Archivio del Tag ‘Luigi De Magistris’
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Quirinale e governo: ecco i veri potenti che decidono tutto
Commissione Trilaterale, Bruegel, Aspen, Astrid. E in primo piano la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Questi i soli e veri tavoli abilitati a giocare la partita per la guida del paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale: una ragnatela di interessi di potere e personaggi collocati in ruoli di vertice, dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei paesi occidentali. A sorpresa, scrive “Dagospia” in un’analisi sui retroscena delle manovre, dentro gli organigrammi dei più “prestigiosi” istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato uscente. «Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato: proprio come ai tempi del Britannia», quando la transizione tra Prima e Seconda Repubblica fu “commissariata” dalle lobby mondiali delle privatizzazioni sul panfilo dei reali inglesi, nella cena in cui fu scelto il loro uomo: Mario Draghi.
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Cambiare si può? Ingenui: con Ingroia, sarà molto difficile
Un partito personale, un programma debole. Non basteranno le candidature della società civile. Due mesi fa, in settanta (diversi per storie e provenienza ma uniti negli obiettivi), abbiamo lanciato il documento “Cambiare si può”. Volevamo verificare la possibilità di una presenza alternativa alle elezioni politiche del 2013. Alternativa al liberismo, al governo Monti e a chi ne è stato il socio di riferimento (le destre da un lato e il Pd dall’altro) sulla base di una diversa idea di Europa, di sviluppo, di politiche per uscire dalla crisi, di centralità del lavoro (e non del capitale finanziario). E, poi, alternativa al sistema politico che ha caratterizzato gli ultimi decenni (anche a sinistra) portandoci allo sfascio attuale:
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Ma Ingroia non spiega come finanziare la rinascita del paese
Per favore, non perdiamo subito la faccia e chiariamo almeno due punti. Primo, il “quarto polo” non avrà mai nulla a che fare col centrosinistra, che resta “nemico” perché complice dei poteri forti. Secondo: l’Italia non parteciperà mai a più a missioni militari fuori dai propri confini. Giulietto Chiesa, fondatore di “Alternativa”, è tra i promotori del comitato No-Debito, una delle fonti di opinione del nascituro “quarto polo” capitanato da Ingroia e De Magistris. Chiesa è spazientito: nel “manifesto” del nuovo gruppo, che si candida a sinistra del centrosinistra, non c’è traccia di indicazioni sulle alleanze o sul “no” alla guerra, né tantomeno sulle regole da condividere per poi passare alla corsa contro il tempo per l’eventuale raccolta di firme. “Io ci sto”, l’appello lanciato da Ingroia, è una piattaforma di buone intenzioni che però, incredibilmente, di fronte alla crisi non dice una sola parola sul cuore del problema: dittatura della finanza e sovranità democratica.
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Cambiare si può? Non certo con queste regole europee
Cambiare si può? Lo assicurano gli antiberlusconiani, quelli veri. Mentre gli altri, dopo un anno di sostegno bulgaro al micidiale governo sfascia-Italia, di cambiamento non osano neppure parlare – a meno che non si tratti di pura e innocua cosmesi, alla Renzi. Di cambiamento parla invece volentieri Vendola, ma solo per scherzo: lo sparuto reduce delle primarie ormai sa benissimo di essere ridotto a recitare, sfogliando un libro di sogni che non potranno avverarsi mai. Perché le attuali regole del gioco sono truccate, e spietate: le elezioni sono pressoché inutili, dal momento che la sovranità italiana è finita, confiscata senza contropartite da un’élite finanziaria, la casta europea dei ricchissimi. Senza una ribellione, una aperta violazione dei trattati, l’Italia non ha alcuna possibilità di risollevarsi. Lo sanno tutti, ma non lo dice apertamente nessuno.No al Fiscal Compact: dovrebbe essere il primo punto nel programma elettorale. Invece, quando va bene, si parla di debito e, al massimo, di legalità. Beppe Grillo, il ciclone degli ultimi mesi – accreditato del maggior patrimonio elettorale vocato all’opposizione – non ha ancora chiarito la sua posizione in materia di sovranità nazionale; rivendica una battaglia radicale sulla trasparenza della politica, ma per il momento non va oltre. Più articolato l’approccio del possibile “quarto polo”, che si affaccia alla vigilia delle elezioni al riparo di figure come Ingroia e De Magistris, simboli di dignità e pulizia delle istituzioni; si denuncia l’iniquità della tassazione orizzontale imposta con l’alibi del debito nazionale e si invoca la Costituzione del 1946 come argine maestro contro il dilagare dell’arbitrio, dimenticando però che ben altro ordinamento – la sciagurata “costituzione materiale” dell’attuale Unione Europea antidemocratica – cancella di fatto ogni prerogativa legittima ed ogni possibile forma di equità sociale.La stampa anglosassone demolisce Monti e lo accusa di aver letteralmente devastato l’Italia dalle fondamenta, eppure il paese ancora non reagisce e non trova un’alternativa credibile, una vera via d’uscita – che non può che essere il recupero della sovranità economica nazionale, lo smarcamento dall’oligarchia dell’euro, il ripristino dell’autonomia di bilancio. Agli italiani si chiede un voto praticamente inutile, destinato a premiare ancora una volta le larve annidate in Parlamento e nei partiti, protette dall’establishment della finanza, della banche, delle dinastie industriali, dei media mainstream. Il paese è tramortito dal crollo dell’economia, ma la campagna elettorale ripropone tragiche barzellette. Per l’ennesima volta, nelle urne c’è in palio di tutto, tranne quello che conta: il futuro.Cambiare si può? Lo assicurano gli antiberlusconiani, quelli veri. Mentre gli altri, dopo un anno di sostegno bulgaro al micidiale governo sfascia-Italia, di cambiamento non osano neppure parlare – a meno che non si tratti di pura e innocua cosmesi, alla Renzi. Di cambiamento parla invece volentieri Vendola, ma solo per scherzo: lo sparuto reduce delle primarie ormai sa benissimo di essere ridotto a recitare, sfogliando un libro di sogni che non potranno avverarsi mai. Perché le attuali regole del gioco sono truccate, e spietate: le elezioni sono pressoché inutili, dal momento che la sovranità italiana è finita, confiscata senza contropartite da un’élite finanziaria, la casta europea dei ricchissimi. Senza una ribellione, una aperta violazione dei trattati, l’Italia non ha alcuna possibilità di risollevarsi. Lo sanno tutti, ma non lo dice apertamente nessuno.
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Sinistra radicale? Giannuli: lasciate perdere, siete finiti
Diversi amici e compagni mi sollecitano un parere su cosa dovrebbe fare la sinistra radicale in vista delle elezioni. Risposta semplice: nulla, e passare la mano. Infatti, almeno per questo giro, non c’è nulla da fare, la sinistra radicale si è suicidata: non si possono perdere 4 anni e 10 mesi e pretendere di risolvere tutto con un tentativo degli ultimi due mesi, siamo seri! Iniziamo da Vendola: la scelta di sottoscrivere l’alleanza con il Pd si è risolta nel disastro che era stato facile prevedere. Nichi, che due anni fa di questi tempi, sognava di arrivare primo in elezioni primarie della sinistra (e forse avrebbe potuto anche farcela) non è arrivato neppure al secondo turno, surclassato da Renzi che ha preso il doppio dei suoi voti. Per cui, l’alternativa a Bersani non era alla sua sinistra ma alla sua destra ed a Nichi non resta che fare la ruota di scorta di un Pd esplicitamente orientato a mantenere la linea fallimentare del rigore montiano.
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Vendola sconfitto: non può attaccare Monti stando col Pd
Tocca ammetterlo, e dispiace soprattutto se almeno idealmente ci si sente vicini alle proposte e alla cultura di Nichi Vendola: ma l’unico vero sconfitto di queste primarie-concorso è proprio lui. La sua strategia – come tanti del suo mondo gli avevano già fatto notare – si è dimostrata un fallimento. E il misero 15 per cento era in realtà una storia già scritta. Praticamente da tre anni a questa parte il leader di Sel ha fatto fuoco e fiamme giorno per giorno: voleva le primarie, le voleva a tutti i costi. Perché le primarie erano il rumore del mare che un bambino ascolta dentro la conchiglia, e roba del genere, raccontava lui. Pareva quasi che il futuro della sinistra, che il riscatto dei lavoratori, degli studenti, della Fiom, degli sfruttati di tutto il mondo stesse lì: nelle primarie. Un modo un po’ edulcorato per rappresentare la realtà di un Paese, e soprattutto di una coalizione sorretta dal Pd, che nel frattempo ha votato tutti i provvedimenti del governo Monti (che a parole Vendola combatte).
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Manganelli: sì all’identificativo per gli agenti antisommossa
Sì alla matricola su caschi e divise per identificare gli agenti della polizia antisommossa e quindi scoraggiare eventuali comportamenti violenti, oggi coperti dall’anonimato. Il capo della polizia, Antonio Manganelli, approva: sarebbe un provvedimento «opportuno e utile», per «distendere gli animi». Poliziotti “targati”? «Credo che si possa percorrere questa strada», dice Manganelli, intervistato da Giovanni Floris di “Ballarò”, su RaiTre. Ma, al tempo stesso, ancora una volta il numero uno della polizia avverte: troppi agenti sono finiti sotto stress perché coinvolti in situazioni-limite, chiamati ad affrontare problemi che non spetterebbero a loro, ma alla politica. Condizioni estreme e anomale: il disagio sociale in atto è «frutto di un diffuso malcontento, di una situazione generalizzata di degrado, di problemi sociali irrisolti, che diventano irrimediabilmente problemi di polizia». E le proteste di questi giorni «temo siano solo l’inizio». Ma la politica tace, e preferisce spedire in piazza la polizia – salvo poi magari prenderne le difese a posteriori, in modo ipocrita.
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Riformisti e moderati: barzellette, mentre l’Italia crolla
Berlusconi ormai irrilevante dopo vent’anni di regno, e con lui Bossi, D’Alema e Veltroni, nonché lo stesso Di Pietro e gli altri simboli di una stagione definitivamente sepolta, archeologica, lontana anni luce dal dramma che anche l’Italia sta cominciando a vivere: il conto della Grande Crisi, socialmente devastante, imposto dall’élite finanziaria europea attraverso il Rigor Montis sotto forma di Fiscal Compact e pareggio di bilancio. Come in un teatro dell’assurdo, i media ripropongono l’antico vocabolario dell’Ottocento: destra e sinistra, riformisti e moderati. Ruggisce Grillo, spaventando tutti e demolendo i rottami della vecchia casta, ma senza ancora entrare in tema: di chi è la responsabilità della catastrofe? Dei “ladri di polli” o di qualcuno molto più in alto di loro, così in alto da non correre il rischio di essere perseguito dalla magistratura di un paese un tempo libero e sovrano?
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Vendola si illude di riformare il montismo: dovrà obbedire
Non facciamoci illusioni: Nichi Vendola si limita a fingere di correggere “da sinistra” l’agenda Bersani-Monti, ma senza metterla davvero in discussione. Una semplice operazione cosmetica, visto che il leader di Sel – che con il Pd ha sottoscritto una carta d’intenti assolutamente vincolante – non osa toccare nessuno dei trattati-capestro che pregiudicano il nostro futuro, a cominciare dal Fiscal Compact e dalla tagliola del “pareggio di bilancio”. Quindi, per favore, non prendiamoci in giro: «Quella di Vendola, e di chiunque intenda essere “la sinistra del centrosinistra”, mi sembra una politica morta sul nascere». Parola di Giorgio Cremaschi, che risponde così alle video-domande di Jacopo Venier su “Libera.Tv”. Ovvero: che farà Vendola se le primarie le vince Bersani, e quindi l’alleanza con Casini che considera un totem l’agenda-Monti?
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De Magistris: alternativa, per mandare a casa Monti
Non mi interessano le primarie. Chiedo a Vendola, Di Pietro, Ferrero una scelta coraggiosa: rompere gli indugi per costruire un’alternativa al montismo e al liberismo. Successivamente aprire un confronto programmatico col Pd, col suo variegato popolo. Entro fine mese presenterò il manifesto del mio movimento arancione. Non sarà un partito ma un luogo di partecipazione, un movimento che tenterà di mettere in relazione le realtà presenti sui territori, dalle esperienze di economia dal basso alle lotte per i beni comuni. Farà politica e cercherà di coinvolgere i disillusi. Parlerà di contenuti e non di alleanze o tatticismi. Dialogherà coi partiti, sarà un plusvalore. A fine mese presenteremo il manifesto e a metà ottobre costruiremo a Napoli la prima iniziativa pubblica: mi interessa l’immagine del Quarto Stato, di un popolo in cammino per cambiare il Paese.
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Vendola si suicida col Pd? L’alternativa per l’Italia ringrazia
Un autogol pazzesco, tanto da mettere in subbuglio la base del partito – costretta a difendersi l’indifendibile – e a soqquadro gli esistenti equilibri politici nel centrosinistra. Da Napoli, Luigi De Magistris non si capacita di tale svolta e lo invita a ritornare sui suoi passi, intanto ad Antonio Di Pietro non pare vero e in una conferenza stampa organizzata d’urgenza si candida a premier di una sinistra alternativa alle destre, a Monti, al liberismo. A cui molto probabilmente confluiranno Federazione della Sinistra, Verdi, il soggetto Alba, la Fiom, la lista dei “sindaci” e soprattutto pezzi di società civile. A questo punto c’è una sola domanda da farsi: Nichi Vendola farà autocritica o il legame a filo doppio col Pd – e l’idea di governare – è più forte di qualsiasi cosa?
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Elezioni: da dove cominciare a cambiare il mondo
«Ho sempre sognato di cambiare il mondo; adesso ho capito da che parte cominciare». Trentanove anni, manager bancario appassionato di informatica. Finalmente, un italiano normale: dal 21 maggio 2012 è il nuovo sindaco di Parma. Al ballottaggio, ha clamorosamente stracciato il potente Pd emiliano grazie al pieno sostegno della città, stremata dalle malversazioni di una “casta” il cui disonore ha finito per travolgere, al di là dei suoi meriti, lo stesso antagonista, Bernazzoli, volto pulito della politica, esponente di spicco del Pd, sostenuto direttamente da Bersani. Il neo-sindaco “grillino” Federico Pizzarotti esordisce con un gesto perentorio: fermare il maxi-inceneritore già progettato, per dimostrare che cambiare tutto è davvero possibile, persino in un’Italia in cui l’arbitro supremo interviene a gamba tesa per tentare di squalificare un concorrente, truccare la gara e provare a salvare il carrozzone di una nomenklatura detestata, che ha consegnato il paese ai gelidi “macellai” di Bruxelles.