Archivio del Tag ‘M5S’
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Nell’Ue i partiti sono morti, l’ha capito anche la Spagna
Ormai possiamo chiamarla crisi della democrazia, o meglio: crisi della partitocrazia che ha sorretto l’attuale sistema. In Spagna nessuno dei partiti tradizionali – popolari (centrodestra) e socialisti – ha ottenuto la maggioranza assoluta. Come era accaduto in Italia nel 2013 e, a ben vedere, come è avvenuto poche settimane fa in Francia, dove per fermare l’avanzata di Marine Le Pen, Sarkozy e Hollande hanno dovuto coalizzarsi. Fino ad alcuni anni fa, il sistema si reggeva sull’alternanza centrodestra/centrosinistra che permetteva di mantenere ai margini i partiti alternativi e di opposizione. Quindici anni di folli politiche europee hanno portato a una continua erosione delle sovranità nazionali e al simultaneo impoverimento delle economie reali, dunque all’esplosione dell’indebitamento e della disoccupazione, generando per la prima volta dal dopoguerra massicci e spontanei moti popolari di protesta, che si traducono in un crescente consenso per i movimenti politici alternativi.La gente non crede più ai partiti tradizionali perché ne ha constatato l’impotenza. Chiede un cambiamento reale e, non trovandolo, segue “Podemos” e “Ciudadanos” in Spagna, la Le Pen in Francia, il Movimento 5 Stelle e la Lega in Italia. Trattasi, finora, di movimenti di maggioranza relativa o di forte minoranza, che però costringono l’establishment a chiudersi sulla difensiva, aprendo così un nuovo quadro: se centrodestra contro centrosinista non basta più, occorre che centrodestra e centrosinistra si uniscano nel nome, paradossalmente, del Supremo Interesse della Nazione per fermare l’“avanzata populista”, “salvare l’Europa”, “difendere l’euro”, “lottare contro le derive razziste”, eccetera eccetera. Probabilmente andrà a finire così anche in Spagna: una bella ammucchiata Psoe-Popolari. E forse basterà. Per ora. Ma dopo?Se non si affrontano le vere ragioni di questo dilagante e finora irreversibile malcontento, la protesta continuerà a crescere, come ho spiegato nel mio post di sabato 19. E da pacifica rischia di diventare violenta, inducendo l’establishment a risposte ancora più radicali. In fondo Mario Monti l’ha già lasciato intendere, in una recente intervista, affermando che«ci si può addirittura chiedere se la democrazia come noi la conosciamo e l’integrazione internazionale siano ancora compatibili, e questo porrebbe un problema gigantesco. In passato l’integrazione ha diffuso e rafforzato la democrazia in Europa, perché i vari Stati che uscivano da esperienze dittatoriali si sono aggrappati alla Ue per consolidare le loro democrazie – dalla Grecia al Portogallo, agli Stati ex comunisti. Oggi però la democrazia, anzi la deriva delle nostre democrazie, minaccia l’integrazione». Dunque il prossimo passo potrebbe essere la fine della democrazia, come la conosciamo oggi. Tutti sudditi, come nell’Unione Sovietica. Allacciate le cinture. Ci aspettano tempi difficili.(Marcello Foa, “Finta destra contro finta sinistra, anche la Spagna dice basta: il sistema sta crollando”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il Giornale” del 21 dicembre 2015).Ormai possiamo chiamarla crisi della democrazia, o meglio: crisi della partitocrazia che ha sorretto l’attuale sistema. In Spagna nessuno dei partiti tradizionali – popolari (centrodestra) e socialisti – ha ottenuto la maggioranza assoluta. Come era accaduto in Italia nel 2013 e, a ben vedere, come è avvenuto poche settimane fa in Francia, dove per fermare l’avanzata di Marine Le Pen, Sarkozy e Hollande hanno dovuto coalizzarsi. Fino ad alcuni anni fa, il sistema si reggeva sull’alternanza centrodestra/centrosinistra che permetteva di mantenere ai margini i partiti alternativi e di opposizione. Quindici anni di folli politiche europee hanno portato a una continua erosione delle sovranità nazionali e al simultaneo impoverimento delle economie reali, dunque all’esplosione dell’indebitamento e della disoccupazione, generando per la prima volta dal dopoguerra massicci e spontanei moti popolari di protesta, che si traducono in un crescente consenso per i movimenti politici alternativi.
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Linkiesta: caso Banca Etruria, ma Saviano ci è o ci fa?
Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.Prima questione. Banca Etruria e le altre banche erano tecnicamente fallite? Probabilmente sì. E se il governo non fosse intervenuto com’è intervenuto, agli azionisti, agli obbligazionisti, ai correntisti, alle famiglie e alle imprese cui le banche avevano concesso credito sarebbe andata molto peggio, come ha spiegato molto bene il direttore di “Formiche” Michele Arnese in uno degli articoli più chiari e completi sulla vicenda. Voleva questo, Saviano? Sperava che le quattro banche fallissero? Che anche i correntisti, le famiglie e le imprese pagassero come hanno pagato gli azionisti e gli obbligazionisti? Evidentemente sì. Allora non si capisce perché, solo poche righe dopo, il giornalista-scrittore parli con trasporto della «tragedia che ha colpito Luigino D’Angelo, il pensionato che si è suicidato dopo aver perso tutti i risparmi depositati alla Banca Etruria», come se fosse stato il governo, salvando le quattro banche, a spingerlo al suicidio, come se qualunque altra soluzione non avrebbe messo lui e molti altri nella medesima situazione. Quindi, giusto per mettere un punto e a capo: non è il governo che ha spinto al suicidio Luigino D’Angelo, bensì i guai della banca a cui aveva affidato tutti i suoi risparmi. L’intervento del governo, semmai, ha evitato disastri peggiori.Seconda questione. Se Josefa Idem si è dimessa per un piccolo caso di evasione fiscale, la ministra Boschi dovrebbe dimettersi perché suo padre «è» il vicepresidente di una delle quattro banche tecnicamente fallite e salvate dal governo. «È», dice Saviano. Indicativo presente. E non pago, definisce Banca Etruria «la banca di suo padre», come se la sede dell’istituto di credito fosse nel giardino di casa Boschi. Piccolo dettaglio: Pier Luigi Boschi è stato sì in passato, vicepresidente di quella banca, ma per soli otto mesi. Dettaglio non irrilevante, ai fini dell’invettiva. Peraltro, se la Idem si è dimessa per un caso che riguardava lei stessa, non vediamo perché la Boschi dovrebbe dimettersi per un caso che – fino a che il diritto non dirà che le colpe dei padri ricadono sui figli, perlomeno – non la riguarda personalmente. Per opportunità? O meglio, per rispondere alla «carica moralizzatrice del Movimento Cinque Stelle», che altro non è che la presunzione di colpevolezza, sempre, comunque e a prescindere, pure indiretta in questo caso? No grazie, caro Roberto.Terza questione: fino a ieri, dice Saviano, c’era una folta schiera di scrittori, giornalisti, intellettuali che «si sono sentiti investiti di monitorare cosa stesse accadendo alla politica italiana». Perché c’era Berlusconi, il Caimano. È grazie a loro, sostiene, se non siamo diventati la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan. Cosa che, sottintende, potrebbe succedere oggi, perché «l’opinione pubblica è più indulgente. I media sono più indulgenti». «Perché – si chiede – sotto Berlusconi non ci si limitava a distinguere tra responsabilità politica e opportunità politica, ma si era giustizialisti sempre?». Tradotto: belli i tempi in cui si poteva beatamente sorvolare il merito delle questioni in nome dell’emergenza democratica.Delle due, una, quindi. Se Saviano è davvero convinto di quel che dice – che le banche non andassero salvate, che è stato il salvataggio di Banca Etruria ad aver ammazzato Luigino D’Angelo, che Banca Etruria sia «la banca di Pier Luigi Boschi», che per questo sua figlia dovrebbe rimettere il mandato e che chi non la pensa come lui è connivente con una specie di regime peggiore di quello di Berlusconi – possiamo chiuderla qui, stendendo un velo di pietosa indifferenza sul suo intervento. Se invece ha usato una tragedia umana – non umanitaria, come dice il ministro Padoan, ma umana – per attaccare il governo Renzi – o, peggio ancora, per legittimarsi come capopopolo dei suoi oppositori, di veli pietosi ne servirebbero ben più d’uno.(Francesco Cancellato, “Caso Banca Etruria: ma Saviano ci è o ci fa?”, da “Linkiesta” del 12 dicembre 2015).Sul crac delle piccole banche salvate dal governo si è detto talmente tanto che, come ha ricordato qualcuno su Facebook «abbiamo scoperto di essere un popolo di sessanta milioni di esperti di obbligazioni subordinate». Tra quei sessanta milioni, l’11 dicembre, ha detto la sua anche l’autore di “Gomorra” Roberto Saviano, che ha affidato a “Il Post” una lunga riflessione dal titolo “La moglie di Cesare e il padre di Maria Elena Boschi”. Il succo del ragionamento di Saviano è piuttosto semplice. Banca Etruria era tecnicamente fallita prima che il governo la salvasse – insieme a Banca Marche, Carife e Cassa di Risparmio di Chieti. Il vicepresidente di Banca Etruria è il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di primo piano del governo in carica. Ergo, la ministra Boschi si deve dimettere. E chi non le chiede di dimettersi è connivente e pavido di fronte a un potere che è ancora più forte e senza argini di quello dell’orrido Berlusconi.
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Rabbia e paura, il voto in quest’Europa disastrata dall’euro
Fino a qualche anno fa parevano sbuffi isolati di rabbia: Haider in Austria, Bossi in Italia, Fortuyn in Olanda. Ed erano quasi tutti di destra. Ora non più. Ora un’onda di protesta sempre più alta e sempre più comprensibilmente rabbiosa investe quasi tutti i paesi dell’Unione Europea, con la significativa eccezione della Germania. E non è più solo di destra, e neanche solo di sinistra; talvolta è semplicemente civica, sempre e comunque fuori dagli schemi. La Spagna, che si reca alle urne, stando ai sondaggi non sfuggirà a questa tendenza. I progressisti di Podemos appaiono in calo ma sono in crescita i centristi di Ciudadanos; in ogni caso i movimenti centristi e alternativi seducono circa un terzo dell’elettorato. Un’enormità. E prima della Spagna c’era stata la Grecia. Oggi lo sappiamo: Tsipras non era un rivoluzionario e nemmeno un innovatore. Più che un leader, un bluff; ma il referendum della scorsa estate – poi tradito – ha rivelato il disagio profondo e trasversale della Grecia, un’autentica disperazione sociale, che non tocca solo le classi più povere ma travolge anche il ceto medio. Quella protesta era di formalmente di sinistra. Ma in Ungheria ha trionfato l’euroscettico Orban, così come in Polonia il partito di Kaczynski, che formalmente sono di destra.In Italia i sondaggi danno in crescita il Movimento 5 Stelle, la cui collocazione è indefinibile, e confermano la solidità della Lega di Salvini. Da nemmeno un mese il Portogallo ha un governo socialista, che si regge sull’appoggio, decisivo, di due partiti di estrema sinistra dichiaratamente contrari all’euro. In Danimarca il popolo ha appena approvato un referendum che rifiuta l’adozione automatica delle leggi europee e mantiene la clausola di opt-out. In Francia il fatto che la Le Pen sia stata fermata al ballottaggio non cambia il quadro di fondo: oggi il Fronte Nazionale è il primo partito di Francia e ha il vento in poppa. Potremmo continuare citando tanti altri esempi ma l’elenco diventerebbe stucchevole. La realtà è che oggi la vera contrapposizione non è più fra centrodestra e centrosinistra, perché agli occhi di molti elettori europei le differenze fra conservatori e progressisti moderati sono risibili e riguardano ormai aspetti marginali della vita pubblica. Oggi in tutta Europa il tema fondamentale, è la crisi economica che erode sia la libertà d’impresa sia la sicurezza sociale.Le analisi economiche sono impietose e non contestabili: da quando è entrato in vigore l’euro, il tenore di vita è diminuito nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea – inclusi quelli grandi come Francia, Italia e Spagna – la disoccupazione è aumentata con punte drammatiche per i giovani, mentre i cittadini sono vessati da tassazioni inaccettabili. Risultato: le economie, schiacciate dall’austerity, non crescono più. La crisi finanziaria del 2008 ha dato il colpo di grazia al sistema, che, infatti, da allora non si è più ripreso. Oggi centrodestra e centrosinistra hanno perso credibilità perché i loro leader hanno deluso sistematicamente le aspettative di un vero cambiamento. Non poteva essere altrimenti: la governance europea limita la libertà di manovra dei governi nazionali. Che all’Eliseo sieda Sarkozy o Hollande poco cambia. E allora i francesi ascoltano la Le Pen, che abilmente abbandona l’estremismo del padre e si appropria dei valori della République e del gollismo.Badate bene: a scegliere i movimenti alternativi non sono più gli emarginati ma gli industriali e gli operai, i lavoratori indipendenti e quelli pubblici, i giovani e i pensionati, accomunati dalla paura, dalla precarietà, dall’assenza di una prospettiva. Oggi nell’Unione Europea il piccolo imprenditore, gravato dalla burocrazia e dalle tasse, getta la spugna e il suo operaio, che perde il lavoro, solidarizza con lui ed è spaventato, talvolta disperato perché sa che difficilmente troverà un altro posto. Questo spiega – più di ogni altra considerazione – il successo dei partiti alternativi e di protesta. Biasimarli e tentare di screditarli come populisti non basterà. Fino a quando l’Unione Europea si ostinerà a non correggere alcune evidenti storture, la sensazione di malessere continuerà a crescere con il rischio, niente affatto remoto, che un giorno diventi socialmente esplosiva e incontrollabile.(Marcello Foa, “La protesta cresce, rischiamo una crisi esplosiva e incontrollabile”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il Giornale” del 19 dicembre 2015).Fino a qualche anno fa parevano sbuffi isolati di rabbia: Haider in Austria, Bossi in Italia, Fortuyn in Olanda. Ed erano quasi tutti di destra. Ora non più. Ora un’onda di protesta sempre più alta e sempre più comprensibilmente rabbiosa investe quasi tutti i paesi dell’Unione Europea, con la significativa eccezione della Germania. E non è più solo di destra, e neanche solo di sinistra; talvolta è semplicemente civica, sempre e comunque fuori dagli schemi. La Spagna, che si reca alle urne, stando ai sondaggi non sfuggirà a questa tendenza. I progressisti di Podemos appaiono in calo ma sono in crescita i centristi di Ciudadanos; in ogni caso i movimenti centristi e alternativi seducono circa un terzo dell’elettorato. Un’enormità. E prima della Spagna c’era stata la Grecia. Oggi lo sappiamo: Tsipras non era un rivoluzionario e nemmeno un innovatore. Più che un leader, un bluff; ma il referendum della scorsa estate – poi tradito – ha rivelato il disagio profondo e trasversale della Grecia, un’autentica disperazione sociale, che non tocca solo le classi più povere ma travolge anche il ceto medio. Quella protesta era di formalmente di sinistra. Ma in Ungheria ha trionfato l’euroscettico Orban, così come in Polonia il partito di Kaczynski, che formalmente sono di destra.
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Le Pen ha perso. La cattiva notizia? Hanno vinto gli altri
«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».Certo, i socialisti ne escono massacrati con la certificazione della loro irrilevanza politica, anche se il loro capo resta all’Eliseo. «Ma risorge la stella di Sarkozy: sai che acquisto!». Come è accaduto all’Ukip, a Podemos ed al M5S, forze diversissime fra loro ma accomunate dalla collocazione antisistema, il Fn è stato fermato quando sembrava stesse per spiccare il grande balzo, scrive Giannuli sul suo blog. «Personalmente penso che Ukip, Afd e Fn siano alternative peggiori all’esistente, mentre Podemos e M5S, al contrario, siano preferibili». In Grecia si è affermata Syriza – sappiamo a quale prezzo – e la coalizione di Tsipras è più simile alla Linke tedesca, con cui condivide l’appartenenza alla Sinistra Europea, piuttosto che a Podemos, nuovissima forza emersa come risposta alla crisi. Anche il voto francese dimostra che le forze più nuove e dichiaratamente antisistema «non riescono a sfondare, pur ottenendo risultati vistosi», anche per via del blocco delle “famiglie” politiche tradizionali (socialdemocratici, democristiani, liberali e Verdi), tutti pronti a far quadrato contro i “barbari”.In questo comportamento dell’elettorato, continua Giannuli, è evidente la paura del “salto nel buio”: «Ad esempio, l’uscita dall’euro è vista come una avventura pericolosissima che mette a rischio risparmi e redditi da lavoro, e la risposta delle forze antisistema (a parte Podemos che non mette in discussione l’euro o l’appartenenza alla Ue) non è apparsa tranquillizzante, perché non è stata prospettata alcuna credibile exit strategy che, quantomeno, attutisca l’eventuale urto». Più in generale, «queste forze sono apparse credibili più come espressione della protesta sociale che come possibile forza di governo: proposte troppo semplicistiche e al limite del miracolismo, personale politico non adeguato al ruolo, apparato organizzativo insufficiente». Per non parlare del silenzio assoluto sulla politica estera. In più, «i partiti antisistema rifiutano ogni alleanza come dimostrazione della loro “diversità”, una forma di integralismo im-politico più ancora che anti-politico».Eppure, un blocco elettorale vincente «non è una sommatoria di voti di anonimi cittadini, ma l’aggregazione di un blocco sociale, in grado di coprire uno spettro di interessi abbastanza stratificato». Neppure la Dc, partito “pigliatutto” per eccellenza, ce la faceva da sola: aveva bisogno dei partiti “laici”. «Può sembrare un paradosso che i partiti che si ergono contro il sistema, in nome degli interessi del popolo, poi non capiscano la dialettica delle forze sociali», aggiunge Giannuli. «Ma è appunto il loro essere populisti che li porta a concepire il popolo come una unità omogenea, priva di interessi differenziati e non attraversata da una dialettica interna». Insomma, «la protesta è giusta ma non basta». Per il salto – dalla protesta alla proposta – occorre «munirsi di una cultura politica di riferimento, superare le rozzezze attuali e darsi una struttura organizzativa adeguata: la tastiera di un computer non è sufficiente ad assicurare tutto questo».«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».
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Magaldi: Isis e austerity, doppia impostura e identici registi
Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).Loro, gli uomini del clan fondato dai Bush all’epoca dell’elezione di Reagan, avrebbero organizzato il disastro dell’11 Settembre. E oggi serebbero alle prese col nuovo copione del terrore, quello del Califfato. Per questo non bisogna mai credere all’Uomo Nero, aggiunge un altro massone, Gianfranco Carpeoro, schierato con Magaldi nel “Movimento Roosevelt”, associazione sorta per “risvegliare alla verità” la politica italiana (clamorosa la proposta, rivolta al Movimento 5 Stelle, di candidare a sindaco di Roma un valoroso combattente della democrazia come il grande economista Nino Galloni). L’Uomo Nero – ieri Bin Laden, oggi Al-Baghdadi – è sempre una creazione “magica” del potere: «Il loro obiettivo – ricorda Carpeoro a “Border Nights”, trasmissione radio via web – è sempre lo stesso: indurci a odiare il “nemico” di turno, anziché il sistema che l’ha prodotto». Ma l’Uomo Nero, per farci paura, ha bisogno di vaste coperture: politiche, diplomatiche, industriali, militari, finanziarie, mediatiche. I cosiddetti poteri forti. Attenzione, avverte Magaldi: non si tratta di una semplice élite di potere. I grandi burattinai sono tutti massoni, affiliati a superlogge segrete internazionali. E convinti che il popolo, semplicemente, non sia in grado di governarsi. Solo loro, gli “eletti”, auto-promossi in una sorta di “aristocrazia spirituale”, si credono in grado di stabilire cos’è bene e cos’è male.Sono gli uomini come il “venerabile” Mario Draghi, che Magaldi chiama “contro-iniziati”, cioè traditori della missione massonica originaria: “libertè, egalitè, fraternitè”, ideali su cui le logge del ‘700 basarono la storica guerra sotterranea contro l’assolutismo monarchico, innescando la Rivoluzione Francese e quella americana, quindi i Risorgimenti dell’800 e le grandi rivoluzioni del ‘900, compresa quella russa. Magaldi l’ha ripetuto in una lunga video-intervista che Claudio Messora ha realizzato e pubblicato sul seguitissimo blog “Byoblu”, vicino all’area grillina. Un’ora di rivelazioni a catena, per spiegare (anche) la candidatura romana di Galloni: «Se fosse eletto sindaco della capitale, esordirebbe con un gesto necessario e dirompente: la rottura del “patto di stabilità” che costringe artificiosamente gli enti pubblici a deprimere la spesa, mettendo in sofferenza i cittadini, non in nome di criteri economici ma solo di diktat ideologici imposti da quell’élite oligarchica che vuole semplicemente la fine della democrazia». L’autore di “Massoni” cita il politologo statunitense John Rawls e la sua “teoria della giustizia”: nulla in contrario alla ricchezza, se sudata, purché nella società non restino persone senza reddito, senza il diritto a un’esistenza dignitosa. Diritto al lavoro, da inserire nella Costituzione: «Oggi serve un’alta autorità deputata alla creazione della piena occupazione, in Italia», ben sapendo che la crisi – rigore, austerity, disoccupazione – è stata espressamente voluta: il bisogno e la paura del futuro trasformano i cittadini in sudditi, secondo la visione neo-feudale dell’élite dominante.Era un massone, Rawls, e purtroppo lo era anche Robert Nozick, il teorico dello “Stato minimo”: tagli drastici alla spesa sociale, come raccomandato anche dalla scuola austriaca, quella di Friedrich Von Hayek, altro massone, punto di riferimento di un esponente nostrano della massoneria neo-oligarchica, Mario Monti. Proprio la “libera muratoria”, insiste Magaldi, è il convitato di pietra dei nostri giorni: benché assente, clamorosamente, dalla storiografia, la massoneria ha letteralmente “fatto la storia”, creando le basi della modernità (democrazia, elezioni, Stato di diritto), e poi ha partorito un’élite di potere di segno opposto, reazionario, che ha dominato gli ultimi decenni. Un’élite di rinnegati e “contro-iniziati”, appunto: «Tradiscono l’ispirazione umanitaria della massoneria storica, che ha conferito ad ogni singolo cittadino, prima la prima volta, una quota di sovranità: prima non esistevano cittadini, ma solo sudditi, esposti all’arbitrio del monarca». Se non ci si decide a riconoscere finalmente il ruolo positivo e decisivo della “libera muratoria” come leva dello sviluppo civile democratico, fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo promossa da Eleanor Roosevelt, è impossibile capire fino in fondo chi abbiamo di fronte oggi, insiste Magaldi: è fondamentale la matrice massonica del nuovo super-potere, quello delle Ur-Lodges apolidi e affaristiche, pronte a manipolare la storia sociale del mondo in nome delle proprie convinzioni iniziatiche, corrotte dal suprematismo neo-aristocratico.Enorme, comunque, anche tra i commenti sul blog di Messora, la diffidenza nei confronti di Magaldi e della massoneria in generale. «In materia, in Italia, c’è un’ignoranza abissale», ammette lo stesso Magaldi, che nel suo libro denuncia il ruolo di Gelli e della P2 come longa manus della superloggia reazionaria e golpista “Three Eyes”, quella di Kissinger, a cui sarebbe stato affiliato anche Giorgio Napolitano. In polemica col “Grande Oriente d’Italia”, Magaldi ha condotto una battaglia per la trasparenza, fondando il “Grande Oriente Democratico”. Poi ha concepito il progetto editoriale “Massoni”, per scuotere le acque, affiliandosi anche alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”. Il “Movimento Roosevelt” è l’ultima creatura, apertamente politica, per contrastare l’emergenza attuale, fondata sull’artificio ideologico del rigore. Non è casuale, ovviamente, il richiamo al grande presidente americano: «Quando gli Usa agonizzavano, in preda alla Grande Depressione, il repubblicano Hoover condusse la sua campagna elettorale nel silenzio imbarazzato del suo stesso partito: nessuno più credeva alla ricetta dell’austerity, ed era il 1929. La riscossa venne proprio dal massone Roosevelt, grazie al genio economico di un altro massone, John Maynard Keynes, l’uomo della spesa pubblica espansiva: solo lo Stato ha il potere di risollevare le sorti dell’economia. A loro, l’Europa deve lo sviluppo e la prosperità del dopoguerra».Grandi personaggi, leader storici indiscussi, di cui però viene sempre regolarmente omessa l’appartenenza massonica. Un “buco nero” a cui probabilmente ha contribuito la massoneria stessa, con la sua tradizionale riservatezza, ereditata dall’epoca in cui gli inventori della democrazia rischiavano il cercere e la forca. Oggi la massoneria torna a fare notizia, ma generalmente in negativo: sinonimo di potere occulto, di network deviato e pericoloso. «Io sono orgogliosamente massone», protesta Magaldi, «e, come me, tanti “fratelli”, in Italia e nel mondo, decisi a contrastare questa leadership egemonica nefasta». Grande complotto, da parte dei neo-aristocratici? L’autore di “Massoni” preferisce parlare di “progetto”: «E’ comprensibile che, chi ha creato la modernità, pensi di poterla pilotare a suo piacimento. Comprensibile, ma sbagliato: il potere deve assolutamente e rapidamente tornare al popolo, per via democratica. E questo, anche se i libri di storia non lo spiegano, è un orientamento non soltanto giusto, ma anche profondamente massonico, nonostante il pessimo esempio fornito dai contro-iniziati come Draghi e Monti». Il viaggio di Gioele Magaldi continua, come le tappe della presentazione del suo libro, oscurato dai media mainstream. «Lei non ha paura?», gli domanda Messora. «Ricevo minacce di morte, ma vado avanti», assicura Magaldi, deciso a completare la missione: strappare il velo che ci impedisce di vedere che i burattinai dell’Isis e quelli dell’austerity europea sono le stesse persone.Non credete a quello che vi dicono, non date retta alla verità ufficiale. Non lo dice un “complottista”, ma un massone atipico come Gioele Magaldi, che da un anno gira l’Italia presentando il suo libro sconcertante, edito da Chiarelettere, che mette in piazza i misfatti di alcune delle 36 Ur-Lodges che reggono i destini del mondo, dietro le quinte, manovrando leader che spesso hanno direttamente fabbricato. Leader e “nemici da abbattere”, come la loro ultima creatura, l’Isis, fatta apposta per generare paura, odio e guerra, rimestando nel torbido stagno dello “scontro di civiltà”, evocato per la prima volta dal massone Samuel Huntington, autore del saggio “La crisi della democrazia” voluto dalla Commissione Trilaterale, organismo “paramassonico” e cinghia di trasmissione semi-ufficiale dei voleri dell’élite-ombra, il cui obiettivo, da quarant’anni, è sempre lo stesso: sabotare la sovranità degli Stati, per consegnare tutto il potere nelle mani dei signori del “mercato”. Il traffico di petrolio denunciato clamorosamente da Putin, che collega l’Isis alla famiglia presidenziale turca? Verità svelate da almeno un anno, tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: Erdogan fa parte a pieno titolo della superloggia “Hathor Pentalpha”, nel cui nome c’è già l’Isis (Hathor, secondo nome della dea egizia Iside).
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Nino Galloni sindaco di Roma: troppo bello per essere vero?
«Carissimi, vi giro un link del Movemento Roosevelt (MR) in cui si fa una proposta diretta al M5S per la candidatura a sindaco di Roma. La proposta è un po’ “arrogante” ma il candidato, Nino Galloni, appare di elevato livello», scrive Filippo Ridolfi, il 29 novembre, sul forum del blog di Grillo. «Puoi dire al MR di andare a fare in c***», chiarisce il grillino Massimiliano Morosini. A un altro iscritto, “Gnam Gnam”, il nome Galloni non dice granché: «Vediamo un po’. Uhm, non trovo il curriculum del tizio». Un quarto attivista, “Filippo”, s’illumina: «Ahah… ho visto anche un “Passaparola” di Beppe con Galloni». Sdoganato, quindi, il grande economista? Macché: «Preferisco Virginia Raggi», chiosa “Ste”, alludendo alla giovane avvocatessa grillina «sbarcata in Campidoglio nel 2013 col vento del grillismo per occuparsi di stanziamenti per il verde pubblico», come scrive “Linkiesta”. La Raggi? «Un po’ di lavoretti da cameriera e baby sitter, il volontariato nei canili. Oggi è avvocato civilista esperta diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Se prendesse il posto di Marino sarebbe il primo sindaco donna nella storia della Capitale». E Galloni?La “pazza idea” di candidare a Roma l’insigne economista progressista, già alto funzionario governativo – protagonista di una battaglia sotterranea per salvare l’Italia dal disastro del Trattato di Maastricht – proviene dal movimento fondato da Gioele Magaldi, massone e autore del dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere) che denuncia i misfatti di alcune Ur-Lodges, fra le 36 superlogge segrete ai vertici del potere mondiale, negli ultimi decenni alle prese con la svolta oligarchica che ha imposto la grande crisi alle masse, arricchendo l’élite. Fulcro della grande restaurazione planetaria, il taglio neoliberista dello Stato a vantaggio dei signori del “mercato”: meno spesa pubblica, azzeramento del debito, tassazione alle stelle, crollo del Pil e disoccupazione. Tutto ciò imposto, in Europa, attraverso la scure dell’euro, che Galloni considera un’arma (economica) di distruzione di massa. Tanto era temuto, Galloni, che – ai tempi dell’ultima stagione governativa di Andreotti – spinse il cancelliere Kohl a muoversi, personalmente, perché fosse rimosso. Una battaglia, la sua, per la difesa della sovranità italiana, nella certezza che le modalità di imposizione della moneta unica avrebbero devastato l’economia nazionale, declassandola e deindustrializzandola.Era un piano preciso, ha spiegato Galloni a Claudio Messora, sul blog “Byoblu”: l’euro fu imposto dalla Francia per indebolire la Germania, di cui temeva la riunificazione; in cambio, Berlino pretese (e ottenne) il ridimensionamento del suo concorrente industriale più pericoloso: noi. Questo è il personaggio su cui “Filippo”, “Ste” e “Gnam Gnam” si saranno ormai documentati. Allievo del maggiore economista europeo del dopoguerra, il professor Federico Caffè, e quindi “compagno di banco” di Bruno Amoroso, eminente economista impegnato in Danimarca, e di un certo Mario Draghi, che si laureò con una testi sulla insostenibilità della moneta unica, molto prima di salire sul Britannia per la grande svendita dell’Italia. Riuscirà il Movimento 5 Stelle a prendere in considerazione l’offerta? Galloni collabora col Movimento Roosevelt, che vuole riscrivere le linee-guida della politica (e quindi dell’economia) per aiutare l’Italia a uscire dal disastro. Fine della sudditanza rispetto all’élite finanziaria che manovra Bruxelles? «Ma noi non siamo contro l’euro», dichiarò Gianroberto Casaleggio a Marco Travaglio, giusto alla vigilia delle ultime elezioni europee, segnate dalla squillante affermazione, in tutta Europa, di partiti e movimenti decisi a mettere fine alla catastrofe economica innescata proprio dalla moneta unica, quella che lo stesso Draghi, studente modello, giudicava una follia.«Nino Galloni sindaco di Roma? Magari!», sogna ad occhi aperti Andrea Signini su “Signoraggio.it”, definendo Galloni «grande giurista, nome di punta degli anni Ottanta e Novanta, il cosiddetto “oscuro funzionario” il quale, di contro, tutto è tranne che oscuro, dal curriculum di pregio e dalla profonda conoscenza delle dinamiche dell’economia, della finanza e anche della politica, di cui non ha mai fatto parte se non a richiesta, come professionista interrogato per risolvere i problemi che la politica stessa ha sempre causato». Già ricercatore all’università di Berkeley, tra il 1980 e il 1987 Galloni collaborò strettamente col suo maestro Federico Caffè, economista post-keynesiano, all’università di Roma. In seguito, Galloni ha insegnato economia alla Luiss di Roma, alla Sapienza, alla Cattolica di Milano, negli atenei di Modena e di Napoli. E’ stato direttore generale al ministero del lavoro, ha diretto l’osservatorio sul mercato del lavoro e l’occupazione giovanile, ha lavorato all’Inpdap e all’Ocse, è tra i sindaci dell’Inps e dell’Inail. Ha anche fondato il Centro Studi Monetari, un’associazione per lo studio dei mercati finanziari e delle forme di moneta emettibili senza creare debito pubblico.Galloni punta al ritorno della sovranità finanziaria nazionale e alla netta separazione tra banche d’affari, speculative, e credito pulito al servizio dell’economia reale, com’era prima dell’abolizione del Glass-Steagall Act ad opera di Bill Clinton, che diede la stura definitiva alla roulette finanziaria mondiale, decisa a “pescare” anche nella finanza pubblica. Il dramma risale al 1981, ricorda ancora Galloni, quando Ciampi e Andreatta staccarono il Tesoro da Bankitalia, che fino ad allora era il “bancomat del governo”, a costo zero, costringendo il paese ad attingere denaro attraverso l’emissione di titoli di Stato. Interessi salatissimi: «Così, di colpo, il debito pubblico italiano raddoppiò». Galloni? «E’ l’uomo giusto al punto giusto», scrive Signini. «Apprezzato da destra a sinistra, dal popolo cosiddetto moderato e quello di nicchia; ma soprattutto ammirato da chi accorre alle sue conferenze; conferenze che tiene in tutta Italia senza mai farsi pagare, ricordiamolo. Nino è così: sobrio nelle scelte, sobrio nel vivere, anche nel vestire. Non giuda Jeep o Ferrari, no. Lo puoi trovare nei consessi internazionali di finanza ed economia e poi il giorno appresso seduto al bar con gli appartenenti di ogni forza politica, di qualsiasi colore e schieramento o a parlare amabilmente con chi lo riconosce e gli chiede consigli e suggerimenti».«Questo è Nino», conclude Signini: Galloni è «l’altro allievo di Federico Caffè, del tutto diverso da Mario Draghi». Con tutta probabilità, «grazie proprio al bagaglio culturale e professionale che ha sviluppato sin dai tempi in cui, dopo essere ritornato dagli Usa per venire ad insegnare nelle università italiane», Nino Galloni «non può che essere colui sul quale scaricare la responsabilità di rifondare Roma», devastata dalle amministrazioni Alemanno e Marino. «Tentare di pescare l’ennesimo nome dal cilindro lercio della politica, sappiatelo, è inutile, oltre che nocivo», assicura Signini: «C’è rimasto solo Galloni». Che ne pensano “Ste”, “Gnam Gnam” e tutti gli altri? E soprattuttto: come la vedono Grillo e Casaleggio? E’ ovvio che una candidatura come quella di Galloni nella capitale rappresenterebbe una rivoluzione copernicana, dopo decenni di politica nazionale affidata a mezze figure prone ai diktat dei “padroni” stranieri, i veri burattinai della “casta” impresentabile contro cui si è scagliato il grillismo prima maniera. La sola candidatura di Galloni, col suo inevitabile contributo culturale, contribuirebbe a scardinare una lunga stagione di menzogne. Mission impossible?«Carissimi, vi giro un link del Movemento Roosevelt (MR) in cui si fa una proposta diretta al M5S per la candidatura a sindaco di Roma. La proposta è un po’ “arrogante” ma il candidato, Nino Galloni, appare di elevato livello», scrive Filippo Ridolfi, il 29 novembre, sul forum del blog di Grillo. «Puoi dire al MR di andare a fare in c***», chiarisce il grillino Massimiliano Morosini. A un altro iscritto, “Gnam Gnam”, il nome Galloni non dice granché: «Vediamo un po’. Uhm, non trovo il curriculum del tizio». Un quarto attivista, “Filippo”, s’illumina: «Ahah… ho visto anche un “Passaparola” di Beppe con Galloni». Sdoganato, quindi, il grande economista? Macché: «Preferisco Virginia Raggi», chiosa “Ste”, alludendo alla giovane avvocatessa grillina «sbarcata in Campidoglio nel 2013 col vento del grillismo per occuparsi di stanziamenti per il verde pubblico», come scrive “Linkiesta”. La Raggi? «Un po’ di lavoretti da cameriera e baby sitter, il volontariato nei canili. Oggi è avvocato civilista esperta diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Se prendesse il posto di Marino sarebbe il primo sindaco donna nella storia della Capitale». E Galloni?
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Made in Italy e Qatar: facciamo affari con chi finanzia l’Isis
«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.La società, che fu fondata dall’ex ministro Giulio Tremonti nel 2011, venne ideata sul modello francese per difendere le aziende italiane che grazie alla crisi rischiavano spesso di venir acquistate da società straniere, come è accaduto alla Parmalat. Tuttavia sembra che finito il governo Berlusconi, lo scopo sia stato tutt’altro. L’Fsi nel 2013, nei mesi successivi ad una visita in Qatar dell’allora premier Mario Monti, ha costituito una joint venture con il fondo sovrano qatariota dando vita ad una società dedicata, si legge nel comunicato, squisitamente al made In Italy, denominata Iq Made in Italy Venture. La società, forte dei milioni del fondo sovrano è entrata (tanto per trarre un esempio delle sue attività) in società con un colosso della carne italiana, Cremonini, rilevando il 28,4% della Inalca, gruppo dell’imprenditore bolognese, che si occupa della distribuzione delle sue carni all’estero.Al di fuori degli affari con il ministero del Tesoro, il fondo sovrano qatariota ha rilevato all’inizio dell’anno per intero, passando dal 40% precedente al 100% attuale, la struttura di Porta Nuova a Milano, il complesso di grattacieli e palazzi, che era controllata dalla Hines srg (insieme ad altre società come Unicredit) dell’imprenditore Manfredi Catella. Siamo dunque all’ennesima fregatura di Renzi, a meno che non si voglia avere l’ardire di negare i coinvolgimenti dell’emirato nel finanziamento di gruppi radicali islamici, compresi i gruppi afferenti all’Isis. Non solo con il Qatar ci facciamo bellamente affari, ma consentiamo agli emiri di papparsi i nostri prodotti made In Italy, comprese le aziende dell’alta moda come Valentino, acquistata dagli Al-Thani nel 2012. Ma il Qatar ha compiuto negli anni una politica molto accorta, dove ha saputo da un lato proporsi come interlocutore di pace, lo ha fatto in Afghanistan, e lo ha fatto in Libano. E dall’altro ha cavalcato le primavere arabe, che se non erano piaciute ai sauditi, che hanno perso, a causa di queste ultime, alcune roccaforti come l’Egitto di Mubarak, hanno consentito ai qatarioti di fomentare più di tutti, i ribelli in Libia.Ma stranamente non se ne parla mai, né ne parlano i soliti analisti ed opinionisti che affollano le trasmissioni di approfondimento che si accalcano negli ultimi giorni. I soldi del Qatar fanno comodo a molti paesi europei, in primis la Francia. Sebbene ora sul campo degli imputati ci sta andando l’Arabia Saudita, chi è ben informato sa che i sauditi formalmente non hanno finanziato direttamente l’Is, ma semmai il fronte di al-Nusra. Ma è anche bene sapere come abbiamo spiegato anche sulle colonne di questa testata che il fronte di ribelli armato e definito a torto come moderato e l’Isis sono praticamente la stessa cosa. Se al-Nusra nasce da una cellula di Al-Qaida, l’Isis nasce dalla stesa radice dei movimenti wahabiti, ma questa è un altra storia. Ciò che importa è sapere che l’Italia non solo fa affari con il Qatar, ma vende armi ai sauditi tramite Finmeccanica, come ampiamente evidenziato in questi giorni e in tono polemico dagli esponenti del Cinque Stelle, così come il nostro vende la sua compagnia aerea di bandiera agli emirati arabi, altro Stato accusato di avere più di buoni rapporti con certe frange islamiste.Ma Renzi oltre a queste incongruenze non perde occasione di fare la solita propaganda di bassa lega. La totale assenza di dialogo con il Vaticano viene spacciata come un successo. Secondo il premier, infatti, al Papa non si poteva chiedere di rinviare il Giubileo, ma questa è implicitamente un’ammissione di debolezza. Di fatto Papa Francesco ha imposto un Giubileo non programmato in una città come Roma, che vive uno dei peggiori momenti della sua storia, non tanto per una questione di sicurezza, ma a livello amministrativo, sociale e politico. Nessuno vuole vietare alla Chiesa cattolica di compiere la propria missione, ma rimandare un evento così importante come il Giubileo e aspettare un momento politico più stabile dell’amministrazione della capitale, sarebbe stato saggio. E che il presidente del consiglio non abbia neanche provato a costruire un dialogo con il Vaticano sulla questione del Giubileo è abbastanza grave. Anche la promessa di aumentare la spesa pubblica per l’apparato di sicurezza in barba alla spending review, appare buttata lì per imbonire l’opinione pubblica.L’emergenza immigrazione ha messo a dura prova la capacità dello Stato italiano in generale di garantire sicurezza e giustizia ai propri cittadini. E sappiamo bene come il traffico di migranti serva a molte società vicine ai partiti per fare affari. Motivo per il quale, viste le condizioni della Polizia di Stato, piuttosto che rassicurarsi delle parole del premier, bisogna ringraziare qualcuno lassù che il nostro paese conti davvero così poco in questo periodo storico da risultare poco credibile, a nostro avviso, che vi possa essere una reale minaccia terroristica alle città italiane. Infine il premier ha dato merito all’intelligence italiana nell’aver dato una mano importante nell’individuazione di Jihadi John, cosa tutta da verificare, ammesso che uccidere uno che fa il boia sia così importante nella lotta all’islamismo e non invece il solito gossip di guerra buono per twitter e i telegiornali.Dunque soltanto in una cosa ci sentiamo di concordare con il leader del Pd: è inutile farsi prendere dall’isteria, l’Italia ha saputo già superare gravi minacce terroristiche, senza fare ricorso ad ulteriori restrizioni delle libertà personali, soprattutto in un’epoca nella quale siamo spiati da internet e tecnologie varie molto più di 30-40 anni fa, e spesso basterebbe un bambino un po’ pratico per conoscere vita morte e miracoli di una persona soltanto dal profilo Facebook. Ma è anche vero che dell’Italia del 2015 c’è poco da fidarsi, il disagio e il caos in cui vivono le nostre città da alcuni anni la dice lunga sulle possibilità di tenuta dello Stato italiano in caso di grave emergenza e destabilizzazione. Per il resto Renzi e Pd bocciati e menzogneri, come sempre.(Mirco Coppola, “Allarme terrorismo, le nuove menzogne di Renzi”, da “Opinione Pubblica” del 19 novembre 2015).«Non facciamo affari con paesi che finanziano l’Isis», così il premier Matteo Renzi ha liquidato l’argomento ad esplicita domanda, nel corso dell’intervista rilasciata a SkyTg24 mercoledì sera. Storiella, questa, che andrà ad aggiungersi alla collezione di bugie sesquipedali alle quali il premier ci ha abituato. Se è vero, infatti, che è da qualche tempo ormai riconosciuto a livello internazionale il ruolo principale dell’emirato del Qatar nel finanziamento del Daesh (Isis), non si vede all’orizzonte nessun provvedimento nei confronti del Qatar da parte dello Stato italiano. Le attività economiche dei qatarioti nel nostro paese sono diverse e seppure non raggiungano ancora la mole di investimenti già toccata in Francia, la dimensione degli affari tra Italia e Qatar, pubblica o privata che sia, sta diventando altrettanto importante. Sebbene non abbiano ancora comprato una squadra di calcio, come è capitato al Paris Saint-Germain, il fondo sovrano qatariota, la Qatar Holding Llc, ha buoni rapporti con imprenditori italiani e addirittura con il Fondo Strategico Italiano Spa (Fsi), società controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, cioè direttamente dallo ministero del Tesoro.
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Prima dell’acqua potabile, Messina avrà il plastico del Ponte
Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.Non ci sarebbe stato bisogno in realtà di nessun Vatileaks per sapere che la Chiesa Cattolica è una delle multinazionali più avide e corrotte del pianeta. E la gestione delle attrazioni e dei flussi turistici è sempre stata una delle sue specialità. Renzi è un animatore turistico, e fare dell’Italia il suo villaggio probabilmente è proprio il compito che gli è stato assegnato. Perché il progetto in realtà non è soltanto berlusconiano. Questa è anche l’idea che le classi dirigenti d’Europa e del resto del mondo hanno dell’Italia: un resort di loro proprietà dove venire ad ammirare panorami, monumenti, e culi, al dolce canto dei tenorini di Sanremo.Quindi il premier che gli serve in Italia è un curatore, un commissario, come Monti, ma con un’immagine mediatica più accattivante. Un commissario cazzaro. E gli serve una Costituzione truccata come una Volkswagen apposta per mantenere il Commizzaro al suo posto il più possibile.Secondo gli ultimi sondaggi, in un eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle batterebbe il Pd. L’Italicum sarà quindi modificato in modo che assegni la maggioranza assoluta dei seggi al perdente. Poi il Team Expo sostituirà Camera e Senato con due padiglioni. Alla maggioranza del resto degli italiani resteranno i ruoli di cameriere stagionale, sguattero precario, guida turistica abusiva. Pizzaiolo. Cubista. Sfondo da selfie. Agli intellettuali, quello di posteggiatori. Meno i turisti capiranno l’italiano, più apprezzeranno i loro stornelli. Messina avrà il plastico del ponte prima dell’acqua potabile. Mentre il Commizzaro s’impegnerà a dimostrare ai Casamonica d’essere un giostraio più abile di loro.(Alessandra Daniele, “Il Comizzaro”, da “Carmilla online” dell’8 novembre 2015).Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.
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Crisi senza fine? La previde vent’anni fa il “profeta” Craxi
Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.Rivelazioni che «spiegano con parole mirate e incisive i fatti degli ultimi anni ed odierni, ancora oggi tristemente e quotidianamente sotto gli occhi del tutto ignari della quasi totalità» del pubblico, che magari vota Renzi e ha di Craxi un pessimo ricordo. Un libro, quello dell’ex leader del Psi, definito (oggi) da diversi giornalisti “profetico”, “sorprendente”, “agghiacciante”, “al limite della preveggenza”. Lo Stato è a pezzi, così come l’idea di nazione? «La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata», scrive Craxi. «Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali». Al contrario, «cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». E attenti: «Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare».Da Mani Pulite, Craxi fu liquidato come “capo di una banda di ladri” per via del finanziamento illecito ai partiti, compreso il suo? «I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico – scrive l’ex leader socialista – sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira, evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla».Possibile che sul finanziamento illecito non avesse niente da dichiarare il Pci? «D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico», scriveva Craxi. «Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”». E’ storia, ormai: «Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra e adottato da tutti, anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio».“Serviva”, quel coperchio, per legittimare una “nuova” classe dirigente europeista, usa obbedir tacendo. «Il regime avanza inesorabilmente: lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato», scriveva Craxi quasi vent’anni or sono. «La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza». Il regime, continua Craxi, «avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante». A proposito di “sottocultura”, Bellisario ricorda il recentissimo attacco «violento, squallido e di bassissimo profilo» sferrato da Luciana Littizzetto contro il Movimento 5 Stelle nientemeno che dalla tribuna televisiva di Fabio Fazio, sulla Rai (in compenso, all’epoca, dalla televisione di Stato fu cacciato Beppe Grillo, colpevole di mettere alla berlina di socialisti “ladri”: anche di quello si occupava, Craxi, anziché esternare sui pericoli della globalizzazione privatizzatrice in arrivo).«Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici», scrisse più tardi, da Hammamet, il segretario del Psi. «A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione», che è sempre «presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca: una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale». Parole sante, col senno del poi? Non si direbbe: la Grande Privatizzazione continua anche ora e più che mai, con Renzi, che mette all’asta persino un modello di impresa pubblica in super-attivo, Poste Italiane.Facile dire che vedeva lungo, Craxi: «La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Chissà cos’avrebbe detto, oggi, di fronte agli ultimi orrori, a comiciare dal Ttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue che rade al suolo ogni residua sovranità economica. Per non parlare del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio inserito addirittura in Costituzione, a certificare la morte clinica dello Stato come garante della comunità nazionale. Ai tempi, quando i Prodi e i Ciampi magnificavano il dorato avvenire promesso da Bruxelles, Craxi scriveva: «I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti». E l’andamento di questi anni «non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori: la situazione odierna è diversa da quella sperata».Ogni trattato, aggiungeva Craxi, può e deve essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali e alle nuove esigenze: «Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà», lontano cioè dall’autismo dogmatico dei tecnocrati e dei loro cantori più o meno prezzolati, distribuiti in ogni paese. «Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione». La “scelta della crisi”, dunque, da cui la “conseguente disoccupazione”. L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Ed era solo la fine degli anni ‘90. L’Italia non era ancora finita nel girone infernale della Bce: recessione e crollo del Pil, super-tassazione, licenziamenti e fallimenti, erosione dei risparmi, disperazione sociale, rassegnazione al declassamento dell’Italia Così parlava il “profeta” Craxi. Rileggerlo oggi? Scomodo, per troppi personaggi in pista già allora. Uomini che però, anziché ad Hammamet, sono fini alla Bce, al Fondo Monetario e all’Ocse, a Bankitalia, alla Goldman Sachs. E naturalmente a Palazzo Chigi, e al Quirinale.Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.
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Scie chimiche, persino Grillo minimizza (come i nuovi troll)
«La causa delle scie chimiche sono gli aeroplani col motore Volkswagen» (Beppe Grillo, 24/9/2015). Assolutamente non richiesto, Beppe Grillo ci dà un esempio di come opera la disinformazione di regime: prendere un tema drammatico, anzi disumano, e normalizzarlo inserendolo in un contesto comico. Per chi ancora avesse dei dubbi sulla reale gestione/funzione del M5S (opposizione con-trollata), a dispetto dell’onestà e dell’impegno della grande maggioranza degli iscritti e dei votanti, compreso chi scrive. Se solo volesse, Grillo potrebbe sfruttare la sua esposizione mediatica internazionale per denunciare pubblicamente questo crimine contro l’umanità e fare i nomi dei responsabili, invece di normalizzarlo con battute di (dubbio) spirito. Basterebbe un video di 10 minuti, ma non lo farà mai, perché i responsabili sono gli stessi che lo hanno messo dov’è ora. Colgo l’occasione per ricordare che molti troll in rete usano la vicinanza al M5S per ottenere una sorta di “patente di credibilità”, uno schermo dietro cui nascondersi per esercitare al meglio la loro “mission”.Ultimamente sto notando lo stesso schema di like/appartenenza a gruppi “misti” (pro e contro geoingegneria) di un certo tipo di troll, il “finto possibilista”, che interviene nei gruppi con post “descrittivi” senza foto, al massimo una decina di righe che spesso culminano in una domanda, apparentemente sensata ma in realtà mirata a distogliere l’attenzione dai veri scopi delle scie chimiche (per quanto mi riguarda, l’obiettivo principale è il controllo mentale / comportamentale / umorale delle persone attraverso le nanotecnologie). Sono ormai più di due anni che quotidianamente studio la geoingegneria da diversi punti di vista; negli ultimi mesi su richiesta di un caro amico sono diventato co-amministratore di un gruppo a tema, e ho potuto così approfondire le tecniche di disinformazione dei vari gruppi di trollaggio: provenienza geografica e ideologica, strategie di intervento e di like tra di loro, format dei commenti, pagine “strategiche” cui fanno riferimento, apparati statali che li proteggono.Essere “admin” mi ha dato modo di notare anche le ondate di iscrizioni dei troll, da chi vengono invitati e soprattutto da chi vengono prontamente (almeno fino al mio arrivo) accettati, che nel caso del mio gruppo è sempre la stessa persona. Ho cominciato a studiare quindi i meccanismi di iscrizione anche negli altri gruppi cui partecipo, e la conclusione è che molti di questi 100 gruppi sono infiltrati per quasi la metà del numero di iscritti. A volte metto dei “post esca”, o commenti esca, per stanare questi delinquenti, che infatti nel tempo si palesano per quello che sono e la mission che devono compiere. Soprattutto mi sono reso conto che i troll ricevono dei veri e propri input a livello internazionale (sono iscritto anche in diversi gruppi stranieri), quindi all’improvviso e dal nulla ci troveremo con lo stesso articolo-bufala (magari di un anno prima) spammato in tutti i gruppi e con gli stessi commenti sotto… tradotti in tutte le lingue. Ciò è davvero allucinante, perché prevede una regia internazionale solidissima e molto molto intelligente, più una struttura organizzativa capillare che arriva fin nei gangli minimi della nostra società.Il grosso del lavoro “sporco” viene fatto da giovani reclutati all’interno delle facoltà tecnico-scientifiche delle università, cooptati da professori-baroni legati alla massoneria internazionale. Ci sono poi i troll di provenienza “politica”, foraggiati cioè sempre dallo Stato ma passando per la mangiatoia dei partiti: i piddini, quelli di destra, e quelli che appunto usano lo schermo del Movimento 5 Stelle per dotarsi di una “patente” di credibilità… Altro criterio di distinzione dei troll è quello geografico: due zone in particolare (guardacaso fortemente condizionate dalla presenza della Nato) costituiscono un serbatoio di addetti alla disinformazione: Friuli-Veneto e Sardegna: in queste regioni la corrente “nera” e indipendentista storicamente si è legata ai servizi segreti e oggi viene telecomandata ai fini dell’occultamento della verità, della manipolazione anche emotiva dei lettori con tecniche di Pnl, e addirittura dell’intimidazione nei confronti degli attivisti genuini.Per tutti questi motivi, il ruolo dell’admin nei nostri gruppi è importantissimo… basterebbe riflettere sul fatto che “loro” spendono milioni per contrastare la nostra presa di coscienza e iniziativa, e se non fosse così importante non lo farebbero. E’ fondamentale che nei gruppi italiani di riferimento ci sia la capacità di resistere ai tentativi di infiltrazione e di sottile manipolazione mentale che ultimamente stanno aumentando a ritmo esponenziale, e questo è possibile perché appunto diversi membri (e a volte “admin”) finti attivisti “ad orologeria” stanno scoppiando, e mandando in confusione / sfiducia decine di persone che per anni li hanno seguiti ciecamente, certi della loro buona fede.(Mario Quaranta, “Grillo, le scie chimiche e i nuovi troll”, dalla pagina Facebok di Mario Quaranta, post aggiornato il 28 settembre 2015. Ricercatore indipendente, Quaranta ha partecipato alla puntata della trasmissione web-radio “Border Nights” del 7 ottobre 2015).«La causa delle scie chimiche sono gli aeroplani col motore Volkswagen» (Beppe Grillo, 24/9/2015). Assolutamente non richiesto, Beppe Grillo ci dà un esempio di come opera la disinformazione di regime: prendere un tema drammatico, anzi disumano, e normalizzarlo inserendolo in un contesto comico. Per chi ancora avesse dei dubbi sulla reale gestione/funzione del M5S (opposizione con-trollata), a dispetto dell’onestà e dell’impegno della grande maggioranza degli iscritti e dei votanti, compreso chi scrive. Se solo volesse, Grillo potrebbe sfruttare la sua esposizione mediatica internazionale per denunciare pubblicamente questo crimine contro l’umanità e fare i nomi dei responsabili, invece di normalizzarlo con battute di (dubbio) spirito. Basterebbe un video di 10 minuti, ma non lo farà mai, perché i responsabili sono gli stessi che lo hanno messo dov’è ora. Colgo l’occasione per ricordare che molti troll in rete usano la vicinanza al M5S per ottenere una sorta di “patente di credibilità”, uno schermo dietro cui nascondersi per esercitare al meglio la loro “mission”.
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Rcs-Mondadori, nasce un regime. E nessuno dice niente
«La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento», inclusi «movimenti e associazioni al di fuori del Parlamento». A parlare è Sergio Di Cori Modigliani, e la “battaglia” è quella per contrastare l’affermazione del super-monopolio editoriale italiano, la fusione tra Mondadori e Rcs Rizzoli. «La battaglia non ha avuto oppositori», scrive Modigliani sul suo blog. E «chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista», in primis il M5S, è finito tra «coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano». Secondo il blogger, «c’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo. Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi». Raffinato intellettuale, scrittore e editore, Calasso si è battuto in solitudine contro l’instaurazione di un regime che controllerà tutti i contenuti editoriali italiani.La Mondadori ha ufficialmente acquistato la Rizzoli Libri per 125,7 milioni di euro, nonostante l’offerta della Mondadori fosse stata di 138 milioni e la Rizzoli avesse accettato. Grazie a questo accordo, scrive Di Cori Modigliani, la “Mondazzoli” da oggi controlla il 40,4% del mercato. «Se a questo si assommano gli interessi incrociati societari dello stesso gruppo in altri settori mediatici (radio, televisioni private in chiaro, satellitari e pay, video-giochi, smartphone applications, quotidiani cartacei, settimanali, mensili, periodici) la Mondazzoli raggiunge il controllo complessivo di circa l’84% dell’intera produzione nazionale operativa sul territorio della Repubblica Italiana. Al massimo entro pochi mesi, temo, le piccole realtà operative in Italia verranno spazzate via senza pietà. Si tratta del più grande monopolio nel campo della cultura e in quel segmento editoriale, mai esistito in una nazione occidentale da quando Gutenberg ha inventato la stampa».Tutto è nato nel febbraio del 2015, otto mesi fa. La Rizzoli Libri (presidente Paolo Mieli, esponente di punta del centro-sinistra) in seguito al disastroso bilancio del 2014 aveva deciso di vendere. «Non ha neppure fatto in tempo a comunicare la decisione che si è presentata come unico acquirente la Mondadori, chiedendo un diritto in esclusiva facendo una offerta». Esteso al massimo il giorno della scadenza definitiva, oltre la quale veniva annullata la possibilità dell’accordo: il 30 settembre. «Presumo che il motivo che giustificava gli otto mesi di tempo era la preoccupazione che l’Authority responsabile di controllare ogni azione societaria, nel nome dell’anti-trust, avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote. Bastava una interrogazione parlamentare, un gruppo politico italiano che avesse preteso un dibattito in aula, denunciando “la violazione di ogni regolamentazione atta ad impedire che nel mercato libero prevalgano i cartelli consociativi a danno della competizione e che si costituiscano e si costruiscano dei monopoli unici”».«Se qualcuno, alla Camera dei Deputati avesse fatto questo – continua Di Cori Modigliani – in qualche modo l’opinione pubblica si sarebbe allertata, se ne sarebbe parlato, ci sarebbero state discussioni, posizioni diverse, dibattiti, polemiche, e i diversi soggetti in campo sarebbero diventati pubblici, scoprendo ciascuno le proprie carte». Invece, tutti si sono attenuti al basso profilo: «L’intera stampa finanziata e sostenuta dal centro-destra ha eseguito l’ordine in maniera compatta: è un affare fondamentale per Silvio Berlusconi, è stato detto con una certa chiarezza, e meno se ne parla meglio è». Idem la stampa finanziata e sostenuta dal centro-sinistra: «E’ un affare fondamentale per Paolo Mieli e Carlo De Benedetti, è stato detto con altrettanta chiarezza, e meno se ne parla meglio è». Grillini e Sel? «Neppure una parola al riguardo, mai. Vien da chiedersi che cosa ci stiano a fare in Parlamento. O meglio, a non fare».Sarebbe bastato poco, insiste il blogger, perchè l’accordo «viola ogni legge antitrust», e l’authority che ne regola il funzionamento è un organismo che sembra «seguire le tendenze», ed è «notoriamente soggetto agli umori delle piazze, reali o virtuali». E’ possibile che interverrà l’Unione Europea nel 2016, «quando l’intera documentazione sarà stata rubricata, archiviata, formalizzata, e il commissario di Bruxelles la denuncerà. Nel frattempo Mondadori e Rizzoli, insieme, avranno la possibilità di pagare i loro debiti. O meglio, saremo noi a pagarli, come al solito, grazie alla malleveria dei due grandi partiti che andranno in soccorso della Mondazzoli con la consueta didascalia “difendiamo l’Italia che lavora” infilandola dentro la prossima legge di stabilità». Due maxi-aziende «entrambe decotte, senza un progetto industriale, senza un visione culturale, senza mercato», che «hanno accumulato debiti su debiti seguitando a pubblicare una caterva di libri (che nessuno legge) scritti per lo più da professionisti della cupola mediatica, per lo più con copertura politica, in un giro vizioso perverso che ha strozzato e sta strozzando ogni forma di libertà d’espressione. Da noi, funziona così».Unica contestazione, forte fin dall’inizio, quella di Roberto Calasso. «Gli autori, gli scrittori, romanzieri, narratori, saggisti che siano, tenuti fuori dal mercato perché pensanti e produttori di contenuti non monetizzabili non si lamentino. Sono, ahinoi, in ottima compagnia». Quanti conoscono Calasso? «Nel campo editoriale italiano, e non solo, è (giustamente) considerato il più poderoso e colto intellettuale-imprenditore ancora attivo», scrive Di Cori Modigliani. Nel mondo culturale è «addirittura un mito». E in otto mesi di battaglia solitaria, lui che – in teoria – avrebbe potuto avere a disposizione ogni tipo di platea mediatica, non ha rimediato «neppure una intervistina, un invito a un talk show, la possibilità di spiegare agli italiani che cosa stava accadendo». Calasso è un imprenditore-editore che «da solo ha scelto di andare verso la frontiera». Nel 2006, quando la Rizzoli manovrava per mangiarsi (come ha fatto) gli altri editori, da Fabbri a Bompiani, da Archinto a Marsilio, si è rivolta alla Adelphi con molto realismo, spiegando che non sarebbe stata in grado di sopravvivere se non all’interno di un solido gruppo antagonista della Mondadori.«Forse Calasso conosceva i propri polli e sapeva già dove la cosiddetta sinistra intendesse andare a parare», scrive il blogger, e così accettò ponendo due condizioni: primo, accettava cedendo però soltanto il 45% delle sue azioni, di cui avrebbe mantenuto la maggioranza; secondo, chiese una clausola che gli consentiva un diritto di scelta nel caso, un giorno, la Rizzoli decidesse di vendere (o svendere, come in questo caso) la sezione libri a un soggetto terzo, pretendendo la libertà di essere in disaccordo e quindi chiamandosi fuori, ritornando a essere totalmente indipendente senza pagare alcuna penale. Glielo concessero. E così, a febbraio del 2015, quando la Mondadori avanza l’offerta e Paolo Mieli dice sì, arriva il secco no di Calasso. Lì nascono problemi seri, continua Modigliani, perchè il catalogo della Adelphi è talmente ricco e polposo che gli investitori internazionali cominciano a manifestare perplessità. Si rimanda di mese in mese, ma non riescono a convincerlo. «E intanto la massa debitoria di Rizzoli e Mondadori aumenta a dismisura. E così, il 30 settembre la trattativa salta per “mancanza di ottemperanza nel rispetto dei tempi prestabiliti, come da legge, e come la normativa Consob prevede”. Ma siamo in Italia, paese dove le regole sono diverse a seconda del peso politico dei contraenti».La Reuters e “Milano Finanza” descrivono l’accordo «come se si trattasse di due aziende che vendono sapone in polvere o tondelli di ferro, senza minimanente far riferimento all’impatto devastante che la nascita della Mondazzoli avrà sulla vita culturale italiana: l’appiattirà, la cancellerà, spingendola al ribasso verso una marketizzazione priva di valori contenutistici». Chiunque covasse residue speranze in Renzi, vedendolo come rottamatore e riformatore, se le scordi, chiosa Di Cori Modigliani. E può cambiare idea anche «chiunque pensasse che in Italia esiste una solida opposizione politica (M5S, Sel e affini) agli accordi feudali di consociativismo medioevale tra la destra e la sinistra». Morale: «Pagheremo tra un anno la pesante penale europea e passerà tutto in cavalleria». Per il blogger, «si tratta della fine annunciata della libertà intellettuale in Italia, e il messaggio politico è molto chiaro, netto, distinto: decidiamo noi che cosa farvi leggere, come, e dove». Non stupiamoci se chiudono le librerie, se i piccoli editori seri falliscono, se l’Italia «segna il più avvilente e triste record dal 1946 a oggi: è il paese in tutto l’Occidente in cui si legge di meno, e nei primi sei mesi del 2015 gli indici di lettura denunciano un crollo verticale», conclude Sergio Di Cori Modigliani. «Siamo ormai considerati un paese di analfabeti funzionali». E dunque, «lunga vita a Roberto Calasso».«La più potente, poderosa e importante battaglia politica per garantire la libera informazione in Italia e la possibilità di aumentare la diffusione della cultura nel nostro paese si è appena conclusa, nella più totale indifferenza da parte di ogni soggetto politico presente in Parlamento», inclusi «movimenti e associazioni al di fuori del Parlamento». A parlare è Sergio Di Cori Modigliani, e la “battaglia” è quella per contrastare l’affermazione del super-monopolio editoriale italiano, la fusione tra Mondadori e Rcs Rizzoli. «La battaglia non ha avuto oppositori», scrive Modigliani sul suo blog. E «chi avrebbe dovuto interpretare il ruolo dell’antagonista», in primis il M5S, è finito tra «coloro che scelgono di non voler combattere le battaglie che contano». Secondo il blogger, «c’è stata, e c’è tuttora, una persona soltanto che ha detto no. Un’unica azienda. Un unico marchio. Un unico individuo. Si chiama Roberto Calasso. La sua è un’azienda editoriale. Il suo marchio è Adelphi». Raffinato intellettuale, scrittore e editore, Calasso si è battuto in solitudine contro l’instaurazione di un regime che controllerà tutti i contenuti editoriali italiani.
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Addio al Marziano imbranato, ora a Roma tornano i politici
Il Marziano non è sopravvissuto: questa la notizia, mischiando l’ultimo Ridley Scott con l’eterno Ennio Flaiano. Ma le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma non sono solo l’esito scontato di un crescendo rossiniano di equivoci, inadeguatezze, errori e ciclopiche gaffes. Sono forse la pietra tombale sull’illusione che, fallita la classe politica, possa salvarci la Società civile. Perché di lì veniva il Marziano: e se ne parlo al passato, ci sarà un perché. Dal mondo delle professioni e delle competenze, tanto magnificato. Se non fosse che la politica ha pure lei le sue professionalità e le sue competenze, non necessariamente coincidenti con le altre. Invece, della mitica società civile Marino aveva la mentalità, le frequentazioni nazionali o internazionali, gli usi e costumi relativamente sofisticati, rispetto ai fagioli con le cotiche che passa il convento, e anche i vizi mediocri, rispetto alle crapule del berlusconismo d’antan. Tutta roba alla quale uno deve fare il tagliando, ormai, se proprio decide di entrare in quella fossa dei serpenti che è la politica italiana in genere, e quella capitolina in particolare.E non bastano le buone intenzioni, che nessuno discute, e la sostanziale estraneità dell’uomo alla suburra degli affaroni e affaracci romani: ci vuole anche il senso delle opportunità, per non parlare del senso del ridicolo. Che si trattasse davvero di un marziano, invece, l’avevamo capito da tempo. Sindaco dal giugno 2013, dopo aver prevalso su quel Marchini, erede di una dinastia di costruttori rossi, che ora si candida alla sua successione, aveva esordito con la storia della Panda rossa parcheggiata alla evvivailparroco, e relative multe. E tutti noi, commentatori benpensanti, a difenderlo, adducendo che uno così era troppo manifestamente naif per poterlo considerare un mascalzone. Mascalzone no, in effetti, ma un po’ fesso sì: e giudichi il lettore cos’è peggio. Passino le vacanze e/o gli impegni internazionali, fra i quali non sempre si vedeva la differenza. Passino il degrado, le buche, i bambini caduti nella metropolitana: con lui che, se non era dall’altra parte del pianeta, arrivava subito e ci metteva la faccia – cosa che Renzi, per dire, si è sempre ben guardato dal fare – così beccandosi, Marino dico, anche le contumelie che sarebbero toccate a ben altri.Dopo il suo predecessore Alemanno, che festeggia se non l’accusano di associazione mafiosa, passi pure questa fissa di indossare la fascia da sindaco ovunque: anche a Filadelfia, dove si autoinvita a proprie spese, dice lui, in occasione del viaggio del Papa. Passi persino – in un’escalation da comica finale, sullo sfondo del definitivo inabissamento dell’immagine della Capitale sui giornali di tutto il mondo – farsi sbugiardare dal Pontefice in persona: una cosa che resterà nella storia dei rapporti Stato-Chiesa, appena un gradino sotto lo Schiaffo di Anagni. Ma ci si può dimettere, alla fine, per una storia di scontrini, una peculiarità italiana dalla quale il M5S avrebbe dovuto averci definitivamente vaccinato? Ci si può far smentire, oltre che da una lunga sequenza di preti e di organizzazioni benefiche, anche dall’ambasciatore del Vietnam, e per cene con la moglie e con la madre, neppure con l’amante, che tutto sommato sarebbe stato più dignitoso? A proposito: speriamo che il prossimo sindaco di Roma sia un politico, abbia l’amante e un metro di pelo sullo stomaco, ma che almeno sappia fare il suo mestiere.(Mauro Barberis, “Il Marziano se ne va, che tornino i politici”, da “Micromega” del 09 ottobre 2015).Il Marziano non è sopravvissuto: questa la notizia, mischiando l’ultimo Ridley Scott con l’eterno Ennio Flaiano. Ma le dimissioni di Ignazio Marino da sindaco di Roma non sono solo l’esito scontato di un crescendo rossiniano di equivoci, inadeguatezze, errori e ciclopiche gaffes. Sono forse la pietra tombale sull’illusione che, fallita la classe politica, possa salvarci la Società civile. Perché di lì veniva il Marziano: e se ne parlo al passato, ci sarà un perché. Dal mondo delle professioni e delle competenze, tanto magnificato. Se non fosse che la politica ha pure lei le sue professionalità e le sue competenze, non necessariamente coincidenti con le altre. Invece, della mitica società civile Marino aveva la mentalità, le frequentazioni nazionali o internazionali, gli usi e costumi relativamente sofisticati, rispetto ai fagioli con le cotiche che passa il convento, e anche i vizi mediocri, rispetto alle crapule del berlusconismo d’antan. Tutta roba alla quale uno deve fare il tagliando, ormai, se proprio decide di entrare in quella fossa dei serpenti che è la politica italiana in genere, e quella capitolina in particolare.