patetico, sul Sì o il No alla riforma costituzionale. Abbiamo bisogno di governi che abbiano la forza di riscrivere i trattati europei e introdurci a un paradigma diverso, di governance, tanto dell’economia italiana che di quella europea, contribuendo anche a un nuovo tipo di globalizzazione. L’Europa è morta? No: l’Europa non è mai nata, diciamocelo una volta per tutte. Ogni tanto sento dire che bisogna “tornare allo spirito europeo” dei padri fondatori, Schuman, Monnet, Adenauer, De Gasperi, “quelli sì che erano sant’uomini, dediti al bene comune”… No, proprio no. L’Europa democratica, l’Europa dei popoli, gli Stati Uniti d’Europa: erano un sogno, di cui erano fautori uomini come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Victor Hugo, Altiero Spinelli. Ma l’Europa costruita negli anni ‘40 con la Ceca, la Comunità dell’Acciaio e del Carbone (cosa anche utile per affratellare, all’inizio, Germania, Francia e altri paesi) era un’Europa che viveva da un lato di istanze tecnocratiche ed economicistiche, e dall’altro del progetto neo-feudale di Coudenhove-Kalergi.
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Ue, ricatto Italia: se vince il No torna l’agguato dello spread
Ci sono due modi per commentare la lettera della Commissione europea con cui si fanno le pulci alla manovra italiana, finalmente arrivata al Tesoro. Sorridere, perché è davvero singolare che un’istituzione così importante perda il tempo col calcolo dei decimali nella legge di bilancio, quando in mare muoiono centinaia di persone, l’Italia ne accoglie 153.000 da inizio anno e altri paesi, a partire dall’Ungheria, meriterebbero molto più di una tirata d’orecchie perché di questi disperati non ne vuole vedere l’ombra. Oppure preoccuparsi. Di fronte al dramma della giungla di Calais sgombrata, ai quotidiani morti nel “Mare Mostrum”, al veto della minuscola Vallonia a un accordo internazionale, Bruxelles si sarebbe premurata di comunicare solo il 5 dicembre la sua risoluzione sulla legge di bilancio da 27 miliardi, non certo in odore di santità e perfettibile quanto si voglia. La tempestività o meno di una comunicazione comunque così rilevante può avere effetti nefasti sui mercati finanziari, che già hanno cerchiato di rosso il primo lunedì dell’ultimo mese del 2016, perché quel giorno sarà noto il risultato del referendum costituzionale.Ci mancava anche la solita pagella comunitaria. Difficile che quella sarà una giornata tranquilla, a prescindere dal contenuto della stessa comunicazione, già ampiamente anticipata peraltro da fonti di vario genere: si preannuncia un giorno del giudizio, per giunta probabilmente negativo. Gli economisti le chiamano profezie auto-avveranti e di precedenti analoghi ce ne sono. Possibile che nessuno ricordi infatti lo smottamento che provocò la diffusione, nell’agosto del 2011, di un’altra lettera, quella della Bce e della Banca d’Italia al governo Berlusconi, in cui di fatto si annunciava la fine degli acquisti dei titoli di stato se non si fosse messo mano ad un decreto legge lacrime e sangue? Con quella disclosure improvvisa sui diktat dei banchieri centrali – spedita anche a Madrid ma in questo caso rimasta riservata – si posero le basi per la tirannia dello spread, che poco dopo sarebbe arrivato a 575 punti base rispetto ai bund tedeschi, comportando un traumatico cambio di esecutivo.È di qualche giorno fa la decisione dell’agenzia di rating Fitch di mantenere a livello quasi spazzatura il voto sull’Italia, Bbb+, con prospettive, guarda caso, non più stabili ma negative, nel mentre la Francia, che è già da anni in procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo e lotta contro un debito in crescita, ha mantenuto la sua doppia A. Un divario enorme ed ingiustificato. Se non fosse per il paracadute della Bce, che col suo Quantitative Easing mette al riparo dalla speculazione i titoli di Stato del Belpaese, ci sarebbe da allacciare le cinture, perché annunciare il verdetto Ue per il 5 dicembre è un po’ come aver dato appuntamento a tutti gli hedge fund del mondo.(Roberto Sommella, “La Commissione dà appuntamento agli speculatori il 5 dicembre”, dall’“Huffington Post” del 5 dicembre 2016).Ci sono due modi per commentare la lettera della Commissione europea con cui si fanno le pulci alla manovra italiana, finalmente arrivata al Tesoro. Sorridere, perché è davvero singolare che un’istituzione così importante perda il tempo col calcolo dei decimali nella legge di bilancio, quando in mare muoiono centinaia di persone, l’Italia ne accoglie 153.000 da inizio anno e altri paesi, a partire dall’Ungheria, meriterebbero molto più di una tirata d’orecchie perché di questi disperati non ne vuole vedere l’ombra. Oppure preoccuparsi. Di fronte al dramma della giungla di Calais sgombrata, ai quotidiani morti nel “Mare Mostrum”, al veto della minuscola Vallonia a un accordo internazionale, Bruxelles si sarebbe premurata di comunicare solo il 5 dicembre la sua risoluzione sulla legge di bilancio da 27 miliardi, non certo in odore di santità e perfettibile quanto si voglia. La tempestività o meno di una comunicazione comunque così rilevante può avere effetti nefasti sui mercati finanziari, che già hanno cerchiato di rosso il primo lunedì dell’ultimo mese del 2016, perché quel giorno sarà noto il risultato del referendum costituzionale.
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Stress test, la Bce imbroglia per salvare Deutsche Bank
È l’ultimo scandalo emerso sul caso Deutsche Bank. Il “Financial Times” scrive che «al maggiore istituto di credito tedesco è stato permesso di imbrogliare – ops, scusate! – che gli è stato riservato un “trattamento speciale” da parte della Bce durante gli stress test di luglio», riporta “Zero Hedge”. Nei risultati di questi stress test, che promettevano di “ripristinare la fiducia nelle banche europee tramite una valutazione uguale e omogenea della situazione finanziaria di ciascuna banca”, i risultati per Deutsche Bank sono stati gonfiati da una “concessione speciale” accordata da Mario Draghi: i risultati di Deutsche Bank includevano i 4 miliardi di profitti dovuti alla vendita delle azioni dell’istituto di credito cinese Hua Xia, nonostante l’accordo non fosse ancora concluso alla fine del 2015, cioè la data limite di inclusione delle transazioni in questi stress test. Sebbene l’accordo con Hua Xia fosse stato concordato nel dicembre 2015, non è ancora stato completato e sarà probabilmente ritardato ulteriormente dopo aver mancato la scadenza regolamentare dello scorso mese. Ciononostante, la banca tedesca è ancora fiduciosa che l’accordo si concluda entro l’anno in corso.Come osserva il “Financial Times”, il trattamento “Hua Xia” è stato rivelato in una nota a pie’ di pagina nei risultati degli stress test per Deutsche Bank, e aggiunge che «nessuna delle altre 50 banche sottoposte a stress test ha simili note riportate, sebbene molte avessero accordi decisi ma non ancora completati alla fine del 2015», continua “Zero Hedge”, in un post tradotto da “Voci dall’Estero”. Come mostrato dallo stress test condotto in estate dalla banca centrale, il patrimonio di classe 1 di Deutsche Bank (la componente primaria del capitale bancario) crolla al 7,8% dopo essere stato «soggetto allo stress test del peggiore dei casi, considerando multe, bassi tassi di interesse e bassa crescita economica». Tuttavia, senza l’aiuto speciale dato da Hua Xia, il rapporto sarebbe sceso ulteriormente al 7,4%, un livello comunque superiore al minimo regolamentare. Perché dunque questo trattamento? «Perché pubblicare risultati migliori aiuta a rassicurare gli investitori, che stanno diventando sempre più nervosi sull’adeguatezza del capitale bancario».Ma altre banche non sono state così fortunate, prosegue “Zero Hedge”: l’istituto di credito spagnolo Caixabank ha completato una vendita di asset esteri per 2,65 miliardi di dollari verso la sua società madre, Criteria Holding, a marzo, ma comunque non gli è stato permesso di includere l’impatto di questa vendita nei propri risultati degli stress test effettuati in estate. Il trattamento speciale verso Deutsche Bank ha provocato sollevamenti di sopracciglia tra gli analisti del mercato: «Questo trattamento desta perplessità», afferma Chris Wheeler, analista all’Atlantic Equities. «Questa circostanza implica che gli osservatori dei mercati saranno inevitabilmente sospettosi e avranno dei dubbi sulla veracità dei risultati». Nicolas Véron di Bruegel, il think-tank con sede a Bruxelles, ha detto che è importante che sia la Bce che l’autorità bancaria europea che ha supervisionato i test, «spieghino e difendano le proprie scelte metodologiche», specialmente date le preoccupazioni del mercato verso Deutsche Bank. «Le metodologie degli stress test dovrebbero essere applicate uniformemente e senza alcun trattamento speciale: questo ovviamente vale anche per le banche di importanza sistemica, come Deutsche Bank».L’unico commento rilasciato dalla Bce al “Financial Times” è che la banca centrale «tratta tutte le banche nello stesso modo, in accordo col proprio regolamento», sebbene da questo tentativo di mettere una pezza al bilancio patrimoniale di Deutsche Bank sia apparso che non è affatto così. La Bce non commenta su Deutsche Bank nello specifico. E l’Autorità Bancaria Europea ha detto che ci sono stati oltre 20 casi “una tantum” approvati negli stress test. «Queste eccezioni sono pensate per evitare ovvie anomalie nelle previsioni degli stress test, se gli eventi si sono già svolti nel 2015», ha dichiarato. Secondo il “Financial Times”, altre eccezioni sono state rivelate citando una clausola nella metodologia che permette alcune limitate concessioni sulle “spese amministrative, i profitti o le perdite dovute alle operazioni discontinue e altre operazioni di spesa”. Come risultato del report, le azioni di Deutsche Bank, che prima erano crollate di -3% nel giorno dopo il fine settimana in cui è stato rilasciato il report che mostrava che le trattative dell’istituto di credito tedesco non erano riuscite, sono rimbalzate e tornate quasi immutate nel giorno in cui i trader hanno letto che la Bce avrebbe violato le proprie regole per permettere a Deutsche Bank di mantenersi stabile.È l’ultimo scandalo emerso sul caso Deutsche Bank. Il “Financial Times” scrive che «al maggiore istituto di credito tedesco è stato permesso di imbrogliare – ops, scusate! – che gli è stato riservato un “trattamento speciale” da parte della Bce durante gli stress test di luglio», riporta “Zero Hedge”. Nei risultati di questi stress test, che promettevano di “ripristinare la fiducia nelle banche europee tramite una valutazione uguale e omogenea della situazione finanziaria di ciascuna banca”, i risultati per Deutsche Bank sono stati gonfiati da una “concessione speciale” accordata da Mario Draghi: i risultati di Deutsche Bank includevano i 4 miliardi di profitti dovuti alla vendita delle azioni dell’istituto di credito cinese Hua Xia, nonostante l’accordo non fosse ancora concluso alla fine del 2015, cioè la data limite di inclusione delle transazioni in questi stress test. Sebbene l’accordo con Hua Xia fosse stato concordato nel dicembre 2015, non è ancora stato completato e sarà probabilmente ritardato ulteriormente dopo aver mancato la scadenza regolamentare dello scorso mese. Ciononostante, la banca tedesca è ancora fiduciosa che l’accordo si concluda entro l’anno in corso.
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Giannuli: la sinistra vale zero, ecco perché non esiste più
Perché la sinistra perde sempre, ormai da decenni? Perché non ha saputo leggere la grande crisi geopolitica esplosa con il crollo dell’Urss, risponderebbe Giulietto Chiesa. O magari perché, per dirla con Gioele Magaldi, l’élite neo-aristocratica si è impadronita del vertice della massoneria internazionale, sconfiggendo i “fratelli” progressisti e poi cooptandoli in un patto scellerato, il cartello “United Freemasons for Globalitazion”, all’alba degli anni ‘80. In saggi come “Il golpe inglese” e “Italia oscura”, Giovanni Fasanella rivela le grandi manovre anglosassoni per sabotare la sovranità della Penisola, fino all’epilogo del Britannia. A partire dal saggio “Il più grande crimine”, del 2011, Paolo Barnard ha messo a nudo il cuore del problema: la sinistra, anche italiana, era nel mirino dei grandi globalizzatori. “Dovevano” cadere partiti, movimenti e sindacati che fossero di ostacolo alla svolta neoliberista e neo-feudale dell’oligarchia già terriera, oggi finanziaria, ostile alle conquiste sociali della modernità. Lo conferma l’economista Nino Galloni: la sinistra italiana “doveva” essere piegata, col suo modello di economia sociale mista, pubblico-privata.Sinistra “piegata”, battuta. O meglio ancora “comprata”, attraverso i vertici di partiti e sindacati che, a un certo punto, hanno “tradito” e rinnegato i loro valori: hanno abbandonato la difesa dei diritti e cominciato a spiegare ai lavoratori che avrebbero dovuto rassegnarsi a tirar cinghia. Fino al trionfo del suicidio politico, col Pd di Bersani che vota il governo Monti e la legge Fornero, come richiesto dalla super-massoneria reazionaria. Ma tutto era cominciato molto prima, avverte Barnard: D’Alema vantò il record europeo delle privatizzazioni, dopo che Prodi aveva smantellato l’Iri (per poi diventare premier, presidente della Commissione Europea e advisor di Goldman Sachs). Altro da aggiungere? Sì, una notazione storica, che Barnard affida al famigerato Memorandum di Lewis Powell, l’avvocato d’affari ingaggiato dalla Camera di Commercio Usa per stroncare la sinistra in Europa e negli Stati Uniti. Vademecum perfettamente applicato dal supremo potere, attraverso le direttive della Trilaterale. Era l’inizio degli anni ‘70, ma la condanna per la sinistra era già firmata. In Europa, il nuovo padrone a cui obbedire senza discutere si sarebbe chiamato Unione Europea: bisogna tagliare tutto – salari, pensioni, welfare, sanità – perché “ce lo chiede l’Europa”.Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, fa l’appello degli ultimi discendenti della sinistra che fu: Rifondazione comunista, il Pdci, i Verdi, Sel. Quindi Vendola, Civati, i supporter di Tsipras. In altre parole, il niente: «Riuscireste ad immaginare un quadro più deprimente? Il punto è che i vari soggetti di questo scombinato arcipelago non hanno alcun progetto comune (posto che lo abbia qualcuno di loro)». Zero capacità di analisi sulla crisi in atto: di conseguenza, nessuna vera soluzione. «Impressionante è il vuoto totale di proposta politica: queste organizzazioni sono il nulla assoluto». Giannuli spera che “qualcosa di sinistra” ancora esista, da qualche parte, al di là di «quella truffa indecente che è il Pd». I 5 Stelle? Ancora acerbi, in fase di maturazione. Il professore si augura che “Sinistra Italiana” e M5S «trovino un terreno di convergenza, che inizino a dialogare». Ma, «se la sinistra non vuol passare da un disastro all’altro – aggiunge – è necessario in primo luogo che prenda atto della sua condizione pietosa». Da trent’anni, la sinistra «non produce un grammo di cultura politica». Solo campagne elettorali, con «un ceto politico impresentabile». Servirebbe «un progetto politico adeguato ai tempi», di cui però non c’è traccia. Perfetto, direbbe Lewis Powell: missione compiuta.Perché la sinistra perde sempre, ormai da decenni? Perché non ha saputo leggere la grande crisi geopolitica esplosa con il crollo dell’Urss, risponderebbe Giulietto Chiesa. O magari perché, per dirla con Gioele Magaldi, l’élite neo-aristocratica si è impadronita del vertice della massoneria internazionale, sconfiggendo i “fratelli” progressisti e poi cooptandoli in un patto scellerato, il cartello “United Freemasons for Globalitazion”, all’alba degli anni ‘80. In saggi come “Il golpe inglese” e “Italia oscura”, Giovanni Fasanella rivela le grandi manovre anglosassoni per sabotare la sovranità della Penisola, fino all’epilogo del Britannia. A partire dal saggio “Il più grande crimine”, del 2011, Paolo Barnard ha messo a nudo il cuore del problema: la sinistra, anche italiana, era nel mirino dei grandi globalizzatori. “Dovevano” cadere partiti, movimenti e sindacati che fossero di ostacolo alla svolta neoliberista e neo-feudale dell’oligarchia già terriera, oggi finanziaria, ostile alle conquiste sociali della modernità. Lo conferma l’economista Nino Galloni: la sinistra italiana “doveva” essere piegata, col suo modello di economia sociale mista, pubblico-privata.
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Riparare l’Italia? Impossibile, se gli Usa non vogliono
Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzoni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».Un giorno anche questo “impero” crollerà, come tutti gli altri, aggiunge Della Luna nel suo blog. Ma a farlo collassare non saranno certo i ragazzi di “Occupy Wall Street” o del movimento di Grillo. «Siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti». Ma in realtà «non lo sono più da molto tempo: essi sono controllati da chi li finanzia, detiene il loro debito, gli fa il rating». Siamo portati a pensare e a promettere: prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il paese. Ma non funziona così: «I vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia». In piccolo, la falsa partenza della giunta Raggi a Roma dimostra la stessa verità: anche per cambiare le cose in una città non basta avere i voti, «bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”».Sul piano tecnico, continua Della Luna, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro sono già disponibili e più volte descritti. Ma, per introdurre riforme importanti, bisogna fare i conti con l’oste: «Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici), dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il cosiddetto “Washington consensus” (e “Berlin consensus”), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”». Non se parla mai, «perché discuterne è sgradevole, scabroso». Chi fa proposte di riforma sostanziale dovrebbe prima verificare «quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II Guerra Mondiale, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli Usa».Lo stesso vale per la Germania: «Ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la “Kanzlerakte”, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca». E un protocollo riservato del trattato di pace con gli Usa «attribuisce a questi la “Medienhoheit”, ossia la sovranità sui mass media tedeschi». Ma se la Germania è “previsto” che sia efficiente, per l’Italia le cose cambiano: Della Luna parla di «obblighi verso gli Usa che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli Usa o di loro soggetti imprenditoriali. Prelievi che si traducono in tasse e tagli». L’Italia, poi, è costretta a subire «la sistematica violazione delle regole fiscali europee» da parte della Germania, nonché «lo shopping delle sue aziende migliori». Abbiamo «subito passivamente l’attacco ai Btp per imporre il “regime change” nel 2011 con la leva dello spread». E fu il cancelliere Kohl, racconta Della Luna nel saggio “Polli da spennare” (Nexus, 2008) a frenare la riforma italiana dell’efficienza.Piatto forte, comunque, i nostri soldi da versare al sistema finanziario americano: «Negli anni ’90, i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati Irs del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso». Una pratica turpe, rinnovata «anche grazie all’“Europa”». Per non parlare degli F-35, aerei-rottame, o delle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, «contrarie agli interessi italiani». La prima vittima? Enrico Mattei: «Fu ucciso mentre, come presidente dell’Eni, disturbava il cartello petrolifero angloamericano».L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori, John Perkins, nel saggio “Confessioni di un sicario dell’economia” (Minimum Fax). Gli Usa sono il peggior “Stato-canaglia” del pianeta? Già, ma «la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie». Della Luna indica una direzione di ricerca, quella dei «protocolli riservati annessi ai trattati di pace e relativi al Piano Marshall». Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, conclude il saggista. Meglio, a quel punto, progettare «una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di contestare la loro validità e compatibilità coi diritti dell’uomo e coi principi democratici», in modo che americani (e tedeschi) scendano dal trono.Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzioni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».
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Brancaccio: l’Ue distrugge il lavoro e fabbrica migranti
I partiti xenofobi guadagnano consensi e ormai influenzano le agende di governo proponendo il blocco dei movimenti migratori? «Bisognerebbe spiegare ai cittadini che la crescita dell’immigrazione è un problema del tutto secondario rispetto alla questione principale, che riguarda la libera circolazione internazionale dei capitali», spiega l’economista Emiliano Brancaccio. «L’indiscriminata libertà di movimento dei capitali è un fattore scatenante delle onde speculative, degli squilibri e delle crisi del nostro tempo». Se oggi i capitali «possono muoversi da un paese all’altro alla continua ricerca di bassi salari, bassa pressione fiscale sui profitti e blandi vincoli ambientali e contrattuali», il risultato è che «ogni istanza di progresso sociale e civile viene presto o tardi soffocata». Per questo, Brancaccio pensa a un sistema di controllo dei movimenti di capitale, fuori e dentro l’Europa, «specialmente da e verso quei paesi che adottino misure di dumping sociale e fiscale». Ma il vero problema, dice l’economista, è che l’Unione Europea è ormai un cadavere. Pura utopia sperare di poterla riformare dall’interno, come sperava la sinistra di Tsipras e soci.In Italia, ovviamente, buio pesto: «Dalle nostre parti il dibattito politico è dominato dal nulla», dichiara Brancaccio a Giacomo Russo Spena in un’intervista su “Micromega”. «Eppure, quando ai prossimi appuntamenti elettorali si tratterà di giudicare i programmi dei partiti, poche cose saranno importanti quanto la posizione che le varie forze assumeranno sul tema della circolazione indiscriminata dei capitali». L’esodo di massa dei lavoratori, dal Sud verso il Nord dell’Europa? E’ «l’unico meccanismo che può mitigare gli effetti della forbice occupazionale in atto». Ma siamo alla macelleria pura: «Quella migratoria è una valvola di sfogo delicata, complessa, dolorosa, che richiederebbe un minimo di organizzazione preventiva della direzione e della velocità dei flussi». Dinamiche che l’Ue non ha neppure provato a governare, preferendo affidarsi «a rozzi meccanismi di mercato», contribuendo così a «cospargere altra benzina sul fuoco del risentimento sociale e della xenofobia». Ci siamo dentro anche noi: «Oggi la propaganda delle forze reazionarie, in Gran Bretagna come in Germania, cattura consensi anche lamentando che “ci sono troppi italiani in giro”. Con buona pace per gli ideali di fratellanza tra i popoli europei».Queste tendenze, aggiunge Brancaccio, potrebbero sfociare in una sorta di “xenofobia liberista”, a partire dai possibili esiti della trattativa sulla Brexit. L’influente Istituto Bruegel di Bruxelles promuove un nuovo accordo tra Ue e Regno Unito che si basi da un lato sulla riaffermazione della indiscriminata circolazione internazionale dei capitali tra le due aree, e dall’altro sulla concessione ai britannici di bloccare a piacimento i flussi di immigrati dal continente. «Se questo è il meglio che gli illuminati think-tank europei sono in grado di proporre, la sintesi che ho definito “xenofobia liberista” non è più semplicemente un’ipotesi sul futuro, ma deve già esser considerata un’orrida realtà di fatto», dice Brancaccio. Gli storici revisionisti sostengono che l’avvento dei fascismi in Europa fu una reazione alla rivoluzione bolscevica? «Quel che sta avvenendo in questi anni sembra suggerire che l’ascesa di forme più o meno surrettizie di fascismo può anche verificarsi come effetto diretto del meccanismo capitalistico e delle sue crisi, pur nella totale assenza di una minaccia di tipo comunista o anche solo vagamente tradeunionista».E il peggio è che nessuna schiarita è in vista: «Mettiamocelo bene in testa: in Europa non c’è nessuna svolta, nessun vento federalista di cambiamento». La sostanza delle politiche economiche non è cambiata: «L’Eurozona resta sull’orlo della deflazione, con effetti tremendi per le economie più fragili e per i lavoratori di tutto il continente». Morale: «Il sentiero che stiamo percorrendo è palesemente insostenibile». E il problema non riguarda solo la quantità totale di liquidità erogata, ma anche l’impossibilità di indirizzarla verso i soggetti più in difficoltà: attraverso l’acquisto di titoli di Stato, il grosso delle erogazioni Bce finisce alla Germania, anziché alle economie che più ne avrebbero bisogno. E non ci sono segnali politici che possano lasciar sperare in un cambio di rotta. «Con le attuali regole, la solvibilità è del tutto compromessa in Grecia, e in prospettiva non è garantita nemmeno in Italia e negli altri paesi del Sud Europa». Se Draghi si decidesse ad affrontare davvero il problema, aggiunge Brancaccio, dovrebbe riconoscere che l’Eurozona sta implodendo: «Nessuna unione monetaria alla lunga può sopravvivere se il paese più forte si ostina ad attuare una politica di competizione al ribasso sui salari».Oggi in Germania le retribuzioni hanno cominciato finalmente a crescere, ma in questo modo «è stato eliminato solo un terzo del vantaggio competitivo che la Germania aveva accumulato nello scorso decennio, anche grazie a una ferrea politica di controllo dei salari». In una situazione di deflazione – più merci che denaro circolante – si distrugge capacità produttiva, eliminando posti di lavoro nel Sud Europa. In Italia, dall’approvazione del Jobs Act l’occupazione è aumentata meno della metà rispetto alla crescita media europea, già molto modesta. E’ provato: «La precarizzazione dei contratti non crea occupazione, serve solo a indebolire i lavoratori e a ridurre ulteriormente i salari». Così, oggi, gli italiani che lasciano i confini nazionali sono più degli immigrati che arrivano. Altro che Asia e Africa: «Almeno metà delle attuali migrazioni è interna al continente». Era tutto previsto, peraltro, dalla castrofica architettura Ue: fin dall’inizio, «si sapeva che l’assetto dell’Unione avrebbe determinato andamenti sbilanciati dell’occupazione nei diversi paesi, e quindi avrebbe indotto imponenti migrazioni di lavoratori dalle aree più deboli a quelle più forti». Rispetto al 2007, aggiunge Brancaccio, in Germania ci sono oggi circa tre milioni di occupati in più, mentre in Spagna registriamo 2 milioni e trecentomila occupati in meno. In Italia i posti di lavoro sono un milione in meno rispetto a dieci anni fa. «E in tutto il Sud Europa sono stati distrutti circa 5 milioni di posti di lavoro».I partiti xenofobi guadagnano consensi e ormai influenzano le agende di governo proponendo il blocco dei movimenti migratori? «Bisognerebbe spiegare ai cittadini che la crescita dell’immigrazione è un problema del tutto secondario rispetto alla questione principale, che riguarda la libera circolazione internazionale dei capitali», spiega l’economista Emiliano Brancaccio. «L’indiscriminata libertà di movimento dei capitali è un fattore scatenante delle onde speculative, degli squilibri e delle crisi del nostro tempo». Se oggi i capitali «possono muoversi da un paese all’altro alla continua ricerca di bassi salari, bassa pressione fiscale sui profitti e blandi vincoli ambientali e contrattuali», il risultato è che «ogni istanza di progresso sociale e civile viene presto o tardi soffocata». Per questo, Brancaccio pensa a un sistema di controllo dei movimenti di capitale, fuori e dentro l’Europa, «specialmente da e verso quei paesi che adottino misure di dumping sociale e fiscale». Ma il vero problema, dice l’economista, è che l’Unione Europea è ormai un cadavere. Pura utopia sperare di poterla riformare dall’interno, come sperava la sinistra di Tsipras e soci.
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Soros con Renzi: Sì al referendum, cioè al diktat della Bce
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere, iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino Craxi. Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di governabilità e decisionismo. Allora si lanciò il progetto di una “grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere di decidere del governo e del suo capo. Craxi accompagnò questo suo disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla scala mobile. Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed economico del decisionismo rivendicato. Nel mondo della globalizzazione dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di una grande impresa che al governo democratico della società.Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico. Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti. Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi. Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste. Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta? Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere. La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi. Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro? E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque. E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione? E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11? Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima. La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico. Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole. La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi. Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale. Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro. Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale. Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato. L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza. Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi? No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro. Una Costituzione classista? No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica. Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni. Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza. La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa. Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando. Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera. Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare. Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini. Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali. I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119. I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere. Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo. In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe. Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo. Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente. Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale. Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa. Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante. È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale. Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea. Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese. E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale. Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi. Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca. Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista. Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
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Monti fa ancora danni: 3 miliardi regalati a Morgan Stanley
Mario Monti sbagliò a pagare 2,567 miliardi di euro a Morgan Stanley che tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, poco dopo il declassamento di Standard & Poor’s e la defenestrazione di Silvio Berlusconi, chiuse i contratti derivati con la Repubblica italiana. La Procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti, infatti, lo scorso 11 luglio ha presentato richiesta di risarcimento per 2,879 miliardi alla banca americana. È quanto si legge nella relazione trimestrale dell’istituto Usa pubblicata dalla Sec, l’Authority che vigila su Wall Street. Si tratta di un fatto di notevole importanza dal punto di vista finanziario, politico e giudiziario. Le contestazioni dei magistrati contabili si basano sul fatto che non solo le clausole contrattuali fossero «improprie», ma che fosse «impropria» anche l’azione di Morgan Stanley che aveva chiuso in anticipo quelle posizioni aperte tra il 1999 e il 2005. Vale la pena, perciò, ricordare qualche antefatto. I governi di centrosinistra della seconda metà degli anni ‘90 (con Carlo Azeglio Ciampi ministro e Mario Draghi direttore generale del Tesoro) avevano acceso contratti derivati con varie banche per abbassare gli interessi sul debito, ricevere un flusso finanziario ed entrare nell’euro.Simili operazioni, infatti, erano state stipulate anche con Deutsche Bank, Bnp Paribas, Dexia, Unicredit e Intesa Sanpaolo, che contribuì a limitare l’esborso nel 2012 subentrando tramite Banca Imi a Morgan Stanley. A tutte sarebbe stata concessa la clausola di estinzione anticipata. «La controparte non aveva mai esercitato questa clausola, poi, arrivati alla fine del 2011, in quel periodo particolarmente turbolento, fecero presente che dovevano farla valere», spiegò il direttore del debito pubblico Maria Cannata ai magistrati di Trani che indagano sulle agenzie di rating. Mario Monti ha sempre spiegato che l’Italia, in una fase di difficoltà come quella del 2011-12, non avrebbe potuto non onorare i contratti pena la perdita di credibilità. In ogni caso, Morgan Stanley riuscì a liquidare la posizione proprio mentre l’agenzia di rating Standard & Poor’s (di cui detiene una piccolissima quota tramite un fondo di investimento) declassava doppiamente il nostro paese. La tesi di Monti fu accolta anche dalla Procura di Roma con i pm Pignatone e Rossi, che archiviarono la posizione del senatore a vita in un’indagine conclusa senza esito l’anno scorso.La mossa della Corte dei Conti apre, però, uno scenario nuovo: quei contratti derivati hanno prodotto un danno erariale tanto all’apertura quanto alla chiusura. Questo vuol dire che allo stesso modo in cui le grandi banche hanno consentito a Prodi e D’Alema di portare l’Italia nell’euro così hanno avuto un ruolo determinante nella deposizione dell’ultimo premier legittimamente eletto. Basti ricordare il pessimo segnale per i mercati rappresentato nel giugno 2011 dalla vendita di tutti i Btp detenuti da Deutsche Bank. E basti ricordare che i primi due atti politici di Monti furono appunto la riforma delle pensioni chiesta dalla Germania e l’esborso verso Morgan Stanley come prova di affidabilità. Un meccanismo che aveva stritolato Silvio Berlusconi con la crisi da spread e con le pressioni di Francia e Germania al G20 di Cannes affinché l’Italia si mettesse sotto tutela della Troika. Un apparato di potere non estraneo al premier insediato a fine 2011 dall’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano.(Gian Maria De Francesco, “Monti fa ancora danni: ci è costato altri 3 miliardi. Lo Stato li rivuole indietro”, da “Il Giornale” del 5 agosto 2016).Mario Monti sbagliò a pagare 2,567 miliardi di euro a Morgan Stanley che tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, poco dopo il declassamento di Standard & Poor’s e la defenestrazione di Silvio Berlusconi, chiuse i contratti derivati con la Repubblica italiana. La Procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti, infatti, lo scorso 11 luglio ha presentato richiesta di risarcimento per 2,879 miliardi alla banca americana. È quanto si legge nella relazione trimestrale dell’istituto Usa pubblicata dalla Sec, l’Authority che vigila su Wall Street. Si tratta di un fatto di notevole importanza dal punto di vista finanziario, politico e giudiziario. Le contestazioni dei magistrati contabili si basano sul fatto che non solo le clausole contrattuali fossero «improprie», ma che fosse «impropria» anche l’azione di Morgan Stanley che aveva chiuso in anticipo quelle posizioni aperte tra il 1999 e il 2005. Vale la pena, perciò, ricordare qualche antefatto. I governi di centrosinistra della seconda metà degli anni ‘90 (con Carlo Azeglio Ciampi ministro e Mario Draghi direttore generale del Tesoro) avevano acceso contratti derivati con varie banche per abbassare gli interessi sul debito, ricevere un flusso finanziario ed entrare nell’euro.