Archivio del Tag ‘mainstream’
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Sì, l’Amazzonia brucia. Ma meno del cervello dei creduloni
Le decine di migliaia di incendi in corso in Amazzonia in questo momento hanno attirato l’attenzione di ambientalisti, politici e celebrità hollywoodiane. Sfortunatamente, molti di loro hanno diffuso cattive informazioni sotto forma di immagini vecchie di decenni e fatti errati, come l’affermazione per la quale l’Amazzonia è il “polmone del mondo”. Cristiano Ronaldo, Madonna, Greta Thunberg e Macron hanno postato immagini di foreste in fiamme che sono riferite ad altri luoghi del pianeta, e non all’Amazzonia, ma come al solito nessuno ha osato parlare di fake news pilotate per ottenere consensi. Tutti, da “Avvenire” a “Linkiesta”, sottolineano che la foresta sudamericana produce il 20% dell’ossigeno della Terra. Come ogni estate, per riempire i giornali e usare un po’ di frasi fatte, ribadiscono pure che «non si è mai visto nulla di tutto ciò». Balle! Solo pochi media, e sommessamente dopo averlo chiesto agli esperti, hanno osservato che la foresta amazzonica produce meno del 6% dell’ossigeno necessario al pianeta. Come osservato dallo scienziato Dan Nepstad, ad esempio, campi coltivati e pascoli producono la stessa quantità di ossigeno delle foreste.Inoltre, non è nemmeno vero che il mondo si stia deforestando; e il dato più tranquillizzante pare venire dall’Europa, complice la crisi industriale, perché a quanto pare nel Vecchio Continente c’è più vegetazione rispetto a cento anni or sono. Nepstad c’è andato giù pesante: «Sono stronzate», ha dichiarato. «Non c’è scienza dietro a ciò. L’Amazzonia produce molto ossigeno ma usa la stessa quantità di ossigeno attraverso la respirazione, quindi è un lavaggio». Secondo Nepstad, inoltre, il numero di incendi nel 2019 è solo del 7% superiore alla media degli ultimi 10 anni. Come se non bastasse, è uscita a dir poco in sordina la notizia che in Africa in queste ore ci sono più fiamme che in Amazzonia. Secondo i dati raccolti dalla Nasa, infatti, l’Angola e parte della repubblica del Congo starebbero bruciando più che nei dintorni di Manaus in Brasile. Ci sono prove a sostegno di questa affermazione? Indizi utili arrivano dalle applicazioni di allerta incendi come Global Forest Watch e Firms, installate sui satelliti della Nasa: «In base alle analisi condotte da Weather Source, negli ultimi giorni sono stati registrati quasi 7.000 roghi in Angola, 3.395 nella Repubblica Democratica del Congo e 2.217 in Brasile».Non è facile comprendere il motivo delle fake sull’Amazzonia e del silenzio sugli altri disastri, quelli africani in primis. Però si possono formulare alcune ipotesi. Com’è noto, infatti, il presidente Bolsonaro (che, beninteso, mi è simpatico come un paio di mutande sporche) ha prima rifiutato (e poi ritrattato) la profferta d’aiuto dalla Francia. Dopo Macron ci ha pensato anche Trudeau, il presidente del Canada, famoso per i suoi calzini. Il poeta Virgilio direbbe “timeo danaos et dona ferentes”, cioè “temo i greci anche quando portano regali”. E i doni di Marcon e Trudeau sembrano alquanto sospetti, visto che come dimostrato c’è chi è messo molto peggio (l’Africa) in tema d’incendi, mentre quelli brasiliani non sembrano affatto una novità. E dunque, perchè tutta questa attenzione? Forse l’Occidente che conta, riunitosi in pompa magna al G7 fancese, vuole mettere il cappello in casa d’altri, come al solito, oppure impedire la deforestazione per ostacolare le infrastruttre di paesi che potrebbero fungere da alternativa (Brics). Oppure, semplicemente, perchè i due fighetti del G7 sono buoni e aiutano chiunque sia in difficoltà. Scegliete voi.(Massimo Bordin, “L’Amazzonia brucia, ma mai come il cervello dei creduloni”, da “Micidial” del 28 agosto 2019. Il citato Dan Nepstad, dottore forestale e fondatore dell’Earth Innovation Institute, ha lavorato nell’Amazzonia brasiliana per oltre 30 anni, studiando l’impatto dell’uomo nella regione. Autorità mondiale in materia di sviluppo rurale a basse emissioni, ha lavorato nelle più prestigiose fondazioni scientifiche legate alle discipline ecologiche, insegnando anche all’Università di Yale. E’ stato co-fondatore dell’Amazon Environmental Research Institute (Ipam) e dell’Aliança da Terra. È stato inoltre il principale promotore del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici Wg2).Le decine di migliaia di incendi in corso in Amazzonia in questo momento hanno attirato l’attenzione di ambientalisti, politici e celebrità hollywoodiane. Sfortunatamente, molti di loro hanno diffuso cattive informazioni sotto forma di immagini vecchie di decenni e fatti errati, come l’affermazione per la quale l’Amazzonia è il “polmone del mondo”. Cristiano Ronaldo, Madonna, Greta Thunberg e Macron hanno postato immagini di foreste in fiamme che sono riferite ad altri luoghi del pianeta, e non all’Amazzonia, ma come al solito nessuno ha osato parlare di fake news pilotate per ottenere consensi. Tutti, da “Avvenire” a “Linkiesta”, sottolineano che la foresta sudamericana produce il 20% dell’ossigeno della Terra. Come ogni estate, per riempire i giornali e usare un po’ di frasi fatte, ribadiscono pure che «non si è mai visto nulla di tutto ciò». Balle! Solo pochi media, e sommessamente dopo averlo chiesto agli esperti, hanno osservato che la foresta amazzonica produce meno del 6% dell’ossigeno necessario al pianeta. Come osservato dallo scienziato Dan Nepstad, ad esempio, campi coltivati e pascoli producono la stessa quantità di ossigeno delle foreste.
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Vox Italia: Dio, patria e famiglia. Chi ha paura di Fusaro?
Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate: oscurati da Facebook già in partenza, tanto per cominciare. E se si prova a varcare la soglia del sito ufficiale, voxitalia.net, è Google a trasformarsi in Cerbero: sito pericoloso, potrebbero scipparvi la carta di credito e i dati sensibili. Aiuto! Non insperate mai veder lo cielo, specie se vi chiamate Vox Italia. Come mai tanta paura, per il neonato movimento ispirato e guidato dal giovane filosofo torinese Diego Fusaro? Basta fare un giretto sul web per farsene un’idea. Le reazioni vanno dalla minimizzazione all’irrisione, fino alla diffamazione. Cos’è Vox Italia? Un movimento, si legge, che nasce per dar voce all’interesse nazionale. Slogan: “Pensare e agire altrimenti”, e muoversi “obstinate contra”, scrive Fusaro. «In direzione ostinata e contraria», avrebbe detto Fabrizio De Andrè, in un’Italia dove ancora esistevano menti come quella di Fabrizio De Andrè. «Il movimento – chiarisce Fusaro – unisce valori di destra e idee di sinistra». Più precisamente: «Valori dimenticati dalla destra e idee abbandonate dalla sinistra». Vox Italia si smarca dal «coro virtuoso del politicamente corretto», definito «superstruttura santificante i rapporti di forza del globalismo finanziario a beneficio degli apolidi signori del big business sradicato e sradicante».
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Carotenuto: ho paura, chi pilota il Conte-2 è capace di tutto
«Spero sinceramente che duri poco, perché di questo governo c’è da aver paura: il Conte-bis è un esecutivo pericolosissimo». Lo afferma Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti, autore di una singolare ritratto di Giuseppe Conte: «E’ sorretto dallo stesso potentissimo network vaticano che gestiva lo strapotere di Andreotti, a cominciare dal cardinale Achille Silvestrini». Ora siamo nei guai, dice Carotenuto in un video su YouTube, perché a Conte si aggiungono personaggi temibili come l’euro-tecnocrate Roberto Gualtieri, che Bruxelles ha fatto sistemare direttamente al ministero dell’economia. Senza contare Paolo Gentiloni, come Conte in strettissimi rapporti col Vaticano, ora promosso alla Commissione Ue, e lo stesso David Sassoli, eletto presidente del Parlamento Europeo. Gentiloni e Sassoli, ovvero: il Pd, i grandi media, il Vaticano e l’europeismo oligarchico. Questo significa che l’Italia, dopo l’effimera sbornia gialloverde, è oggi una cinghia di trasmissione perfetta per il super-potere europeo: «Aspettiamoci di tutto», dice Carotenuto, perché i signori dell’eurocrazia, magari in cambio di qualche piccola concessione sul bilancio, «potranno prendere decisioni inimmaginabili e terribili, per tutti noi».
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Su Marte nel 2024: cosa nascondono le fake news ufficiali?
Siete pronti? Tra poco atterriamo su Marte: alla peggio nel 2024, cioè fra cinque anni. Chi l’ha detto? Donald Trump, nientemeno. Prima esternazione: un anno fa. «Il succo della missione sarebbe questo: si manderebbero su Marte alcuni astronauti», scrive Paolo Franceschetti, che in due distinti post sul blog “Petali di Loto”, intitolati “Bufale su Marte”, riassume l’ultima epopea fanta-spaziale che i media fingono di prendere sul serio, dopo aver trionfalmente celebrato l’anniversario del presunto allunaggio del 1969. E in quanti sarebbero a sbarcare sul Pianeta Rosso? «Quattro astronauti, pare. Oppure 6, a seconda dei progetti. Ma ne esistono alcuni che prevedono ben 80.000 persone». Caspita: «Impianterebbero una prima colonia, per poi far venire altri coloni negli anni successivi». La cosa non è nuova, ricorda Franceschetti: «Già Bush aveva lanciato l’idea e un piano di studi che prevedesse la fattibilità del progetto, nei primi anni ‘90. Una storia a cui, credo, non ha abboccato nessuno». I giornali hanno dato la notizia in modo asettico, senza approfondimenti. Sicchè, «la maggior parte dei complottisti avrà sicuramente odorato aria di balle spaziali».
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A chi obbediscono le docili istituzioni del Protettorato Italia
Finalmente anche all’opinione pubblica è arrivato il problema della condizione internazionale dell’Italia come paese dominato da altri paesi – Francia e Germania – che sono in grado di imporre, anche con l’aiuto della Ue e della Bce che stringono o allargano la borsa all’Italia secondo le convenienze di Parigi e Berlino, politiche e governi contro l’interesse e la volontà nazionale. Da diversi anni vado spiegando che la funzione reale del Presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale – è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive. Affinché possa svolgere cotale ruolo contrario al bene della nazione, il Presidente, nella struttura costituzionale, è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche. Grazie a ciò può metter su governi che sa benissimo non avere il consenso del popolo, bensì quello di potentati stranieri portatori di interessi contrapposti a quelli italiani e ammantati di falso europeismo. Sia pure con differenziazioni tra loro, i sociologi della scuola italiana (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels) ravvisano una costante, ossia una legge empirica, nella strutturazione sociale: ogni società è dominata da una élite od oligarchia e non si governa da sé.
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Matteocrazia: Renzi e Salvini partner perfetti nel Circo Italia
Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.I due Mattei, in fondo, sono gli unici padroni della scena. Il fiorentino si gode la recentissima, spericolata conquista del ring. Ha letteralmente sfrattato Zingaretti, azzerato Di Maio, atterrito Conte. Un uno-due magistrale: prima il governo coi profughi grillini, poi il divorzio dal rottamificio. Uno spettacolo che deve aver letteralmente deliziato il competitore omonimo, impegnato nel facilissimo bombardamento quotidiano contro l’osceno partito trasversale delle poltrone. Che fortuna, per Salvini, scoprire in Renzi il partner ideale per recitare la commedia, in questa Italia in cui svettano giganti del pensiero politico come Marco Travaglio, Lilli Gruber e Corrado Formigli, per oltre un anno impegnati nel supremo cimento antifascista, antisovranista e antirazzista, ingaggiato con indomito coraggio per la salvezza morale, politica e spirituale della nazione. Come non chiamarli eroi, sentinelle della democrazia italiana? E’ grazie a loro, dopotutto, se il Belpaese è rimasto in Europa anziché essere annesso all’Impero Zarista, potendo oggi godere dell’immenso prestigio internazionale assicurato da statisti del calibro di Conte e Gentiloni, di cui parleranno per secoli i libri di storia.Questa coraggiosa battaglia per la libertà italiana è stata combattuta non esattamente in solitudine, certo: gli impavidi opliti della resistenza cartacea e radiotelevisiva hanno potuto beneficiare delle testate Rai, Mediaset e La7, del “Corriere” e di “Repubblica”, della “Stampa” e del “Fatto”. Giusta causa: cacciare l’usurpatore e impedire che il paese sprofondasse nella barbarie. Che meraviglia, oggi, ritrovare i vecchi amici dell’Italia, dalla Merkel a Macron, fino alla diletta Ursula, novella condottiera della gloriosa Unione Europea che tante gioie ha regalato agli italiani. Se però la festa ha un sapore imperfetto, con un che di beffardo, forse dipende proprio dall’inatteso avvento della nuovissima Matteocrazia. Si possono immaginare, le risate dei due Mattei, di fronte allo spettacolo di Salvini e Zingaretti alle prese con il terrore delle imminenti elezioni regionali, in cui si tenteranno alleanze elusive e mimetiche, deboli e perdenti. Il povero Conte già traballa: finito di negoziare ogni virgola col Matteo di ieri, gli tocca ricominciare col Matteo di oggi. Se non altro, il patetico avanspettacolo ha regalato al pubblico una verità: sono in pista gli unici due politici capaci di pensare, rischiare e decidere. E’ la Matteocrazia, appunto. E i vari Travaglio, Gruber e Formigli non possono davvero farci niente.Tu chiamala, se vuoi, Matteocrazia. Chi meglio di Salvini, per resuscitare Renzi? E chi meglio di Renzi, per aiutare Salvini ad allenarsi all’opposizione? Tramontato nonno Silvio, in giro non ci sono altri protagonisti: a meno che qualcuno non pensi, davvero, che sia qualcosa di diverso da una comparsa di lusso il professor-avvocato Giuseppe Conte, provvisoriamente miracolato dall’incerta lotteria dei sondaggi. L’altro vero protagonista, Beppe Grillo, gioca comodamente da casa, col telecomando con cui pilota la spaurita scolaresca grillina, fino a ieri guidata (in apparenza) dal capoclasse Di Maio, ora eclissato al ministero degli esteri, lasciando il mestiere diplomatico a Conte, Mattarella e Gentiloni. Altri? Non pervenuti, se non a spiccioli: il nano-liberismo all’italiana di Carlo Calenda, il mausoleo della fu sinistra di Bersani e Zingaretti, la piccola destra di complemento capitanata da Giorgia Meloni. Bipolarismo onomastico, Salvini e Renzi: coppia perfetta per reggere il palcoscenico. Il buono e il cattivo: intercambiabili, a seconda della platea. Il poeta e il contadino, il bizantino Machiavelli e il guerriero padano di Pontida.
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Tribuni della Plebe, per completare la Democrazia Mafiosa
“Democrazie mafiose”: mezzo secolo fa, il giurista Panfilo Gentile (che aveva aderito al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce) pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie. I partiti? Progressivamente ridotti a «circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso». Volume pubblicato nel 1969 dall’editore Volpe, nella ristretta cerchia dei lettori di destra, ma poi “sdoganato” da Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”. Lo ricorda Marcello Veneziani su “Panorama”: «Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie». Sua, tra l’altro, l’invenzione dell’espressione “sottogoverno”. Ma Gentile, aggiunge Veneziani, non aveva ancora visto l’Italia (e l’Europa) dei nostri anni, cioè «la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali». Osserva Veneziani: con la nascita del grottesco Conte-bis, «è la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne». Dopo l’orrore del governo Monti-Fornero, costato carissimo al paese (disastro sociale e perdita del 25% del potenziale industriale italiano) si sono succeduti Letta, Renzi e Gentiloni, senza mai la convalida delle urne. E ora il Conte-bis, «nato con lo scopo evidente di evitarle».«Per adeguarsi al tono e al livello delle accuse che lancia la sinistra a chiunque governi senza il suo benestare – dittatura, ritorno al nazismo e al fascismo, leader anti-sinistra trattati tutti come delinquenti comuni – si potrebbe dire che la sinistra è un’associazione politico-culturale di stampo mafioso che elimina gli avversari con sistemi non democratici, mette a tacere i dissidenti con forme di omertà e discriminazione, s’impossessa del potere con metodi non democratici e impone un protettorato antipopolare funzionale ai codici ideologici e politici della cosca», accusa Veneziani su “Panorama”. Tralasciando per un attimo «il terreno melmoso» delle polemiche italiane, sosa sta succedendo alle democrazie europee? «Le classi dirigenti si sentono assediate a nord dal modello Brexit, a sud dal modello Salvini, a est dal modello Orban e a ovest dal modello Le Pen». Secondo Veneziani «sono i quattro punti cardinali del sovranismo, ma sono anche quattro forze maggioritarie nei loro paesi, tutte criminalizzate». Dietro di loro «vengono esorcizzati gli spettri di Trump, di Putin, di Bolsonaro, di Modi, di Abe, e si potrebbe continuare: forme diverse di primato nazionale e identitario rispetto al modello liberal-radical-dem della sinistra».Per trovare un modello diverso di rifermento, continua Veneziani, si ricorre al modello cinese. Recensioni entusiastiche del “Corriere della Sera” e della “Repubblica” hanno accompagnato la traduzione del libro di Daniel Bell “Il modello Cina”, che ha un sottotitolo indicativo: “Meritocrazia politica e limiti della democrazia” (Luiss, prefazione di Sebastiano Maffettone). «Il modello cinese non è una democrazia, ma è un regime liberista, oligarchico e comunista, col doppio primato del mercato e del partito. È un sistema capitalistico ma illiberale, in cui la sovranità popolare è in realtà un feticcio ereditato dai tempi di Mao, che elogiava il popolo ma poi lo rieducava con la forza, instaurando una sanguinaria dittatura». Ora quel tempo è passato, la Cina ha fatto passi da gigante e si espande nel mondo tra tecnica e finanza, dall’Africa all’Occidente, eppure «il turbo-comunismo resta catechismo di Stato», e il capitalismo «assume in Cina il ruolo che aveva la tecnologia per Lenin: la sua formula fu “socialismo + elettrificazione”, oggi la formula cinese è “comunismo + mercato”».Bell, canadese che guida una facoltà di scienze politiche e pubblica amministrazione in Cina, non sposa il regime cinese nei suoi tratti più repressivi, corrotti e totalitari o l’autocrazia di Xi Jinping ma lo addita come modello per la formazione di classi politiche competenti, per il controllo del consenso popolare e la nascita di una tecnocrazia vigilata sotto il profilo etico (l’ultimo travestimento dell’ideologia e del politically correct). La Cina diventa per l’Europa e in particolare per l’Italia (che coi grillini ha già sposato la Via della Seta) il paese di riferimento per uscire dalla morsa Usa-Russia-India-Brasile più sovranisti nostrani e per limitare la democrazia. «Un modello che ruota intorno all’Intellettuale Collettivo che è poi il Partito, la Setta, la Casta; è la Cupola a rilasciare o revocare patenti di legittimazione, a vigilare sulla democrazia e a stabilirne i filtri, i limiti e a deciderne gli assetti», prosegue Veneziani, che aggiunge: «Resta però irrisolto un molesto interlocutore, il popolo sovrano. Come aggirarne la volontà e come impedire – oltre che con le inchieste giudiziarie e le criminalizzazioni mediatiche – l’avvento di leader sovranisti?».In modo non del tutto ironico, Veneziani suggerisce di prendere esempio «non dalla lontana Cina ma dalla lontana Roma del quinto secolo avanti Cristo: istituire i Tribuni della Plebe». Ovvero: «Incanalare il consenso popolare, gli umori, e legare i capi populisti verso quei ruoli d’alta magistratura». I tribuni della plebe, scrive Veneziani, erano difensori civici che rappresentavano i sentimenti popolari, legittimamente nominati e ascoltati; ma poi a governare ci pensavano i consoli e i patrizi («ora provvisoriamente consociati a un altro clan prodotto dalla piattaforma Rousseau»). Quella tribunizia, per Veneziani, sarebbe forse «la soluzione più equilibrata e meno truffaldina di limitare la democrazia: il popolo non esercita più la sovranità, ma solo il controllo tramite i tribuni». Così, come anticipato da Panfilo Gentile, «il potere resta saldamente nelle mani del patriziato, delle oligarchie, delle cupole». Tribuni della plebe? «Un compromesso, una divisione dei poteri, una regolamentazione “costituzionale” del potere mafioso vigente in Italia e per certi versi in Europa, dove governano leader di minoranza quasi ovunque, dalla Francia alla Germania, alla Spagna». Conclude Veneziani: «Pensateci, è una soluzione per aggirare la democrazia e frenare i populisti».“Democrazie mafiose”: mezzo secolo fa, il giurista Panfilo Gentile (che aveva aderito al “Manifesto degli intellettuali antifascisti”, redatto da Benedetto Croce) pubblicò un affilato pamphlet sull’involuzione oligarchica delle democrazie. I partiti? Progressivamente ridotti a «circuiti chiusi e autoreferenziali di stampo mafioso». Volume pubblicato nel 1969 dall’editore Volpe, nella ristretta cerchia dei lettori di destra, ma poi “sdoganato” da Indro Montanelli sul “Corriere della Sera”. Lo ricorda Marcello Veneziani su “Panorama”: «Ci aveva visto giusto, Gentile, sull’involuzione mafiosa e partitocratica delle democrazie». Sua, tra l’altro, l’invenzione dell’espressione “sottogoverno”. Ma Gentile, aggiunge Veneziani, non aveva ancora visto l’Italia (e l’Europa) dei nostri anni, cioè «la spaccatura verticale tra popolo e notabilato, tra sovranità nazionali e potentati interni e internazionali, l’esproprio del voto fino al disprezzo per la volontà popolare e gli interessi nazionali». Osserva Veneziani: con la nascita del grottesco Conte-bis, «è la quarta volta consecutiva che la sinistra in Italia si affaccia al governo non legittimata direttamente dalle urne». Dopo l’orrore del governo Monti-Fornero, costato carissimo al paese (disastro sociale e perdita del 25% del potenziale industriale italiano) si sono succeduti Letta, Renzi e Gentiloni, senza mai la convalida delle urne. E ora il Conte-bis, «nato con lo scopo evidente di evitarle».
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Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia
Tanti anni fa, il sociologo inglese Anthony Giddens vaticinava le “magnifiche sorti e progressive” della Terza Via, a metà strada tra socialismo e capitalismo. Traduzione pratica: negli ultimi decenni, la sinistra s’è messa a completo servizio della destra economica neoliberale. Capoclasse Tony Blair, seguito da Bill Clinton e Massimo D’Alema. Ultimi della fila, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che è una specie di Renzi-bonsai «regolarmente “bruciato” e battuto sul tempo dal Renzi originale», osserva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Peraltro, al clamore del mainstream per l’annuciato divorzio di Renzi dal Pd non corrispondono certo numeri entusiasmanti: le previsioni oscillano fra il 3 il 5% al massimo». In altre parole: un modo come un altro per non andare da nessuna parte, «non avendo niente di nuovo da offrire agli italiani, per giunta dopo averli malgovernati». Nessuna novità, secondo Magaldi, neppure dall’altra notizia che – in piccolo, su “ByoBlu” – si è affacciata nell’agenda politica: la nascita di Vox Italia, esperimento firmato da Diego Fusaro. «Peccato – dice Magaldi – che un intellettuale così colto non proponga altro che un “rossobrunismo nazionalsocialista”: a che serve bocciare l’imperante neoliberismo, se poi si prospetta un ritorno al tradizionalismo nazionalista e illiberale?».
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Grillopardi e mercenari franco-tedeschi governano l’Italia
Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.Nulla di particolarmente oscuro quindi, visto che al ribaltone hanno partecipato i Dem, augurandosi di poter conquistare lo scranno del Colle, cui non potrebbero certo rinunciare per quel diritto egemonico di appartenenza al sistema di potere cattocomunista erede della Resistenza, che però strada facendo ha perso di vista le istanze popolari e si è sempre più asservito agli interessi oligarchici della finanza apolide. La fine del governo gialloverde è stata segnata da accordi segreti presi in Europa da Giuseppe Conte, che appare sempre più chiaramente un emissario della massoneria vaticana, la crisi infatti è letteralmente esplosa con il cosiddetto Russiagate, quando contro Salvini si è prontamente scatenata al momento opportuno la stampa mainstream, dall’“Espresso” al “Fatto Quotidiano”. Ha fatto male Salvini a negare il tutto, ma restano oscure le dinamiche ed appare risibile il fatto che la tangente avrebbe dovuto passare per Eni, che è controllata dal Pd di Renzi. E comunque l’avvocato democristiano venuto dal nulla, indicato da Grillo e stimato da De Mita nonché dal Vaticano, alla nascita del governo gialloverde aveva tenuto per sé la delega ai servizi (Aise, Aisi e Dis), che negli esecutivi precedenti (Renzi e Gentiloni) era stata affidata come di consueto al ministro dell’interno (Minniti).Probabilmente gli azionisti occulti del governo gialloverde non si fidavano di Salvini e non intendevano lasciare nelle sue mani l’arma dell’intelligence. Questo spiegherebbe anche l’intransigenza di Salvini nel voler liquidare ad ogni costo l’avvocato venuto in apparenza dal nulla, ma in realtà solidamente pilotato dai veri responsabili della crisi, pronti a schierare i grillini con la Merkel per far eleggere Ursula von del Leyen alla Commissione Ue, contro Salvini e contro gli interessi nazionali italiani. Il nuovo governo giallorosso è nato quindi in Europa, ben prima delle elezioni europee, che hanno solo drasticamente rimarcato l’ascesa inarrestabile della Lega e la vorticosa perdita di consensi del M5S. Trattative che portarono allo scambio tra David Sassoli e Fabio M. Castaldo e all’elezione, per soli 9 voti dei 5S, di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, già membro della Cdu, e ministra per vari portafogli in tutti i governi presieduti da Angela Merkel. Una Commissione che è il risultato dell’alleanza obbligata di quei partiti che hanno visto ridursi notevolmente i loro consensi, così come è avvenuto per il ribaltone italiano.Infatti proprio le europee hanno registrato la tenuta del Partito popolare, la crescita dei sovranisti (pur divisi tra di loro), il boom del Brexit Party, e la virata a destra di molte correnti interne ai moderati, ma in pratica non hanno sortito alcuna novità se non quella di conservare l’Ue nelle mani del Ppe, più i socialisti di Pse, con l’appoggio dei liberali di Alde e i conservatori di Ecr. La spartizione delle deleghe nella Commissione di Ursula Von der Leyen è stato solo un tragico tentativo di serrare le file per scongiurare ogni forma di cambiamento. L’asse franco-tedesco non avrebbe certo permesso che la trasformazione dell’Italia a paese più euroscettico dell’Ue potesse proseguire oltre, i rischi sarebbero stati troppo consistenti per gli oligarchi mondialisti, interessati a scongiurare ogni tentativo di resistenza nei confronti della demolizione degli Dtati nazionali, ultimo baluardo democratico contro lo strapotere elitario che tutela i poteri forti a scapito dei popoli. Unica soluzione il superamento degli Stati nazionali, la cancellazione delle frontiere e la moneta unica.In particolare si sta cercando di realizzare un sistema giuridico sovranazionale al quale gli Stati-nazione democratici sono chiamati a sottomettersi, un modo simulato per esautorare le democrazie nazionali sostituendole con una non-democrazia sovranazionale. Quindi non può esistere nessun potere dei popoli in Eurozona, visto che governano i capitali, che trovano qui i più compiacenti paradisi fiscali. Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflue, ridondanti ed eliminabili (Marco Della Luna). Esiste anche la possibilità tecnologica di gestirle come mandrie al pascolo, ridotte completamente a strumento, merce, file formattabile, usa e getta. E intanto in Italia il Conte Zio, proveniente dai corridoi vaticani (Silvestrini, Parolin), si è rivelato il grimaldello che doveva far saltare il governo giallo verde, un breve intermezzo durato appena 14 mesi, una parvenza di sovranismo, marcato stretto dal Quirinale e dal sistema europeista, poi tutto è tornato come prima, nessuna volontà di cambiamento, archiviato in fretta il populismo, asfaltato rapidamente il sovranismo.Ha vinto il CamaleConte democristiano, duttile, multitasking e paraculista, servitore di mille padroni, esponente occulto del partito-sistema, il partito-apparato, il partito-deepstate, il partito di Mafia Capitale, quello del Jobs Act, di Mps, del prelievo forzoso agli obbligazionisti, della Pessima Scuola… previo naturalmente bacio della morte all’Ue col voto a Ursula, ed endorsement internazionali di tutto il gotha neoliberista globalizzato: Merkel, Macron, Vaticano, Trump. Da trent’anni il Deep State, il Potere Profondo, il Sistema, ha sempre avuto la meglio. L’Europa franco-tedesca si è compattata con il recente patto di Aquisgrana proprio per contrastare e schiacciare i tanti nazionalismi sorti in Europa.Mentre i grillopardi, sostenuti da numerosi androidi fanatizzati e autoproclamatisi dei missionari della San Francesco Associati, finti giacobini di una finta rivoluzione, che vivono di pane amore e sacrificio per il bene dell’Italia, ora l’hanno svenduta ai poteri forti italiani ed europei, che possono tornare speditamente all’assalto del benessere degli italiani. Il Sì di Rousseau fa volare MpS a +13%, e le Ong tornano all’assalto dei porti aperti. I simulacri di Philip Dick vivono tra noi…(Rosanna Spadini, “I mercenari del trasformismo vivono tra noi”, da “Come Don Chisciotte” del 15 settembre 2019).Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.
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L’Ultima Fregatura, nuovo film di Renzi nella caverna-Italia
Sarà contento, il travaglismo nazionale, di aver tolto a Salvini le chiavi del governo per riconsegnarle a Renzi. Era il IV secolo avanti Cristo quando Platone inventò il cinema, con il Mito della Caverna: quella disegnata sulla parete non è la realtà, sono solo le ombre proiettate dal fuoco. Il mondo vero, tridimensionale, è là fuori: ad andare in scena nella grotta è un semplice spettacolo. Si può cadere in errore, certo. Dipende anche dal talento del proiezionista. Il Mago di Rignano, ad esempio, ne ha da vendere: superò il 40% dei suffragi dopo aver elargito la mancia degli 80 euro, brillando nell’arte cabarettistica in cui si sarebbe cimentato Di Maio. Poco dopo, nell’estate 2016, dal cinema si passò al teatro: uno spettacolare vertice con la Merkel e Hollande, sul ponte della portaerei Garibaldi al largo di Ventonene, per celebrare la farsa dell’unità europea evocando abusivamente il fantasma di Altiero Spinelli, padre del federalismo europeo del Novecento. Un pretesto altamente scenografico, con una missione illusionistica: spacciare per Europa Unita l’aborto dell’attuale Disunione Europea, di cui l’Italia – da Renzi a Conte – si candida a restare servitrice sottomessa e depredabile.
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Salvini santifica la Thatcher, cioè la nonna dell’Ue-horror
Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.Anche se non lo sanno, i leghisti di Pontida si comportano come i NoTav degli esordi, diffidenti verso la stampa, ostili alle istituzioni centrali come qualsiasi gruppetto di antagonisti: invitano Mattarella ad “andare a quel paese”, coprono di insulti Gad Lerner, rifilano un pugno a una telecamera di “Repubblica”. A eccedere in animosità non sono i giovinastri dei centri sociali demonizzati da Salvini, ma pensionati e casalinghe (come tanti NoTav, appunto), tutti esasperati dallo sconcio in mondovisione del ripugnante Conte-bis rifilato come punizione biblica alla larghissima maggioranza degli italiani. Di Salvini alla fine i leghisti approvano tutto: l’esibizione dei bambini “strappati” (da proteggere dagli abusi del sistema-Bibbiano), l’esposizione delle donne candidate alle regionali a Perugia e Bologna, i neo-leghisti sardi e campani. Virulento l’attacco sul fisco, da campagna elettorale permanente: Flat Tax secca, aliquota unica al 15%. Toni lontanissimi dalla prudenza governativa del Salvini ministro, irridente verso le “letterine” di Juncker ma poi anche troppo silenzioso di fronte all’umiliazione rimediata di fronte alla richiesta di espansione del deficit.«Mai con la sinistra», tuona Salvini, come se ancora esistesse una sinistra italiana, schierata coi lavoratori: una bandiera comoda da sventolare, in un senso o nell’altro, solo per fare cassa. Specie se si distingue tra l’attuale Pd e “i comunisti di una volta, persone serie”, a partire dal Berlinguer santificato a Pontida (emblema di abnegazione trasparente alla causa degli ultimi, salvo poi convincere gli operai ad accettare l’austerità come destino, la piena sottomissione sociale). Suscita inquietudine il richiamo a Oriana Fallaci, eletta come maestra di pensiero “da studiare nelle scuole”, come se la grande giornalista – evocando lo “scontro di civiltà” con l’Islam – non avesse preso una madornale cantonata, non vedendo cosa c’era davvero (e chi c’era, dalle parti della Casa Bianca) dietro la strage mostruosa dell’11 Settembre. Il Salvini di Pontida prende lucciole per lanterne anche su un altro cavallo di battaglia della propaganda più stantia del tradizionalismo provinciale italiano – la droga – senza distinguere tra narcotraffico, mafia e cannabis terapeutica.Il colmo, il Salvini post-ministeriale lo raggiunge elevando la peggior governante europea del dopoguerra, Margaret Thatcher, al rango di regina della politica: il faro del sovranista Salvini è dunque la madrina del cancro neoliberista che ha sventrato le nazioni europee, demolendo dalle fondamenta la legittimità democratica e la missione civile dello Stato sociale? Frastornati dal cocente tradimento subito a Roma, i leghisti si stringono comprensibilmente attorno al loro leader: capiscono che non aveva alternative, non poteva far altro che “staccare la spina” e tornare in campo dall’esterno, come outsider, ma con alle spalle una vastissima quota di elettorato. Di fronte ai leghisti di Pontida, Salvini potrà anche magnificare la Thatcher (detestata dagli inglesi, che hanno impiegato decenni a dimenticarla). Agli altri italiani, non leghisti ma delusi dai 5 Stelle e stomacati dal Pd, Salvini farà bene a spiegare perché allora ce l’ha tanto con i Thatcher italiani, come Monti e Fornero, che si sono limitati ad applicare alla lettera le feroci ricette della Strega del Nord, la loro grande maestra. E’ sicuro, Salvini, di sapere davvero cosa vuol fare da grande?(Giorgio Cattaneo, “Salvini santifica la Thatcher, cioè il neoliberismo dell’Europa-horror”, dal blog del Movimento Roosevelt del 16 settembre 2019).Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.
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Della Luna: siamo in trappola, e la politica non conta nulla
Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.Davvero nulla che conti davvero, sostiene l’avvocato Della Luna, brillante saggista euroscettico, sia che si tratti di migranti o di «diritti civili consolatori come l’eutanasia, la droga, il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali, l’affitto di utero e la fecondazione eterologa». Al livello più profondo «si trovano fattori strutturalmente molto più potenti, come gli effetti recessivi e deindustrializzanti dell’euro». Effetti «visibili a tutti, e dei quali i partiti nostrani, erroneamente ritenuti sovranisti, populisti e antisistema, parlavano prima di andare al governo contemplando la possibilità di uscire dall’euro, mentre subito dopo hanno dichiarato fedeltà ad esso senza condizioni, rivelandosi non sovranisti né populisti, ma sottomessi ai gestori dell’Ue». Del resto, «quando si hanno incarichi istituzionali, certi principi e certi dati di realtà bisogna rinnegarli: così è avvenuto con Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: si sono omologati», a differenza – secondo Della Luna – dello Ukip di Nigel Farage e del Brexit Party. Ma c’è un livello ancora più profondo, e quindi «mai o quasi mai proposto al pubblico dalla politica», dove affiorano «tematiche quali la intenzionale, dolosa pianificazione dell’uso dell’euro e dei suoi effetti nocivi per alcuni paesi a vantaggio della Germania, e l’analisi della stessa costruzione europeista come concepita per questo fine».In quel livello decisionale, inaccessibile alla politica ordinaria, «si trovano pure fatti come l’imperialismo e il neocolonialismo cinese, francese e statunitense, con il land grabbing e la rimozione dei popoli locali, come causa della marea migratoria dall’Africa verso l’Europa, della quale noi dovremmo farci carico». Si trovano inoltre temi come “l’inestinguibilità” del debito pubblico di quasi tutti i paesi, la tendenza nazionale italiana (dopo 27 anni di declino) ad almeno altri 25 anni di perdita di efficienza comparata. Ci sono «la sostituzione etnica (afro-islamizzazione) congiunta alla fuga di cervelli, capitali e imprese», nonché «gli ingravescenti effetti di una coesione nazionale mantenuta e mantenibile solo spogliando Veneto e Lombardia del loro reddito (quindi della capacità di investimento e innovazione) per integrare il reddito di una Roma e di un Meridione storicamente dimostratisi incapaci di crescere nonostante gli aiuti». A una maggior profondità, quindi a una maggior lontananza dalla “notiziabilità” popolare e dalla pubblica “dibattibilità” politica nelle istituzioni, c’è poi «il problema dei rapporti gerarchici tra le potenze (Stati, ma anche potentati bancario-finanziari)», che è «il problema delle sovranità limitate».Quanta libertà di autodeterminazione politica resta, all’Italia, “colonia” statunitense com 130 basi militari sul suo territorio? Cosa resta, di un’Italia vincolata all’Eurosistema a guida franco-tedesca, che dopo l’equivoco gialloverde torna pienamente sottomessa grazie al Conte-bis? «E’ divenuto manifesto, ma non se ne parla in Parlamento, il fatto che un paese che non controlla la propria moneta è diretto politicamente da chi gliela fornisce, cioè dai banchieri». Nel frattempo, «si è constatata la capacità di Ue, Bce e agenzie di rating di prescrivere coercitivamente (con la minaccia di impedire il finanziamento del debito pubblico) all’Italia e ad altri paesi deboli politiche e riforme socio-economiche favorevoli al grande capitale finanziario di tipo liberista, recessivo, sperequante, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione». Questo potere di ricatto manifesta «l’illusorietà dei principi fondamentali della Costituzione italiana, alla luce del reale ordinamento e funzionamento gerarchico internazionale: niente governo del popolo (democrazia) ma dei capitali; niente sovranità nazionale; niente primato del lavoro; niente perseguimento dell’eguaglianza sostanziale». Ancora: «Niente equa e dignitosa retribuzione; niente subordinazione dell’impresa privata all’interesse collettivo; niente intervento pubblico keynesiano per uscire dalla depressione e dalla disoccupazione». E quindi «mancano i presupposti per la legittimazione del potere politico delle istituzioni».Queste sono le tematiche della post-democrazia, ampiamente analizzate e illuminate da giuristi come Luciano Barra Caracciolo, da valenti sociologi come Luciano Gallino. Secondo Della Luna, al filosofo Diego Fusaro, onnipresente sui media, sarebbe «riuscita l’unica impresa rivoluzionaria del dopoguerra, ossia sfondare la muraglia di censura culturale (costruita dalla falsa sinistra) portando davanti al naso del grande pubblico la spiegazione cristallina di che cosa è e che cosa fa il sistema liberal-finanziario». Fusaro avrebbe anche smascherato «l’ipocrisia delle forze presentate e presentantisi come di sinistra o progressiste, cioè in Italia soprattutto del Pd», traditrici del socialismo (cioè della difesa dei lavoratori contro lo sfruttamento) e al servizio dell’élite bancaria. Per contro, c’è chi guarda con sospetto a Fusaro: non sarà che il suo presenzialismo mediatico in fondo è comodo, al potere, perché appare stravagante e quasi cariturale, dunque innocuo? Ma a parte il giudizio su Fusaro (positivo, per Della Luna), l’autore di “Euroschiavi” e “Cimiteuro”, “Traditori al governo”, “Sbankitalia” e “I signori della catastrofe” punta il dito contro «livelli ancora più profondi» nella ricerca delle vere cause delle nostre sciagure socio-economiche.La moneta, per esempio: domina un monopolio «privato e irresponsabile della creazione dei mezzi monetari, della loro distribuzione, della fissazione del loro ‘costo’ (tasso di interesse)». E questo monopolio abusivo grava sulla politica e sulla società, soprattutto in relazione precisi fattori. Primo: quella imposta «è una moneta indebitante, che dà luogo a un indebitamento pubblico e privato che, per ragioni matematiche, non può essere estinto e continua a crescere, anche perché il reddito da creazione monetaria non viene contabilizzato e sfugge così alla tassazione». Secondo punto: questo tipo di moneta, nel lungo termine, «grazie all’indebitamento inarrestabile sta portando tutto e tutti, come debitori insolventi, nel dominio dei monopolisti monetari, azzerando la dimensione pubblica della politica e dello Stato». E infine: scontiamo «i falsi dogmi» con cui questi monopolisti «nascondono o legittimano» il loro potere abusivo, dogmi come «quello della scarsità e costosità della moneta». Pura invenzione: la moneta è illimitata, e la sua emissione è ormai a costo zero. «Portare tali temi nel pubblico dibattito non è fattibile – scrive Della Luna – perché la gente non li capirebbe, ma soprattutto perché renderebbero manifesta l’impotenza della politica bassa, palese, e dello stesso Stato».Un dibattito del genere, oltretutto, demolirebbe «la fede popolare (e il consenso) verso la falsa narrazione economica che legittima tutte le scelte di fondo finalizzate agli interessi dell’oligarchia che le formula a suo beneficio». Della Luna ha espresso lo stesso concetto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui”: «Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflui (quindi impotenti poiché prive di potere negoziale, ma anche ridondanti, eliminabili) per effetto della concentrazione globale del potere e della smaterializzazione-automazione dei processi produttivi e bellici». E ora la possibilità tecnologica di gestirli in modo zootecnico, ossia non più semplicemente attraverso leve economiche e psicologiche «ma entrando nei loro corpi, nel loro Dna, e modificandoli biologicamente e geneticamente, soprattutto attraverso una manipolazione attuata per via legislativa (somministrazione forzata a generazioni di bambini di sostanze dagli effetti non chiari e non garantiti), avvia la decostruzione ontologica dell’essere umano, della specie homo, e la sua completa riduzione a strumento, merce, cosa illimitatamente formattabile, disponibile, fungibile». “Tecnoschiavi”, appunto: e senza scampo, almeno secondo Della Luna.Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.