Archivio del Tag ‘magia’
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Il potere è una religione: vuole il nostro odio, e lo censura
Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.Per ottenere la plenitudine della potenza, il potere garantisce di essere tramite tra i sudditi e il Potere, la Divinità, l’Oltre, un oltreprima invisibile per il suddito ma garantito dalla Storia, dai Sacri Libri, dalla Tradizione, dalla paura. Solo il potere conosce, eredita e può gestire il Potere. In tal modo, il potere è la sola religione. La sola religione è il potere… Nella immobilità di questo statuto, che fonda il potere sovrano e la sudditanza totale, sono diverse ma coincidenti le dichiarazioni con le quali il potere si fa erede e garante del Potere: il suo preambolo d’investitura può riferirsi alla Tradizione o alla Rivoluzione, a Dio o al Popolo, allo Spirito o al Sangue, a un Santo o ad un Vendicatore assunti o al cielo dei Martiri o a quello degli Eroi. Le differenze sono puramente formali e vogliono apparire evidenti nei rituali di investitura e di celebrazione – che è una autocelebrazione del potere – allo scopo, non dichiarato per quanto è implicito, di separare i sudditi di un potere dai sudditi degli altri poteri e di proibire ad essi la consapevolezza che la sottomissione e l’impotenza sono totali, che il potere ha questa sola religione, comunque travestita, e tutta la geografia è del potere.In quanto religione, cioè in quanto potere tendenzialmente assoluto, il potere non promana dai sudditi, anche se ad essi chiede periodicamente una ratifica formale, ma proviene dall’alto, che è il potere stesso in precedenti codificazioni, discende dall’oltre, divino per assioma o divinizzato per abitudine indotta e obbligata. Ai sudditi non spetta, quindi, che un comportamento religioso, cioè ubbidienza, paura, ossequio, sacrificio, silenzio su ogni argomento e progetto che sia dichiarato lesivo od offensivo del potere. La sua maestà è sacra. La sua storia è, per definizione culturale, la sola storia dei sudditi. A compenso e tacitazione di questa espropriazione tendenzialmente assoluta delle singolarità, il potere ammette ma riservandosene la punizione esemplare – la bestemmia, la ribellione segreta, la rabbia momentanea, la fuga od evaporazione psichica all’interno ingovernabile del suddito. Il misticismo e la demenza sono i due modi apparentemente estremi della stessa evasione dall’invivibile storico, ossia dal potere totalmente subito.Appartiene al potere, in certi casi, provocare sia il misticismo che la demenza e garantire l’emarginazione degli evasi immaginari ora in conventi e ora in istituzioni psichiatriche, ora in ghetti e ora in carcere. Le evasioni reali sono immediatamente perseguite. In quanto il potere è religiosamente totale, non ammette scampo. Il suddito può odiarlo in segreto – il potere glielo proibisce per concederglielo meglio. Ma all’esterno, nel rituale pubblico, deve soltanto ubbidire – il potere glielo obbliga per dargli quella sola libertà impotente, l’odio. Nessuna legge o consuetudine permette l’odio manifesto al potere, e nessuna legge o consuetudine lo perdona appena si manifesti. L’odio non è mai neppure nominato come possibile, come non è mai neppure nominata l’ubbidienza come comportamento obbligato. Ma nessuna legge perdona la disubbidienza manifestata, a reprimere la quale ogni legge del potere è dedicata. La legge è dunque pura e totale emanazione del potere da ubbidire e della sudditanza come pura e totale ubbidienza, da prima della nascita a dopo la morte. Infatti la nascita e la morte, in quanto atti religiosi, cioè accadenti all’interno del potere, che significano l’iscrizione o la cancellazione di un suddito, sono possessi del potere stesso. In tal modo esso espropria dell’origine e della fine, e abbiamo visto dell’intera esistenza, i suoi sudditi naturali.La volontà del potere sostituisce, con un atto ufficiale, la non volontarietà sia del nascere che del morire in quel tempo e in quello spazio. Il tempo e lo spazio sono possessi del potere divisi con altri poteri confinanti nel tempo e nello spazio. I sudditi non hanno altro spazio e altro tempo che quelli notarizzati e garantiti dal potere. Anche i morti sono suoi sudditi. E i nascituri, immediatamente trasferiti nei suoi registri e nei suoi dati statistici, ricevono una garanzia di esistenza in quanto sudditi incancellabili del potere. Tutto quanto ti ho detto è impossibile ad intendersi, prima ancora che ad accettarsi, essendo la verità stessa del potere, cioè quello che innanzitutto il potere proibisce di sapere. Per il potere, infatti, tutto il sapere è interno al potere e da lui derivato. È proibito sapere che cos’è il potere. Ed è tanto proibito che il potere stesso non lo sa, se lo proibisce. In tal modo il potere ha anche una buona coscienza. Perciò la cattiva coscienza resta tutta ai sudditi che essi possono tenere per sé in silenzio e senza redenzione.Non si è mai sufficientemente attenti all’orrore del potere, al karma del ruolo emergente. Chi si inchina ad adorare un potente adora, in realtà, se stesso, l’immagine di una potenza agognata, invidiata e impossibile. Appena ti lasci adorare, sei un potente; appena ti compiaci dell’adorazione, sei un potente che ammette il suddito e in quel momento lo crea, incatenato a quel ruolo. La stessa catena ti lega e ti inganna, senza scampo. La verità interiore dice: niente è adorabile se non ciò che non si può adorare; niente è alto se non ciò che ti innalza; tutta la potenza è in un filo d’erba, e si fa calpestare; tutto il potere del mondo è una tua immagine agognata, invidiata e impossibile: in realtà, il potere è magia, ma il vero mago ha potere solo su se stesso ed è suddito solo di se stesso.(Estratto dal libro “L’uomo zero” di Pietro Cimatti, edito da Astrolabio-Ubaldini – 160 pagine, euro 10,33 – ripreso da “La Crepa nel Muro” il 19 agosto 2018).Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.
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Che sollievo, scoprire la dinamite nel viadotto di Genova
Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il comodissimo Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».Tanti gli interrogativi sulla catastrofe di Genova, da parte del pubblico della diretta “Carpeoro Racconta” del 1° settembre: molti insistono – ancora – sulla evidente presenza di “bagliori” poco prima del drammatico schianto, preceduto da un rombo chiaramente udibile. Clamorose le dichiarazioni dell’ingegnere padovano Enzo Siviero, già docente universitario a Venezia: a “Reteveneta” ha detto che le modalità del crollo lasciano aperta, almeno al 50%, la possibilità (teorica) di un attentato. Ipotesi che la magistratura di Genova liquida con le parole del procuratore Francesco Cozzi: «Puro delirio». Già, ma la storia delle immagini scomparse causa “guasto” delle webcam di Autostrade per l’Italia? Carpeoro taglia corto: «Non sono un tecnico e non mi intendo di ponti – premette – ma sono certo che gli inquirenti siano in possesso di tutte le immagini inerenti il crollo, peraltro riproposte continuamente anche in televisione». Bagliori? «Appunto: la presenza di un bagliore non significa automaticamente “esplosione”». Il botto? Idem: «Ogni crollo è preceduto da un cedimento, da un collasso strutturale evidentemente anche rumoroso. In ogni caso: di che siamo parlando? La magistratura è al lavoro, sta indagando. Scoprirà quello che è successo. Tenendo conto del fatto, ormai accertato, che non sono state rinvenute tracce di esplosivo: e le esplosioni ne lasciano sempre».Massone, esoterista, studioso di simbologia e autore di “Summa Symbolica”, opera in più volumi sul significato dei simboli che ci circondano e che il più delle volte subiamo passivamente, non sapendoli “leggere”, Carpeoro – esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi – invita spesso il suo pubblico a stare in guardia, rispetto al “pensiero magico” di cui è imbevuta la società, e del quale il potere si serve sempre per depistarci, ogni volta, dal vero obiettivo. «Seriamente: riguardo a Genova, l’unico vero beneficiario teorico dell’ipotesi complottista chi sarebbe? Lei, la società autostradale oggi sotto accusa: sarebbe comodissimo, per Autostrade, potersi assolvere grazie all’ombra di un attentato. Ma evidentemente non c’è il minimo presupposto per poter sfruttare questa possibilità». Si parla di ponti, dopotutto: «E’ ormai appurato che le attuali infrastrutture hanno una durata media di cinquant’anni: dopodiché occorre mettervi mano, pena il rischio che vengano meno gli standard di sicurezza. Ed è quello che, in tutta Italia, non sta più succedendo: per questo crollano ponti, viadotti, scuole e persino le chiese antiche, che avrebbero a loro volta bisogno di frequenti interventi di restauro e consolidamento».Il vero complotto, dice Carpeoro, è consistito nell’aver “regalato” la nostra rete autostradale, all’epoca delle privatizzazioni “allegre” varate dal centrosinistra, con il patrimonio nazionale elargito a imprenditori “amici”, non vincolati a rigorosi obblighi. Il dramma di Genova? «Dovuto, evidentemente, a incuria criminosa». Da parte dei Benetton? Attenzione, avverte sempre Carpeoro: nel gruppo Atlantia, che controlla Autostrade, sono presenti grandi poteri internazionali, anche massonici: dalla superloggia neoliberista “Three Eyes”, «cui fa riferimento l’ambiente paramassonico frequentato dai Benetton, notoriamente finanziatori dei Clinton», all’altra famigerata superloggia ultra-reazionaria, la “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush, a cui – secondo Magaldi – è collegato Larry Fink, il patron dell’immenso fondo d’investimento BlackRock, azionista di Atlantia. Non sarà facile togliere a questa gente la gallina dalle uova d’oro rappresentata dalle autostrade italiane: «Vedrete che arriverà una telefonata dall’America e la concessione non verrà affatto revocata, o magari si farà un’altra gara, aperta allo stesso gruppo».Questa è la sostanza, ribadisce Carpeoro, e le leggende sulla demolizione controllata del viadotto genovese – con fantomatiche cariche esplosive – servono proprio a non vedere la tragica realtà dei fatti: è sempre l’Uomo Nero a far sparire la verità, mettendo al riparo – ancora una volta – il sistema, che è marcio. In questo caso, l’esasperazione complottistica rischia di lasciae in ombra uno scandalo storico e colossale, come quello delle privatizzazioni-omaggio fatte sulla pelle degli italiani. Siamo infatti prigionieri di un paese che (grazie all’euro e al rigore imposto da Bruxelles) sta letteralmente crollando, non potendo più ricorrere alla spesa pubblica. Non bastassero i censori della Commissione Europea è pronta la minaccia dello spread alle prime avvisaglie di aumento del debito, teoricamente pubblico ma ormai di fatto privatizzato anche quello, essendo denominato in euro anziché in moneta sovrana. Magari la colpa fosse dell’Uomo Nero, in questo caso travestito da bombarolo: sarebbe un sollievo, scoprire che la colpa è di un unico delinquente. «In realtà, a questo ci ha portato l’evoluzione spirituale degli ultimi anni», ripete Carpeoro: «Ci serve sempre un nemico immaginario, che in fondo è rassicurante. Fa molta più paura scoprire che l’unico vero nemico è proprio il sistema».Che meraviglia, se il viadotto Morandi fosse stato davvero abbattuto, magari da terroristi, con una bella carica esplosiva. Staremmo tutti più tranquilli – tutti o, comunque, i tantissimi di noi che, ormai, hanno sempre bisogno di immaginare un complotto, per ridurre tutti i problemi all’azione di un nemico: il provvidenziale Uomo Nero, unico colpevole delle nostre sciagure. Fabbricare ogni volta un nemico, dice Gianfranco Carpeoro, fa molto comodo, al potere: ci aiuta infatti a non vedere mai la verità. E cioè che l’unico, vero “nemico” che ci minaccia, purtroppo, è lo stesso sistema nel quale viviamo: sempre meno equo e democratico, sempre meno accettabile, responsabile e sostenibile. Non capire che è ora di finirla con la “supercazzola” dell’ipotesi-bomba, per tentare di spiegare il disastro di Genova, significa non voler vedere che è tutta l’Italia che sta ormai crollando: «Crollano i ponti, crollano le chiese, crollano le scuole: è già successo, e magari tra un po’ crollerà un altro istituto scolastico, ammazzando un altro po’ di bambini», dichiara Carpeoro, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Cosa aspettiamo a dedurre che, così, non si può andare avanti? Quando finirà di crollare anche il lavoro, finalmente, capiremo che l’Italia è un paese nel quale è sempre più difficile vivere, se non invertiamo radicalmente la rotta».
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Parlare con gli alberi cambia la vita, ve lo spiega Giovagnoli
«Parlare con gli alberi è un gesto antichissimo, meraviglioso e potente: quasi una danza, erotica e delicata, che vivifica l’intelligenza emotiva e armonizza gli emisferi celebrali». Maghi, streghe e alchimisti l’hanno compiuta per millenni, «celebrando la connessione sacra fra la nostra intimità e il pianeta Terra». Oggi, secondo Michele Giovagnoli, «l’umanità è pronta per tornare a parlare con gli alberi». Magari anche con l’aiuto di un testo «rivoluzionario, semplice e poetico, preciso e sorprendente», come appunto “Impara a parlare con gli alberi”, che Uno Editori presenta come “manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire col bosco”. Missione: «Ricordarci chi siamo davvero e da dove veniamo», fino ad «ampliare il fronte del possibile», alla ricerca del proprio essere. E’ verdissima e decisamente fuori ordinanza la bussola che orienta Giovagnoli, laureato in scienze naturali e a lungo impegnato nello studio dei boschi. Poi, una notte, la rivelazione: il contatto ancestrale con la foresta può essere illuminante e persino radicalmente terapeutico. Ricerca, a metà strada tra il visibile scientifico e l’invisibile, che solo gli ingenui chiamano ancora soprannaturale. Niente di occulto, nella sapienza (naturale) dell’ultrapiccolo: piuttosto una sorta di misteriosa, antichissima saggezza, dove a “parlare” è l’immanenza di una dimensione percettiva sospesa a mezz’aria fra terra e cielo – come, appunto, quella degli alberi.Alchimista e scrittore, Giovagnoli si dichiara «animato dalla pulsione alla verità e da un universale senso di giustizia». Dalla frequentazione quotidiana dei boschi sostiene di apprendere «l’infinita arte dell’autotrascendenza». Qualcosa che ricorda, misteriosamente, il Giovanni Francese che poi passò alla storia come San Francesco, l’uomo di Assisi che elevò il primo Cantico delle Creature, mettendo l’uomo al pari delle stelle, del sole, dell’acqua e degli uccelli. Giovagnoli condivide le sue conoscenze “di frontiera” attraverso conferenze e seminari. Ha esordito nel 2004 con il saggio “Assoluta. Analisi logica della Rivelazione” (Edizioni Il Grappolo). Dieci anni dopo, ecco il sorprendente “Alchimia Selvatica” (Macroedizioni), seguito a ruota da “La Messa è finita” (2017) e “Impara a parlare con gli Alberi” (2018). Perplessi, di fronte al rischio di consolatorie vaghezze di sapore new age? Peccato, perché Giovagnoli è innanzitutto uno scienziato degli alberi: li studia, li cerca e li scova in tutta Italia, sulle tracce delle piante secolari che popolano i nostri versanti. Gli alberi millenari, invece – con l’eccezione di qualche olivastro pugliese e sardo – li fece abbattere la Chiesa medievale dopo il Concilio Namnetense, come ad eliminare dei pericolosi “concorrenti”, oggetto di devozione popolare.In questo svolge anche la funzione dello storico, l’alchimista “selvatico” Giovagnoli: prima del suo libro-denuncia “La messa è finita”, quell’oscuro concilio vaticano – vero e proprio atto di guerra contro la tenace resistenza del panteismo pagano – era praticamente irrintracciabile su Google. Si dirà che nel frattempo l’umanità si è evoluta, per fortuna. Punti di vista: da quando abbiamo smesso di “parlare con gli alberi”, sono sparite le foreste vergini europee, mentre le altre (in Amazzonia, in Congo, nel Sud-Est Asiatico) sono ormai al lumicino, assediate da ruspe e motoseghe. Dove sarebbe, allora, quest’umanità improvvisamente pronta a tornare a guardare al bosco con altri occhi? Teorie: quelle dell’astrofisica Giuliana Conforto parlano di eventi cosmici in pieno corso, vento solare in rapidissima evoluzione – con pioggia notturna di microparticelle sul nostro cervello in apparenza dormiente. Ieri, nessun lettore scolastico avrebbe potuto prenderli sul serio, i tipi come Giovagnoli. Da qualche anno – lo dice la crescita vertiginosa di nicchie di consumo culturale – si sta invece diffondendo una nuova forma di curiosità collettiva, la stessa che affolla seminari e conferenze, gonfiando gli scaffali di libri semplicemente impensabili nei decenni precedenti.Quelli di Giovagnoli hanno il passo incantato dell’infanzia che sopravvive, adulta, nella maturità della poesia. Il bosco come preesistenza individuale e collettiva, fisica e metafisica, alla quale fare finalmente ritorno. Tornare là è indispensabile, scrive, in “Alchimia selvatica”: «La crescita è un viaggio in profondità, uno scavare e penetrare, ed è quindi indispensabile tornare indietro, tornare nel bosco». Sappiamo che esiste, ma restiamo sempre a distanza di sicurezza, perché «guardarlo significa sfidarsi». Tra gli alberi, «sentiamo di aver lasciato qualcosa in sospeso, come il vuoto di un tassello staccato da un mosaico. E guardando il bosco – scrive l’autore – si attiva un ingranaggio strano che recupera una corda da un abisso». C’è qualcosa di vivo, legato a quella corda. «Il bosco incute paura, una paura talmente forte da essere attrazione. Tentazione. Ci riguarda, ecco il punto!». Sembra “solo” una foresta, ma è anche uno specchio: «Ci piace parlarne come fosse un’entità esterna, ma intimamente sappiamo che parliamo di noi stessi». Il bosco è misterioso, intricato, buio: un reticolo di forze incontrollabili. «Tutto ciò che è scomodo e minaccioso racchiude in sé una forza propulsiva e creativa immane, e l’atto di affrontare il bosco è quindi il gesto coraggioso di chi affronta la propria immensità occulta, consapevole che dentro agli aspetti più ombrosi e inquietanti troverà un nutrimento essenziale per la propria crescita».Ciò che ci spaventa va quindi cercato, sostiene Giovagnoli: occorre chiamarlo per nome e raggiungerlo. «La crescita si compie attraverso un contatto, un abbraccio, e un riconoscere nel lato oscuro uno strumento di congiunzione con l’assoluto». E così, assicura l’autore, «ci si avvolge anche di innocenza e di stupore, rendendo lecita e obbligata ogni meraviglia». Si intenerisce, Giovagnoli: «Nel suo farsi specchio dell’animo del visitatore, il mondo selvatico risponde con un gesto protettivo fatto di ineguagliabile bellezza e armonia». A modo suo, lo scrittore-alchimista si sbarazza di qualsiasi residuo antropocentrico: niente ci appartiene davvero, siamo noi – semmai – ad appartenere al tutto, di cui il bosco è un simbolo-madre, potentemente archetipitico. L’albero, scrive Giovagnoli nel suo ultimo libro, è un essere senziente in grado di comunicare anche con l’essere umano. Lo stesso bosco «è un organismo dotato di una intelligenza superiore, capace di interagire con l’essere umano e indurre processi evolutivi sani». Parlare con gli alberi? E’ un gesto antico, quasi sovrumano. Aiuta a scoprire sensibilità inimmaginabili. «C’è una potenza smisurata in te: va risvegliata, accolta e poi protetta», si legge, nel manuale “Impara a parlare con gli alberi”, dedicato al nostro «patto ancestrale col Cosmo Natura».Facile declinarla in poesia, la filosofia alchemica di Giovagnoli. «Quando eri poco più che una cellula – scrive – nell’ossigeno che assorbivi ruotava già il ciclo delle stagioni selvatiche. Dagli stomi ti giungeva il fresco della primavera, l’indaco dei crochi e la caduta infinita di ogni foglia d’autunno. Era lì con te la neve, la luce dell’alba e anche l’influsso di Orione. Il mondo vegetale si faceva liquido e aria per diventare animale. Fedele a un accordo incomprensibile, diventavi Bosco in una forma nuova. Cellula dopo cellula, atomo dopo atomo. E su di un punto invisibile chiamato Anima si addensava il canto di un cosmo intero: la Natura!». L’albero quindi è con noi da sempre, aggiunge il poeta, e continua a “nutrirci” di ossigeno a ogni respiro. Un’antenna potente, capace di «trasmette al cuore le informazioni del cielo». Aggiunge Giovagnoli, rivolto al lettore: «Tu sei un albero, un albero che cammina. Quindi sai già tutto del Bosco, del pianeta Terra e del concilio infinito degli astri. Di ciò che è stato e di ciò che è pronto a venire. Ti occorre solo ricordare. Ed è proprio questo “ricordare” che significa saper parlare con gli alberi».In fondo, basta considerare il bosco come «l’archivio vivente, per eccellenza, di tutto l’universo emozionale umano». Per questo, assicura Giovagnoli, a chi lo “consulta” offre «infinite possibilità per il risveglio interiore». Seguendo le ciclicità delle stagioni «in accordo con le fasi alchemiche», l’autore di “Alchimia selvatica” guida un percorso pratico di interazione con gli elementi selvatici, mantenendo una posizione intermedia tra il narratore poetico e il “life coach”. Gli attrezzi da usare sono svariati tipi di comunicazione: quella dell’incanto e quella dell’osmosi, la comunicazione estetica e quella onirica. Teoria e pratica, dalla “comunicazione epidermica” alla “comunicazione invocativa”. Quasi giocoso l’approccio dell’ultima fatica, “Impara a parlare con gli alberi”: istruzioni per “ricordare” dov’è sepolta la sorgente misteriosa della nostra ancestrale parentela originaria con il bosco, la foresta di esseri “fatti di mente e cuore”, fieramente immobili sul terreno, incapaci di menzogna e portatori di una verità che ci sfugge: il sentimento della Terra, non più vista come oggetto di conquista ma finalmente dall’interno, come universo orbitante cui si deve, semplicemente, la vita.(I libri: Michele Giovagnoli, “Alchimia selvatica. La via del risveglio attraverso le arti magiche del bosco”, MacroEdizioni, 135 pagine, euro 10,20; “Impara a parlare con gli alberi”, UnoEditori, 109 pagine, euro 13,90. Giovagnoli li presenterà entrambi in valle di Susa domenica 26 agosto 2018 all’ombra degli alberi nel Parco Scholzel Manfrino in borgata Cresto a Sant’Antonino di Susa, ore 19. Nel pomeriggio, dalle ore 14 alle 19, animerà il seminario “Il mondo magico degli alberi, come interagire con loro ed attingere ad una conoscenza superiore”. Prenotazioni per il seminario: AncheAncora, più la pagina Facebook di Giovagnoli).«Parlare con gli alberi è un gesto antichissimo, meraviglioso e potente: quasi una danza, erotica e delicata, che vivifica l’intelligenza emotiva e armonizza gli emisferi celebrali». Maghi, streghe e alchimisti l’hanno compiuta per millenni, «celebrando la connessione sacra fra la nostra intimità e il pianeta Terra». Oggi, secondo Michele Giovagnoli, «l’umanità è pronta per tornare a parlare con gli alberi». Magari anche con l’aiuto di un testo «rivoluzionario, semplice e poetico, preciso e sorprendente», come appunto “Impara a parlare con gli alberi”, che Uno Editori presenta come “manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire col bosco”. Missione: «Ricordarci chi siamo davvero e da dove veniamo», fino ad «ampliare il fronte del possibile», alla ricerca del proprio essere. E’ verdissima e decisamente fuori ordinanza la bussola che orienta Giovagnoli, laureato in scienze naturali e a lungo impegnato nello studio dei boschi. Poi, una notte, la rivelazione: il contatto ancestrale con la foresta può essere illuminante e persino radicalmente terapeutico. Ricerca, a metà strada tra il visibile scientifico e l’invisibile, che solo gli ingenui chiamano ancora soprannaturale. Niente di occulto, nella sapienza (naturale) dell’ultrapiccolo: piuttosto una sorta di misteriosa, antichissima saggezza, dove a “parlare” è l’immanenza di una dimensione percettiva sospesa a mezz’aria fra terra e cielo – come, appunto, quella degli alberi.
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Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due
Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le proiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un intervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale che amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre possibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è talmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori economici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a spendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
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Summa Symbolica: conoscere i simboli per sfuggire al Mago
Ecco, arriva il mago e risolve tutto. Si chiama Macron? Libera i francesi dall’Uomo Nero,che in quel caso era una donna, Marine Le Pen – l’unica, peraltro, a denunciare le cause eurocratiche delle sofferenze sociali della nazione. Siamo in Italia e il mago si chiama Matteo Renzi? Ha in mano quei famosi 80 euro, che infatti gli valgono il 40% dei consensi alle europee. Ha poi risolto qualcosa, il mago Renzi? Assolutamente no: infatti, in capo a pochi mesi, l’Harry Potter di Rignano sull’Arno ha dovuto sloggiare dal palazzo, dove oggi altri ipotetici maghi – di diversa scuola – provano a loro volta a convincere l’opinione pubblica con analoghe trovate, sempre nel campo miracoloso del “tutto e subito”. E’ colpa loro, dei maghi? Sì e no, dice Gianfranco Carpeoro, esoterista coltissimo e dotato di un raro talento nel diffondere generosamente il suo sapere anche presso i non addetti, quelli che i massoni – bontà loro – chiamano profani, cioè rimasti fuori dalla porta del tempio dove si tramanda, “da bocca a orecchio”, la cosiddetta conoscenza iniziatica. Non sarebbe ora di farlo uscire dalle segrete stanze, quel benedetto corpus di informazioni e codici? E’ esattamente la missione che si prefigge Carpeoro con la pubblicazione, a puntate, dei volumi di “Summa Symbolica”, primo studio sistematico – destinato a tutti – sulla “scienza dei simboli”.Una disciplina oscura perché non svelata, che persino Umberto Eco – per poterla introdurre in ambito universitario – ha dovuto camuffare, chiamandola “semiotica”. Tuttora, la simbologia non è materia di insegnamento, da nessuna parte: lo è stata, solo per un certo periodo, nell’università statunitense di Princeton, nel New Jersey, da cui – non a caso – transitarono personaggi come Albert Einstein, il presidente americano Thomas Woodrow Wilson e il matematico John Nash, Premio Nobel per l’Economia come gli altri “princetoniani” Paul Krugman e Angus Deaton. Niente di strano, direbbe Michele Proclamato, allievo di Carpeoro ed eminente simbologo italiano, autore di libri straordinari sui “numeri dell’universo” che emergono, sempre gli stessi, dai rosoni delle cattedrali e dagli antichi zodiaci egizi, dai “sigilli ermetici” di Giordano Bruno e dalla fisica di Newton, dalla matematica “metafisica” di Cartesio e dalle opere di Leonardo, di Arcimboldo, di Vitruvio, di Bach e Mozart, e persino dai “cerchi nel grano”. «Se penetri il simbolo e ne impari a cogliere il messaggio, alla fine diventi più intelligente», sostiene Proclamato: «Il linguaggio dei simboli è fondato sull’analogia e stimola la nostra capacità di intuizione. E in fondo, anche ridotto alla sua essenza numerica, racconta sempre la stessa cosa: la dinamica delle emozioni, che mette gli esseri umani in relazione diretta con qualsiasi altra forma di vita, terrestre e celeste».Da Proclamato a Carpeoro, il passo è breve. Entrambi scrivono libri e animano appassionate conferenze. Tutte cose impensabili, vent’anni fa: «All’epoca – sorride Carpeoro – ad ascoltarmi c’era solo mia sorella, più il gestore della sala». Cos’è successo? Deluso dal consumismo e dalla politica post-ideologica, il pubblico ha scoperto la “new age”, «di cui si è prontamente impossessato il potere, quello che oggi sforna guru, corsi e libri che ti spiegano come avere successo, in modo istantaneo, in ogni campo della vita». Carpeoro presidia strade assai meno battute, quelle dei leggendari Rosacroce, regolarmente maltrattati: l’ufficialità nega ostinatamente la loro esistenza storica, mentre associazioni come l’Amorc – di marca statunitense – ne propongono una versione mistico-occultistica. Sono fuori strada, sostiene Carpeoro: la ricerca dei Rosacroce – fratellanza iniziatica “fantasma”, sempre in clandestinità per sfuggire al dominio cattolico – ha ben poco di mistico. Riguarda casomai la metafisica e soprattutto l’estetica, il codice della bellezza: «Attraverso i loro artisti, tra cui i massimi esponenti del Rinascimento italiano, i Rosacroce hanno creato innanzitutto un linguaggio, ben sapendo che soltanto l’estetica può alimentare l’etica, dal momento che ognuno di noi – pur non essendone consapevole – ha dentro di sé quella stessa bellezza che l’artista riproduce, emozionandoci».L’operazione? Sofisticata e decisiva: «Elevare tutto questo alla portata della nostra consapevolezza. Ecco a cosa serve conoscere il linguaggio simbolico: a non subire più il potere del mago». In materia, Carpeoro è categorico: «Siamo pieni di cosiddetti maestri, che rappresentano la nostra schiavitù psicologica. Nessuno può dirsi maestro, tantomeno io, perché ognuno di noi è maestro in qualcosa: insegnamo e impariamo gli uni dagli altri». Ed è quello che il mago, cioè il cattivo maestro, si guarda bene dall’ammettere: finirebbe disoccupato. «In realtà non ci serve nessun maestro», taglia corto Carpeoro. «Tutto quello che dobbiamo sapere è già dentro di noi. Abbiamo già tutto ciò che ci serve, per raggiungere i nostri obiettivi. La domanda, semmai, è questa: siamo proprio sicuri di sapere che cosa vgliamo? Perché in questo sta la libertà: non nel fare quello che si vuole, ma nel sapere di cosa abbiamo davvero bisogno». E questo, assicura Carpeoro, te lo “insegna” proprio il linguaggio dei simboli, i segni ricorrenti che popolano il mondo, spesso in incognito e a nostra insaputa: li subiamo, facendocene condizionare, ma senza coglierne il significato.Il potere – politico, economico, religioso – fa un uso massiccio dei simboli. Perché funzionano? Lo spiega benissimo il primo volume di “Summa Symbolica”: i simboli sono una traduzione degli archetipi, che sono eterni. Si tratta di eventi materiali (fatti) o immateriali (pensieri) che vivono, da sempre, in una dimensione impalpabile, che Carpeoro chiama “memoria ancestrale dell’universo”. «Entrano in contatto diretto con noi soltanto in un modo: attraverso i sogni che facciamo durante il sonno profondo. Sogni che non possiamo ricordare, perché il nostro linguaggio – limitato – non riesce a catturare l’assoluto archetipico». Ci restano due strade: quella del mito, che l’archetipo lo racconta, e quella – parallela – del simbolo, dove l’archetipo viene rappresentato: con un segno, un numero, una parola, un suono, un colore, persino un odore. In base una “legge” identificata dall’esoterista francese René Guénon, il simbolo è un microcosmo che allude a un macrocosmo: il piccolo contiene il grande, non viceversa. «Il simbolo ti interroga, ti costringe a pensare». E il “pensiero” del simbolo – che spinge a domandarsi “perché” – è il contrario esatto del non-pensiero del mago, che ti spiega solo il “come” (che è una semplice conseguenza del “perché”).Secondo Carpeoro, la nostra società – ormai interamente “magica” – ha saltato sistematicamente il “perché”, concentrandosi solo sul “come” (avere successo, fare soldi, conquistare una donna). Ed è proprio su questa nostra debolezza che il mago, anche politico, gioca facile. Traccia sempre lo stesso cerchio, nel quale ti rinchiude. Prima ti astrae dal tuo mondo reale, dettando le sue regole. Si chiama: astrazione. Poi ti ci trasloca mentalmente, nella nuova casa (estrazione). Ti insegna come abitarla (istruzione) ma fa in modo che tu non possa tornare indietro (ostruzione). Quando ti accorgi che hai vissuto in una bolla immaginaria, ormai è troppo tardi (distruzione). Oggi, oltre il 60% dei francesi reputa Macron una specie di cialtrone, deludente e addirittura pericoloso. E’ il finale perfetto di ogni parabola “magica” che si rispetti. Macron è un mago politico di prima grandezza. Viene da un’alta scuola di esoterismo finanziario. Lo conosce, eccome, il linguaggio dei simboli. Il guaio è che, a non conoscerlo affatto, sono le sue “vittime”.Non si sono accorte, dice Carpeoro, della simbologia – non islamica, ma templare – nascosta dietro ai più atroci attentati recenti, da Charlie Hebdo al Bataclan, all’epoca in cui Macron “studiava” da presidente in pectore. Né si sono accorti, i belgi, del terribile significato del doppio attentato di Bruxelles, dove stati colpiti l’aeroporto e la metropolitana. «Il messaggio? Come in Cielo, così in Terra. Che significa: noi siamo Dio». Puro delirio di onnipotenza, scrive Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui svela la natura massonica della “sovragestione” occidentale che ha organizzato, in Europa, la strategia della tensione affidata a servizi segreti deviati e manovalanza islamista targata Isis. Risultato finale: ecco il mago Macron all’Eliseo. Veniva dalla Banca Rothschild, ma è stato presentato come outsider. Cerchio magico: uno slogan imbecille, “En Marche”. Et voilà, il gioco è fatto: il mago getta la maschera e annuncia di voler tagliare un terzo del pubblico impiego, di “tosare” il mitico welfare francese. Gli elettori gridano al tradimento? Troppo tardi: ostruzione, distruzione.Leggere “Summa Symbolica” non basta, ovviamente, per liberarsi dei Macron. Ma forse aiuta a non cadere in trappola così facilmente. Il primo volume, uscito nel 2017, svela il legame che unisce i simboli agli archetipi. Il secondo, da poco in libreria e già ottimamente piazzato nelle classifiche, si addentra in un viaggio affascinante: si parte dalla croce (l’Ankh egizio, il Tau ebraico, la croce cristiana, il Cardo e il Decumano dei romani nonché la “croce laica” di Cartesio) per arrivare al Cerchio, al Quadrato, all’Ottagono. Creazione e distruzione? Ecco la tradizione biblica, quella cristiana e quella islamica. Poi il millenarismo e l’alchimia, per verificare “tutte le volte che il mondo doveva finire”, incluso il mitico 2012 dei Maya. “Summa Symbolica” è un sentiero: tra nascita, vita, morte e resurrezione. Il Natale e Orione, le tante nascite “divine”. Stelle e divinità: Sirio e Iside. Il Cigno: la croce nelle stelle. Carpeoro si interroga sul ruolo archetipico di Thanatos e sulla morte di Mario Monicelli, preconizzata nel film “Brancaleone alle Crociate”. Cinema, arte e letteratura propongono anche i simboli (rosacrociani) della resurrezione, dal Pellicano alla Fenice. E poi ci sono gli schemi simbolici collegati a un archetipo fondamentale, quello dell’eroe, che si riverbera nelle maschere immortali create da Omero e Virgilio.«Dopo l’inatteso e imprevedibile successo della prima parte di quest’opera – scrive l’autore, in premessa – è con comprensibile timore che ci accingiamo alla pubblicazione della seconda, consistente nel primo volume della trattazione degli archetipi». Se infatti era insolita e originale la parte precedente (sulle dinamiche dei simboli e sui metodi d’analisi), questo intero volume dedicato a singoli archetipi di particolare rilievo affronta contesti di maggiore complessità. «Quindi – avverte Carpeoro – sicuramente questa lettura sarà più faticosa. Ma – aggiunge – non ci stancheremo mai di ripetere che la vera ricerca esoterica non può mai essere agevole». In altre parole: «Grande la ricompensa, maggiore è la fatica del percorso per ottenerla». Ovvero: questo libro non è per chi cerca risposte facili. Ovvio, ci vuole impegno: «Se voglio farti apprezzare la buona tavola posso cucinarti un’ottima cena», dice Carpeoro, che è anche gastronomo. «Ma se vuoi imparare a cucinare non c’è alternativa: posso darti istruzioni, ma il lavoro devi farlo tu». Socrate la chiamava: maieutica. Tradotto: meglio se ci arrivi da solo, alle conclusioni.E’ la “scuola”, senza tempo, del simbolo. E può portare molto lontano – fino al centro di se stessi – grazie alla regina delle domande: “perché”. Vanno bene tutte le risposte, concede Carpeoro, purché non siano definitive e non precludano la domanda successiva. Lo sanno bene i vari cercatori di Graal: la meta è il vaggio, il Graal è la ricerca stessa. Lo scopre, con struggente dolcezza, il grande Toma Alistar, musicista nomade, alla fine dei suoi giorni, dopo un’intera esistenza consacrata al vano inseguimento del grande amore della sua vita. Toma Alistar è il protagonista di un film che fece epoca, “I Lautari”, diretto dal moldavo Emil Loteanu, iniziato Rosacroce. La sua missione: commuovere il pubblico, costringedolo a specchiarsi nella purezza archetipica dell’eroe. “Bello di fama e di sventura”, scrive Foscolo di Ulisse. Quella bellezza – che il simbolo si incarica di trasferire intatta, alludendo all’archetipo sovrastante – ha un messaggio per ognuno di noi: ci rende più consapevoli di appartenere a un universo infinito e senza tempo, che frequentiamo soltanto in sogno. Proprio da lì viene il mondo sulle cui tracce si mette in cammino, la preziosa “Summa Symbolica” di Carpeoro.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Summa Symbolica. Istituzioni di studi simbolici e tradizionali. Vol. 2\1: Studi sugli archetipi”, edizioni L’Età dell’Acquario, 334 pagine, 28 euro).Ecco, arriva il mago e risolve tutto. Si chiama Macron? Libera i francesi dall’Uomo Nero, che in quel caso era una donna, Marine Le Pen – l’unica, peraltro, a denunciare le cause eurocratiche delle sofferenze sociali della nazione. Siamo in Italia e il mago si chiama Matteo Renzi? Ha in mano quei famosi 80 euro, che infatti gli valgono il 40% dei consensi alle europee. Ha poi risolto qualcosa, il mago Renzi? Assolutamente no: infatti, in capo a pochi mesi, l’Harry Potter di Rignano sull’Arno ha dovuto sloggiare dal palazzo, dove oggi altri ipotetici maghi – di diversa scuola – provano a loro volta a convincere l’opinione pubblica con analoghe trovate, sempre nel campo miracoloso del “tutto e subito”. E’ colpa loro, dei maghi? Sì e no, dice Gianfranco Carpeoro, esoterista coltissimo e dotato di un raro talento nel diffondere generosamente il suo sapere anche presso i non addetti, quelli che i massoni – bontà loro – chiamano profani, cioè rimasti fuori dalla porta del tempio dove si tramanda, “da bocca a orecchio”, la cosiddetta conoscenza iniziatica. Non sarebbe ora di farlo uscire dalle segrete stanze, quel benedetto corpus di informazioni e codici? E’ esattamente la missione che si prefigge Carpeoro con la pubblicazione, a puntate, dei volumi di “Summa Symbolica”, primo studio sistematico – destinato a tutti – sulla “scienza dei simboli”.
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Giovagnoli: perché la Chiesa ci ha tolto gli alberi millenari
Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.Nelle catacombe della storia cristiana, con l’aiuto di archivisti, Giovagnoli ha scovato le carte dello sconosciutissimo Concilio Namnetense, vero e proprio “fantasma” persino su Google, prima che uscisse “La messa è finita”, libro-denuncia nel quale il Folletto marchigiano riesuma lo sconcertante anatema lanciato dal Vaticano contro gli alberi più vetusti, ovviamente associati a misteriosi dèmoni. Altrettanto sconcertante il trattamento che vescovi e preti medievali si impegnarono a riservare alle maestose piante: dovevano essere segate e abbattute, poi addirittura sradicate, fatte a pezzi e infine bruciate – come fossero eretici in carne e ossa, e non monumenti (viventi) del mondo vegetale. Il sommo Guido Ceronetti, scrittore atipico e coltissimo traduttore, ha spiegato cosa c’è nella testa del piromane, quando non è un semplice incendiario a pagamento, reclutato dalla mafia della speculazione edilizia. E’ vero, il maniaco del fuoco prova sempre un segreto piacere nel veder divampare le fiamme, preparandosi poi a godersi di nascosto l’altro “spettacolo”, quello dei soccorsi. Ma c’è altro, in fondo alla sua mente: e cioè il gusto (probabilmente inconsapevole) della dissacrazione, della profanazione sacrilega. Perché i boschi, da che mondo è mondo – ricorda Ceronetti – sono sempre stati la dimora dei dèi. Ovvero: il tempio naturale di una sorta di patto sacro, tra l’uomo e l’universo.Giovagnoli collega le cose in modo diretto, persino brutale: la stessa mano che ci ha privato degli alberi millenari, dice, è quella che ha incatenato il mondo occidentale per 1700 anni, inaugurando la raffinata schiavitù psicologica della fede. Come Machiavelli, lo scrittore-alchimista la considera un sopraffino “instrumentum regni”: la sottomissione spinge gli uomini a mettersi in ginocchio e a chiedere assurdamente perdono – a umanissimi burocrati della religione – per non si sa quali peccati. «Ai romani servivano le catene, ai cristiani bastò il crocifisso». Un simbolo potentissimo e onnipresente, persino sulle cime dei monti: in molte conferenze, ora disponibili su YouTube, Giovagnoli propone un impetoso parallelo tra l’emblema cristico scelto dai cattolici – l’uomo in agonia sulla croce, atrocemente torturato – e «l’altro modello cristico, il meraviglioso Uomo Vitruviano di Leonardo, con tutti i suoi “centri di potere” liberi di esprimersi: la testa non cinta dalla corona di spine, mani e piedi non trafitti da chiodi ma in contatto con terra e cielo, e poi il sesso – i genitali tranquillamente esposti, non “bannati” come quelli del Gesù cattolico, nascosti da un panno». Citando il drammaturgo Alejandro Jodorowsky e il filologo-esegeta Igor Sibaldi, Giovagnoli sintetizza: «L’eros è la nostra maggiore forza creativa, quella che ci rende capaci di ribellarci; imprigionarlo e mortificarlo significa voler produrre generazioni di servi».Nella veemente invettiva anticattolica di Giovagnoli – fiero di essersi “sbattezzato” – c’è spazio anche per le entusiasmanti frontiere scientifiche dell’epigenetica, che studia i mutamenti “alchemici” che avvengono nel corpo umano di fronte a particolari sollecitazioni emotive. «Recenti studi esaminano l’effetto deprimente del suono delle campane: a chi le ascolta, in ultima analisi, ricordano l’onnipresenza di un potere superiore, insuperabile. Sono le stesse campane, dal suono grave, che venivano suonate per ammonire i fedeli: stai attento e vedi di rigare dritto, se non vuoi fare la fine degli eretici o degli ultimi sacerdoti pagani, appesi ai loro alberi sacri e lasciati morire lentamente, con il ventre squarciato». Campane e crocifissi, libertà di pensiero: opinioni, interpretazioni. Ma gli alberi? «In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In tutte, tranne che in quella cattolica». Baobab immensi in Africa, sequoie millenarie in America, foreste incontaminate in Asia. Niente di simile, purtroppo, in Europa: tranne rarissimi casi – come quello degli olivastri sardi, vecchi anche di tremila anni – da noi i grandi alberi generalmente non superano i 2-3 secoli di vita.Niente a che vedere con le maestose querce meravigliosamente raccontate da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” scritta al seguito delle legioni romane: sul Baltico, le querce millenarie erano così immense da formare archi grandiosi, sotto i quali potevano transitare squadroni di cavalleria. Certo, ammette Giovagnoli, la rivoluzione industriale ha dato il colpo di grazia alle foreste madri europee. Ma la “guerra” contro i grandi alberi nasce prima, ed è squisitamente culturale: qualcosa di molto più sottile e profondo delle mere istanze economiche. Notare: «Più ci si allontana geograficamente dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma, e maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni straordinarie», insieme a popoli «con tradizioni che riconoscono all’albero un potere super partes nel vissuto spirituale». Non è un caso, aggiunge, se l’Italia si è data una legge-quadro sui parchi naturali solo negli anni ‘90. C’è stata una «evidentissima reticenza politica» nel concedere al verde la propria naturale importanza, in un paese cresciuto al suono dei campanili. «Al Grande Parassita – scrive Giovagnoli, alludendo al cattolicesimo – la natura selvatica non è mai piaciuta tanto; anzi, l’ha sempre considerata un intralcio», forse anche perché «chi conosce la natura selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria».A lui è accaduto anni fa, racconta, quando era alle prese con un dramma: nessun medico sembrava in grado di curarlo. «Mi sono allora comportato da alchimista», dice a Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ho cercato volutamente lo stato di “nigredo”, la dissoluzione dell’Io, calandomi da solo nella cosa che più mi faceva paura: il bosco di notte». Scendere nel proprio buio: come Dante, che la sua resurrezione iniziatica la comincia proprio dalle tenebre dell’Inferno. «A un certo punto – racconta Michele – ho sentito un gran caldo alla pancia, e sono crollato in un pianto dirotto, fino all’alba. Tornato a casa, sono andato dal medico e ho scoperto che ero guarito». Come? Mistero: «Posso solo dire che l’albero è il nostro più grande alleato, sulla Terra». Inutile chiedere a un poeta di fare un disegno. Meglio assecondare la sua vena: «Un bosco ti sente, ti ascolta, percepisce la tua energia vibrazionale. Può anche mutare all’istante la sua composizione chimica, producendo acido acetil-salicilico. E’ qualcosa di prodigioso, che cambia la qualità dell’aria e può entrarti nella pelle, per osmosi». Alchimista autodidatta ed entusiasta, “miracolato” dai suoi alberi, Giovagnoli fa notare come sarebbe bello, se oggi avessimo a portata di mano quelle piante millenarie, oscenamente distrutte nel medievo. «Erano un pezzo della memoria vivente del mondo: avevano respirato la stessa aria di Gesù». E a proposito di aria: «Non potremmo vivere, senza gli alberi: sono loro a fabbricare l’ossigeno che ci tiene in vita».In tutte le tradizioni autenticamente esoteriche, inclusa quella ben conosciuta dal citato Leonardo, lo specchio è un simbolo principe: capovolgendo l’immagine, offre la visione integrata e complementare dell’insieme. Tradotto in “giovagnolese”: «Fateci caso: gli organi che respirano l’ossigeno prodotto dal bosco sono come alberi rovesciati: i polmoni la chioma, e sopra di loro i bronchi, le radici, ramificate in modo frattale esattamente come i rami delle piante». Serve altro, per capire come mai i grandi alberi erano sacri? «C’erano prima di noi, sono la storia della Terra. Sono stati i primi a uscire dall’acqua, creando un’atmosfera respirabile per gli esseri umani». Di più: «E’ come se gli alberi entrassero in noi, a partire dalla nascita: quella che respiriamo è la loro aria, il loro ossigeno». Gli alberi, poi, non conoscono frontiere: «Pensate a quando vanno in amore, in primavera: il polline di un noce greco può volare sul mare, per andare a “corteggiare” un noce cresciuto in Puglia». Aprite gli occhi, ripete Giovagnoli: «Non c’è una croce a congiungerci con l’universo: c’è un albero. Per questo, chi ha diffuso croci ha voluto abbattere gli alberi. E il più delle volte, le chiese sono state erette proprio là dove prima sorgevano alberi millenari». Teologia: la visione trascendente “sfratta” la divinità dal mondo: Dio c’è, ma è altrove. Non è immanente, nella natura. «Tutto falso», assicura il Folletto. «Non ci credete? Provate. Il bosco vi aspetta. Ed è pronto ad aiutarvi, come ha fatto con me».(Il libro: Michele Giovagnoli, “La messa è finita. Come liberarsi dal più subdolo dei parassiti. Gli acutissimi strumenti di dominio in dotazione al clero”, Uno Editori, 174 pagine, euro 12,90. Giovagnoli ha inoltre scritto “Alchimia selvatica. La via del riveglio attraverso le arti magiche del bosco”, Macro Edizioni, mentre con Uno Editori ha appena pubblicato “Imparare a parlare con gli alberi. Manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire con il bosco”).Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.
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Di Maio e Salvini: trasparenza mai vista prima, nella storia
Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma quella era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e – nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.E’ un complimento, che va fatto sia a Salvini che a Di Maio, a prescindere da quello che poi riusciranno a mettere in atto: hanno comunque cambiato le regole del gioco. E la chiarezza e la trasparenza delle intenzioni, secondo me, sono una parte fondamentale del meccanismo democratico. Sapete, gli altri – il Pd – dicevano semplicemente “votate noi, che penseremo a proteggere i più deboli”, punto a capo, e ciao. Cosa penso del programma di Salvini e Di Maio? Penso che rappresenti il miglior equilibrio che si potesse raggiungere, all’interno di una legge elettorale che era stata concepita proprio perché questo non avvenisse. Quindi, secondo me, Salvini e Di Maio la seconda “magia” l’hanno fatta nel riuscire comunque ad arrivare all’intesa, pur all’interno delle costrizioni di una legge elettorale che, veramente, ti impone di metterti d’accordo su tutto con qualuno, altrimenti non puoi fare il governo. La buona volontà ce l’hanno messa tutta, e stanno sconfiggendo il sistema stesso, che aveva pensato di “fotterli” (soprattutto i 5 Stelle) con questa legge elettorale. Non ci sono riusciti, almeno finora. E infatti, come vedete, sia Berlusconi che gli uomini di Renzi sono contrariati: “je rode”, e mica poco.Lo si vede dalle interviste in televisione: Martina sembra isterico, quando accusa i 5 Stelle e la Lega di aver “fatto perdere 70 giorni di tempo” all’Italia. E’ ormai una commedia ridicola vedere i telegiornali, con questi che strepitano e si lamentano. Di Maio e Salvini non hanno ancora fatto niente: aspettiamo, a giudicarli. Magari andrà male veramente, però aspettiamo. Questa voglia di seppellire un governo che non è neanche nato ci dà la misura di quanto gli rompe le scatole, e quindi di quanto fosse subdolo il calcolo che era stato fatto a monte – l’alleanza Pd-Berlusconi, che avrebbe mantenuto le cose esattamente come sono rimaste fino ad oggi. Potrebbe aprirsi una pagina di speranza? Lo vedremo. Una pagina nuova, comunque, si è già aperta. Hanno cambiato le regole del gioco, questi due: nella pagina nuova ci siamo già. Volenti o nolenti, siamo in una Terza Repubblica dove, da oggi in poi, le cose si mettono per iscritto – e quindi, dopo cinque anni, l’elettore può andare a vedere quante ne hai fatte e quante no, se eri in buona fede o se hai preso in giro gli elettori.Nella fase nuova, ripeto, siamo già entrati. La speranza? Se non ci riescono loro non ci riesce nessuno, a scardinare questo sistema. Se non ci riescono loro due insieme, che arrivano risicati al 51%, a scardinare almeno alcuni punti fondamentali del sistema, anche quelli che non hanno dichiarato ufficialmente, non ce n’è più, di speranza: se c’è una speranza, è in loro. Certo, non dobbiamo illuderci: siamo molto ricattabili. L’altra sera ho visto Monti, da Formigli. E con quella sua da prete disinteressato, Monti ha sibilato: però ragazzi stiamo attenti, visto quello che è successo ad altri paesi che hanno provato ad alzare un po’ la cresta (sottinteso, la Grecia). Mi ha stupito, Formigli: di fronte a una frase simile, pronunciata da un ex primo ministro, un giornalista che voglia chiamarsi tale avrebbe chiesto a Monti di spiegare il senso di quella sua minaccia. Invece Formigli ha permesso a Monti di dire quello che voleva, in modo vergognoso – ma lasciamo perdere, sulla vergogna dei giornalisti italiani ormai abbiamo steso due o tre veli pietosi.Siamo comunque ricattabili, dicevo. Ma intanto, secondo me, l’importante è comunque far entrare il seme dell’idea che le cose si possono cambiare: perché poi su questo seme puopi costruire molto di più, nel corso del tempo. Se tu riesci a cambiare anche una sola cosa, che prima dicevano che era impossibile cambiare, hai dimostrato alla gente che quando qualcuno dice “questo non si può fare”, be’, non è vero. E questo apre, per le future legislature, moltissime possibilità, che prima non c’erano. Se noi continuamo a produrre informazione alternativa indipendente, a un certo punto le due linee potrebbero anche finire per convergere su cambiamenti più radicali. Anche perché i poteri forti si chiamano “forti” per un motivo preciso, ma possono anche crollare: l’Impero Romano è durato 5-600 anni e poi è scomparso in poche settimane. Quando arrivano a maturazione le motivazioni storiche corrette perché avvenga un cambiamento, poi il cambiamento avviene. Noi possiamo cercare di prepararlo, sperando che nel frattempo ciascuno faccia la sua parte – anche chi andrà al governo molto presto.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Mazzucco Live” del 19 maggio 2018).Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.
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Delitti rituali, la magia esiste: lo svela Stephen King in “It”
“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.Iniziamo dagli omicidi rituali. La cittadina di Derry è sconvolta da una serie di omicidi, tutti diversi l’uno dall’altro per tipologia, efferatezza e modalità. Tuttavia, a un certo punto della storia, viene trovato un colpevole unico, che non ha le caratteristiche compatibili per quel tipo di delitti così eterogeneo. Eppure, dal momento che le forze dell’ordine e l’opinione pubblica non vedono l’ora di trovare un capro espiatorio, la versione di Henry Bowers che, tra l’altro si è autoaccusato dei delitti, viene accettata per vera senza neanche una verifica (pag. 709). Il meccanismo descritto dal romanzo è quello che abbiamo raccontato e sottolineato nelle vicende delle Bestie di Satana (che si autoaccusano di efferati delitti, con una versione dei fatti strampalata e incompatibile con lo stato di tempo e luogo della vicenda) e del Mostro di Firenze, ma anche nel caso Manson (anche qui si autoaccusano del delitto alcune ragazze strafatte di droga, con un Qi intellettivo molto basso e forti problemi psichici). Il romanzo è soprattutto una rappresentazione di come funziona la lotta tra bene e male. Il male è rappresentato come una forza insidiosa e silenziosa, che si insinua non in uno o più individui specifici, ma in una collettività.Il male, in pratica, sta nell’atteggiamento della gente, nel non voler vedere la realtà, nel tapparsi gli occhi davanti a verità scomode per il proprio quieto vivere. Per dirla con le parole di Fausto Carotenuto, i poteri oscuri non sono altro che la somma di tutti i nostri sentimenti negativi. Il male può essere sconfitto dall’amore, dall’amicizia (che, come dice qualcuno, è l’amore senza le sue ali) e dal coraggio di andare avanti sconfiggendo le proprie paure (nel romanzo, l’unico dei ragazzi che si lascia sopraffare dalla paura, infatti, si suicida; ucciso quindi non dal mostro che terrorizza la città, ma da lui stesso). «La gente di Derry aveva vissuto da sempre con Pennywise in tutte le sue molteplici manifestazioni; e forse, in qualche modo, era addirittura arrivata a comprenderlo, ad aver bisogno di lui, ad averlo in simpatia. Ad amarlo. Può darsi… sì, persino quello può darsi» (pag. 533). Più in generale, il mostro che terrorizza la città assume diverse forme, una per ogni paura dei vari protagonisti; il male, cioè, assume di volta in volta proprio la forma più temuta dalla vittima. Da questo punto di vista il romanzo racconta il funzionamento della cosiddetta legge di attrazione e del potere che ha la nostra volontà di materializzare proprio ciò che temiamo di più e ciò che desideriamo.«Credi di vedermi?», dice un giorno It ad uno dei protagonisti: «Tu in realtà vedi solo quello che ti concede la tua mente» (pag. 1217). E difatti, poche pagine prima, Bill pensa tra sé: «It è solo la forma che ha preso a prestito dalle nostre menti. Sono quanto di più vicino le nostre menti sappiano accettare sulla vera essenza di It» (pag. 1212). Il mostro, che alla fine viene sconfitto, esiste davvero. Ma la morale che se ne trae è che quel mostro viene alimentato dalle paure e dagli atteggiamenti degli abitanti del luogo; in poche parole, si potrebbe dire che il mostro, il male, siamo noi stessi. «It e il tempo erano in qualche modo intercambiabili; It aveva tutte le loro facce insieme con le mille con cui aveva terrorizzato e ucciso… e l’idea che It poteva essere loro era la più devastante» (pag. 564). «Stai cercando di dire che questo essere non è malvagio? Che è semplicemente parte dell’ordine naturale delle cose?», chiede Eddie a Mike. E questo mostro – ecco una parte fondamentale nel messaggio del libro – viene sconfitto solo per mezzo della volontà e dell’immaginazione dei ragazzi. Eddie usa come arma il suo inalatore per l’asma; un apparecchio già innocuo di per sé contro un mostro del genere, ma reso ancora più innocuo dal fatto che lo stesso farmacista che lo aveva venduto sapeva che era solo un placebo, pieno in sostanza di acqua fresca e nient’altro.Ciò che rende potente l’arma utilizzata è solo la forza di volontà sprigionata dal protagonista nel momento della battaglia finale. Ad esempio: «I proiettili d’argento avevano funzionato perché in sette avevano fuso insieme la loro convinzione sull’efficacia di quello strumento». Non a caso il gruppo che sconfigge il mostro è costituito da bambini, e poi verrà sconfitto di nuovo molti anni dopo, ad opera dello stesso gruppo ormai formato da adulti, che rinnovano la loro volontà di fanciulli; il chiaro messaggio dietro tutto questo è che gli adulti non sono in grado, in genere, di vedere la realtà senza preconcetti e di utilizzare l’immaginazione e la volontà. Per utilizzarla occorre tornare bambini, e forgiare una realtà diversa da quella che gli apparati del potere costituito hanno costruito per noi, come una sorta di ragnatela che ci avviluppa (non a caso It appare come un gigantesco ragno, che tesse una specie di tela invisibile su una città, che è preda del mostro senza rendersene conto).A un certo punto del libro compaiono anche le forze del bene, rappresentate da una tartaruga che esiste fin dall’inizio del tempi. La tartaruga non è stata scelta a caso da King, essendo fondamentale nella tradizione di molte religioni: in quella buddista è il simbolo del divino, in particolare dello scorrere lento del tempo, e si narra che il Buddha fosse una tartaruga, in una delle sue incarnazioni precedenti. Nella mitologia induista è uno degli Avatar di Visnù; nella mitologia cinese è l’animale che sorregge il mondo; e per i nativi americani è la madre primordiale. Ma quando Bill, uno dei protagonisti, le chiede aiuto contro il mostro, supplicandola, ella risponde: «Devi aiutarti da te, figliolo… ci sono i tuoi amici» (pag. 1220). Per quanto riguarda la magia, il libro non ne parla espressamente. Quindi non compaiono maghi, streghe, vampiri, o entità varie, e di per sé pare non parla affatto della magia pura. In realtà tutto il libro è il racconto di come operano le forze della natura sull’uomo (e la magia, come diceva Paracelso e come qualunque esoterista sa, altro non è che la conoscenza delle leggi della natura); ed è quindi il racconto di come immaginazione e volontà (le due componenti fondamentali della magia) possono modificare la realtà e plasmarla a piacimento.Nel libro c’è addirittura la magia sessuale; uno dei fatti narrati nel romanzo, incomprensibili per chi non conosce la magia, ma che rappresenta un punto cruciale di tutto il racconto, è quando i ragazzi promettono solennemente, dopo aver sconfitto il mostro, che quando questo ritornerà loro si ritroveranno di nuovo tutti insieme a combatterlo, e suggellano questo patto con un rapporto sessuale con la protagonista femminile del romanzo, Beverly Marsch. Il rapporto sessuale, infatti, ha degli effetti magici, nel senso che (come abbiamo scritto nel nostro articolo “Sesso, magia sessuale, tantra e civiltà moderna”) lega le anime delle persone che si congiungono, rafforzandone la volontà, e creando un legame invisibile ma duraturo, che può essere indirizzato verso finalità specifiche, scelte da coloro che hanno il rapporto sessuale. Questo rapporto multiplo crea un legame tra tutti, una specie di promessa, che li porterà nuovamente a riunirsi per adempiere a quel patto. «Conosco un sistema – rispose Beverly nell’oscurità – So come ridiventare tutti uniti. Perché se non saremo uniti, non usciremo vivi di qui. E’ una cosa che ci unirà per sempre e che serve a dimostrare che vi amo tutti e siete tutti miei amici» (pag. 1246). Cos’è quindi che fa vincere i ragazzi contro il mostro? E’ «la loro forza unita, resa invincibile dalla forza di quell’Altro, ed era la forza del ricordo e del desiderio, e soprattutto era la forza dell’amore e di un’infanzia dimenticata» (pag. 1264).Nel romanzo compare anche un’altra idea di fondo: quella che la nostra vita sia guidata da forze invisibili, di cui a stento percepiamo l’esistenza. Forze che solo pochi percepiscono, e che impongono di domandarsi quanto effettivamente l’uomo sia dotato del cosiddetto libero arbitrio: «C’è qualcosa che ci sta chiamando, qualcosa che ci sceglie uno ad uno. Niente di tutto questo è casuale». Questo pensa Bill, uno dei protagonisti (pag. 421). E questa idea, da fa sfondo invisibile a tutto il racconto. Il libro “It” di Stephen King, quindi, considerato da tutti il suo capolavoro, è un romanzo, ma anche un libro sulla magia, sulla magia sessuale, sull’amore, sull’amicizia, sul potere, sul funzionamento della realtà e sul funzionamento delle energie dell’universo, e dunque sulla vita. Per questo è un libro magico che ha conquistato milioni di lettori in tutto il mondo, la maggior parte dei quali all’oscuro del reale significato del romanzo; ma attratti da esso da qualcosa… di magico, appunto. Non un romanzo del terrore, quindi, ma un libro sulla magia e sulla realtà in cui viviamo.(Paolo Franceschetti, “Stephen King, delitti rituali e magia”, dal blog “Petali di Loto” del 9 aprile 2018. Il libro: Stephen King, “It”, Sperling & Kupfer, 1344 pagine, euro 12,90).“It” è considerato il libro capolavoro di Stephen King. Un romanzo lunghissimo (circa 1300 pagine) che, come tutti i libri di questo scrittore, non è solo un libro del terrore (oserei dire che non lo è affatto) ma ci introduce nella quotidianità della provincia americana, facendocela assaporare come se la vivessimo noi stessi in prima persona. Nella dedica iniziale che Stephen King fa alla moglie e ai figli, c’è una frase che è la chiave di interpretazione di tutto il suo straordinario libro: ragazzi, il romanzesco è la verità dentro la bugia, e la verità di questo romanzo è semplice: la magia esiste. Il romanzo è infatti la storia di sette ragazzi che combattono contro le forze del male nella cittadina di Derry; ma la storia è, in realtà, l’occasione per raccontare la realtà in cui viviamo, e per mostrare – a chi riesce a vederlo – il funzionamento di due aspetti molto importanti di questa realtà: il meccanismo operativo della magia, e il modo di agire delle forze esoteriche sulla realtà di tutti i giorni. Chi ha letto questo romanzo, ha trovato in esso tutte le cose di cui abbiamo parlato e ampiamente trattato nel nostro sito in questi dieci anni: gli omicidi rituali, la pervicace volontà di chi indaga di non accertare la verità; il capro espiatorio, assolutamente improbabile, che viene accusato di una serie di delitti per tacitare l’opinione pubblica; la magia e il suo funzionamento; la lotta tra il bene e il male e le sue dinamiche.
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Comodo vincere come i 5 Stelle, senza democrazia interna
Comodo, concorrere ad elezioni democratiche senza però avere il fastidio fisiologico della democrazia interna: «E’ come far aprire i negozi di parrucchiere ai cinesi, che non pagano nulla». Troppo facile: «Devi pagare il tuo dazio alla democrazia, se vuoi partecipare al governo di un sistema democratico». Non fa sconti, Gianfranco Carpeoro, al Movimento 5 Stelle che mette regolamente alla porta chi osa contestare il vertice, per poi magari puntare a un’intesa con gli ex avvesari, senza l’onestà politica di chiamarla con suo nome. «La cosa peggiore, nella costruzione di linguaggio del Movimento 5 Stelle è l’aspetto tautologico, per il quale basta cambiare il termine e si cambia il concetto», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Fare un governo è sempre un contratto», ma i grillini fingono di non saperlo: «A loro ripugna la parola “alleanza”, mentre gli piace la parola “contratto”. Ma se formano un governo col Pd, fanno il contrario di quello che hanno detto in campagna elettorale». E’ l’effetto magico della tautologia: «Se lo chiami “contratto” va bene, se lo chiami “alleanza di governo” va male». Per loro sembra che il problema siano «i termini, non la sostanza», che infatti è sgradevole: «La sostanza è che fai un governo con qualcosa che, secondo te, ha sbagliato tutto ed è inaccettabile – gliene hanno dette di tutti i colori, al Pd. E quindi adesso ci fai un governo?».Saggista e simbologo, nella sua “ginnastica mentale” settimanalmente offerta ogni domenica mattina, Carpeoro mostra di amare i paradossi. I grillini dicono che si limiterebbero a firmare un contratto? «Beh, prova a firmarlo con Totò Riina, un contratto: se lo chiami “contratto” e non “associazione per delinquere di stampo mafioso”, allora diventa legittimo?». Questo aspetto tautologico, aggiunge, i 5 Stelle l’avevano già mostrato quando comminavano sanzioni contro i propri esponenti che ricevevano anche solo un avviso di garanzia. «Poi hanno cambiato i termini, e adesso chi riceve un avviso di garanzia basta che avvisi il partito di averlo ricevuto». Altro paradosso: «Come se io domani scrivessi al partito: guardate, sto per fare una rapina in banca. Nessun problema, quando poi l’avviso di garanzia mi arriva?». I 5 Stelle sono ormai al centro della scena politica nazionale dopo il quasi 33% incassato il 4 marzo. «Siccome sono cose più grandi di loro, cosa fanno? Giocano sul linguaggio, per non accettare il fatto che la politica, per autodefinizione, è compromissione. In politica si fanno i compromessi: alcuni vanno meglio e alcuni vanno peggio, alcuni sono presentabili e alcuni sono impresentabili. Come la mettiamo, se per anni hai seguito per anni la strada in base alla quale sei “duro e puro”, va bene se comandi da solo senza parlare con nessuno? Non erano quelli che non volevano andare in televisione? Ma adesso li vedo, in televisione».La verità, conclude Carpeoro, è che ormai il Movimento 5 Stelle «sta diventando un partito come gli altri, tranne che per l’assenza di democrazia interna – ma non sono i soli: partiti come Forza Italia non ce l’hanno mai avuta». Evidentemente, c’è da dedurre, non è una condizione così necessaria, se poi agli elettori va bene anche così. Ma è giusto che un partito, a casa sua, faccia quello che vuole? «No: un partito vive sulla stessa illegittimità derivante dalla non-applicazione dello spirito della Costituzione, che risulta anche dalle riunioni dell’Assemblea Costituente». Cos’era successo? Partiti, sindacati non sono mai stati regolamentati, sottolinea Carpeoro. E’ accaduto anche quelle associazioni, tra cui la massoneria, considerate talmente “sensibili” da essere citate nella Costituzione. I padri costituenti sorvolarno sulla loro natura giudirica: «Uscendo dalla guerra, si è ritenne di lasciarle nel patrimonio costituzionale da regolamentare in seguito». Un discorso rimasto in sospeso, rinviato, e mai chiuso. Una sorta di limbo, nel quale ha prosperato l’assoluta mancanza di trasparenza, dai finanziamenti illeciti alla gestione degli stessi sindacati: «Dovrebbero presentare bilanci e non lo fanno, e non dovrebbero riscuotere i contributi degli iscritti in maniera automatica, come invece avviene attualmente».Democrazia interna: «Se vuoi fare parte di un sistema, devi condividerlo», ribadisce Carpeoro. «Certo non la puoi imporre, la democrazia interna. Ma, se ti vuoi candidare alle elezioni, devi superare un certo standard: perché le elezioni sono democrazia, e sarebbe un ossimoro far candidare, a un qualcosa di democratico, un soggetto che non vive democraticamente». In altre parole: «Nel momento in cui concorri secondo regole democratiche per ottenere voti, devi avere delle regole democratiche al tuo interno». Per carpeoro è un fatto elementare di coerenza, di omogeneità: «Non puoi avere una vita interna dittatoriale e poi candidarti, perché così hai un vantaggio rispetto agli altri partiti, che si fanno “rompere i coglioni” dalle loro minoranze, mentre tu no». Beninteso, «la realtà è sempre complessa, la perfezione non esiste. Però intanto cominciamo a introdurre delle regole, là dove mancano». Né si può dire che i 5 Stelle siano privi di presupposti ideali: «Il problema è che non sono riusciti a evitare di diventare un po’ settari, perché hanno una classe dirigente che secondo me è inadeguata». Fico che va a piedi o un pullman? «Appunto: è le sempre la tautologia di cui sopra».Comodo, concorrere ad elezioni democratiche senza però avere il fastidio fisiologico della democrazia interna: «E’ come far aprire i negozi di parrucchiere ai cinesi, che non pagano nulla». Troppo facile: «Devi pagare il tuo dazio alla democrazia, se vuoi partecipare al governo di un sistema democratico». Non fa sconti, Gianfranco Carpeoro, al Movimento 5 Stelle che mette regolamente alla porta chi osa contestare il vertice, per poi magari puntare a un’intesa con gli ex avversari, senza l’onestà politica di chiamarla con il suo nome. «La cosa peggiore, nella costruzione di linguaggio del Movimento 5 Stelle è l’aspetto tautologico, per il quale basta cambiare il termine e si cambia il concetto», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Fare un governo è sempre un contratto», ma i grillini fingono di non saperlo: «A loro ripugna la parola “alleanza”, mentre gli piace la parola “contratto”. Ma se formano un governo col Pd, fanno il contrario di quello che hanno detto in campagna elettorale». E’ l’effetto magico della tautologia: «Se lo chiami “contratto” va bene, se lo chiami “alleanza di governo” va male». Per loro sembra che il problema siano «i termini, non la sostanza», che infatti è sgradevole: «La sostanza è che fai un governo con qualcosa che, secondo te, ha sbagliato tutto ed è inaccettabile – gliene hanno dette di tutti i colori, al Pd. E quindi adesso ci fai un governo?».
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Tuis: il potere dei gesuiti, gli 007 del nuovo ordine mondiale
«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.«Anche tra i gesuiti si contano ovviamente molte ottime persone», ammette Tuis, intervistato a “Border Nights”, «ma la struttura ha avuto un ruolo essenzialmente negativo, nella storia: la congregazione resta un soggetto decisamente pericoloso, non a caso espulso per 70 volte da vari Stati». Rapporti difficili anche con il Vaticano: Papa Clemente XIV soppresse l’ordine religioso nel 1773. «I gesuiti erano nati come braccio speciale della Chiesa per sostituire i domenicani, politicamente poco duttili», spiega Gianfranco Carpeoro, autore di saggi che illuminano oscuri retroscena in cui convivono Chiesa e massoneria, come nel caso dell’origine del fascismo. «Poi però sempre i geusiti divennero anche scomodi, quando – dopo la conquista del Sudamerica – si accorsero che gli indigeni erano migliori, come uomini, dei “conquistadores” cristiani». Lo ricorda lo stesso Tuis, autore del libro “Gesuiti” appena pubblicato da Uno Editori: «In Paraguay i gesuiti si schierarono con il popolo anche pagando con la vita la loro scelta». E’ di ispirazione gesuitica la “teologia della liberazione”, per l’emancipazione popolare dell’America Latina. Era gesuita lo stesso cardinale Martini, in prima linea contro le guerre. Ma la Compagnia di Gesù resta ambivalente: Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice gesuita della storia, ha firmato il saggio “Questa economia uccide” ma in Argentina è stato accusato di complicità con i carnefici della dittatura militare, quella dei “desaparecidos”.Riccardo Tristano Tuis non crede a Papa Francesco: «Nonostante la parte che recita, fa il gioco del potere: il suo impegno a favore dei migranti fa parte del progetto globalista che prevede anche l’islamizzazione dell’Europa a spese della fede cristiana, verso un’ipotetica religione unica mondiale». Il suo libro è chiaro, negli intenti, fin dal sottotitolo: «L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale». Già autore de “L’aristocrazia nera”, ovvero «la storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia», Tuis racconta l’intreccio che – fin dall’origine – lega Ignazio di Loyola a potenti famiglie romane come quella dei Borgia. La missione dell’ordine: forgiare dei veri e propri 007, in grado di infiltrare qualsiasi ambiente politico e religioso, puntando al controllo del potere. Un progetto con un retroterra segreto, risalente ai Templari e da «ordini e consorzi di famiglie ancora più antiche». Nacquero così «agenti segreti con licenza di uccidere», pronti a operare clandestinamente sia nei paesi cristiani che in quelli protestanti o anglicani, «al punto che ai nostri giorni i servizi segreti deviati europei, nordamericani, del Commonwealth e d’Israele sono delle espressioni di un’unica regia: il Siv, cioè i servizi segreti del Vaticano», quelli irrintracciabili su Wikipedia.«L’alta finanza, le più grandi banche del mondo e il cartello bancario che ha dato vita al moderno signoraggio bancario – sostiene Tuis – sono il prodotto della millenaria opulenza e forza della Chiesa di Roma, che proprio grazie ai gesuiti dall’Ottocento in poi ha in mano l’economia globale attraverso le famiglie dei banchieri internazionali ai cui vertici ci sono i guardiani del tesoro papale: i Rothschild». Il libro di Tuis indaga «sull’oscuro mondo delle società segrete e dei circoli magici di matrice satanico-luciferina e cristiana», scoprendo «le loro reciproche e insospettate connessioni attraverso i gesuiti di alto livello, gli “incogniti superiori del 4° voto” che muovono anche le fila dei potenti e stratificati ordini cavallereschi», vale a dire i Cavalieri di Malta in Europa e i loro corrispettivi americani, i Cavalieri di Colombo. Insieme alla massoneria internazionale, questa galassia di poteri “invisibili” dà vita «all’esercito di grigi burocrati dell’Unione Europea e del Congresso americano, che promuovono la criminale operazione su vasta scala denominata Agenda 21».Il libro si addentra in specifici eventi storici: «Due più famosi dittatori europei, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, sono saliti al potere grazie ad operazioni clandestine dei gesuiti e degli Illuminati, che da secoli lavorano a fianco a fianco nell’instaurazione della secolare agenda mondialista “La Nuova Atlantide”, meglio conosciuta come Nuovo Ordine Mondiale». A un ex gesuita, racconta Tuis a “Border Nights” si deve l’invenzione della ghigliottina: atroce simbolo del Terrore francese, d’accordo, ma pur sempre «un modo per ridurre la sofferenza del condannato». Dai gesuiti sono nate eccellenze assolute in ogni campo, compreso quello scientifico: è la Compagnia di Gesù a gestire il potente osservatorio astronomico di Mount Graham, in Arizona. Alieni in arrivo? Meglio chiamarli “fratelli dello spazio”; nel caso un giorno atterrassero, disse il direttore del centro, perché non battezzarli? Conoscenza, segreti, informazioni riservate. «L’archivio dei gesuiti a La Spezia – dichiara Tuis – è vasto almeno quanto quello della Cia».Sanno tutto di tutti? Dossier, schedature minuziose? «Per quello nacquero: furono loro a fondare la prima intelligence della storia». Il libro di Tuis è un’indagine sul lato meno trasparente del potere, il più insospettabile: sul web circola liberamente il testo di un famigerato giuramento, in cui il novizio – nel ‘500 – si impegna anche ad uccidere, nel caso, e comunque a eseguire qualsiasi ordine senza discutere, “perinde ac cadaver”. Leggende? Purtroppo no, sostiene Tuis: «Oggi la vera battaglia è condotta nel campo dell’informazione: il mainstream deforma sistematicamente la verità. La controinformazione è fondamentale, e il potere la teme». Dietro allo speaker del telegiornale c’è spesso un politico, collegato a influenti soggetti economici. Quello che sfugge è che “tutte le strade”, o almeno molte, portino a Roma, dove il potere di quel network sarebbe esteso oltre l’immaginabile. «Non è un caso se l’aggettivo “gesuitico” ha assunto una connotazione negativa: indica qualcosa di falso e insincero, ipocrita, ma al tempo stesso raffinato e coltissimo. I gesuiti hanno una visione precisa del mondo, la loro. Arrivano dovunque, sono lì da mezzo millennio: non sarà facile fermarli».(Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “I Gesuiti. L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle Banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale”, Uno Editori, 264 pagine, euro 14.90).«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni del Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.
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Soldi e potere: è antica la guerra alla medicina naturale
In questi tempi c’è una guerra dichiarata tra la medicina naturale e quella ufficiale, che evidenzia le falle di quest’ultima mettendone in risalto i limiti palesi (basti pensare che nonostante le spese immense per la ricerca sui tumori, questa malattia sta aumentando vertiginosamente) e la medicina tradizionale allopatica, che schiera dalla sua parte i vari soloni a colpi di radiazione dei medici eretici. Recenti sono i casi di Gabriella Mereu, di Tullio Simoncini, di Ryke Geerd Hamer, di Paolo Rege-Gianas. Pochi giorni fa è stata radiata dall’ordine la dottoressa Gabriella Lesmo, rea di aver preso posizione contro i vaccini (settore che ha iniziato a studiare con particolare attenzione per via del fatto di avere un figlio reso autistico proprio a seguito della somministrazione di vaccini). Pochi mesi prima era stato radiato per lo stesso motivo un altro medico, Dario Miedico. E sempre recentemente è stato radiato dall’ordine Paolo Rossaro, per aver prescritto una cura alternativa alla chemioterapia in un caso di tumore. In realtà, la lotta tra medicina naturale e medicina tradizionale ufficiale esiste da secoli, e può individuarsi il punto di origine nel Medioevo, ad opera dapprima della Chiesa cattolica, e successivamente ad opera della scienza ufficiale, che ha preso il testimone dell’oscurantismo cattolico. Vediamo come e perché nasce questa battaglia, e perché essa è identica ai giorni nostri, come nel Medioevo, e in tutti i secoli intermedi.
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Giorgio Galli: magia, esoterismo e potere. La storia segreta
Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.La missione dello studioso: svelare retroscena occulti e, al tempo stesso, demifisticare – con l’occhio razionale dello storico – le tante mitologie connesse al presunto potere di grandi “maghi”, al fianco dei potenti della Terra. Nel mirino innnanzitutto il leader del nazismo. Un fenomeno al quale – tra Himmler e la società Thule – il professor Galli ha dedicato ben tre saggi. Il primo, “Hitler e il nazismo magico” (Rizzoli) risale al 2005. A seguire, “La svastica e le streghe”, una “intervista sul Terzo Reich, la magia e le culture rimosse dell’Occidente”, pubblicata da Hobby & Work nel 2009, quattro anni prima di “Hitler e la cultura occulta”, libro uscito nel 2013, pubblicato ancora da Bur-Rizzoli. Impossibile non notare il potere ipnotico che la retorica del dittatore esercitava su masse immense, durante le celebri adunate oceaniche del nazismo. Disponeva di tecniche occultistiche? «Intanto era nato a Braunau sull’Inn, paese che ha dato i natali a un numero di medium superiore alla norma: c’è chi ritiene che, in determinate zone della Terra, vi siano cariche magnetiche che conferiscano doti particolari, come quelle che caratterizzano i medium e i veggenti». Inoltre, aggiunge Galli, è noto che Hitler prese lezioni da Erik Jan Hanussen, famoso ipnotista austriaco che, «nei teatri, ipnotizzava gli spettatori, facendo creder loro che fossero reali fenomeni che erano solo immaginari».Lo stesso Hanussen, mago e illusionista, fu poi ucciso dai nazisti il 30 giugno del 1934 nella strage passata alla storia come la “notte dei lunghi coltelli”. Una buona occasione «per far sparire le tracce della formazione ipnotistica che Hitler aveva ricevuto». Ma una cosa è ammettere che Hitler credesse nell’occulto e si avvalesse di maghi come Hanussen, un’altra è pensare che il nazismo sia “esploso” in virtù della magia: «Mai, il nazismo, si sarebbe potuto affermare senza la sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale, senza la crisi del dopoguerra e senza la grande crisi del ‘29, tutti fenomeni che hanno determinato il destino del paese sino all’avvento del Terzo Reich». Quindi attenzione: «Io non sostengo che l’esoterismo sia la chiave interpretativa della storia», precisa Galli. «Dico che ne è una delle componenti (e non delle più importanti), che però è stata completamente trascurata». E’ chiaro che a partorire il nazismo è stata la crisi politica, sociale ed economica patita dalla Germania a partire dal 1914. «Le cause che gli storici hanno studiato permettono di capire la vicenda tedesca anche senza bisogno di studiare l’esoterismo. Però, appunto, c’è anche l’esoterismo: e ha avuto un ruolo importante nella formazione culturale di una parte dell’élite nazionalsocialista».La storia politica ed economica spiega tante cose, ribadisce Galli, ma «talvolta, in determinate circostanze, non spiega tutto». Secondo il gollista Maurice Schumann, gruppi esoterici presenti anche in Vaticano hanno influenzato la nascita della stessa Unione Europea: «E’ una componente sin qui trascurata, meno importante di altre, ma che va tenuta presente». Giorgio Galli ha scritto anche un’introduzione al recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, nel quale Enrico Montermini mette in luce il rapporto (rimasto in ombra) tra il fascismo e l’esoterismo, dal ruolo di Giuseppe Cambareri – il mago di tanti ufficiali dell’esercito mussoliniano – all’intervento della massoneria anglosassone agli esordi delle camicie nere, fino al drammatico epilogo di piazzale Loreto, «macabro sacrificio rituale per celebrare simbolicamente la caduta dell’ultimo Cesare». Magia e dittature, ma non solo: «Lo stesso Churchill, che era massone – racconta Galli – si consultò moltissimo con l’ambiente esoterico, prima di decidere l’atteggiamento da assumere con Hitler». Furono alcuni esoteristi a confermargli che occorreva opporsi strenuamente al Terzo Reich: impossibile conviverci, perché avrebbe trasformato l’Europa nel peggiore degli incubi.Esoterismo? «E’ una cultura che ha solide radici nella storia dell’Occidente», spiega Giorgio Galli al pubblico di “Border Nights”. «Bisogna risalire agli astrologi caldei, ai profeti ebraici, fino a personaggi molto recenti come René Guénon e Julius Evola». Si intitola “Occidente misterioso” un saggio del 1987, edito da Rizzoli, in cui Galli indaga tra “baccanti, gnostici, streghe”, ovvero “i vinti della storia e la loro eredità”. «E’ una corrente di pensiero che ha solide radici e si ripresenta anche in periodi di grande avanzamento scientifico». Per dire: erano esoteristi Cartesio e Newton. «Si tratta di una cultura che ha profonde radici nello sforzo umano verso la conoscenza: radici così solide che, dal ‘500 in poi, ha potuto resistere al grande avvento della rivolzione scientifica». Quella dell’esoterismo «è un tipo di conoscenza che prevede approcci diversi da quelli scientifico-razionali». Metodo analogico, pensiero simbolico. Com’è che i politici entrano in contatto col mondo esoterico? «Esistono gruppi e associazioni che mantengono viva questa tendenza». Secondo la cultura esoterica, aggiunge il professore, «sulla Terra sono esistite civiltà molto remote, in genere scomparse per catastrofi naturali: l’esempio più noto sono i riferimenti che Platone fa ad Atlantide».Giorgio Galli segnala un libro come “L’altra Europa”, nel quale l’autore – Paolo Rumor (figlio di Mariano, pluri-minustro Dc) – documenta «la convinzione che siano esistite civiltà terrestri delle quali sono rimaste tracce, e in cui affonderebbe le sue radici la politica che poi ha portato all’Unione Europea». Intorno all’anno Mille, dice Galli, in alcuni ambienti «era maturata quella convinzione», riguardo all’ancestrale discenza da civiltà estinte. E quindi «ci sarebbe un rapporto tra antichi assetti sociali e il progetto dell’Ue, che in realtà è nato molto prima di quanto si ritenga». Se qualcuno ha in mente solo Jean Monnet, la Cee e l’Unione Europea si sbaglia: «Documenti di Mariano Rumor – afferma il professore – dimostrano che questo progetto sarebbe maturato molto più in là nel tempo, in ambienti legati alla cultura esoterica e alla convinzione dell’esistenza di antiche civiltà scomparse, che avrebbero lasciato tracce nella nostra cultura». Sicché, periodicamente, «emergono piccoli cenacoli, che credono di essere gli eredi di un antico sapere». Gli approcci sono diversi, aggiunge Galli: «Alcune società esoteriche sono orientate verso la conoscenza: per loro, l’esoterismo è uno strumento del sapere. In altri gruppi, invece, si ritiene che possa anche essere uno strumento per il potere».Non ha molti segreti, per Giorgio Galli, la contaminazione esoterica della politica: ne parlava già nel 1995 in “Cromwell e Afrodite” (Kaos), o in libri come “La politica e i maghi, da Richelieu a Clinton”, pubblicato da Rizzoli nello stesso anno. Galli ha firmato studi sulla massoneria, su Fatima, sulla new age, sulle Torri Gemelle. Titoli accattivanti: “La venerabile trama”, del 2007 (Lindau), racconta “la vera storia di Licio Gelli e della P2”. In “Stelle rosse” (Alacran, 2007), mette a nudo “astrologia neo-illuminista a uso della sinistra”. Titoli espliciti: “Politica ed esoterismo alle soglie del 2000”, scritto con Rudy Stauder e pubblicato da Rizzoli nel 1992, e “Esoterismo e politica” (Rubbettino, 2010). E’ del 2004 il saggio “La magia e il potere”, ovvero “l’esoterismo nella politica occidentale”, edito da Lindau. Ma cos’è la magia? Solo superstizione? «E’ un approccio culturale che si è manifestato in una fase della storia umana», spiega il professore a “Border Nights”, rispondendo alle domande di “Maestro di Dietrologia”. «Non credo che esista una magia con un reale potere», aggiunge. «Credo però che sia una convinzione diffusa». L’esoterismo, dice, è anche questo: «La convinzione che, facendo determinate operazioni, o con certe liturgie, si possano ottenere determinati risultati. La cultura esoterica è legata a questa convinzione, che però non è la mia».I maghi, aggiunge Giorgio Galli, sono i rappresentanti di questo tipo di cultura: talvolta entrano in contatto col potere e talvolta no. «La rivoluzione scientifica ha reso meno sistematici quei rapporti: quelli che vengono chiamati Magi, astrologi e veggenti facevano parte normalmente del personale vicino al potere – a Roma e in Grecia, poi nelle corti medievali. Fino al ‘500-600 questi rapporti erano organici e continui, in seguito sono diventati più rari o soltanto occasionali». E i famosi maghi consultati da capi di Stato? «In alcuni casi – risponde Galli – ci sono società segrete che trasmettono questo tipo di cultura. Alcune – tedesche, francesi, inglesi – sono elencate in “Hitler e il nazismo magico”. Probabilmente ne esistono ancora, anche se adesso la loro influenza mi pare molto minore di quanto non fosse all’inizio del secolo scorso». Magia e potere, ma soprattutto stelle, oroscopi, tarocchi. «Quello che so – aggiunge Galli – è che molti politici, anche di rilievo, consultano abituamente astrologi e cartomanti: sono un aspetto popolare e diffuso di culture che hanno origini esoteriche, ma è anche un campo che si presta moltissimo alle truffe e alle manipolazioni».Da Roma, ha contattato il professore un gruppo di tradizione esoterica che si definisce “Evoliani a 5 Stelle”, dal nome di Evola. «Sono degli esoteristi di cultura evoliana, che si esprimono positivamente attorno al Movimento 5 Stelle», precisa Galli. Non che l’esoterismo sia del tutto estraneo, ad alcuni aspetti del mondo grillino: «Lo stesso cortometraggio di Gianroberto Casaleggio, “Gaia”, esprime una cultura che qualche rapporto con quella esoterica potrebbe averlo: è collegata con la cultura delle grandi catastrofi, che poi alla fine danno un risultato positivo». Ma quello dei 5 Stelle è un populismo destinato a trasformarsi nella vera avanguardia tecnocratica del neoliberismo globalista? Giorgio Galli lo esclude in modo categorico. «I 5 Stelle secondo me sono ancora in una fase magmatica, in cui convivono componenti dell’anticapitalismo di sinistra e componenti dell’anticapitalismo di destra. Penso che siano in una fase di trasformazione – conclude il politologo – ma non credo affatto che possano diventare i nuovi strumenti del grande capitale: rimarranno sempre un movimento indirizzato a cambiamenti che, nella loro cultura, ritengono positivi. Che poi riescano nel loro intento è un altro problema, ma non credo che si mettano al servizio del potere capitalistico».Il mago in politica? Conta, sì. Ma non ha l’ultima parola. Certo, esiste: anche se i giornali non ne parlano mai. E spesso, proprio con il mondo esoterico sono in contatto i servizi segreti. Lo rivela il professor Giorgio Galli, autorevole politologo, per lunghi anni docente all’università di Milano. Un monumento della cultura italiana contemporanea. Classe 1928, ha all’attivo quasi cento titoli: dal volume d’esordio sulla storia del Pci, risalente al ‘53, fino all’ultimo lavoro, “Il golpe invisibile” (Kaos, 2015), che spiega “come la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo Stato di diritto”. Intervistato da Fabio Frabetti e Paolo Franceschetti a “Border Nights” sul ruolo dell’occultismo nella politica, il professore chiarisce: la deriva “magica” dell’esoterismo ha certamente condizionato importanti leader del passato, Hitler in primis. Ma poi il fenomeno si è attenuato. Perché parlarne, allora? Perché non ne parla mai nessuno, a livello di ufficialità, se non per liquidare l’argomento in modo sprezzante, come se il fenomeno non esistesse. Altrettanto sbagliato, secondo Galli, l’atteggiamento iper-complottista di chi considera onnipotenti le società iniziatiche, massoneria compresa: hanno il loro peso, senz’altro, ma non possono decidere tutto.