Archivio del Tag ‘M5S’
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Odiare: Sardine o Salvini, l’Italia resta cibo per cannibali
Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?C’è chi ricorda un antico corteo con i giovani di CasaPound: ma qualcuno l’ha letto, nel 2018, il programma sociale (per non dire socialista) con cui CasaPound si presentò allora alle elezioni? E comunque, perché scomodare i peggiori fantasmi del ‘900, ignorando pericolosamente i mostri in circolazione oggi? Di nuovo, come nel caso di Macron: perché farla passare liscia, al vero colpevole? Perché Salvini è brutto e cattivo, rispondono in coro le Sardine: è il male assoluto, il demonio, l’Uomo Nero. E dove starebbe, la cattiveria di Salvini? Nel contestare gli abusi di Bibbiano e il sindaco di Riace? Nel contraddire Carola Rackete e gli altri turisti politici che usano l’Italia per diventare famosi, a spese del nostro governo e ignorando il governo manganellatore francese? E’ più facile, semmai, parlare della bruttezza di Salvini, della sua discutibilissima estetica politica, dei suoi crocifissi da comizio, delle sue passerelle in uniforme. Data memorabile, quella in cui andò all’aeroporto – vestito da poliziotto – ad accogliere l’estradato terrorista Cesare Battisti. Brutture: in un paese dove la cocaina la si compra ai giardinetti, il capo della Lega è riuscito a prendersela coi negozi di cannabis terapeutica. Ha persino dato del drogato a Stefano Cucchi, il giorno della condanna dei suoi assassini.Anche Salvini, poi, ha assecondato il conato demagogico del taglio dei parlamentari, caldeggiato dai grillini nel tentativo di apparire puri e intransigenti anziché corrotti dal vero potere, quello europeo. Ecco il punto: Salvini è stato al governo, per un anno, con i grillini che – un giorno dopo l’altro – tradivano tutte le promesse fatte agli elettori. Salvini ha ceduto al niet di Mattarella su Paolo Savona, architetto della difesa finanziaria nazionale, e poi non ha preteso che restasse al suo posto Armando Siri, il promotore della Flat Tax. Soprattutto: non ha osato tener duro sulla richiesta di deficit al 2,4% che, pur insufficiente, sarebbe servito per sostenere gli italiani (mondo migliore). Ha sperato che la tattica attendista finisse per incidere sulla strategia, ma ha perso la scommessa. I suoi alleati si sono tirati indietro, frenandolo su tutto. E infatti adesso sono al governo col Pd, pronti a farsi dettare l’agenda da Bruxelles mentre l’Italia crolla. E l’Italia – anche se le Sardine sembrano non accorgersene – sta davvero crollando, come il ponte Morandi e gli altri viadotti che tremano e franano.Sono nei guai l’Ilva, l’Alitalia, Unicredit. Siamo nei guai tutti, con l’approvazione di un dispositivo cannibale come il Mes, ideato dai tedeschi per colmare la voragine di Deutsche Bank, in un’Europa folle dove la Bce non può fare da garante per gli Stati, sempre più in bolletta. Disastro su disastro: la Fiat (che già paga le tasse in Olanda, anziché in Italia) ora cede il timone ai francesi. Apre un nuovo stabilimento, ma in Marocco, e per premio incasserà 136 milioni in regalo dal governo Conte. Niente da dire, su questo? Certo non fiatano i giornaloni, imbottiti di pubblicità targata Fiat, Alfa Romeo e Jeep. Men che meno aprono bocca i leoni di “Repubblica” e dell’”Espresso”, feroci con Salvini ma zitti sulle imprese di John Elkann, che li ha appena comprati. Siamo il paese che s’è rifiutato di trasmettere in televisione la prima intervista, dopo nove anni di guerra, al presidente siriano. Motivo evidente: Assad, nel colloquio con Monica Maggioni, ha accusato l’Europa (e in particolare la Francia) di aver armato le milizie dell’Isis in Siria. A quanta gente bisognerebbe chiedere conto del fatto che il sospirato mondo migliore non sia ancora all’orizzonte?L’elenco è sterminato, come si vede. Ma nell’agenda delle Sardine c’è solo Salvini. Il che, automaticamente, finisce per scagionare tutti gli altri. Al leghista non si perdona lo stile, il presunto bullismo verbale. Agli altri invece si perdona ogni macelleria concreta, sanguinosa. Non sarà che il chiasso propagandistico di Salvini, sempre rimasto senza effetti pratici, viene usato – anche grazie alle Sardine “distratte” – per deviare l’attenzione dai veri lestofanti all’opera? Se a opporvisi è Salvini, riesce più facile rifilare all’Italia persino una trappola mortale come il Mes. Splendida situazione, per gli strangolatori della nostra economia: grazie alle Sardine, certo, ma anche a Salvini. Nei Promessi Sposi, i capponi di Renzo si beccano a sangue, tra loro, ignari della padella che li attende. Nella padella, le Sardine sono già dentro fino al collo, insieme a tutti gli italiani, eccezion fatta per gli abili manipolatori dell’odio di piazza. Ma l’ondata di contro-odio non si sarebbe mai levata, se – in partenza – il capo della Lega non avesse usato certi toni.Parole, s’intende: non fatti. In nessun modo, la Lega al governo ha mai attuato politiche xenofobe. Pur vestito da poliziotto, Salvini non ha mai preso a mazzate nessun africano, né risulta che abbia fornito razzi e mitragliatori ai tagliagole jihadisti. La sua colpa maggiore? Aver alzato la voce contro gli sfruttatori di Bruxelles, i nostri parassiti, senza però trovare il modo di agire, concretamente, contro di loro. Un mondo migliore, qui in Italia, lo avremo quando sarà chiaro chi deruba, davvero, gli italiani. L’attuale esecutivo-zerbino è complice dei malfattori, e questo comporterà la morte politica degli sconcertanti grillini, oggi alleati con i traditori storici del bene comune, del mondo migliore. Non c’è verso di farlo capire, alle Sardine? A loro, a quanto pare, basta prendere a sberle Salvini. Che, a sua volta, si è accontentato di abbaiare alla luna, tirando a campare per un anno insieme al fenomenale cazzeggiatore Di Maio.I sentimenti agitati dalle Sardine sono serissimi: chi lo non vorrebbe, un mondo migliore? Le loro frecce però finiscono tutte fuori bersaglio: trafiggono un capro espiatorio che non ha alcuna responsabilità nello spaventoso declino del paese, ora in pericolo di fronte alla dominazione tecnocratica di poteri subdoli, sleali perché opachi, pronti a usare il profilo istituzionale per favorire lobby e colossali affari privati. E a proposito di estetica: se a tanti italiani può dare giustamente il voltastomaco il ricorso alla Madonna di Medjugorje, che dire dei commissari europei (tra cui Gentiloni) ripresi mentre intonano Bella Ciao nei palazzi dove si progetta la dismissione dell’Italia? Si canta Bella Ciao, senza pudore, mentre si condannando gli italiani a vivere nel peggiore dei mondi, vessati da una austerity assurda che non si trova il coraggio di attribuire alla sua vera causa, cioè l’euro (questo euro, così costruito e gestito, allo scopo di sottomettere popoli).Non è bastata, la lezione della Grecia? I cannibali si ripresentano travestiti da Mes, ma gli insulti vanno a Salvini (che è all’opposizione). Surreale, no? Eppure è così che l’Italia agonizza: pur di stroncare il politico del momento, ci si allea con gli stranieri che poi ovviamente ci calpestano. Ce lo meritiamo, tutto questo? Pare di sì, se le piazze tracimano di parole fumogene proprio mentre il governo tresca apertamente col nemico, obbedendo a ordini inconfessabili. Nell’intervista che la Rai si è rifiutata di mandare in onda, il siriano Assad racconta come funziona (secondo lui, almeno) la ricostruzione del suo paese: la riconciliazione nazionale passa attraverso la scuola, cioè il dialogo, corroborato dagli influenti religiosi islamici. Nelson Mandela evitò il bagno di sangue, in Sudafrica, costringendo i funzionari dell’apartheid a scusarsi con le loro vittime, una per una. L’unica volta nella storia in cui sembrò sul punto di finire, seriamente, il supplizio israelo-palestinese, fu quella in cui la voce più forte (Israele) decise di fare concessioni oneste. Il capo di Israele, allora, si chiamava Rabin. Faceva così paura, ai signori della guerra, che decisero di assassinarlo.Può costare la vita, credere davvero nella possibilità di un mondo migliore. E il primo passo per raggiungerlo è la pace, la concordia. Per arrivarci non servono gli insulti, occorre il dialogo. Se all’ostilità si risponde con l’odio, il finale è già scritto: a vincere è il banco, ancora una volta. Finora, al netto delle mostruose sofferenze subite, l’Italia se l’è potuto permettere, il trionfo sistematico dei manipolatori, dei fabbricanti di mostri da sbattere in prima pagina. Craxi, Berlusconi, Renzi, ora Salvini. Nei loro confronti sempre parole-contro, mai progetti. A questo è servita, la morte delle ideologie: ad annebbiare la vista del pubblico, dietro a minuscoli personalismi destinati ormai a durare sempre meno, nascendo e poi sparendo nell’arco brevissimo di una sola stagione. E così ride, il vero nemico, nel vederci puntualmente divisi, rabbiosi e impotenti. Ride largo, il dio alieno dei cannibali. E si prende pure il lusso di prenderci per il fondelli, cantando Bella Ciao. Non manca di humour, il genio del male: quello che s’era inventato Auschwitz, tanti anni fa, ai condannati infliggeva le gelide note di una banda musicale, ogni mattina.(Giorgio Cattaneo, Libreidee, 15 dicembre 2019).Le Sardine vorrebbero un mondo migliore. E fin qui, tutto bene. Sono però convinte che l’ostacolo sia Matteo Salvini, che immaginano voglia un mondo peggiore. Salvini chi? Il vicepremier gialloverde che, dopo aver promesso di stroncare le tasse (mondo migliore) non ha combinato nulla, di fronte ai censori-strozzini dell’Ue (mondo peggiore)? Unico vero terreno di scontro, gli sbarchi dei migranti: accogliamoli tutti (oppure: non accogliamone nessuno). Grande enfasi, da parte dell’allora ministro dell’interno, e tantissimi voti, ma nessuna violenza. Invece Macron, che tra i politici europei è l’amico diletto di Papa Francesco, i migranti inchiodati alla frontiera francese li ha fatti riempire di botte. Ora i Papa-Boys scendono in piazza con le Sardine, contro Salvini. Dunque Macron la passa liscia anche stavolta? Quanto al secondo tema in agenda, quello del presunto fascismo, qualsiasi corte ammetterebbe il non luogo a procedere: le minuscole formazioni che si richiamano al Ventennio non raggiungono l’1% dei votanti, che ormai sono poco più della metà degli aventi diritto al voto. Ma la Lega che c’azzecca, coi presunti nostalgici fascistoidi?
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Le finte rivoluzioni del 2019: la previsione di Carotenuto
«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.«Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri», scriveva Carotenuto su “Coscienze in Rete”, esattamente un anno fa. «Come già per Matteo Salvini in uniforme da poliziotto lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, scriveva Carotenuto, «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra «anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Secondo l’analista, «una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica».I gruppi di manipolazione mondialisti, scriveva sempre Carotenuto, «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali». Temi che, manco a dirlo, non sono neppure sfiorati né dai “gretini” né dalle Sardine: i baby-ecologisti non menzionano nessuna delle minacce reali, a partire dal 5G, mentre gli odiatori di Salvini ignorano del tutto il primo problema italiano, l’Unione Europea. Tutto questo accade, anche, dopo il crollo del governo gialloverde: la Lega all’opposizione, e i 5 Stelle (dimentichi di ogni promessa) aggrappati alle poltrone del Conte-bis. «Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi».Bravi idealisti, «illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio». Sono e saranno i primi, scriveva Carotenuto, «a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti nel 2019». L’analista intravedeva «un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista». Dietro le quinte, «i soliti poteri occulti» continuano «a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale». Oggi, a un anno di distanza, Carotenuto è estremamente preoccupato dal Conte-bis: lo vede come un terminale pericoloso del potere centralista. Grazie alla sua debolezza politica (lo zombie Zingaretti, il defunto M5S) l’esecutivo giallorosso guidato da Conte, «espresso dal medesimo network di potere vaticano che gestiva Andreotti», è perfetto per infliggere all’Italia un’overdose di rigore: guerra al contante e inasprimento fiscale, fino all’incubo del Mes. E nelle piazze, “gretini” e Sardine, a cantare Bella Ciao. «Anche nel 2019 – scriveva Carotenuto – ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze».«Cari amici, nel 2019 aspettiamoci altre finte rivoluzioni». Era il 29 dicembre dell’anno “gialloverde”, quello in cui gli italiani si erano illusi di poter avere un governo a 5 Stelle, deciso a farsi rispettare in Europa e a restituire giustizia sociale in Italia. Dodici mesi dopo, eccoci qua: alle prese con Greta e con le Sardine. Seppellito da Grillo il famoso “uno vale uno”, archiviato l’inguardabile Salvini vestito da poliziotto. Il copione è cambiato: piazze sempre piene, ma per lo sciopero climatico o i flash-mob contro “il fascismo”. Animi sempre accesi, naturalmente: contro qualcosa, o qualcuno, che (esattamente come prima) non è mai chi comanda, davvero. Autore della “profezia” sul 2019, Fausto Carotenuto, già analista politico dell’intelligence Nato. Previsioni peraltro già formulate a partire dal 2015: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Nel 2018, la messa a fuoco si è fatta progressiva: il caos sulla Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti «solo apparentemente anti-sistema». E poi le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre “parafasciste”, le voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche.
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Ilva, Mes, Alitalia, Unicredit: quanto ci costa il Conte-bis?
«Care madamine italiane, visto dalla Cina il catalogo è questo». Ilva e Mes, Alitalia e Unicredit: crisi gravissime, governo assente. «E’ il prezzo che dovete pagare per tenervi Conte», scrove Lao-Xi sul “Sussidiario”. Bollettino di una catastrofe annunciata, a partire dall’Ilva di Taranto: attorno alla più grande acciaieria d’Europa «è in gioco tra l’1,5% e il 3% del Pil». Può essere chiusa e, come minimo, verrà dimezzata. «La Puglia salterebbe come un birillo e darebbe inizio a una crisi finanziaria nazionale». Poi c’è Unicredit, la seconda banca italiana (ma solo per il 2% in mano a italiani, come ricorda “Panorama”): ha annunciato 5.000 licenziamenti e la chiusura di una cinquantina di filiali. «Ha già venduto gli investimenti all’estero, la finanziaria Pioneer, la sede storica, i quadri, e impone già tassi negativi ai risparmiatori: è a evidente rischio di saltare, mettendo in pericolo centinaia di miliardi di asset». Poi c’è Alitalia, a cui è stato dato un nuovo prestito-ponte semestrale. «Non ci sono prospettive di rilancio», scrive Lao-Xi. la compagnia di bandiera «ha già bruciato decine di miliardi e non si sa a cosa possa servire il nuovo prestito». Ma non è tutto: sono in stato pietoso le infrastrutture. «Ponti e strade crollano per un temporale un po’ più forte o un terremoto di entità modesta». Secondo alcune stime «ci vorrebbero 40-60 miliardi per rimettere tutto a norma».A fare veramente paura è il Mes, il “fondo ammazza-Stati” oggi nell’occhio del ciclone. «L’anno scorso di questi tempi l’allora ministro Paolo Savona fece una proposta alternativa al Mes, ma non trovò sponde o orecchie tra i leader di M5S e Lega», ricorda Lao-Xi. Ora Di Maio e Salvini vogliono dire no al “meccanismo di salvaguardia” europeo: secondo Salvini e Meloni, Conte sarebbe stato coinvolto (in gran segreto, insieme al ministro dell’economia Gualtieri) nella revisione dell’accordo. Si esporrebbe l’Italia a pericoli esiziali: la teorica possibilità di “ristrutturazione” del debito, in caso di ricorso al Mes, costringerebbe le banche a praticare il bail-in, il prelievo forzoso dai conti correnti. Osservando dalla Cina tutte le trappole che assediano l’Italia, Lao-Xi osserva: «Sono problemi enormi, che avrebbero bisogno di idee concrete su come rilanciare il paese e quindi trovare iniziative e risorse per far fronte allo tsunami in corso». Domanda: «Davanti a tutto ciò, cosa sta facendo il governo di Giuseppe Conte? E che cosa sta facendo l’opposizione, che pare solo solo concentrata sul voto regionale in Emilia-Romagna? Basta sommare il breve elenco – aggiunge l’analista – e si nota a vista d’occhio che il conto potrebbe superare le centinaia di miliardi, che non ci sono».La verità, continua Lao-Xi, è che «l’Italia sta precipitando in un pozzo senza fondo». La lotta contro l’immigrazione di Salvini o quella del movimento delle Sardine contro Salvini? «Dividono su come affrontare un dramma che sta cambiando il paese», certo. «Ma alla luce dell’elenco appena fatto, paiono giochi di distrazione di massa». Si inrerroga l’analista: «Perché con questi drammi non si cerca di smuovere le acque e andare al voto anticipato? Perché Salvini non va a Taranto e presidia l’Ilva? Perché non chiede ragioni di Unicredit, dei ponti, di Alitalia?». Quanto a ministri e parlamentari, «sembrano viaggiare in una nuvola, preoccupati solo di prendere lo stipendio a fine mese». Ovvero: «Dai professionisti della politica sembra si sia passati ad allucinati tossicodipendenti della politica: i problemi non importano, vivo nel mio mondo col solo orizzonte di un altro stipendio e di evitare le elezioni anticipate». Nelle ultime tre tornate politiche, il 40% del corpo elettorale ha cambiato le proprie intenzioni di voto. In queste condizioni, conclude Lao-Xi, il 90% dei parlamentari non è sicuro della sua rielezione. «Per tutti costoro, altri due anni e mezzo a Montecitorio significano 500.000 euro netti: una fortuna, specie per i tanti che a fine legislatura potrebbero prendere meno di 10.000 euro all’anno».Il debito pubblico è alto, ammette Lao-Xi, ma i tassi d’interesse sul maxi-debito sono bassi. Non solo: «I risparmi degli italiani sono alti, e il surplus commerciale florido». Indicatori teoricamente decisivi, per il rating del paese: eppure, “l’Europa” non li considera mai. L’Ue preferisce colpire l’Italia, piegandola ai suoi voleri (complice, oggi, il docilissimo Conte) solo in virtù dei conti pubblici, per giunta in un’Unione che tollera le legislazioni tributarie di paesi come Olanda e Lussemburgo, veri e propri paradisi fiscali che drenano in modo sleale le risorse finanziarie dei “partner” europei. L’Italia ne soffre moltissimo: «I soldi per gli investimenti non ci sono – scrive Lao-Xi – ma almeno una certa fetta di italiani, l’Italia che produce, resta ricca». Che succederà? «Tutto può impazzire se arriva una crisi internazionale che fa schizzare i tassi di interesse. Ci sarà? Nessuno può saperlo». I parlamentari incollati alla poltrina ostentano scetticismo, anche per tutelare i loro interessi. E se la tempesta scoppierà, chiosa Lao-Xi, «sarà colpa del mondo, del diavolo, del bieco destino, della sfortuna… Mai della loro impreparazione».«Care madamine italiane, visto dalla Cina il catalogo è questo». Ilva e Mes, Alitalia e Unicredit: crisi gravissime, governo assente. «E’ il prezzo che dovete pagare per tenervi Conte», scrive Lao-Xi sul “Sussidiario“. Bollettino di una catastrofe annunciata, a partire dall’Ilva di Taranto: attorno alla più grande acciaieria d’Europa «è in gioco tra l’1,5% e il 3% del Pil». Può essere chiusa e, come minimo, verrà dimezzata. «La Puglia salterebbe come un birillo e darebbe inizio a una crisi finanziaria nazionale». Poi c’è Unicredit, la seconda banca italiana (ma solo per il 2% in mano a italiani, come ricorda “Panorama“): ha annunciato 5.000 licenziamenti e la chiusura di una cinquantina di filiali. «Ha già venduto gli investimenti all’estero, la finanziaria Pioneer, la sede storica, i quadri, e impone già tassi negativi ai risparmiatori: è a evidente rischio di saltare, mettendo in pericolo centinaia di miliardi di asset». Poi c’è Alitalia, a cui è stato dato un nuovo prestito-ponte semestrale. «Non ci sono prospettive di rilancio», scrive Lao-Xi. la compagnia di bandiera «ha già bruciato decine di miliardi e non si sa a cosa possa servire il nuovo prestito». Ma non è tutto: sono in stato pietoso le infrastrutture. «Ponti e strade crollano per un temporale un po’ più forte o un terremoto di entità modesta». Secondo alcune stime «ci vorrebbero 40-60 miliardi per rimettere tutto a norma».
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Monti e Berlusconi in piazza con le Sardine, il Mes ringrazia
Ovazioni a Mattarella e piazze piene di Sardine. L’Italia? Minacciata dal Mes. Ma non ne parlano né il capo dello Stato, né i “pesciolini” che odiano Salvini. Cha razza di cortocircuito è mai questo? E per quale motivo il presidente della Repubblica dovrebbe meritarsi un tributo circense, da impero romano, alla prima della Scala? E perché i ragazzi-sardina (coccolati dal massimo potere, giornali e televisioni) ora cianciano di buoni sentimenti, evitando però di citare qualsiasi rogna che affligga il paese, tacendo persino di fronte al letale Fondo Ammazza-Stati? Ragazzi per modo di dire, poi: perché, oltre ai Papa-Boys attesi a Roma per l’annunciata consacrazione politica del 14 dicembre, nell’acquario delle Sardine si tuffa felice l’arci-nemico degli italiani, Mario Monti, insieme a lady Francesca Pascale, domestica sodale di quello stesso Berlusconi fischiato per anni e demonizzato dagli antenati delle Sardine, Girotondini e Popolo Viola. Ancora: dal trampolino di Torino (città che riesce sempre a brillare di luce propria, in questa Italia al tramonto) nella piscina di lusso delle Sardine si accingono a sguazzare anche le Madamine Sì-Tav, tipico esempio sabaudo di rivoluzione colorata (di palazzo, anzi di salotto, e di strettissima osservanza Fiat-Pd). E tutto questo, per cosa? Per fermare l’Uomo Nero?Seriamente: un tale polverone, fondato sulla nulla, servirebbe sostanzialmente a impedire che in Emilia Romagna, dopo 40 anni, possa governare qualcun altro, al posto del Pci-Pds-Ds-Pd? Ma l’alternanza, in teoria, non sarebbe il sale della democrazia? Non sono democratiche, le Sardine? Hanno paura, anche loro, degli elettori italiani? Sono le Marie Antoniette del terzo millennio, cucinate all’amatriciana, nel paese semiserio di Di Maio? Sono il riflesso tricolore della fobia per la democrazia manifestata dal supremo potere globalista neoaristocratico e dai suoi media di regime, spiazzati negli ultimi anni dalle proteste populiste? Domande retoriche, che Gioele Magaldi rilancia nel vuoto pneumatico della non-politica in cui sta affondando il paese. Penosa, la scialuppa di Conte e Zingaretti, con le sue euro-protesi ortopediche (Gualtieri, Gentiloni, Ursula-Sassoli). Pericolante navicella su cui sgomita Renzi, mentre gli effimeri 5 Stelle svaniscono come neve al sole. Tutti i sondaggi, intanto, decretano un unico verdetto: gli italiani oggi darebbero fiducia proprio a lui, l’orrendo Uomo Nero, in tandem con la sua collega romana e altrettanto tribunizia, Giorgia Meloni. Brrr, che paura: arrivano i fascisti?Questa la linea pletorica del Piave, su cui si accampa il branco delle Sardine. Parola d’ordine: volemose bene, morte al puzzone. «Cioè, fatemi capire: “morto” Salvini, i problemi dell’Italia sarebbero risolti?». Fondato nel 2015, il Movimento Roosevelt (di cui Magaldi è presidente) predica il ritorno alla sovranità della politica. Si spende – in modo trasversale – per spingere i partiti a ritrovare il loro posto nella storia: meglio se si spogliano dei loro panni di maggiordomi del potere finanziario. Da Milano, in un recente convegno, i “rooseveltiani” (tra cui l’economista Nino Galloni) hanno evocato il fantasma di Olof Palme, ineguagliato campione mondiale del welfare. Non sarebbe l’eroe perfetto, per le Sardine? A quanto pare, no: sembra non interessi, l’esplosivo cocktail tra diritti civili e diritti sociali. Cioè: ben venga l’accoglienza dei migranti, benché spacciata come unico surrogato di felicità obbligatoria, in un paese derubato da poteri superiori. Vogliamo dimenticare gli anziani impoveriti, che faticano ad arrivare alla fine del mese? O i giovani laureati costretti a fare i camerieri, se non a fuggire all’estero? Qui crollano i viadotti, si ferma l’Ilva. Disoccupazione, precarietà, rassegnazione: è il tragico declino del sistema-Italia, ma per Palazzo Chigi va tutto bene. Sardine, dove siete? Su che pianeta vivete?Pazzesco, dice Magaldi, l’endorsement del funesto Mario Monti: dove passa lui, non cresce più l’erba. Gli italiani lo ricordano cone un Attila in doppiopetto: è il boia che ha imposto la legge Fornero, il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione. Che c’azzecca, con le Sardine? E che dire della Pascale, ventriloqua di quel Cavaliere sempre pronto a qualsiasi inciucio, con chiunque, pur di garantirsi un posto al sole lasciando il paese sottomesso ai poteri neo-feudali che lo ricattano? Begli amici, care Sardine: ma chi siete, veramente? «Cosa volete? Non lo si è ancora capito (a parte la morte politica di Salvini, ovviamente). Se volessi scendere in piazza con voi, da semplice cittadino – domanda Magaldi – voi Sardine cosa mi proporreste, di preciso?». Le idee non mancherebbero. Tanto per cominciare, un’Unione Europea (quella di oggi, la Disunione Europea, è solo il comitato d’affari di potentati privati). Non c’è una Costituzione democratica, né un governo federale eletto dai popoli, tramite il Parlamento Europeo. Non c’è una politica estera comune. Non c’è nemmeno una politica fiscale: il Conte-bis si appresta a vessare ulteriormente il signor Rossi, mentre l’Ue ammette che Olanda e Lussemburgo restino paradisi fiscali dov’è più conveniente pagare le tasse, se ti chiami Fiat-Fca.E tutto questo le Sardine non lo sanno? Non lo capiscono, che il loro chiasso contro un falso obiettivo (Salvini) è un regalo favoloso per gli sfruttatori del Belpaese? Non si domandano il perché di tanta calorosa accoglienza, da parte di quei media che nel 2011 stesero un tappeto rosso al macellaio Monti? Quanto alla Lega, Magaldi non fa sconti: deve fare ancora tanta strada, l’ex Carroccio, se vuole davvero candidarsi ad aiutare l’Italia a rialzare la testa. «Se non altro – puntualizza il presidente del Movimento Roosevelt – Salvini ha almeno il merito di averci provato, a contestare lo status quo, attaccando il regime dello spread con l’aiuto dei suoi economisti keynesiani come Bagnai e Rinaldi». Certo non l’ha fatto Mattarella, che nel 2018 ha stoppato il professor Paolo Savona negandogli il ministero dell’economia. «Stiamo parlando di un ex ministro di Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica e, prima ancora, governatore di Bankitalia». A proposito: l’attuale capo della banca centrale, Ignazio Visco, ha lanciato l’allarme: il Mes potrebbe devastare le banche italiane e prosciugare i conti correnti. Dai palazzi del governo, silenzio. Idem dalle piazze: non è roba per Sardine, il Mes. In compenso, applausi a Mattarella dal lussuoso parterre milanese della lirica.Ma scusate, insiste Magaldi: «Che particolari meriti avrebbe, il capo della Stato? Ha silurato Savona, sostenendo di voler proteggere l’Italia dai mercati. E ora rieccoli, i mercati, in grande spolvero col Mes: la più grande minaccia per la finanza italiana e per i risparmiatori». Un trattato-capestro, «da respingere in blocco». Silenti le Sardine, chi si agita contro il Mes? Lui: Salvini. Ve lo figurate, un Mes, in un’Europa in cui ci fosse ancora un tipo come Olof Palme, fuoriclasse scandimavo dello Stato sociale? Era il vero leader carismatico dei socialisti europei: le Ilva svedesi le supportava coi soldi del governo, imponendo un management più vicino ai lavoratori. Socialismo liberale: assassinato – con Palme – nel 1986, a Stoccolma, proprio perché (sgombrato il campo dai progressisti, quelli veri) potesse nascere questo aborto di Ue, questa Eurozona infame e senza eurobond, in mano ai banchieri privati della Bce, unici sovrani di mezzo miliardo di persone. Arbitrio e business, senza democrazia, grazie anche al sangue di Olof Palme e di tutti gli altri combattenti, caduti nelle varie macellerie mediatiche, giudiziarie e criminali di quest’Europa tragica e ridicola. Ultima puntata della farsa: le Sardine in piazza contro Salvini. Insieme a Mario Monti, la Pascale e le Madamine Sì-Tav. Prosit: morte al leghista, e buon Natale a tutti.Ovazioni a Mattarella e piazze piene di Sardine. L’Italia? Minacciata dal Mes. Ma non ne parlano né il capo dello Stato, né i “pesciolini” che odiano Salvini. Che razza di cortocircuito è mai questo? Per quale motivo, peraltro, il presidente della Repubblica dovrebbe meritarsi un tributo circense, da impero romano, alla prima della Scala? E perché i ragazzi-sardina (coccolati dal massimo potere, giornali e televisioni) ora cianciano di buoni sentimenti, evitando però di citare qualsiasi rogna che affligga il paese, tacendo persino di fronte al letale Fondo Ammazza-Stati? Ragazzi per modo di dire, poi: perché, oltre ai Papa-Boys attesi a Roma per l’annunciata consacrazione politica del 14 dicembre, nell’acquario delle Sardine si tuffa felice l’arci-nemico degli italiani, Mario Monti, insieme a lady Francesca Pascale, domestica sodale di quello stesso Berlusconi fischiato per anni e demonizzato dagli antenati delle Sardine, Girotondini e Popolo Viola. Ancora: dal trampolino di Torino (città che riesce sempre a brillare di luce propria, in questa Italia al tramonto) nella piscina di lusso delle Sardine si accingono a sguazzare anche le Madamine Sì-Tav, tipico esempio sabaudo di rivoluzione colorata (di palazzo, anzi di salotto, e di strettissima osservanza Fiat-Pd). E tutto questo, per cosa? Per fermare l’Uomo Nero?
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Sicuri che Salvini al governo riuscirebbe a bocciare il Mes?
«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità”, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.C’era da «mandare avanti qualcuno» al posto dell’impresentabile Pd: «Le sardine in piazza, i grillini in Parlamento e l’avvocato di tutte le cause al governo», osserva Veneziani. Il Pd? «Deve stare dietro e avvalersi di funzionari testati e garantiti dall’Europa, tipo Gualteri, tipo Gentiloni, tipo Enrico Letta. O la new entry, il passpartout Conte Fregoli, pronto a tutto pur di restare sul palcoscenico a recitare la parte del premier». Spettacolo ormai sotto gli occhi di tutti: «Con linguaggio orwelliano lo chiamano il SalvaStati, ma la sua traduzione reale è AmmazzaStati, insieme alle rispettive sovranità e agli interessi generali». Però, aggiunge Veneziani, «la porcata sul Mes scontenta e tradisce troppa Italia, e le coperture politiche – da quella renziana a quella dimaionese – tremano paurosamente e rischiano da un momento all’altro di crollare». E’ un fatto: «Mai, la base elettorale e militante grillina, espressa da Alessandro Di Battista, avrebbe accettato di essere usata come copertura per il peggior asservimento all’Europa». La speranza del Pd è che prevalga la paura di perdere la poltrona: che fine farebbero, i parlamentari grillini, se si tornasse a votare? E questo è davvero l’unico appiglio, per il Pd e «il consulente premier ingaggiato».Probabilmente, continua Veneziani, un simile calcolo personale spinge Grillo «a insistere sul governo in corso e a tacere su questa svendita nazionale», temendo il supremo potere di ricatto dell’establishment eurocratico. Più facile il compito dell’opposizione, che spara a zero sul Mes. Ma se domani il centrodestra salviniano e meloniano fosse al governo? Troverebbe «gli stessi poteri e i veti, gli ostacoli, le minacce, le tante forme ricattatorie di pressione e di ritorsione». Inevitabili compromessi? Salvini ce l’avrà, «la forza per dire un secco “no, non se ne parla”, e sarà convincente nel far capire che se per noi è un guaio mettersi di traverso ai dettami degli eurocrati, pure per la Ue e il suo sistema finanziario è un guaio dichiarare guerra a un socio fondatore come l’Italia?». E quindi, «riuscirà almeno a rinegoziare radicalmente il Mes e cambiargli prospettiva?». Nel caso, «troverà partner europei nella scelta sovranista e indipendentista?». Oppure: «Troverà sponde fuori dall’Unione Europea per bilanciare eventuali strappi e ultimatum? E quanti ostacoli troverà in Italia, tra magistratura, stampa e poteri istituzionali pronti a remare contro, gufare anti, colpire il sovranismo magari accusandolo pure di fare interessi stranieri?».Osserva Veneziani: è dura, «dover governare e dover fare i conti con le aspettative della gente che ti ha votato e le ingiunzioni del potere che ti vorrebbe far cadere appena possibile». Sulla scena dominano «forti giocatori politici e internazionali». E noi, allora, «saremo in grado poi di fronteggiare i potenti con armi e leadership adeguate?». Sono domande preliminari che vanno affrontate, conclude Veneziani, se si vuole andare oltre l’incasso immediato e vincente della giusta protesta. «Stavolta non basterà ripetere “noi twitteremo diritto”, remake social del “noi tireremo diritto”». Un consiglio e Salvini e Meloni: «Siate più prudenti nel dire e più conseguenti nel fare. La vostra forza principale è essere dalla parte della realtà, con i piedi per terra, convinti che la vita reale dei popoli vale più degli assetti contabili». E dunque, «siate realisti anche in questa partita difficile, pensateci già da ora. Prima o poi arriveremo alla fine del Mes».«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità“, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.
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La Fiat riapre, ma in Marocco. E Conte le regala 136 milioni
Sapete benissimo che la Fca, ex Fiat, non è più una società italiana, da anni. Ha la sede legale ad Amsterdam, in Olanda. Ha la sede fiscale nel Regno Unito e quindi paga le tasse a Londra, pur di non pagarle in Italia, ed è quotata alla Borsa di New York. Sapete anche che sta per fondersi, anzi per essere rilevata da una società francese di automotive, la Psa (Citroen-Peugeot), all’interno della quale c’è lo Stato francese. Ebbene, sapete che cosa ha fatto il ministero dello sviluppo economico, nella serata del 26 novembre? Attenti: per chi non paga le tasse in Italia, per chi ha portato all’estero le produzioni, per chi se ne fotte degli operai italiani (perché non gli dà lavoro, glielo sottrae, e li mette in cassa integrazione a spese non della Fiat, ma nostre), be’, il ministero dello sviluppo economico di questo governo ha stanziato 27 milioni di euro di agevolazioni per il gruppo Fca. Ripeto: agevolazioni per 27 milioni di euro. Ma l’investimento complessivo di questo accordo, che è stato firmato tra il ministero ed Fca, non prevede solo questi 27 milioni della prima tranche, ma ben 136,6 milioni di euro, tra il 2019 e il 2022. Quindi, tra pochi mesi, noi regaleremo un pacco di milioni a una società francese. E li stiamo già dando a una società che non paga neanche le tasse in Italia.I primi 27 milioni forniti dal ministero, hanno subito detto in una nota, serviranno all’acquisto di macchinari per l’aggiornamento degli impianti. Ma quanto ci vuole, per acquistare un macchinario, farlo arrivare e aggiornarlo? Ci vogliono un po’ di mesi. E tra poche settimane, questi soldi verrano dati a una società francese, la quale se ne sbatterà delle esigenze italiane e incasserà questi soldi. E attenzione: mentre arrivano questi nostri milioni, 27 subito e gli altri (fino a 136,6 milioni) entro il 2022, Fca ha annunciato che, insieme a Peugeot-Psa, apre una fabbrica italiana in… Marocco! Non in Basilicata o in Campania: in Marocco. E la notizia ha destato un grande entusiasmo da parte dell’industria, del commercio e dell’economia marocchina. Esulta il signor Moulay Hafid Elalamy, uomo d’affari marocchino: il Marocco si prende una nuova fabbrica della Fiat. A rivelarlo non sono giornali italiani, ma il quotidiano economico francese “Les Échos”. Ecco quindi una duplice beffa: abbiamo regalato dei milioni di euro ai francesi, i quali per tutta risposta – insieme al loro amico John Elkann – apriranno una fabbrica in Marocco.Questo è il massimo, se uno pensa alla famosa frase di Stefano Ricucci, “so’ capaci tutti de da’ i froci cor culo degli altri”: in questo caso con il nostro, e soprattutto con i soldi nostri. Complimenti quindi al ministro dello sviluppo economico, complimenti a John Elkann. E complimenti a tutti noi, che stiamo per pagare la seconda rata delle tasse, cui poi seguirà l’Imu, eccetera. Noi almeno le tasse in Italia le paghiamo, questi non le pagano: ammesso che lo facciano, le pagano a Londra o in Lussemburgo. Noi gli regaliamo 27 milioni di euro (anzi, in totale 136,6), e loro aprono lo stabilimento, con i francesi, in Marocco. Questo è il paese delle banane: non il Marocco, ma l’Italia. I 5 Stelle, ora di fronte anche al Mes? Mi meraviglio del fatto che un movimento che aveva promesso di aprire la scatoletta del tonno sia diventato più tonno del tonno. La cosa più incredibile è che si regalino milioni ad Fca proprio in un momento come questo.(Gigi Moncalvo, dichiarazioni rilasciate nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda” il 28 novembre 2019. L’attuale ministro dello sviluppo economico, citato da Moncalvo, è il grillino Stefano Patuanelli).Sapete benissimo che la Fca, ex Fiat, non è più una società italiana, da anni. Ha la sede legale ad Amsterdam, in Olanda. Ha la sede fiscale nel Regno Unito e quindi paga le tasse a Londra, pur di non pagarle in Italia, ed è quotata alla Borsa di New York. Sapete anche che sta per fondersi, anzi per essere rilevata da una società francese di automotive, la Psa (Citroen-Peugeot), all’interno della quale c’è lo Stato francese. Ebbene, sapete che cosa ha fatto il ministero dello sviluppo economico, nella serata del 26 novembre? Attenti: per chi non paga le tasse in Italia, per chi ha portato all’estero le produzioni, per chi se ne fotte degli operai italiani (perché non gli dà lavoro, glielo sottrae, e li mette in cassa integrazione a spese non della Fiat, ma nostre), be’, il ministero dello sviluppo economico di questo governo ha stanziato 27 milioni di euro di agevolazioni per il gruppo Fca. Ripeto: agevolazioni per 27 milioni di euro. Ma l’investimento complessivo di questo accordo, che è stato firmato tra il ministero ed Fca, non prevede solo questi 27 milioni della prima tranche, ma ben 136,6 milioni di euro, tra il 2019 e il 2022. Quindi, tra pochi mesi, noi regaleremo un pacco di milioni a una società francese. E li stiamo già dando a una società che non paga neanche le tasse in Italia.
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Rizzo: senza l’euro stavamo meglio, l’Ue opprime gli italiani
«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.Non può essere un singolo paese, da solo, a ribellarsi alla dittatura dei mercati. L’Italia non ha mai avuto una sovranità effettiva, e non appena le personalità importanti sono uscite dalla falsariga di ciò che era determinato per il paese, sono state fatte fuori (Mattei, Craxi per Sigonella, Berlusconi per le vicende di Gheddafi e Putin). In Italia abbiamo centinaia di bombe atomiche e non sappiamo dove sono, anche andando al governo non potremmo farci niente. Bisogna riunire i popoli. Non bisogna contrapporre gli italiani ai tedeschi o agli spagnoli, ma unificare la maggioranza dei popoli. Potremmo lavorare meno e lavorare tutti. La ricchezza potrebbe essere redistribuita, visto che il progresso tecnologico ci permetterebbe di vivere meglio. La moneta è un accordo tecnico. L’euro è stato costruito a tavolino: gli italiani l’hanno provato sulla loro pelle. Quello che costava mille lire costa un euro, ma gli stipendi non sono raddoppiati. Da quando c’è l’euro le cose vanno peggio, nel nostro paese. C’è chi dice: sarebbero andate ancora peggio, senza la moneta unica, ma non c’è la prova di questo. Quando un lavoratore prendeva due milioni di euro stava bene, oggi con mille euro è al palo.Arriveremo al 2030 dove l’1% della popolazione avrà la ricchezza dei due terzi del mondo: stiamo andando verso una società neomedievale. A New York si stanno costruendo dei grattacieli antimissile. Larga parte del pianeta sarà disastrato dal punto di vista ambientale e della sicurezza, ma allo stesso tempo ci saranno delle isole felici blindate. Già oggi ci sono appartamenti venduti a 100 milioni di dollari per 100 metri quadrati, cifre mostruose. Nel resto del mondo moriremo tutti di fame. Lo Stato è forte: ogni anno ha 850 miliardi da spendere. La crisi del governo gialloverde con l’Ue era relativa a circa 15 miliardi, tra “quota 100″ e reddito di cittadinanza (una piccola parte). Possiamo decidere cosa spendere. Serve un piano nazionale di messa a punto del nostro territorio. Potremmo assumere giovani geometri, ingegneri, architetti per evitare di pagare i danni da alluvioni e calamità naturali. Questa società è basata solo sul profitto, ma sulla salute non si può guadagnare. La sanità privata serve a chi la fa, non all’utenza. L’istruzione e i trasporti dovrebbero essere pubblici: hanno fatto apposta, a distruggerli, per favorire la loro privatizzazione. L’Europa dei popoli purtroppo oggi non esiste, esiste solo l’Europa dell’euro e delle grandi banche. Non dobbiamo essere dipendenti da Bruxelles, per fare una riforma. Bisogna uscire dall’Ue in un processo collettivo, rivoluzionario, che coinvolga i popoli. Quello italiano non è mai stato troppo avvezzo alle rivoluzioni, ma potrebbe anche imparare molto presto.(Marco Rizzo, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella video-intervista “Una rivoluzione dei popoli per uscire dall’euro”, pubblicata sul canale video di “Money.it” il 23 gennaio 2019).«Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.
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La truffa 5 Stelle: il cancro che ha impedito il cambiamento
Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.Ministro del lavoro, ministro dello sviluppo economico, ministro degli esteri, vicepremier, capo politico del M5S, anche la carriera di Luigi Di Maio è da record: in 18 mesi ha ricoperto ben cinque alte cariche, senza mai esercitarne davvero nessuna, perché totalmente privo delle capacità e delle competenze necessarie. Era più qualificato il cavallo senatore di Caligola. Al momento, Gigi il Fenomeno è commissariato da Grillo, che lo trattiene per un orecchio dallo scappare a iscriversi alla Lega insieme ai suoi “fedelissimi”. Incapaci, strafottenti, voltagabbana, quelli della banda di Maiana condividono tutte le principali caratteristiche del loro capo corrente, e sono fra i peggiori parassiti che la politica italiana abbia mai prodotto, il che è tutto dire. Con loro, il Movimento 5 Stelle è diventato l’infestazione che prometteva di debellare. La malattia di cui si fingeva la cura.Grillo cerca adesso pateticamente di salvarne i resti riciclandoli come minions del Pd, come d’alemiana “costola della sinistra”. Il Movimento 5 Stelle non è di sinistra. E non è neanche equidistante, trasversale, ortogonale, post-ideologico, o qualche altra stronzata del genere. Il Movimento 5 Stelle è di destra. Il qualunquismo è di destra. Ed è una truffa. Un buco nero che ha inghiottito e neutralizzato più d’un decennio di proteste e speranze che altrimenti avrebbero potuto fare la differenza. Dieci anni nei quali l’Italia sarebbe potuta cambiare davvero. Un’arma di distrazione di massa, che invece di realizzare il cambiamento promesso l’ha di fatto impedito. Il Movimento 5 Stelle è di destra, ed è una truffa. Quindi è l’alleato ideale del Pd.(Alessandra Daniele, “Decàde”, da “Carmilla” del 1° dicembre 2019).Quest’anno il Movimento 5 Stelle ha celebrato il decimo anniversario della sua nascita suicidandosi. Per andare al governo, s’è svenduto a tutti i Mattei che accusava d’avere distrutto il paese, portando Salvini al 33% dei votanti, e resuscitando Renzi. Ha dato via libera a tutte le rovinose Grandi Opere che prometteva di bloccare. Ha obbedito a tutti i diktat Ue, Usa, Nato, Bce, come il più diligente dei droni. Ha occupato tutte le poltrone, poltroncine, seggiole, seggiolini e sgabelli che è riuscito a raggiungere. Ha rifinanziato i lager libici. Ha illuso i riders, i truffati dalle banche, i terremotati, i lavoratori di centinaia di crisi aziendali, per poi abbandonarli. Ed ha ovviamente perduto tre quarti dei voti, riducendosi a cercare di ritirare la propria lista dalle elezioni regionali per eccesso di ribasso, come si fa coi titoli fallimentari in borsa. Un vero e proprio record.
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Crosetto: Mes, rischio-catastrofe. Savona: ve l’avevo detto
Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli Affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero”: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo Salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.«Temo che vogliano chiudere sul trattato – spiega il fondatore di Fratelli d’Italia, oggi ex parlamentare – perché la situazione delle banche tedesche e olandesi, a rischio crac, sia molto grave». Il riferimento è soprattutto a DeutscheBank e KommerzBank, i due colossi tedeschi a rischio collasso. «E guardate bene», avverte Crosetto: «Se saltano le banche avremo uno tsunami in confronto al quale la crisi del 2008 sarà nulla. E a pagare, come sempre, saranno i paesi più deboli, come l’Italia». Nel testo del rinnovato Mes, aggiunge “Libero”, è rimasta la valutazione della sostenibilità dei debiti e della capacità dello Stato che chiede un prestito di poterlo restituire. Ed è un punto che difficilmente sarà oggetto di negoziazione ulteriore. Al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’economia Roberto Gualtieri, spiega il “Messaggero”, rimane la carta della modifica degli allegati, per correggere parzialmente un tiro destinato a fare malissimo all’Italia. Perché la ristrutturazione del debito (che renderebbe carta straccia i titoli di Stato, in mano soprattutto ai risparmiatori italiani) è ancora in piedi. E anzi, resta un caposaldo del Meccanismo Europeo di Stabilità.Nel frattempo, lo scandalo-Mes sta facendo franare il governo giallorosso: secondo Augusto Minzolini, autore di un report dietro le quinte pubblicato dal “Giornale”, Renzi avrebbe promesso a Salvini di staccare la spina al Conte-bis, in cambio di un eventuale accordo con la Lega per il varo di una legge elettorale proporzionale. Dal canto suo, il “Corriere della Sera” parla di imminenti diserzioni tra i 5 Stelle. E scrive: «Fonti leghiste assicurano che già quattro senatori hanno accettato il trasbordo nella Lega e altri starebbero per cedere». Voci che fanno il paio con chi, nel Movimento, parla insistentemente di scissione. Nei guai Conte, accusato di aver ceduto (in segreto) alle pressioni europee sul Mes. Lui smentisce, ovviamente. «Peccato che poi, implicitamente, riconosca come sia stato costretto a una brusca frenata sul negoziato che, diversamente – scrive “Libero” – sarebbe già andato in porto come suggerito maldestramente dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri in commissione, parlando di “trattato già firmato e inemendabile”». Conte, infatti, ora parla di “rinvio possibile” e di un ok al Mes “vincolato” alla riforma dell’unione bancaria a marzo.Un documento inviato a tutti i ministri da Paolo Savona, oggi presidente Consob ma allora titolare degli affari Ue, metteva in guardia il governo dai rischi delle modifiche del Mes. Quel documento, “Una politeia per un’Europa diversa”, aveva spaventato molto il mondo politico e finanziario dell’Unione, ma aveva centrato il punto: «La proposta in discussione di creare un fondo europeo per gli interventi, comunque lo si chiami – metteva nero su bianco Savona, come ricorda il “Messaggero” – oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune. Essa inoltre ripropone i difetti della condizionalità restrittiva per la politica fiscale dei paesi che a esso ricorreranno, rendendo il meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici». Traduzione: il Mes avrebbe peggiorato, e non risolto i problemi degli Stati costretti a ricorrervi. «Se c’è fretta di chiudere sul Mes, è un segnale drammatico». Guido Crosetto, ospite di “Omnibus” su “La7″, suggerisce qualcosa che tutti, fino a oggi, hanno sottovalutato o semplicemente nascosto, scrive “Libero“: il pressing dell’Unione europea sull’Italia per approvare la riforma del Fondo salva-Stati potrebbe nascondere la preoccupazione di un imminente crac finanziario.
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Dopo 40 anni, ora “Repubblica” è finita agli Agnelli-Elkann
Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.Solo per dire della sua esposizione più famosa e citata nella politica, al tempo della ideazione del Partito Democratico circolò molto una sua frase per cui ne avrebbe preso “la tessera numero uno”. Sotto la proprietà di Carlo De Benedetti, “Repubblica” ebbe due importantissimi direttori, rimasti in carica per ben vent’anni ciascuno, fino al 2016: Eugenio Scalfari prima ed Ezio Mauro dopo. Ma dall’inizio del 2016 la storia del quotidiano ha preso una velocità completamente diversa: dopo questi lunghi periodi di continuità, nel 2016 fu appunto nominato un nuovo direttore, Mario Calabresi (allora direttore della “Stampa”, e prima già a lungo a “Repubblica”), e due mesi dopo fu annunciata una storica fusione con il gruppo editoriale della famiglia Agnelli che pubblicava la “Stampa”, il terzo quotidiano italiano. Già nel 2019 Calabresi era stato di fatto licenziato, e Carlo Verdelli (già vicedirettore al “Corriere della Sera”, poi direttore di “Vanity Fair” e della “Gazzetta dello Sport”) nominato al suo posto. E dopo solo nove mesi, lunedì, la cessione della maggioranza del gruppo alla famiglia Agnelli. Cosa è successo in questi tre anni, anzi sei?Nel 2013 Carlo De Benedetti – che stava compiendo 79 anni – aveva ceduto la proprietà del gruppo Espresso ai tre figli, annunciando di volersi ritirare dal ruolo di editore. L’operazione era stata seguita con curiosità dal mondo dell’editoria giornalistica, perché nessuno dei tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo si era mai mostrato interessato a quel ramo delle attività di famiglia, né aveva la passione per la scena giornalistico-politica che aveva avuto del padre. Edoardo fa il cardiologo, Rodolfo e Marco si occupano di altre aziende di famiglia: Rodolfo soprattutto con ruoli importanti negli affari finanziari e un più volte manifestato disinteresse per il tormentato business dei giornali. Anche per questo, quando nel 2016 c’era stata la clamorosa fusione con il gruppo editoriale della “Stampa” (che comprendeva anche il quotidiano “Secolo XIX” di Genova), in molti si erano domandati se fosse stata «”Repubblica” ad avere comprato la “Stampa”, o la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”», ovvero chi avrebbe preso il comando della nuova società tra Rodolfo De Benedetti e John Elkann: malgrado il gruppo Espresso fosse il più grande, e ufficialmente le quote maggiori fossero della famiglia De Benedetti, le curiosità per l’editoria giornalistica di John Elkann – capo delle aziende della famiglia Agnelli – sembravano più convinte e motivate (Elkann aveva contestualmente lasciato una vecchia presenza nell’azionariato della società editrice del “Corriere della Sera”).La nuova società, però – ribattezzata Gedi – veniva in effetti gestita da Rodolfo e Marco De Benedetti, e anche le scelte successive sembravano privilegiare la testata maggiore – “Repubblica” – rispetto alla “Stampa”, che dopo un iniziale ruolo di “secondo quotidiano nazionale del gruppo” pareva essere stato destinato a quello di “primo quotidiano locale del gruppo”. Nel frattempo era cambiata l’Italia: la scelta di un nuovo direttore di 46 anni (“giovane”, per le abitudini dei grandi quotidiani italiani) come Mario Calabresi era il risultato di una lettura del cambiamento italiano in cui il tempo della grande contrapposizione manichea tra berlusconismo e antiberlusconismo era finito, e in cui i recenti successi di Matteo Renzi sembravano confermare che il paese si stesse muovendo verso divisioni più sfumate e articolate, verso complessità maggiori, e verso una maggiore modernità e un rinnovamento generazionale. Mario Calabresi, capace di rapporti più trasversali e analisi meno schematiche, oltre che nato negli anni Settanta, era parso l’uomo giusto per confermare “Repubblica” dentro i tempi, ribaltandone l’approccio tenuto nell’era precedente.Un giornale più contemporaneo, anche nel disegno e nei temi, con una nuova inventiva sui progetti digitali, e che addirittura arrivò a un’occasione importantissima e divisiva come il referendum costituzionale scegliendo di non dare una linea esatta ai suoi lettori, e offrendo spazio a entrambe le posizioni. Ma l’analisi del cambiamento si rivelò rapidamente sbagliata (un po’ da tutti): quel periodo di innovazione e costruzione di una nuova sinistra di successo si è esaurito – come si sa – molto rapidamente, e quello che lo ha sostituito sono di nuovo tempi di “resistenza” a sinistra, di indicazione del nemico, di contrapposizioni violente. Da questa constatazione di errata direzione è venuto l’allontanamento drastico di Calabresi all’inizio del 2019, con modi e atteggiamenti oggettivamente sgradevoli da parte dell’editore, e confermati anche da Carlo De Benedetti, che intanto aveva cominciato a rifarsi vivo pubblicamente per criticare la piega presa dal giornale. Al suo posto è stato nominato Carlo Verdelli, 62 anni, molto stimato per la sua capacità di guidare i progetti giornalistici più diversi e di conoscere i sentimenti e desideri dei lettori.Il quale Verdelli – più in sintonia coi tempi – ha immediatamente restaurato e reinventato gli approcci tradizionali di “Repubblica”, con posizioni molto più aggressive e urlate, una campagna promozionale dal titolo “Alza la voce” e titoli più forti e grandi anche come dimensioni (anche qui, però, dopo pochi mesi il cambio di governo ha messo in difficoltà la linea di opposizione bellicosa del giornale alla maggioranza Lega-M5S). Sullo sfondo di tutto questo, non si può ignorare la crisi economica complessiva e mondiale dei giornali e dei quotidiani, e le difficoltà dei gruppi editoriali a limitare le perdite e ricostruire modelli di business nuovi: e quindi il declino economico anche del gruppo Gedi, e l’enorme difficoltà di qualunque nuovo orientamento o progetto a ottenere risultati migliori sotto questi aspetti. In questo quadro già complicato e spaesato, lo scorso settembre Carlo De Benedetti – che nel frattempo aveva esibito pubblicamente la sua delusione per le difficoltà del suo ex giornale – ha improvvisamente presentato un’offerta per riacquistare dai figli le loro quote del gruppo, sostenendo con sprezzo che non fossero capaci di gestirlo, che non ne avessero alcun interesse, e che lo stessero portando al fallimento.L’offerta, bassa e giudicata irricevibile da qualunque esperto, veniva motivata da De Benedetti appunto col basso valore a cui il gruppo sarebbe stato portato dalla gestione dei figli. I quali avevano reagito con maggiore sobrietà ma altrettanta irritazione, dicendosi addolorati di un simile atto di disistima e avversità e rifiutando la proposta. Ma era chiaro che la situazione non poteva andare avanti senza altri sconvolgimenti. E lo sconvolgimento ha cominciato a circolare come probabile nelle redazioni da qualche settimana, ed è diventato ufficiale lunedì sera. “Repubblica”, dopo quarant’anni, non è più della famiglia De Benedetti; la famiglia Agnelli si è ripresa il suo quotidiano storico, la “Stampa”; e malgrado il percorso tortuoso, è finita che è «la “Stampa” ad avere comprato “Repubblica”». Ancora ne succederanno, perché le difficoltà di un grande gruppo mediatico rimarranno e dovranno essere affrontate con idee e denaro, e non è detto che bastino le une o l’altro. Ma il 2 dicembre è stato un giorno che si ricorderà nella storia dei giornali italiani. La fine di un’era, davvero, come dicono i quotidiani.(”La storia più grossa in mezzo secolo di giornali italiani”, da “Il Post” del 3 dicembre 2019).Lunedì sera è diventata ufficiale l’acquisizione della maggioranza relativa del gruppo editoriale Gedi da parte di Exor, la più grande società italiana per fatturato, di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Se ne parlava da settimane – e pure da qualche anno, come vedremo – ma è la più grossa storia capitata ai giornali italiani in questo millennio, per molte ragioni. La prima ragione, la più “fine-di-un’era”, è che il quotidiano “Repubblica” non è più della famiglia De Benedetti. “Repubblica” fu creata nel 1976 da un gruppo di giornalisti e investitori, e inserita dentro un gruppo editoriale in cui stava il settimanale “L’Espresso”, allora molto venduto e importante, e ne prendeva il nome. Nel 1979 l’imprenditore Carlo De Benedetti entrò nella società e negli anni successivi estese la sua partecipazione, e il suo ruolo crebbe fino a farlo diventare l’editore del gruppo, che nel tempo acquisì molti quotidiani locali storici ne creò altri, e comprò anche le due importanti radio, “Deejay” e “Capital”. Carlo De Benedetti, che i giornali hanno sempre chiamato “l’ingegnere”, divenne per molti anni un protagonista della scena editoriale e politica italiana, con una grande passione per il ruolo esercitato e per il potere acquisito da “Repubblica” e dal gruppo nella vita pubblica.
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Il Mes e i Miserabili: come siamo caduti in basso, e perché
Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari leghisti e un emissario del grillino Fraccaro.«Non firmiamo niente», conclusero, dopo aver solo potuto guardare da lontano quelle 40 pagine, scritte in inglese, senza la possibilità di fotocopiarle. Alla faccia della sovranità parlamentare. L’ha ripetuto, Borghi, nella diretta web-streaming su ByoBlu con Claudio Messora e Francesco Toscano, poche ore dopo l’infuocata assise delle Camere: la bozza di revisione del micidiale Mes, i cui funzionari si pongono al di sopra di qualsiasi legge, non punibili in nessun caso, ha seguito la stessa procedura clandestina del Ttip, il trattato-fantasma concepito per scavalcare i governi e lasciare alle multinazionali l’ultima parola sui contenziosi con gli Stati. Qui è ancora peggio, rincara Borghi: almeno, l’accesso formale al testo del Ttip (sempre in inglese, non fotografabile neppure con lo smartphone) era previsto dall’agenda. Invece, quei 40 fogli del Mes-2 sarebbero stati esibiti la scorsa estate solo per gentile concessione di Conte, in imbarazzo con i suoi azionisti di riferimento, Lega e 5 Stelle. Uno strappo alla regola: in base al rigido protocollo, le informazioni riservatissime sul rinnovato Meccanismo Europeo di Stabilità, in teoria, si sarebbero dovute limitare unicamente al premier, assistito d’ufficio dal solo ministro dell’economia (all’epoca, Giovanni Tria).Citato da Salvini nella sua requisitoria in aula contro Conte, l’esperto Guido Salerno Aletta, di “Milano Finanza”, conferma l’allarme già lanciato da Antonio Patuelli dell’Abi e, ancor più autorevolmente, dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. E cioè: se l’Italia fosse costretta a ricorrere al Mes, il nuovo Fondo potrebbe chiedere in cambio pesantissime “condizionalità”, inclusa la “ristrutturazione” del debito. Tradotto: le banche, detentrici dei titoli di Stato, potrebbero attingere direttamente ai conti correnti degli italiani. In alternativa, il governo dovrebbe imporre una patrimoniale. Lo conferma, sempre a “ByoBlu”, un tecnocrate come Carlo Cottarelli: per l’Italia il rischio è serio, visto l’attuale sistema di finanziamento (titoli di Stato, con moneta non sovrana) e un debito che galleggia oltre il 130% del prodotto interno lordo. Il documento, infatti, prevede che tutto vada liscio solo per i paesi con un debito non superiore al 60% del Pil, in linea con la “teologia” di Maastricht. Problema: le regole del rigore, pensate trent’anni fa per un’Europa in crescita, si sono scontrate con la realtà della stagnazione, riuscendo solo ad aggravare la crisi e condannare intere economie. E oggi, nel 2019, ancora si insiste con una ricetta perversa e socialmente devastante, votata alla rovina generale?“Non venitemi a dire che non lo sapevate”, è la fragile autodifesa di Conte, che tenta di coinvolgere Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier all’epoca dell’incubazione del Mes-2. Vero a metà, a quanto pare: da un lato, il capo della Lega e il portavoce dei 5 Stelle non hanno mai rigettato, a prescindere, la prospettiva dell’ex Fondo salva-Stati. Dall’altro, però, si erano riservati di analizzarlo in modo approfondito. Salvo scoprire, oggi, che il Mes avrebbe viaggiato in clandestinità: un piatto avvelenato, da servire ai Parlamenti solo a cose fatte. E qui, Conte traballa. Accusato frontalmente da Salvini e Giorgia Meloni, è isolato dalla freddezza di Di Maio: i 5 Stelle potrebbero ribellarsi e staccare la spina al governo, pur di bloccare il fondo “ammazza-Stati”? Se il Pd e i renziani fanno quadrato attorno all’attuale titolare dell’economia, cioè il tecnocrate Roberto Gualtieri (creatura di Buxelles), dalla sinistra si sfila “Liberi e Uguali”: per Stefano Fassina, già viceministro di Enrico Letta, l’Italia deve rispedire al mittente, rifiutandosi di approvarlo, questo pericoloso congegno a orologeria.Conte avrebbe già dato il suo ok, all’insaputa di tutti? Malissimo: proprio su questo sembra giocarsi la sopravvivenza del professor-avvocato a Palazzo Chigi, incalzato dalla Lega che si prepara alla mobilitazione popolare, a suon di firme, prima ancora di valutare una mozione di sfiducia, nel caso in cui una frangia dei 300 parlamentari grillini prendesse le distanze da quello che, sulla carta, si presenta come il più insidioso attentato alle tasche degli italiani. Mesi fa, un ex analista dell’intelligence come Fausto Carotenuto aveva confessato: «Temo il Conte-bis, la sua debolezza politica ne farà lo strumento perfetto per l’élite europea intenzionata a farci del male». Oggi, di fronte alla rissa parlamentare sull’ipotetico Fondo Monetario Europeo, un osservatore privilegiato come Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, allarga decisamente l’orizzonte: ma ci rendiamo conto, dice, di cosa stiamo parlando? Lo capiamo, per quale motivo siamo finiti così in basso? Vogliamo deciderci a vederlo, il problema? Alzi la mano chi sa spiegarsi, precisamente, per quale motivo la moneta (europea) è diventata qualcosa da mendicare, da prendere in prestito a caro prezzo, lasciando in pegno interi paesi (e ora, magari, anche il patrimonio di milioni di cittadini).Chiarisce l’economista Nino Galloni, che del Movimento Roosevelt è vicepresidente: ci rendiamo conto che l’Italia ha sì un enorme debito pubblico, ma in compenso vanta un debito privato irrisorio e un ingentissimo patrimonio fatto di risparmi, di capitali e immobili, a garanzia del sistema economico nazionale? E perché allora il rating delle agenzie, adottato da Bruxelles come unico parametro, considera solo il debito contabile dello Stato? Chiedetelo a Prodi, taglia corto un altro “rooseveltiano” come Gianfranco Carpeoro: fu il professore di Bologna, osannato come salvatore della patria dopo aver sfasciato l’Iri che sorreggeva l’industria italiana, a genuflettersi ai signori dell’euro, rinunciando a far pesare il valore reale dell’Italia. Quanto agli eurocrati, un grande imprenditore come Fabio Zoffi, che opera in Germania, ha avuto il coraggio di sbugiardare i guardiani dell’austerity altrui: al “Giornale” ha ricordato che Berlino, mediante svariati artifici contabili, omette enormi cifre nel computo del deficit. Il debito tedesco (quello reale) sarebbe il doppio di quello italiano. Attenzione, avverte Zoffi: proprio grazie al super-debito, sia pure occulto, la Germania funziona meglio dell’Italia. Ergo: anziché tagliare la spesa, perché non allargarla? Il famoso tetto del 3% non è certo una legge economica: è solo un diktat politico-ideologico, che ha finora depresso l’economia.Né si creda che sia intelligente prendersela col signor Franz, dice da parte sua il comunista Marco Rizzo, consultato sempre da Messora: il popolo tedesco non ha idea di quello che combina, alle sue spalle, l’élite che lo governa. Vale per tutti gli altri, inclusi i francesi. La soluzione? Sincronizzare i popoli, coalizzarli contro questa oligarchia che ha privatizzato la moneta. Da tutt’altro versante, quello social-liberale, Gioele Magaldi (in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”), punta il dito contro lo scandaloso dumping fiscale, su cui nessuno fiata: «Che Europa è mai questa, dove si consente che in paesi come l’Olanda e il Lussemburgo sia più conveniente pagare le tasse?». Risultato: l’emorragia di entrate fiscali (Fiat docet), grazie alla fuga delle grandi aziende. Su questo, niente da ridire? Meglio la piccola crociata, vagamente infame, contro l’idraulico che lavora in nero? E i media che fanno, continuano a dormire? Marco Travaglio, addirittura, s’è messo ad incensare Conte: «Saprebbe indicare, Travaglio, un solo illuminante atto di governo che abbia contraddistinto il premier, da quando è a Palazzo Chigi, con l’unica evidente intenzione di restarvi il più a lungo possibile, non importa come, obbedendo ai politici che contano in Europa, anche a scapito degli italiani?».Mai stato tenero, Magaldi, nemmeno con Lega e 5 Stelle. L’accusa: dovevano almeno avviare il cambiamento promesso. «Invece si sono limitati alle chiacchiere: esattamente come Renzi, proprio per questo scaricato a suo tempo dagli elettori». Renzi s’era rimesso in pista, ma ora è stato speronato dalle inchieste sul finanziamento della fondazione Open. «Giusto che la magistratura indaghi, ma senza far politica su questo: ipocrita pensare che i partiti vivano d’aria. Ma sopprattutto: Renzi va bocciato politicamente, perché per l’Italia non ha fatto nulla». Oggi, il mostro ha le sembianze del Mes. E prima ancora: Trattato di Maastricht e Trattato di Lisbona, Fiscal Compact, pareggio di bilancio in Costituzione. «Io sono ultra-europeista», dice Magaldi, «ma intendiamoci: un’Unione Europea non è mai esistita». Chi l’ha detto, ad esempio, che a decidere tutto sia la Bce, non controllata da politici, a loro volta tenuti a rispondere agli elettori? Ora siamo all’apice dell’aberrazione: anziché un ente prestatore di ultima istanza, deputato a finanziare gli Stati in modo virtualmente illimitato, si darebbe vita allo strozzinaggio istituzionale di un organismo ancora meno democratico, super-bancario, abilitato a ricattare popoli scavalcando definitivamente i governi.Al di là di come andrà a finire la miserabile vicenda Mes, incluso lo scaricabarile tra politici, Magaldi sintetizza: tutta quella robaccia va stracciata e riscritta da zero. E’ che ora di svegliarsi, tutti, ma per davvero. Le piccole Sardine? Si decidano: chiedano conto della situazione a chi comanda davvero, in Italia. I sovranisti? Vicolo cieco: a che serve trincerarsi entro i confini, quando è Bruxelles che detiene le leve strategiche, le regole che condizionano l’economia? Vale anche per i rossobruni di Vox Italia: l’oligarchia non ha nulla da temere, da chi rifiuta la battaglia continentale. La risposta? Democrazia, da imporre ai gerarchi dell’Ue. In pillole: «L’Italia sta crollando: viadotti che cadono, scuole a pezzi. Disoccupazione, tasse altissime, aziende che non vengono pagate. Servono 200 miliardi, per rimettere in corsa il paese». E si pensa di elemosinarli al Mes, mettendosi al collo il cappio degli usurai? Non è questione di virgole o di percentuali, insiste Magaldi: c’è da far saltare tutto. Cambiare le regole, da cima a fondo. Primo: «Un’Europa democratica, con la sua Costituzione, e un governo federale finalmente eletto dal Parlamento Europeo». Secondo: «Una banca centrale che emetta eurobond, e sostenga in modo illimitato i debiti pubblici, mettendo fine al ricatto dello spread». O così, o moriremo: malati di Mes, o si qualsiasi altro morbo letale fabbricato in provetta, nei laboratori segreti che hanno sabotato la democrazia per dare vita a questo morto vivente, questo zombie travestito da Sacro Romano Impero, senza più cittadini ma soltanto sudditi.Ma che razza di paese siamo? Si sprecano commenti sul look del conducente, mentre qualcuno ha manomesso i freni del pullman, e non da oggi. Ancora stiamo lì a disputare sulle briciole miserabili del Mes, anziché rovesciare finalmente il banco? E’ un tavolo truccato, dove i bari si giocano a dadi il futuro dei popoli, parlando abusivamente a loro nome. Un teatro dell’assurdo, questa Unione Europea spacciata per Europa. Il club ha reclutato tra le sue comparse anche Giuseppe Conte, l’ex avvocato del popolo gialloverde: ricondotto all’ovile sorvegliato da figuranti di lungo corso come Paolo Gentiloni e David Sassoli, uno commissario Ue e l’altro presidente del Parlamento Europeo. Esponenti dell’immortale Pd, premiati dopo aver perso le elezioni e messi lì per assicurare ai dormienti l’eterno riposo. Finito nella bufera, e subito smentito dall’Eurogruppo (il Mes è già stato approvato, dicono i tecnocrati), il povero Conte ha balbettato in aula la sua tiepida versione sull’ultimo trattato-capestro, vendendolo come ancora negoziabile, e comunque nient’affatto “segreto” nella sua gestazione. Falso, lo smentisce il leghista Claudio Borghi: la scorsa estate, rivela, il testo è stato visionato solo di sfuggita, a Palazzo Chigi, da tre parlamentari (di cui due leghisti) e un emissario del grillino Fraccaro.
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Mes, paghiamo noi per la Germania: Conte è come Monti
Ho ascoltato l’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento e l’ho trovato sciagurato in quanto rappresenta un’orgia montiana! In poche veritiere parole vi spiego come avviene una crisi finanziaria e lo farò come se parlassi a mia zia di 90 anni. Un grosso colosso finanziario, ad esempio Deutsche Bank, è carico di titoli tossici per un ammontare pari a 3 volte il Pil dell’intera Europa. Ad un certo punto alcuni debitori privati non riescono a restituire i crediti a questa banca, ed è per questo che sono definiti “tossici” (non essendo coperti da adeguato riscontro reale); per non fallire la banca si rifà sugli Stati, visto che è creditrice pure verso di essi (gli Stati hanno politici servizievoli, pagano tutto e puntuale), per la precisione verso gli Stati di cui detiene Btp, Bot, ecc, che rappresentano il debito pubblico (dei paesi in questione). A questo punto lo spread sale, perché i paesi non possono avere nell’immediato simili quantità di liquidi, e la colpa di tutto ricade su questi ultimi. Non sulla Germania, quindi… indovinate un po’ quale paese in particolare finirà sotto accusa? Altro che Mes, che integra e che non ha nel mirino nessun paese in particolare, caro premier (studi la sostanza, non si fermi come Don Abbondio ai cavilli, al “Latinorum”)!Ricordo che quando l’inglese Lehman Brothers fallì, la Banca d’Inghilterra, teoricamente più esposta, ripianò tutte le sofferenze emettendo moneta e superando così, senza troppi contraccolpi sociali, questa emergenza. Invece del Mes deve essere la Bce a garantire! E’ l’ora di smetterla di mettere di mezzo gli italiani in nome del neoliberismo turbofinanziario. Al contrario degli inglesi, “l’Europa dei popoli” socializzò le perdite, cioè le fece pagare ai cittadini (leggasi suicidi, tagli, licenziamenti, tasse), cosa che fece scandalizzare Beppe Grillo, all’epoca non ancora fulminato sulla via della casa di Bibbona (insieme al figlio indagato). All’epoca i politici nascosero la “soluzione inglese” e congiuntamente, con gli stessi toni autorevoli attuali di Conte, dalle parti del Pd e dintorni, ci dissero che non potevamo emettere moneta perché si sarebbe fatta viva l’inflazione. Il sottoscritto (e in formato deluxe Alberto Bagnai) si dette da fare per diffondere questa stortura. Niente da fare. Successivamente, per salvare l’euro (non per salvare noi cittadini, sia chiaro) Draghi sentenziò «whatever it takes», e finalmente azionò il bazooka della Bce emettendo una enorme quantità (bolla) di denaro, direttamente e rigorosamente nelle casseforti delle banche private di mezzo mondo.Tutto ciò non provocò nessuno scompenso inflattivo: ma si sapeva; bastava studiare, per dirla alla Giuseppe Conte oggi in Parlamento, perché questa versione (allo stesso modo delle ragioni del Mes) era una burla, visto che la moneta è endogena (solo se circola si genera inflazione, cioè se si crea lavoro e/o alzando i salari). Una burla costata carissima, e adesso ci risiamo! Gli attori sono gli stessi, con il M5S al posto di Scelta Civica. Il Mes non è altro che un sistema per socializzare le perdite, cioè per far ripagare alla gente la prossima crisi; eppure, anche oggi in Parlamento, con un linguaggio simile al politichese della Prima Repubblica, viene descritto come meccanismo virtuoso (sic!) e inclusivo (straSic!). Le banche non hanno imparato niente dal 2007 perché non conoscono il rischio di impresa! Continuano a giocare i soldi “ai cavalli” perché conviene loro, se va bene ottengono enormi profitti speculativi (che paghiamo noi cittadini, indirettamente); quando perdono, poi, paga pantalone (noi cittadini, direttamente col Mes). Orgia neoliberista, quindi. Secondo il premier, il Mes renderebbe stabile l’Unione Monetaria e si incamminerebbe verso la condivisione dei rischi ma, in conclusione, è una ingiusta forma di drenaggio di liquidità dalle tasche dei contribuenti a quelle delle banche. Questo è bene saperlo; e questo era bene chiarire, a prescindere dalle proprie opinioni in merito.(Marco Giannini, Libreidee, 2 dicembre 2019).Ho ascoltato l’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento e l’ho trovato sciagurato in quanto rappresenta un’orgia montiana! In poche veritiere parole vi spiego come avviene una crisi finanziaria e lo farò come se parlassi a mia zia di 90 anni. Un grosso colosso finanziario, ad esempio Deutsche Bank, è carico di titoli tossici per un ammontare pari a 3 volte il Pil dell’intera Europa. Ad un certo punto alcuni debitori privati non riescono a restituire i crediti a questa banca, ed è per questo che sono definiti “tossici” (non essendo coperti da adeguato riscontro reale); per non fallire la banca si rifà sugli Stati, visto che è creditrice pure verso di essi (gli Stati hanno politici servizievoli, pagano tutto e puntuale), per la precisione verso gli Stati di cui detiene Btp, Bot, ecc, che rappresentano il debito pubblico (dei paesi in questione). A questo punto lo spread sale, perché i paesi non possono avere nell’immediato simili quantità di liquidi, e la colpa di tutto ricade su questi ultimi. Non sulla Germania, quindi… indovinate un po’ quale paese in particolare finirà sotto accusa? Altro che Mes, che integra e che non ha nel mirino nessun paese in particolare, caro premier (studi la sostanza, non si fermi come Don Abbondio ai cavilli, al “Latinorum”)!