Archivio del Tag ‘M5S’
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L’Asilo Mariuccia da cui parla Saviano, intellettuale di scorta
«Ciò che so con certezza è che dobbiamo far rimpiangere a questo governo il giorno in cui ha deciso per egoismo, interesse e cattiveria che per esistere bisognava diventare razzisti». Chi ha pronunciato questa frase memorabile, questo monito da brividi, questa autentica perla di indignazione civica? Stiamo scherzando, ovviamente. Le domanda giusta è: chi ha scritto questa puerile fesseria da bacio Perugina del qualunquismo universale? E la risposta giusta è: Roberto Saviano. Il grande intellettuale? Il grande intellettuale, proprio lui. Il quale – tra tutte le possibili (e serie) chiavi (politiche, sociali, economiche) di interpretazione critica dell’operato del nuovo esecutivo – ha scelto l’unica ridicola, da Asilo Mariuccia: quella moralistica che tutti noi usavamo, prima di varcare la soglia dell’età della ragione, di fronte a un supposto sopruso. All’indirizzo di chi l’aveva – secondo la nostra minuscola visione del mondo – perpetrato (genitore, maestro, catechista che fosse), urlavamo: sei cattivo! Con la cultura e il vocabolario di un buon intellettuale, avremmo aggiunto anche: sei razzista, e forse pure populista, se la moda di allora lo avesse consentito. Proprio come Saviano fa ora.Ogni epoca, ha detto qualcuno, ha gli intellettuali che si merita. Però, scusate, abbiamo una nostalgia canaglia di quando scrivevano giganti come Pierpaolo Pasolini e Oriana Fallaci. Essi, il primo in particolare, denunciavano le invisibili ‘infrastrutture’ corrotte e malate di un sistema apparentemente sano. Cioè svolgevano il compito di ogni intellettuale decente: permetterci di dare un’occhiata sotto l’opaco tappeto della cronaca (intessuto dai media ufficiali con il preciso intento di nascondere la polvere) per consentirci di vedere. Vedere in senso più che letterale: scorgere le inique linee di forza che uniscono i puntini di fatti, personaggi, istituzioni incensurate e, soprattutto, incensurabili. Oggi, gli intellettuali si guardano bene dal guardare sotto il tappeto. Forse perché non vogliono vedere, chissà. Magari vedono il male evidente dove c’è e meritoriamente lo denunciano (come fa, a suo rischio – e di questo gli va dato atto e merito – Saviano), ma non notano quello occulto, talora più grave del primo. Magari perché è occulto?Questo fatto, per un vero intellettuale, non costituisce un alibi, ma un’aggravante. Egli ha il preciso compito di disvelarlo, l’occulto. E può farlo sol che abbia acume, cultura ed intuito a sufficienza; e molti ce l’hanno, e dunque perché non lo fanno? Ma torniamo a Saviano che può insultare un ministro della Repubblica – dandogli del buffone e del malavitoso – senza che nessuno si senta in dovere di fare un plissè. Né le istituzioni (Salvini ormai è un topos letterario: il simbolo semovente della ‘cattiveria’, del ‘razzismo’, dell’’egoismo’ come scrive l’illuminata penna del Sommo Saviano) né soprattutto gli altri intellettuali. I quali si sono schierati, lancia in resta, a difesa del loro ‘compagno’ in nome della discutibilissima faccenda della ‘scorta’. Anche in questo caso, tra il dito e la luna, essi hanno scelto il dito. Per fortuna che ci sono. Così non abbiamo solo un grande intellettuale; abbiamo anche quelli di scorta.(Francesco Carraro, “Intellettuali di scorta”, da “Scenari Economici” del 25 giugno 2018).«Ciò che so con certezza è che dobbiamo far rimpiangere a questo governo il giorno in cui ha deciso per egoismo, interesse e cattiveria che per esistere bisognava diventare razzisti». Chi ha pronunciato questa frase memorabile, questo monito da brividi, questa autentica perla di indignazione civica? Stiamo scherzando, ovviamente. Le domanda giusta è: chi ha scritto questa puerile fesseria da bacio Perugina del qualunquismo universale? E la risposta giusta è: Roberto Saviano. Il grande intellettuale? Il grande intellettuale, proprio lui. Il quale – tra tutte le possibili (e serie) chiavi (politiche, sociali, economiche) di interpretazione critica dell’operato del nuovo esecutivo – ha scelto l’unica ridicola, da Asilo Mariuccia: quella moralistica che tutti noi usavamo, prima di varcare la soglia dell’età della ragione, di fronte a un supposto sopruso. All’indirizzo di chi l’aveva – secondo la nostra minuscola visione del mondo – perpetrato (genitore, maestro, catechista che fosse), urlavamo: sei cattivo! Con la cultura e il vocabolario di un buon intellettuale, avremmo aggiunto anche: sei razzista, e forse pure populista, se la moda di allora lo avesse consentito. Proprio come Saviano fa ora.
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Dugin: Italia, l’inizio della rivoluzione che cambierà il mondo
Oggi la democrazia liberale si definisce come il potere delle minoranze non elette sulla maggioranza dei cittadini. Quelle fanno i colpi di Stato contro la Costituzione, le maggioranze reagiscono allora votando i Salvini, i Di Maio, le Marine Le Pen, o i Kurz. Destra o sinistra, non conta più. È una rivolta di popolo contro le élite, cioè contro le minoranze che vogliono difendere apertamente gli interessi delle minoranze. Se questa è la nuova forma della democrazia, ecco, al popolo non piace. In tutto questo però ci sono anche i migranti, spesso al centro di questo scontro. È il punto simbolico più grande. I migranti sono il caso in cui una questione tecnica e marginale, cioè la gestione dell’immigrazione, rivela un contrasto ideologico insanabile: l’ideologia liberale dominante si fonda sull’assimilazione dell’uomo con il cittadino. È, in altre parole, l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo questa visione, ogni essere umano gode di particolari diritti universali. Questa posizione ideologica ha come conseguenza che gli Stati siano obbligati a trattare tutti, anche gli stranieri e gli immigrati, come se fossero loro cittadini. Ma questa è solo l’applicazione pratica di un’ideologia più ampia, che invece vuole distruggere e assimilare le tradizioni, le culture e le storie dei popoli.E allora il popolo ha una reazione: sarà pure viscerale, sarà organica, ma va al punto perché ha una sua origine politica, ideologica, metafisica. Resiste, anzi combatte questa ideologia. E allora succede che il semplice migrante, la semplice nave che li trasporta – elementi che di per sé non avrebbero alcun interesse sociale – diventano in questo campo di battaglia qualcosa di più grande: il segno della grande scelta di radicalità di questa civiltà. I liberali insistono in questa ideologia di forte ostilità al popolo. Per loro il popolo è una cosa negativa, perché è rischioso e incontrollabile e, se male indirizzato, potrebbe portare all’instaurarsi della dittatura o al governo di un leader forte. Allora la lotta che oggi viene fatta dalle élite contro Salvini, Di Maio e Orban altro non è che la lotta contro l’idea che l’identità sia una cosa positiva. Per i liberali difendere il valore dell’identità di un cittadino o difendere l’identità nazionale costituisce il peggior male possibile, una cosa da distruggere. Ma distruggere l’identità significa distruggere il popolo: e da qui nasce il populismo, che altro non è che l’accusa fatta al popolo di essere popolo.Noi stiamo vedendo, di fronte a questa repressione, la reazione dei sovranisti: ebbene, questo è l’inizio della grande rivoluzione anti-liberale. Non è una correzione del liberalismo, no: è l’inizio della grande lotta sistematica dei popoli contro le élite liberali, contro le ideologie portate avanti dai Clinton, da Obama, da Soros, contro la promozione della globalizzazione sociale e politica. Non – e sia chiaro – non contro il controllo dell’immigrazione. E’ il popolo o è l’élite a governare? Si può dire che ci siano, in realtà, due governi: quello del popolo, rappresentato legittimamente in Italia, in Ungheria e in Austria, e quello europeo, che decide ogni volta in senso opposto. Questo è interessante. È l’inizio della lotta politica della nuova generazione, anzi della politica stessa della nuova generazione che – secondo me – dovrà portare alla creazione del populismo integrale. Un populismo che non sia né di destra né di sinistra, ma rappresentativo del popolo.Oggi in Italia assistiamo a una novità politica importante, un primo passo, cioè un’alleanza tra destra e sinistra. Già questo è notevole: cosa sarebbe successo se Marine Le Pen si fosse alleata con Jean-Luc Mélénchon? Il caos. O Donald Trump con Bernie Sanders? Sarebbe scoppiato tutto il sistema. O se Syriza si fosse unita ad Alba Dorata? Avrebbero cacciato la Grecia da tutto, sia dall’euro che dall’Unione Europea. E invece, ecco: in Italia è successo. Per la prima volta si supera la divisione destra-sinistra. Ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contribuito a far smetter di demonizzare il populismo, e anche Di Maio. Insieme a loro ha vinto anche il popolo, in questa nuova lotta contro le élite per ritrovare la propria identità. Ma dove si trova l’identità di un popolo? Nella sua cultura. È una questione aperta. Per me il Rinascimento italiano è la forma culturale assoluta. Ha avuto effetti grandissimi su tutti gli altri popoli, anche su noi russi. Io adoro il Rinascimento e credo che l’identità italiana (poi magari mi sbaglio) sia nella sua radice un’identità rinascimentale, non medievale. Credo anche che il Risorgimento sia la continuazione del Rinascimento in un altro ciclo storico.(Alexander Dugin, dichiarazioni rilasciate a Dario Ronzoni per l’intervista “L’Italia è l’inizio della grande rivoluzione populista che cambierà il mondo”, pubblicata da “Linkiesta” il 23 giugno 2018. Filosofo, Dugin è presentato come “controverso ma notevole personaggio dell’estrema destra russa”).Oggi la democrazia liberale si definisce come il potere delle minoranze non elette sulla maggioranza dei cittadini. Quelle fanno i colpi di Stato contro la Costituzione, le maggioranze reagiscono allora votando i Salvini, i Di Maio, le Marine Le Pen, o i Kurz. Destra o sinistra, non conta più. È una rivolta di popolo contro le élite, cioè contro le minoranze che vogliono difendere apertamente gli interessi delle minoranze. Se questa è la nuova forma della democrazia, ecco, al popolo non piace. In tutto questo però ci sono anche i migranti, spesso al centro di questo scontro. È il punto simbolico più grande. I migranti sono il caso in cui una questione tecnica e marginale, cioè la gestione dell’immigrazione, rivela un contrasto ideologico insanabile: l’ideologia liberale dominante si fonda sull’assimilazione dell’uomo con il cittadino. È, in altre parole, l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo questa visione, ogni essere umano gode di particolari diritti universali. Questa posizione ideologica ha come conseguenza che gli Stati siano obbligati a trattare tutti, anche gli stranieri e gli immigrati, come se fossero loro cittadini. Ma questa è solo l’applicazione pratica di un’ideologia più ampia, che invece vuole distruggere e assimilare le tradizioni, le culture e le storie dei popoli.
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Spread e Salvini, la paura secondo Mattarella (e Oettinger)
Abbiate molta paura dello spread, cari italiani, e nessuna paura – invece – di quel mestatore di Matteo Salvini, che investe proprio sulle vostre paure. La paura “non olet”, come la pecunia: dipende da chi la usa, e contro chi. Il bieco Salvini sbaglia, quando punta sulla paura per incassare voti, mentre il presidente della Repubblica può permettersi di pigiare lo stesso tasto – quello del panico – se si tratta di fermare il governo Conte, salvo poi denunciare la paura come sport impraticabile e pericoloso. Corsi e ricorsi, ma la fonte è sempre la stessa: Sergio Mattarella. Il 27 maggio, dal Quirinale, il capo dello Stato ha evocato l’apocalisse, nel caso in cui Paolo Savona avesse raggiunto il ministero dell’economia. Giusto un mese dopo, a San Patrignano, ha rivolto un analogo monito alla nazione, ma di segno opposto: l’Italia deve scrollarsi di dosso il fantasma della paura, agitato appena quattro settimane prima per interferire – forzando la Costituzione, secondo eminenti giuristi – nella formazione del legittimo governo voluto dagli italiani. In altre parole: è bene che il popolo, prima di avere paura, ascolti i giusti consigli di chi gli spiega di cosa avere paura. Magari quelli del tedesco Günther Oettinger, secondo cui “i mercati” insegneranno agli italiani come votare.«L’incertezza sulla nostra posizione nell’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatori, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di Stato e nelle nostre aziende», scandì Mattarella il 27 maggio. «L’impennata dello spread, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali». Ancora: «Le perdite in Borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi vi ha investito. E configurano rischi concreti per i risparmi dei nostri concittadini e per le famiglie italiane». Lo spread, manovrato da banche franco-tedesche in mano a poteri ostili alla nascita del governo Conte, in quei giorni di alta tensione politico-istituzionale stava infatti salendo. «Occorre fare attenzione anche al pericolo di forti aumenti degli interessi per i mutui, e per i finanziamenti alle aziende», aggiunse Mattarella. «In tanti ricordiamo quando – prima dell’Unione Monetaria Europea – gli interessi bancari sfioravano il 20 per cento». E concluse: «È mio dovere, nello svolgere il compito di nomina dei ministri – che mi affida la Costituzione – essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani».A caldo, Luigi Di Maio – oggi vicepremier e ministro – arrivò a invocare l’impeachment per il presidente della Repubblica. Prima ancora di boicottare la nomina di Savona all’economia, Mattarella aveva compiuto un gesto assolutamente inedito: aveva “invitato” l’allora presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, a consultare il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, notoriamente vicinissimo a Mario Draghi. Sul piano formale, Bankitalia è ancora un ente di diritto pubblico, ma quasi il 100% dell’azionariato è in mano a istituti di credito privati, banche e assicurazioni. La stessa Bce – vero dominus della politica europea, su mandato tedesco – è di fatto una corporazione bancaria privata. Non è sovrana la gestione dell’euro, ed è violentemente privatistica l’intera conduzione dell’Unione Europea, improntata all’ordoliberismo e gestita da una Commissione di non-eletti, “consigliati” da 1500 lobbisti che, di fatto, dettano le direttive europee in base agli interessi economici e finanziari delle maggiori multinazionali, industriali e finanziarie. Un potere di cui avere rispetto e timore, dice Oettinger (lo stesso che oggi promuove il bavaglio al web). Un potere, ribadì Mattarella, di cui gli italiani farebbero bene ad avere paura, se tenessero all’incolumità dei loro risparmi.Visitando la comunità di recupero per tossicodipendenti più famosa d’Italia, creata da Vincenzo Muccioli, Mattarella è tornato sul tema della paura a un mese dal varo del governo “gialloverde”, che ha proiettato Salvini come protagonista europeo nella politica sull’immigrazione, critico anche con la tolleranza dell’illegalità diffusa che vige nei campi Rom. «Non bisogna arrendersi alla paura», ha detto il capo dello Stato, davanti alle telecamere. «Il tessuto solidale di un paese è il bene comune prezioso, e questo va sempre considerato a partire da chi ha responsabilità pubbliche», ha aggiunto. «Qui si respira solidarietà, e questo è un patrimonio del nostro popolo: nel Dna degli italiani vi è la solidarietà». Il presidente sottolinea l’importanza di «costruire questo tessuto relazionale che rende la vita più gradevole». Il Quirinale? Deve «rappresentare l’unità dell’Italia, la sua coesione, il suo modo di sentirsi legata entro di essa, con tutti i cittadini legati a un destino comune: questa è l’unità vera del nostro paese». Una retorica umanitaria, che ignora le esasperanti vessazioni imposte dall’Ue alla “cominità solidale” e sembra piuttosto voler stridere con la presunta disumanità rinfacciata ogni giorno allo “sceriffo” Salvini, l’uomo che voleva Paolo Savona al ministero dell’economia, nonostante il professore avesse studiato anche un piano per uscire dall’euro in caso di emergenza.E mentre il collega Oettinger – l’uomo dello spread – si prepara a dirigere l’ultima grottesca crociata contro il popolo sovrano (stavolta colpendo la libertà del web, come dimostra il successo della petizione di “Change.org” contro l’iniziativa-bavaglio), il partito che lanciò Matterella al Quirinale, il Pd, ha perso la presa anche sulle “Regioni rosse”, a conferma di un cambiamento epocale in corso. Nel frattempo sta volando, nei consensi, proprio il governo Conte, sostanzialmente incoraggiato – per ora – da qualcosa come 7 italiani su 10. Un rarissimo esempio di unità nazionale e di coesione politica, per un’Italia che finalmente preoccupa i signori di Bruxelles, di Berlino e Parigi, i boss finanziari di Francoforte e i loro amici fraterni di Bankitalia. La notizia, probabilmente, che è il paese – dopo vent’anni di crisi – ha smesso di avere paura di chi vorrebbe che vivesse per sempre in stato di soggezione e inferorità. Lo spaventoso spread evocato da Mattarella il 27 maggio? Si è sgonfiato subito, per intervento della finanza statunitense. Le prove tecniche di sovranità, per l’Italia, sono appena cominciate. In mare è tempestoso, la strada è lastricata di trappole. Ma la sensazione è che – al di là dei moniti, dei consigli e degli avvertimenti, più o meno istituzionali – gli italiani abbiano intenzione di tirare dritto, serrando i ranghi attorno al governo che il vecchio establishment (inclusi i grandi media) vive come un affronto insopportabile, di cui – in questo caso sì – avere davvero paura.Abbiate molta paura dello spread, cari italiani, e nessuna paura – invece – di quel mestatore di Matteo Salvini, che investe proprio sulle vostre paure. La paura “non olet”, come la pecunia: dipende da chi la usa, e contro chi. Il bieco Salvini sbaglia, quando punta sulla paura per incassare voti, mentre il presidente della Repubblica può permettersi di pigiare lo stesso tasto – quello del panico – se si tratta di frenare il governo Conte, salvo poi denunciare la paura come sport impraticabile e pericoloso? Corsi e ricorsi, ma la fonte è sempre la stessa: Sergio Mattarella. Il 27 maggio, dal Quirinale, il capo dello Stato ha evocato l’apocalisse, nel caso in cui il pericolosissimo Paolo Savona, già ministro con Ciampi, avesse raggiunto il ministero dell’economia. Giusto un mese dopo, a San Patrignano, lo stesso Mattarella ha rivolto un analogo monito alla nazione, ma di segno opposto: l’Italia deve scrollarsi di dosso il fantasma della paura, agitato appena quattro settimane prima per interferire – forzando la Costituzione, secondo eminenti giuristi – nella formazione del legittimo governo voluto dagli italiani. In altre parole: è bene che il popolo, prima di avere paura, ascolti i saggi consigli di chi gli spiega di cosa avere paura? Magari quelli del tedesco Günther Oettinger, secondo cui “i mercati” insegneranno agli italiani come votare?
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Magaldi: Renzi riposi in pace, il progressista oggi è Salvini
«I progressisti devono capire la gente: il mondo va verso situazioni molto dure e le persone chiedono, giustamente, protezione. Invece, sino ad oggi, il Pd ha trattato le persone che hanno paura come se fossero imbecilli». Viva la sincerità, anche se fuori tempo massimo. Suonano comunque lucide, finalmente, le parole dell’ex manager Ferrari e poi ministro post-renziano Carlo Calenda, nipote di Luigi Comencini, approdato al Pd dopo l’esordio politico prima con Montezemolo e poi con Monti. «Dobbiamo dar vita ad un progetto con nuove parole», dice Calenda a “Otto e mezzo”: «Ma pretendere questo dal Pd – ammette – non è possibile». Tra le macerie elettorali dell’ex centrosinistra, forse anche Calenda pensa al “partito che serve all’Italia”, su cui il Movimento Roosevelt si confronterà il 14 luglio a Roma con politologi e sociologi. Tra gli invitati anche il sindaco milanese Beppe Sala e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A Matteo Renzi, che in un tweet dopo il disastro dei ballottaggi alle amministrative prova a gettare la croce sul povero Martina («con tutto il rispetto, nel Pd manca una leadership: per questo mi riprendo la guida del partito»), Zingaretti risponde a stretto giro: troppo tardi, «un ciclo storico si è chiuso». Tradotto: abbiamo sbagliato tutto, Renzi in primis. Primo errore, capitale: il Pd ha preso per cretini gli italiani spaventati dalla crisi. «Salvini invece li ha saputi ascoltare», dice Calenda, «e questo è il suo grande merito». Infatti, per Gioele Magaldi, il vero progressista sulla scena, oggi, è proprio il leader della Lega.
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“Ma il bavaglio al web sarà la tomba del massone Oettinger”
3482«Buona fortuna, caro fratello “controiniziato” Günther Oettinger. Sappi che ne uscirai con le ossa rotte. Tu, e tutti gli altri come te». Firmato: Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente della massoneria progressista sovranazionale. Nel mirino, il commissario europeo tristemente noto per aver avvertito gli italiani che “i mercati” avrebbero insegnato loro come votare, nei giorni in cui lo spread “volava”, nel tentativo di non far nascere il governo “gialloverde”. «Poi è arrivata “la cavalleria”, è lo spread è calato subito», dice Magaldi, alludendo ai potenti fondi d’investimento (sempre di matrice massonica, ma di segno progressista) che hanno calmato le acque. Non paghi della lezione, oggi Oettinger e soci ci riprovano: il piano – avanzato direttamente dal politico tedesco nella commissione affari legali del Parlamento Europeo – prevede di mettere il bavaglio al web, con la scusa della tutela del copyright. “No pasaran”, dice Magaldi, che promette battaglia: non solo sta galoppando la petizione online di “Change.org” dopo l’allarme lanciato su “ByoBlu” da Claudio Messora per fare pressione sugli europarlamentari, ma il Movimento Roosevelt chiederà al governo Conte – e al ministro Salvini in particolare – di attivarsi a ogni livello per sventare la minaccia che incombe sulla libertà d’opinione.Il tentativo di imbavagliare il web da parte dell’Ue, dice Magaldi a “Colors Radio”, è un evento gravissimo, «incompatibile con la civiltà democratica nella quale ci viene raccontato che sarebbe radicata l’Europa e anche le sedicenti istituzioni europee, ben lontane dall’essere rappresentative di democrazia sostanziale». Qualcuno, aggiunge Magaldi, ha persino avanzato il sospetto che lo sconcertante Oettinger stia addirittura facendo una sorta di doppio gioco, per arrivare ad auto-sabotare il bavaglio, dato il carattere brutalmente demenziale del provvedimento su cui si pronuncerà il Parlamento Europeo in una data non casuale, il 4 luglio: «E’ la ricorrenza dell’Indipendenza americana, cioè «della prima rivoluzione massonica importante nell’era contemporanea». E quindi, un voto come quello proposto da Oettinger «sarebbe uno sberleffo, proprio a quei padri costituenti della contemporaneità massonica che ebbero la meglio sul dispotismo della corona britannica, contestandole il loro trattamento da sudditi anziché da cittadini, rivendicando libertà e democrazia». Günther Oettinger? «E’ davvero il denudamento, lo svelamento più atroce dell’anima antidemocratica e liberticida di questa Disunione Europea e dei gruppi massonici neo-aristocratici che l’hanno sin qui guidata».Il personaggio, continua Magaldi, «è un massone neo-aristocratico, “controiniziato” come pochi». Dopo le elezioni, con il suo cinico “avvertimento” rivolto all’Italia gialloverde, «si è fatto portavoce di una punizione, da parte delle forze neo-aristocratiche e massoniche “controiniziatiche” che volevano bastonare la democrazia italiana per il tramite innanzitutto di Mario Draghi, colpevolmente utilizzatore della Bce per i fini suoi e dei suoi “amici degli amici”, naturalmente “fraterni”». In quei giorni, in cui ballava lo spread, secondo Oettinger “i mercati” avrebbero insegnato agli italiani come comportarsi. «Poi, appunto, è arrivata “la cavalleria” massonica di altro segno, e Oettinger e gli altri se la sono andata a prendere in quel posto», dice Magaldi. «Ora i mercati si stanno muovendo senza più tanti clamori; naturalmente ci sono delle analisi da fare, e – quando servirà – reinterverrà “la cavalleria” massonica progressista (rappresentata da fondi importanti, perché non sono soltanto gli altri circuiti a disporre di mezzi e di strumenti decisivi, in questo caso usati per la democrazia, e non contro)». Persa l’Italia, oggi Oettinger si muove per “spegnere” il web, che tanta parte ha avuto nei recenti sviluppi elettorali? E’ storia: Internet è stato decisivo nel referendum anti-Renzi e nella Brexit, nella vittoria di Trump e nel successo gialloverde. Ora Oettinger pernsa di fermare la storia togliendo la libertà di parola ai cittadini?«E’ inutile puntare il dito solo su Günther Oettinger, per il quale prevedo una fine ingloriosa: questo signore – dice Magaldi – dovrà andarsene a calci nel sedere, non solo dal suo posto di commissario europeo ma, in generale, dalla scena politica continentale, che ha vergognosamente disonorato con le sue battute irricevibili sull’Italia e sui “mercati” che ne avrebbero dovuto orientare il voto». Questa iniziativa contro il web, poi, è particolarmente odiosa e illiberale. «Chiederemo al governo Conte e al ministro dell’interno Salvini di adoperarsi in modo forte contro questa possibile deriva liberticida», promette Magaldi. Dall’Ue, peraltro, niente di così nuovo: «Su istigazione di Günther Oettinger e di altri antidemocratici come lui, profondamente illiberali fin nel midollo, il Parlamento Europeo vorrebbe mettere il bavaglio al web con un meccanismo ovviamente bizantino, passando attraverso il discorso del copyright: è la solita salsa tecnocratica che mascherare una sostanza antidemocratica». Non funzionerà, avverte Magaldi: «Questa è un’altra buccia di banana, così come le incaute dichiarazioni di Oettinger furono un meraviglioso regalo, un fantastico assist per la reazione popolare di indignazione di tutti i partiti italiani, alla fine, verso quel modo di trattare il popolo italiano». Questa mossa, altrettanto incauta, per Magaldi «sarà la tomba ulteriore di questa cattiva politica europea che ha costruito un mostro burocratico privo di democrazia e privo di rispetto per le esigenze di libertà, fraternità e uguaglianza che dovrebbero essere la bussola dell’Ue e di qualunque costruzione politica europea». Una promessa: «Politicamente parlando, d’ora in poi i “cadaveri” saranno tanti, a cominciare da quello di Oettinger».«Buona fortuna, caro fratello “controiniziato” Günther Oettinger. Sappi che ne uscirai con le ossa rotte. Tu, e tutti gli altri come te». Firmato: Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente della massoneria progressista sovranazionale. Nel mirino, il commissario europeo tristemente noto per aver avvertito gli italiani che “i mercati” avrebbero insegnato loro come votare, nei giorni in cui lo spread “volava”, nel tentativo di non far nascere il governo “gialloverde”. «Poi è arrivata “la cavalleria”, è lo spread è calato subito», dice Magaldi, alludendo ai potenti fondi d’investimento (sempre di matrice massonica, ma di segno progressista) che hanno calmato le acque. Non paghi della lezione, oggi Oettinger e soci ci riprovano: il piano – avanzato direttamente dal politico tedesco nella commissione affari legali del Parlamento Europeo – prevede di mettere il bavaglio al web, con la scusa della tutela del copyright. “No pasaran”, dice Magaldi, che promette battaglia: non solo sta galoppando la petizione online di “Change.org” dopo l’allarme lanciato su “ByoBlu” da Claudio Messora per fare pressione sugli europarlamentari, ma il Movimento Roosevelt chiederà al governo Conte – e al ministro Salvini in particolare – di attivarsi a ogni livello per sventare la minaccia che incombe sulla libertà d’opinione.
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Golpe europeo contro la libertà del web, l’Italia si opponga
Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.Un gesto orwelliano, da tirannide asiatica d’altri tempi: è il 2018, eppure l’Unione Europea è questa. Non riconosce cittadini, vuole soltanto sudditi. E ha una paura maledetta che i sudditi si ribellino, ridiventando cittadini. Il killer prescelto per l’operazione è ovviamente tedesco e risponde al nome di Günther Oettinger, il simpaticone che – all’indomani del voto italiano del 4 marzo – spiegò che sarebbero stati “i mercati”, o meglio i signori occulti dello spread, a insegnare agli italiani come votare nel modo giusto, evitando cioè di rinnovare la loro fiducia a gentaglia come Salvini e Di Maio. Come sempre, Bruxelles cerca di ammantarsi di una parvenza di legalità: la Commissione Europea, organismo non-eletto e forte di poteri paragonabili a quelli delle “giunte militari” di sudamericana memoria, stavolta utilizza la foglia di fico del Parlamento Europeo (eletto, ma senza potere) per ricevere l’ipotetica legittimità politica dell’abuso, che verrebbe incoraggiato con il voto di Strasburgo il 4 luglio. Da qui il conto alla rovescia della petizione lanciata da Claudio Messora su “ByoBlu” e ripresa da “Change.org”, che in pochi giorni ha raccolto quasi mezzo milione di firme, in Italia, per tentare di convincere gli europarlamentari a non votare il piano Oettinger, in base al quale non sarebbe più possibile far circolare, su blog e social, i testi, le idee e le immagini che in questi anni hanno fatto informazione.L’intento è evidente: “spegnere” le fonti che hanno sopperito al colpevole silenzio dei grandi media, sostituendo in modo prezioso la non-informazione di giornali e televisioni, canali mainstream reticenti e omertosi, largamente difettosi quando non direttamente mafiosi, docili strumenti nelle mani di editori collusi con il potere centrale che trama contro le democrazie per svuotarle e depredarle. Senza informazione non c’è democrazia, ed è normale quindi che l’oligarchia si premuri innanzitutto di imbavagliare la libertà di espressione. Prima hanno ridotto i giornali a carta straccia, e le televisioni a salotti tragicomicamente impermeabili a qualsiasi verità. E ora, dato che il pubblico ha aggirato i grandi media rivolgendosi al web – in Italia il 50% dei cittadini dichiara di informarsi ormai solo sulla Rete – ecco il supremo bavaglio a Internet, con l’espediente della tutela del copyright. Con l’alibi della (giusta) sanzione contro gli abusi, si mette il bavaglio alla prima fonte di notizie per 30 milioni di persone, nel nostro paese. Difficile credere che un simile attentato alla libertà possa essere accettato come costituzionale, in Italia.Beninteso: è più che legittima la tutela del copyright, ove si impedisca di eseguire dei pedestri copia-e-incolla non autorizzati. Ma il legislatore Ue va ben oltre: impedirà addirittura che, su blog e social, vengano caricate segnalazioni ipertestuali: in pratica, sarebbe la fine dei link, cioè dell’anima stessa di Internet. Vietato riportare frasi, estratti, dichiarazioni. Vietato certificare le fonti di provenienza. Vietato veicolare – mediante collegamento diretto – i contenuti più interessanti. In altre parole: la fine del web, la morte della libertà d’opinione. Il sovrano europeo pensa di fermare, letteralmente, l’orologio della storia: vuol far diventare lento e disfunzionale ciò che oggi è veloce, immediato. Una pazzia anacronistica, come quella di chi schierasse i carri armati nelle strade. L’essenza stessa del web è la rapidità, la circolazione di notizie in tempo reale: e il web è diventato il più potente vettore economico del nostro tempo. Ostacolarlo significa arrecare un danno di portata incalcolabile alla dinamica economica del terzo millennio, riportando l’Europa al medioevo anche sul piano civile, oltre che economico e politico.Non è strano che a organizzare il golpe sia l’Unione Europea, che i suoi carri armati (finanziari) li ha già spediti ovunque, a fare strage di democrazia. Resta da vedere come reagiranno le anime morte del Parlamento Europeo il 4 luglio, sotto la pressione dell’opinione pubblica. E soprattutto: c’è da capire come risponderà, al golpe, il governo italiano. Salvini “esiste” soprattutto su Twitter, i 5 Stelle sono nati dalla Rete. Il cielo stellato è stato inquadrato dal cannocchiale di Galileo, che adesso l’ultima reincarnazione del cardinale Bellarmino – il fantoccio Oettinger e i suoi mandanti – sta per fare a pezzi. Questa Ue si comporta come una dittatura di colonnelli: nasce morta e condannata dalla storia. E’ destinata alla sconfitta, ma a che prezzo? Quanto durerebbe, il blackout, prima del ripristrino della democrazia? Quanti altri danni produrrebbero, nel frattempo, i golpisti del web? Nessun aiuto, intanto, da giornali e televisioni: gli operatori ufficiali dell’informazione, ancora una volta, tacciono. Non una parola, da loro, sulla più importante notizia – la peggiore – che abbia investito il pubblico italiano. Tacciono, giornali e televisioni, sul golpe in atto. Sperano, probabilmente, che il colpo di Stato riesca. Si comportano come fossero complici dei golpisti. Se c’è un’occasione per dimostrare che il “governo del cambiamento” non è solo un modo di dire, è questa: se c’è un “no” che l’Italia deve pronunciare, forte e chiaro, è proprio questo, contro il golpe che vorrebbe spegnere il web.(Su Change.org la petizione contro il bavaglio al web che l’Ue vorrebbe imporre).Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.
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La lebbra europea: quella del vomitevole, xenofobo Macron
La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia (e di Francia) disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano anti-Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa orrenda e mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?Parole che ricordano quelle del mentore di Macron, il tristemente celebre Jacques Attali: ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità? Un grande economista francese, Alain Parguez, invitato a Rimini da Paolo Barnard per il primo, storico summit sulla sovranità monetaria, lavorò all’Eliseo – insieme ad Attali – con il presidente socialista Mitterrand, ai tempi in cui la Francia era ancora la Francia, e non un mero ingranaggio dell’euro-imbroglio. Insigne accademico, Parguez racconta dello smottamento “reazionario” dello stesso Mitterrand, fortemente propiziato dal potente gruppo di pressione incarnato proprio da Attali, che Parguez definisce «un monarchico, travestito da socialista». Avvertimenti: dopo l’omicidio del leader socialdemocratico Olof Palme in Svezia, Mitterrand deve aver intuito quale trattamento sarebbe stato riservato ai “ribelli”, ai leader contrari al nuovo ordine neoliberista in fase di insediamento, in Europa. Dopo la parentesi di Jacques Chirac, che tenne la Francia fuori dalla Guerra del Golfo, il potere “nero” conquistò direttamente l’Eliso, non più restando dietro le quinte ma piazzando il suo uomo – Nicolas Sarkozy – sulla poltrona presidenziale. Risultati tangibili: orrore e violenza, il Medio Oriente in fiamme, la nascita dell’Isis, la macelleria della Libia.Da Sarkozy – ora finalmente nei guai con la giustizia francese – lo stesso linguaggio da saloon esibito da Macron: «Ne avete abbastanza di questa feccia», disse, agli abitanti “bianchi” delle banlieues parigine “infestate” di migranti. «Ora ci penseremo noi a toglierli di mezzo». Poi venne il tempo del socialista incolore François Hollande, fotocopia (molto sbiadita) del repubblicano Chirac. Hollande, ha svelato Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni”, militava nella superloggia progressista “Fraternitè Verte”, a cui aveva promesso la fine del rigore socio-economico. Ma il suo governo è stato letteralmente travolto dall’emergenza terrorismo, dalla strage di Charlie Hebdo a quella del Bataclan, fino al massacro di Nizza. Sotto ricatto, con servizi segreti “colabrodo” e ministri sempre più “di destra” (fino all’esordiente Macron), Hollande ha tradito ogni promessa elettorale, imponendo ai lavoratori francesi l’harakiri della Loi Travail, il Jobs Act transalpino, destinato a favorire le aziende penalizzando i dipendenti. Contro l’ectoplasmatico Hollande, ennesimo politico di sinistra passato armi e bagagli al neoliberismo dell’ultra-destra economica, in Francia si è levata la protesta sovranista di Marine Le Pen, votata però alla sconfitta per via delle tare xenofobe del suo Front National. A quel punto, l’élite “nera” ben rappresentata da personaggi come Attali ha fatto la sua mossa, lanciando l’erede di Sarkozy: Emmanuel Macron.Un enfant prodige venuto dal nulla, lo presentarono i giornali, per i quali “il nulla” può essere, eventualmente, anche la filiale bancaria francese della famiglia Rothschild. Corressero il tiro: Macron, scrissero, almeno sul piano politico è un self-made assoluto. Falso, anche questo: il suo maestro Attali è stato (ed è) uno degli uomini di potere più influenti d’Europa. Milita saldamente ai vertici della massoneria sovranazionale di stampo oligarchico, abilissima nell’infiltrare la sinistra europea traviandone i leader, dall’anziano Mitterrand all’allora giovane D’Alema. Banche e multinazionali, con un’unica cabina di regia per le grandi operazioni politiche: una su tutte, l’Unione Europea senza democrazia e la moneta europea senza sovranità. Da quella scuola – la più pericolosa, per l’Europa – proviene Emmanuel Macron: è l’ennesimo avatar del potere nero, insinuatosi nelle istituzioni per svuotarle ulteriormente di democrazia, sulla rotta della privatizzazione universale. Una teologia funesta e spacciata per verità di fede, insieme al dogma dell’austerity – tagliare la spesa pubblica per impoverire la classe media, moltiplicando i profitti stellari dell’élite anche grazie al dumping salariale garantito dai migranti, a loro volta costretti a fuggire dai paesi d’origine, saccheggiati sempre dalla medesima oligarchia.Sarebbe un errore madornale equiparare Macron alla Francia o, peggio ancora, ai francesi come popolo: il piccolo monarca per conto terzi, insediato all’Eliseo dalla peggior risma di parassiti in circolazione in Europa, ha ormai contro la maggioranza dei suoi connazionali. Lo contestano i sindacati, la sinistra di Mélenchon, il Fronte Nazionale della Le Pen. L’elettore medio – operaio, impiegato, agricoltore, imprenditore – ha capito che Emmanuel Macron non è l’uomo che sembrava essere: non sta dalla parte dei francesi, è manovrato da padroni potenti che non amano nessuno e detestano tutti – i francesi, gli italiani, i greci e ogni altra “plebaglia europea”, per citare l’ineffabile Attali. E’ questa, fin fondo, la buona notizia: i popoli stanno cominciando a capire con chi hanno davvero a che fare. E in questa spettacolare procedura di sofferta autocoscienza ha un ruolo di primissimo piano proprio il neonato governo italiano, antropologicamente diversissimo dai predecessori: per i padroni occulti di Macron dev’essere un film dell’orrore, l’inaudito spettacolo dei ministeri italiani occupati da grillini e leghisti. Ringhia, Macron, perché è il cane da guardia di un palazzo oscuro che adesso comincia ad avere paura del popolo. Insulta e minaccia, Macron, perché – come i suoi padroni – sa che i popoli di tutta Europa (cominciando da quello francese) guardano l’Italia che sfida Bruxelles, e prendono nota. Il tempo dei Macron potrebbe finire prima del previsto.La prima a capirlo è stata Angela Merkel, sveltissima a indossare i panni improbabilissimi dell’amicona dell’Italia, paese che il suo governo ha letteralmente azzoppato a colpi di rigore: la sola operazione Monti, decisa tra Berlino e Francoforte nei santuari supermassonici frequentati da ex italiani come Mario Draghi, è costata al nostro paese la perdita di 400 miliardi di Pil e del 25% del potenziale industriale del “made in Italy”. Rideva, Angela Merkel – insieme al suo compagno di merende Sarkozy – quando i media italiani colonizzati dallo straniero bombardavano a tappeto il lebbroso di turno, l’inguardabile Berlusconi. Oggi alla Merkel (e al suo nuovo sodale, Macron) è passata di colpo la voglia di ridere: finalmente, l’Italia li preoccupa. «L’Italia traccia le strade», disse il l’esoterista rosacrociano Rudolf Steiner, pensando al Rinascimento: una quasi-profezia ben nota ai massoni reazionari del massimo potere, quali Sarkozy, Merkel, Macron e compagnia complottante.La loro paura è che la strada tracciabile oggi dall’Italia gialloverde, vera e propria incognita politica, sia quella di un’Europa da rivoltare da cima a fondo, sfrattando dai loro troni gli usurpatori regnanti, i piccoli boss del nuovo, deprimente Sacro Romano Impero costruito con l’imbroglio, la frode finanziaria, la menzogna economistica, il crimine sociale dell’ordoliberismo mercantilista post-capitalistico e parassitario. Un regime occulto, a cui i governi fanno da paravento istituzionale. Un sistema autoritario e privatistico, sleale, scorretto e bugiardo, governato nell’ombra da élite che detestano il popolo, la democrazia e la plebaglia europea nel suo insieme, mezzo miliardo di straccioni e lebbrosi, a cui oggi l’Italia potrebbe tracciare una nuova strada, meno lorda di sangue greco e africano, di strazio italiano inferto dai tagli – senza anestesia – su lavoro e pensioni, sanità e scuola. Il consenso democratico di cui oggi godono Salvini e Di Maio, almeno il 60% degli elettori, l’ometto Macron se lo può solo sognare. Infatti gracchia, stizzito come un qualsiasi dittatore pericolante, i suoi insulti razzisti e xenofobi – un regalo illuminante, per chi ancora non aveva capito chi fosse, davvero, il micro-napoleonico Emmanuel Macron.La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia, insieme a una parte di Francia, disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano contro l’Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, insicurezza sociale, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?
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I media (omertosi) si rassegnino: l’Italia cambierà l’Europa
L’Italia è come un enorme Colosseo, bombardato da “naumachie” tra pro e contro «qualsiasi cosa faccia, dica e pensi il ministro Salvini, a tutte le ore del giorno, a reti unificate». Un continuo derby tra tifoserie rivali, scrive “Scenari Economici”, condito con la messa in ombra degli esponenti del Movimento 5 Stelle, «nel bislacco tentativo di insinuare motivi di disgreagazione di una solida maggioranza», la quale «non ha solo il merito di aver trovato “i numeri” in Parlamento, ma ha costruito un’infrastruttura politica che mancava da anni al paese». Cosa sta succedendo tra le righe di questa deprecabile manipolazione mediatica, ormai ai suoi massimi storici? A bordo campo, segnala il newsmagazine diretto da Antonio Maria Rinaldi, si stanno giocando infatti le partite che contano, «sulle quali regna un religioso silenzio». La prima? L’asse di Salvini con Austria (quindi un’area politica tedesca) e paesi dell’area Visegrad (Est Europa) sul tema immigrazione. Conseguenza: nuova centralità del tema sui tavoli dell’Ue e dei paesi membri. Tutto questo, «mentre sui giornali si strombazza di un asse franco-tedesco che ha appena preso la rivoluzionaria decisione di continuare con la linea attuale, ma ascoltando le esigenze dell’Italia: cioè una supercazzola».Di fatto – seconda notizia – la presa di posizione dell’Italia sul tema immigrazione ha messo a nudo quella che è stata fino ad ora la politica europea in merito, ovvero “continuiamo finchè l’Italia non si rompe le scatole”, che poi è la linea adottata più o meno su tutto il resto. Poi ci sono i conti economici, il Def: il Parlamento ha appena approvato il documento del precedente governo, tra non poche critiche. Nella certezza che il Def 2019 sarà molto diverso, non sono mancate anche importanti osservazioni da parte di alcuni senatori, come Alberto Bagnai e Claudio Borghi, che hanno evidenziato l’assenza di una vera programmazione economica, in un documento che è più un “aggiornamento/previsione dei fondamentali macro-economici”. Altra notizia ignorata dai media mainstream: il “no” del governo Conte alla ratifica del Ceta, cioè il trattato “gemello” del famigerato Ttip, che permette appunto di aggirare la bocciatura del Ttip collocando in Canada le sedi delle multinazionali super-protette dal trattato neoliberista euro-americano.Nel frattempo è completamente cambiata la percezione dell’Italia all’estero, aggiunge “Scenari Economici”: il nostro paese è al centro del dibattito per il suo cambio di passo politico, e alcune forze anti-sistema ne stanno traendo una sponda indiretta. In alcuni casi, come quello tedesco, questo ha generato crisi di governo. «Ma in Italia la comunicazione di massa dei media convenzionali presenta un altro scenario: quello di un’Italia che si sta isolando rispetto alla linea degli paesi europei, e che “fa vergognare” agli occhi dei nostri partner» perché “ha preferito l’odio e all’amore (ma in realtà «ha preferito l’amore per gli italiani a quello per i franco-tedeschi»). Attenzione: «Nessuno si chiede perché nonostante Monti, il Pd, una decina di trimestri consecuivi di recessione, l’Ue, l’euro e le politiche anti-italiane, l’Italia sia ancora la settima economia al mondo. Perché siamo invitati al G7 se contiamo un cetriolo, come ci raccontano? Cosa sta sfuggendo ai narratori?». Un dettaglio decisivo, secondo “Scenari Economici”: lo stesso che ha reso possibile l’esistenza di un governo del cambiamento. Ovvero: «La consapevolezza che molti italiani hanno su quanto sopra». E’ un fatto: «Il dibattito si è arricchito di nuove chiavi di lettura e di strumenti di difesa intellettuale, e dal basso. Il tutto condito con il consenso, un’arma sottovalutata ma potentissima».L’Italia è come un enorme Colosseo, bombardato da “naumachie” tra pro e contro «qualsiasi cosa faccia, dica e pensi il ministro Salvini, a tutte le ore del giorno, a reti unificate». Un continuo derby tra tifoserie rivali, scrive “Scenari Economici”, condito con la messa in ombra degli esponenti del Movimento 5 Stelle, «nel bislacco tentativo di insinuare motivi di disgreagazione di una solida maggioranza», la quale «non ha solo il merito di aver trovato “i numeri” in Parlamento, ma ha costruito un’infrastruttura politica che mancava da anni al paese». Cosa sta succedendo tra le righe di questa deprecabile manipolazione mediatica, ormai ai suoi massimi storici? A bordo campo, segnala il newsmagazine diretto da Antonio Maria Rinaldi, si stanno giocando infatti le partite che contano, «sulle quali regna un religioso silenzio». La prima? L’asse di Salvini con Austria (quindi un’area politica tedesca) e paesi dell’area Visegrad (Est Europa) sul tema immigrazione. Conseguenza: nuova centralità del tema sui tavoli dell’Ue e dei paesi membri. Tutto questo, «mentre sui giornali si strombazza di un asse franco-tedesco che ha appena preso la rivoluzionaria decisione di continuare con la linea attuale, ma ascoltando le esigenze dell’Italia: cioè una supercazzola».
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Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?
Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.«La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
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Lilli e i suoi fratelli, la guerra dei media contro il popolo bue
Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, come di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.A Salvini, in prima serata, “Lady Bilderberg” ha riservato tutte le domande tenute nel cassetto per anni, mai poste a nessuno in precedenza: ma più che le risposte del neo-ministro, a fare notizia era l’evidente dispetto dipinto sul volto dell’dell’ex anchorman del Tg2 craxiano, poi eletta europarlamentare dell’Ulivo prima di tornare, come se niente fosse, a fare “informazione”. Dietlinde Gruber, detta Lilli, di fronte al capo leghista ha sfoderato un piglio bellicoso da Watergate – ma Bob Woodward e Carl Bernstein, vincitori del Pulitzer, mai avrebbero accettato (per dignità professionale) di farsi arruolare ufficialmente tra le fila degli avversari politici di Nixon. E se proprio fossero stati invitati al Bilderberg, avrebbero messo in messo in piazza qualche notizia, intercettata tra quelle segrete stanze. La giornalista de La7 invece partecipa ai “caminetti” a porte chiuse, di cui non riferisce nulla ai suoi telespettatori, e poi – come se niente fosse – carica Salvini a testa bassa, ricordandogli che George Soros è in realtà un grand’uomo, un vero filantropo, essendo la sua Open Society dedita essenzialmente a opere di bene. Lui, Soros: il più celebre speculatore della storia, il più noto supermassone di potere, profeta delle rivoluzioni colorate e ispiratore di “home jobs” insanguinati come il golpe in Ucraina, coi cecchini sui tetti a sparare sulla polizia di Yanukovich per poi far ricadere la colpa sul governo, da abbattere con mezzi criminali.Dopo aver terremotato l’Africa, l’élite francese neoliberista e neocoloniale gioca allo scaricabarile e prova a colpire direttamente l’Italia, anche per distrarre un’opinione pubblica che, oltralpe, ha già perso la fiducia che aveva nell’oscuro, opaco Macron, sodale occulto dei peggiori Soros in circolazione? Niente paura: a reti unificate, le testate italiane – giornali che più nessuno legge – si schierano compatte col francese e contro l’italiano, scelgono il paese che sta cercando di sfrattare l’Italia dalla Libia e si avventano contro il ministro che ha avuto l’ardire di rimettere in discussione l’ipocrisia europea. Salvini fa politica: per la prima volta, un italiano riesce a spaccare in due la Germania e a dividere Berlino da Parigi. Ragione in più per trattarlo da nemico pubblico, in Italia. A malmenarlo, con inaudita violenza, è proprio la Gruber, che utilizza una scheda televisiva per dimostrare che la Francia ha accolto più rifugiati, rispetto all’Italia. Salvini però la smentisce all’istante: i dati esibiti a “Otto e mezzo” sono vecchi, risalgono al 2015. La verità, oggi, è ribaltata: l’Italia accoglie, la Francia non più. Dati ufficiali, del Viminale: una notizia, in teoria – ma non per Lilli Gruber e soci: a loro, le notizie sono l’ultima cosa che interessano, impegnati come sono nella loro rabbiosa crociata contro il popolo italiano e i mascalzoni che ha osato mandare al governo.Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, nemmeno fossero di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.
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Tav, binario morto: fine della Torino-Lione voluta dall’élite?
Sindaco di Torino dal 2001 al 2011, Chiamparino esprime al meglio la storica conversione neoliberista dell’ex sinistra piemontese, passata dalla lotta operaia sotto le bandiere del Pci alle platee del Lingotto all’ombra del Pd veltroniano e renziano. Dopo aver gestito le Olimpiadi Invernali 2006 che hanno ridato fiato all’economia torinese prostrata dal declino della Fiat, Chiamparino è passato – in modo disinvolto – dalla guida della città alla presidenza della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria del primo istituto di credito italiano, per poi tornare tranquillamente alla politica: oggi è presidente della Regione Piemonte. “Siete praticamente finiti”, disse cordialmente ai NoTav nel 2010, festeggiando quella che immaginava fosse la fine della resistenza popolare della valle di Susa contro la maxi-opera. “Siete rimasti in quattro gatti”, disse ai militanti, che risposero con una marcia di 40.000 persone. Da allora, la battaglia NoTav si è letteralmente incendiata, anche con pesanti strascichi giudiziari. E nel frattempo è cambiata la percezione nazionale del fenomeno: decine di personaggi pubblici – scrittori, cantanti, attori, registi – si sono schierati dalla parte dei valligiani, bocciando la Torino-Lione come una inutile, pericolosa devastazione.La novità è che, dopo le elezioni del 4 marzo, questo pensiero è diventato maggioranza, nel paese: il governo gialloverde frena, sui cantieri valsusini. I penstastellati dovranno “passare sul corpo di Chiamparino” se vogliono cestinare la Torino-Lione? Si tranquillizzi, gli risponde il ministro grillino Danilo Toninelli: in valle di Susa potrebbe non passare nessun treno. Al che, Chiamparino rilancia e “convoca” a Torino l’esecutivo, che però risponde picche. Un affronto, per il presidente della Regione: «L’esempio che arriva dal governo non è di rispetto istituzionale», dice Chiamparino, irritato anche con Salvini, “colpevole” di avergli ricordato che «il contratto di governo prevede, per tutte le grandi opere, una nuova analisi costi-benefici». Chiamparino attacca il neo-ministro dell’interno, definendolo «un primo ministro ombra, in campagna elettorale permanente, che non mostra alcun rispetto istituzionale». Davvero? «Se pensava di farsi da solo il monologo sulla Torino-Lione e altre opere che invece dovranno passare da una seria analisi costi-benefici previste nel contratto di governo, strumentalizzando ai fini politici la sua carica istituzionale, è stato servito», replicano i parlamentari piemontesi del Movimento 5 Stelle, chiudendo il caso della mancata partecipazione del governo al summit torinese.Ancora più dura la risposta leghista: «Se un governatore fantasma, sparito da Torino e dal Piemonte, si ricorda di esistere solo per attaccare Salvini e la Lega, significa che l’incontro sulle infrastrutture era solo un pretesto», dice Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e segretario regionale del Piemonte. «Chiamparino sa bene che il mio ministero sta lavorando alacremente per una “project review” di certe importanti opere della sua regione», precisa lo stesso Toninelli: «Quando sarà il momento, saremo noi a convocare un tavolo istituzionale con tutte le parti in causa». E aggiunge: «Il governo è cambiato: forse il presidente Chiamparino ha difficoltà a farsene una ragione». L’esecutivo è cambiato perché gli italiani hanno votato, democraticamente. E hanno scelto Lega e 5 Stelle: di questo, proprio, l’establishment sembra non riuscire a capacitarsi. E tra le macerie dell’ex centrosinistra, tutto quello che riesce a pigolare il Pd è la paura che venga cancellato il maxi-appalto del secolo, per il super-treno che nessuno vuole – a parte Chiamparino e la potente lobby dell’alta velocità valsusina, che in trent’anni non ha mai trovato modo di spiegare, al popolo, a cosa (e a chi) servirebbe davvero, quel maledetto treno, destinato a restare in eterno – secondo tutti gli esperti – nient’altro che un patetico, miliardario binario morto.«Dovranno passare sul mio corpo», avverte Sergio Chiamparino, ultimo guardiano politico della linea Tav Torino-Lione. Clinicamente morto, come progetto strategico, il Tav della valle di Susa resta il supremo totem del super-potere oligarchicoche ha fatto carne di porco della democrazia europea, criminalizzando ogni voce di dissenso. Banche, partiti, mafia e maxi-opere: per 25 anni le grandi lobby hanno dettato legge, affidando interi tratti della rete ferroviaria superveloce direttamente alla criminalità organizzata, come denunciato da Ferdinando Imposimato. Nel suo “Libro nero dell’alta velocità”, un analista come Ivan Cicconi vede “il futuro di Tangentopoli”, tra «scelte note e occulte, bugie consapevoli e inconsapevoli», come il “finto” finanziamento privato. Il giallista Massimo Carlotto spiega che le grandi opere sono notoriamente «una lavanderia per riciclare denaro sporco». Rischi sistemici inevitabili? Inconvenienti in agguato in ogni maxi-appalto? Ma nel caso della valle di Susa è peggio: perché l’ipotetica linea-doppione, fotocopia dell’attuale Torino-Modane che già collega Italia e Francia via traforo del Fréjus, è completamente inutile. Lo dicono 360 esperti dell’università italiana e lo conferma la stessa autorità elvetica incaricata dall’Ue di monitorare i trasporti transalpini. L’utilità della Torino-Lione? Una leggenda metropolitana. Ma non per Sergio Chiamparino e il gruppo di potere che rappresenta.
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Magaldi: l’ottimo Salvini e gli ipocriti che uccisero Sankara
Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.Sembrano storie lontane, ma sono vicinissime: probabilmente non sarebbe mai neppure esistita, una nave Aquarius carica di profughi, se il leader rivoluzionario del Burkina Faso non fosse stato assassinato nel 1987, dopo aver chiesto ad alta voce la cancellazione del debito per l’Africa e, al tempo stesso, la fine degli “aiuti” della Banca Mondiale e del Fmi. «I vostri prestiti diventano la nostra schiavitù», ripeteva. «L’Africa ha tutto, per farcela benissimo da sola; basta che ci lasciate in pace, liberi di svilupparci senza più il peso del debito, e delle multinazionali che portano via le nostre risorse». Il prestigio di Sankara stava infiammando paesi decisivi come il Senegal e la Costa d’Avorio, il Kenya, il Camerun. Che Africa avremmo, oggi, se in quei paesi fosse cresciuta una generazione di politici come Sankara? Certo non se lo domandano i buonisti della domenica stile Roberto Saviano, prontissimi ad aprire il fuoco contro i partiti del governo gialloverde, a cui la ex sinistra italiana (insieme ai media mainstream) non perdona di aver vinto le elezioni, il 4 marzo. Ragione in più per smascherare l’impostura dei finti amici dei migranti, che utilizzano la disperazione dei profughi solo per gettare fango sul neonato esecutivo.Finalmente abbiamo un governo all’altezza della situazione, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «dopo tanti anni di premier imbelli e ministri imbelli, figure veramente mediocri che si sono succedute sulle poltrone ministeriali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «Salvini ha mostrato il minimo sindacale di carattere e di fermezza – e con lui Conte, che è un signore dai modi aristocratici ma che ha avuto posizioni ferme. E anche nel Movimento 5 Stelle c’è stata perfetta solidarietà rispetto alle posizioni di Salvini». Tra parentesi: gli italiani apprezzano. Sondaggi alla mano, in 7 su 10 approvano senza riserve l’operato del leader leghista. Certo, si registra anche l’inevitabile strascico polemico di apparati politici ormai alla deriva, completamente spiazzati dalla svolta italiana: «Rimangono ovviamente i latrati di alcune testate giornalistiche e di alcuni ambienti politici che giocano a mistificare la questione gridando al razzismo, al fascismo, alla xenofobia», dice Magaldi. «Peccato che poi scopriamo (con piacere) che anche in casa Pd e in alcuni ambienti della cosiddetta sinistra qualcuno ha detto: intanto Salvini ha fatto quello che Minniti avrebbe voluto fare e non ha potuto fare per via di quel baciapile un po’ ipocrita di Del Rio, che all’epoca – come ministro delle infrastrutture – impedì cose analoghe».Perfettamente allineato a Salvini, invece, il neo-ministro Danilo Toninelli, che ha competenza sui porti e sulla Guardia Costiera. In sintesi: «Il governo Conte e il ministro Salvini hanno agito benissimo», scandisce Magaldi. «Hanno messo un freno a quella che è una modalità inaccettabile di gestione del problema immigrazione nel Mediterraneo». Attenzione: è un problema italiano, ma anche europeo e globale: «Dovrebbe farsene carico la Nato e magari anche l’Onu, se esistesse ancora e avesse una capacità di intervento». Già, appunto: dove sono, le Nazioni Unite? Non fanno altro che «promuovere le proprie agenzie – accusa Magaldi – ingrassando funzionari che spesso di tutto si occupano, tranne che di diffondere i principi di quella dichiarazione universale dei diritti umani che proprio all’Onu era stata approvata settant’anni fa». Brutto spettacolo: «Una struttura super-burocratica, l’Onu, che al pari dell’Europa è molto al di sotto delle sue potenzialità e anche delle sue retoriche». L’Aquarius? Siamo seri: «Non era una zattera alla deriva, ma una nave perfettamente funzionante. Ed è stata accompagnata, scortata, assistita con opportuni soccorsi sanitari». Parliamoci chiaro: «Ci sono Ong che lucrano sulla tratta di migranti, spesso poi utilizzati anche da associazioni criminali».Molti, una volta sbarcati, vivono “fuorilegge”, non avendo titolo per essere accolti come rifiugiati. Beninteso: «Hanno titolo, giustamente, per sognare una vita migliore in un nuovo paese: ma allora dovrebbero essere inquadrati in un progetto», sostiene Magaldi, che si dichiara «a favore dell’accoglienza a prescindere, e anche della libertà di emigrare». Ma qui non si tratta di scelte libere: è un esodo di disperati in fuga, di fronte al quale trionfa l’ipocrisia. «Nessuno si fa carico di andare a risanare i paesi di provienienza dei migranti, in mano a dittature sanguinose, con popolazioni tenute in condizioni di vita non dignitose. Si preferisce invece farsi carico di trasportare questi poveretti nelle nostre società, dove già sono compressi i diritti, non c’è un clima di socio-economico espansione. E così si fomenta una guerra al ribasso: perché i poveri migranti lavorano spesso in nero, peggiorando ulteriormente le condizioni dei lavoratori italiani: diventano una concorrenza semi-schiavile al ribasso rispetto ai ceti meno abbienti occidentali». E poi, sinceramente: «Quanti di loro sono utilizzati dalla criminalità organizzata?». E ancora: «Che senso ha che vi siano addirittura navi che, per mestiere e per lucro, vanno a prendere i migranti e li scaricano in Italia, anziché in Spagna o in Francia?».Quindi, ribadisce Magaldi, quella di Salvini è stata «un’ottima mossa», che infatti «ha indotto subito a più miti consigli quelli che in Europa avevano sempre ignorato le nostre richieste, reiterate ma velleitarie, da parte di altri governi, di guardare in modo collegiale al problema migrazioni». Nessuno – a Parigi o Madrid – può dare lezioni all’Italia. Al contrario, è ora che Bruxelles prenda nota: la pacchia è finita, per gli eurocrati che giocano allo scaricabarile, travestiti da crocerossine. E anche qui, buone notizie: «In molti hanno riveduto e corretto il giudizio sull’azione di Salvini, dopo aver visto le reazioni scomposte, ipocrite e pretestuose di alcuni governi europei, decisi a non accogliere i migranti a casa loro ma desiderosi di vedere l’Italia nel caos, lasciata sola di fronte a questo problema». La storia è feroce, quando diventa farsa: gli sponsor delle Ong sono gli stessi oligarchi che hanno distrutto il lavoro in Europa e fatto esplodere la fame in Africa. Ecco perché diventa emblematico, oggi, il nome del compianto presidente del Burkina Faso, marxista e massone, protagonista di una rivoluzione esemplare e nonviolenta in nome del popolo sovrano: l’ex Alto Volta come modello per un’Africa dignitosa e prospera, libera e decolonizzata. L’Africa per la quale Thomas Sankara perse la vita: un’Africa che, se oggi esistesse, di certo non esporterebbe disperazione.Oggi, sottolinea Malaldi, proprio Sankara «potrebbe diventare il vessillo di un ripensamento delle politiche sull’Africa», aprendo la strada all’idea – formulata da Craxi nel 1990 – di andare finalmente ad “aiutare a casa loro” quei poveretti derubati dall’Occidente, in fuga da un continente abbandonato alla dittatura delle multinazionali e privo di investimenti in strutture politiche, economiche e sociali. «Proprio l’aver ucciso personaggi come Sankara – insiste Magaldi – è stato un modo, da parte di coloro che negli anni ‘80 stavano costruendo questa cattiva globalizzazione, per arrestare uno sviluppo autonomo e dignitoso dell’Africa. Un modo per continuare a depredarla, per poi determinare questi esodi biblici di disperati». Mano tesa all’Africa dei Sankara di domani? Se l’Italia è il primo paese europeo a fermare la tratta degli schiavi, potrebbe essere – nel prossimo futuro – anche il primo a rilanciare una nuova politica euro-mediterranea, come quella già perseguita dai vari Mattei e Moro? «Come annunciato, oggi l’Italia è finalmente al centro di una guerra tra democrazia e oligarchia: e se si vince la battaglia in Italia – dice Magaldi – forse si può cambiare molto, a livello globale».Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.