Archivio del Tag ‘lockdown’
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Addio Italia, Conte ha prenotato la fine del sistema-paese
Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.Dettaglio tragicomico, di fronte all’immane disastro che si annuncia, il tempo che una parte del pubblico ancora spreca attorno a quella pericolosa nullità politica chiamata Giuseppe Conte, piccolo passacarte allevato tra i palazzi vaticani e le italiche baronie universitarie, per poi essere sistemato – nel caso tornasse utile – nelle retrovie del movimento finto-giustizialista creato a colpi di “vaffa” dall’ex comico democristiano Beppe Grillo, presente (Bonino dixit) sul panfilo Britannia nel 1992 insieme a Mario Draghi e al gotha finanziario che puntava a spolpare il Balpaese, devastato dal ciclone Tangentopoli. Negli ultimi anni, l’Italia politica ha digerito comparse e prestanome al servizio di stranieri, rivoluzionari all’amatriciana e lacchè gallonati. Nomi pallidi, tutti, per politiche pallide: Veltroni e Renzi, Salvini, Letta e Gentiloni, fino agli inguardabili figuranti del grillismo di lotta e di poltrona. L’unico segno di vita, nell’Obitorio Italia, s’era intravisto all’esordio dei gialloverdi, con due richieste: Paolo Savona all’economia, e una timidissima espansione del deficit. Risultato: il “niet” dello Stato Profondo italo-europeo. Mesto ripiego, l’incresciosa insistenza sullo scandaloso business dei migranti, da cui lo sdegno “antirazzista” degli “antifascisti” (che dormivano, quando il neonazismo vero, finanziario – quello dei poteri forti – si sbranava il loro paese).Ed è proprio su un’Italia agonizzante e trasformata in farsa – il derby deprimente tra Salvini e le Sardine – che è stata sganciata la bomba nucleare, la palingenesi antropologica del coronavirus. Forse gli apprendisti stregoni non erano così certi, di riuscire a trasformare gli uomini in topi. Il risultato ha superato ogni aspettativa: ancora oggi, si vede gente circolare all’aperto con il volto travisato dalla museruola raccomandata dall’Oms, e quindi dai suoi camerieri italiani travestiti da ministri. Se esistesse la macchina del tempo, sarebbe esilarante paracadutare in questa Italia personaggi del secolo scorso come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer. Vivevano in un paese dove esistevano ancora leader e statisti, partiti, sindacati, editori puri, giornalisti. Era un paese vitale e invidiato, che arricchiva i cittadini stimolando l’economia col deficit, per creare servizi avanzati e realizzare infrastrutture strategiche. Aveva tare enormi: il divario Nord-Sud, l’elefantiaco para-Stato improduttivo, la mafia, un’elevatissima corruzione e il record europeo di lavoro nero ed evasione fiscale. Quell’Italia era comunque la quinta potenza industriale del pianeta. Un paese rispettato, capace di stabilire relazioni speciali con gli arabi e con l’Urss, nonché di rivendicare la sua quota di sovranità in modo anche clamoroso, come a Sigonella.Da trent’anni, l’Italia gira per l’Europa col cappello in mano (e il conto lo fa pagare innanzitutto agli italiani). Amato, Ciampi, Draghi, Prodi, Napolitano, Berlusconi, D’Alema, Letta: è lunghissimo l’elenco dei personaggi cedevoli, complici di poteri extra-nazionali o comunque proni allo stillicidio della spietata precarizzazione sapientemente imposta dal potere ordoliberista e mercantilista spacciato per Unione Europea. Un progetto pluridecennale, pianificato a tavolino a partire dal Memorandum Powell del lontano 1971 passando per il manifesto “La crisi della democrazia”, fino all’invenzione francese del tetto del 3% alla spesa pubblica e agli infernali trattati (Maastricht, Lisbona) che hanno segnato la condanna delle economie sud-europee, in primis quella italiana. Colpo di grazia, il governo Monti e l’obbligo del pareggio di bilancio che annulla – di fatto – il ruolo dello Stato, riducendolo a mero esattore e rendendo carta straccia la Costituzione antifascista del 1948.Ora siamo alle comiche finali: quel che ancora resta in piedi, dell’Italia, verrà divorato a stretto giro (leggasi: piano Colao) per far fronte agli impegni-capestro che “Giuseppi” ha appena contratto coi soliti strozzini, intenzionati a “finire il lavoro” cominciato trent’anni fa a bordo del Britannia. Con la differenza che oggi l’Italia è allo stremo: avrebbe bisogno, subito, di centinaia di miliardi; e invece vedrà solo briciole, col contagocce, a partire dal 2021. La catastrofe incombente, lungamente preparata con decenni di guerra sporca contro i diritti sociali (a proposito di antifascismo), ora rischia di far collassare il sistema-paese grazie al disastro planetario della gestione terroristica del Covid, in cui l’Italia ha offerto la peggior performance in assoluto: in percentuale abbiamo avuto più morti del Brasile, e siamo l’unica nazione industriale europea messa in ginocchio dalla mancanza di aiuti governativi. Col passare dei mesi, o forse soltanto delle settimane, sarà chiara a tutti la verità che i grandi media fingono di non conoscere: e cioè che da questo orrore si può uscire soltanto stracciando i trattati europei, a partire da Maastricht, e gettando al macero anche la cartaccia appena firmata dall’infimo Giuseppe Conte.(Giorgio Cattaneo, “Addio Italia, Conte prenota la fine del sistema-paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio 2020).Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.
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Fallimento Immuni: gli italiani sono meno fessi del previsto
E’ ufficiale: l’App Immuni è un flop. Dopo mille polemiche, problemi e ritardi, l’applicazione governativa anti-Covid per tracciare le persone è stata respinta dagli italiani: è stata scaricata da appena 4 milioni di utenti, nonostante i piccoli focolai estivi che fanno ancora parlare del virus grazie al quale si è “imprigionato” il paese, decretandone il disastro economico. Tutto questo, senza neppure riuscire a minimizzare l’impatto della patologia: statistiche alla mano, ricorda Marcello Veneziani, l’Italia registra – per ora – la peggior performance al mondo: 35.000 morti, su 60 milioni di abitanti. L’App Immuni, scrive “Money.it“, è stata scaricata solamente da 8 italiani su 100. Di fatto, non ha convinto: «Oltre a non poter essere scaricata da 1 persona su 4, dal momento che non è supportata da smartphone datati, molti italiani ancora non si fidano a rilasciare i propri dati». Sfiducia ben motivata, secondo un hacker come Max Uggeri: «Chi gestisce il database, ovvero Sogei, su questo fronte ha già fatto figure non proprio bellissime, in passato. Il primo rischio è quello che qualche malintenzionato lo attacchi per generare dei falsi positivi». Non confortano le notizie provenienti da Israele: ben 12.000 “falsi positivi” costretti alla quarantena per un banale errore dell’applicazione, gemella di quella italiana.
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E bravo Conte, ora abbiamo al collo il cappio della Troika
Il normale strumento di finanziamento di uno Stato è rappresentato dalla collocazione dei titoli del debito pubblico sul mercato primario (i titoli di Stato battuti mensilmente dal Tesoro), con una banca centrale a garanzia che funga da prestatrice illimitata di ultima istanza. Esattamente come avviene negli Stati Uniti d’America, in Giappone e in Gran Bretagna. A dire il vero, seppur limitato al mercato secondario (per i titoli già in circolazione, oggetto di trattative tra privati), è ciò che sta facendo anche la Banca Centrale Europea negli ultimi anni. Quel debito rappresentato dai titoli di Stato, con una banca centrale a garanzia, in sostanza non è debito. Semmai, nella peggiore delle ipotesi, lo Stato non restituisce mai il capitale, ma solo gli interessi. Se dopo dieci anni l’investitore rivuole il capitale, lo Stato rivende quel titolo ad un altro investitore, cosicché l’esborso in conto capitale è zero. Idem se l’investitore rinnova il titolo. In entrambi i casi lo Stato paga solo gli interessi. Con la formula dei prestiti, invece, la musica cambia. Che si chiami Mes o Recovery Fund, il meccanismo è più o meno lo stesso.Lo Stato prima si indebita e poi deve restituire i soldi presi in prestito fino all’ultimo centesimo. Da dove li va a prendere, i soldi, se non garantisce una banca centrale? Facile: erodendo la ricchezza privata, tagliando le voci di spesa pubblica più sensibili (in primis sanità e pensioni) e facendo consolidamento fiscale, cioè massacro delle partite Iva. Ma v’è di più. L’accordo raggiunto da Conte questa notte al Consiglio Europeo prevede un piano di circa 82 miliardi di aiuti a fondo perduto, più 127 miliardi di prestiti. I soldi a fondo perduto non vanno restituiti, ma ci verranno dati a rate e ogni rata sarà subordinata alle riforme che l’Ue ci dirà di fare. E’ come il padrone che dà il biscottino al cane se questo corre a prendere il bastone e lo riporta indietro. Per i restanti 127 miliardi (i prestiti), anche questi ci verranno versati a rate e solo se faremo le riforme che l’Ue ci chiederà di fare. I 127 miliardi dovranno però essere restituiti. La domanda che si pone è sempre la stessa: da dove li andrà a prendere i soldi, lo Stato, se non garantisce una vera banca centrale?Anche la risposta è sempre la stessa: erodendo la ricchezza privata, tagliando le voci di spesa pubblica più sensibili (in primis sanità e pensioni) e facendo consolidamento fiscale, cioè massacro delle partite Iva. In tutto questo, i primi soldi arriveranno nel 2021 (quindi per ora nulla), fino al 2023. Che affarone! Eppure la soluzione più ragionevole era a portata di mano: l’Italia avrebbe potuto collocare tutti i titoli di Stato necessari sul mercato primario, con garanzia della Bce (come di fatto sta avvenendo sul mercato secondario dall’inizio della pandemia). Non vi sarebbe stata alcuna sorveglianza da parte di nessuno e nessuna riforma ci sarebbe stata imposta. E soprattutto – nella sostanza – non ci saremmo indebitati (per i motivi spiegati sopra). Ma qualcuno, sia fuori che in casa, ha voluto che all’Italia fosse messo un cappio al collo per almeno i prossimi vent’anni. Insomma, Conte ci ha portato la Troika in casa, tra i festeggiamenti dei media di regime e della maggioranza di governo. Sostanzialmente il Recovery Fund è un Mes che ce l’ha fatta.(Giuseppe Palma, “Il Recovery Fund è un Mes che ce l’ha fatta, ecco come funziona”, da “Scenari Economici” del 21 luglio 2020).Il normale strumento di finanziamento di uno Stato è rappresentato dalla collocazione dei titoli del debito pubblico sul mercato primario (i titoli di Stato battuti mensilmente dal Tesoro), con una banca centrale a garanzia che funga da prestatrice illimitata di ultima istanza. Esattamente come avviene negli Stati Uniti d’America, in Giappone e in Gran Bretagna. A dire il vero, seppur limitato al mercato secondario (per i titoli già in circolazione, oggetto di trattative tra privati), è ciò che sta facendo anche la Banca Centrale Europea negli ultimi anni. Quel debito rappresentato dai titoli di Stato, con una banca centrale a garanzia, in sostanza non è debito. Semmai, nella peggiore delle ipotesi, lo Stato non restituisce mai il capitale, ma solo gli interessi. Se dopo dieci anni l’investitore rivuole il capitale, lo Stato rivende quel titolo ad un altro investitore, cosicché l’esborso in conto capitale è zero. Idem se l’investitore rinnova il titolo. In entrambi i casi lo Stato paga solo gli interessi. Con la formula dei prestiti, invece, la musica cambia. Che si chiami Mes o Recovery Fund, il meccanismo è più o meno lo stesso.
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Magaldi: gli apprendisti stregoni del Covid hanno già perso
«Gli apprendisti stregoni che hanno provato a usare il Covid come cavallo di Troia per cinesizzare l’Occidente possono rassegnarsi: hanno già perso, anche nel caso in cui il loro nemico numero uno, Donald Trump, non dovesse essere rieletto». Se lo dice Gioele Magaldi, sostenitore di Trump nel 2016 – quando si trattava di fermare Hillary Clinton – c’è da drizzare le antenne: significa che l’establishment Usa, anche quello anti-trumpiano, ha varcato il Rubicone. Ovvero: indietro non si torna. Fine dell’accondiscendenza illimitata verso lo strapotere di Pechino, “drogato” dal decisivo aiuto (occidentale, americano) fornito a suo tempo dai massoni reazionari della “Three Eyes”, in primis il fuoriclasse Kissinger, decisi a fare della Cina post-maoista una specie di Frankenstein, un mix di turbo-capitalismo di Stato in mano a un regime dittatoriale. Modello perfetto, per gli amanti dell’horror: il paradiso degli oligarchi, ideale per rimpiazzare la democrazia occidentale. Fino a ieri, c’erano riusciti truccando le regole: la Cina fu ammessa nel Wto senza obblighi democratici, senza sindacati, senza leggi a tutela dell’ambiente e con clamorosi aiuti in termini di know-how industriale. Il piano: farne la manifattura del mondo, mettendo in crisi i lavoratori occidentali e i loro diritti. Dumping spietato: concorrenza sleale, grazie a prodotti a bassissimo costo. Poi è arrivato Trump, con il suo “America First”. Cocente, l’umiliazione inflitta Xi Jinping con l’imposizione dei dazi. Un minuto dopo, è esploso il coronavirus a Wuhan. La notizia? Ormai l’hanno capito tutti, a cosa doveva servire il Covid.Chi crede ancora alla Befana e ai giochini per la prima infanzia – Trump il puzzone, cattivo e razzista, combattuto da legioni di eroici paladini della giustizia – può a fare a meno di seguire le esternazioni di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale. Nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere sulla scorta di 6.000 pagine di documenti riservati, ha chiarito qual è il campo di gioco: a tirare le fila sono una quarantina di superlogge mondiali, da cui discendono – a valle – le tante entità paramassoniche (dal Bilderberg alla Trilaterale, dalla Chatham House al Council on Foreign Relations) erroneamente considerate onnipotenti. Ancora più sotto stanno governi, partiti, singoli leader. I loro margini operativi sono minimi: destra o sinistra, le decisioni che contano vengono prese a monte. Tra i grandi centri del potere visibile, aperto e contendibile con le elezioni, il più importante resta la Casa Bianca. «Trump è un “cavallo pazzo”, e siede a Washington grazie alla massoneria progressista che lo appoggiò perché, a differenza di Hillary, poteva sparigliare le carte, mettere fine all’ipocrisia finto-progressista dei democratici e tutelare i lavoratori americani massacrati da questa globalizzazione taroccata». Missione compiuta: ha tagliato le tasse, aumentato il deficit e realizzato la piena occupazione. Restava la mossa finale, fermare Pechino. Detto fatto: ed ecco il freno all’export cinese. Una dichiarazione di guerra, a cui gli oligarchi – dietro il paravento dell’Oms – hanno riposto con il virus e la sua gestione “terroristica”.«La prima vittima dell’operazione-Covid – dice Magaldi, in web-streaming su YouTube – doveva essere proprio Trump, “colpevole” di aver fermato l’avanzata neo-imperiale della Cina. Nel mirino però c’era l’intero Occidente, dove si sperava di ridurre stabilmente la libertà con la scusa della sicurezza sanitaria». Magaldi però annuncia che ora il peggio è passato: «L’establishment Usa, non solo quello trumpiano, ha ormai compreso che non è possibile rassegnarsi all’egemonia politico-economica della Cina di Xi Jinping, dove non c’è ombra di democrazia». Un obiettivo storico: creare un “mostro” di efficienza economica che fungesse da modello per un Occidente non più democratico. «Di fronte allo “stop” imposto finalmente da Trump – accusa Magaldi – un minuto dopo è scattata la pandemia a Wuhan, sotto gli occhi dell’Oms: e ormai, nel potere americano, tutti si sono accorti di questa clamorosa sincronicità». Magaldi è ottimista: «Indietro non si tornerà, neppure nel caso dovesse finire alla Casa Bianca l’evanescente Joe Biden: non rivivremo più la situazione pre-Covid, in cui alla Cina si consentiva di invadere impunemente i nostri mercati grazie al poderoso sostegno delle banche statali di Pechino».Nella sua analisi, Magaldi ribadisce che Trump era (e resta) il primo obiettivo del “partito del Covid”: «Si erano illusi – dice – che bastasse abbattere l’attuale presidente, per ripristinare lo strapotere del network, anche occidentale e statunitense, che conta sulla Cina come modello alternativo al nostro, verso una società meno libera e dominata da una durissima disciplina sociale». Insiste il leader “rooseveltiano”: «Questi nemici di Trump, che sono massoni “neoaristocratici”, hanno già perso in partenza, anche qualora Trump dovesse mancare l’obiettivo della rielezione alla Casa Bianca». Certo, ci sarà comunque da ballare parecchio: «Prepariamoci a vivere un’estate ricca di colpi di scena, a livello mondiale ma anche europeo e italiano». A proprosito di Belpaese: a Giuseppe Conte, nelle prossime ore il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum”, lungamente annunciato: in pratica, si tratta di una serie di misure salva-Italia, applicabili subito. Il pacchetto di proposte sarà presentato «non appena sarà terminata questa grottesca messinscena dell’ultimo vertice Ue, che servirà solo a propiziare “botte da orbi” per il governo italiano». Magaldi boccia Conte senza riserve: «E’ un personaggio stucchevole, un narcisista che vive di superficialità assoluta e tradisce la sua imbarazzante insipienza. Oggi poi in Europa fa una voce grossa che non ha, ed è seduto su un ramo che gli stanno già segando».In sintesi: «L’umiliazione non è di Conte ma dell’Italia, che ha un premier a cui non affiderei nemmeno un condominio». Scontato che torni a Roma con in mano un pugno di mosche, mentre nelle retrovie del grande potere – quello che conta – si segnala «l’altissimo profilo che sta tenendo Mario Draghi, candidato naturale alla successione a Mattarella». Non a caso, Papa Bergoglio ha appena inserito Draghi nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, prestigiosa consulta vaticana «retta da un prodiano», il bolognese Stefano Zamagni. Per Magaldi, il messaggio di Bergoglio è esplicito: «Promuovendo Draghi, il pontefice chiede a Romano Prodi – che brama il Quirinale, e per questo è pronto a “riabilitare” persino Berlusconi, sperando di procacciarsene i voti – di dimostrarsi all’altezza dell’ex presidente della Bce, che nell’ultimo anno è stato capace di ammettere i suoi gravi errori, mettendosi a disposizione di un progetto di rinascita nazionale, socio-economica e democratica». Lo storico liquidatore dell’Iri resta ben lontano dalle vette toccate da Draghi: «Romano Prodi è un massone conservatore e oligarchico, quindi un contro-iniziato di lusso», afferma il presidente “rooseveltiano”, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico.«Come Draghi, l’ex leader dell’Ulivo ha partecipato alla disastrosa privatizzazione dell’Italia e all’instaurazione dell’ordoliberismo eurocratico fondato sull’austerity, ma a differenza di Draghi – che se n’è emendato, giungendo a cambiare a casacca impegnandosi con la massoneria progressista – Prodi non ha mostrato la capacità di ammettere i suoi errori: anzi, nel suo ambire al Quirinale (per la terza volta) dimostra solo di essere dominato dal desiderio, che in termini esoterici è la base della cattiva stregoneria». Per Magaldi, «Prodi resta un nemico di abbattere, a meno che non si arrenda e compia una conversione come quella di cui è stata capace Christine Lagarde, altra esponente della massoneria reazionaria passata al fronte progressista». Quanto a Conte, pesce piccolissimo nell’acquario del potere visto che «si limita a eseguire ordini», nelle prossime ore riceverà “l’ultimatum” del Movimento Roosevelt. «Conterrà indicazioni precise su come agire, in modo immediato, per evitare in autunno il disastro socio-economico della nazione. Qualora non ci ascoltasse – avverte Magaldi – Conte se la vedrà con la Milizia Rooseveltiana, nelle piazze: se gli “apprendisti stregoni” del Covid e la loro “polizia sanitaria” speravano di trasformare gli italiani in pecore ubbidienti, si accorgeranno di dover fare i conti con lupi gagliardi e determinati».Chi crede alla Befana può anche continuare a credere che Giuseppe Conte sia una specie di leader, anziché un cameriere destinato a sparire dalla scena senza lasciare traccia. Può pensarlo chi è così cieco da immaginare che sia un semplice incidente, l’enormità del lockdown mondiale: un cortocircuito epocale, senza precedenti nella storia, con ripercussioni mostruose sugli equilibri economici, sociali e geopolitici del pianeta. E sono ancora le famose fette di prosciutto davanti agli occhi a suggerire, ai non vedenti, l’idea che il premier olandese Mark Rutte, «massone reazionario», sia davvero frenato in qualche modo dalla collega e “sorella” Angela Merkel, che finge di mediare tra falchi e colombe con l’unico obiettivo di inguaiare l’Italia, cioè l’unico peso massimo europeo rimasto senza aiuti, con imprese alla canna del gas e un governo-fantasma, agli ordini delle direttive “cinesi” dell’Oms. Uno spettacolo penoso, dal finale scontato: il disastro economico. «Proprio per questo – chiosa Magaldi – c’è chi sogna una “seconda ondata” per poter imporre in autunno un nuovo lockdown». Ma ha fatto male i suoi conti, avverte il leader “rooseveltiano”: ogni mossa, in questa recita drammatica, avrà un prezzo carissimo. E in ogni caso, “lassù”, la decisione è presa: Trump o non Trump, il “partito del rigore” (ieri finanziario, oggi psico-sanitario) non riuscirà a trasformarci in neo-sudditi orwelliani.«Gli apprendisti stregoni che hanno provato a usare il Covid come cavallo di Troia per cinesizzare l’Occidente possono rassegnarsi: hanno già perso, anche nel caso in cui il loro nemico numero uno, Donald Trump, non dovesse essere rieletto». Se lo dice Gioele Magaldi, sostenitore di Trump nel 2016 – quando si trattava di fermare Hillary Clinton – c’è da drizzare le antenne: significa che l’establishment Usa, anche quello anti-trumpiano, ha varcato il Rubicone. Ovvero: indietro non si torna. Fine dell’accondiscendenza illimitata verso lo strapotere di Pechino, “drogato” dal decisivo aiuto (occidentale, americano) fornito a suo tempo dai massoni reazionari della “Three Eyes”, in primis il fuoriclasse Kissinger, decisi a fare della Cina post-maoista una specie di Frankenstein, un mix di turbo-capitalismo di Stato in mano a un regime dittatoriale. Modello perfetto, per gli amanti dell’horror: il paradiso degli oligarchi, ideale per rimpiazzare la democrazia occidentale. Fino a ieri, c’erano riusciti truccando le regole: la Cina fu ammessa nel Wto senza obblighi democratici, senza sindacati, senza leggi a tutela dell’ambiente e con clamorosi aiuti in termini di know-how industriale. Il piano: farne la manifattura del mondo, mettendo in crisi i lavoratori occidentali e i loro diritti. Dumping spietato: concorrenza sleale, grazie a prodotti a bassissimo costo. Poi è arrivato Trump, con il suo “America First”. Cocente, l’umiliazione inflitta Xi Jinping con l’imposizione dei dazi. Un minuto dopo, è esploso il coronavirus a Wuhan. La notizia? Ormai l’hanno capito tutti, a cosa doveva servire il Covid.
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Per gli idioti, la pandemia colpisce solo gli scettici sovranisti
Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.Se Johnson o Bolsonaro risultano positivi al virus è un peana euforico degli umanitari, un inno progressista al Covid, un’ola di liberazione che fa il tifo per la Bestia, che in questo caso è il virus, anche se per loro la Vera bestia è la sua vittima sovranità. È inutile dire che la traduzione dei Tre Porcellini in Italia è Prosciutto & Meloni, ove per Prosciutto s’intende Salvini-Suini e per Meloni s’intende Giorgia regina de’ Coatti. Avvertenza d’obbligo, anche se più volte espressa: nessuna simpatia per Trump e Bolsonaro (un po’ per Johnson), antipatia per i loro nemici e competitori. Ogni giorno, a partire da quella cloaca grillo-contina che è il Tg1, lo schema è sempre lo stesso: i Buoni sono la Cina e la Contea d’Italia da cui arrivano notizie radiose e profilassi efficaci, mentre i cattivi sono gli Usa, il Brasile, la Russia, ecc., da cui arrivano sempre notizie sinistre condite da errori colossali dei leader. L’impressione che lasciano ai cittadini italiani è che quei paesi stiano toccando vertici pazzeschi di contagio e di vittime e siano esposti al male per una scelta ideologica folle prima che sanitaria: sono stati liberisti con il virus, hanno lasciato proseguire l’economia, hanno lasciato a piede libero le popolazioni, dunque vanno puniti e intubati.Allora vorrei fare una piccola riflessione che non è un pensiero profondo ma un calcolo elementare e banale di quelli che si fanno sui libri delle scuole elementari. Dunque, prendiamo la tabella delle vittime e paragoniamo. Il Brasile, che dai nostri media sembra il paese più devastato, ha attualmente 66mila morti. La popolazione brasiliana è composta di 209 milioni di persone, cioè tre volte e mezzo circa l’Italia. In Italia sono morte circa 36mila persone su 60 milioni: la percentuale di vittime da noi è decisamente più alta, almeno finora. Ma la nostra percentuale è più alta persino degli Stati Uniti, se si considera che gli Usa hanno una popolazione cinque volte superiore all’Italia e hanno 130mila morti. In percentuale, l’Italia ha lo 0,60, gli Usa lo 0,43, il Brasile lo 0,33 di deceduti rispetto alle popolazioni. Ancora: la malefica, devastata Russia ha “solo” 11mila morti su una popolazione di 150 milioni. Nell’India sotto Covid i morti sono 15mila, su un miliardo e quattrocento milioni d’abitanti…Facile e giusta l’obiezione: ci sono paesi in cui i morti non si contano, almeno non in relazione al Covid. Certo, vale per il Brasile come per la Russia e l’India, ma come per la Cina, che dichiara un numero di morti inattendibile rispetto alla realtà, e Cuba e tanti altri paesi del Terzo Mondo, per non dire dell’Africa. Dai dati ufficiali risulta che il nostro paese è stato tra i più colpiti al mondo, nonostante il lockdown e le vanterie governative. E ha, non mi stancherò di ripeterlo, una percentuale altissima di deceduti nel rapporto tra contagiati e morti. Nel mondo, tuttora, siamo con gli inglesi ai vertici della classifica. Dipenderà dai tamponi praticati, o come dicono alcuni ridicoli fintopatrioti, dipende dal fatto che noi abbiamo dichiarato i dati veri, perché noi siamo notoriamente onesti, universalmente noti come i più onesti al mondo, mentre tutti gli altri no… A parte che non è vero, anche da noi sia i contagiati che le vittime in Lombardia erano in realtà molte di più; non c’è dunque una spiegazione razionale, o almeno ragionevole, alla tesi che nelle classifiche mondiali di contagiati e deceduti noi soli avremmo dato i numeri veri e perciò risultiamo quelli dove ci sono più morti in relazione al numero dei contagiati.Tutto questo non ci porta a capovolgere la pantomima dei media ma a ripristinare perlomeno la verità: non possiamo reputarci meno colpiti dei brasiliani, degli statunitensi, dei russi, degli indiani e di chi volete voi. Siamo nelle stesse condizioni, anche se in tempi diversi e nonostante le profilassi diverse. Sul piano delle responsabilità bisogna certo rimarcare i ritardi, le sottovalutazioni, gli errori, e poi i falsi ottimisti, perniciosi quanto i catastrofisti e i terroristi sanitari. Ma evitiamo per favore di dare una lettura politica, ideologica o addirittura elettorale (vedi Trump) alla pandemia. Altrimenti stabiliamo pure un nesso tra il Covid è le repressioni cinesi a Hong Kong (su cui tacciono tutti in Italia, e il ministro degli esteri Di Maio evidentemente crede che la Cina stia combattendo eroicamente contro King Kong).Non dimentichiamo che i paesi in questione sono stati i destinatari incolpevoli del virus e il mittente colposo, almeno così possiamo chiamarlo, è la Repubblica Popolare Cinese; e se non vogliamo tirare ancora in ballo la questione dei laboratori e dei ritardi e omertà nel dare notizia del virus, dobbiamo almeno dire che le abitudini alimentari cinesi sono ancora pericolosamente incuranti dei rischi provenienti da alcune carni e alcuni animali. Perché se tutto si riduce alla fatua, manichea, puerile distinzione politica, allora dite pure che i sovranisti sono stati attaccati dal morbo, ma aggiungete che a veicolarlo nel mondo è stato la Cina comunista, che sta usando tutte le armi, dal virus al 5G, per conquistare l’egemonia planetaria. Agli idioti in malafede si parla nel loro lessico e si usano le loro stesse equazioni.(Marcello Veneziani, “La pandemia colpisce gli scettici e i sovranisti”, da “La Verità” del 10 luglio 2020).Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.
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Rispunta Draghi, e brucia un’altra cattedrale in Francia
Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.E’ il secondo incendio, nel giro di un anno, che colpisce una cattedrale francese: il 15 aprile 2019 andò in fumo il tetto di Notre Dame de Paris, monumento-simbolo della capitale e grandiosa chiesa di origine templare consacrata alla Maddalena, patrona della Francia, paese che ancora oggi coltiva la memoria leggendaria del presunto sbarco in Camargue, a Sainte-Marie-de-la-Mer, delle “Marie venute dal mare”, dopo i fatti di Gerusalemme, a diffondere il cristianesimo in Europa. Una missione che si vuole propiziata dal misterioso Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che secondo la tradizione evangelica riscattò da Pilato le spoglie del Nazzareno dopo la crocifissione. Un evento su cui in tanti hanno ricamato storie, fino al “Codice da Vinci” di Dan Brown, ipotizzando una discendenza terrena di Jeoshua-Gesù. Il templarismo, che sognava una sorta di unità europea ante litteram basata sul superamento delle frontiere, custodiva probabilmente il ricordo della primissima Chiesa cristiana, quella di Giacomo, lungo la rotta del “campo di stelle” (Compostela), un tratto di Via Lattea destinato a unire idealmente Gerusalemme a Roma. Sulle rive del Tevere, invece, in capo a tre secoli si sarebbe poi insediato il potere cattolico, per volere dell’imperatore Costantino: una solidissima burocrazia religiosa basata sull’alleanza – storicamente infondata – degli apostoli Pietro e Paolo, quelli a cui è dedicata la cattedrale di Nantes ora colpita dalla furia incendiaria.Era l’8 aprile 2020 quando prese fuoco, a Città della Pieve, il tetto della dimora umbra di Mario Draghi: dell’ex presidente della Bce si parlava con insistenza, come possibile successore di Giuseppe Conte. A fine marzo, con una clamorosa lettera pubblicata dal “Finacial Times”, Draghi aveva annunciato una svolta copernicana per uscire dalla crisi economica prodotta dall’austerity europea e aggravata dal lockdown imposto in occasione del coronavirus. La sua ricetta: emissione illimitata di moneta, per soccorrere Stati, aziende e famiglie con aiuti immediati e a fondo perduto. In passato artefice di primissimo piano dell’euro-sistema basato sul rigore finanziario, Draghi ha compiuto un dietrofront inaudito, richiamandosi al New Deal di Roosevelt e alla lezione di Keynes basata sull’intervento diretto dello Stato nell’economia. Afferma Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014): già distintosi tra i massimi leader del fronte massonico reazionario, protagonista del neo-feudalesimo europeo basato sull’austerity, Draghi ha abbandonato i circuiti massonici “neoaristocratici” per essere accolto nei ranghi della massoneria sovranazionale “progressista”, che predica la fine dell’attuale governance Ue dominata da oligarchie finanziarie neoliberiste e post-democratiche. Si tratta di un network massonico sovranazionale che, secondo Magaldi, è lo sponsor occulto del nuovo superpotere globale cinese, vero protagonista dell’evento-Covid interpretato come laboratorio anche sociale, fondato sulla sospensione delle libertà occidentali.Sui giornali, lo stesso Draghi è tornato il 10 luglio scorso, quando Papa Francesco lo ha nominato tra i membri eccellenti della prestigiosa Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: un “endorsement” decisamente vistoso, che sembra preludere a un imminente ingresso di Draghi alla guida dell’Italia. Evento che pare confermato dai recenti, reclamizzati colloqui con politici italiani, tra cui lo stesso Di Maio, proprio mentre Giuseppe Conte (vicinissimo all’Oltretevere) annaspa ancora nella palude di Bruxelles, senza riuscire a portare a casa alcun risultato utile a risollevare l’economia nazionale, ormai in stato di drammatica emergenza. Segnali incrociati: luce verde a Draghi, che in ultima analisi punterebbe al Quirinale dopo Mattarella, e fuoco doloso – ancora – ad accompagnare, in qualche modo, il ritorno sulla scena pubblica dell’ex banchiere centrale europeo? E’ forse un oscuro messaggio indirizzato al Vaticano, il rogo della cattedrale consacrata a Pietro e Paolo in un paese come la Francia, oggi retto dall’oligarca Macron, già banchiere della scuderia Rothschild? Semplici coincidenze, curiose analogie o precise suggestioni cifrate? Solo due anni fa, Bergoglio accolse Macron in Vaticano con tutti gli onori, proprio mentre il presidente francese conduceva un durissimo attacco contro il governo italiano, allora “gialloverde”, col pretesto della politica contro i migranti (a cui però la Francia, per prima, aveva chiuso le frontiere).Negli ultimi anni, sempre la Francia è stata al centro di eventi oscuri come l’opaco “neoterrorismo” targato Isis, dalla strage di Charlie Hebdo (gennaio 2015) alla carneficina di Nizza (14 luglio 2016), passando per la mattanza del Bataclan. Identico il copione: il terrorista spara sulla folla – mai sui simboli del potere – per poi essere ucciso dalle forze di sicurezza, prima di poter essere interrogato. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016) il simbologo Gianfranco Carpeoro ha svelato la precisa simbologia – non islamica, ma massonica – dietro a quei sanguinosi attentati europei, imputati a una torbida “sovragestione” favorita da settori dell’intelligence, come quelli risultati coinvolti nel fornire le armi al commando di Charlie Hebdo (da cui la decisione del governo francese di “tombare” le indagini sul caso, apponendo il segreto di Stato). Oggi, l’Europa vive un momento decisivo: l’Italia, allo stremo, chiede soccorso all’Ue degli oligarchi ma rimedia l’ennesimo rifiuto, con l’alibi dell’intransigenza olandese. Nel frattempo, Mario Draghi si scalda in panchina, anche col placet del Papa. E pochi giorni dopo va a fuoco la cattedrale di Nantes. Il rogo è doloso: gli inquirenti hanno rinvenuto tre inneschi. Dal canto suo, Magaldi annuncia: sono in vista rivolgimenti epocali, nel mondo massonico fino a ieri dominato dall’ala reazionaria, fautrice del rigore. C’è dunque un nesso, con gli incendi? Nel paese più amato dai neo-terroristi, c’è chi fa sapere di non gradire l’ipotetica svolta che si preparerebbe?Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.
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Sale lo spread e arriva Draghi: soluzione pronta per l’Italia
«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario”, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».Paesi come l’Olanda di Mark Rutte, che assorbono immense risorse italiane grazie al dumping fiscale, «contrastano senza mezzi termini la pretesa italiana (e non solo) di poter prendere questi soldi senza dare alcuna garanzia sulle modalità attraverso le quali ciascuno Stato debitore può ragionevolmente impegnarsi a restituirli». Proprio l’Olanda, aggiunge Luciano, «è un vergognoso caso di paradiso fiscale infra-europeo, uno di quelli che se i Trattati fossero stati scritti con la testa e non con i piedi, avrebbe dovuto essere messo al bando o ricondotto a disciplina fiscale ordinaria». Ma tant’è: gli olandesi ci sono, restano, pesano e passano pure per frugali. In sostanza, Rutte dice che l’Italia deve impegnarsi con un piano di riforme serissimo, «tanto più severo quanto meno credibile è la buona volontà italiana di por mano agli handicap pluridecennali che stanno soffocando la nostra economia». E quindi un piano particolareggiato, da monitorare nel suo andamento. «Il governo italiano pretende di poter incassare l’abbondante fetta di Recovery Fund che ci spetterebbe, 172 miliardi su 750, senza prendere in cambio alcun impegno gestionale sull’economia». Gli olandesi, invece, ripetono che prima dobbiamo presentare riforme credibili, poi dimostrare di essere capaci di attuarle (e solo dopo saremo finanziati).Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sta mediando. E ora, scrive sempre Luciano, ha proposto una cosa che sembra un assist al governo italiano. Cioè: ogni paese fa i piani che vuole e li presenta senza dover temere il “niet” degli altri. Strada facendo, i partner potranno controllare l’attuazione delle riforme nello Stato sotto indagine e, se necessario, bloccare l’erogazione dei fondi. «Insomma: luce verde per avere i soldi, luce rossa – se serve – qualora li spendessimo male». In realtà, aggiunge Luciano, il diavolo è nei dettagli: «A Bruxelles sanno perfettamente che l’Italia, accalappiata com’è in un nodo gordiano di ingestibile burocrazia, non sarà mai in grado di presentare un piano sostenibile. Quindi, per carità di patria, anzi di Unione, possono addivenire all’idea che sui piani non si va per il sottile e si sganciano i primi soldi, riservandosi però il diritto di chiudere i rubinetti quando sarà palese che le promesse della prima ora sono state vane».Nel frattempo, si fa notare la presidente della Bce, Christine Lagarde: «Ai giornalisti che le chiedevano se i modesti importi (relativamente modesti) che settimanalmente la banca centrale tramite le sue affiliate spende per rilevare Bond statali sono sufficienti, ha detto di sì. E se considera sufficienti importi che non riescono a ridurre sotto la soglia dei 170 punti base lo spread italiano – scrive ancora Luciano – vuol dire che si prepara a utilizzare la leva dello spread, lo spauracchio numero uno, per costringere l’Italia a rientrare ne ranghi. Ma con quale governo? Con questa compagine di sprovveduti? Improbabile». Per Luciano, «rimane una speranza e anche un’incognita», cioè il governo Draghi. Innescato dalla crisi dello spread come quello (nafasto) di Monti nel 2011, ma stavolta dal segno opposto: sempre dallo spread si partirebbe – questa è l’ipotesi – ma per invertire la rotta: sarebbe dunque Draghi il garante ideale, l’uomo giusto per convincere l’Ue a cambiare le regole. A fine marzo, l’ex capo della Bce mise le carte in tavola in un editoriale sul “Financial Times”: di fronte al Covid (cioè al lockdown) c’è solo una possibilità, e cioè finanziare gli Stati con miliardi da non restituire più. Sarà dunque lo spread manovrato dalla Lagarde a spingere Mattarella a licenziare Conte e invitare Draghi a Palazzo Chigi?«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario“, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».
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Pura magia: la scienza diventa religione, negando la verità
Il metodo socratico rappresenta un elemento portante nello sviluppo epistemologico, cui si ispireranno sia l’età dell’Umanesimo che quella dell’Illuminismo, dove l’interesse per la scienza troverà massima espressione, elevandosi a ideale contro l’oscurantismo, l’intolleranza e ogni forma di assolutismo. L’approccio odierno alla scienza la allontana notevolmente dal suo fine massimo di raggiungimento del sapere quale emancipazione dell’essere umano, attraverso il percorso arduo e incessante della ricerca della conoscenza. Al contrario, lo scientismo attuale costringe l’individuo dentro una gabbia ristretta di norme e dogmi che appaiono imperscrutabili al comune intelletto, divenendo roccaforte di un gruppo di eletti, forti del prestigio conferito loro dall’appartenenza a enti rappresentativi del sapere in quello specifico settore. Rinnegando la strada percorsa dai grandi scienziati del passato che pagarono con la propria vita l’aver messo in dubbio le credenze contemporanee, gli attuali preferiscono muoversi nel solco del conformismo e dell’omologazione. Non c’è spazio per il dubbio, elemento fondamentale della ricerca della sapienza, ma solo per l’assertività, la dogmaticità inconfutabile e autoreferenziale delle proprie affermazioni. Uno scientismo imperante e anti-dialogico sta contaminando tutti gli ambiti della conoscenza, con una smania positivista che ha pervaso persino le scienze umane.
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Svolta progressista, tandem Prodi-Draghi grazie al Papa?
Romano Prodi verso il Quirinale, con la benedizione del Vaticano e della massoneria progressista che vede in Mario Draghi un nuovo campione? Si profilano alleanze fino a ieri impensabili, per seppellire finalmente la stagione del rigore europeo? «Attenti a Papa Bergoglio: nominare Mario Draghi nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali significa invitare al dialogo il mondo massonico del laico Draghi e il mondo massonico del cattolico Prodi». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale (Gran Maestro del Grande Oriente Democratico), saluta con estremo favore la recente mossa di Papa Francesco: «Dimostra un impegno preciso: propiziare il dialogo tra componenti decisive, che ieri hanno contribuito alla disastrosa austerity di cui ha fatto le spese l’Italia, ma che domani – sulla carta – potrebbero collaborare per superare questa pagina buia, di cui la crisi innescata dal coronavirus (con le sue conseguenze economico-finanziarie) non è che l’ultimo capitolo». In altre parole: proprio mentre l’Italia di Conte annaspa in modo allarmante, a corto di liquidità dopo il blocco imposto all’economia a causa del Covid, sta per crollare il “Muro di Bruxelles” che ha finora costretto il paese a indicibili sofferenze finanziarie?Nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Magaldi ha messo a nudo il ruolo delle superlogge sovranazionali nel back-office del potere mondiale: tra i “cattivi” del passato recente, l’autore mette sia Draghi che Prodi, due super-privatizzatori in grembiulino. «I loro demeriti storici sono incancellabili: come direttore generale del Tesoro, Draghi ha agevolato le disastrose privatizzazioni all’italiana, e poi – una volta alla Bce – non ha fatto nulla per aiutare l’Italia durante la crisi dello spread che portò al tragico governo Monti». E Prodi? «Prima ha smantellato l’Iri, privando il paese di un fondamentale supporto economico, e poi ha dimezzato il potere d’acquisto degli italiani obbligando l’Italia ad accettare un cambio lira-euro più che svantaggioso». Poi, la più inattesa delle svolte: già nei mesi scorsi, lo stesso Magaldi aveva segnalato il clamoroso riposizionamento di Draghi, tornato – dopo decenni – all’impostazione keynesiana delle origini. Lo dimostrano svariate sortite pubbliche di Draghi, fino alla lettera-manifesto consegnata al “Financial Times” a fine marzo, in cui l’ex presidente della Bce esorta l’Ue ad abbandonare la linea del rigore, ricorrendo a massicci investimenti a fondo perduto per superare i contraccolpi della devastante crisi economica provocata dal coronavirus.Non solo: il “fratello” Draghi – ha spiegato Magaldi – ha chiesto di essere accolto nelle fila della massoneria progressista, dopo aver abbandonato il circuito “neoaristocratico” in cui aveva militato, divenendo uno dei massimi architetti dell’euro-rigore. Da parte di Draghi, quindi, un’inversione di rotta davvero inequivocabile. «Non si può dire che Prodi abbia fatto altrettanto», precisa Magaldi, che però sottolinea le recenti aperture di Prodi nei confronti di Berlusconi: come se si preparasse a dialogare con tutti (accettando quindi anche i voti di Forza Italia in vista della sua possibile elezione al Quirinale, dopo Mattarella), nel segno di una prospettiva di unità nazionale che porti l’Italia fuori dal vicolo cieco in cui è finita, dopo il lockdowm imposto da Conte, senza alcun aiuto sostanziale da parte dell’Ue. Prodi al Quirinale, anziché Draghi? «A noi massoni progressisti non interessano i nomi, ma i programmi», chiarisce Magaldi. «Staremo a vedere se Prodi farà seguire impegni precisi». Intanto, aggiunge, la clamorosa “promozione” di Draghi, da parte del pontefice, indica un intento preciso: unire le forze, per uscire dalla crisi.Chiarissimo, per Magaldi, il messaggio di Bergoglio: tentare di costruire un dialogo tra “anime” massoniche distinte, chiamate a collaborare per salvare il paese dalla catastrofe incombente: «E’ ormai chiaro a tutti – dice il presidente “rooseveltiano” – che il tipo di lockdown imposto all’Italia è stato sproporzionato, rispetto al reale tenore della minaccia sanitaria. Misure così severe – aggiunge Magaldi- sono state imposte dalla gestione dell’emergenza ispirata dalla super-massoneria reazionaria, che ha fatto della Cina una sorta di “mostro” economico senza diritti, vero e proprio laboratorio per un ipotetico Occidente post-democratico». Ribadisce Magaldi: «Il popolo cinese ha sbalordito il mondo con i suoi spettacolari successi economici, ma la stessa élite politica di Pechino è “prigioniera” dell’oligarchia massonica incarnata da figure come Kissinger, che hanno voluto fare del colosso asiatico una specie di “Frankenstein”, senza diritti né democrazia: una “macchina da guerra”, capace di sfidare pericolosamente il mondo occidentale».Proprio nell’opaca gestione del Covid, ispirata da Pechino con la supervisione dell’altrettanto opaca Oms, Magaldi vede un tentativo di ridurre gli spazi democratici. «Noi massoni progressisti – avverte – romperemo le corna, letteralmente, ai “terroristi” che insistono nello spaventare gli italiani evocando una “seconda ondata” del Covid, al solo scopo di imporre una “dittatura sanitaria” che serva a cancellare la nostra democrazia, riducendo l’Italia a una sorta di provincia cinese». Fino a ieri, Romano Prodi elogiava senza riserve il sistema-Cina. Ora le cose potrebbero cambiare? Magaldi è ottimista: «A livello mondiale, si moltiplicano i segnali di un cambio di rotta epocale: Donald Trump ha citato Martin Luther King nel suo discorso del 4 luglio dal Monte Rushmore, e il premier inglese Boris Johnson ha evocato esplicitamente il New Deal di Roosevelt come unico mezzo per risollevare l’economia, facendo suonare le campane a morto per la funesta egemonia del neoliberismo che ha prodotto la grande crisi europea fondata sul rigore». E ora, Bergoglio: «Nel valorizzare Draghi presso le istituzioni accademiche vaticane, si legge la volontà di favorire un dialogo tra forze che potrebbero coalizzarsi per porre fine all’intransigenza dell’Ue, che oggi nega all’Italia i fondi indispensabili per uscire dalla crisi, già gravissima e ora resa catastrofica dal lockdown».Nella sostanza, lo stesso Prodi potrebbe imitare la recente “conversione” progressista di Draghi (e di Christine Lagarde), abbandonando la supermassoneria reazionaria, neoliberista e privatizzatrice? Segnali clamorosi, osserva Magaldi, in linea col “divorzio” della Gran Bretagna da Huawei (cavallo di Troia del regime cinese), dopo i dazi che Trump ha imposto, a muso duro, a Xi Jinping. Fino a ieri, Romano Prodi sembrava allineato alla massoneria “neoaristocratica” che domina il regime di Pechino, conclude Magaldi: «Ora, dopo Draghi e la Lagarde, altri grandi nomi dell’establishment italiano sembrano in procinto di “traslocare” finalmente nello schieramento progressista, con un obiettivo fondamentale: smantellare il dogma del rigore finanziario, che ha trasformato questa Unione Europea in una trappola, decretando la crisi infinita di economie come quella italiana». Da Bergoglio – che chiama a sé Draghi, nel mondo accademico vaticano – arriva dunque un assist clamoroso, per indurre i massimi “big” italiani a fare squadra? Possibile obiettivo: rimediare agli errori del passato e impegnarsi ad abbattere la camicia di forza dell’ordoliberismo, l’ideologia reazionaria di un potere supermassonico che, negli ultimi decenni, ha spedito l’Italia in zona retrocessione, rendendola sola e indifesa di fronte a un’emergenza economica come quella provocata dalla “malagestione” del Covid.Romano Prodi verso il Quirinale, con la benedizione del Vaticano e della massoneria progressista che vede in Mario Draghi un nuovo campione? Si profilano alleanze fino a ieri impensabili, per seppellire finalmente la stagione del rigore europeo? «Attenti a Papa Bergoglio: nominare Mario Draghi nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali significa invitare al dialogo il mondo massonico del laico Draghi e il mondo massonico del cattolico Prodi». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale (Gran Maestro del Grande Oriente Democratico), saluta con estremo favore la recente mossa di Papa Francesco: «Dimostra un impegno preciso: propiziare il dialogo tra componenti decisive, che ieri hanno contribuito alla disastrosa austerity di cui ha fatto le spese l’Italia, ma che domani – sulla carta – potrebbero collaborare per superare questa pagina buia, di cui la crisi innescata dal coronavirus (con le sue conseguenze economico-finanziarie) non è che l’ultimo capitolo». In altre parole: proprio mentre l’Italia di Conte annaspa in modo allarmante, a corto di liquidità dopo il blocco imposto all’economia a causa del Covid, sta per crollare il “Muro di Bruxelles” che ha finora costretto il paese a indicibili sofferenze finanziarie?
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Medico: miserabili, hanno trasformato il Covid in catastrofe
«Sono questi vuoti d’aria. Questi vuoti di felicità. Queste assurde convinzioni. Tutte queste distrazioni. A farci perdere. Sono come buchi neri. Questi buchi nei pensieri. Si fa finta di niente. Lo facciamo da sempre. Ci si dimentica. Che ognuno ha la sua parte in questa grande scena. Ognuno ha i suoi diritti. Ognuno ha la sua schiena. Per sopportare il peso di ogni scelta. Il peso di ogni passo. Il peso del coraggio…» (“Il peso del coraggio” Fiorella Mannoia). Spesso gli artisti dipingono la realtà molto meglio degli scienziati. Credevo fino a poco tempo fa che tra un obbligo vaccinale a scopo diagnostico, un limite di 15 minuti per un rapporto sessuale, l’obbligo di mascherine antisalutari all’aperto, guanti che trasportano infezioni, proposte di apertura delle scuole alle 7.00, le parole di Ennio Flaiano sulla situazione politica italiana “grave ma non seria”, fossero appropiate. Purtroppo ora assistiamo a qualcosa di mostruosamente spaventoso; parole che non avrei mai pensato di commentare. Lo scorso 5 luglio, il nostro pallido, improvvido e impreparato ministro della salute rilascia la seguente dichiarazione: «Sto pensando a un Trattamento Sanitario Obbligatorio per delimitare il contagio». Luca Zaia ha affermato, per poi parzialmente ritrattare l’indomani, che «è fondamentale che ci sia un Tso obbligatorio qualora si rifiuti un ricovero»; tutto questo per 5 nuovi contagi ma nessuna vittima in Veneto per il coronavirus nelle ultime 24 ore.
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Conte si aggrappa al Covid: la calamità è lui, non il virus
«L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato». Così Sergio Luciano liquida, sul “Sussidiario”, il tentativo di Conte di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio. Mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier, scrive Luciano, «se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari», e insomma a tutti gli argomenti di stringente attualità «sui quali il governo, da quel drammatico weekend dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere».Il tutto, aggiunge Luciano (già caporedattore economico a “La Stampa”, “Repubblica” e “Sole 24 Ore”), è avvenuto «contro Salvini e grazie a Salvini», perché è da quando l’ex Capitano ha tentato, undici mesi fa, di far saltare il banco e ottenere le elezioni anticipate «fidandosi dell’imbelle Zingaretti e finendo contro un muro», che il governo Conte-bis «ingrassa, sventolando lo spauracchio della vittoria della Lega». Sostiene Luciano: «Il movimentismo salviniano – “così non si può andare avanti, si torni al voto” – è stato il miglior alibi per il governo più pazzo del mondo e di sempre, ossia per questo esecutivo attaccato con lo sputo che ci guida». Adesso, l’ultima trovata è la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 dicembre, «a 20 giorni dalla scadenza di quello vigente (31 luglio) e senza argomentazioni», in attesa del voto delle Camere, che il 14 luglio ascolteranno e si esprimeranno sulle comunicazioni del ministro Roberto Speranza sul nuovo Dpcm, destinato a prorogare le norme anti-contagio in scadenza il 14 luglio. Unica voce di protesta, per ora, quella di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, contro il “decretismo” di Conte: «Mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta», ha detto, riferendosi al voto assembleare sulle comunicazioni di Speranza, «perché alla Camera e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione».Luciano parla di «democrazia simulata», messa in scena dall’ennesimo governo «guidato da un premier mai eletto dal popolo». Un esecutivo che «stava trascinandosi su un piano di precarietà quotidianamente più grave quando la pandemia è intervenuta inducendo comprensibilmente tutti gli italiani a pendere dalle labbra di Palazzo Chigi». In altre parole: il traballante Conte “salvato” dal coronavirus: «Mai tanta visibilità e notorietà è stata data a un premier, per lo meno da quando Silvio Berlusconi ha perso quel ruolo». Quando il Covid-19 ha costretto il governo a prendere le decisioni d’emergenza (lockdown, mascherine, distanziamento), la tenuta dell’esecutivo è parsa a tutti rafforzarsi: «La figura del premier Conte è diventata improvvisamente popolarissima, con quel suo tono pacato e quasi scivolato di ratificare l’ovvio». Poi, però, «sono sopravvenuti i decreti dettati da quest’emergenza e una parte di quella fiducia è sfumata, per l’enorme gap che gli italiani hanno in qualche caso drammaticamente misurato con la propria pelle, per esempio non ottenendo gli aiuti per la liquidità o la cassa integrazione per i dipendenti».Infine, il declino sostanziale della pandemia «ha incastrato Conte e il ministro Speranza nel ruolo di uccelli del malaugurio», nell’evocare «i rischi ancora presenti in circolazione e le pessime prospettive di una seconda ondata autunnale». I prossimi pochi giorni saranno di fuoco, averte Luciano: perché non aspettare il 20 luglio prima di dichiarare la proroga dell’emergenza? E perché prolungarla addirittura di sei mesi, anziché fermarsi a tre? Il Pd e i renziani chiedono comunque un passaggio preliminare in aula, mentre i 5 Stelle declassano il problema a «questione prettamente tecnica», e il centrodestra ribadisce la sua contrarietà alla proroga, perché «lo stato di emergenza blocca l’Italia», sottolinea Anna Maria Bernini. Sergio Luciano non vede spiragli: «Come sempre: buoni a nulla e indecisi a tutto, ma anche capaci di tutto».«L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato». Così Sergio Luciano liquida, sul “Sussidiario“, il tentativo di Conte di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio. Mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier, scrive Luciano, «se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari», e insomma a tutti gli argomenti di stringente attualità «sui quali il governo, da quel drammatico weekend dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere».
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Bifarini: Usa fuori dall’Oms, colpo alla governance mondiale
«Trump che porta fuori gli Usa dall’Oms rischia di far saltare i piani della nuova governance mondiale», scrive Ilaria Bifarini sulla sua pagina Facebook. «Ci piaccia o no, con le elezioni statunitensi si giocherà il nuovo assetto socio-economico su scala globale. A poco serve rimanere ancorati a vecchi schemi o pregiudizi ideologici, di fronte alla minaccia di stravolgimento totale che stiamo vivendo». Mesi fa, l’economista “bocconiana redenta” aveva anticipato il problema, nel suo blog, parlando della “nuova governance mondiale targata Oms”. Era il 10 aprile, tempo di coprifuoco “modello Wuhan” anche in Italia. «Per la prima volta nella storia della globalizzazione – scriveva Ilaria – tutti i paesi, persino la recalcitrante Inghilterra fresca di Brexit e gli Stati Uniti, patria della fervente economia di mercato dove gli affari e i consumi non si fermano mai, sono in lockdown». Una fotografia impietosa: «L’economia mondiale è ferma, in quarantena», e così «crollano i consumi, le produzioni». E l’intera popolazione mondiale, «fatta eccezione per alcuni paesi del Terzo Mondo (e la Russia) che sembrano per ora i meno colpiti», di fatto «ha abdicato al proprio stile di vita e ai diritti democratici, accettando uno stato d’eccezione con massicce restrizioni».Per la prima volta, aggiungeva Bifarini, «vige una condivisione di regole comuni su scala planetaria: un nuovo ordine si è sostituito al caos del globalismo, basato sulla libera circolazione delle merci e delle persone, a guida Omc, Fmi e Banca Mondiale». Attenzione: «A garantire questa nuova governance, per ora provvisoria e legata a uno stato di emergenza sanitaria, è un altro attore sovranazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms)». Riflessione: «Al governo liberista e liberale delle istituzioni economiche internazionali si è sostituito quello per definizione non democratico degli scienziati».. Ma che dire dell’Oms? «Un attore sovranazionale, che con le sue raccomandazioni guida le nostre vite e le nostre economie», e purtroppo «continuerà a farlo, almeno fino a quando questo virus non ci darà tregua». L’Oms, ricorda Ilaria Bifarini, è un’agenzia speciale dell’Onu per la salute con sede a Ginevra, entrata in vigore il 7 aprile 1948, governata da 194 Stati membri attraverso l’Assemblea mondiale della sanità, convocata annualmente in sessioni ordinarie e composta da rappresentanti dell’amministrazione sanitaria di ciascun paese.Nella sua Costituzione quale obiettivo primario è indicato quello della sanità, intesa come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, (che) non consiste solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. Lodevoli intenti: “Per raggiungere il più alto grado di sanità è indispensabile rendere accessibili a tutti i popoli le cognizioni acquistate dalle scienze mediche, psicologiche ed affini. Un’opinione pubblica illuminata ed una cooperazione attiva del pubblico sono d’importanza capitale per il miglioramento della sanità dei popoli”. A fronte di finalità di così vasta portata, il budget dell’organizzazione di Ginevra è piuttosto contenuto (circa 4 miliardi di dollari). E mentre all’inizio proveniva prevalentemente dagli Stati, negli ultimi decenni la tendenza si è modificata: ben l’87% attualmente deriva da donatori privati. «L’80% dei fondi donati sono “earmarked”, cioè vincolati a finanziare programmi specifici, decisi dai donatori stessi, aspetto che ha destato non poche perplessità sulle scelte dell’organizzazione». Il direttore dell’Istituto di Sanità globale di Ginevra, Antonie Flahault, a seguito della donazione di circa 900 milioni da parte della Fondazione dei coniugi Gates nel biennio 2016-2017, lamentava come l’Oms fosse «costretta a tenere conto di quello che Gates ritiene prioritario», cioè la lotta alla poliomielite, cui furono impegnati più fondi che alla prevenzione dell’Hiv, quarta causa di morte nel Terzo Mondo.La Fondazione dei Gates, aggiunge Bifarini, risulta a oggi il primo donatore privato dell’Oms. Nell’ottobre scorso è stata partner del Johns Hopkins Center for Health Security nella simulazione di una pandemia coronavirus, chiamata “nCoV-2019”. Attualmente ha donato 100 milioni di dollari per sconfiggere il Covid-19. «Questo non dimostra assolutamente che esista un complotto ai fini speculativi ordito dal mefistofelico Gates, che probabilmente di aumentare la propria ricchezza non ha un gran bisogno, ma getta sicuramente molte perplessità sul suo ruolo predominante in materia di sanità mondiale», scriveva Ilaria Bifarini già tre mesi fa. «A proposito, in una sua recente intervista ha invitato tutti a essere tranquilli e ad attenersi al lockdown e all’isolamento sociale ancora “soltanto” per 10 settimane, e ha lanciato frecciate velenose alle intenzioni di Trump di voler impedire la paralisi economica americana. E’ ragionevole credere che la sua previsione si avvererà. Del resto, si era già rivelato un veggente!».«Trump che porta fuori gli Usa dall’Oms rischia di far saltare i piani della nuova governance mondiale», scrive Ilaria Bifarini sulla sua pagina Facebook. «Ci piaccia o no, con le elezioni statunitensi si giocherà il nuovo assetto socio-economico su scala globale. A poco serve rimanere ancorati a vecchi schemi o pregiudizi ideologici, di fronte alla minaccia di stravolgimento totale che stiamo vivendo». Mesi fa, l’economista “bocconiana redenta” aveva anticipato il problema, nel suo blog, parlando della “nuova governance mondiale targata Oms“. Era il 10 aprile, tempo di coprifuoco “modello Wuhan” anche in Italia. «Per la prima volta nella storia della globalizzazione – scriveva Ilaria – tutti i paesi, persino la recalcitrante Inghilterra fresca di Brexit e gli Stati Uniti, patria della fervente economia di mercato dove gli affari e i consumi non si fermano mai, sono in lockdown». Una fotografia impietosa: «L’economia mondiale è ferma, in quarantena», e così «crollano i consumi, le produzioni». E l’intera popolazione mondiale, «fatta eccezione per alcuni paesi del Terzo Mondo (e la Russia) che sembrano per ora i meno colpiti», di fatto «ha abdicato al proprio stile di vita e ai diritti democratici, accettando uno stato d’eccezione con massicce restrizioni».