Archivio del Tag ‘M5S’
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5 Stelle ricattati dal potere che utilizza tutti, anche la Lega
Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.Quindi, invece di chiarire se questo governo deve rimanere in carica o no, queste elezioni lo rafforzano – a meno che (il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi) qualche gruppo di grillini o di renziani non immagini una strada diversa e mandi tutto all’aria. Vedremo, ma innnazitutto: perché si è verificata, questa batosta? I grillini hanno tradito la loro base. Come nel resto d’Italia, anche in Umbria il Movimento 5 Stelle si era formato combattendo contro Berlusconi e contro il Pd. Questa è stata la loro storia. In Umbria avevano lottato soprattutto contro il Pd, in tutti i modi. In Umbria, il Pd era l’arroganza del potere, il rapporto con il capitale e con i poteri forti, e nessun ascolto dei territori. Questo è stato, il gruppo incarnato dal Pd, per decine di anni. E gli uomini del Movimento 5 Stelle (consiglieri regionali, comunali) erano cresciuti in Umbria facendo questa battaglia. Ho parlato con tanti di loro. Quando il M5S si è alleato col Pd, dicevano: «E adesso noi che facciamo? Ci avevamo messo la faccia, e adesso la perdiamo». Aggiungevano: «Speriamo che il disastro elettorale sia di proporzioni limitate». Ma secondo me nemmeno loro se l’aspettavano, che finisse proprio così.C’è stato il tradimento di tutta una classe di attivisti 5 Stelle (come anche nel resto d’Italia, peraltro: quindi, se la stressa cosa viene riproposta in giro per l’Italia, immaginatevi cosa succede). Ma ormai la gente cominicia a non credere più ai burattini di Grillo. In mezzo a loro ci sono tante persone per bene, ma ormai lo si è capito: Grillo ha deciso di andare col Pd, coi poteri forti. Ha deciso di favorire la finta rivoluzione fatta dai poteri forti attraverso l’elettronica, l’industria del “green new deal”, e così il Tap, il Tav, il Muos, i vaccini. Quindi la gente ormai se n’è accorta. Ci vorrà un po’ di tempo, ma diciamo che il Movimento 5 Stelle è in via di spegnimento. A favore di chi? Dei poteri forti, ovviamente. Attualmente, in Parlamento il M5S ha una massa enorme di deputati e senatori che non avrebbe, se si fosse votato adesso, ma insieme a quelli del Pd (che anch’essi prenderebbero una discreta legnata) hanno tutto l’interesse a portare a termine la legislatura, a maggior ragione dopo la batosta in Umbria. Ma pensate al potere oscuro che li controlla entrambi: è un potere verticista, mondializzante, europeista. Pensate a come li controlla meglio, adesso. Non possono sgarrare, né protestare, perché rischiano di andare tutti a casa.E allora farà ancora più disastri, il pericolosissimo governo Conte-bis. E’ stato formato da gente del Club di Roma, dell’Unione Europea, di Goldman Sachs e da gente dei peggiori poteri, inclusi i gesuiti e certe massonerie. E’ un governo di guerra, muove guerra alle coscienze, e trasferirà ancora più fondi dalle nazioni all’Ue: è punta di lancia dell’europeismo e della maggioranza europea verticalizzante. Farà ancora più danni, perché costringerà facilmente a stare zitti i deputati e i senatori che lo sostengono: dovranno accettare tutto, altrimenti andranno a casa. Riuscirà, questa operazione? Speriamo di no. Se non riuscisse, cosa succederebbe? Magari, la destra andrebbe al governo. Ma non aspettiamoci rivoluzioni: la destra dipende dagli stessi poteri, il suo mestiere è solo di fare “bau-bau”. Quindi avremmo un governo di destra che verrebbe attaccato in tutti i modi. Verrebbe messa in crisi l’Italia, fino a ricondurci all’ovile dei funzionari del potere. Quello che è stato fatto adesso verrebbe riproposto. Cosa dobbiamo fare? Svegliarci, non credergli più. E continuare a fare quello che diciamo sempre: lavoriamo, non pensando a questi felloni, ma a quello che possiamo fare attorno a noi. Organizziamoci in piccole comunità e associazioni, gruppi d’acquisto etico-solidali. Facciamo il lavoro in orizzontale: è dal livello orizzontale che sorgerà una società nuova, non da questi felloni.(Fausto Carotenuto, “Elezioni in Umbria: la batosta Pd e M5S. Perché? Cosa cambia in Parlamento?”, video-editoriale su YouTube registrato il 29 ottobre 2019. Già analista politico dei servizi segreti Nato, Carotenuto è ora animatore del network “Coscienze in Rete”).Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.
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Formica: si torna a votare tra poco, lo sa anche Mattarella
L’esperimento dell’alleanza Pd-M5S è fallito ancora prima di nascere. Questo complica i piani di Zingaretti, Di Maio, Renzi. Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere, da domani in poi, nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione. Mattarella ha un giusto orientamento: dopo questo governo non c’è un altro incarico di governo sostitutivo. Ci sono le elezioni, che sono inevitabili in caso di crisi del Conte-2, che può ancora galleggiare qualche mese al massimo. Poi, i problemi interni e internazionali imporranno una guida politica che non sia carente di pensiero politico. Il problema è che il presidente della Repubblica, cioè la massima istituzione garante (che ha anche la forza morale per poterlo fare), deve decidersi a fare un quadro dello stato di salute del paese davanti al Parlamento. È il suo dovere costituzionale, non è una richiesta alla persona. Nel caso decidesse in tal senso, il paese sarà scosso; ma forze vitali nel paese ci sono, ciò che manca è il pensiero organizzato. Il Movimento 5 Stelle è nato morto, perché è nato senza pensiero politico, anche se apparentemente, con le elezioni del marzo 2018, aveva avuto una ventata favorevole.Quel risultato faceva leva sugli istinti anti-sistema che attraversavano il paese. Se il M5S era anti-sistema, vuol dire che non aveva il pensiero per sostituire il sistema con un altro sistema, perché nelle società moderne non si può essere anti-ordine per il disordine. Nessuna società moderna può accettare il disordine; tutt’al più un diverso ordine. La debolezza di questo governo non è che si fonda su una forza parlamentare del 33% che oggi non è più tale perché indebolita dalle urne; finalmente si è scoperto che non esisteva, come pensiero politico nel paese. È stata un’illusione. L’alleanza con una forza di sistema come il Pd? Il Pd si è trovato ad aver accettato dal 1994 in poi di nascondere il proprio pensiero, di non aggiornarlo; e non poteva non seguire la sorte delle forze che vedevano esaurirsi il proprio pensiero politico. Pensate al paradosso: dove il Pd sopravvive con una certa vivacità è legato al fatto che prende motivazioni esistenziali della destra reazionaria. Prendiamo il caso dell’immigrazione. Vi sembra che fosse pensabile, anche solo pochissimo tempo fa, che la Ocean Viking venisse tenuta 10 giorni in mare in attesa che ci fossero le elezioni in Umbria per poi farla attraccare a Pozzallo? È una cosa che non avrebbe fatto nessuna sinistra.Le forze vitali sono dovunque e in nessun luogo. Dovunque, dove c’è una persona pensante, e ce ne sono tante; in nessun luogo, perché non ci sono luoghi di coagulo. Ma il Big Bang crea il punto di aggregazione. È evidente a tutti questa necessità di un’operazione-verità, e le forze politiche non possono non cogliere questa esigenza di avere respiro sulle grandi questioni di politica economica, sociale, estera. Dov’è la politica economica di questo paese, che è un obbligo costituzionale avere, come prevede l’articolo 41 della nostra Carta? Ci si domanda: che ruolo potrebbe giocare Draghi? Noi abbiamo già una posizione istituzionale europea importante, di presidio e di osservazione, con Gentiloni nella Commissione Ue. Poi abbiamo una persona che ha guadagnato grande prestigio internazionale e ora è libero di esprimere giudizi di ordine sistemico. Il problema non è andare a ricercare una collocazione funzionale a Draghi, ma utilizzare un arbitraggio morale: può essere interrogato ed esprimere un parere su quello che si fa o non si fa per la costruzione dell’area geopolitica europea, visto che nei suoi 8 anni alla Bce ha cercato di mantenere l’essenziale della coesione europea.Il ruolo viene dopo, se si presenta la necessità. Ma il primo passo è rianimare il pensiero politico, visionario, di un paese: qual è la funzione dell’Italia nel mondo, piccola o grande non importa? Noi abbiamo avuto una funzione nel mondo fino a 20 anni fa. Oggi no, abbiamo cessato di produrre posizioni di iniziativa autonoma; lavoriamo solo sugli interstizi, sugli spazi residuali. Anziché avere una posizione autonoma attiva di costruzione di una linea europea, ci si è immiseriti nel tentativo di utilizzare gli spazi che i litigi altrui creano. Dombrovskis ha manifestato serie preoccupazioni sulla manovra del governo Conte-2. Dobbiamo aspettarci da qui a dicembre un pesante condizionamento della Ue? No. L’Italia ha scelto con questo governo una linea disciplinata alle decisioni dell’Europa. Il vero prodotto della mancanza di pensiero politico è che si sceglie di non avere margini di autonomia nel contrastare situazioni non favorevoli. È la nostra debolezza. Quando non si hanno una politica industriale, una politica economica, una politica estera e di difesa, giocando solo di rimessa su tutto, se la palla arriva, va bene, altrimenti si sta in mezzo al campo come un broccolo. Ma non è un problema solo di questo governo o di quello passato. È una situazione che dura da almeno vent’anni.Siamo al punto terminale di una lunga fase che ha visto l’istinto prevalere sul pensiero, la reazione sulla riflessione. È agli sgoccioli tutto quello che poteva produrre un sistema senza pensiero politico e di carattere generale, che da 25 anni si è riversato sulle istituzioni e sull’intero equilibrio del sistema politico italiano. Con quali effetti? Il disperdersi sugli aspetti più minuti di ciò che sta avvenendo, sia nell’attività di governo che nell’attività dei partiti, è fuorviante. C’è un distacco impressionante tra la valutazione delle questioni quotidiane minori nelle quali siamo immersi e le questioni di carattere generale, interne e internazionali. È successo qualcosa di politica estera molto più importante che stabilire se in Umbria si è spostato un gruppo sociale a favore di un altro gruppo sociale. In Gran Bretagna, dopo tre anni di guerriglia parlamentare in un paese investito dallo stesso male del populismo che ha colpito l’Europa, il Parlamento si è riappropriato della sua funzione e ha detto: andiamo alle urne e chiediamo al popolo se noi abbiamo forza politica nazionale tale da poter essere presenti nella nuova prospettiva che rende necessaria la ricomposizione di un ordine mondiale.Ciò che avverrà in Gran Bretagna, da oggi al 12 dicembre, interessa o non interessa l’Italia e l’Europa? In Gran Bretagna si voterà anche per il futuro non solo del nostro paese, ma dell’Europa. Le nostre forze politiche e le nostre istituzioni, invece di occuparsi del dettaglio se si dovranno tassare le sigarette o lo zucchero, seguiranno da vicino il dibattito politico e le elezioni inglesi? In Italia siamo al dettaglio di ciò che residua della nostra possibilità di influire sugli equilibri economico-sociali e ci dimentichiamo che il 90% delle nostre decisioni dipenderanno da ciò che succede fuori dal nostro paese. Siamo in presenza di una decadenza e di un immiserimento della nostra classe dirigente da paura. Il problema non è se noi giochiamo un ruolo di secondo o di terzo piano sulla scena mondiale, il problema è: abbiamo un nostro pensiero sul futuro dell’Europa? Le nostre istituzioni, sfornite del pensiero politico, sono diventate sterili. Non pulsa il cuore, non funziona il cervello; come possono funzionare le gambe e le braccia?(Rino Formica, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Qualche mese e poi si vota, lo sa anche Mattarella”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 31 ottobre 2019. Spirito indipendente, socialista e più volte ministro nella cosiddetta Prima Repubblica, Formica è noto per l’acutezza delle sue analisi e per le previsioni regolarmente confermate dai fatti).L’esperimento dell’alleanza Pd-M5S è fallito ancora prima di nascere. Questo complica i piani di Zingaretti, Di Maio, Renzi. Sono tutti rottamati o rottamabili. Qualsiasi cosa dovesse nascere, da domani in poi, nascerà senza e contro di loro. L’assenza di pensiero ha reso le classi dirigenti burocrati di nomenklature in estinzione. Mattarella ha un giusto orientamento: dopo questo governo non c’è un altro incarico di governo sostitutivo. Ci sono le elezioni, che sono inevitabili in caso di crisi del Conte-2, che può ancora galleggiare qualche mese al massimo. Poi, i problemi interni e internazionali imporranno una guida politica che non sia carente di pensiero politico. Il problema è che il presidente della Repubblica, cioè la massima istituzione garante (che ha anche la forza morale per poterlo fare), deve decidersi a fare un quadro dello stato di salute del paese davanti al Parlamento. È il suo dovere costituzionale, non è una richiesta alla persona. Nel caso decidesse in tal senso, il paese sarà scosso; ma forze vitali nel paese ci sono, ciò che manca è il pensiero organizzato. Il Movimento 5 Stelle è nato morto, perché è nato senza pensiero politico, anche se apparentemente, con le elezioni del marzo 2018, aveva avuto una ventata favorevole.
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Magaldi: sta cambiando tutto, e adesso ve ne accorgerete
Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».Un esito scontato: «Nel 2018, i gialloverdi avevano promesso un vero cambiamento: assaporato il quale, ora gli elettori non possono digerire l’imbarazzante Conte-bis», sottomesso ai consueti vincoli-capestro imposti da Bruxelles. Per Magaldi, tutto sta insieme: gli elettori umbri premiano il Salvini che si è circordato di economisti post-keynesiani come Bagnai e Rinaldi, contrari alla “teologia” del rigore Ue. Nel frattempo, Giuseppe Conte è sulla graticola: oltre alla débacle umbra, che taglia le gambe alla grottesca alleanza tra il Pd e i grillini che proprio in Umbria li avevano denunciari, facendo cadere la giunta “rossa” di Catiuscia Marini, il premier teme sviluppi dal caso Russiagate, dopo le strane omissioni (segnalate dal “Corriere della Sera”) che rendono incompleta, se non reticente, la sua prima audizione al Coapasir. Il sospetto: Conte avrebbe usato in modo improprio i servizi segreti italiani, mettendoli a disposizione del ministro statunitense William Barr, impegnato a cercare prove contro Joe Biden, rivale di Trump. Non è tutto: proprio mentre Perugia si trasformava nella Caporetto di “Giuseppi”, il “Financial Times” ipotizzava che Conte potrebbe essere accusato di conflitto d’interessi per aver fatto da consulente a un fondo d’investimento di area vaticana, ora accusato di corruzione.«Me ne compiaccio», dichiara Magaldi, irridente, pensando alla “macchina del fango” scatenata contro Salvini per “Moscopoli”, anche attraverso il servizio di “Report” trasmesso in prossimità dell’audizione di Conte al Copasir e alla vigilia delle elezioni in Umbria. «Segno che tra i cosiddetti “poteri forti” non ci sono soltanto quelli di segno reazionario, che sostengono il Conte-bis, dopo aver sorretto i governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni». Esponente italiano del network massonico progressista internazionale (Grande Oriente Democratico, Rito Europeo Universale), Magaldi annuncia: i massoni progressisti sono impegnati in una controffensiva, in tutto il mondo, dopo i decenni devastanti della globalizzazione neoliberista. Il presidente del Movimento Roosevelt cita la Cina, che ha rimosso la governatrice di Hong Kong contestata dalla popolazione, e segnala anche l’esultanza di Trump per l’annuncio della morte del capo dell’Isis, «il massone reazionario e terrorista Abu Bakr Al-Baghdadi, esponente della superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dal clan Bush per terremotare il pianeta anche col terrorismo, grazie ad affiliati come lo stesso Osama Bin Laden».Se le creazioni supermassoniche chiamate Isis e Al-Qaeda avevano marcato l’ultima svolta (terroristica) del piano di dominio del pianeta, fondato sulla strategia della tensione internazionale per imporre a mano armata questa globalizzazione a senso unico e senza diritti, secondo Magaldi – autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) – tutto era cominciato l’11 settembre 1973 in Cile, con il golpe di Pinochet che aveva introdotto con la massima violenza la dottrina neoliberista della “scuola di Chicago” di Milton Friedman. A maggior ragione, dice oggi Magaldi, riempie il cuore – oggi – assistere a una protesta spettacolare come quella in corso a Santiago del Cile, sfidando il coprifuoco imposto da un governo che, come allora, ha schierato i carri armati nelle strade. «Tutto sta cambiando, a livello planetario, grazie alla regia della massoneria progresista», avverte Magaldi, lasciando capire che lo stesso Salvini – in apparenza esaltato dai mojito del Papeete, ad agosto – è stato «sapientemente consigliato» sul da farsi. «Salvini sta studiando», disse Magaldi, dopo il divorzio del leader leghista dal governo coi grillini. «E’ vero, sto studiando», ha confermato Salvini, nel “duello” televisivo con Renzi, da Bruno Vespa.«Fortemente trasformata da Salvini, la Lega è comunque ancora caratterizzata da un’impostazione tradizionalista, ad esempio in merito ai diritti civili (unico merito di Renzi, l’aver varato almeno le “unioni civili”)». Tuttavia, aggiunge Magaldi, «il Carroccio di Bossi e Maroni era apertamente liberista, mentre la Lega di Salvini si è affidata a economisti progressisti, dotati di una visione che prevede il ritorno dell’intervento dello Stato nell’economia: meno tasse e investimenti strategici da non inserire nel computo del deficit». Se son rose fioriranno, sembra dire Magaldi: anche perché, in ogni caso, tutti gli altri (Conte e Di Maio, Zingaretti e Renzi, lo stesso Berlusconi) non hanno mai osato neppure ipotizzare un cambio delle regole, da intavolare a Bruxelles. Potrebbe farlo ora l’ipotetico “nuovo” Mario Draghi, che – di colpo – evoca la sovranità monetaria, con l’emissione di denaro illimitata prescritta dalla Modern Money Theory? Meglio non correre con la fantasia, raccomanda Magaldi: Draghi potrebbe sostituire Conte «solo se si facesse garante con Bruxelles di una vera espansione della spesa strategica per l’Italia», e dopo aver fatto ammenda delle sue “malefatte”. «Come per la mafia contano i pentiti, che ne scardinano l’organizzazione, così Draghi dovrebbe dimostrare di essere davvero pentito della sua pessima governance reazionaria e neoaristocratica, prima di Bankitalia e poi della Bce».Forse adesso anche i più sprovveduti, i teorici della “follia estiva” del Papeete, capiranno perché Salvini ha staccato la spina al governo gialloverde, una volta capito che Conte e Tria gli avrebbero impedito di alleggerire la pressione fiscale e inaugurare una politica finalmente espansiva. Ultimo tradimento, il voto dei grillini per Ursula von der Leyen alla Commissione Europea. Ragionamento del leghista: guai se resto al governo, costretto a firmare una manovra che rappresenta l’esatto contrario di quanto promesso. Risultato: Salvini ora fa il pieno alle regionali in Umbria (57,5%), umiliando Zingaretti e in particolare Di Maio, con i 5 Stelle al di sotto dell’8%. «Logico che gli italiani, a partire dall’Umbria, puniscano le forze del Conte-bis e la loro manovra finanziaria deprimente, persino preoccupante», con la crociata contro i mini-evasori e la demonizzazione del contante. Gioele Magaldi canta vittoria: il suo Movimento Roosevelt si è schierato con la Tesei sostenendo “Umbria Civica” del battitore libero Nilo Arcudi: «Non per rieditare l’obsoleto e deludente centrodestra, ma per promuovere un dialogo trasversale coi progressisti del centrosinistra, contro i conservatori di entrambe le coalizioni».
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Giannini: il governo del ricatto se ne vada, o il M5S è morto
Il cittadino italiano non ha molto tempo da dedicare ai trastulli dei politici, quindi non ama le faccende troppo complesse e quando si tratta di esprimere una croce su un simbolo entra nella cabina elettorale ed agisce in modo istintivo: “Chi voto? Basta con i soliti”. Negli ultimi mesi, caso mai non ve ne foste accorti, siamo passati dal “governo del cambiamento” al “governo del ricatto”: o governiamo noi progressisti o i mercati, sicari di Bruxelles, alzano lo spread e falliamo (a questo punto aboliamo la democrazia visto che essa si esercita votando…). Di fronte a questa evidente violazione della Costituzione, come popolo italiano, i nostri partiti tutti dovrebbero marciare (metaforicamente) compatti su Bruxelles, chiedendo una uscita concordata dalla Moneta Unica per dimostrata incompatibilità con la democrazia. E se all’elettore girassero le scatole proprio per questo (ferme restando le peculiarità umbre)? E se l’intuito più bestiale dell’elettore gli facesse comprendere che c’è uno stretto nesso tra la corruzione locale e la democrazia assassinata? Oettinger affermò candidamente che «i mercati insegneranno agli italiani a votare». Meno impulsivamente e più analiticamente si comprende che questo nesso è il muro di gomma (di retorica) tipico dei progressisti.Stiamo andando incontro a un’altra crisi economica ferocissima? Non preoccupatevi, vi parleranno delle magnifiche sorti progressive dell’“Europa”, dell’Amazzonia che brucia (lo fa da 50 anni), del riscaldamento globale (idem), del fascismo, dei migranti, della tassa sul diesel per migliorare (secondo loro) l’ambiente, della tassa sulla sigaretta elettronica e sullo zucchero per migliorare (secondo loro) la nostra salute (sic!), degli immancabili diritti civili, del muro in Messico, ecc ecc. Chi a marzo 2018 votò 5S e Lega si opponeva a questa vomitevole melassa, eppure se l’è ritrovata di nuovo nel piatto! Vero che Salvini ad agosto ci è andato giù di Mojito, ma da lì a rimettere al governo “i soliti” ce ne passava. Chi sono quindi i soliti? Sono quelli che umiliano la sostanza con la forma! Sono coloro che trasformano i fatti in chiacchiere! Quelli che cambiano nome (etichetta) ad una cosa e ti dicono che ora è un’altra cosa! I soliti possono anche essere neoeletti in forze politiche nate recentemente; ma non puoi confonderli a lungo, perché prima o poi compiono operazioni così rapide e così sfacciate (trattandoci da cretini) che definirle di “trasformismo” è un eufemismo: No alleanze Sì alleanze, No vaccini Sì vaccini, No euro Sì euro, No Bibbiano Sì Bibbiano (un quarto d’ora dopo), No Fiscal Compact Sì Fiscal Compact, No pareggio di bilancio Sì pareggio di bilancio, uno vale uno decide tutto uno, Bella Ciao mescolata al migrante e perfino condita con Greta, ecc ecc ecc.I soliti sono anche quelli che perdono le elezioni (il Pd e LeU) ma ogni volta governano e non li scolli di lì nemmeno con le cannonate; i soliti sono quelli che si prestano (i 5S) a far rientrare dalla finestra chi è stato cacciato a pedate dalla porta (del seggio) cioè il Pd e LeU; i soliti sono quelli che promettono il cambiamento (ad esempio in Ue-M) e poi finiscono per fare ciò che ordinano “le lobbies”; i soliti sono quelli che fanno altissimi ed inconsistenti discorsi sulla pace, sull’ecologia, sulla cultura, possibilmente preceduti da autorevoli pause e preferibilmente dotati di toni gutturali e quindi (secondo certe menti) credibili! Orge di retorica, mentre il processo di “glebalizzazione” (cit. Fusaro) procede spedito. In conclusione? In conclusione tre conclusioni. 1) Per quanto legittimo, costituzionalmente parlando, questo governo gli italiani non lo volevano; dopo mesi di risse tra i fichiani del “politically correct” del 5S e la Lega, la gente voleva dire la sua e non certo ritrovarsi Renzi, Zingaretti, Speranza, il bollitissimo Di Maio e Dottor Jekyll (Conte 1) / Mister Hyde (Conte 2) a dare lezioni di lana caprina (caro M5S, cestinatelo prima che lo faccia lui con voi).2) Ancora meno i cittadini hanno digerito un Movimento che si professava equidistante tra destra e sinistra ma che mentre con la Lega parlava al massimo di contratto, col Pd ha calato le braghe per una fusione ideologica! Si è proprio avvertito che il 5S non vedeva l’ora di rivelarsi progressista, e infatti ne ha immediatamente incamerato il lessico radical chic come gli fosse sempre calzato (basta ascoltare le dirette parlamentari…). A meno di miracoli (Di Battista) difficilmente i pentastellati potranno riconvincere gli italiani di essere “Oltre” gli schemi tradizionali e di non fingere solamente. Un outing progressista incancellabile dalla mente di chiunque (salami a parte) ancor più grave, visto che tutti abbiamo ben chiaro di come i fucsia, in pochi anni, abbiano macellato non solo il tessuto produttivo ma ancor peggio le nostre tradizioni, le nostre radici (vero, Beppi Grillo?) sostituendole col fucsia importato da Killer-y Clinton…3) Il governo quindi deve andare immediatamente a casa e chi deve staccare la spina è proprio il MoVimento 5 Stelle. In caso contrario i grillini non la faranno franca, non ci sarà scusa, non ci sarà stucchevole tatticismo ad evitargli l’estinzione (assorbiti dal Pd). Il M5S è pienamente consapevole che si condannerà alla fine se sceglierà di obbedire al solito Mattarella, e se lo farà potrà essere solo perché il vertice è stato ricattato o perché il M5S non opera per sé ma per qualcun altro. Le lobbies finanziarie, infatti, mirano a mantenere artificialmente in vita questa legislatura decotta, eleggere un presidente della Repubblica a loro congeniale (uno dei soliti)…(Marco Giannini, “Il ‘Governo del ricatto’ se ne vada”, da Libreidee del 29 ottù 2019).Il cittadino italiano non ha molto tempo da dedicare ai trastulli dei politici, quindi non ama le faccende troppo complesse e quando si tratta di esprimere una croce su un simbolo entra nella cabina elettorale ed agisce in modo istintivo: “Chi voto? Basta con i soliti”. Negli ultimi mesi, caso mai non ve ne foste accorti, siamo passati dal “governo del cambiamento” al “governo del ricatto”: o governiamo noi progressisti o i mercati, sicari di Bruxelles, alzano lo spread e falliamo (a questo punto aboliamo la democrazia visto che essa si esercita votando…). Di fronte a questa evidente violazione della Costituzione, come popolo italiano, i nostri partiti tutti dovrebbero marciare (metaforicamente) compatti su Bruxelles, chiedendo una uscita concordata dalla Moneta Unica per dimostrata incompatibilità con la democrazia. E se all’elettore girassero le scatole proprio per questo (ferme restando le peculiarità umbre)? E se l’intuito più bestiale dell’elettore gli facesse comprendere che c’è uno stretto nesso tra la corruzione locale e la democrazia assassinata? Oettinger affermò candidamente che «i mercati insegneranno agli italiani a votare». Meno impulsivamente e più analiticamente si comprende che questo nesso è il muro di gomma (di retorica) tipico dei progressisti.
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Toghe e 007: perché condizionano l’agenda politica italiana
Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).Richiedere a un partito 49 milioni di euro, oggi, significa esporlo al rischio di non poter più svolgere l’attività politica (restringendo in tal modo la libertà costituzionale relativa all’offerta democratica garantita dalle elezioni). Ad Agrigento invece il pm sembra aver trattato Salvini – contrario agli sbarchi – alla stregua un bandito dell’anonima sarda, imputandogli addirittura l’ipotetico “sequestro di persona” a danno dei migranti, come se i profughi fossero stati tenuti prigionieri della nave che li aveva raccolti (e non fossero invece liberissimi di salpare, per poi sbarcare altrove). Ma il colpo più duro, alla Lega, lo hanno assestato i servizi segreti – non si sa di quale paese – che hanno intercettato e registrato a Mosca il famoso colloquio tra l’esponente leghista Gianluca Savoini e alcuni emissari di secondo piano del potere russo. Tema della conversazione: una ipotetica fornitura di petrolio e gas, sulla quale – hanno riferito giornali come “L’Espresso” – lo stesso Savoini (a che titolo, non si sa) avrebbe discusso la possibilità ipotetica di ricevere una percentuale sull’eventuale affare, peraltro non andato in porto e mai neppure avviato. Salvini si è difeso dichiarandosi più che tranquillo, evitando però di rispondere nel merito: del caso si sta occupando la magistratura milanese, a cui qualcuno (chi?) ha inviato l’audio della conversazione all’Hotel Metropol.Infastidito per l’insistenza dei giornalisti italiani che hanno seguito la vicenda (testate che contro l’ex Carroccio hanno condotto una vera e propria crociata politica), il leader lehista è apparso evasivo: ha detto di non essere stato messo al corrente di quell’incontro. In ogni caso, Savoini non rappresentava in alcun modo il governo italiano (all’epoca, ottobre 2018, Salvini era vicepremier, oltre che ministro dell’interno). Peraltro è noto a tutti che la Lega, alla luce del sole, ha sempre avuto ottimi rapporti politici con Mosca e col partito “Russia Unita”, fondato da Putin. Salvini giudica l’uomo del Cremlino uno statista di prima grandezza, e ritiene che l’Italia possa e debba riavvicinare la Russia all’orbita Nato, per ragioni geopolitiche e commerciali, dato anche il valore dell’export italiano verso Mosca. Non solo: dai tempi di Bossi, il Carroccio non è mai stato pregiudiziale nei confronti del mondo slavo. Durante la guerra civile nei Balcani, la Lega Nord fu l’unico partito italiano ad allacciare un dialogo anche con la Serbia filo-russa di Milosevic, bombardata dalla Nato e criminalizzata dalla disinformazione occidentale come unico “cattivo soggetto” dell’area balcanica. Una regione devastata dagli opposti nazionalismi e dal cinismo dei vari leader, come svelato nel memorabile saggio “Maschere per un massacro”, di Paolo Rumiz. Sullo sfondo, il ruolo occulto delle potenze egemoni (Occidente cristiano e Turchia islamica) nella “guerra per procura”, dopo la caduta dell’Urss, contro la residua influenza russa, attraverso il regime serbo, ai confini occidentali dell’Europa.Tornando a Salvini, è evidente lo stato di imbarazzo generato – a torto o a ragione – dal cosiddetto Russiagate. E’ pensabile che l’incidente non abbia inciso, nella scelta di “staccare la spina” dal governo gialloverde nel fatidico agosto 2018? Certo, a Bruxelles la Lega aveva appena incassato il “tradimento” di Conte e dei 5 Stelle, decisivi per l’elezione alla guida della Commissione Europea di Ursula von der Leyen, simbolo del rigore più estremo, di marca tedesca. Un vero e proprio affronto, per l’alleato leghista dichiaratamente impegnato (come un tempo anche i grillini) a pretendere un cambio di paradigma nella governance europea. Va aggiunto che Salvini aveva più di una ragione per pretendere il divorzio dai pentastellati: Conte, il misterioso premier indicato dai grillini ma teoricamente “venuto dal nulla”, aveva sostanzialmente insabbiato i referendum di Lombardia e Veneto per le autonomie regionali differenziate. Ma era stato ancora una volta uno dei consueti player istituzionali (la magistratura, in questo caso) a speronare indirettamente il progetto di Flat Tax, facendo piovere un avviso di garanzia sul suo ispiratore, il sottosegretario leghista Armando Siri. Effetti politici collaterali, certo. Ma intanto, una volta di più, è stato un soggetto terzo – non elettivo – a condizionare l’agenda politica italiana, esattamente come ai tempi di Mani Pulite e poi di Berlusconi.Se qualche potere sovrastante, non istituzionale, ha voluto provare a “togliere di mezzo” Salvini pensando di “utilizzare” apparati statali magari per fare un favore a Conte, oggi è lo stesso premier ad essere costretto (da altri poteri sovrastanti?) a rendere conto del suo operato, presso analoghi organi statali, in merito alla vicenda dell’ipotetico impegno “irrituale” dei servizi segreti italiani in favore di settori dell’intelligence statunitense. Si sospetta cioè che Conte, in modo indebito, abbia messo i servizi italiani a disposizione di quelli di Trump, a sua volta impegnato a difendersi dai vari Russiagate che gli sono stati addebitati: in questo caso, la Casa Bianca avrebbe richiesto l’aiuto italiano per “incastrare” il rivale Joe Biden, accusato di malversazioni in Ucraina. Qualcosa del genere aveva coinvolto anche Renzi: quando era primo ministro, Barack Obama gli avrebbe chiesto di mobilitare gli 007 italiani per aiutare Hillary Clinton ad azzoppare Trump, sempre attraverso indiscrezioni provenienti dalla sfera russa. In attesa che i fatti possano eventualmente chiarirsi (dopo le prime vaghe rassicurazioni rese dal premier al Copasir, ora presieduto dal leghista Raffaele Volpi) resta il fatto che Conte oggi è al governo proprio con Renzi, mentre a Salvini non resta che fare da spettatore.Sarebbe il colmo se lo stesso Conte, domani, fosse costretto a farsi da parte proprio a causa del suo ruolo nella gestione dell’intelligence, che stranamente ha voluto tenere per sé. Per coincidenza, negli ultimi giorni si rincorrono voci di corridoio proprio sull’eventuale sfratto dell’inquilino di Palazzo Chigi. Non durerà a lungo, profetizza Paolo Mieli. Potrebbe venir sostituito da Draghi, ipotizza Augusto Minzolini, interpretando i desiderata del redivivo Renzi. Secondo il saggista Gianfranco Carpeoro, a Renzi i “sovragestori” avevano dato un’ultima chance: rientrare in gioco, se fosse riuscito a silurare Salvini. Detto fatto: d’intesa con Grillo, il fiorentino è stato capace di digerire all’istante persino gli odiati 5 Stelle. In cambio di cosa? Il premio, pare, sarebbe il sospirato accesso al gotha supermassonico, quello da cui proviene il Draghi che oggi prova a dipingere se stesso come una specie di Robin Hood (evocando il ritorno alla sovranità monetaria) dopo aver interpretato per decenni il ruolo spietato dello Sceriffo di Nottingham.A Palazzo Chigi sta davvero per arrivare Super-Mario, che in realtà sarebbe propenso a puntare direttamente al Quirinale evitando la fatale impopolarità che attende chiunque si metta alla guida di un governo? Difficile dirlo. Certo, è impossibile non osservare il basso profilo ora adottato da Salvini: cauto e attendista, più moderato nei toni, concentrato sull’agevole partita tattica delle regionali. Come se sapesse che, a monte, restano da sciogliere nodi assai più grandi della Lega, fuori dalla portata dei comuni elettori. Svolte, scossoni e colpi di scena verranno, ancora una volta, da poteri non elettivi e organi istituzionali non politici? Un certo complottismo indiscriminato tende a mettere in cattiva luce sia i magistrati che gli 007, accusando gli uni di faziosità e gli altri di doppiogiochismo, come se non si trattasse di organismi che (salvo eccezioni) fanno semplicemente rispettare le leggi e vigilano sulla sicurezza del sistema-paese. Semmai, la lente andrebbe puntata su poteri elusivi e superiori, non solo italiani, che ne sfruttassero le prerogative per deviarne l’azione su obiettivi contingenti, condizionando – di fatto – l’agenda nazionale e le sue dinamiche politiche, al di sopra della volontà popolare espressa dai risultati elettorali.Secondo lo stesso Carpeoro, questa particolare fragilità italica ha radici antiche: già in epoca medievale e rinascimentale, Comuni e signorie ricorrevano regolarmente all’aiuto straniero (pagandone poi il prezzo in termini “coloniali”) per sbarazzarsi dei vicini di casa. L’Italia non è riuscita a proteggere né Enrico Mattei dai suoi sicari, né Adriano Olivetti dalla concorrenza industriale, di marca Fiat e statunitense. Travolta giudiziariamente la leadership dei vari Craxi e Andreotti, e scomparso un politico della caratura di Enrico Berlinguer, il Belpaese si è sorbito Berlusconi, Prodi, Grillo e Renzi. Così, Germania e Francia hanno fatto quello che hanno voluto, nella Penisola: Macron ha persino reclutato un esponente del Pd, Sandro Gozi, per farne una sorta di alfiere anti-italiano in sede europea, quand’era ancora in carica il governo gialloverde. Del resto, ormai, da noi vota solo un elettore su due. E quelli che tornano alle urne – nella maggior parte dei casi – lo fanno per votare contro qualcuno, più che per qualcosa. Se questo è il quadro, il meno che ci si possa aspettare è che poteri esterni cerchino di sfruttare le nostre istituzioni, con ogni mezzo, per insediare a Roma il governo più comodo per loro, non certo progettato per il benessere degli italiani. Non ci sarebbe da stupirsi, quindi, se fossero ancora le sentenze, gli avvisi di garanzia e le imprese degli 007 a scegliere tempi, modi e personaggi della politica italiana.Servizi segreti e magistratura: due player decisivi, ancora una volta, nel destino italiano? Solo grazie ai cosiddetti “servizi deviati” fu possibile trasformare in catastrofe nazionale gli anni di piombo, rendendo quasi invincibile il terrorismo rosso-nero. Più tardi, analoghe “manine” contribuirono ad agevolare l’eliminazione degli scomodissimi Falcone e Borsellino. Quanto alle toghe, è ormai storicamente accertato (e ammesso dallo stesso Francesco Saverio Borrelli) l’effetto politico dell’azione giudiziaria del pool Mani Pulite. Fu decapitata la classe dirigente della Prima Repubblica, con l’eccezione non casuale del Pci-Pds, proprio mentre il paese stava affrontando lo spinoso negoziato per l’ingresso nell’Unione Europea. Oggi, in un’Italia alle prese con tutt’altri tornanti della storia – le macerie dell’anomalia gialloverde sorta del 2018 dopo la lunga austerity eurocratica imposta da Monti e proseguita con Letta, Renzi e Gentiloni – tornano protagonisti, in fondo, sempre gli stessi organi istituzionali: da un lato gli 007, dall’altro i magistrati. Codice alla mano, alcune Procure hanno inquadrato nel mirino la Lega di Salvini, invisa ai poteri Ue: a Genova – l’ha spiegato bene Luca Telese, in un video-intervento – il giudice ha inflitto all’ex Carroccio un risarcimento inconsueto, sostanzialmente forfettario (sulla base di un calcolo presuntivo delle irregolarità gestionali attribuite a Bossi).
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Grillo e 5 Stelle, da finti outsider a vero pericolo per l’Italia
Il Movimento 5 Stelle è ormai ridotto a ruota di scorta di Matteo Renzi, il simpatico avvoltoio planato sulla carcassa del Pd e ora intento a logorare Giuseppe Conte, premier virtuale mai votato da nessuno. Da quando Beppe Grillo ha cominciato ad agitarsi sulla scena politica, con i suoi Vaffa-Day, il nostro paese ha smesso di essere guidato da governi normali, sostenuti dal suffragio popolare. Ultimo caso: Berlusconi, eletto nel 2008. A seguire: il paracadutato Monti, poi l’incorporeo Letta, quindi l’avventuriero Renzi (nemmeno parlamentare, allora) e infine Gentiloni, altro ectoplasma targato Pd. Poi Conte, anche lui non-eletto. I grillini sono passati dall’exploit del 2013, primo partito alla Camera – al punto da affondare il debolissimo Bersani – al quasi-plebiscito del 2018, gravido di promesse. Tav e Tap, Ilva, trivelle in Adriatico, Muos di Niscemi, F-35, vaccini. Tutto diventato carta straccia alla velocità della luce. Oggi, tra gli italiani ancora propensi ad andare a votare, in caso di elezioni (poco più della metà degli aventi diritto), i 5 Stelle verrebbero premiati da un 17% di cittadini. Stando ai sondaggi, il calo è rapido e inesorabile. E la cosa non sembra preoccupare minimamente il fondatore, l’istrionico ex comico genovese a cui, nel marzo 2018, qualcosa come 11 milioni di italiani avevano creduto.Confidando nel terrore dei suoi parlamentari di fronte all’ipotesi delle elezioni anticipate, è stato Grillo a impartire l’ordine di mettere fine al governo gialloverde, divorziando da Salvini per abbracciare il partito di Renzi, oggi impersonato dalla controfigura Zingaretti. Nell’ipocrita caserma dove circolava la barzelletta “uno vale uno”, è stato sempre Grillo a dettare la linea: anziché far nascere una democrazia interna ha imposto Di Maio come prestanome, e dopo aver straparlato di un referendum consultivo sull’euro ha tentato di traslocare il gruppo europarlamentare grillino tra gli ultra-euristi dell’Alde, in compagnia di Monti. Sempre Grillo (tramite il ventriloquo Di Maio) ha ordinato ai 5 Stelle di sostenere Ursula von der Leyen a Bruxelles, rompendo così in modo plateale l’alleanza con la Lega. Gran sacerdote dell’operazione il premier Conte, altro “signor nessuno” uscito misteriosamente dal cilindro del fondatore-monarca travestito da giustiziere. Non si contano i gesti pubblici con cui Grillo tenta di accreditarsi ancora come libero pensatore, magari eccentrico: la scorsa primavera, insieme all’amico Renzi, ha firmato il vergognoso “Patto per Scienza” promosso dal propagandista pro-vax Claudio Burioni per tagliare i fondi alla ricerca medica sui danni da vaccino.Non pago, Beppe Grillo ora si è anche soavemente permesso di proporre ai giovani italiani di sbarazzarsi dei loro nonni, escludendo brutalmente gli anziani dal diritto al voto. Se il delirio contro i vecchi richiama sgradevoli dissonanze di sapore vagamente hitleriano, ricorda gli ingloriosi trascorsi della P2 di Gelli il piccolo capolavoro post-democratico rappresentato dallo sgangherato taglio dei parlamentari. Una crociata cavalcata con surreale trionfalismo, come se si trattasse di sgominare una cosca mafiosa. Di fatto: una manomissione costituzionale gaglioffa, non inserita in un preciso riordino istituzionale (e senza neppure un’idea di legge elettorale: quella, va da sé, sarà modellata ad personam, in base all’interesse di bottega). Eppure, nessuno chiede a gran voce le dimissioni in massa degli impresentabili parlamentari penstastellati. Si preferisce il silenzio della semplice diserzione elettorale. Gli italiani ancora faticano a capacitarsi di fronte all’idea di esser stati raggirati in modo tanto sfrontato. Matteo Salvini, che almeno aveva provato davvero a cambiare le cose (la candidatura di Savona, l’impegno di Armando Siri per la Flat Tax) è stato messo alla porta insieme a Danilo Toninelli, l’unico ministro ad aver osato istituire una commissione per verificare l’utilità (inesistente, appunto) della Torino-Lione.L’ipnosi 5 Stelle ha funzionato a meraviglia, facendo deragliare nel nulla la protesta sociale di un paese messo alla frusta dai grandi poteri eurocratici. Alternando i panni del clown a quelli del dittatore sudamericano, Grillo ha tenuto la scena per anni, mentendo innanzitutto ai suoi elettori. Per conto di chi? Secondo l’analista geopolitico Federico Dezzani, basta “seguire i soldi” e ricostruire la filiera-Casaleggio per scoprire la mano sinistra dello Zio Sam dietro la colossale presa in giro della “democrazia diretta” evocata dall’autocrate genovese, sempre spietato verso qualsiasi voce dissidente fino a pretenderne l’immediata espulsione. Se l’illusione ottica chiamata Movimento 5 Stelle era solo uno stratagemma per addormentare gli italiani nel momento di massima crisi politica del paese, il suo suicidio pazzesco – l’alleanza con Renzi e il tradimento spettacolare di ogni promessa – non lascia presagire niente di buono: prima di sparire definitivamente come increscioso incidente della storia, il grillismo potrebbe infliggere altri danni all’Italia? C’è da aspettarsi di tutto, da chi ha raccontato solo e sempre il contrario della verità, occultando il suo reale pensiero. La stessa sconcertante duttilità di Di Maio – capace di cambiare idea all’istante, su tutto – rende il Movimento 5 Stelle lo strumento perfetto per chi volesse affossare il nostro paese, a partire dalle super-nomine in arrivo nel 2020, per finire con l’elezione del prossimo capo dello Stato.Il Movimento 5 Stelle è ormai ridotto a ruota di scorta di Matteo Renzi, il simpatico avvoltoio planato sulla carcassa del Pd e ora intento a logorare Giuseppe Conte, premier virtuale mai votato da nessuno. Da quando Beppe Grillo ha cominciato ad agitarsi sulla scena politica, con i suoi Vaffa-Day, il nostro paese ha smesso di essere guidato da governi normali, sostenuti dal suffragio popolare. Ultimo caso: Berlusconi, eletto nel 2008. A seguire: il paracadutato Monti, poi l’incorporeo Letta, quindi l’avventuriero Renzi (nemmeno parlamentare, allora) e infine Gentiloni, altro ectoplasma targato Pd. Poi Conte, anche lui non-eletto. I grillini sono passati dall’exploit del 2013, primo partito alla Camera – al punto da affondare il debolissimo Bersani – al quasi-plebiscito del 2018, gravido di promesse. Tav e Tap, Ilva, trivelle in Adriatico, Muos di Niscemi, F-35, vaccini. Tutto diventato carta straccia alla velocità della luce. Oggi, tra gli italiani ancora propensi ad andare a votare, in caso di elezioni (poco più della metà degli aventi diritto), i 5 Stelle verrebbero premiati da un 17% di cittadini. Stando ai sondaggi, il calo è rapido e inesorabile. E la cosa non sembra preoccupare minimamente il fondatore, l’istrionico ex comico genovese a cui, nel marzo 2018, qualcosa come 11 milioni di italiani avevano creduto.
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.
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Minzolini: via Conte, Renzi punta su Draghi a Palazzo Chigi
Secondo Augusto Minzolini la crisi del governo M5S-Pd non è poi così vicina come alcuni profetizzano. In estrema sintesi, secondo quanto riportato in un retroscena su “Il Giornale”, le minacce e i veti incrociati degli ultimi giorni – che hanno portato a pensare che già sulla manovra i giallorossi potessero capitolare – sono fuochi di paglia. La ragione? Ad oggi, le urne non convengono a nessuno: il centrodestra viene dato davanti, e soprattutto Pd e M5S in caso di crisi dovrebbero scontare l’effetto negativo che conseguirebbe dall’aver dato vita a un governo durato soltanto poche settimane. Più plausibile, al contrario, che in un breve, medio o lungo periodo che sia si arrivi a un cambio di premier. Quest’ultima ipotesi, infatti, negli ultimi giorni continua a trovare diritto di cittadinanza in diversi retroscena di stampa. Il primo a volere una simile staffetta sarebbe il solito Matteo Renzi, che ha da tempo iniziato la sua battaglia contro il premier, spalleggiato anche da Matteo Salvini.E pure Luigi Di Maio – gli ultimi giorni lo hanno dimostrato – con Conte ha un rapporto sempre più logorato, e le rassicurazioni arrivate dal vertice di lunedì sera valgono a poco. Quale premier, dunque? Una risposta, piuttosto clamorosa, la offre sempre Minzolini nel medesimo retroscena. Il piano è quello dello specialista dei giochi di palazzo, ovvero Renzi. Uno scenario che emerge quando si dà conto di quanto risposto dal leader di Italia Viva a chi gli chiedeva come fosse possibile immaginare che chi verrà nel suo partito, per esempio da Forza Italia, in questa legislatura possa votare la fiducia a un premier come Conte. «Nessun problema», risponde Renzi, «non pretendo certo che chi viene voti la fiducia a Conte. Semmai potrebbero votare i nostri emendamenti, se li convincessero, se li considerassero figli di una cultura liberale. A me non interessa l’oggi, ma il domani».Già, il domani. Parole un poco profetiche, per certo gravide di conseguenze. Il significato, secondo Minzolini, è chiaro: non c’è alcun bisogno di dare la fiducia al premier di oggi, ossia al presunto avvocato del popolo Giuseppe Conte. Gliela si potrà dare se cambiasse atteggiamento, «se diventasse adulto», per dirla con le parole del Minzo. Ad oggi, Renzi, promette fiducia al premier del futuro, il cui nome viene snocciolato in chiusura: Mario Draghi. Nome fatto tra le righe: promettere la fiducia «in un possibile domani a uno che somigli a un Draghi». Ma poiché tra poco – il 24 ottobre – Draghi lascerà la presidenza della Bce…(“Mario Draghi premier al posto di Giuseppe Conte? Il piano di Matteo Renzi, secondo Augusto Minzolini”, da “Libero” del 22 ottobre 2019).Secondo Augusto Minzolini la crisi del governo M5S-Pd non è poi così vicina come alcuni profetizzano. In estrema sintesi, secondo quanto riportato in un retroscena su “Il Giornale”, le minacce e i veti incrociati degli ultimi giorni – che hanno portato a pensare che già sulla manovra i giallorossi potessero capitolare – sono fuochi di paglia. La ragione? Ad oggi, le urne non convengono a nessuno: il centrodestra viene dato davanti, e soprattutto Pd e M5S in caso di crisi dovrebbero scontare l’effetto negativo che conseguirebbe dall’aver dato vita a un governo durato soltanto poche settimane. Più plausibile, al contrario, che in un breve, medio o lungo periodo che sia si arrivi a un cambio di premier. Quest’ultima ipotesi, infatti, negli ultimi giorni continua a trovare diritto di cittadinanza in diversi retroscena di stampa. Il primo a volere una simile staffetta sarebbe il solito Matteo Renzi, che ha da tempo iniziato la sua battaglia contro il premier, spalleggiato anche da Matteo Salvini.
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Austerity: tradimento 5 Stelle, camerieri della Colonia Italia
Se il cameriere, cioè il governo italiano, non si sbriga a tassare i cittadini, allora puntuale arriva la letterina del padrone, dell’Unione Monetaria Europea che tradotta significa più o meno “non ci interessano le vostre faide tra colonizzati; obbedite, poi vi sistemerete nel microscopico spazio di ipocrisia che resta”. Forse sono parole pesanti, ancorché vere, ma credo vi ricordino qualcosa, tipo l’impostazione che un certo MoVimento aveva quando si trattava di Uem, di stagnazione, di politiche degli zero virgola (briciolesimo) e di intrallazzi di palazzo. Certo, la critica che gli muovevo all’epoca era “meno toni strumentalizzabili dai media, più tecnica e decisione nei fatti”, mentre adesso mi indigno per come i giornalisti della carta stampata non denuncino un’evidenza: quel MoVimento è passato dal rifiuto della maggioranza dei cittadini italiani verso certi parametri Uem (inventati, peraltro), al rispetto religioso di essi e perfino all’aggressione di chi non professi altrettanto!!! Avete presente quando un truffatore, di quelli che si presentano ai cancelli delle persone anziane fingendosi dell’Enel, viene sgamato e se ne va ostentando proteste ma trasmettendo imbarazzo e cialtroneria (cioè quel mix tra l’essere disperati e mentecatti)?
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Giorni contati per il Conte-bis, Mario Draghi a Palazzo Chigi?
Campane a morto per Giuseppe Conte, ormai in rotta con Di Maio e incalzato ogni giorno dall’abile manovratore Renzi. Occhio, avverte Zingaretti: se il Vietnam contro il premier e il governo giallorosso non si arresta, il Pd potrebbe rompere e tornare al voto, ricandidando come primo ministro proprio il professor-avvocato di Volturara Appula, l’unico – secondo l’impalpabile “fratello di Montalbano” – ad avere chance elettorali. Non la pensano così personaggi televisivi come Alan Friedman, secondo cui Conte sarebbe «un uomo vuoto», e lo stesso Paolo Mieli, per il quale “l’avvocato degli italiani” avrebbe ormai i giorni contati, non disponendo di un reale peso parlamentare da opporre alle intemperanze dei renziani e al crescente malpancismo di un Di Maio emarginato da Grillo e contestato dai suoi. Lo scrittore Gianfranco Carpeoro l’aveva vaticinato a settembre: qui si rischia di tornare a votare entro tre mesi, al più tardi a gennaio. Ora Carpeoro rilancia: il governo traballa, e le elezioni anticipate potrebbero essere evitate solo dall’eventuale piano-Draghi, cioè l’ipotesi di potere che vorrebbe insediato a Palazzo Chigi il presidente uscente della Bce, il cui ruolo dietro le quinte potrebbe essere destinato a crescere, incidendo direttamente sull’Italia ex gialloverde, delusa dal modestissimo Conte-bis e spiazzata dalla fulminea alleanza tra Renzi e Grillo.
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Grillo-horror: via il voto agli anziani. Anche a Mattarella?
Tagliare, escludere, eliminare. In una parola: togliere. Password: “meno”. A Beppe Grillo, le parole “diritti” e “voto” procurano l’orticaria? Se si aggiunge il terzo vacabolo, “anziani”, si ottiene questo titolo: “Se togliessimo il diritto di voto agli anziani?”. Levàteje er fiasco, si potrebbe commentare, bonariamente, in romanesco. Film consigliato: “La ballata di Narayama”, di Shōhei Imamura, Palma d’Oro a Cannes nell’83. Trama: in un villaggio, al settantesimo compleanno gli anziani vengono esiliati su una montagna, dove attenderanno la morte. Si può concepire qualcosa di più mostruoso? Forse sì: nei ghetti della Polonia, per esempio, gli ebrei non vivevano giorni allegri, in attesa della deportazione che li avrebbe trasformati in cenere. Prendersela con gli anziani nel 2019 in un paese come l’Italia, poi, aggiunge alla demenzialità una vena di perfidia vagamente totalitaria. E’ una minaccia disgustosa, ma sembra anche una vendetta: contro le generazioni che hanno fatto dell’Italia la quarta potenza industriale del pianeta, pur in un paese insidiato da mali endemici come l’evasione fiscale da record, l’elevato tasso di corruzione politica e la pervasività delle mafie. Per buon peso, l’Italia appena uscita dal boom del dopoguerra dovette vedersela anche col terrorismo. Ma tenne duro ugualmente, grazie a quei cittadini – ora anziani – che il signor Giuseppe Piero Grillo propone di privare del diritto di voto.«Ci sono semplicemente troppi elettori anziani e il loro numero sta crescendo. Il voto non dovrebbe essere un privilegio perpetuo, ma una partecipazione al continuo destino della comunità politica, sia nei suoi benefici che nei suoi rischi». A di là della citazione cosmetica (Douglas J. Stewart) queste parole sarebbero state perfette per un tipetto come Joseph Goebbels: a chi altri poteva venire in mente l’espressione “troppi elettori”, per giunta “anziani”? Una proposta, scrive Grillo, «già ampiamente discussa dal filosofo ed economista belga Philippe Van Parijs», pensatore contemporaneo «tra i più grandi sostenitori del reddito universale» (che infatti trovò abusiva l’espressione “reddito di cittadinanza” coniata dai grillini per mascherare la ridicola elemosina elargita col contagocce da Luigi Di Maio). Il voto sarebbe un “privilegio perpetuo”? E certo: che belli, i tempi in cui il voto non esisteva proprio, e il Re poteva tagliare la testa a chi voleva, senza nemmeno un processo. Ma non era diventato un diritto, nel mondo contemporaneo, il suffragio universale? Non è stato introdotto, come conquista storica, da quel pezzo di carta chiamato Costituzione? Perché allora qualcuno pensa che sia così affascinante, tornare di colpo all’età della pietra? Fiato sprecato, se questo qualcuno è il privato cittadino che, occasionalmente, emana diktat cui deve allinearsi il partito-gregge più rappresentato nell’attuale Parlamento italiano.Il signor Grillo – non eletto, mai votato da nessuno eppure padrone feudale del marchio 5 Stelle – è la stessa persona che esortava gli ignari valsusini, con parole incendiarie, a lottare contro il Tav Torino-Lione (demonizzato come un Moloch del terzo millennio), salvo poi liquidarli, alla stregua di un branco di ottusi montanari, non appena gli fu chiaro che la recita era durata abbastanza, dato che era tempo di cambiare aria, spartito e compagnia di giro. Stessa storia in Puglia (Ilva, Tap) e in Sicilia (Muos di Niscemi). Armiamoci e partite, ma per finta: le trivelle in Adriatico, gli F-35. E vogliamo parlare di obbligo vaccinale? Milioni di voti, nel 2018, mietuti anche con la promessa free-vax della libertà di scelta. Meno di un anno dopo, la firma (con l’amico Renzi) dell’aberrante “Patto per la Scienza” scarabocchiato dal propagandista pro-vax Claudio Burioni. Dulcis in fundo, il taglio dei parlamentari: irrilevante sul piano finanziario ma gravido di minaccia sotto l’aspetto politico, contro la libertà di deputati e senatori. “Troppi”, anche loro, come gli anziani: gli uni da trasformare definitivamente in marionette abilitate solo a pigiare tasti secondo ordini prestabiliti, gli altri da esiliare – alla loro veneranda età – tra il ciarpame umano, ormai inutile. Per dire: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha compiuto 78 anni lo scorso 23 luglio. Che facciamo, togliamo il diritto di voto anche a lui?Il presidente più amato dagli italiani, Sandro Pertini, aveva quasi novant’anni alla scandenza del mandato. E di anni ne aveva 80 Stefano Rodotà, quando i grillini volevano che diventasse presidente dopo Napolitano, altro “giovanotto” della Repubblica (classe 1925). E che dire dei vegliardi richiamati in servizio honoris causa, come senatori a vita? Nomi da niente: Toscanini e Sturzo, Ferruccio Parri, Meuccio Ruini, Pietro Nenni. E poi Eugenio Montale, Eduardo De Filippo. E Norberto Bobbio, Rita Levi Montalcini, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Vecchie ciabatte, da gettare nel cassonetto? Ma sarebbe un errore opporre il lume della ragione al delirio, sempre piuttosto sinistro e tendenzioso, del signor Beppe: «L’idea», la chiama. Grande idea, non c’è che dire. «Nasce dal presupposto che una volta raggiunta una certa età, i cittadini saranno meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani». Ma saranno fatti loro, no? Macché: «I loro voti – scrive il blogger più pericoloso d’Italia – dovrebbero essere eliminati del tutto, per garantire che il futuro sia modellato da coloro che hanno un reale interesse nel vedere realizzato il proprio disegno sociale». Attenzione: gli anziani, quei ribaldi, «saranno molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche». Quindi imbracceranno le armi e daranno l’assalto al Palazzo d’Inverno, creando il Soviet dei Novantenni per abbattere la democrazia?Argomenta il feldmaresciallo Grillo: «Se un 15enne non può prendere una decisione per il proprio futuro, perchè può farlo chi questo futuro non lo vedrà?». Magistrale coerenza: anziché abilitare il 15enne, meglio disabilitare anche il nonno. Oltretutto, costa meno: è la filosofia-canaglia dell’élite che ha promosso l’austerity altrui. Un piano – ora se ne sono accorti tutti – a cui il Movimento 5 Stelle ha fatto da stampella, traghettando verso l’area del vecchio potere i voti in libera uscita, ingannati dallo slogan “uno vale uno” prima di scoprire che, nella caserma pentastellata, “uno vale zero”. E non è finita: varrà meno di zero il singolo parlamentare: sfoltita la scolaresca, ci sarà posto solo per i fedelissimi delle segreterie. Se poi venisse imposto anche il vincolo di mandato, cadrebbe anche l’ultimo frammento di dignità parlamentare. Tanto varrebbe chiuderlo del tutto, il Parlamento, privatizzando anche il voto, magari con il ricorso a tragiche barzellette come la piattaforma Rousseau. A 71 anni suonati, lo stesso Grillo non cessa di disorientare sapientemente i seguaci con le sue supercazzole, tanto per sembrare brillante, magari stravagante ma libero, senza burattinai alle sue spalle. Sicuri? Ha smontato il governo gialloverde restituendo i voti degli incauti elettori agli antichi dominatori, i privatizzatori del Britannia, che non hanno mai perdonato al nostro paese la sua irriducibile capacità economica.Per pura combinazione, infatti, l’armata Brancaleone ora insediata a Palazzo Chigi s’è messa ad agitare, con la bava alla bocca, i vessilli dell’ultima crociata nazionale: quella contro gli scontrini della porta accanto. Guerra al bieco evasore: il barista, l’idraulico, l’elettricista. Perfidi untori, subdoli affossatori del Belpaese. Dal palco, già risuona il tinninnio delle manette evocate dal giulivo Travaglio, giornalista incapace – in tutti questi anni – di formulare una sola parola di analisi sull’euro-crisi italiana. Tutto questo, mentre il governicchio di “Giuseppi” s’inchina ai signori di Bruxelles che tollerano i paradisi fiscali dell’Unione Europea (Olanda, Lussemburgo) che drenano miliardi all’Italia, ogni anno, con il loro scandaloso dumping. Ma discutere con l’Ue non è roba per l’asceta Grillo: è vero, ai tempi belli si divertiva a straparlare di referendum sull’euro, ma poi ha tentato di traslocare il gruppo europarlamentare direttamente tra i banchi di Mario Monti. Il Beppe ormai preferisce bersagli più alla buona: quei gaglioffi dei parlamentari italiani, quel mascalzone del gelataio che non emette sempre lo scontrino. E ora pure i nonni, finiti nella “bad list” del teologo ligure.Del resto, perché mai aver cura dei pensionati, quando c’è in ballo il futuro dei giovani? Meglio ancora: c’è da pensare addirittura ai nascituri. «Le generazioni non nate – aggiunge infatti il messia genovese – sono, sfortunatamente, incapaci di influenzare le decisioni che prendiamo qui ed ora. Tuttavia, possiamo migliorare il loro destino spostando il potere decisionale verso chi tra noi dovrà interagire con loro». E pazienza se i pensionati, maltrattati dall’Inps e pieni di acciacchi, costretti a trascinarsi tra corsie ospedaliere in attesa di referti clinici che non arrivano mai, ora dovranno anche imparare a usare le carte di credito pure per le medicine, rinunciando a quell’orribile robaccia del contante. Fino a sei mesi fa, si parlava di moneta parallela per ovviare alla scarsità artificiosa di liquidità imposta dalla Bce. Ora siamo all’eliminazione delle banconote: sottrarre, ridurre. Sempre meno, questa è la legge. E già che ci siamo, perché non togliere agli anziani anche il diritto di voto? L’unica buona notizia, probabilmente, è che “le generazioni non nate” non avranno la fortuna di ascoltare, in diretta, le memorabili esternazioni del signor Grillo, il profeta beffardo ma in realtà servizievole, amico del potere che sta preparando, anche per loro, un mondo meraviglioso in cui i vecchi saranno gentilmente invitati a sbrigarsi a crepare. E possibilmente senza disturbare: magari spediti in esilio su una montagna giapponese, come nel film di Imamura.(Giorgio Cattaneo, “Grillo-horror: via il voto agli anziani. Anche a Mattarella?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 19 ottobre 2019).Tagliare, escludere, eliminare. In una parola: togliere. Password: “meno”. A Beppe Grillo, le parole “diritti” e “voto” procurano l’orticaria? Se si aggiunge il terzo vacabolo, “anziani”, si ottiene questo titolo: “Se togliessimo il diritto di voto agli anziani?”. Levàteje er fiasco, si potrebbe commentare, bonariamente, in romanesco. Film consigliato: “La ballata di Narayama”, di Shōhei Imamura, Palma d’Oro a Cannes nell’83. Trama: in un villaggio, al settantesimo compleanno gli anziani vengono esiliati su una montagna, dove attenderanno la morte. Si può concepire qualcosa di più mostruoso? Forse sì: nei ghetti della Polonia, per esempio, gli ebrei non vivevano giorni allegri, in attesa della deportazione che li avrebbe trasformati in cenere. Prendersela con gli anziani nel 2019 in un paese come l’Italia, poi, aggiunge alla demenzialità una vena di perfidia vagamente totalitaria. E’ una minaccia disgustosa, ma sembra anche una vendetta: contro le generazioni che hanno fatto dell’Italia la quarta potenza industriale del pianeta, pur in un paese insidiato da mali endemici come l’evasione fiscale da record, l’elevato tasso di corruzione politica e la pervasività delle mafie. Per buon peso, l’Italia appena uscita dal boom del dopoguerra dovette vedersela anche col terrorismo. Ma tenne duro ugualmente, grazie a quei cittadini – ora anziani – che il signor Giuseppe Piero Grillo propone di privare del diritto di voto.
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Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?
Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.Zapping: sul tema, Bianca Berlinguer interpella due numi pensosi, l’imperscrutabile Mieli e il sempre esecrante Cacciari, mentre l’immortale Lady Gruber si avvale del formidabile vaticinio di una leggenda del giornalismo mondiale come Beppe Severgnini. Altro giro, altro canale: il capocomico Floris scatena il suo zoo contro Matteo Salvini, obbligandolo a non-rispondere sul mitico Russiagate, lo scivolone del sciùr Savoini: la sua celebre cenetta coi petrolieri russi, con confidenze riservatissime affidate ai microfoni di non si sa esattamente quale servizio segreto. A proposito: sempre all’osteria di Floris si ciancia su come i servizi (italiani) avrebbero prima aiutato la Clinton, con Renzi, su richiesta di Obama, per ostacolare la corsa di Trump, salvo poi intervenire con Conte, in modo simmetrico e altrettanto irrituale, ancora una volta nelle lande dell’orso russo, per aiutare The Donald a inguaiare il suo avversario Biden, già braccio destro di Obama. Nel suo piccolo, l’ex rocker da strapazzo Johnny Rotten, campione di humour, non rischia forse di sembrare un gigante?Se poi – sempre per ridere – si finge di credere che esista davvero, qualcosa che assomigli all’irraggiungibile Olimpo marmoreo che i giornali continuano a chiamare L’Europa, non si può fare a meno di notare che dal bar di Bruxelles è sparito il simpatico Juncker, quello che citava Marx in segno di vicinanza politico-spirituale con le dolenti masse degli oppressi (ellenici in primis). Niente più bourbon, purtroppo, ma solo le bevande analcoliche servite dall’elegantissima barista Ursula von der Leyen, assistita da camerieri in livrea del calibro di Paolo Gentiloni, discendente dell’antica corte del Papa-Re. Nel personale di servizio figura lo stesso David Sassoli, un tempo mezzobusto del Tg1, temibile allevamento di giornalisti di razza, veri e propri “cani da guardia della democrazia”. A proposito di virtù canine: già ferocissima gregaria del mastino Angela Merkel, Frau Ursula è lì grazie all’ex comico televisivo Beppe Grillo, occasionalmente rivoluzionario (ma solo per i più piccini) prima di firmare, la scorsa primavera, il memorabile Patto per la Scienza insieme a Matteo Renzi, il suo attuale socio di governo (scopo del Patto, pietra miliare nella storia della medicina: zittire e delegittimare qualsiasi voce scientifica non allineata al nuovo affascinante dogma della Vaccinazione Universale).Come in tutti gli show, è il finale a riservare le vere sorprese. Ed è a quel punto che entrano in scena i fuoriclasse. Lui e lei, naturalmente: gran bella coppia. Mario & Christine: noti ai fan come insuperabili mattatori nei filmoni di guerra, nei thriller, nei plot più drammatici. Suspence, terrore. Severissima austerità, dolore copiosamente sparso con fermezza inflessibile. E invece adesso eccoli là, con in faccia il cerone della commedia: si scherzava, ragazzi, era tutta una burla. E’ vero, vi avevamo raccontato che non c’erano alternative: sangue, sudore e lacrime. Ci eravate cascati? Certo, siamo stati bravi. Ma adesso, sapete, cambierà tutto. E quelle maledette banconote, per le quali vi abbiamo spremuto fino al midollo, ora ve le getteremo dalla finestra: helicopter money! Che diamine, la moneta appartiene al popolo: non lo sapevate? Gli spettatori esitano, spiazzati – quasi quanto gli economisti da patibolo e il loro codazzo di coristi radiotelevisivi. Contrordine? Siamo per caso rimasti all’oscuro di decisioni epocali? Ci è sfuggito qualcosa di fatale che forse è maturato, lassù, tra le sfuggenti divinità? La produzione, caritatevole, sente che al pubblico – per il quale mostra compassione – bisogna pur concedere qualcosa di rassicurante. E allora, mentre le luci si abbassano, sul palco viene rispedito il solito usciere dall’aria dimessa, con lo storico annuncio: abbiamo tagliato i parlamentari. Tradotto in cifre, agli italiani viene offerto un caffè. Purtroppo lo steward non è Johnny Rotten, è solo Di Maio. Ma il risultato è lo stesso: avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli?(Giorgio Cattaneo, “Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?”, dal numero 12 de “La Voce Rooseveltiana”, 17 ottobre 2019).Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.