Archivio del Tag ‘Londra’
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Barnard: la Chiesa è marcia, con che faccia accusa Salvini?
La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.Nel 2014 il ministro delle finanze vaticane, cardinale George Pell, disse che «abbiamo scoperto centinaia di milioni di euro nascosti in conti dimenticati di cui non avevamo rendicontazione». E questi sono solo gli spiccioli di Papa Bergoglio. Secondo l’“International Business Times”, il Vaticano gestisce strumenti d’investimento per 6 miliardi di euro; ha 700 milioni investiti sulle Borse; tiene 20 milioni di dollari in oro alla Federal Reserve in Usa. Il gioielliere Bulgari a Londra paga l’affitto alla Chiesa di Roma in uno dei palazzi meglio prezzati del mondo a New Bond Street. L’investment bank Altium Capital idem, nella prestigiosa St James’s Square. Secondo il Consiglio d’Europa il merchant banker dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Aps), Paolo Mennini, nel 2012 da solo gestiva 680 milioni di euro per i cardinali, i quali solamente dallo Ior ricevono dividendi per 60 milioni annui. I valori delle proprietà immobiliari usate per profitto commerciale e speculativo dalla Santa Sede sono impossibili da calcolare, ma ecco un’idea: il “Sole 24 Ore” ha stimato che la sola ‘agenzia immobiliare’ vaticana chiamata Apsa, diretta fino al 2016 dal cardinale Domenico Calcagno, gestisce 10 miliardi di euro in immobili commerciali (esclusi quindi chiese, canoniche, seminari, ecc.) che, si ribadisce, è solo una vaga idea del totale in mano alla Santa Sede nel mondo.Allora, è accettabile che le “belle anime” cattoliche italiane, di cui l’innominabile catto-sinistra è pregna, si permettano di tuonare dalle pagine ad esempio di “Famiglia Cristiana” contro Salvini perché «ha mosso critiche al mondo cattolico che accoglie i migranti»? Accoglie i migranti? Ah, davvero? E come li accoglie? Con quanti denari concretamente sborsati fra i sopraccitati miliardi che tengono in speculazioni finanziarie e di Borsa? Può la Santa Sede mostrarci le cifre? In quanti immobili milionari che posseggono li hanno accolti, quanti sono stati allestiti per loro? Può la Santa Sede, che millanta di “accogliere”, fornirci le mappe? Ma con che inguardabile faccia questi ipocriti intimidiscono con l’abietta superstizione del senso di colpa il Salvini e i suoi elettori? Allora, Papa Bergoglio, prima di condannare i peccatori, veda di mettere le gabbane dei suoi preti, i miliardi delle vostre speculazioni e le migliaia di proprietà dove stanno le vostre parole. E se proprio dovete sdoganare la politica leghista sulla tragedia dei migranti come politica criminale contro gli innocenti – c he non è, perché al peggio è gretta insensibilità dettata da meschina ignoranza personale o da vere difficoltà economiche – ecco chi davvero ha fatto in epoca contemporanea una politica criminale di massa contro gli innocenti, col crocifisso al collo.Da un mio articolo di 2 anni fa: “Nel 2012 persino Jp Morgan ha dovuto prendere le distanze dallo Ior per sospetti di riciclaggio in armi. “Vatileaks”, scatenato da Gianluigi Nuzzi, già 3 anni fa rivelava il marciume criminale delle finanza vaticana. Mentre l’adorato Papa Francesco scalava in diligente silenzio i ranghi della Chiesa in Argentina, la P2 con lo Ior e Calvi erano i maggiori canali di forniture di missili Exocet proprio alla Giunta di Buenos Aires (30.000 morti), oltre ad armare criminali di massa e torturatori in Guatemala, Perù, Ecuador e Nicaragua. E scrive Vittorio Cotesta nel libro “Global Society, Cosmopolitanism and Human Rights”: «Uno dei maggiori obiettivi di questo network (Ior ecc.)… è di sostenere i golpisti che gli Stati Uniti e il Vaticano usano per schiacciare la Teologia della Liberazione». Papa Francesco ne fu complice ideologico e, in due casi, anche fisico fino al 2013”. Sono l’ultimo a sostenere Matteo Salvini in Italia, ma odio gli ipocriti. Creano molta più sofferenza dei razzisti, perché sono loro che al temine di epoche di disgustoso finto buonismo (vero, Pd?) tradiscono i popoli sui diritti fondamentali e li spingono all’aspetto più deteriore del populismo, quello di rabbia cieca e poi infine anche disumana.(Paolo Barnard, “La Chiesa condanna Salvini, ma con che faccia?”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2018).La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.
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Trump contro la Merkel, cioè l’ordoliberismo imposto all’Ue
Il “Washington Post” di Jeff Bezos, patron di Amazon, cioè «uno dei quotidiani che fanno da buca delle lettere al Deep State che non ama Donald Trump», ha puntualmente anticipato la notizia: il Pentagono studia l’ipotesi di ritirare dalla Germania i 35.000 soldati americani che vi sono dislocati, presenza che data dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. «I soliti portavoce hanno smentito, ma senza affannarsi», scrive Fulvio Scaglione su “Linkiesta”: sono studi, dicono ufficialmente, che si fanno con regolarità per verificare il rapporto costi-benefici degli investimenti della difesa. Quindi l’ipotesi è stata presa in esame, ed chiaro che anche solo parlarne è un fatto clamoroso, osserva Scaglione, specie se si pensa che Trump «ha accumulato un intero catalogo di attacchi alla Germania di Angela Merkel, dalle critiche sulle politiche migratorie (comprensive di pubblici apprezzamenti nei confronti di Horst Seehofer, il rivale della cancelliera) alle ironie sul tasso di criminalità, dalle pressioni perché venga mandato a monte il progetto del gasdotto South Stream 2 in arrivo dalla Russia (a favore, chiaro, del gas americano) ai dazi sulle esportazioni tedesche di acciaio e alluminio». Forse la Merkel “se l’era cercata”, «andando negli Usa a fare a Trump la predica sul Muro al confine con Messico, lei che aveva convinto l’Europa a sganciare sei miliardi di euro a Erdogan perché il Muro lo facesse la Turchia».Ma le “caramelle” che Trump ha messo sul tavolo dell’ultimo G7, unite alla firma negata al comunicato finale, sono state uno schiaffo. «Se poi fosse confermato il progetto di ritirare le truppe (e magari spostarle nella fedele Polonia, come si vocifera), capiremmo che Trump vuole anche ritirare la delega a garante del sistema euro-atlantico che la Germania storicamente detiene, un po’ come il Giappone la detiene in Asia», aggiunge Scaglione. Perché Trump ce l’ha con la Germania? Dalla Casa Bianca, scrive “Linkiesta”, si nota con evidenza che negli ultimi anni l’Unione Europea ha avuto una sola guida (quella tedesca) e una sola politica: quella decisa, o consentita, dalla Germania. Mortificare la Merkel, approfittando delle sue attuali difficoltà, significa mortificare tutta la gestione tecnocratica dell’orribile Ue. All’America, secondo Scaglione, possono dare fastidio – Cina e Russia a parte – solo le grandi coalizioni a forte impatto economico, come appunto l’Unione Europea. «In altre parole: stronchi la Germania e tagli la testa alla Ue». Trump denuncia lo scarso contributo che la Germania offre alle spese della Nato. Su Twitter ha scritto che la Germania «versa (lentamente) l’1% del proprio Pil alla Nato», mentre gli Usa versano il 4% di un Pil molto più grande. Il messaggio: «Proteggiamo l’Europa (il che è una buona cosa) al prezzo di un grande sforzo economico».E da questo a temere che Trump abbia in mente un ridimensionamento dell’impegno Usa nella Nato per alcuni il passo è breve, scriove Scaglione: soprattutto negli Usa, in quel complesso militar-industriale che condiziona in modo molto pesante la politica americana, arricchendosi con guerre e impegni militari. E siamo all’oggi: l’11 e 12 luglio Trump sarà a Bruxelles per il summit della Nato, il 13 sarà a Londra per incontrare Theresa May che organizza la Brexit e il 16 a Helsinki per vedersi con Vladimir Putin. «Un filotto che fa fibrillare molte cancellerie, e infatti già si agitano gli sherpa: ex ambasciatori, esperti e giornalisti impegnati a sottolineare quanto sarebbe rischioso, per l’Europa, se il criticone Trump, magari incautamente perché è uno sciocco, promettesse chissà che allo Zar». E allora, aggiunge Scaglione, «vai con il Russiagate e le bufale accluse, mentre ancora aspettiamo le famose chiarissime prove dell’avvelenamento col gas nervino “made in Russia” di Skripal padre e figlia».È chiaro, chiosa “Linkiesta”: se produci carri armati e bombardieri, ti fa comodo annunciare un giorno sì e uno no che il nemico è alle porte. Ma i governi di Francia, Germania, Italia e Spagna credono davvero che l’Armata Rossa aspetti solo il momento di marciare verso Ovest? E che non ci sarebbero stati Trump, Brexit, Catalogna e governo gialloverde in Italia se gli hacker russi non avessero digitato come pazzi? Quello che la Ue non riesce a capire, sostiene Scaglione, è che siamo entrati in un mondo nuovo: «La vecchia idea che tutti insieme si commercia, si guadagna e si sorride è morta con la crisi finanziaria del 2008. E l’idea, ancor più vecchia, che basta nascondersi sotto le gonne dello Zio Sam, delle sue rivoluzioni colorate e dei suoi convenienti cambi di regime, è morta in Ucraina e in Siria». Beninteso: «Non è Trump che ha cambiato il mondo, è il mondo cambiato che ha fatto arrivare lui alla Casa Bianca. La Ue è un nano politico anche perché non vuole accettarlo. E prima di decidere alcunché si chiede “ma questo piacerà o non piacerà a Putin?”, mentre il suo vero problema è quel che piace o non piace a Trump».Il “Washington Post” di Jeff Bezos, patron di Amazon, cioè «uno dei quotidiani che fanno da buca delle lettere al Deep State che non ama Donald Trump», ha puntualmente anticipato la notizia: il Pentagono studia l’ipotesi di ritirare dalla Germania i 35.000 soldati americani che vi sono dislocati, presenza che data dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. «I soliti portavoce hanno smentito, ma senza affannarsi», scrive Fulvio Scaglione su “Linkiesta”: sono studi, dicono ufficialmente, che si fanno con regolarità per verificare il rapporto costi-benefici degli investimenti della difesa. Quindi l’ipotesi è stata presa in esame, ed chiaro che anche solo parlarne è un fatto clamoroso, osserva Scaglione, specie se si pensa che Trump «ha accumulato un intero catalogo di attacchi alla Germania di Angela Merkel, dalle critiche sulle politiche migratorie (comprensive di pubblici apprezzamenti nei confronti di Horst Seehofer, il rivale della cancelliera) alle ironie sul tasso di criminalità, dalle pressioni perché venga mandato a monte il progetto del gasdotto South Stream 2 in arrivo dalla Russia (a favore, chiaro, del gas americano) ai dazi sulle esportazioni tedesche di acciaio e alluminio». Forse la Merkel “se l’era cercata”, «andando negli Usa a fare a Trump la predica sul Muro al confine con Messico, lei che aveva convinto l’Europa a sganciare sei miliardi di euro a Erdogan perché il Muro lo facesse la Turchia».
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Cabras: l’Era dell’Aquarius e l’ipocrisia dei Buonisti Mannari
È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.Quel che è in atto è “solo” un braccio di ferro politico sulla destinazione di questo segmento del viaggio. Come ogni questione politica, la decisione è da ritenersi un argomento controverso, ma quel che è certo è che non sussiste una minaccia diretta e grave all’esistenza delle persone che stanno dentro l’Aquarius. Chi definisce la decisione del governo (che nega l’approdo in porti italiani della nave proveniente dalle acque libiche) come un’operazione spietata di gente “senza cuore”, e invita nel frattempo a guardare in faccia “gli occhi dei bambini”, punta a un importante lato emotivo che tuttavia è fuorviante se si considera che non è affatto in questione il loro salvataggio, bensì la forma che assumerà la loro accoglienza e le decisioni su chi abbia diritto a restare. Le forze politiche che hanno composto la maggioranza parlamentare e firmato il “Contratto di governo” condividono questi elementi essenziali in materia di migrazioni: il sistema di accoglienza deve essere autenticamente europeo, non nazionale; chi richiede asilo deve farlo direttamente dai paesi di provenienza o transito e chi ne ha diritto, direttamente da lì, deve essere già ripartito obbligatoriamente presso i 27 Stati membri dell’Unione europea e quindi integrato negli stessi.Un problema gigantesco come le migrazioni contemporanee, in particolare nelle sue forme irregolari e illegali, non deve essere gestito solo dalla Repubblica Italiana intanto che gli altri membri della Ue blindano da decenni le frontiere e i porti, inclusi quelli retti da governi sedicenti “progressisti”. Veltroni in questi giorni ha paventato un ritorno agli anni trenta, ma ha dimenticato cosa faceva il suo governo negli anni novanta. Proprio mentre dal centrosinistra si urla alla disumanità del caso Aquarius, possiamo compulsare pagine ancora non sbiadite delle azioni di governo di quella parte, come il blocco navale anti immigrazione deciso dal governo Prodi, con “disposizioni rigide sul respingimento” in mare degli albanesi. Nell’album di famiglia della sinistra italiana c’è un’iniziativa molto più drastica di quel che accade oggi. Certo, non lo ricorda il solito Roberto Saviano, quando intima al ministro dei trasporti di aprire i porti e twitta: «#umanitàperta #apriteiporti #Aquarius». È lo stesso Saviano che non fa una piega su come Israele gestisce le questioni di #umanitàaperta alle sue frontiere e su come bombarda i porticcioli dei pescatori palestinesi. Omissioni umanitarie.In questo quadro mi colpisce un’osservazione del giornalista Sebastiano Caputo, che chiama in causa una delle critiche rivolte alla chiusura dei porti, ossia il fatto che si concentri sui soggetti più deboli. Dice Caputo che chiudere i porti «è un atto politico, non razzista, che mira a fermare questa orrenda tratta di esseri umani. Ora però aspettiamo da Matteo Salvini, e dai suoi colleghi al governo, un gesto altrettanto forte quando i vertici della Nato ci chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare paesi sovrani e appoggiare guerre “umanitarie” che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. Forti coi forti, senza doppi standard». Le risposte sono scritte nel futuro, e dovranno contrastare le pressioni di quelle stesse parti politiche che oggi ci accusano di razzismo ma si sono schierate con tutte le guerre imperialistiche che hanno devastato Africa e Asia negli ultimi venticinque anni. Non mi è congeniale la postura mediatica di Salvini su questa materia, troppo attenta al possibile risvolto elettorale, come d’altro canto, sul fronte opposto, lo è quella del sindaco di Napoli De Magistris. Tuttavia le cose vanno viste nell’insieme, senza pregiudizi, e senza sconti per i signori delle pagliuzze e delle travi.Faccio un esempio che sconcerterà qualche lettore. Ricordo di aver assistito a un dibattito in Tv del 2011, quando si stava per fare la guerra alla Libia. Sino a quel giorno Salvini lo conoscevo solo di viso, non lo avevo mai seguito in un confronto. Praticamente vinse a mani basse su esponenti della sinistra che si spendevano per la guerra a Gheddafi, ai quali diceva in sostanza: “Ma vi rendete conto che, devastando questo paese, oltre a fare decine di migliaia di morti, causerete una catastrofe migratoria dai costi umani esagerati?”. E concluse con “Povera sinistra, come si è ridotta, povera sinistra”. Mi colpì moltissimo perché aveva ragionato e concluso con lucidità prevedendo gli esiti di quel disastro criminale, al quale la sinistra si consegnò totalmente, in parte complicemente e in parte stupidamente. Ricordo l’odio sparso dagli organi di informazione vicini alla sinistra: una totale demonizzazione di Gheddafi, una campagna isterica e guerrafondaia, un delirio che accompagnava le stragi, lo sterminio dei dirigenti dello Stato libico, la distruzione dei potabilizzatori e delle infrastrutture, e infine l’espulsione di due milioni di africani che lavoravano in Libia. Non mi piace il frasario del Salvini di oggi, lo ribadisco, ma la sinistra è ancora incapace di un’autocritica sulle sue grandi colpe storiche di anni recenti, non imputabili a Salvini.Le classi dirigenti francesi e britanniche negli ultimi sette anni hanno scatenato guerre che oltre ai lutti e oltre alla distruzione di interi Stati con cui noi avevamo relazioni convenienti, hanno provocato un drastico peggioramento nella gestione dei flussi migratori, e ora dicono che gestirli non è affar loro ma solo affar nostro. Non siamo di fronte a casuale o banale egoismo. Stanno invece ridisegnando la gerarchia europea, trasformando il fianco sud dell’Europa in un mondo troppo debole per farsi valere, troppo ripiegato sui suoi problemi per esigere che più a nord si paghi il prezzo delle spietate politiche di potenza. Le classi dirigenti di Parigi e Londra hanno scelto cosa voler fare dell’Italia: il paraurti per le tragedie della globalizzazione; così come a Francoforte, Bruxelles e Berlino avevano deciso cosa fare della Grecia: il laboratorio dove sperimentare la futura ‘mezzogiornificazione’ di mezza Europa. È l’autodemolizione del sogno europeo in vista di un ordine che toglie già, ancora una volta, il velo che nascondeva ciò che non è mai venuto meno: i soliti brutali rapporti di forza guidati dalle grandi capitali dei grandi capitali. In questa particolare congiuntura è giusto richiamare l’Europa ai suoi doveri, in tempi rapidi. L’estate è lunga.(Pino Cabras, “L’era dell’Aquarius”, dal blog “Vietato Parlare” dell’11 giugno 2018. L’intervento è ripreso dalla pagina Facebook di Cabras, neo-deputato 5 Stelle).È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.
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Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison?
Probabilmente ci sarebbero un milione di posti lavoro in più in Italia, se non fosse stata “suicidata” la Montedison di Raul Gardini. Era il primo gruppo industriale privato italiano, ricorda Mitt Dolcino: la Fiat, all’epoca, era ben lontana dalle vette dei grandi gruppi di Stato come Eni, Stet (Telecom), Enel e forse la stessa Sme (agroindustriale). «Oggi che si è insediato il primo governo eletto non a seguito di influenze esterne – inclusa l’ingerenza della magistratura (ossia Tangentopoli) – dobbiamo ragionare freddamente su cosa successe veramente con Raul Gardini», scrive Dolcino su “Scenari Economici”. «La situazione oggi è talmente grave che qui ci giochiamo l’italianità». Infatti non è un caso – aggiunge l’analista – che Montedison alla fine fu conquistata e spolpata proprio dai francesi, guardacaso gli stessi che, secondo il giudice Rosario Priore, attentarono alla sovranità italiana durante “l’incidente” di Ustica, e che oggi «sembrano distribuire la Legion d’Onore ad ogni notabile italiano che va contro gli interessi del Belpaese». Caduto il Muro di Berlino, di fatto, l’Italia perse la protezione degli Usa. «E l’Europa, la stessa che oggi ci bastona, organizzò il banchetto dato dalle privatizzazioni italiane a saldo (con Draghi, che casualmente fece una fulgida carriera, ad organizzare il piano sul Britannia)».
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Il Papa con le Sette Sorelle. E manda Parolin al Bilderberg
Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpreando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.All’incontro promosso da Bergoglio ci sarà Fink, cioè il capo del più grande fondo d’investimento del pianeta: un patrimonio gestito di 6,3 trilioni di dollari, conferma il “Corriere della Sera”, pari al Pil di Francia e Spagna messe insieme, quasi tre volte il nostro debito pubblico. La “roccia nera” deve la sua fortuna alla gestione patrimoniale: fondi pensione, banche, Stati. E’ anche il primo investitore straniero in Europa (e in Italia), azionista di peso in Deutsche Bank, Intesa SanPaolo, Bnp e Ing, senza contare altri settori chiave come energia, chimica, trasporti, agroalimentare, aeronautica e immobiliare. Il mega-fondo, scrive il “Fatto Quotidiano”, ha messo gli occhi sul business dei sistemi pensionistici europei non ancora privatizzati: «Spinge la Commissione Ue a varare un piano di previdenza privata, poi gestisce il primo progetto pilota». Notare: BlackRock ha immediatamente dato un giudizio “negativo” sul nuovo governo italiano, provocando l’impennata dello spread favorita dalla Bce e poi subito frenata da Jp Morgan e Citigroup, colossi finanziari ritenuti più vicini a Trump, che ha schierato in Italia il fido Steve Bannon per aiutare Conte (e Savona) a superare lo “scoglio” Mattarella.Gli altri invitati da Bergoglio nel “privato conciliabolo”, aggiunge Blondet, sono Bob Dudley, numero uno della British Petroleum (fatturato, 240 miliardi di dollari) nonché Darren Woods di Exxon Mobil. «Incidentalmente, sono le due compagnie più inquinatrici della storia», scrive Blondet, avendo la Bp accettato di pagare 1,8miliardi di dollari per uno sversamento-monstre nel Golfo del Messico nel 2010, che ha distrutto l’attività della pesca in quel vasto tratto. «E della Exxon si ricorda il disastro della superpetroliera Exxon Valdez, 1989, che ha inquinato il mare dell’Alaska». Ma non è tutto: “El Papa” voleva riunirsi anche con Ben Van Beurden della Royal Dutch Shell” (che ha declinato), mentre ci sarà Eldar Sætre di Equinor, la petrolifera privatizzata parzialmente posseduta dal governo norvegese, e con lui lord John Browne, oggi presidente esecutivo della petrolifera L1 Energy. «E non mancherà – come poteva? – Ernest Moniz, già segretario all’energia sotto l’allora presidente Obama». Secondo Blondet, notoriamente critico verso Papa Francesco, la presenza di Moniz è la conferma del fatto che Bergoglio «è uno strumento volontario e attivista (un “asset”, dicono alla Cia) della multiforme strategia dell’asse Clinton-Obama».Secondo Blondet, Papa Francesco – in accordo con clintoniani e obamiani – vorrebbe «depurare la Chiesa degli aspetti sacramentali e soprannaturalistici che ne impediscono la “fusione-acquisizione” col protestantesimo». Una fusione che produrrebbe «un “cristianesimo generico” funzionale all’ideologia globalista: umanitaria (nel senso degli “interventi umanitari”), moralistica (no alla “corruzione dei politici” – Mani Pulite nel Mondo, come propone il cardinal Maradiaga, braccio destro di Francesco), climatica e ambientalista». In altre parole, sempre secondo Blondet, la Chiesa verrebbe trasformata in una sorta di «super-Ong “umanitaria” dedita alla salvezza del pianeta e protettrice delle immigrazioni di massa pianificate, contro la sovranità di ogni Stato». Dalle scarne notizie filtrate, aggiunge Blondet, si apprende che a Roma i petrolieri non parleranno con Francesco solo di clima, ma anche di investimenti: «Il Papa, BlackRock e le grandi compagnie petrolifere si stanno sempre più concentrando sul cambiamento climatico», recita un comunicato ufficiale, «in quanto fonti di energia più pulite sono diventate più competitive, e la pressione del pubblico su questa tema sta crescendo».Capito? Il primo fondo d’investimento del mondo – scrive Blondet – è pronto a saltare sulle energie alternative insieme alle Sette Sorelle, perché stanno diventando “competitive” sul piano economico, attraenti per i capitali liquidi americani. Questo richiede investimenti enormi di riconversione delle mega-infrastrutture, e un cambio di paradigma fra le popolazioni, «ossia una grande operazione di psico-propaganda che bolli l’uso del petrolio come immorale verso il pianeta». Dunque, dice ancora Blondet, gli investitori «devono assicurarsi che l’autorità morale per eccellenza faccia parte del piano, collabori con le Finestre di Overton che lorsignori apriranno, e cominci a predicare per le energie “pulite” (o sedicenti tali) e anatemizzare le “inquinanti” (o cosiddette: si veda l’improvvisa campagna occidentale conto il motore diesel)». A Francesco – chiosa Blondet, sacrastico – sarà richiesto di aggiungere alla lista dei Dieci Comandamenti anche il “peccato capitale” dell’uso di energie su cui gli investitori “amici” avranno smesso di investire?A organizzare gli incontri è stata l’università di Notre Dame dell’Indiana, la cui “business school” sta promuovendo una “climate investing iniziative”, che Blondet definisce «una iniziativa di investimento sul terrorismo climatico». Il direttore della business school, Leo Burke, non ha voluto commentare la riunione papale di cui pare essere stato il manovratore: con un’email, ha ricordato a Blondet che ogni incontro sull’energia che implica il Vaticano sarà un dialogo privato con gli invitati. «Esattamente la risposta che dà, da sempre, l’ufficio stampa del Bilderberg». Un portavoce Exxon ha invece risposto: la compagnia «spera che questo tipo di dialogo svilupperà soluzioni per la doppia sfida: gestire il rischio del cambiamento climatico e contemporaneamente soddisfare la domanda crescente di energia, che è essenziale per alleviare la povertà e migliorare gli standard di vita nel mondo in via di sviluppo». Ancora Blondet, ironico: «A tutti è nota l’ansia di Exxon per alleviare la povertà nel Terzo Mondo».Papa Francesco spedisce a Torino alla riunione del Bilderberg il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, mentre – negli stessi giorni, il 6-7 giugno – promuove a Roma un inedito summit con le Sette Sorelle e alcuni super-boss della finanza globale, come Larry Fink del fondo BlackRock. Maurizio Blondet lo definisce «improvviso interesse della centrali globaliste per l’Italia». La notizia: rispondono all’appello del pontefice i capi supremi delle multinazionali del greggio, insieme alle loro finanziarie ausiliarie transnazionali. L’incontro è ovviamente a porte chiuse, come quello quello del Bilderberg, al quale sono invitati Lilli Gruber, Lucio Caracciolo di “Limes” e l’economista Alberto Alesina di Harvard, insieme ad Elena Cattaneo dell’ateneo milanese, Vittorio Colao di Vodafone, Mariana Mazzuccato dell’University College di Londra e il solito John Elkann. Ma l’incontro tra Francesco e i petrolieri? Come mai il Papa delle periferie e dell’accoglienza verso i migranti «si riunisce in privato coi più potenti capitalisti e miliardari globalisti, ossia attivi promotori delle feroci iniquità del capitalismo terminale? “Chiedetelo a loro”, vien voglia di dire, parafrasando lo slogan dell’8 per Mille», scrive Blondet sul suo blog, interpretando come un pretesto il tema dichiarato del vertice: l’emergenza climatica, dopo il ritiro di Trump dagli accordi sulle emissioni climalteranti.
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Telegraph: l’Ue non si illuda, la sfida italiana comincia oggi
Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».Mentre sostiene che «non ha senso» uscire dall’euro, Giovanni Tria dice anche che è insensato insistere con la moneta unica se i leader dell’Ue si rifiutano di renderla praticabile, scrive Evans-Pritchard in un articolo tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il vero rischio per l’unione monetaria «è l’implosione, piuttosto che l’uscita». Per ora i mercati finanziari stanno reagendo in modo euforico all’accordo in extremis fra i partiti “ribelli” e il presidente Sergio Mattarella, finito nella bufera per il veto su Savona. L’accordo raggiunto (su pressione Usa, a quanto pare) evita la prospettiva di una protesta politica di massa «contro un “governo tecnico” che nessuno ha eletto, seguito da un voto in tempi rapidi che avrebbe probabilmente portato alla vittoria schiacciante dei due gruppi “ribelli” e alla distruzione totale del centro politico italiano». Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, avverte che discesa dello spread potrebbe essere una falso indizio: Codogno «teme una lunga guerra di trincea tra il governo “ribelle” e il presidente Mattarella, sull’Europa e sulla disciplina fiscale». A sua volta, per Silvia Ardagna (Goldman Sachs) l’esuberanza del mercato è «fuori luogo». La Ardagna pensa che «i lunghi mesi di confronto sulle regole di spesa riapriranno la questione dell’Italexit e del futuro dell’euro».Le proposte della coalizione guidata da Conte, ricorda Evans-Pritchard, ammontano ad un allentamento di bilancio pari al 6% del Pil. E quindi «sono fondamentalmente incompatibili con l’attuale architettura monetaria, d’ispirazione tedesca». Il “contratto” di governo comprende infatti Flat Tax e reddito di cittadinanza, nonché un costoso rinnovo della riforma Fornero delle pensioni e l’inversione dell’aumento dell’Iva. Se ne occuperà in primis proprio Giovanni Tria, «da sempre un fustigatore del mercantilismo tedesco». Il nuovo ministro dell’economia, spiega Evans-Pritchard, sostiene che Berlino abbia effettivamente usato l’Unione Monetaria per garantirsi un vantaggio competitivo strutturale, che ha portato a un permanente e illegale avanzo di conto corrente [bilancio delle partite correnti] pari all’8,5% del Pil, a scapito dei partner dell’Eurozona. Il meccanismo di autocorrezione è bloccato, e gli Stati debitori del Sud Europa sono intrappolati in un circolo vizioso. Il presunto rimedio della svalutazione interna per recuperare redditività porta a una distorsione di tipo restrittivo [decrescita] per l’Eurozona nel suo complesso e ha una fatale contraddizione: soffoca il Pil nominale di quelle economie che sono già in difficoltà e distorce ulteriormente la traiettoria del debito. Alla lunga, è sicuramente autodistruttivo.Nel saggio “Ripensare il tabù della monetizzazione dei disavanzi per salvare l’euro”, il professor Tria scrive che il tentativo di ripristinare la sostenibilità del debito attraverso l’austerità è fallito: «L’unica via d’uscita è un forte stimolo fiscale per aumentare la domanda e colmare il divario di produttività, accompagnato da condizionati e temporanei finanziamenti monetari a livello europeo». Negli ambienti delle banche centrali, osserva Evans-Pritchard, questa politica è conosciuta come “helicopter money”, ed è un anatema per la Bundesbank e per la cultura ordoliberista tedesca. «Il saggio attinge pesantemente al lavoro del britannico Adair Turner, un campione a livello globale del finanziamento monetario e controllato dei deficit, per i paesi caduti in una trappola di liquidità». Che il professor Tria e l’alleanza Lega-M5S stiano attivamente spingendo per l’Italexit – o “Libertalia”, come alcuni preferiscono dire – è una discussione finanche oziosa, scrive l’analuista inglese. «Entrambi accettano che in Italia un referendum sull’euro sia incostituzionale. Ma, avendo ben studiato ogni aspetto del fiasco in Grecia, sono passati a tattiche più sottili. Stanno preparando delle soluzioni per minare l’Unione Monetaria dall’interno, se l’Ue rifiutasse di accettare il fatto compiuto dei loro piani di bilancio». Il che sarebbe «un ricatto», secondo Clemens Fuest, direttore dell’istituto tedesco Ifo.Il piano Lega-M5S per la creazione di una valuta parallela, i Minibot, è ancora nel “contratto” per il governo. «La proto-lira può essere attivata in qualsiasi momento come mezzo di autodifesa qualora la Bce aumentasse la posta, limitando la liquidità del sistema bancario italiano o ricorrendo al pretesto delle garanzie collaterali per fermare il roll-over [rinnovo] dei titoli obbligazionari italiani». Il momento in cui il governo Conte emetterà questa valuta parallela «sarà quello della fine dell’euro», avverte il professor Costas Lapavitsas dell’università di Londra. Gli ottimisti pro-Europa hanno interpretato il consenso sui ministri da parte di Mattarella come un passo indietro della Lega e dei 5 Stelle, «ma potrebbe anche essere visto come una dissimulata marcia indietro dello stesso presidente, un residuo non eletto della “vecchia casta”, che stava operando in una zona grigia della sua autorità costituzionale», scrive Evans-Pritchard. «Si era ben presto reso conto, dalle reazioni viscerali che aveva causato, che stava giocando con il fuoco. Prima mettendo il veto al professor Savona e poi cercando d’imporre un regime tecnocratico privo del sostegno del Parlamento, impegnato in politiche espressamente rifiutate a marzo dalla grande maggioranza degli elettori italiani. Come ha detto Savona in una e-mail che è trapelata, il presidente non capiva che la nazione era “in ribellione”. Ma ora senz’altro l’ha capito».Per l’analista inglese, resta comunque «una strana ingenuità, fra gli insider dell’Ue e gli investitori stranieri, sull’identità politica dei ribelli Lega-Grillini». Pensano che Giancarlo Giorgetti sia un lealista pro-euro? Lo scorso settembre, in televisione, spiegava perché l’Italia dovrebbe abbandonare la moneta unica, «per evitare di essere ridotta a un deindustrializzato guscio vuoto». Lo stesso Di Maio, a dicembre, aveva accusato l’austerità imposta dalla Merkel per la chiusura di 573 aziende al giorno nel Sud. «Se non ci liberiamo dell’euro il Mezzogiorno italiano, diventerà una terra desolata e spopolata». Secondo Evans-Pritchard, «è un’ipotesi molto coraggiosa scommettere che l’alleanza Lega-grillini possa cambiare, come ha fatto Syriza in Grecia, abbandonando le sue fondamentali promesse elettorali per mantenere l’Italia nell’euro. L’Ue dovrebbe poterli incontrare a metà strada, se vuole evitare il disastro, accettando la fine del Fiscal Compact. Ma se lo fa – aggiunge il notista del “Telegraph” – rischia di perdere il consenso politico tedesco per il progetto dell’euro». Un gruppo di 154 economisti tedeschi avverte che la scivolata dell’Eurozona verso una “unione del debito” sta minando i poteri di bilancio del Bundestag e costituisce una crescente minaccia per la democrazia tedesca. L’Istituto Ifo vuole un meccanismo legale per permettere ad un qualsiasi paese di lasciare l’euro: e il presupposto è che la stessa Germania possa averne bisogno. «Se l’Ue consente agli italiani di fare ciò che vogliono sulla spesa, i tedeschi non lo accetteranno», prevede Lapavitsas: «L’euro morirebbe comunque, ma in un modo diverso. Sarebbe solo una morte più lenta».Prepariamoci: al di là dei sorrisi e dello strano “ottimismo dei mercati”, la vera battaglia comincia solo adesso. Da una parte il governo “gialloverde”, costretto ad allentare l’austerity Ue per attuare il suo programma, e dall’altra il Quirinale, probabilissimo “custode” dello staus quo fondato sul rigore euro-tedesco. Lo sostiene sul “Telegraph” l’inglese Ambrose Evans-Pritchard, eminente analista politico-finanziario e attento osservatore della crisi italiana, vera propria cartina di tornasole dello stato di coma politico ed economico dell’Unione Europea. Il nuovo ministro dell’ecomomia, Giovanni Tria, «è un sostenitore della reflazione fiscale e dello stampare moneta per salvare gli Stati europei con un alto debito, fatto che lo porterà su una rotta di collisione con le élite politiche di Bruxelles e della Germania», afferma Pritchard. «Dopo settimane di politica che si potrebbe definire di rischio calcolato, il radicale M5S e i nazionalisti della Lega sono riusciti in gran parte a imporre la loro scelta euroscettica all’establishment politico italiano». Il professor Tria? «E’ un critico moderato ma tenace del Fiscal Compact, imposto dall’Eurozona e dall’apparato dell’Emu per accentuare l’austerità e deflazionare il debito». La sue idee in economia «potrebbero rivelarsi altrettanto minacciose, per Berlino e il regime politico dell’euro, di quelle del precedente candidato bloccato dal veto presidenziale, Paolo Savona», anche se Tria «non parla apertamente di “Piano B” per lasciare l’euro né definisce l’Unione Monetaria una “gabbia tedesca”».
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Il Telegraph: l’euro-golpe sta mettendo in pericolo l’Italia
Le élite italiane favorevoli all’euro si sono spinte troppo in avanti. Il presidente Sergio Mattarella ha creato lo straordinario precedente che nessun movimento politico, o coalizione di partiti, potrà mai prendere il potere se sfida l’ortodossia dell’Unione Monetaria. Senza rendersene conto, ha inquadrato gli eventi come se fossero una battaglia tra il popolo italiano e un’eterna “casta” fedele ad interessi stranieri, facendo il gioco dei ribelli grillini e dei nazionalisti antieuro della Lega. Per giustificare il suo veto all’euroscetticismo ha incautamente invocato lo spettro dei mercati finanziari ma, nell’insieme, le sue azioni hanno reso la situazione infinitamente peggiore. Lo spread sulle obbligazioni italiane a 10 anni è salito di quasi 30 punti base, fino al massimo di 235 (lunedì), quando gli investitori si sono resi conto delle terribili implicazioni dello spasmo costituzionale: una crisi che durerà tutta l’estate e che potrà concludersi solo con nuove elezioni, che non risolveranno nulla. Negli ultimi giorni si è fatto molto per ridurre il calo delle azioni bancarie, ma queste stanno ora cedendo in modo ancora più forte. Banca Generali è scesa del 7,2% e Unicredit del 5%.Che si tratti o meno di un “morbido colpo di Stato”, il territorio resta comunque assai pericoloso. Il presidente Mattarella ha apertamente dichiarato di non poter accettare come ministro delle finanze Paolo Savona, perché le sue passate critiche alla moneta unica “potrebbero provocare l’uscita dell’Italia dall’euro” e portare ad una crisi finanziaria. In un certo senso questo veto poteva essere previsto. Anche il governo Berlusconi fu rovesciato nel 2011 da Bruxelles e dalla Banca Centrale Europea. Qualche “informatore” ha rivelato di aver manipolato gli spread sui bond per poter esercitare la massima pressione. L’Ue aveva persino provato a reclutare Washington, che però si rifiutò d’intervenire. «Non possiamo sporcare di sangue le nostre mani», dichiarò il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Tim Geithner. La novità è che la santità dell’euro dovrebbe amaramente essere formalizzata come imperativo costituzionale italiano!«Abbiamo un problema di democrazia, perché gli italiani sono sovrani e non possono essere governati dallo spread», ha detto Matteo Salvini, l’uomo forte della Lega, in forte ascesa. «È una questione molto seria il fatto che Mattarella abbia scelto i mercati e le regole dell’Unione Europea invece degli interessi del popolo italiano». «Perché non diciamo semplicemente che in questo paese il voto è inutile, visto che sono le agenzie di rating e le lobby finanziarie a decidere i governi?», ha dichiarato Luigi di Maio, leader del Movimento Cinque Stelle. La Costituzione italiana concede al presidente Mattarella alcuni poteri, per lo più non sperimentati e comunque posti in una zona grigia. Potrebbe anche sostenere che il blitz fiscale Lega-Grillini violi l’art. 80 della Costituzione e che comunque egli ha il dovere di salvaguardare i trattati dell’Ue. Tuttavia, non ha alcun mandato diretto conferito dal popolo. Egli fu scelto come compromesso di basso profilo nell’ambito di un accordo preso dietro le quinte. Non ha l’autorità per bloccare in eterno l’Italia nell’euro.L’onorevole Di Maio sta ora facendo richiesta d’impeachment, ai sensi dell’articolo 90. «Voglio che il presidente sia processato, voglio che questa crisi istituzionale venga risolta dal Parlamento per evitare che il malcontento popolare sfugga di mano», ha dichiarato. I ribelli, in effetti, hanno voti sufficienti per poterlo rimuovere. Ciò che è degno di nota è che le élite pro-euro hanno agito in modo veramente rozzo, spingendo la situazione verso un’impasse pericolosa. Il ministro delle finanze proposto, Paolo Savona, non è un testa calda. E’ stato funzionario della Banca d’Italia, ministro e presidente di Confindustria, oltre che direttore di un hedge-fund londinese. Aveva fatto dichiarazioni concilianti, lasciando cadere la suggestione che l’euro sia una “gabbia tedesca”. Aveva insistito sul fatto che il suo “Piano B” per uscire dalla moneta unica (2015) non era più operativo e che il suo vero obiettivo era tornare ad un euro più equo, radicato nell’art. 3 del Trattato di Lisbona, che prevede crescita economica, creazione di posti di lavoro e solidarietà. Le sue argomentazioni legali erano impeccabili.Con un po’ di furbizia, i “poteri forti” e i “mandarini” italiani avrebbero potuto collaborare con il signor Savona e trovare un modo per attenuare le posizioni della Lega e dei grillini. La spinta ad escluderlo del tutto – per cercare di soffocare la ribellione euroscettica, come avevano già fatto con Syriza in Grecia – proveniva da Berlino, Bruxelles e dalla struttura di potere dell’Ue. Il tempo dirà se hanno preso una cantonata, cadendo in una trappola. «In un certo senso sono molto felice perché abbiamo finalmente sgombrato il tavolo dalle str…ate», ha dichiarato Claudio Borghi, portavoce per l’economia della Lega. «Ora sappiamo che si tratta di una scelta fra democrazia e spread. Devi giurare fedeltà al dio dell’euro per poter avere una vita politica, in Italia. E’ peggio di una religione. Quello che stiamo vedendo costituisce il problema fondamentale dell’Eurozona: non si può avere un governo che dispiaccia ai mercati o al ‘club dello spread’, la Bce e l’Eurogruppo li utilizzerebbero per annientare la vostra economia. Siete molto fortunati, nel Regno Unito, perché vivete ancora in un paese libero», ha aggiunto.Il presidente Mattarella ha scelto Carlo Cottarelli – veterano del Fmi e simbolo d’austerità – per formare un governo tecnico. Questo tentativo disperato non ha alcuna possibilità di ottenere un voto di fiducia nel Parlamento italiano. Sopravviverà in un limbo costituzionale. «È incredibile che stiano comunque cercando di farlo. Porterà a rivolte e a proteste politiche di massa. Alla stragrande maggioranza degli italiani non gliene frega niente dello spread», ha concluso Borghi. Il calcolo di coloro che circondano il presidente è che gli italiani da loro umiliati, davanti all’abisso finanziario e politico, possano cambiare idea e rinunciare all’insurrezione. La scommessa è che l’attrito politico possa ridisegnare il paesaggio entro ottobre, considerato il mese più probabile per un nuovo voto. Questo gioco può anche riuscire, ma è in ogni caso una supposizione pericolosa.La Lega di Matteo Salvini ha già guadagnato otto punti nei sondaggi, dopo le ultime elezioni. Si è impadronita degli eventi delle ultime 24 ore per capitalizzare l’umore nazionalista, come Gabriele d’Annunzio a Fiume nel 1919. «Non saremo mai servi e schiavi dell’Europa», ha detto Salvini. Ha già proclamato che il prossimo voto sarà un plebiscito sulla sovranità italiana e un atto di resistenza nazionale contro «Merkel, Macron e i mercati finanziari». Ma c’è un altro pericolo. La fuga di capitali ha una sua logica implacabile. È visibile nel crescente tasso di cambio con il franco svizzero. Esiste il rischio che i flussi in uscita accelerino e spingano gli squilibri interni Target2 della Bce verso il punto di rottura. I crediti Target2 della Bundesbank tedesca sono già a 923 miliardi di euro. È probabile che arriveranno ad 1 trilione di euro in breve tempo, provocando forti richieste da parte di Berlino perché siano congelati.L’Istituto Ifo, in Germania, ha già avvertito che devono esserci dei limiti. Ma qualsiasi mossa per limitare i flussi di liquidità significherebbe che la Germania è vicina a staccare la spina dell’Unione Monetaria e questo scatenerebbe un’inarrestabile reazione a catena. Il signor Mattarella affronterà un’estate estenuante. Rischia di andare a sbattere, fra quattro mesi, con la stessa alleanza Lega-Grillini, ma con una maggioranza ancora più ampia e un fragoroso mandato a favore del loro “governo del cambiamento”. Potrebbe seguire la strada del presidente legittimista francese Patrice de MacMahon che, sotto la Terza Repubblica, tentò d’imporre il suo “ordine morale” ad un’ostile Camera dei Deputati, negli anni ‘70 dell’Ottocento, invocando i suoi teorici poteri. Il tentativo fallì. Il Parlamento lo affrontò presentandogli un ultimatum: “Sottomettersi o dimettersi”. Prevalse la democrazia.(Ambrose Evans-Pritchard, “Il colpo di Stato europeo contro l’Italia segna uno spartiacque”, dal “Telegraph” del 28 maggio 2018; articolo tradotto da “Franco” per “Come Don Chisciotte”).Le élite italiane favorevoli all’euro si sono spinte troppo in avanti. Il presidente Sergio Mattarella ha creato lo straordinario precedente che nessun movimento politico, o coalizione di partiti, potrà mai prendere il potere se sfida l’ortodossia dell’Unione Monetaria. Senza rendersene conto, ha inquadrato gli eventi come se fossero una battaglia tra il popolo italiano e un’eterna “casta” fedele ad interessi stranieri, facendo il gioco dei ribelli grillini e dei nazionalisti antieuro della Lega. Per giustificare il suo veto all’euroscetticismo ha incautamente invocato lo spettro dei mercati finanziari ma, nell’insieme, le sue azioni hanno reso la situazione infinitamente peggiore. Lo spread sulle obbligazioni italiane a 10 anni è salito di quasi 30 punti base, fino al massimo di 235 (lunedì), quando gli investitori si sono resi conto delle terribili implicazioni dello spasmo costituzionale: una crisi che durerà tutta l’estate e che potrà concludersi solo con nuove elezioni, che non risolveranno nulla. Negli ultimi giorni si è fatto molto per ridurre il calo delle azioni bancarie, ma queste stanno ora cedendo in modo ancora più forte. Banca Generali è scesa del 7,2% e Unicredit del 5%.
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Morte di David Rossi, Fracassi: colpa di Draghi il crollo Mps
Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero. «Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web. Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che Rossi è volato dalla finestra del suo ufficio appena due giorni dopo l’email in cui annunciava di voler parlare con i magistrati, riguardo al suo ruolo nella banca finita nella bufera». Indagini a parte, per Fracassi il vero colpevole ha un nome preciso: Mario Draghi. «E’ stato lui a far crollare la banca di Siena», determinando il disastro che poi ha portato anche alla morte di David Rossi.Il primo a puntare il dito contro il presidente della Bce è stato Gioele Magaldi, leader del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che svela il ruolo di 36 Ur-Lodges nel “back office” del massimo potere mondiale. Superlogge sovranazionali potentissime, come le 5 organizzazioni di stampo neo-aristocratico alle quali, secondo Magaldi, è affiliato Draghi: sono la “Edmund Burke”, la “Pan-Europa”, la “Der Ring”, nonché due autentiche colonne del mondo supermassonico di segno reazionario, la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e la “Three Eyes”, il club di Kissinger, Rockefeller e Brzesinski. «Quando era governatore di Bankitalia – sostiene Magaldi – Draghi avrebbe dovuto vigilare sulla spericolata acquisizione di Antonveneta da parte della banca senese. Ma non lo fece, così come Anna Maria Tarantola, all’epoca alta funzionaria della Banca d’Italia». La vicenda Mps-Antonveneta è nota: il “Sole 24 Ore” la definisce «la più grande rivalutazione della storia». Il prezzo di Antonveneta, riassume il quotidiano di Confindustria, nel 2007 schizzò in pochi mesi dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander per comprare l’istituto ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,3 miliardi circa) tirati fuori da Mps.Oltre 10 miliardi, dunque, ai quali «vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti di Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato». In soli 11 mesi – dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 – il Monte dei Paschi «ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi». Soldi che, scrive il “Sole”, «sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid». Oggi, Franco Fracassi la definisce «la più grande operazione bancaria della storia», avendo coinvolto anche gli olandesi di Abn-Amro, gli inglesi e la Banca Mondiale. «Draghi – insiste Fracassi, a “Border Nights” – ha avuto un ruolo di primo piano, nel disastro del Monte dei Paschi, perché non ha permesso controllo ma, a mio giudizio, ha premuto per la cosa: è stato lui a spingere il Monte dei Paschi nel baratro, perché la banca senese era un tassello fondamentale di questa operazione – che Draghi ha voluto a tutti i costi, e che ha portato alla grande crisi economica, quella che sta devastando tutta l’Europa da ormai dieci anni». Questa crisi, aggiunge Fracassi, è figlia del crack di alcune delle più grandi banche d’Europa, «frutto di un’operazione voluta da Draghi in un momento in cui non bisognava farla, e soprattutto non in maniera così scellerata, come se si avesse voluto gettare l’Europa nel baratro».Perché è successo? «Non credo che Draghi non sapesse che cosa sarebbe potuto accadere», dice sempre Fracassi a “Border Nights”. «Non credo l’abbia fatto per leggerezza. E’ una persona molto intelligente, che sa il fatto suo. E so anche che Draghi è uno dei campioni del neoliberismo: è colui che, quando stava in Goldman Sachs, ha gettato nel baratro la Grecia». Conoscendo l’ideologia neoliberista e le strategie normalmente adottate dall’élite finanziaria euro-atlantica, aggiunge Fracassi, «presumo che ci sia stata la volontà di gettare l’Europa nella crisi». Draghi? «In questo ha avuto un ruolo di primo piano, e il Monte dei Paschi è stata la chiave di volta: quantomeno, quindi – conclude – Draghi ha delle responsabilità morali, per questa vicenda», su cui ora incombe anche il giallo della morte di David Rossi. E quello strano video, che Fracassi attribuisce alla Cia? Proprio la fonte di quelle immagini terribili «dà la dimensione della cosa», aggiunge il giornalista. «E’ un filmato che non dovrebbe esistere, e che teoricamente non dovrebbe avere nulla a che vedere con loro: cosa può importare, alla Cia, di un italiano che si suicida?». Vai a sapere. Sempre Fracassi, a “ByoBlu”, ha rivelato che «il Montepaschi è una delle banche che in questi ultimi 7 anni hanno garantito l’acquisto e la vendita di armi a tutte le parti in conflitto in Siria».Nel libro scritto con Lannutti, Fracassi cerca di capire «chi siano gli assassini di quella che è stata la banca più grande d’Europa». Si parla di armi, di politica, di criminalità organizzata. «Anche il mondo sommerso del crimine, alla fine, passa dalle banche: non è che esiste la Criminal Bank e poi le banche pulite, le banche son banche», dice ancora Fracassi a “Border Nights”. «Tranne forse rari casi virtuosi, la maggior parte delle banche fa queste cose. Il problema è: a che livello, quanto consapevolmente, e quanta ingerenza hanno, questi aspetti, nella gestione complessiva della banca». La crisi di Mps sembra consonante con le recenti notizie sull’assorbimento delle Bcc, le banche di credito cooperativo, raggruppate – per volere della Bce – sono l’ombrello di un unico grande soggetto finanziario, che si teme sarà fatalmente meno attento all’economia dei territori e invece più aperto (come il Montepaschi dopo la fatale svolta) al mercato finanziario internazionale dei titoli tossici. «Il fallimento del Montepaschi, dovuto alla responsabilità quantomeno morale di Mario Draghi – aggiunge Fracassi – ha portato uno sconquasso in tutto il sistema economico e creditizio europeo. E quindi anche nelle banche italiane, che a differenza di altre erano più fragili, trovandosi in una situazione di grande esposizione, per aver fatto fusioni con altre banche e investimenti in Borsa sbagliati, ma soprattutto per la quantità di crediti inesigibili».Di per sé, precisa il giornalista, i crediti inesigibili non fanno crollare una banca, se non molto raramente. «Se però il sistema salta, quei crediti inesigibili diventano insostenibili: durante una crisi econonica, chi ha preso soldi in prestito non riesce a restituirli. E’ una sorta di catena: più banche falliscono, e più rischiano di fallirne». Elementare: «Quando un sistema va in crisi, i più deboli sono i primi a soccombere». E mentre una grande banca ha i suoi paracadute, oltre a essere “too big to fail” (troppo grande per poter fallire), le banche piccole «non hanno quasi protezione, da parte della politica e del sistema finanziario: si appoggiano a piccole realtà locali, che possono entrare in crisi coinvolgendo le banche stesse». E’ la storia recente dell’Unione Europea, sintetizza Fracassi, a rendere esplicita la condanna (non giudiziaria, certo, ma storico-politica) dei super-tecnocrati alla Mario Draghi, onnipotenti registi di una crisi abilmente pilotata per organizzare uno smisurato trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. Un fenomeno spaventosamente spettacolare, senza eguali nella storia moderna. Il sociologo Luciano Gallino lo chiamava “lotta di classe dei ricchi contro i poveri”. E in attesa che venga alla luce la verità definitiva sulla fine di David Rossi – esecutori e mandanti dell’eventuale omicidio – Franco Fracassi insiste: almeno moralmente, la colpa è di Draghi. Distruggere Mps faceva parte di un piano preciso, che l’ex governatore di Bankitalia, poi promosso alla Bce, non ha certo ostacolato.(Il libro: Elio Lannutti e Franco Fracassi, “Morte dei Paschi. Dal suicidio di David Rossi ai risparmiatori truffati. Ecco chi ha ucciso la banca di Siena”, PaperFirst editore, 280 pagine, 12 euro).Siena, 6 marzo 2013. Un uomo precipita dalla finestra, ma non muore sul colpo. Si muove ancora, quando due uomini comparsi dal nulla, nel vicolo sotto la sede centrale del Montepaschi, gli si avvicinano per verificarne le condizioni, prima di sparire. Chi sono? Mistero. «Sappiamo invece chi ha fatto pervenire quel filmato al “New York Post”: è stata la Cia», afferma il reporter Franco Fracassi, ai microfoni di “Border Nights”, a proposito del video (sconvolgente) sulla morte di David Rossi, poi ripreso anche dalle “Iene” e ora disponibile sul web. Insieme a Elio Lannutti, Fracassi è autore del saggio “Morte dei Paschi”, ovvero: dalla drammatica fine di Rossi ai risparmiatori truffati, “ecco chi ha ucciso la banca di Siena”. Suicidio all’italiana? Sappiamo solo che la magistratura ha rinunciato a indagare nella direzione dell’omicidio, dice Fracassi, avendo rapidamente archiviato il caso come, appunto, suicidio. «Certo, resta il fatto che Rossi è volato dalla finestra del suo ufficio appena due giorni dopo l’email in cui annunciava di voler parlare con i magistrati, riguardo al suo ruolo nella banca finita nella bufera». Indagini a parte, per Fracassi il vero colpevole ha un nome preciso: Mario Draghi. «E’ stato lui a far crollare la banca di Siena», determinando il disastro che poi ha portato anche alla morte di David Rossi.
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Ma fa davvero paura a qualcuno, il subcomandante Di Maio?
I partiti di governo della Prima Repubblica facevano i congressi anche “coi morti”, cioè non depennando i militanti nel frattempo defunti dal computo rissoso delle correnti, e dunque delle rispettive poltrone. La notizia? I congressi, i partiti di oggi non li fanno proprio più, nemmeno “con i vivi”. Sono tutti morti? Ovvero: è vivo, il Pd che non ha ancora osato guardare in faccia Matteo Renzi e la sua catastrofe a rate, dal referendum 2016 alle politiche 2018? E’ viva Forza Italia, che dopo tanti anni non sa ancora cosa voglia dire mettere in discussione il verbo del fondatore-padrone? Ed è il vivo il Movimento 5 Stelle, che non ha mai celebrato un congresso – nemmeno per sbaglio – in tutta la sua vita? E’ vivo, un partito-marketing nato via web senza neppure una vera sede e i cui iscritti ed eletti non sono nemmeno legittimi comproprietari, pro quota, della sovranità politica simbolica del marchio sotto cui si presentano alle elezioni? Il mondo è in mano a multinazionali, imperi finanziari e potentissimi tecnocrati, signori della proprietà assoluta intesa come religione. Che idea si possono esser fatti, di una nazione politicamente nullatenente? Cosa devono pensare dell’Italia che sceglie di votare per partiti i cui iscritti e militanti non contano niente? Gli attuali partiti-fantasma sembrano lo specchio perfetto di un paese ideale, per il sommo potere: un paese in cui sono i cittadini a non contare nulla.Dalle catacombe della fu sinistra, è l’ex viceministro bersaniano Stefano Fassina ad avvertire il Quirinale: «Preoccupa che anche Mattarella affronti la questione della sovranità popolare con scomunica di “sovranismo”», scrive Fassina su Twitter. «L’alternativa all’Ue liberista fondata sulla svalutazione del lavoro non è autarchia o ritorno all’800, ma patriottismo costituzionale». Eppure, per il mainstream è giusto, sacrosanto, che il capo dello Stato pretenda di “suggerire” personalmente i ministri chiave, dagli esteri all’economia. Lo ripetono a reti unificate personaggi come il filosofo televisivo Massimo Cacciari e il giornalista Massimo Giannini: guai, se i titolari di quei dicateri dovessero esser scelti da politici avventati e pericolosamente populisti come Di Maio e Salvini. Guai, se a comporre davvero il cuore del futuro governo fossero le due forze – 5 Stelle e Lega – che hanno stravinto le elezioni. Vorrebbe dire che l’Italia potrebbe trovarsi di colpo, per la prima volta dopo molti anni, di fronte al grave pericolo di scegliere il proprio destino in modo democratico. Guai, quindi, se a comporre il toto-ministri fossero proprio i due partiti che hanno raccolto oltre il 50% dei consensi degli italiani. L’altra metà della verità può sembrare altrettanto sgradevole: siamo sicuri che Salvini, ma soprattutto Di Maio, rappresentino davvero un fondato motivo di allarme per l’establishment bancario ed eurocratico?Quantomeno, il leader della Lega ha eletto al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai, nemico storico del rigore di Bruxelles, e ha promesso di demolire l’austerity facendo crollare la tassazione. Salvini ha anche condannato le sanzioni alla Russia e i missili Nato sulla Siria, ma Di Maio? Al contrario, ha graziosamente visitato i santuari massonici della finanza angloamericana e ha “sbianchettato” dal programma pentastellato i passaggi pro-Russia, tacendo sulla guerra siriana. Ha sventolato il totem del reddito di cittadinanza evitando però di spiegare esattamente come attuarlo, senza violare le regole-capestro imposte dall’Ue. Ha dovuto pure digerire l’insolenza di chi gli rinfacciava l’ex lavoro di steward allo stadio, anziché domandarsi chi fosse davvero, Luigi Di Maio, e perché mai è stato incoronato leader dei 5 Stelle (senza un vero programma) dopo primarie-burla, vinte in solitaria. Di chi è, il Movimento 5 Stelle? Che fine farebbe, un militante (o peggio, un eletto) che osasse esprimere dissenso? Undici milioni di voti, elargiti non si sa esattamente a chi, né per fare cosa. Il tutto tra i moniti di Mattarella e la platea d’élite, che guarda l’Italia votare in massa contro l’euro anzi per l’euro, per la Nato o meglio per la Russia, per i vaccini obbligatori o forse contro, non si sa. E’ davvero così malconcio, il super-potere, da inquietarsi al cospetto del minuscolo Di Maio?I partiti di governo della Prima Repubblica facevano i congressi anche “coi morti”, cioè non depennando i militanti nel frattempo defunti dal computo rissoso delle correnti, e dunque delle rispettive poltrone. La notizia? I congressi, i partiti di oggi non li fanno proprio più, nemmeno “con i vivi”. Sono tutti morti? Ovvero: è vivo, il Pd che non ha ancora osato guardare in faccia Matteo Renzi e la sua catastrofe a rate, dal referendum 2016 alle politiche 2018? E’ viva Forza Italia, che dopo tanti anni non sa ancora cosa voglia dire mettere in discussione il verbo del fondatore-padrone? Ed è il vivo il Movimento 5 Stelle, che non ha mai celebrato un congresso – nemmeno per sbaglio – in tutta la sua vita? E’ vivo, un partito-marketing nato via web senza neppure una vera sede e i cui iscritti ed eletti non sono nemmeno legittimi comproprietari, pro quota, della sovranità politica simbolica del marchio sotto cui si presentano alle elezioni? Il mondo è in mano a multinazionali, imperi finanziari e potentissimi tecnocrati, signori della proprietà assoluta intesa come religione. Che idea si possono esser fatti, di una nazione politicamente nullatenente? Cosa devono pensare dell’Italia che sceglie di votare per partiti i cui iscritti e militanti non contano niente? Gli attuali partiti-fantasma sembrano lo specchio perfetto di un paese ideale, per il sommo potere: un paese in cui sono i cittadini a non contare nulla.
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Chiamano “fake news” la perdita del monopolio della verità
Davvero poche persone riescono a trovare un senso nell’attuale isteria sulle “fake news” e quasi nessuno è disposto a inquadrarla nel contesto storico e a comprendere perché il problema sia sorto adesso. La ragione per cui si è diffusa l’isteria, e specialmente negli Stati Uniti, è perché si tratta di una reazione (più o meno comprensibile) alla perdita del potere monopolistico globale esercitato dai media anglo-americani, in particolar modo dal 1989, ma praticamente dal 1945 in poi. Le ragioni del quasi-monopolio occidentale tra il 1949 e il 1989 (chiamiamola Fase 1) sono molteplici: il grande flusso di notizie provenienti da canali di informazione come la “Bbc”, e più tardi la “Cnn”, molto maggiore rispetto a quelle fornite dalle agenzie nazionali in molti paesi; la portata molto più ampia dei grandi servizi informativi in lingua inglese: questi offrivano una copertura giornalistica di tutti i paesi, mentre i media nazionali potevano a malapena permettersi corrispondenti in due o tre delle maggiori capitali mondiali; la diffusione dell’inglese come seconda lingua; e ultimo, ma non meno importante, la migliore qualità delle notizie (ovvero la maggiore veridicità) rispetto a quelle reperibili nelle fonti nazionali.Questi vantaggi dei media occidentali erano particolarmente evidenti ai cittadini del Secondo Mondo, dove i governi mantenevano una stretta censura, cosicché l’Urss doveva perfino arrivare all’estremo di bloccare le stazioni radio occidentali. Ma anche nel resto del mondo i media occidentali erano spesso migliori di quelli locali per le ragioni che ho menzionato. Un lettore attento avrà notato che finora ho contrapposto i media globali anglo-americani a quelli nazionali o solamente locali. Ciò perché solo i primi avevano una portata globale e il resto dei media (a causa della mancanza di finanziamenti o di ambizione, del controllo governativo o della limitata diffusione della lingua) operava a livello puramente nazionale. Così i media inglesi e statunitensi hanno combattuto una battaglia impari con i piccoli giornali o Tv nazionali. Non è sorprendente che i media globali anglo-americani siano stati capaci di controllare, in molti casi completamente, la narrazione politica. Non solo i media occidentali erano pienamente in grado di influenzare quello che (ad esempio) le persone in Zambia pensavano dell’Argentina o viceversa (perché probabilmente chi viveva in Zambia aveva a disposizione una copertura locale degli avvenimenti in Argentina prossima alla zero); soprattutto, a causa della maggiore apertura e migliore qualità dei media occidentali, questi erano in grado perfino di influenzare la narrazione pubblica all’interno dello Zambia o all’interno dell’Argentina.I rivali globali che l’Occidente affrontava all’epoca erano risibili. Le radio ad onde corte cinesi, sovietiche e albanesi avevano programmi in molteplici lingue, ma le loro storie erano così insipide, noiose e irrealistiche che la gente che, di volta in volta, le ascoltava, lo faceva per lo più a scopo di divertimento. Il monopolio dei media occidentali si è quindi ulteriormente espanso con la caduta del comunismo (chiamiamola Fase 2). Tutti i paesi ex-comunisti dove i cittadini erano abituati ad ascoltare clandestinamente “Radio Europa Libera” erano adesso più che disponibili a credere nella verità di tutto quello che veniva diffuso da Londra e Washington. Molti di questi organi di informazione si installarono nell’ex Blocco Orientale (“Rfe” oggi ha il quartier generale a Praga). Ma la luna di miele del monopolio globale occidentale iniziò a cambiare quando gli “altri” realizzarono che anche loro potevano provare a diventare globali, nell’unico spazio mediatico globale creato grazie alla globalizzazione e a Internet. La diffusione di Internet garantiva che si potessero produrre programmi e notizie in lingua spagnola – o araba – e che fossero guardati in ogni parte del mondo. “Al Jazeera” è stata la prima a intaccare pesantemente, e poi distruggere, il monopolio occidentale sulla narrazione del Medio Oriente in Medio Oriente. E adesso entriamo nella Fase 3.I canali turchi, russi e cinesi hanno quindi fatto lo stesso. Quanto successo nel mondo delle notizie ha avuto un parallelo in un’altra area in cui il monopolio anglo-americano era totale, ma poi ha iniziato a indebolirsi. Le serie Tv globali che venivano esportate, di solito erano prodotte solamente negli Usa – o in Uk; ma presto hanno trovato rivali di grande successo nelle telenovelas latino-americane, nelle serie indiane e turche, e più recentemente russe. In realtà, questi nuovi arrivati hanno praticamente spinto le serie Usa e Uk quasi completamente fuori dai propri mercati “nazionali” (che, per esempio, per la Turchia include gran parte del Medio Oriente e dei Balcani). Quindi è arrivata la Fase 4, quando altri media non-occidentali hanno capito che potevano provare a sfidare il monopolio informativo occidentale non solo all’estero, ma anche nel giardino di casa dei media occidentali. Questo è successo quando “Al Jazeera-Us”, “Russia Today”, “Cctv” e altri sono entrate in scena con i loro programmi e le loro notizie in lingua inglese (e anche francese, spagnola, etc) orientate all’audience globale, inclusa quella americana. Questo è stato in effetti un cambiamento enorme. Ed è il motivo per cui stiamo attraversando una fase di reazione isterica alle “fake news”: perché è la prima volta che media non-occidentali stanno non solo creando la propria narrazione globale, ma stanno anche cercando di creare una narrazione dell’America.Per la gente che viene da paesi piccoli (come me) questa è una cosa del tutto normale: siamo abituati a stranieri che non solo nominano i nostri ministri ma che sono presenti in tutto lo spazio mediatico, e persino influenzano la narrazione della storia e della politica del paese, spesso perché la qualità delle loro notizie e delle loro borse di studio è migliore. Ma per molte persone negli Usa e in Uk questo è uno shock totale: come osano degli stranieri dir loro qual è la narrazione del proprio paese? Ci sono due possibili esiti di questa situazione. Uno è che il pubblico statunitense dovrà rendersi conto che, con la globalizzazione, persino il paese più importante, come sono gli Usa, non è immune dall’influenza degli altri; anche gli Stati Uniti, in confronto al resto del mondo nel suo complesso, diventano “piccoli”. Un’altra possibilità è che l’isteria porterà alla frammentazione dello spazio di internet, come stanno già facendo Cina, Arabia Saudita e altri. Allora invece di una bella piattaforma globale per tutte le opinioni, torneremo indietro alla situazione pre-1945, con “stazioni radio” nazionali, reti internet locali, bando delle lingue straniere (e forse persino degli stranieri) sulle NatNets nazionali [gioco di parole basato sull’etimologia della parola internet, sincrasi di International Network, i.e. rete internazionale, a cui vengono contrapposte le reti nazionali, i.e. National Networks, NatNets, ndt] – in sostanza avremo messo fine alla globalizzazione del libero pensiero e saremo tornati ad un genuino nazionalismo.(Branko Milanovic, “Le ‘fake news’ sono la reazione alla fine del monopolio della narrazione”, dal blog dell’economista serbo-americano, tradotto da “Voci dall’Estero” il 30 aprile 2018).Davvero poche persone riescono a trovare un senso nell’attuale isteria sulle “fake news” e quasi nessuno è disposto a inquadrarla nel contesto storico e a comprendere perché il problema sia sorto adesso. La ragione per cui si è diffusa l’isteria, e specialmente negli Stati Uniti, è perché si tratta di una reazione (più o meno comprensibile) alla perdita del potere monopolistico globale esercitato dai media anglo-americani, in particolar modo dal 1989, ma praticamente dal 1945 in poi. Le ragioni del quasi-monopolio occidentale tra il 1949 e il 1989 (chiamiamola Fase 1) sono molteplici: il grande flusso di notizie provenienti da canali di informazione come la “Bbc”, e più tardi la “Cnn”, molto maggiore rispetto a quelle fornite dalle agenzie nazionali in molti paesi; la portata molto più ampia dei grandi servizi informativi in lingua inglese: questi offrivano una copertura giornalistica di tutti i paesi, mentre i media nazionali potevano a malapena permettersi corrispondenti in due o tre delle maggiori capitali mondiali; la diffusione dell’inglese come seconda lingua; e ultimo, ma non meno importante, la migliore qualità delle notizie (ovvero la maggiore veridicità) rispetto a quelle reperibili nelle fonti nazionali.
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“Di Maio avverte la massoneria: o con noi o contro di noi”
«O con noi o contro di noi: messaggio che Luigi Di Maio rivolge direttamente alla massoneria, che ha aiutato i 5 Stelle alle elezioni ma non ad andare al governo». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, di fronte alla data proposta dal leader grillino per le elezioni anticipate, il 24 giugno, proprio mentre Beppe Grillo riesuma, dopo anni, lo pseudo-referendum sull’uscita dall’euro. «Fate una riflessione sul giorno che Di Maio ha indicato per tornare al voto, e capite che cos’è quella data e cosa c’è dietro: 24 giugno 1717, fondazione della massoneria moderna». Alla Taverna dell’Oca e della Graticola di Londra, quel giorno si riunirono le principali quattro logge inglesi, che rifondarono la massoneria: fine dell’antica massoneria “operativa”, quella che costruiva le cattedrali, e nascita della massoneria “speculativa”, vocata alla costruzione di ben altri progetti, molto più politici. Uno come Di Maio non lo poteva sapere? «Gliel’avranno detto, magari il figlio di Casaleggio», dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Saggista e simbologo, già a capo della più antica comunione massonica del Rito Scozzese italiano, Carpeoro interpreta il messaggio di Di Maio come «una specie di invocazione-estorsione», a metà strada tra la richiesta di soccorso e l’avvertimento, corredato appunto dall’evocazione dell’euro-referendum.Una velata minaccia, quella del ricorso allo strumento referendario (messo in freezer dopo il tentato trasloco, al Parlamento Europeo, tra le fila degli ultra-europeisti dell’Alde). Mossa che allora apparve sconcertante, data l’animosità della base grillina contro la gestione dell’Ue. Ma, sempre sottotraccia, i militanti ha dovuto digerire la “lunga marcia” di Di Maio verso i santuari di quel super-potere che ha architettato l’euro-sistema. «Il solo fatto che Di Maio sia stato ricevuto dalla finanza inglese era un messaggio, così come il fatto che gli sia stato organizzato il viaggio in America», insiste Carpeoro. «Ed è un messaggio che, nonostante quello che dice la maggior parte di loro, ai 5 Stelle ha portato voti». Come? «Creando il clima». Ovvero: «Diminuendo, all’interno della società italiana, l’ostilità pregressa nei confronti dei 5 Stelle». Niente di strano: «La massoneria, quando è attrezzata, agisce innanzitutto sul clima sociale, prima ancora di agire sulle leggi, sui condizionamenti e su tutte quelle cose a cui va appresso il 90% dei complottisti, che sono sono secondarie». Tutti, peraltro, ricorderanno infatti che, nelle ultime settimane di campagna elettorale, l’attenzione dei media e dell’establishment verso Di Maio si era fatta improvvisamente “amica”, per la prima volta dopo tanti anni di interdizione preconcetta.Poi però il tutoring-ombra della massoneria si è interrotto. E Di Maio è rimasto solo, nel suo tentativo di formare un governo. Il perché è presto detto, sempre secondo Carpeoro: «In tutto il resto dell’ambiente politico, questo ha comportato una reazione, del tipo: i garanti del sistema siamo noi». C’è chi si è affrettato, subito dopo il voto, a farlo sapere a chi di dovere: «Immediatamente dopo le elezioni ci sono stati migliaia di appelli: vedi Berlusconi, la proposta di fare primo ministro Tajani (che è molto più “del club” che non Di Maio). E, in termini di valutazione di forza e affidabilità – aggiunge Carpeoro – la massoneria reazionaria ha scelto gli altri». Per questo ora succede che Di Maio («o Casaleggio junior, fate voi») ha detto: no, io non ci sto, e scelgo proprio la vostra data più importante per darvi il segnale definitivo – o con noi, o contro di noi. Imprudente, per i 5 Stelle, mettersi contro quel mondo? «Beh, se li ha ostacolati, impedendogli di andare al governo, è quel mondo che è andato contro di loro». Che succederà? «Escludo che si voti il 24 giugno», chiarisce Carproro. «Sicuramente Mattarella darà l’incarico a qualcuno, perché deve “sfangarla” fino a novembre-dicembre». Un nuovo Gentiloni? «E’ irrilevante, il nome: tanto, chiunque riceva l’incarico, non sarà lui a comandare, perché l’Italia è “sovragestita” da poteri esterni», per l’appunto massonici: quelli ai quali lo stesso Di Maio si era rivolto, prima del voto, per ottenerne l’investitura.«O con noi o contro di noi: messaggio che Luigi Di Maio rivolge direttamente alla massoneria, che ha aiutato i 5 Stelle alle elezioni ma non ad andare al governo». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, di fronte alla data proposta dal leader grillino per le elezioni anticipate, il 24 giugno, proprio mentre Beppe Grillo riesuma, dopo anni, lo pseudo-referendum sull’uscita dall’euro. «Fate una riflessione sul giorno che Di Maio ha indicato per tornare al voto, e capite che cos’è quella data e cosa c’è dietro: 24 giugno 1717, fondazione della massoneria moderna». Alla Taverna dell’Oca e della Graticola di Londra, quel fatidico giovedì si riunirono le principali quattro logge inglesi, che rifondarono la libera muratoria: fine dell’antica massoneria “operativa”, quella che costruiva le cattedrali, e nascita della massoneria “speculativa”, vocata alla costruzione di ben altri progetti, molto più politici. Uno come Di Maio non lo poteva sapere? «Gliel’avranno detto, magari il figlio di Casaleggio», dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Saggista e simbologo, già a capo della più antica comunione massonica del Rito Scozzese italiano, Carpeoro interpreta il messaggio di Di Maio come «una specie di invocazione-estorsione», a metà strada tra la richiesta di soccorso e l’avvertimento, corredato appunto dall’evocazione dell’euro-referendum.