Archivio del Tag ‘magistratura’
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#MattonellaDimettiti, lesa maestà e fake news istituzionali
Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.Il bello è che i fabbricanti di complotti un tanto al chilo sono gli stessi che accusano i populisti sovranisti di complottismo. Dopodiché anche i loro complotti, alla prova dei fatti, si rivelano quello che sono: balle, bufale, patacche, fake news (al cubo). Memorabile il caso di “Beatrice Di Maio”, il nickname di Fb additato dalla “Stampa” come il Grande Vecchio grillin-casaleggiano delle fake news contro Renzi, Boschi, Lotti & C.: peccato fosse la moglie di Brunetta. Una storia da manuale del boomerang, che fa il paio con le accuse di razzismo lanciate dal Pd al governo Conte perché un gruppo di giovinastri aveva lanciato un uovo a un’atleta di colore, poi frettolosamente ritirate dopo la scoperta che un lanciatore era il figlio di un consigliere comunale Pd. Ora ci risiamo. I giornaloni non riescono proprio a digerire che il 27 maggio, quando Mattarella rispedì a casa Conte per via di Savona, molti italiani si siano incazzati da soli: se i social tracimavano di commenti critici o insultanti, non era perché chi aveva appena votato M5S e Lega si sentisse defraudato e invocasse le dimissioni del capo dello Stato; ma perché c’era dietro Putin con la sua fabbrica di troll a San Pietroburgo. Infatti, per un’intera settimana, ci hanno ammorbati con una cascata di articoloni e titoloni.Tutti ispirati dal Colle (bastava leggere le firme: quelle dei quirinalisti), finché il pool Antiterrorismo della Procura di Roma (non è uno scherzo: è tutto vero), la Dia, la Polizia Postale, i servizi segreti e il Copasir non hanno aperto inchieste per vilipendio al capo dello Stato e attentato alla sua libertà. Roba da 20 anni di galera, come minimo. Poi i servizi hanno subito detto che non c’è una sola prova sui famosi troll russi. E chi aveva titolato “L’attacco al Colle via Twitter. Alcune ‘firme’ del Russiagate dietro i messaggi contro il capo dello Stato”, “Le manovre dei russi sul web e l’attacco coordinato a Mattarella”, “Interventi sulla politica italiana dai troll russi che spinsero Trump”, (“Corriere”), “La questione russa in Italia. Interferenze cyber”, “Interferenze russe sul voto del 4 marzo” (“La Stampa”), “Dalla propaganda di Putin 1500 tweet per Lega e 5Stelle”, “Una pioggia sui social in arrivo da San Pietroburgo”, “Il Pd nel mirino dei troll russi” (“Repubblica”), che ha fatto? Ha chiesto scusa per tutte le balle raccontate e lasciato perdere? Macché: fischiettando con grande nonchalance, ha infilato un paio di righette qua e là negli articoli – non più nei titoli – per dire che i russi non c’entrano nulla, o non c’è alcuna prova che c’entrino. Cioè: le critiche al presidente italiano erano tutte italiane. Dunque su chi si indaga, e per quale reato? Sui cittadini che, tutelati dall’articolo 21 della Costituzione, postano sui social il loro legittimo dissenso sulla massima carica, manco fossimo nella Russia di Putin?Mentre il boomerang volteggia all’indietro su chi l’aveva lanciato – cioè il Quirinale sempre più simile al Cremlino – i quirinalisti ispirati dall’alto tentano di intercettarlo in tempo con le nude mani: «Si cerca – scrive ieri il “Corriere” – di far passare Mattarella come un uomo permaloso che, credendosi un semidio, vorrebbe rianimare almeno il reato di lesa maestà». Già, l’impressione è proprio questa. «Manca solo che accusino il Quirinale di istigare i magistrati a recuperare la cultura greca del delitto di hybris» per «veder marcire in galera chiunque si pronunci criticamente su di lui». Già, la sensazione è proprio questa. Invece no: Egli, «nella sua imperturbabilità zen» e immensa bontà, adora chi lo critica, ma solo «in una dialettica accettabile in democrazia, ciò che esclude insulti e minacce». Resta da capire dove siano insulti e minacce nell’hashtag #MattarellaDimettiti dei tweet sotto inchiesta, prima made in Russia e ora rientrati nella cinta daziaria (lo “snodo di Milano”). Ma tutto è bene quel che finisce bene, o quasi.“Repubblica”, mentre autosmentisce una settimana di titoli sulla Russia con una sola frasina («gli account utilizzati per le campagne di influenza dei russi della Internet Research Agency di San Pietroburgo hanno cessato di operare nell’autunno scorso», dunque solo «mani italiane»), monta un’intera pagina su una notizia sensazionale: in Italia i siti dei 5Stelle rilanciano i messaggi di Di Maio e degli altri 5Stelle. Roba forte. Non solo: le critiche a Mattarella furono «un assalto squadrista» (tipo quelli di “Repubblica” a Leone e Cossiga) finalizzato nientepopodimenoché a «eccitare la coscienza del paese». Accipicchia. E chi è stato? «Consolidati network di condivisione di contenuti para-giornalistici di segno sovranista, piuttosto che populisti». Mecojoni. E non è mica finita: «Sono evidenti le stimmate e la regia politica». Perbacco: le pagine Fb di «quelli che si dicono 5S» chiedevano l’impeachment di Mattarella. Chi l’avrebbe mai detto? Una addirittura postava una domanda dal chiaro contenuto eversivo: «Siete d’accordo con Di Maio che invoca la messa in stato d’accusa di Mattarella?». E qualcuno osò financo rispondere, non so se mi spiego. Seguono i nomi dei putribondi mandanti: «Tale Piergiorgio, alias ‘Pierre’ Cantagallo», «Grande Cocomero classic» (il nostro preferito), «tale Francesco Camillo Soro» da Las Palmas. E ho detto tutto. Che si aspetta ad arrestarli, fustigarli, convertirli in appositi campi di rieducazione? L’Antiterrorismo non ponga altro tempo in mezzo.E, già che c’è, non trascuri le indagini sulla leggendaria «fabbrica delle fake news» e sull’inquietante «fiume di denaro che porta a Londra, a Mosca, in Albania», smascherati mesi fa dai segugi di “Repubblica”, che ne inseguirono le tracce fino al covo operativo: «Una fabbrica di manufatti in alluminio a Terni». Lì, «in una sera gelida di novembre, durante una pausa di cambio turno, Leonardo, un metalmeccanico di 34 anni, ex punk, la terza media in tasca e i soldi per comprare il primo modem non più di sei anni fa, apre le porte del Sistema». Roba grossa, di cui però non si seppe più nulla. Se non che – fu sempre “Repubblica” a rivelarlo, con grave sprezzo del pericolo – «Leonardo di cognome fa Piastrella», ma quando diventa un «cavaliere nero dell’intossicazione online», si fa chiamare “Ermes Maiolica”, molto ricercato dai «broker pubblicitari». Perché voi non ci crederete, ma «più traffico hai, più soldi prendi dalla pubblicità». Strano, eh? Infatti «in Rete ha cominciato a fare capolino un certo Vincenzo Ceramica. Provate a indovinare chi sia». Sono mesi che tratteniamo il fiato, in attesa che qualcuno sveli l’arcano – se non “Repubblica”, che abbandonò la pista proprio sul più bello, almeno l’Antiterrorismo. Se il sor Piastrella c’entra col sor Maiolica, c’entrerà anche col sor Ceramica? E non è che l’hashtag eversivo #MattarellaDimettiti era un messaggio in codice per il sor Mattonella?(Marco Travaglio, “#MattonellaDimettiti”, dal “Fatto Quotidiano” del 9 agosto 2018, ripreso da “Il bene comune newsletter”).Cultori sfegatati del nuovo genere letterario di giornaloni, quello delle fake news sulle fake news, leggiamo e collezioniamo tutto. Non ci perderemmo una puntata per nessuna ragione al mondo. Lo spettacolo dell’establishment che prende scoppole in tutto il mondo perché sta sulle palle ai cittadini e, anziché guardarsi allo specchio, cerca in Russia la spiegazione dei suoi continui fiaschi, è semplicemente impagabile. L’establishment ordina agli inglesi di votare no alla Brexit e quelli votano sì? Dev’essere un complotto dei russi a suon di fake news. L’establishment intima agli americani di votare Hillary Clinton contro Trump e quelli eleggono Trump? Sarà per le fake news diffuse da Putin. L’establishment raccomanda agli italiani di votare sì al referendum costituzionale e quelli votano no? Ci dev’essere sotto la congiura delle fake news moscovite. L’establishment diffida gli italiani dal premiare il populismo sovranista 5Stelle e la Lega e quelli corrono a votare 5Stelle e Lega? Le solite fake news della propaganda moscovita. L’establishment beatifica Mattarella che rifiuta il governo Conte con dentro Savona e subito Facebook e (molto meno) Twitter pullulano di messaggi contro Mattarella e pro Conte&Savona? La solita regìa dei troll russi, provenienti stavolta da San Pietroburgo.
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Gentiloni “gonfia” lo spread per mentire sul governo Conte
Il Partito Democratico perde la fiducia degli elettori – per l’esattezza due milioni e mezzo di voti in meno in cinque anni – ma si vanta pur sempre di avere quella dei mercati. Il concetto è semplice, quasi banale. La teoria dei dirigenti Dem è semplice, anzi semplicistica. Il programma del nuovo governo, unito al suo supposto dilettantismo, non convince e non convincerà gli investitori, che vendono e venderanno i nostri titoli di Stato. Il loro prezzo scenderà, e il rendimento – dato dal rapporto fra cedola e prezzo – salirà. Esploderà quindi il costo del debito, cui dovremo far fronte aumentando le imposte o diminuendo la spesa per i servizi. Saranno i mercati a punire gli elettori, che così impareranno a punire la forza tranquilla del Nazzareno. E’ il mercato, bellezza. Gli anni passano ma il copione resta bene o male lo stesso. Ieri la magistratura, oggi i mercati. La sinistra che perde sul campo trova sempre la sua rivincita negli spogliatoi. Un modo di ragionare molto poco democratico. Un paese dovrebbe infatti essere sempre libero di adottare le politiche economiche dei partiti scelti dagli elettori. Nel nostro caso, dalla maggioranza assoluta degli elettori; cosa che non accadeva dal 1987. Proposte che potranno pure non piacere. E al Nazzareno senz’altro non sono gradite. Ma questa è la democrazia.Saranno pur sempre gli elettori a giudicare i risultati ottenuti, confermando o meno il governo in carica alle prossime consultazioni. Ma stabilire in anticipo che una data politica economica non possa essere attuata perché non piace a qualcuno che potrebbe a sua volta punirci con lo spauracchio dello spread, se permettete, anche no! Anche perché la legge dei mercati non è fenomeno di natura, come l’eruzione di un vulcano o un terremoto contro cui nulla possiamo. Ma è la semplice e deliberata conseguenza di una stortura tipica solo dell’Eurozona. Prendiamo ad esempio il Giappone, con un rapporto debito/Pil pari al 250%. Quanto paga sui propri titoli di Stato a 10 anni? Praticamente lo 0%. Oppure il Regno Unito, reduce da un combattutissimo referendum sulla sua permanenza Ue cui sono seguiti negoziati internazionali e scontri politici interni altrettanto aspri. Quanto paga Londra sui propri Gilt a a 10 anni? La metà esatta dei nostri Btp. Il debito enorme da una parte e le tensioni politiche dall’altra – incubi persistenti agitati dal pensiero politico dominante di casa nostra – non sembrano scalfire la preoccupazione dei creditori di Tokyo e Londra. La spiegazione è elementare. Giappone e Regno Unito possiedono una “loro” banca centrale che emette e quindi controlla una “loro” moneta e che, più o meno di concerto con i rispettivi esecutivi, decide quanta parte del “loro” debito acquistare e a quale tasso.L’emissione di titoli di Stato, nei paesi monetariamente sovrani, non serve tanto a reperire le risorse necessarie a finanziare la spesa o rifinanziare il debito in scadenza, ma a determinare soprattutto il livello dei tassi di interesse cui si adatteranno gli altri segmenti del mercato dei capitali. Un’operazione di politica monetaria più che fiscale, diversamente da quanto invece accade in Eurozona dove i governi sono monetariamente castrati e quindi costretti a racimolare sui mercati ogni singolo centesimo loro necessario, al pari ed anzi in concorrenza con imprese, banche e famiglie. Sarebbe sufficiente che la Bce dichiarasse (notate bene non ho scritto “facesse” ma “dichiarasse”) che, per un efficace funzionamento dei canali di trasmissione della propria politica monetaria, non è più disposta a tollerare differenziali di rendimento superiori allo 0,5% fra i vari debiti dell’Eurozona, che immediatamente quegli investitori che oggi puniscono l’Italia correrebbero ad acquistare a mani basse anche i nostri Btp facendo salire i prezzi e abbassando il costo del nostro debito, così facendo un ottimo affare e portando il differenziale dei rendimenti a quanto prefissato da Francoforte; nella consapevolezza che una banca centrale, se solo lo volesse, avrebbe mezzi illimitati per arrivare a quel risultato, potendo essa stessa emettere tutta la moneta che desidera.E invece no, così non è; dobbiamo sorbirci l’ex premier Gentiloni che a distanza di poco più di venti giorni – dalle colonne prima de “La Stampa” e poi de “La Repubblica” – ci rampogna con la stessa identica profezia: «In due mesi lo spread è salito di oltre 100 punti. Solo questo ci costa oltre 5 miliardi». Ma sarà vero? E’ sufficiente consultare il bollettino trimestrale del ministero di Via XX Settembre per scoprire, ad esempio, che nei due mesi appena trascorsi sono stati emessi qualcosa come 34 miliardi di Btp. Un aggravio dei rendimenti pari all’1% si traduce in un costo aggiuntivo per le nostre tasche di 341 milioni. Mentre nei prossimi 12 mesi il governo emetterà circa 140 miliardi di Btp ed in caso di aumento del costo di finanziamento pari all’1% (ricordiamolo ancora, per una scelta deliberata della Bce) i maggiori interessi ammonterebbero ad 1,4 miliardi e non 5. Circa il 70% in meno della fosca previsione del nostro ex premier. Insomma se proprio volete appendervi allo spread, almeno fatelo coi numeri giusti.(Fabrio Dragoni, “La balla miliardaria di Gentiloni sullo spread”, da “Scenari Economici” del 1° agosto 2018).Il Partito Democratico perde la fiducia degli elettori – per l’esattezza due milioni e mezzo di voti in meno in cinque anni – ma si vanta pur sempre di avere quella dei mercati. Il concetto è semplice, quasi banale. La teoria dei dirigenti Dem è semplice, anzi semplicistica. Il programma del nuovo governo, unito al suo supposto dilettantismo, non convince e non convincerà gli investitori, che vendono e venderanno i nostri titoli di Stato. Il loro prezzo scenderà, e il rendimento – dato dal rapporto fra cedola e prezzo – salirà. Esploderà quindi il costo del debito, cui dovremo far fronte aumentando le imposte o diminuendo la spesa per i servizi. Saranno i mercati a punire gli elettori, che così impareranno a punire la forza tranquilla del Nazzareno. E’ il mercato, bellezza. Gli anni passano ma il copione resta bene o male lo stesso. Ieri la magistratura, oggi i mercati. La sinistra che perde sul campo trova sempre la sua rivincita negli spogliatoi. Un modo di ragionare molto poco democratico. Un paese dovrebbe infatti essere sempre libero di adottare le politiche economiche dei partiti scelti dagli elettori. Nel nostro caso, dalla maggioranza assoluta degli elettori; cosa che non accadeva dal 1987. Proposte che potranno pure non piacere. E al Nazzareno senz’altro non sono gradite. Ma questa è la democrazia.
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Il governo Tria-Draghi-Mattarella spaventa Lega e 5 Stelle
Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente mininistro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.Il problema dei problemi, rileva Del Duca, è che – con l’attuale assetto del bilancio, allineato ai vincoli di Bruxelles – non ci sono abbastanza soldi per finanziare reddito di base, tagli alle tasse e pensioni più dignitose. Secondo l’analista del “Sussidiario”, non sarà facile trovare un equilibrio che consenta a 5 Stelle e Lega di poter dare segnali positivi, almeno parziali, al proprio elettorato. «Nel mirino è il titolare dell’economia, Giovanni Tria, cui spetterà di sicuro l’ingrato compito di trasformarsi nel “signor no” della spesa pubblica». Tanti i segnali già emersi in questa direzione: «Sono soprattutto i grillini ad adombrare un Tria nemico, arcigno guardiano dei conti pubblici, in nome e per conto di Mario Draghi, e con la benedizione del Quirinale». Il ministro, dal cantro suo, ha preparato la trincea per la battaglia che lo aspetta proprio nello scontro di questi giorni sulle nomine: «In cambio del via libera a Francesco Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti ha incassato la blindatura del dicastero di via XX Settembre con la nomina di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro, che si affianca alla permanenza di Daniele Franco alla Ragioneria generale dello Stato».In questa fase, aggiunge Del Duca, la Lega ha svolto con Giancarlo Giorgetti un ruolo sostanzialmente di mediazione, «ma non è che il Carroccio abbia il desiderio di fare esclusivamente il donatore di sangue». Il bilanciamento della nomina di Palermo, scrive Del Duca, potrebbe avvenire sulle Ferrovie, ma anche sulla presidenza della Rai. E non va trascurato il desiderio leghista di poter contare su un vicepresidente del Csm “amico”, come contraltare del ministro della giustizia pentastellato. «La partita delle nomine non è affatto chiusa, quindi, anzi è destinata a durare tutto l’autunno, in parallelo alla discussione della legge di bilancio». Il clima in cui avverrà lo ha descritto con crudezza lo stesso Di Maio: «C’è da lavorare nell’ottica di una legge che deve essere coraggiosa e non che tiri a campare». Il vicepremier grillino ha detto a chiare lettere che questo comporta anche l’avvio della ridiscussione dei parametri economici a livello europeo, anche perché faceva parte del programma sia della Lega che del Movimento 5 Stelle. «La prospettiva è quindi di un autunno caldo sul fronte parlamentare», sottolinea Del Duca: «Ce n’è abbastanza per far crescere il livello di ansia dalle parti del Quirinale».Delle prospettive dei prossimi mesi, aggiunge l’analista, si è parlato nel lungo colloquio (oltre un’ora) che a sorpresa il premier Conte ha avuto con il presidente della Repubblica. E’ a Conte, secondo Del Duca, che Mattarella guarda come «l’unico che può riuscire a tenere insieme le dispendiose richieste dei due partiti di governo e le necessità di tenere i conti pubblici in equilibrio». Il rischio di strappi è concreto, sottolinea il “Sussidiario”, e nel caso della Cassa Depositi e Prestiti ci si è andati vicino. «Giovanni Tria ha rischiato di fare la fine di Renato Ruggiero, ministro tecnico degli esteri del governo Berlusconi, costretto a lasciare per incompatibilità. Lo ha capito lo stesso Giorgetti, proconosole di Matteo Salvini in tutte le trattative sulle nomine: è bene non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi per davvero». In altre parole: «Le dimissioni di Tria, se mai ci si dovesse arrivare, sarebbero un colpo davvero troppo duro da sopportare per il governo». E’ pur vero, però, che l’esecutivo gialloverde morirebbe, politicamente, solo se il “partito di Bruxelles” gli imponesse di ispirare al rigore anche la prossima finanziaria, costringendolo cioè a rinunciare al suo programma dichiaratamente anti-austerity.Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente ministro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.
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Mazzucco: vogliono il morto in mare, per seppellire Salvini
L’avevo detto in anticipo: ci hanno preso per il culo. Dall’incontro di Bruxelles con il leader europei, Conte non ha portato a casa assolutamente niente, se non appunto la presa in giro di una promessa di collaborazione che ovviamente non c’è. Vedrete come finiremo, quest’estate: cominceremo ad avere delle barche piene di gente, che galleggiano in mezzo al mare senza sapere dove andare. E infatti ci siamo già arrivati. Finché non hai l’impegno da parte degli altri di prenderci la gente, chiudere i porti serve solo a creare una crisi locale. Arrivano barconi con sopra 450 migranti: figurarsi se la Libia se li riprende, o se sbarcano a Malta. Quindi Salvini dovrà trovare una scusa, inventarsi una motivazione. Il fatto è che, ogni volta, se accettiamo di sbarcare migranti, dall’altra parte – i francesi soprattutto – si sfregano le mani, perché finché non si ottiene un impegno reale, un accordo firmato, nel quale ci si distribuisce questi migranti, non cambierà assolutamente niente. Finiremo solo per scontrarci contro un problema che è più grosso di tutti noi. Mattarella è intervenuto per far sbarcare profughi, decidendo lui al posto del governo? Non è la prima volta che Mattarella ci dimostra che non è affatto super partes: sta chiaramente dalla parte dei “piddini”, della cordata buonista umanitaria che – non si capisce perché – ha tanto bisogno di questi immigrati.E’ vero che Salvini in quel caso ha fatto il passo più lungo della gamba: come ministro degli interni non è carino intervenire per suggerire alla magistratura quello che dovrebbe fare, tipo arrestare presunti facinorosi. Ma è altrettanto vero che non sono affari che riguardano Mattarella: comunque sia, è una questione tra ministeri o istituzioni diverse, mistero degli interni e magistratura. Non abbiamo certo bisogno che intervenga il Quirinale, e invece il capo dello Stato ha fatto proprio una telefonata a Conte, diretta, per chiedere che sbloccasse la situazione. Quindi Mattarella non è assolutamente super partes, come peraltro aveva già dimostrato durante la formazione del governo. Dal punto di vista di Salvini, cioè di chi vuole fermare gli sbarchi, la verità è che noi abbiamo due nemici: uno è l’Unione Europea, l’altro è la cordata interna del Pd e dei buonisti che non vedono l’ora che ci sia qualche tragedia in mare per poter addossare la colpa su Salvini e cominciare con l’arma del ricatto. E questo purtroppo mi tocca dirlo: temo che succederà molto presto, perché è impensabile che si possa passare tutta l’estate in situazioni come queste, senza che prima o poi non ci scappi da qualche parte il morto. A quel punto si scatenerà la vergogna del ricatto morale e finiremo esattamente dove qualunque persona con un minimo di cervello aveva già capito che saremmo finiti.L’altra sera, in televisione, Luca Telese cercava di attirare in trappola un’esponente dei 5 Stelle. Diceva: e se in uno di questi lager libici ci fosse una donna che deve partorire? Non ha forse il diritto di sognare di venire in Italia? E’ chiaro che se vai a cercare il caso estremo riesci sempre ad avere ragione, nello specifico, ma non hai stabilito la questione di principio – cosa che, appunto, tutte queste persone si rifiutano di fare. La questione è semplice: certo, anch’io ho il diritto di sognare di diventare ricco come Donald Trump, ma non è che poi sono autorizzato ad andare a rapinare una banca o a violare la legge, per diventarlo. Quindi, se ci sono delle leggi, vanno rispettate. E noi abbiamo queste leggi, in questo momento, che non permettono un’immigrazione di questo tipo. Quindi bisogna rispettarle. Il problema non è tra noi e il Sud, è tra noi e il Nord. Il resto dell’Europa se ne fotte, dei migranti che sbarcano in Italia. Tutto sarebbe risolto se ci fosse un accordo di spartizione automatica, proporzionale, fra gli Stati europei. Su ogni barcone con 450 migranti, divisi per i 28 paesi Ue, a ciascuno finirebbero 20 persone: non sarebbe più un problema, per nessuno. E soprattutto, noi vedremmo che gli altri non se ne fregano, e quindi saremmo anche noi più invogliati a fare la nostra parte, se gli altri facessero la loro. Viceversa è chiaro che ti impunti, come sta facendo Salvini in questo momento.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta “Mazzucco Live”, in web-streaming su YouTube il 14 luglio 2018).L’avevo detto in anticipo: ci hanno preso per il culo. Dall’incontro di Bruxelles con il leader europei, Conte non ha portato a casa assolutamente niente, se non appunto la presa in giro di una promessa di collaborazione che ovviamente non c’è. Vedrete come finiremo, quest’estate: cominceremo ad avere delle barche piene di gente, che galleggiano in mezzo al mare senza sapere dove andare. E infatti ci siamo già arrivati. Finché non hai l’impegno da parte degli altri di prenderci la gente, chiudere i porti serve solo a creare una crisi locale. Arrivano barconi con sopra 450 migranti: figurarsi se la Libia se li riprende, o se sbarcano a Malta. Quindi Salvini dovrà trovare una scusa, inventarsi una motivazione. Il fatto è che, ogni volta, se accettiamo di sbarcare migranti, dall’altra parte – i francesi soprattutto – si sfregano le mani, perché finché non si ottiene un impegno reale, un accordo firmato, nel quale ci si distribuisce questi migranti, non cambierà assolutamente niente. Finiremo solo per scontrarci contro un problema che è più grosso di tutti noi. Mattarella è intervenuto per far sbarcare profughi, decidendo lui al posto del governo? Non è la prima volta che Mattarella ci dimostra che non è affatto super partes: sta chiaramente dalla parte dei “piddini”, della cordata buonista umanitaria che – non si capisce perché – ha tanto bisogno di questi immigrati.
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Sul carro degli onesti. Foa: l’Italia e il branco dei gattopardi
Caro direttore, ci risiamo. L’Italia opportunista, l’Italia che, come sempre è accaduto nella sua storia, è maestra nell’abbandonare i perdenti salendo sul carro dei vincenti, sta prevalendo ancora una volta, appropriandosi i risultati di quella che fino ad oggi era stata la battaglia della parte pulita del paese. Sembra un paradosso, eppure purtroppo non lo è. Ricorda com’era la situazione a febbraio, quando scoppiò lo scandalo della Baggina? Il regime era solido e potente, poteva ancora sperare di limitare i danni, di far apparire quella vicenda un episodio isolato attribuibile ai “mariuoli”, o addirittura di insabbiare tutto con la complicità di giudici compiacenti. Di Pietro non si lasciò intimidire e, se ha potuto proseguire arrivando dove tutti sappiamo, il merito in parte è anche nostro, di quella fetta dell’opinione pubblica che sin dall’inizio si è schierata con entusiasmo dalla parte del “giustiziere di Tangentopoli”. A febbraio eravamo in pochi a gioire e a combattere. Era l’Italia pulita, onesta, che non ama gli schiamazzi di piazza. Tra questi pochi c’erano in blocco i nostri lettori.Per qualche giorno, Di Pietro ci ha fatto rivivere le emozioni degli anni ‘70: si tifava per lui come si tifava per Montanelli contro la tracotanza dei comunisti e le pallottole delle Brigate Rosse. Ma oggi a quale spettacolo assistiamo? Sul carro della denuncia di Tangentopoli sono saliti tutti gli onesti e le persone per bene, certo, ma anche i corrotti, i furbastri, gli opportunisti. Insomma, il peggio del paese. Ed è proprio la loro voce a tuonare sempre più forte, surclassando quella dell’Italia dal volto pulito. Sono questi maestri della propaganda e del conformismo ad aver ispirato alcune delle recenti spettacolari iniziative e a coniare gli slogan più incisivi a sostegno dei giudici di Milano, così brillanti da far apparire naif è un po’ patetiche le scritte sui muri “Forza Di Pietro” che ci entusiasmavano la primavera scorsa. C’è da preoccuparsi. Quelle centinaia di persone che oggi gareggiano a chi urla nelle piazze gli insulti più virulenti contro i potenti caduti in disgrazia sono le stesse che fino a pochi mesi fa bazzicavano nelle anticamere del potere, nella speranza di partecipare alla spartizione del malloppo. Portaborse, intellettuali alla moda, giornalisti di regime, arrampicatori e affaristi.Il loro scopo è evidente: appropriarsi la bandiera dell’Italia onesta e introdursi nelle forze politiche emergenti (Lega, Rete, Msi, movimenti referendari) per continuare a fare quel che hanno sempre fatto ho sognato di fare: la dolce vita e le carriere facili a spese del paese. Ormai manca solo che anche mafiosi e camorristi esprimano solidarietà e appoggio a Di Pietro. Per questo, caro direttore, “Il Giornale” vada ancora una volta controcorrente, iniziando una di quelle battaglie per le quali i nostri lettori dal 1974 ci appoggiano con passione ed entusiasmo. Come nel 1988, quando svelammo lo scandalo dell’“Irpiniagate”. Come agli inizi degli anni 80, quando fummo i primi a denunciare la corruzione della partitocrazia e a invocare la riforma del sistema elettorale. Continuiamo a schierarci con Di Pietro, ma fuori del gregge dell’ormai gratuito “dipietrismo”. Lasciamo ad altri le chiassate di piazza e diamoci da fare per smascherare gli eterni furbi d’Italia.(Marcello Foa, “Sul carro degli onesti”, lettera pubblicata sul “Giornale” del 21 dicembre 1992 dall’allora direttore Indro Montanelli, che in calce alla missiva aggiuse: «Questa lettera, caro Foa, potrei avrela scritta io». Lo rammenta lo stesso Foa, in un affettuoso ricordo che dedica a Montanelli sul blog “Il cuore del mondo”, pubblicato sul “Giornale” il 21 luglio 2018. Impegnato a denunciare le ipocrisie dei media mainstream con saggi di successo come “Gli stregoni della notizia”, oggi Foa condanna l’ostracismo moralistico del vecchio establishment, ostile a Salvini e al sovranismo democratico “gialloverde”).Caro direttore, ci risiamo. L’Italia opportunista, l’Italia che, come sempre è accaduto nella sua storia, è maestra nell’abbandonare i perdenti salendo sul carro dei vincenti, sta prevalendo ancora una volta, appropriandosi i risultati di quella che fino ad oggi era stata la battaglia della parte pulita del paese. Sembra un paradosso, eppure purtroppo non lo è. Ricorda com’era la situazione a febbraio, quando scoppiò lo scandalo della Baggina? Il regime era solido e potente, poteva ancora sperare di limitare i danni, di far apparire quella vicenda un episodio isolato attribuibile ai “mariuoli”, o addirittura di insabbiare tutto con la complicità di giudici compiacenti. Di Pietro non si lasciò intimidire e, se ha potuto proseguire arrivando dove tutti sappiamo, il merito in parte è anche nostro, di quella fetta dell’opinione pubblica che sin dall’inizio si è schierata con entusiasmo dalla parte del “giustiziere di Tangentopoli”. A febbraio eravamo in pochi a gioire e a combattere. Era l’Italia pulita, onesta, che non ama gli schiamazzi di piazza. Tra questi pochi c’erano in blocco i nostri lettori.
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Magaldi: ma non ha vinto Macron, e il mondo sta rinascendo
Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio di Mosca, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».“The times they are a-changing”, sostiene Magaldi nella sua narrazione a puntate, ogni lunedì ai microfoni di “Colors Radio”. Trump e Putin? Appunto: come ampiamente previsto dal presidente del Movimento Roosevelt, l’istrionico Maverick della Casa Bianca sta facendo piazza pulita degli antichi pregiudizi su cui si è fondato il “partito della guerra”, più mercenario che patriottico. Lo Zar del Cremlino? «Non privo di una sua grandezza», riconobbe Magaldi, quando Putin rifiutò di espellere diplomatici americani dopo la cacciata dei funzionari dell’ambasciata russa disposta da Obama. Tutto sta davvero cambiando, giorno per giorno: e infatti ad essere “en marche”, oggi, non è la Francia imbrigliata da Macron, ma l’Italia di Conte: «Il nostro paese – dice Magaldi – potrà tornare a rivestire il suo storico ruolo di “ponte”, con la Russia ma anche con l’Africa e il Medio Oriente: è tempo infatti che vengano archiviate le storiche clausole segrete, connesse a Yalta e ad altri trattati del dopoguerra, che limitavano la nostra libertà d’azione – trattati comunque aggirati, a suo tempo, dalla politica mediterranea dei Mattei e dei Moro».Lo ricorda Giovanni Fasanella in “Colonia Italia”: le superpotenze ci “affidarono” al controllo britannico, a limitare la nostra sovranità. Ora basta, però: «E’ è venuto il tempo di dare all’Italia piena indipendenza e autonomia politica, consentendole di recitare un ruolo di “cerniera di pace” e prima promotrice di un Piano Marshall per l’Africa», dice Magaldi, che – insieme a Patrizia Scanu, neo-segretaria del Movimento Roosevelt – ne riparlerà in autunno a Milano, in un evento dedicato anche all’eredità politica del leader sovranista africano Thomas Sankara. Grande la confusione, intanto, sotto le stelle: restano le sanzioni contro Mosca innescate dalla crisi ucraina, mentre l’Europa «non si capisce cosa voglia e non esiste come soggetto geopolitico». Iperboli: «Trump accusato in casa di “intelligenza col nemico russo” poi rimprovera la Merkel di eccessiva familiarità e connivenza con alcuni interessi russi». E non mancano intrecci personali: «Il “fratello” Putin e la “sorella” Merkel – ricorda Magaldi – furono iniziati già molti anni fa nella stessa Ur-Lodge», la Golden Eurasia. Massoni, appunto: il problema, insiste Magaldi, non è il grembiulino che indossano, ma l’orientamento politico che promuovono.L’ipocrita massonofobia di Di Maio, estesa alla Lega nel “contratto” di governo? I vertici “gialloverdi”, dice Magaldi, temono che i loro elettori (non informati sulla storia patria) scambino la massoneria per un’associazione a delinquere. Magaldi punta il dito contro Elio Lannutti, esponente 5 Stelle, «in passato protagonista di battaglie meritorie». Ora vorrebbe una legge che vietasse ai massoni l’accesso alle cariche statali, sbarrando loro le porte di polizia e magistratura: «Siamo alla follia liberticida, queste cose le hanno fatte i regimi comunisti e fascisti», protesta Magaldi. E attenzione: il tema massoneria (compresa l’avversione ai “grembiulini”) va maneggiato con cura: «Nel 1800 negli Usa sorse un Anti-Masonic Party fondato però da massoni: spesso le campagne antimassoniche, nella storia, sono state progettate da massoni di altro segno, per colpire circuiti massonici opposti ai loro». Non è il caso dell’Italia, dove secondo Magaldi si sconta una semplice ignoranza della materia: si confonde la libera muratoria democratica degli eredi di Garibaldi, Mazzini e Cavour con la P2 di Gelli, braccio operativo della superloggia sovranazionale “Three Eyes”, di natura pericolosamente oligarchica e spesso eversiva. In massoneria, ricorda Magaldi, non possono entrare pregiudicati né possono restarvi soggetti che non rispettino la Costituzione e le leggi. «Aiuteremo gli amici “gialloverdi” a chiarirsi le idee, ma se il pregiudizio antimassonico perdurerà – avverte il gran maestro – faremo i nomi dei massoni progressisti, leghisti e penstastellati, che siedono nel governo Conte e nelle altre istituzioni».Comunque, a parte gli ultimi «untori del culturame antimassonico», nella narrazione magaldiana – massonico-progressista, avversa al lungo dominio della supermassoneria neo-aristocratica – all’indomani dei Mondiali di calcio (e del vertice di Helsinki) c’è posto solo per un cauto ma tenace ottimismo nella riscossa democratica di un mondo globalizzato in modo autoritario. Lo si può vedere, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, a partire dalla cruciale trincea italiana. Al netto delle pretattiche, dice Magaldi, vedrete che arriveranno cambiamenti sostanziali: «E’ vero, in molti sono allarmati perché il ministro Tria insiste troppo sul contenimento del debito pubblico, sul rigore dei conti e sulla rassicurazione dei mercati. Ma si tratta di non fare il gioco degli strumentalizzatori, che a suo tempo hanno infierito su Savona per cercare di impedire la nascita del governo “gialloverde”. Quando però arriveranno misure importanti – pronostica Magaldi – allora sarà chiaro quale paradigma economico si adotterà, rispetto all’Europa e alle voci di spesa. Il povero Tria? E’ stato chiamato per un ruolo in copione che è quello del rassicuratore, ma poi le decisioni non saranno nel senso della continuità. Tant’è che proprio alcune esternazioni di Savona fanno capire qual è la vera sceneggiatura», con un’Italia non più prona ai diktat di Bruxelles.Idem sul capitolo vaccini: non brilla per chiarezza, Giulia Grillo, che infatti non ha sconfessato la legge Lorenzin. «E’ però un passo avanti notevolissimo l’aver eliminato l’odiosa costrizione in stile Gestapo che privava i bambini non vaccinati del diritto all’istruzione». Insomma, si respira un’altra aria, pur in un terreno minato da troppi dogmi – che non la scienza non dovrebbero aver nulla a che fare. Può anche funzionare il concetto dell’immunità di gregge (più vaccinati, meno possibilità di contrarre malattie) ma occorrerebbe un’indagine scientifica molto seria su quanti e quali vaccini vadano somministrati, e se l’eccesso di vaccini non produca effetti controproducenti, come nel caso dei vaccini militari cui il Movimento Roosevelt ha dedicato un convegno a Torino con il vicepresidente della commissione difesa. Non possono mancare libertà e confronto critico, aggiunge Magaldi: «Bisogna denunciare ad alta voce, anzitutto sul piano metodologico, che in Italia – durante il clima plumbeo del governo Gentiloni – chiunque della comunuità scientifica osasse discutere l’idea che andassero propinati 12 vaccini veniva escluso, ghettizzato, calunniato e demonizzato (e parlo di medici anche di grande spessore). Chi osava contrapporsi a quel clima veniva emarginato, se non sanzionato. Sono cose da paese del quarto mondo».Libertà scientifica: chi sostiene la bontà dell’attuale sistema vaccinale, insiste Magaldi, abbia il coraggio e l’onestà di confrontarsi con chi è scettico. «E c’è un problema di mancata sperimentazione: di troppi vaccini non si conoscono gli effetti. Sono tanti gli interrogativi, e solo nell’orizzonte del dubbio (in cui dovrebbe essere connaturata la scienza) il problema si può risolvere». Invece, scontiamo «l’indottrinamento disdicevole da parte di divulgatori come Piero Angela, secondo cui la scienza non è democratica e ha sempre ragione». Per Magaldi, sono «vistosi casi di insipienza storica e ignoranza profonda sulla genesi del metodo scientifico, fondato proprio sul dubbio: la scienza moderna, da cui nasce la nostra tecnologia, è fondata sulla messa in discussione del principio di autorità – che appartiene invece al mondo pre-moderno». Una cosa è vera solo perché lo dicono i detentori di quel sapere? Concezione antica: «Nella comunità scientifica moderna ci devono essere posizioni dissonanti: nessuna ipotesi può essere vera a prescindere». Il nostro paese, aggiunge Magaldi, «è ostaggio anche di cattivi divulgatori di un’idea della scienza che è inconsistente e contraria ai principi della contemporaneità». Ma attenzione: neppure questo “muro” dogmatico resisterà per sempre. Verrà il giorno in cui avremo finalmente «un confronto pacato», che riconosca il ruolo storico di alcuni vaccini per la nostra salute ma, al tempo stesso, valuti – seriamente – l’opportunità e la sicurezza di altri vaccini, nient’affatto scontate.«L’affermazione della democrazia – ricorda Magaldi – è coeva dell’affermazione della scienza moderna: è essenziale la libertà nel valutare le opzioni terapeutiche». Vale per tutto: se si applica il “filtro” della democrazia anche al contesto scientifico, finiscono per crollare miti e verità di fede. Lo stesso principio funziona ovunque si guardi, persino nella polveriera del Medio Oriente: «Credo che verrà il tempo per una pacifica soluzione del conflitto israelo-palestinese», auspica Magaldi, osservando la scena con lucidità: «In fondo l’estremismo di Hamas e quello di Netanyahu si sostengono a vicenda, sono due facce della stessa medaglia: si reggono sull’ostilità reciproca e quindi hanno bisogno l’uno dell’altro. Non a caso ad essere assassinato fu Yitzhak Rabin, il massone progressista che voleva davvero la pace e quindi uno Stato palestinese». Se la ride, Magaldi, pendando agli amici che il 15 luglio davanti al televisore hanno trepidato per la Croazia per avversione nei confronti di Macron. Il capo dell’Eliseo? «Si è reso odioso: è un cicisbeo politico, continuatore delle politiche di Hollande e rappresentante di questo establishment puzzolente dell’attuale Disunione Europea. Con rara ipocrisia e faccia di bronzo ha detto parole inammissibili nei confronti del governo italiano e dell’Italia, nel corso di questa crisi sui migranti». Ma Macron non è la Francia, così come Bush non era l’America: «Guardiamo con amore a questi paesi – chiosa Magaldi – perché tantissimi francesi (come tantissimi statunitensi) insieme a noi cittadini del mondo – italiani, europei, cinesi, giapponesi – dovranno costruire un pianeta più equo, che abbia come faro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: diritti non solo civili ma, finalmente, anche economici e sociali».Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio moscovita, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».
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Mattarella, blitz contro Salvini sui migranti. Cade il governo?
Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.Le eventuali dimissioni del “governo del cambiamento”, che farebbero felici tutti i nemici dell’Italia – da Parigi a Berlino, da Bruxelles a Francoforte – sarebbero ovviamente una tragedia per l’opposizione post-renziana, ormai tenuta in vita solo dal tifo anti-Salvini orchestrato dai media mainstream e da eterne comparse come Laura Boldrini a Roberto Saviano. L’attacco concentrico contro la Lega, vero perno dell’ipotesi sovranista europea sorretta a distanza dalla presidenza Trump, ha assunto tratti spettacolari: ai puntuali sgambetti di Mattarella si somma l’iniziale attacco della finanza neoliberista franco-tedesca sotto forma di spread, seguito dalla clamorosa gita turistica di Macron, invitato a Roma da Papa Bergoglio come super-ospite, dopo che il presidente francese, uomo Rothschild ed esponente della supermassoneria reazionaria, si era esercitato a insultare l’Italia e gli italiani. Macron, che dà lezioni all’Italia sui diritti umani, ha ordinato il pestaggio dei migranti al confine di Ventimiglia e fatto intervenire la gendarmeria transalpina a Bardonecchia, violando gli accordi di frontiera tra i due paesi.Dulcis in fundo, il macigno che la magistratura ha caricato sulle spalle di Salvini, costretto a rispondere – in solido – di 49 milioni “fantasma”, teoricamente scomparsi dalle casse del partito durante la gestione Bossi e ora messi in conto alla Lega salviniana, con provvedimento esecutivo, senza neppure attendere il secondo grado di giudizio. Una sentenza, quella sui presunti fondi scomparsi, che equivale a privare la Lega della possibilità di fare politica, esercitando il mandato democratico ottenuto dagli elettori il 4 marzo. Variegate forze – dalla Bce alla Banca d’Italia, dall’Ubi (l’unione della banche italiane) fino a Confindustria – stanno combattendo all’arma bianca contro la possibilità che il governo gialloverde possa durare. Pericolosi, ovviamente, i distinguo di alcuni grillini di peso: il ministro della difesa Elisabetta Trenta contesta a Salvini le modalità del blocco dei porti, mentre il presidente della Camera, Roberto Fico, invoca il valore dell’accoglienza “senza se e senza ma”, bocciando di fatto la politica del governo sull’immigrazione.Nelle ultime settimane, intanto, emerge finalmente l’altra verità sul traffico di migranti promosso dalle Ong sostenute dalla rete Open Society di George Soros: non si tratterebbe di un “esodo della disperazione”, ma di un trasferimento di massa programmato. Decine di migliaia di africani (non i più poveri, solo quelli che possono permettersi di pagare i trafficanti) verrebbero incoraggiati a lasciare i loro paesi con il miraggio di un welfare assistenziale generoso, in Italia e nel resto d’Europa. Naturalmente il problema-Africa è devastante, nelle sue proporzioni: Salvini lo utilizza ruvidamente in chiave anti-Ue, mentre i “vedovi” della sinistra di potere lo cavalcano, disperatamente, solo in funzione anti-Salvini. Spuntando – con l’aiuto del Quirinale – l’arma principale dell’Italia contro i diktat di Bruxelles, la corda potrebbe spezzarsi: Salvini sa che la maggioranza degli italiani è con lui, nuove elezioni potrebbero trasformarsi in plebliscito. Resta però da capire come la vede il convitato di pietra del governo Conte: cioè Donald Trump, che sembra puntare proprio sul governo gialloverde per “smontare” l’euro-orrore capitanato dalla Germania merkelizzata.Comuque vada a finire, l’ennesimo braccio di ferro tra Salvini e l’establishment non farà che aumentare il peso politico dell’attuale ministro dell’interno, ostacolato ancora una volta dal presidente della Repubblica, lo stesso Sergio Mattarella che aveva sbarrato le porte del ministero dell’economia a Paolo Savona, sostenuto proprio dal leader leghista. Ora il capo dello Stato ha imposto lo sbarco a Trapani dei migranti a lungo trattenuti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera, alcuni dei quali – secondo l’accusa – colpevoli di aver minacciato l’equipaggio del rimorchiatore che li aveva tratti in salvo al largo della Libia, ma che stava per riportarli sul litorale nordafricano. Sull’argine al flusso incontrollato di migranti, Salvini ha scommesso tutto: è l’arma vincente che smschera l’ipocrisia tecnocratica dell’Ue, che obbliga l’Italia a sostenere da sola i costi dell’accoglienza nel Mediterraneo, imbrigliandola però nella stretta finanziaria del pareggio di bilancio. Una camicia di forza che impedisce al governo gialloverde di attuare le sue promesse elettorali: reddito di cittadinanza, Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni. «Governeremo trent’anni», aveva appena annunciato Salvini a Pontida. Ma ora, dopo l’ultimo schiaffo di Mattarella, c’è chi scommette che l’esecutivo presieduto da Conte potrebbe cadere nel giro di pochi giorni.
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Veneziani: addio sinistra, lobby di potere senza più popolo
Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».«Se evaporò in poco tempo la Dc, riducendosi a pochi reduci – aggiunge Veneziani – non vedo perché non possa sparire la sinistra e se ne debba fare una malattia. Tanto più che il declino è mondiale, come ben si vede, e a furor di popolo». Lo stesso Veneziani trova «grottesca» quella che definisce «la sfilata dei maestrini che hanno rimproverato alla sinistra di essersi allontanata dalla realtà, dal popolo, dai suoi disagi e dal suo sentire». E lo dicono mentre, dappertutto, proprio loro, cioè «i maestrini, i loro giornaloni, le loro Tv, continuano a somministrare al paese la stessa pappa che ha portato al disastro la sinistra: pro-migranti, prima loro poi gli italiani, pro-Rom e pro-gay come se fossero temi di priorità epocale, antifascisti e antirazzisti». Protesta Veneziani: «Ma non avete capito che la sinistra è crollata proprio perché si è identificata col messaggio ossessivo che i suoi mass media, i suoi agenti, funzionari, ideologi propinano ogni giorno, disertando la realtà e i suoi disagi?».A questo punto, continua Veneziani, è inutile arrovellarsi su chi sarà il miracoloso resuscitatore della sinistra: sfilano in tanti, da Zingaretti a Calenda, «che è entrato tre mesi fa nel Pd e ora vuole già seppellirlo per collocarlo all’incrocio pigliatutto», senza contare «il coro delle prefiche piangenti della sinistra perduta o della cattosinistra, appena usciti disfatti dalle esperienze di governo». Chiosa Veneziani: «Sullo sfondo dal sarcofago di D’Alema si sentono risate sataniche». Scherzi a parte, sostiene il politologo, la sinistra che verrà non sarà più radical chic o proveniente dalla Ditta, come Bersani chiamava la filiera dell’ex Pci. «Il prossimo leader della sinistra, come il suo popolo del resto, sarà un Papa straniero», scrive Veneziani, tra il serio e il faceto. «Sarà negro. Sarà venuto dai barconi o avrà trovato nei barconi il suo elettorato maggiore e la sua base militante. Sarà pop, e non snob. Che saranno poi i milioni di migranti che la sinistra, il Papa, i mattarelli umanitari, avranno agevolato a far entrare nel paese e in Europa. Riprenderà, come è giusto, la bandiera del proletariato e farà la concorrenza ai grillini pauperisti».Ragiona Veneziani: «Non ha senso, per la marea di migranti, avere tutori che parlano in loro nome pur vivendo da agiatissimi borghesi, lontani dai sobborghi e dagli spazi pubblici affollati dai migranti. Lo faranno direttamente loro». Seriamente: «Finché dominerà il populismo, la sinistra continuerà ad essere quella che è stata, un centro di potere mediatico, culturale, bioetico, giudiziario; una fabbrica di influenze, codici e sentenze, una lobby trasversale che raggruppa al suo interno tante altre lobby che fanno setta, business o potere sui temi sensibili». Sempre secondo Veneziani, la cosiddetta sinistra smetterà pure di essere un partito, «perché è un’oligarchia capace di orientare le opinioni ma non di prevalere nel voto». E aggiunge: Fino a che ci saranno democrazia, sovranità e libertà, «la sinistra sarà minoritaria, perché avvertita non dalla parte del suo popolo ma fuori, sopra e contro di esso». Renzi? Gli è stata attribuita «una disfatta molto più grande e molto più radicale di lui». Come già Veltroni, ora si darà alla Tv, dimostrandosi essenzialmente un animatore, più che un politico. «Sono piccoli esempi vistosi di un processo più grande: la sinistra proletaria e sudata la faranno i neri, magari islamici; la sinistra da passeggio e da salotto sarà nei poteri che non passano dal consenso popolare».Lo psicodramma collettivo sulla fine della sinistra continua imperterrito da settimane, mesi o meglio ancora anni, ma c’è qualcosa di esagerato – scrive Marcello Veneziani – nel piangere e denunciare il collasso del Pd: non successe la stessa cosa quando sparì il partito-paese, la Dc, dopo mezzo secolo ininterrotto di potere. Ma la tragedia della sinistra, scrive Veneziani sul “Tempo”, tocca direttamente le fabbriche dell’opinione pubblica, gli influencer – dalla Rai all’Istat, dai giornali agli intellettuali – perché alla fine i due mondi coincidono. A volte sembra di vedere due tragedie umanitarie trasmesse in contemporanea: i barconi dei migranti che arrivano, e i politici morenti – sindaci, ministri – che sloggiano. E sorgono problemi di approdo per i migranti «in quanto non ci sono più i demosinistri e i cattoumanitari al potere». In tanti, aggiunge Veneziani, «hanno dato consigli alla sinistra per riprendersi il potere smettendo di essere sinistra». Un consiglio «doppiamente assurdo, perché sottintende una considerazione inaccettabile: che la sinistra può rinunciare alle sue idee ma non al potere a cui per diritto divino è destinata». Meglio rassegnarsi a constatarne il decesso, o comunque «il male incurabile, il declino irreversibile».
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Il Pd è finito perché ha scelto la finanza archiviando Keynes
L’ultima assemblea nazionale del Pd consegna alla storia della sinistra italiana una fotografia drammatica e al tempo stesso quasi patetica, dopo il ko del 4 marzo e poi quello delle amministrative. Quello che addirittura lascia esterrefatti, scrive Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, è che il partito è privo di qualsiasi strategia: ci si trova di fronte all’ennesimo ed effimero rinvio del nulla, del vuoto pneumatico. C’è il fantasma di Renzi, il Re degli Sconfitti, che arriva a contestare tutti, da Gentiloni a Martina, preoccupato solo di galleggiare ancora tra le macerie di un partito dal quale non si salva nessuno. Da Rold segnala la retromarcia di Bersani, che definisce «uomo di sinistra, magari anche di modeste ma oneste visioni politiche», che ha invitato i dirigenti Pd a fare un passo indietro per tornare ad ascoltare la società italiana. E poi c’è il lamento del leghista Giancarlo Giorgetti, navigato sottosegretario alla presidenza del Consiglio: è preoccupato, Giorgetti, che il governo gialloverde non abbia una vera opposizione, cosa che rende ancora più desolante la già fragile democrazia italiana. Velo pietoso sugli scenari da “fronte antipopulista” evocando Macron, cioè il politico francese che odia l’Italia. La realtà della sinistra italiana sarebbe lampante, dice Da Rold, se solo il Pd si decidesse a vederla: il centrosinistra è tale solo di nome, perché di fatto ha svolto una politica neoliberista, tipica della destra antisociale.Tra i tanti peccati che ha da scontare, scrive Da Rold, l’ex sinistra italiana «deve fare i conti con l’accettazione quasi acritica del “pensiero unico” neoliberista, scambiato per modernità». Nei dettagli, deve scontare il via libera alla nuova funzione della banca dopo l’abbandono del Glass-Steagall Act voluto da Roosevelt per separare nettamente il credito produttivo dalla finanza speculativa. L’ex sinistra, aggiunge l’analista, «non può dimenticarsi della concezione di un capitalismo basato su un’impresa responsabile, che cura innovazione, investimenti e occupazione». Tantomeno la sinistra poi dimenticarsi «del welfare, dei diritti dei lavoratori conquistati in anni di lotte sindacali», all’epoca in cui si puntava alla piena occupazione. «Il capitalismo che ha conosciuto e con cui si è confrontata la sinistra europea, dopo l’ultimo conflitto mondiale, era il capitalismo già corretto da Keynes, dal welfare di Lord Beveridge, dalla lezione della grande crisi del 1929 risolta da Roosevelt», scrive Da Rold. «E’ vero che la sinistra italiana, unica in Occidente, straparlava di Lenin più ancora che di Marx e conosceva poco Keynes. Ma nella sostanza, il boom e il benessere vennero proprio dalle dottrine e dalle pratiche keynesiane».Quello che è avvenuto negli ultimi anni era impensabile solo trent’anni fa, aggiunge Da Rold sul “Sussidiario”. «Mentre la sinistra socialdemocratica europea si ingolfava in sperimentazioni di sempre maggiore apertura neoliberista, la sinistra italiana abbandonava addirittura di colpo il marxismo post-classico per abbracciare il neoliberismo in versione monetarista. Un delirio». E non capiva, il centrosinistra, che «anche se Keynes avrebbe potuto essere superato e aggiornato, era lui il vero bersaglio della nuova destra rampante, non Lenin o Marx». Parole al vento: il risultato sono state «privatizzazioni forzate e, in molti casi, demenziali». Tutto questo, senza contare «le tappe forzate della globalizzazione, la crisi del 2007, l’assetto istituzionale italiano che non è mai stato aggiornato, con le procure interventiste nel campo politico che si muovono come feudi indipendenti e spesso in aperta opposizione all’esecutivo». Che cosa ha fatto, di fronte a tutto questo, la sedicente sinistra? «E’ stata a guardare, passivamente, godendo di una rendita di egemonia spesso usurpata».Poi, nel momento in cui questa egemonia si è frantumata, «la sinistra non si è neppure scomposta a ricercare le cause di una crisi storica, a rivedere e correggere alcune concezioni, a cercare di comprendere le nuove ragioni di un potenziale e molto ampio popolo di sinistra, che si è moltiplicato per l’aumento delle povertà, delle diseguaglianze sociali e della disoccupazione». La sedicente sinistra italiana «si è fermata a crogiolarsi nella subordinazione al potere dettata dalla grande finanza internazionale e da alcuni poteri istituzionali del paese», accusa Da Rold. Lo spettacolo dell’ultima assemblea Pd? Penoso. «E’ proprio impossibile che si possa avviare, anche con ritardo, una autocritica collettiva, non distruttiva, affrontando i nuovi problemi sociali, nazionali e internazionali? Si è ancora in grado di fare un congresso a tesi, come si è sempre fatto?». Se non si ripensa al passato, non si guarda al presente e non si pensa il futuro – conclude Da Rold – si è destinati a restare al palo. «E’ questa l’impressione che oggi comunica il Partito Democratico. E sembra che resti poco tempo per rimediare».L’ultima assemblea nazionale del Pd consegna alla storia della sinistra italiana una fotografia drammatica e al tempo stesso quasi patetica, dopo il ko del 4 marzo e poi quello delle amministrative. Quello che addirittura lascia esterrefatti, scrive Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, è che il partito è privo di qualsiasi strategia: ci si trova di fronte all’ennesimo ed effimero rinvio del nulla, del vuoto pneumatico. C’è il fantasma di Renzi, il Re degli Sconfitti, che arriva a contestare tutti, da Gentiloni a Martina, preoccupato solo di galleggiare ancora tra le macerie di un partito dal quale non si salva nessuno. Da Rold segnala la retromarcia di Bersani, che definisce «uomo di sinistra, magari anche di modeste ma oneste visioni politiche», che ha invitato i dirigenti Pd a fare un passo indietro per tornare ad ascoltare la società italiana. E poi c’è il lamento del leghista Giancarlo Giorgetti, navigato sottosegretario alla presidenza del Consiglio: è preoccupato, Giorgetti, che il governo gialloverde non abbia una vera opposizione, cosa che rende ancora più desolante la già fragile democrazia italiana. Velo pietoso sugli scenari da “fronte antipopulista” evocando Macron, cioè il politico francese che odia l’Italia. La realtà della sinistra italiana sarebbe lampante, dice Da Rold, se solo il Pd si decidesse a vederla: il centrosinistra è tale solo di nome, perché di fatto ha svolto una politica neoliberista, tipica della destra antisociale.
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Carpeoro: fermare la Lega, giudici brutali e intellettuali servi
Ora la campagna mediatica contro Salvini coinvolge anche il mondo dello spettacolo, con il discusso appello su “Rolling Stone”? Il problema di fondo è che la cultura italiana è fatta di meretricio intellettuale. Uno firma e fa i girotondi perché “fa bello”, giova alla carriera e giova all’immagine aggregarsi nel politicamente corretto. I cosiddetti artisti e intellettuali italiani hanno voglia di omologazione, hanno voglia di essere branco. Ed è esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere un intellettuale o un artista. Io lo trovo l’esempio della gregarietà del mondo culturale, intellettuale e artistico italiano. Questo è un paese di moralisti, non è un paese di morale. La maggior parte di quelli che fanno la morale agli altri, se vai a guardare a casa loro, scopri che fanno di peggio. A livello nazionale è partita la guerra contro Salvini. Non che la Lega non debba risarcire la somma che è stata stabilita (in primo grado). A ingenerare sospetto è la fretta. Una sentenza di primo grado che condanna un partito a rifondere 49 milioni di euro mi desta un po’ di perplessità per la cifra. Mi sembra un po’ alla carlona il fatto che tutti i rimborsi elettorali debbano essere sostituiti, e mi sembra di ricordare che il merito di quel provvedimento fosse di gran lunga inferiore a queste cifre. Il problema è che è stata resa esecutiva la decisione di primo grado, e che – cosa che non fanno quasi mai – i magistrati hanno deciso di dare a queste esecuzioni delle modalità piuttosto brutali.Che succede, se ad un partito sequestri tutti i conti bancari e anche i rimborsi correnti? Se gli esponenti precedenti della Lega hanno mal disposto dei rimborsi, ciò non significa automaticamente che l’intero partito debba essere ritenuto responsabile. Probabilmente lo stesso partito è una parte lesa nei confronti di costoro. Quindi a me sembra che una vicenda affrontata con questa brutalità e con questa fretta, molto sospetta, voglia mettere in ginocchio il partito della Lega. Da parte mia, non ho alcuna simpatia, per la Lega: se avesse perso le elezioni non ne sarei stato rattristato. Ma il problema è che le ha vinte, e questo oggi sembra quasi una colpa. Come si è visto, il provvedimento giudiziario è stato deciso a pochissima distanza dalla vittoria della Lega, nonostante questa decisione (di primo grado) fosse esecutiva da tempo. Con molto zelo, invece, la magistratura ha deciso di realizzare un esecuzione a tempi di record. Ricordo che la Lega non difese le ragioni del diritto durante Tangentopoli, quando Craxi fu condannato a tempo di record, in un’Italia in cui i processi duravano vent’anni. Questo è dunque un film già visto, che oggi vede la Lega passare da carnefice a vittima. Io non gioisco quando il carnefice diventa vittima, perché per me le vittime sono tutte uguali. E’ il meccanismo che mi preoccupa, il meccanismo per cui uno possa diventare vittima.E’ un meccanismo che interessa tutti, ed è interesse della comunità che un individuo non diventi vittima, qualunque sia l’individuo, perché ognuno deve pagare le sue colpe. Perché eseguire così brutalmente il sequestro dei conti correnti della Lega, immobilizzando l’intero partito? Giustamente Salvini si lamenta, nonostante la tradizione del suo partito non lo legittimi, politicamente. Fa bene Salvini a disegnare uno scenario antidemocratico: si blocca la vita di un partito, che teoricamente dopodomani deve chiudere, perché questo sequestro incombente riguarda tutti i soldi in ingresso – che la Lega non potrà più usare per finanziare la sua legittima attività politica. Questo a me non sembra una cosa saggia, da parte della giustizia. Mi sarebbe semvrato saggio aspettare il terzo grado di giudizio e comunque concordare, dopo il terzo grado, delle forme di rientro economiche per questo partito. In Italia, misure simili sono stati garantite a cani e porci, e invece questi pretendono 49 milioni sull’unghia, dalla Lega, dopo il primo grado di giudizio. Capisco che probabilmente gli scopi sono diversi da quelli della giustizia. Ed è un problema che si ripete, come se la giustizia fosse la foglia di fico dietro cui nascondersi: è ora di riconoscere che in Italia la giustizia è uno strumento, una variabile che incide profondamente sulla politica e sulla vita democratica, e questo a me non piace.Attenzione: far sparire soldi sequestrati dalla magistratura configura un reato, ma presuppone l’accertamento del reato. Se io veramente li ho fatti sparire, quei soldi, tu – magistrato – hai modo di accertarlo, identificando anche i responsabili. Per certi aspetti hai anche la possibilità di scoprire dove sono finiti quei soldi, perché 49 milioni di euro non spariscono con la bacchetta magica. Se veramente sono spariti, sono scomparsi quasi in un’unica soluzione, perché il periodo sospetto è limitato a un tempo ristretto di attività criminosa. In effetti la procura di Genova ha aperto un’inchiesta. Siccome sul conto corrente della Lega non ci sono soldi, sarebbe giusto che – se questa inchiesta portasse alla conclusione che l’attuale dirigenza della Lega ha predisposto un piano criminoso per farli sparire – la giustizia fosse spietata, in questo senso. Il problema però è che tu non puoi darla per scontata, questa teoria, avendo solo aperto un’inchiesta. La giustizia non è fatta solo di leggi, è fatta anche di buon senso. Quindi, prima di immobilizzare un partito che prende milioni di voti, tu devi avere certezze – altrimenti può darsi, effettivamente, che in quel partito i soldi li abbiano fatti sparire i malversatori o che tu abbia sbagliato i conti, paralizzando – solo per i tuoi sospetti – un partito che prende milioni di voti.C’è un evidente problema politico: certi magistrati fanno politica perché sanno che se assumono certe posizioni fanno carriera, col clima che c’è nel Csm, nella Corte Costituzionale e presso tutte le cariche istituzionali. Vorrei che ci fosse meno politica, nella magistratura, altrimenti lo Stato dovrebbe dire: “Sui magistrati non indagano magistrati”. La cosiddetta autogestione e indipendenza delle toghe diventa un valore minore, se i magistrati non sono effettivamente indipendenti, se non sono “terzi”. Perché mi dovrei fidare dell’indipendenza della magistratura come valore teorico se questa non si traduce anche in esercizio pratico? Io credo che se lo Stato “facesse lo Stato” il sistema attuale potrebbe funzionare bene, con qualche piccola modifica. Ma lo Stato fa davvero lo Stato? Noi abbiamo un presidente della Repubblica che ha inciso fortemente (e io sostengo che non poteva farlo) sulla stessa composizione del governo. Abbiamo una situazione in cui lo Stato non fa lo Stato. E perché dovremmo ritenere che la magistratura non abbia ripercussioni da tutto questo? Tant’è vero che Salvini non ha chiesto un colloquio col vicepresidente del Csm, tradizionale vertice operativo dell’organo. Prima di certe iniziative intraprese da Cossiga, il presidente della Repubblica era solo una figura onorifica e simbolica, in qualità di presidente del Csm. Era il vicepresidente a rappresentare il vertice.Ora invece Salvini (giustamente, dal suo punto di vista) ha chiesto un colloquio direttamente al presidente della Repubblica, e non al vicepresidente del Consiglio Superiore. La verità è che abbiamo creato una Costituzione materiale che è diversa dalla Costituzione scritta, che è fatta di stereotipi, di cose che non sono scritte, di forzature fatte passare dando per scontato che quello costruito dai costituenti forse un sistema perfetto e non modificabile, come se i costituenti avessero detto “noi siamo Dio e facciamo le dodici tavole”. Ma i principi “perfetti” per una certa epoca possono rivelarsi imperfetti un’altra epoca. Così oggi rischia di essere bloccato, per via giudiziaria, un partito votato da milioni di italiani. Né mi stupiscono le voci su una possibile resurrezione di Renzi, in un nuovo partito “finanziato da Soros” con la Bonino, Tabacci, la Lorenzin. Gli italiani potrebbero “bersi” la nuova, ipotetica “verginità” di Renzi? E’ possibile, perché gli elettori si accontentano della “verginità” formale, non badano a quella sostanziale. E’ una mentalità italiana che è all’origine anche del successo degli attuali partiti: Lega e 5 Stelle hanno avuto successo facendo agli altri quello che adesso viene fatto a loro. Il successo degli attuali partiti ha le stesse radici, purtroppo, dell’insuccesso degli altri.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, il 7 luglio 2018).Ora la campagna mediatica contro Salvini coinvolge anche il mondo dello spettacolo, con il discusso appello su “Rolling Stone”? Il problema di fondo è che la cultura italiana è fatta di meretricio intellettuale. Uno firma e fa i girotondi perché “fa bello”, giova alla carriera e giova all’immagine aggregarsi nel politicamente corretto. I cosiddetti artisti e intellettuali italiani hanno voglia di omologazione, hanno voglia di essere branco. Ed è esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere un intellettuale o un artista. Io lo trovo l’esempio della gregarietà del mondo culturale, intellettuale e artistico italiano. Questo è un paese di moralisti, non è un paese di morale. La maggior parte di quelli che fanno la morale agli altri, se vai a guardare a casa loro, scopri che fanno di peggio. A livello nazionale è partita la guerra contro Salvini. Non che la Lega non debba risarcire la somma che è stata stabilita (in primo grado). A ingenerare sospetto è la fretta. Una sentenza di primo grado che condanna un partito a rifondere 49 milioni di euro mi desta un po’ di perplessità per la cifra. Mi sembra un po’ alla carlona il fatto che tutti i rimborsi elettorali debbano essere sostituiti, e mi sembra di ricordare che il merito di quel provvedimento fosse di gran lunga inferiore a queste cifre. Il problema è che è stata resa esecutiva la decisione di primo grado, e che – cosa che non fanno quasi mai – i magistrati hanno deciso di dare a queste esecuzioni delle modalità piuttosto brutali.
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Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due
Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le proiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un intervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale che amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre possibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è talmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori economici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a spendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
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Magaldi: massoni e democrazia, resa dei conti rivoluzionaria
«E speriamo che passi, all’Europarlamento, l’infame bavaglio del web promosso dal massone contro-iniziato Günther Oettinger: più forte sarà l’indignazione popolare contro questa oligarchia usurpatrice e più rovinoso e rapido sarà il suo crollo, dopo che tutti avranno finalmente aperto gli occhi». Parola del massone progressista Gioele Magaldi, pubblico smascheratore dell’élite neo-aristocratica cripto-massonica, subdola e occulta, che ha sequestrato la democrazia in Europa. «Se il Parlamento Europeo si macchierà di un simile misfatto avremo l’occasione, forse, per accelerare il processo di abbattimento di coloro che hanno fatto scempio del sogno europeo», dichiara Magaldi a “Colors Radio”, puntando l’indice contro le date, mai casuali, degli eventi-chiave dell’attualità europea. La “norma vergogna” contro la libertà delle Rete è attesa in aula per il 4 luglio, ricorrenza storica del celebre 1776, quando – con la dichiarazione d’indipendenza – le colonie americane si ribellarono al dispotismo della corona britannica. «Se venisse promulgata questa norma tutto sarebbe denudato e chiaro, l’attentato alla libertà di espressione sarebbe evidente e palese: con l’espediente della tutela del copyright, i provider potrebbero censurare preventivamente i contenuti web».Tanto peggio, tanto meglio: «L’eventuale approvazione di una norma così liberticida sarebbe l’inizio di una rivoluzione, contro questa infame gestione dell’Ue in senso antidemocratico». Autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, che illumina i retroscena del potere svelando il ruolo di 36 Ur-Lodges sovranazionali nelle grandi decisioni sul futuro del pianeta, Magaldi ha offerto al pubblico un’inedita rilettura dell’evo contemporaneo: proprio attraverso le idee, gli uomini e le storiche decisioni delle superlogge, è possibile fare piena luce sui troppi lati fino a ieri oscuri di fenomeni altrimenti incomprensibili, dai tentati golpe del dopoguerra fino alle stragi di mafia, inclusa la morte di morte di Falcone e quella di Paolo Borsellino, per la quale ora la magistratura parla di clamorosi depistaggi. «Ne parlerò nel prossimo volume della serie “Massoni”, intitolato “Globalizzazione e massoneria”, in uscita tra meno di un anno», annuncia Magaldi, che spiega: «Sicuramente, certi segmenti contro-iniziatici della massoneria hanno gestito gli eventi criminosi che hanno insanguinato l’Italia e che oggi, in modo scontato, ci viene detto che hanno visto anche apparati dello Stato lavorare contro l’accertamento della verità, per il suo depistaggio e la sua manipolazione. Nel volume verrà spiegato chiaramente chi ha fatto cosa, e perché, con le stragi del ‘92 e gli attentati del ‘93».L’ex dirigente della polizia Arnaldo La Barbera? «Luci e ombre: è piena la storia di personaggi che magari hanno fatto opere luminose e poi sono stati lambiti o costretti a cooperare con quelle che potremmo definire “tenebre”». Ma attenzione, avverte Magaldi: oggi sta letteralmente cambiando il mondo, perché la massoneria progressista internazionale – che dormiva – si sta letteralmente svegliando. Sul banco degli imputati, Magaldi mette in primo luogo i massoni che definisce contro-iniziati, ovvero: soggetti che hanno ricevuto un’iniziazione al sapere esoterico, che hanno poi utilizzato contro gli obiettivi di progresso dell’umanità ai quali si era votata storicamente la massoneria illuministica del ‘700. «Mi auguro che costoro vadano dritti verso la loro autodistruzione», dichiara Magaldi, fiducioso nel fatto che la storia sarebbe a una svolta: «In tanti tornanti del globo, i nodi stanno finalmente venendo al pettine». La narrativa a cui Magaldi ha ormai abituato il suo pubblico ha il pregio della coerenza: uomini come Kissinger, Breziznki e Rockefeller hanno plasmato il secondo ‘900 in senso neo-aristocratico, sdoganando il più feroce neoliberismo per liquidare la democrazia, svuotandola, fino a dare vita a una visione neo-feudale della società, diretta in modo esclusivo – e spesso occulto – da oligarchie privatizzatrici che si pretendono “illuminate”.Lo si è visto, dice Magaldi, anche con il tentativo di Sergio Mattarella di ostacolare il governo Conte con lo strano veto su Paolo Savona all’economia. Un “niet” sostanzialmente imposto da Mario Draghi per il tramite del suo “confratello” Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. La visione magaldiana propone un elenco sterminato di cripto-massoni di segno reazionario, a cominciare da Napolitano e Monti, ispiratori della linea dell’euro-rigore proseguita da Letta, Renzi e Gentiloni, ora costata l’agonia elettorale del Pd. Tutto si tiene, sottolinea Magaldi: non è un caso che oggi la grande finanza Usa abbia “smontato” il fantasma dello spread per proteggere il governo Conte, né è casuale la tempistica con cui Trump – alla vigilia del G7, con l’Italia gialloverde osservata speciale – abbia fatto calare, sulla Germania della Merkel, la spada di Damocle dei dazi sull’acciaio. Trump, osserva Magaldi, è accreditato come conservatore, ma ha frequentato a lungo i democratici. E’ certamente un “cavallo pazzo”, capace comunque di cantare fuori dal coro: «In modo anche spregiudicato – dice Magaldi, ai microfoni di David Gramiccioli – la massoneria progressista lo ha appoggiato proprio perché rompesse gli schemi: e infatti sta rompendo le uova nel paniere di questa globalizzazione, a tanti livelli», anche appoggiando in modo evidente lo stesso governo Conte, individuato come leva fondamentale per abbattere l’ordoliberismo franco-tedesco che ha ridotto l’Europa a un “malato” in crisi perenne.«Gli aspetti apparentemente caotici di questa globalizzazione – spiega Magaldi – erano parte di un disegno: una globalizzazione post-democratica, lontana dal diffondere diritti sociali ed economici, oltre che civili». Di fronte a questo, «dopo tanti anni di egemonia di circuiti massonici neo-aristocratici, antidemocratici e post-democratici, c’è un contrattacco piuttosto gagliardo da parte di forze massoniche democratico-progressiste». La tesi di Magaldi è nota: di massoneria, in Italia, si parla solo in termini negativi per sanzionare (giustamente) gli abusi di piccole logge locali, mentre il mainstream – ipocrita e reticente – evita sempre di menzionare l’unica massoneria che conta, quella sovranazionale. Anche per questo, probabilmente, giornali e televisioni non riescono a “vedere” l’azione prospettica di Trump: «Naturalmente non è un campione di progressismo, ma è un prezioso elemento di rottura: da lui si potrà partire per la ricostruzione di un mondo più democratico, eliminando tutti i finti progressisti dell’Occidente, a cominciare da quelli di casa nostra, giustamente sconfitti dalla Lega di Salvini e dai 5 Stelle».Smontare l’ipocrisia finto-progressista: in questo, Trump e Salvini “funzionano” nello stesso modo. E non è un caso che siano bersagliati da «pretestuose campagne di odio, basate sulla disinformazione sistematica». Il governo gialloverde? «La massoneria progressista lo appoggia e si aspetta molto dall’esecutivo Conte, peraltro affollato di massoni progressisti», nonostante il divieto di facciata opposto ai “grembiulini” da Di Maio, «che prima delle elezioni aveva bussato ai circuiti massonici neo-aristocratici». Se non altro, vista l’identità di chi lo appoggia – in Italia e altrove – Magaldi si augura che Di Maio, nel caso, si rivolga in futuro a “circoli” di segno opposto, «quando avesse maturato una preparazione esoterica che oggi non ha». Quanto all’altro famoso “bussante”, Matteo Renzi, Magaldi lo definisce «un prodotto massonico, nella misura in cui ha rappresentato una continuità rispetto al “golpe bianco”, massonico, che ha insediato Mario Monti a Palazzo Chigi nel 2011». La verità è che da Monti a Letta, da Renzi a Gentiloni «non è cambiato nulla, nella gestione della politica e dell’economia italiana». Renzi? Messo alla porta dai massoni reazionari ai quali si era rivolto, «ha fatto “l’utile idiota” al servizio di una sceneggiatura che lui non aveva scritto, ma che ha interpretato, per poi uscirsene con la coda tra le gambe dopo aver fatto il suo compitino».Perché è stato scartato, l’ex leader del Pd, dal sancta sanctorum della destra finanziaria mondiale? «Per la sua impreparazione esoterica, per la sua enorme inaffidabilità e anche per la facile previsione che non sarebbe durato a lungo, un personaggio “transeunte” come lui». Ai dominus della supermassoneria neo-aristocratica, dice Magaldi, «è bastato dare uno sguardo ai suoi astri, che descrivono in fondo la panoramica della sua anima e del suo destino tendenziale (che l’iniziato, conoscendolo, può anche modificare)». Non è certo questione di fede: il fatto è che «in quegli ambienti si dà molta importanza all’astrologia, tant’è vero che gli stessi grandi manager delle maggiori multinazionali vengono scelti anche sulla base dei loro oroscopi, così come alcuni frontman della politica». Renzi? «La sua era solo spocchia, priva di un impegno reale sul piano esoterico». E gli aspiranti successori dell’ex rottamatore? «Rischiano di restare prigionieri dello stesso equivoco, se non avranno il coraggio di una rigenerazione sincera e non gattopardesca», sostiene Magaldi: «Devono prima ammettere, fino in fondo, di essere stati solo dei finti progressisti: per tutta la Seconda Repubblica hanno dimenticato i diritti sociali, abbandonando il popolo che aveva risposto fiducia in loro».«E speriamo che passi, all’Europarlamento, l’infame bavaglio del web promosso dal massone contro-iniziato Günther Oettinger: più forte sarà l’indignazione popolare contro questa oligarchia usurpatrice e più rovinoso e rapido sarà il suo crollo, dopo che tutti avranno finalmente aperto gli occhi». Parola del massone progressista Gioele Magaldi, pubblico smascheratore dell’élite neo-aristocratica cripto-massonica, subdola e occulta, che ha sequestrato la democrazia in Europa. «Se il Parlamento Europeo si macchierà di un simile misfatto avremo l’occasione, forse, per accelerare il processo di abbattimento di coloro che hanno fatto scempio del sogno europeo», dichiara Magaldi a “Colors Radio”, puntando l’indice contro le date, mai casuali, degli eventi-chiave dell’attualità europea. La “norma vergogna” contro la libertà delle Rete è attesa in aula per il 4 luglio, ricorrenza storica del celebre 1776, quando – con la dichiarazione d’indipendenza – le colonie americane si ribellarono al dispotismo della corona britannica. «Se venisse promulgata questa norma tutto sarebbe denudato e chiaro, l’attentato alla libertà di espressione sarebbe evidente e palese: con l’espediente della tutela del copyright, i provider potrebbero censurare preventivamente i contenuti web».