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Frode e usura? Per le banche sono la regola, non l’eccezione
Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i codiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie. La classe finanziaria, da quando esiste (cioè dalla Prima Guerra Punica) ad oggi, si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici, finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli. Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la continuazione delle frodi.In particolare, negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di emissione (vedi il golpe monetario del 16 dicembre 2006 e la riforma-regalo del decreto legge 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi “Euroschiavi” e “Sbankitalia”). Con la prima delle due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni in vere proprie truffe sui mercati finanziari, regolati e non, mandando spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai gestori criminali.Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri. Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale – manifesta concretamente quanto è servile e criminale la cosiddetta casta politica.Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante, e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi (né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli (per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai pagare il fio.Quando oggi si parla all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente, sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico, aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini di fattori impersonali.Alle volte, dopo crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall, la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30, impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario. Ma dopo simili riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché lungimirante), regolarmente recupera le posizioni perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla società.Proprio quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori quote di potere politico. Se teniamo presente questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio Pci sono dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo finanziario, con la sua capacità di pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di profitti ed affermazione.In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci aggiustati ad arte per nascondere le perdite.(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i cosiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.
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Usa: tutti più poveri, non stupitevi se vorranno l’uomo forte
Scende la durata della vita, cresce a dismisura la vendita di armi insieme alla frustrazione, alla rabbia, al senso di precarietà e insicurezza. «La fotografia impietosa e allarmante fornita da Robert Reich dei sentimenti che pervadono la sempre più impoverita classe media americana contraddice la rosea immagine divulgata dai nostri media di un’America “in ripresa” dove l’economia cresce e i posti di lavoro aumentano», scrive Maria Grazia Bruzzone. «Quella che era stata la grande forza degli Stati Uniti – una classe media solida, lavoratrice, fiduciosa, dove l’ascensore sociale funzionava, esempio per il mondo – non esiste più e non è una novità. Ma oggi si sta avviando per una china preoccupante alla ricerca dell’uomo forte che possa salvarla. Sta già accadendo». Non solo. «I sentimenti che pervadono la “classe ansiosa”, come la chiama Reich, ci sembrano assomigliare molto a quelli di noi europei. Sempre più attratti, infatti, da partiti anti-sistema, così come negli Usa volano i sondaggi per quell’outsider estremista che è Donald Trump, dal quale i media tutti prendono sdegnosamente distanza, non senza imbarazzo, ma senza vederne la spia di un fenomeno sociale».Con Trump, i media americani si sono comportanti esattamente come quelli europei nei confronti di Marine Le Pen in Francia, «fino a plaudire all’anomala “alleanza” di sinistra e destra “moderata” che ne ha bloccato la vittoria, ma non l’ascesa come primo partito». Sono i motivi per cui, sul suo blog su “La Stampa”, la Bruzzone propone la traduzione di un recente post di Robert Reich, «non un estremista e neppure un disfattista, ma un ex sottosegretario al lavoro durante la presidenza Bill Clinton». Oggi saggista e blogger, con libri pubblicati anche in Italia. «Un allarme, il suo, che fa riflettere. A partire dal titolo: “La classe media americana è in uno stato di rivolta”». Scrive Reich: «La grande classe media americana è diventata una classe ansiosa – ed è in rivolta». Innanzitutto «si sta vieppiù restringendo, come risulta da un’indagine Pew». La middle class «non rappresenta più la maggioranza degli americani, sorpassata dalla somma delle famiglie di classe alta – i ricchi – e bassa – i poveri». Oggi, «le probabilità di cadere nella povertà sono alte in modo impressionante, specialmente per la maggioranza priva di istruzione superiore».Due terzi degli americani vivono di stipendio in stipendio, continua Reich. «La maggior parte può perdere il lavoro in ogni momento. Molti appartengono alla crescente forza lavoro “a richiesta”, impiegati quando e se ve ne sia bisogno, pagati quel che si può, quando si può. Se non riescono a farcela col pagamento dell’affitto o del mutuo, o non ce la fanno a pagare il negozio di alimentari o le bollette, perderanno la loro base e arretreranno ancora». Lo stress impone il pagamento di un pedaggio salatissimo, anche in termini di salute: «Per la prima volta nella storia, la durata della vita della classe media bianca sta scendendo». Secondo una recente ricerca dell’economista Premio Nobel Angus Deaton e della sua collega Anne Case, uomini e donne bianchi di mezza età negli Usa hanno cominciato a morire più presto: «Si avvelenano con droghe e alcol, o commettono suicidio. Le probabilità di essere uccisi da un jihadista in America sono di gran lunga inferiori alla probabilità di queste morti auto-infitte», e la recente tragedia di San Benardino «si limita ad innalzare un senso di arbitrarietà e fragilità soverchianti».La “classe ansiosa” si sente vulnerabile davanti a forze di cui non ha alcun controllo, e in più sa di non poter contare su un governo che la protegga. «Le reti della sicurezza sono piene di buchi. La maggior parte di coloro che hanno perso il lavoro non hanno neppure un’assicurazione per la disoccupazione» (la cassa integrazione negli Usa non è mai esistita). «Il governo non proteggerà il loro posto di lavoro dall’essere trasferito (“outsourced”) in Asia, o dal venir sostituito da un lavoratore illegale». Il governo «non è neppure in grado di proteggerli da persone malvage con armi o bombe. Ed è il motivo per cui la classe ansiosa si sta armando, comprando armi in quantità record». In novembre, l’Fbi ha censito 2 milioni e 243.000 nuove armi: il 2015 si avvia così a superare il record del 2013, con 21 milioni di armi. «Il governo è considerato non tanto incompetente quanto incapace di dar loro un accidente», continua Reich. «Lavora per i big e i ricchi – il “capitalismo degli amici” che foraggia i candidati e ottiene in cambio speciali favori». Moltissimi gli “arrabbiati”, convinti che il governo «è gestito dai banchieri di Wall Street che sono stati salvati dopo aver provocato il caos nell’economia, dai titani delle corporations che hanno ottenuto lavoro a basso costo, dai miliardari che hanno avuto scappatoie fiscali di ogni genere».Due autorevoli scienziati della politica, Martin Gilens e Benjamin Page, hanno esaminato 1.799 decisioni prese dal Congresso in vent’anni, scoprendo e chi le ha influenzate. La loro conclusione: «Le preferenze dell’americano medio sembrano state scarsissime, vicine allo zero, statisticamente non rilevanti nell’impatto sulla politica pubblica». Per Reich, «è solo una questione di tempo prima che la classe ansiosa si rivolti. Sosterranno un uomo forte che li protegga da tutto il caos. Uno che salvi il loro posto di lavoro dall’essere trasferito all’estero, si scontri con Wall Street, bastoni la Cina, faccia piazza pulita dei lavoratori illegali, impedisca ai terroristi di entrare in America. Un uomo forte che possa rendere l’America di nuovo grande – che in realtà significa rendere di nuovo sicuri i cittadini che lavorano. Era – è – un sogno del tubo, naturalmente, un inganno da illusionista. Nessuna persona singola può fare questo. Il mondo è di gran lunga troppo complesso. Non puoi costruire un muro lungo il confine col Messico [dal quale entrano negli Usa migliaia di immigranti, lavoratori illegali]. Non puoi tener fuori tutti i musulmani come ha appena proposto Trump, con grande scandalo mediatico. Non puoi impedire alla corporations di spostare sedi all’estero. Non lo si può nemmeno tentare. Eppure, loro pensano che ci possa essere uno abbastanza intelligente e in gamba da poter cambiare tutto».Donald Trump, per esempio: «E’ ricco. Dice le cose come stanno. Rende ogni tema un test della sua forza personale. Dice che i suoi avversari sono deboli mentre lui è forte. E’ crudo e rude? Forse è quel che ci vuole per proteggere la gente media in questo mondo crudelmente precario». Per anni, Reich ha percepito «il brontolio della classe ansiosa». Scrive: «Ho ascoltato la sua rabbia crescente – nelle sedi sindacali, nei bar, nelle miniere di carbone e nei saloni di bellezza, nelle strade e lungo le acque stagnanti dell’America. Per anni ho sentito le sue lamentele, le sue teorie cospirazioniste, la sua indignazione». Spiega: «Per lo più sono brava gente, non bigotti o razzisti. Lavorano sodo e hanno un grande senso dell’equità. Ma il loro mondo pian piano è stato messo da parte. E loro sono impauriti e stanchi». Ora che succede? «Arriva qualcuno che è anche più bullo di quelli che per anni li hanno angariati economicamente, politicamente e anche violentemente. L’attrazione è comprensibile, anche se mal riposta. Se non sarà Donald Trump, sarà qualcun altro che si presenta come uomo forte. Se non sarà questo ciclo elettorale, sarà il prossimo. La rivolta della classe media ansiosa è appena cominciata».Scende la durata della vita, cresce a dismisura la vendita di armi insieme alla frustrazione, alla rabbia, al senso di precarietà e insicurezza. «La fotografia impietosa e allarmante fornita da Robert Reich dei sentimenti che pervadono la sempre più impoverita classe media americana contraddice la rosea immagine divulgata dai nostri media di un’America “in ripresa” dove l’economia cresce e i posti di lavoro aumentano», scrive Maria Grazia Bruzzone. «Quella che era stata la grande forza degli Stati Uniti – una classe media solida, lavoratrice, fiduciosa, dove l’ascensore sociale funzionava, esempio per il mondo – non esiste più e non è una novità. Ma oggi si sta avviando per una china preoccupante alla ricerca dell’uomo forte che possa salvarla. Sta già accadendo». Non solo. «I sentimenti che pervadono la “classe ansiosa”, come la chiama Reich, ci sembrano assomigliare molto a quelli di noi europei. Sempre più attratti, infatti, da partiti anti-sistema, così come negli Usa volano i sondaggi per quell’outsider estremista che è Donald Trump, dal quale i media tutti prendono sdegnosamente distanza, non senza imbarazzo, ma senza vederne la spia di un fenomeno sociale».
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Gli inglesi nell’Ue solo grazie all’imbroglio dell’élite segreta
I votanti al referendum inglese devono sapere che fin dal primo giorno l’Unione Europea intendeva costruire un superstato federale. Mentre ferve il dibattito sul prossimo referendum Ue, è utile ricordare in primo luogo in che modo la Gran Bretagna sia giunta all’adesione. Mi sembra, infatti, che la maggior parte della gente non capisca il motivo per cui uno dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale debba struggersi così tanto per entrare a far parte di questo “club”. E questo è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire perché l’Unione Europea stia andando così male. La maggior parte degli studenti inglesi sembra pensare che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economiche, e che la Comunità Economica Europea – come si chiamava allora – costituisse un nuovo motore economico in grado di rivitalizzare la sua economia. Altri pensano che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna avesse avuto bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, da quella di tipo “imperiale” a una più realistica all’interno dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è valido.La Cee negli anni 1960 e 1970 non era in grado di rigenerare nessuna economia possibile. Utilizzò le sue magre risorse per l’agricoltura e la pesca e non disponeva di mezzi e di politiche per poter generare una crescita economica. Quando entrammo nella Cee il nostro tasso di crescita annuale fu un record del 7,4%, quindi per noi l’argomento “economia-paniere” non sta in piedi (l’attuale cancelliere morirebbe, per simili cifre). Quando la crescita arrivò, non fu grazie alla Comunità Europea. Dalle riforme sull’offerta di Ludwig Erhard in Germania Ovest nel 1948 alle privatizzazioni della Thatcher delle industrie nazionalizzate negli anni ‘80, la crescita europea giunse attraverso riforme introdotte dai singoli paesi e replicate in altri. La politica dell’Unione Europea è sempre stata irrilevante o addirittura dannosa (vedi l’euro). Né si può dire che la crescita britannica sia mai stata inferiore di quella Europea. A volte l’ha anche superata. Nel 1950 l’Europa occidentale registrò un tasso di crescita del 3,5%; nel 1960 era del 4,5%. Ma nel 1959, quando Harold Macmillan assunse l’incarico di governo, il reale tasso di crescita annuo del Pil britannico, secondo l’ufficio nazionale di statistica, era quasi del 6%. Ed era sempre intorno al 6% quando de Gaulle pose il veto alla nostra prima domanda di adesione alla Ce nel 1963.E che dire della geopolitica? Quale argomento, alla luce fredda del senno di poi, avrebbe potuto essere così convincente da indurci a farci prendere a calci dai nostri alleati del Commonwealth nella Seconda Guerra Mondiale per voler aderire ad una combinazione economica tra Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania e Italia? Quattro di questi paesi non avevano alcun peso internazionale. La Germania era stata occupata e divisa. La Francia, nel frattempo, aveva perso una guerra coloniale in Vietnam e un’altra in Algeria. De Gaulle era giunto al potere per salvare il paese dalla guerra civile. La maggior parte dei realisti sicuramente avranno considerato questi Stati come un gruppo di perdenti. De Gaulle, egli stesso un iper-realista, sottolineò che la Gran Bretagna aveva delle istituzioni politiche democratiche, legami commerciali con tutto il mondo, cibo a buon mercato dai paesi del Commonwealth ed era anche una delle maggiori potenze mondiali. Perché avrebbe voluto entrare nella Cee?La risposta è che Harold Macmillan e i suoi più stretti collaboratori erano parte di una tradizione intellettuale che vedeva la salvezza del mondo in una forma di supergoverno mondiale fondato sul federalismo regionale. Era anche molto vicino a Jean Monnet, che condivideva lo stesso pensiero. Così, Macmillan diventò il rappresentante del movimento federalista europeo nel Gabinetto britannico. In un discorso alla Camera dei Comuni sostenne il progetto della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) prima ancora che fosse annunciato in Europa. In seguito, si adoperò per la conclusione di un accordo di associazione tra Regno Unito e la Ceca, e fu sempre lui a garantire che dopo la Conferenza di Messina, che diede vita alla Cee, ai negoziati di Bruxelles fosse sempre presente un rappresentante britannico. Alla fine degli anni ’50 spinse per l’adesione dell’European Free Trade Association alla Cee. Poi, quando il generale de Gaulle iniziò a cambiare la Cee in qualcosa di meno federale, si affrettò a presentare una vera e propria domanda di adesione britannica, con l’intento di frenare le ambizioni gaulliste. Il suo scopo, in un’alleanza con gli Stati Uniti e i proponenti europei di una ordine mondiale federalista, era di dare un colpo alla emergente alleanza franco-tedesca, vista come un’alleanza tra il nazionalismo francese e quello tedesco.Lo statista francese Jean Monnet, che nel 1956 fu nominato presidente della Commissione per gli Stati Uniti d’Europa, incontrò più volte – segretamente – Heath e Macmillan, per facilitare l’ingresso britannico nella Cee. Egli, infatti, fu il primo ad essere informato in quali termini avrebbe potuto inquadrarsi un’eventuale entrata britannica nella Comunità Europea. Nonostante il consiglio del Lord Cancelliere, Lord Kilmuir, che l’adesione avrebbe significato la fine della sovranità parlamentare britannica, Macmillan fuorviò deliberatamente la Camera dei Comuni – e praticamente tutti gli altri, da statisti del Commonwealth a colleghi di governo e l’opinione pubblica – dicendo che erano coinvolti solo rapporti commerciali minori. Tentò anche di ingannare de Gaulle, dicendo di essere anti-federalista, oltre che un suo caro amico, e che avrebbe fatto in modo che anche la Francia, come la Gran Bretagna, ricevesse i missili Polaris dagli americani. Ma de Gaulle non la bevve, e pose il veto per la domanda di adesione della Gran Bretagna.Macmillan lasciò a Edward Heath il prosieguo della questione, e Heath, insieme a Douglas Hurd, dispose – secondo documenti di Monnet – che il partito Tory diventasse un membro (segreto) della Commissione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. Secondo il primo assistente e biografo di Monnet, François Duchene, più tardi anche i partiti laburista e liberale fecero la stessa cosa. Nel frattempo, il conte di Gosford, uno dei ministri per la politica estera di Macmillan nella Camera dei Lord, informò apertamente la Camera che lo scopo della politica estera del governo era un supergoverno mondiale. La Commissione di Monnet ricevette anche sostegno finanziario dalla Cia e dal Dipartimento di Stato Usa. A quel punto era chiaro che l’establishment anglo-americano fosse intenzionato a creare una federazione di Stati Uniti d’Europa. Ed è così anche oggi. Potenti lobby internazionali sono già al lavoro nel tentativo di dimostrare che qualsiasi ritorno a un governo democratico “indipendente” sarà una sciagura.Alcuni funzionari americani sono già stati allertati per sostenere che un Regno Unito del genere verrebbe escluso da qualsiasi accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e che il mondo ha bisogno del trattato commerciale Ttip, che dipende totalmente dalla sopravvivenza dell’Unione Europea. Fortunatamente, i candidati repubblicani statunitensi stanno diventando sempre più euroscettici, e giornali americani come “The National Interest” stanno pubblicando il caso del Brexit. La coalizione internazionale dietro a Macmillan e Heath questa volta non troverà un quadro altrettanto semplice come allora – soprattutto considerando le evidenti difficoltà dell’Eurozona, il fallimento delle politiche europee di immigrazione e la mancanza di coerenti politiche per la sicurezza europea. E inoltre, la cosa più importante: l’opinione pubblica inglese, burlata già una volta, sarà molto più difficile burlarla una seconda volta.(Alan Sked, “Come un’élite segreta creò l’Unione Europea per costruire un governo mondiale”, dal “Telegraph” del 27 novembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il professor Alan Sked è uno dei fondatori originari dell’Ukip, il partito indipendentista di Nigel Farage. Docente di storia internazionale alla London School of Economics, sta raccogliendo materiale per un suo libro, che spera di pubblicare presto, sulle esperienze “europee” del Regno Unito).I votanti al referendum inglese devono sapere che fin dal primo giorno l’Unione Europea intendeva costruire un superstato federale. Mentre ferve il dibattito sul prossimo referendum Ue, è utile ricordare in primo luogo in che modo la Gran Bretagna sia giunta all’adesione. Mi sembra, infatti, che la maggior parte della gente non capisca il motivo per cui uno dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale debba struggersi così tanto per entrare a far parte di questo “club”. E questo è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire perché l’Unione Europea stia andando così male. La maggior parte degli studenti inglesi sembra pensare che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economiche, e che la Comunità Economica Europea – come si chiamava allora – costituisse un nuovo motore economico in grado di rivitalizzare la sua economia. Altri pensano che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna avesse avuto bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, da quella di tipo “imperiale” a una più realistica all’interno dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è valido.
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Il giovane Renzi e l’idea (geniale) del Ponte sullo Stretto
Il Jobs Act, l’Italicum, il taglio del Senato, la rottamazione della Costituzione, le privatizzazioni selvagge come quella di Poste Italiane. Ma Renzi non ci fa mancare nulla, e ora rispolvera persino il Ponte sullo Stretto, per anni in pole-position nella classifica horror di berlusconiana memoria. «Non bastavano i regali alle lobby delle fonti fossili e degli inceneritori, ora rassicuriamo anche chi vorrebbe guadagnare dalla realizzazione di un’opera tanto faraonica (soprattutto nei costi) quanto inutile», protesta il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. «Il premier sa bene, e lo dice, che le emergenze italiane sono ben altre: perché allora continua a sostenere le lobby del ‘900 e le loro idee vecchie e superate?». Rigenerazione urbana, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, chimica verde? Voci non pervenute, così come agricoltura di qualità, raccolta differenziata, sicurezza delle scuole, ferrovie utili. Niente da fare: la leggenda del Ponte sullo Stretto – fabbrica di progetti costosi, più che di pilastri veri e propri – va sempre bene per dare la caccia all’elettorato in fuga dal Cavaliere.«Tre anni fa il futuro premier bocciava il Ponte sullo Stretto, auspicando che quella montagna di denaro pubblico necessaria – 8 miliardi di euro – fosse indirizzata piuttosto a realizzare nuove scuole e a migliorare quelle esistenti», ricordano Fabio Granata, Anna Donati e Annalisa Corrado, esponenti di “Green Italia”, che in un post ripreso da “Il Cambiamento” condannano questa «spericolata inversione a U», augurandosi che l’uscita di Renzi sia solo «la sua ennesima promessa non mantenuta». Gli italiani, del resto, «credevano che quello del Ponte fosse un capitolo chiuso, perché di fronte ad un paese costantemente piegato dal dissesto idrogeologico, con infrastrutture che collassano per il maltempo e situazioni come quelle di Messina senz’acqua potabile, indegne di un paese civile, anche solo parlare di Ponte sullo Stretto è uno schiaffo alla realtà». Già, la realtà: «E’ quella dei cittadini dell’Aquila ancora sfollati, quelli della Liguria che passano da un’alluvione con smottamenti e morti a un piano-casa tutto cemento, o il popolo inquinato di Taranto e di Crotone». Allegria: «Dopo le trivelle, gli inceneritori, le autostrade, mancava solo il Ponte assurto a ‘nuovo simbolo per l’Italia’ per dimostrare che il premier crede che le ricette da boom economico degli anni ‘60 siano ancora attuali, mentre c’è un mondo che va in un’altra direzione».«Di straordinario – ricorda Leandro Janni, presidente siciliano di Italia Nostra – il ponte sullo Stretto di Messina ha solo il tempo e i soldi sprecati per un’opera insostenibile dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico». Il progetto definitivo, elaborato da Eurolink SpA, è considerato talmente lacunoso dalla Commissione di valutazione di impatto ambientale da far avanzare la richiesta, il 10 novembre 2011, di ben 223 integrazioni su tutti gli aspetti nodali (strutturali, trasportistici, economico-finanziari, geologici, idrogeologici, naturalistici, paesaggistici, relativi alle emissioni atmosferiche, ai rumori e alle vibrazioni), a cui Eurolink non è ancora riuscita rispondere esaurientemente. Sconcertante, se si pensa che da oltre 10 anni la cattiva politica – cui ora si associa il “giovane” Renzi – vorrebbe costruire, «in una delle aree a più alto elevato rischio sismico del Mediterraneo, un ponte sospeso, ad unica campata di 3,3 km di lunghezza, sorretto da torri di circa 400 metri di altezza, a doppio impalcato stradale e ferroviario». Oggi il ponte più lungo al mondo, il Minami Bisan-Seto in Giappone, è lungo un terzo di quello progettato per Messina.Si tratta di un’opera che ad oggi verrebbe a costare 8,5 miliardi di euro, continua il “Cambiamento”: oltre mezzo punto di Pil, e senza un piano economico-finanziario che ne dimostri la redditività e l’utilità. Impietoso il dossier dei prestigiosi tecnici italiani ingaggiati dagli ambientalisti per “smontare” il disastroso progetto di Eurolink. Primo problema, il terremoto: viene garantita l’invulnerabilità del manufatto solo per eventi sismici fino a 7,1 Richter, escludendo quindi «in maniera ascientifica» che ci possa essere un sisma di maggiore energia in una zona di rischio molto elevato. Inoltre, nel calcolo dei materiali da scavo viene dimenticato il conteggio di 3,5 milioni di metri cubi di terreno estratto o movimentato. Sos ambiente: non è stata ancora elaborata una valutazione di incidenza credibile sullo Stretto di Messina, area di pregio naturalistico teoricamente a tutela europea. L’ultimo progetto, poi, considera “trascurabili” le modifiche apportate: un incremento di 17 metri dell’altezza delle torri, che arriverebbero a quota 400 metri, per sollevare l’impalcato sino ad 80 metri sul livello del mare. Poi lo spostamento della torre sul lato della Calabria, la variazione del tipo d’acciaio e quindi il peso delle funi e delle strutture portanti, e infine il cambiamento dell’altezza dell’impalcato del viadotto Pantano, lato Sicilia.Non è tutto. «Sono state presentate analisi trasportistiche insufficienti ed elaborati progettuali incompleti – aggiungono gli ambientalisti – da cui emerge che a 25 anni dalla realizzazione dell’opera ponte si registrerebbe un traffico pari a 11,6 milioni di auto all’anno per un’infrastruttura dimensionata per 105 milioni di auto l’anno, con un grado di utilizzo, quindi, dell’11% circa». Mostruoso, super-costoso e super-inutile: bravo Renzi. Non fa che aggiungere malinconia e desolazione l’esame dell’équipe tecnica che ha “fatto le pulci” all’improbabile progetto Eurolink. Tra gli oltre 30 esperti che hanno lavorato con le associazioni ambientaliste, scrive il “Cambiamento”, fra gli specialisti dell’università di Messina troviamo Emilio Di Domenico (oceanografia biologica), Gaetano Gargiulo (botanica), Lucrezia Genovese (Cnr), Salvatore Giacobbe (ecologia). Poi Domenico Gattuso (ingegneria, Reggio Calabria), i geologi Giuseppe Gisotti, Alessandro Guerricchio e Gioacchino Lena.Ci sono tecnici come Piero Polimeni, ingegnere pianificatore, esperto di cooperazione e sviluppo locale; Guido Signorino, professore ordinario del dipartimento economia, statistica e sociologia dell’Università di Messina. E poi Stefano Sylos Labini, ricercatore dell’Enea e geologo come Carlo Tansi (Università della Calabria). Non manca il geologo più famoso d’Italia, il conduttore televisivo Mario Tozzi. E ci sono specialisti come il professor Vincenzo Vacante (agraria, Reggio), l’ingegner Claudio Villari, un urbanista come il professor Alberto Ziparo dell’ateneo di Firenze. «Serve altro?», si domanda “Il Cambiamento”. Sì, certo: tanto per cominciare servirebbe un altro premier, magari regolarmente eletto. E poi un’altra Italia, in cui a nessuno verrebbe in mente di proporre opere demenziali e succulente per il sistema mafioso degli appalti, dalla linea Tav Torino-Lione al suo gemello mediterraneo, l’inaffondabile Ponte sullo Stretto.Il Jobs Act, l’Italicum, il taglio del Senato, la rottamazione della Costituzione, le privatizzazioni selvagge come quella di Poste Italiane. Ma Renzi non ci fa mancare nulla, e ora rispolvera persino il Ponte sullo Stretto, per anni in pole-position nella classifica horror di berlusconiana memoria. «Non bastavano i regali alle lobby delle fonti fossili e degli inceneritori, ora rassicuriamo anche chi vorrebbe guadagnare dalla realizzazione di un’opera tanto faraonica (soprattutto nei costi) quanto inutile», protesta il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. «Il premier sa bene, e lo dice, che le emergenze italiane sono ben altre: perché allora continua a sostenere le lobby del ‘900 e le loro idee vecchie e superate?». Rigenerazione urbana, fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, chimica verde? Voci non pervenute, così come agricoltura di qualità, raccolta differenziata, sicurezza delle scuole, ferrovie utili. Niente da fare: la leggenda del Ponte sullo Stretto – fabbrica di progetti costosi, più che di pilastri veri e propri – va sempre bene per dare la caccia all’elettorato in fuga dal Cavaliere.
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Craig Roberts: schiavi e padroni (di tutto, anche degli Stati)
Una nuova schiavizzazione delle popolazioni occidentali è in atto su diversi livelli. Uno di cui sto parlando da almeno dieci anni è la delocalizzazione del lavoro. Gli Stati Uniti, ad esempio, partecipano sempre meno alla produzione dei beni e dei servizi che finiscono sul loro mercato. Ad un altro livello stiamo esperendo la finanziarizzazione dell’economia occidentale, della quale Michael Hudson è uno dei maggiori esperti (“Killing the host”). La finanziarizzazione è il processo di rimozione di ogni tipo di presenza pubblica nell’economia e la conversione del surplus economico nel pagamento di interessi al settore finanziario. Questi due fattori privano la gente di prospettive economiche. Una terzo li priva dei diritti politici. Il Tpp e il Ttip eliminano la sovranità politica e spostano il controllo sulle grandi aziende. Questi cosiddetti “partenariati commerciali” non hanno nulla a che fare con il business. Questi accordi negoziati in segreto accordano immunità alle grandi aziende nei confronti delle leggi nazionali dei paesi in cui operano.Questo obiettivo viene raggiunto inquadrando ogni intromissione nei profitti aziendali da parte di leggi esistenti o potenziali come una limitazione agli affari, per la quale le aziende possono intentare causa ai governi “sovrani”. Per esempio il divieto in Francia ed altre nazioni riguardo gli Ogm verrebbe annullato dal Ttip. La democrazia viene semplicemente sostituita dalle regole aziendali. Avrei voluto parlare di più di tutto questo. Comunque altri, come Chris Hedges, stanno facendo un buon lavoro per spiegare la stretta del potere che sta eliminando i governi rappresentativi. Le grandi aziende comprano il potere a basso prezzo. Hanno comprato la Camera dei Rappresentanti negli Usa per meno di 200 milioni di dollari. Questo è quanto è stato dato al Congresso per proseguire con “Fast Track”, che permette al braccio delle corporation, il Rappresentante del Commercio Usa, di negoziare segretamente senza spinta o supervisione da parte del Congresso stesso.In altre parole un agente delle grandi aziende si relaziona con altri suoi simili nelle nazioni che compromettono la “partnership” e questo gruppetto di gente profumatamente prezzolata scrive accordi che soppiantano la legge a favore degli interessi aziendali. Nessuna delle persone coinvolte rappresenta gli interessi delle nazioni o delle loro popolazioni. I governi delle nazioni aderenti alla partnership possono solo votare sì o no all’accordo… e verranno pagati profumatamente per votare nel modo giusto. Una volta che queste partnership sono attive, i governi stessi sono come privatizzati. Legislature, presidenti, primi ministri e giudici non hanno più alcuna ragione di esistere. I tribunali aziendali decidono le leggi e il funzionamento delle corti.È probabile che questa “partnership” avranno conseguenze indesiderate. Per esempio, Russia e Cina non fanno parte degli accordi, così come Iran, Brasile, India e Sud Africa, benchè, separatamente, il governo indiano sembra essere stato comprato dai grandi capitali agricoli statunitensi e sia sulla strada della distruzione del proprio sistema autosufficiente di produzione del cibo. Questa nazioni saranno depositarie della sovranità nazionale e del controllo pubblico, mentre libertà e democrazia saranno estinte in Occidente e presso i suoi vassalli asiatici. Rivoluzioni violente per tutto l’Occidente e la completa eliminazione dell’“un per cento” è un altro scenario possibile. Ad esempio, una volta che la popolazione francese avrà scoperto di aver perso il controllo sulla propria dieta a vantaggio della Monsanto e dell’agribusiness statunitense, i membri del governo francese che hanno condotto il paese verso una prigione alimentare di cibo tossico probabilmente verranno fatti a pezzi per le strade. Eventi di questo tipo sono possibili in Occidente solo se le popolazioni scopriranno di aver totalmente perso il controllo su ogni aspetto della loro vita e che l’unica scelta è tra la rivoluzione o la morte.(Paul Craig Roberts, “La ri-schiavizzazione delle genti occidentali”, da “Counterpunch” del 10 novembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Una nuova schiavizzazione delle popolazioni occidentali è in atto su diversi livelli. Uno di cui sto parlando da almeno dieci anni è la delocalizzazione del lavoro. Gli Stati Uniti, ad esempio, partecipano sempre meno alla produzione dei beni e dei servizi che finiscono sul loro mercato. Ad un altro livello stiamo esperendo la finanziarizzazione dell’economia occidentale, della quale Michael Hudson è uno dei maggiori esperti (“Killing the host”). La finanziarizzazione è il processo di rimozione di ogni tipo di presenza pubblica nell’economia e la conversione del surplus economico nel pagamento di interessi al settore finanziario. Questi due fattori privano la gente di prospettive economiche. Una terzo li priva dei diritti politici. Il Tpp e il Ttip eliminano la sovranità politica e spostano il controllo sulle grandi aziende. Questi cosiddetti “partenariati commerciali” non hanno nulla a che fare con il business. Questi accordi negoziati in segreto accordano immunità alle grandi aziende nei confronti delle leggi nazionali dei paesi in cui operano.
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Il massacro di Parigi e le rivelazioni-choc di Gioele Magaldi
Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.“Hathor” è l’altro nome della dea egizia Iside, e non è un caso – per Magaldi – che si chiami proprio Isis l’armata di tagliagole del “califfo” Al-Baghdadi, terroristi e miliziani sostenuti da Turchia e Arabia Saudita, appoggiati da settori dell’intelligence Usa e impiegati in diversi teatri, sempre con la medesima missione: destabilizzare gli assetti statali, generare terrore e caos, ingaggiare l’Occidente in una sorta di Terza Guerra Mondiale che ha come obiettivo strategico il depotenziamento della Cina, vero competitor mondiale dell’egemonia del dollaro, e il suo alleato più potente, l’indocile Russia di Putin. Analisi sviluppate in questi anni da decine di osservatori internazionali, ma solo da Magaldi integrate anche con le lenti dell’élite massonica planetaria. Già “gran maestro” della loggia Monte Sion aderente al Grande Oriente d’Italia, Magaldi rivendica orgogliosamente la sua appartenza libero-muratoria e, nel libro, insiste sulla paternità massonica della modernità: «Lo Stato laico, la democrazia e il suffragio universale non li ha portati la cicogna». Rivoluzione Francese, Rivoluzione Americana. Persino la Rivoluzione d’Ottobre: «Prima di far nascere l’Urss, Lenin fondò a Ginevra la superloggia Joseph De Maistre». Inutile stupirsi più di tanto: «E’ comprensibile che il soggetto storico che ha introdotto la modernità poi cerchi anche di pilotarla a suo piacimento».Nei libri di storia, però, di massoneria si accenna, al massimo, tra le pagine dedicate al Risorgimento italiano – essendo massoni Mazzini, Garibaldi e Cavour, anch’essi appartenenti a una corrente impegnata in una lotta secolare contro l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo vaticano. Fuoriuscito dal Grande Oriente d’Italia per fondare una sua associazione, il Grande Oriente Democratico, Magaldi è stato affiliato anche a una storica Ur-Lodge progressista anglosassone, la “Thomas Paine”. E ora ha fondato un organismo politico-culturale, il Movimento Roosevelt, che si richiama al lascito dei Roosevelt, entrambi massoni progressisti: il presidente Franklin Delano, fautore del New Deal, e sua moglie Eleanor, promotrice all’Onu della Dichirazione universale dei diritti dell’uomo. Un orizzonte liberal-socialista, nutrito di idee keynesiane, quelle che ispirarono lo storico piano elaborato da George Marshall per far risorgere l’Europa dalle macerie del dopoguerra. Tradotto oggi: fine dell’austerity disposta dall’Ue ed estensione della spesa pubblica espansiva, verso la piena occupazione. Anche qui: si parla spessissimo di Keynes e del Piano Marshall, evitando però di ricordare che l’insigne economista inglese e il famoso generale erano entrambi massoni progressisti. Magaldi rivela che il loro ultimo “discendente”, il celebre sociologo Arthur Schlesinger Jr., elemento di punta della super-massoneria progressista anglosassone, è l’uomo a cui l’Italia deve il fallimento dei tentativi di colpi di Stato rapidamente succedutisi, promossi da elementi della super-massoneria reazionaria.«L’Italia è sempre stato un paese-laboratorio, un campo di battaglia decisivo dove attuare esperimenti democratici oppure autoritari», spiega Magaldi: «Non a caso, in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani del 1974 venne fatta scoccare il 25 aprile, anniversario della Liberazione italiana, per rispondere al golpe dei colonnelli in Grecia». Come sempre, anche oggi l’Italia è nel mirino: nel 2011 è stata investita in pieno dalla potenza di fuoco dell’élite tecnocratica europea, dopo la lettera della Bce con cui la Troika disarcionò Berlusconi, firmata da Jean-Claude Trichet e dal “fratello” Mario Draghi, cui rispose il “fratello” Napolitano insediando a Palazzo Chigi il “fratello” Mario Monti. Le informazioni contenute nel suo libro, assicura Magaldi, sono tutte documentate in 5.000 pagine di archivio, che l’autore si è sempre dichiarato pronto a esibire in caso di contestazioni. Ma non ce n’è stato bisogno: “Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges” è stato accolto nel modo più comodo, cioè con la congiura del silenzio da parte di tutti, nel mainstream politico-editoriale. Troppe rivelazioni scomode, per troppi personaggi ancora al potere, da Draghi in giù.Silenzio anche dagli storici, presi in contropiede dalla sconcertante rilettura magaldiana del ‘900: il massone Pinochet contro il massone Allende in Cile, il sostegno della massoneria progressista a John Kennedy, lo “scudo massonico” organizzato per tentare di proteggere Bob Kennedy e Martin Luther King, dalle cui uccisioni scaturì una drammatica rottura. Dagli anni ‘70 si affermò l’ala destra, incarnata da leader come Kissinger e Brzezinski, destinati a mettere all’angolo i leader della corrente progressista. Segreti, misteri e contorsioni anche inattese: l’attentato a Reagan promosso dai sostenitori occulti di Bush e l’attentato (speculare e simmetrico) a Papa Wojtyla, orchestrato dall’élite massonica che aveva sostenuto Reagan. La stessa oligarchia del regime di Bruxelles è interamente massonica, sostiene Magaldi, e appartiene alla corrente neo-conservatrice. Per questo oggi siamo arrivati alla recessione strutturale, alla disoccupazione-record, alla depressione storica di un paese come l’Italia. Loro, i neo-aristocratici, hanno colonizzato il pianeta (e l’Europa) col pensiero unico neoliberista: lo Stato deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, rassegati a ridiventare sudditi. Per Magaldi non è solo un attentato alla democrazia, è anche il tradimento della più autentica vocazione massonica.Nel suo saggio, Magaldi rilegge gli eventi epocali che hanno determinato la situazione di oggi, a partire da libri-evento come “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e asservirlo ai diktat delle grandi lobby multinazionali.Nulla di tutto ciò è avvenuto per caso, avverte Magaldi, che nell’esplosiva appendice del suo lavoro editoriale fa dire al massone oligarchico “Frater Kronos” che qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli nel 1980 dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita alla «inquietante, pericolosa e sanguinaria» superloggia denominata “Hathor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy, incluso il turco Erdogan. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge sempre nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro il paravento della “primavera araba”. Ultimo bersaglio, la Russia di Putin. Ma la “geopolitica del caos” si avvale sempre di più della più grottesca creatura dell’intelligence, il fondamentalismo islamico: nel lontano 2009, i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Oggi, Al-Baghdadi è l’uomo che minaccia l’Europa e fa strage di innocenti a Parigi, e c’è chi se ne stupisce: politici e giornalisti esibiscono sconcerto e raccapriccio, come se brancolassero nel buio. Eppure, tra le pagine di “Massoni”, era tutto in qualche modo già scritto. Ma non c’è pericolo che le analisi di Magaldi emergano al punto da affacciarsi in prima serata sul mainstrem televisivo, e neppure sulle pagine sempre reticenti della grande stampa.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.
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Saskia Sassen: è il golpe dei predatori, ci vogliono espellere
La disuguaglianza è inevitabile in sistemi complessi e altamente differenziati, e ci accompagna sin da quando i primi essere umani hanno costruito delle città. Dobbiamo quindi interrogarci sulle condizioni della disuguaglianza: per esempio, dovremmo chiederci quand’è che la disuguaglianza diventa profondamente ingiusta, e quando è accettabile. Anche le economie successive alla seconda guerra mondiale producevano disuguaglianza, ma era una forma di disuguaglianza più o meno ragionevole. Oggi la disuguaglianza, al contrario, è estrema. Il linguaggio sulla “maggiore disuguaglianza”, sulla “maggiore povertà”, sull’aumento dell’incarcerazione, sulla crescita della distruzione ambientale e così via, è insufficiente a individuare il periodo attuale. Ci sono delle rotture in corso. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa cosa. Siamo di fronte a una serie – imponente e diversificata – di espulsioni, una serie che segnala una più profonda trasformazione sistemica, che viene documentata a pezzi, in modo parziale, in studi specialistici diversi, ma che non viene narrata come una dinamica onnicomprensiva che ci sta conducendo in una nuova fase del capitalismo globale, e della distruzione globale.Quella di espulsioni va distinta dalla più comune nozione di “esclusione sociale”: quest’ultima avviene all’interno di un sistema e in questo senso può essere ridimensionata, migliorata, perfino eliminata. Nei sistemi complessi ci sono invece margini sistemici multipli, e le espulsioni attraversano domini e sistemi diversi, dalle prigioni ai campi profughi, dallo sfruttamento finanziario alle distruzioni ambientali. Per come le concepisco io, le espulsioni avvengono nel margine sistemico.Uso il termine “espulsioni” per descrivere una varietà di processi che producono esiti estremi da un lato, e che dall’altro potrebbero essere familiari e ordinari. Tra gli esempi dei processi di espulsione, potrei citare il crescente numero degli indigenti; degli sfollati nei paesi poveri ammassati nei campi profughi formali o informali; dei discriminati e perseguitati nei paesi ricchi depositati nelle prigioni; dei lavoratori i cui corpi sono distrutti dal lavoro e resi superflui a un’età troppo giovane; della popolazione attiva considerata in eccesso che vive nei ghetti e negli slum.Potrei aggiungere le parti della biosfera espulse dal loro spazio vitale a causa delle tecniche estrattive o dell’accaparramento di terre. E insisto sul fatto che il mite linguaggio del “cambiamento climatico” in questo ambito non riesce ad afferrare il fatto che, al livello empirico, esistono vaste distese di terra morta e di acqua morta. Di fronte all’estremo tendiamo a fermarci. È troppo, e troppo sgradevole. Ci mancano i concetti per comprenderlo. Per questo, diventa facilmente il mostruoso. O diviene invisibile, indipendentemente da quanto sia materiale. In “Espulsioni” esamino un ampio raggio di processi che a un certo punto diventano così estremi che il linguaggio familiare del “più” non serve più a spiegarli. Il momento dell’espulsione è il momento in cui una condizione familiare diviene estrema: non si è semplicemente poveri, si è senza casa, affamati, si vive in una baracca. O, per quel che riguarda la terra e l’acqua: come dicevo non è semplicemente degradata, insalubre. É morta, finita.Dovremmo preoccuparci delle “formazioni predatorie”. Sono formazioni complesse, che assemblano una varietà di elementi: élite, capacità sistemiche, mercati, innovazioni tecniche (di mercato e finanziarie) abilitate dai governi. Ci sono per esempio nuovi strumenti legali e contabili, sviluppati nel corso degli anni, che condizionano ciò che oggi ci appare come un contratto legittimo. Ci sono le banche centrali che forniscono quantitative easing: nel caso degli Stati Uniti, 7 bilioni di dollari dei cittadini sono stati messi a disposizione del sistema finanziario internazionale a tassi molto bassi, e poi usati per la speculazione, non per fornire prestiti alle piccole imprese che ne avrebbero disperato bisogno. In questo senso, abbiamo a che fare con zone complesse che assemblano una varietà di elementi, una condizione che eccede il semplice fatto di avere una elite di super-ricchi potenti. Anche se ci liberassimo di tutti i super-ricchi, continueremmo ad avere esiti simili a quelli attuali.Anche i governi sono parte delle formazioni predatorie. Dovremmo archiviare la tesi secondo la quale lo Stato-nazione nel suo complesso è una vittima dei processi di globalizzazione economica. Ed è particolarmente sbagliato quando ci si riferisce al ramo esecutivo dei governi, perché sono i Parlamenti e il ramo legislativo ad aver subito una perdita massiccia di funzioni e potere. Mentre il ramo esecutivo – dunque i presidenti o i primi ministri – hanno ottenuto un particolare, nuovo tipo di potere grazie alla globalizzazione: sono loro a istituire le politiche, ad articolare i trattati commerciali e di investimento che sostengono le corporation. E allo stesso tempo le banche centrali sostengono il sistema finanziario, non i poveri o i piccoli imprenditori.Per lei, la decadenza dell’economia politica del ventesimo secolo inizia negli anni Ottanta del Novecento, benché abbia genealogie spesso più antiche. Alcuni segnali erano evidenti già negli anni Settanta, ma è negli anni Ottanta che l’economia comincia a cambiare rotta, e a restringersi: l’indebolimento dei sindacati, i minori investimenti nelle infrastrutture a beneficio di tutti, incluse quelle per i quartieri e le famiglie meno ricche, l’aumento della concentrazione di potere e ricchezza al vertice, anziché dello sviluppo della classe media. Nel mio libro ho incluso uno schema che mostra come negli anni Ottanta i nostri governi fortemente sviluppati abbiano cominciato a diventare più poveri, mentre nel mondo meno sviluppato, invece di investire nella produzione manifatturiera gli investimenti sono stati dirottati all’estrazione mineraria, al petrolio e ad altri settori primari. Ciò è accaduto per esempio nell’Africa subsahariana, che si era sviluppata negli anni Sessanta e Settanta con il successo dei processi di indipendenza. Questo processo ha prodotto ricchezza per le aziende e per le elite governative corrotte, ma povertà per la popolazione.Questo passaggio da una logica inclusiva a una logica di espulsione segna una vera e propria rottura rispetto alla fase precedente, quella del capitalismo keynesiano del secondo dopoguerra. Negli anni Ottanta c’è stata una rottura radicale, una frattura rispetto al capitalismo keynesiano, la cui logica dominante – nonostante tutti i limiti – era l’inclusione, la riduzione delle tendenze sistemiche alla disuguaglianza, perché il sistema si reggeva sulla produzione e sul consumo di massa, su una logica espansiva dunque. La manifattura di massa, il consumo di massa, la costruzione di case e strade anche per i meno abbienti: tutto ciò è stato ottenuto espandendo lo spazio dell’economia e incorporando le persone nel sistema. Oggi alcuni settori ancora beneficiano di una certa espansione, ma altri settori chiave non ne hanno bisogno, per cui abbiamo una crescita intensa dei profitti totali delle corporation, ma uno spazio economico complessivamente più circoscritto. I profitti delle corporation crescono, ma lo spazio economico si contrae, complessivamente.Il settore del consumo è stato parzialmente distrutto dalla finanziarizzazione dell’economia, che può produrre profitti molto più alti rispetto al settore del consumo. Contestualmente, avviene una ridefinizione de facto dello spazio economico, una contrazione dell’economia, dalla quale viene espulso tutto ciò che (incluse le persone) non è più considerato produttivo secondo i criteri standard. La crescita economica, misurata secondi i criteri convenzionali, è il veleno della nostra epoca. C’è bisogno di economie che rispondano a logiche distributive: più coinvolgono le persone e le realtà territoriali e locali, più le economie ne beneficiano e producono benefici. Oggi avviene il contrario. Ci si libera di tutti i lavoratori sindacalizzati, delle classe media, esclusa dai servizi statali, degli studenti che avrebbero bisogno di università gratuite. La mia tesi è che quando la Germania o il Regno Unito dicono: “la Grecia è il problema, noi siamo a posto”, sbagliano. Le tendenze sono le stesse per tutti questi paesi. La Grecia è soltanto la versione più estrema della stessa tendenza. Nel libro presento un grafico che dimostra in che misura tutte le principali economie dell’Unione Europea, inclusa la Germania, presentino un calo netto, dopo che nel 2008 la crisi è esplosa.La Germania ha un settore manifatturiero forte, che gli ha permesso di recuperare presto. La Grecia ha gli oligarchi che hanno sfruttato il paese, che non pagano le tasse e fondamentalmente non contribuiscono all’economia greca. Le Olimpiadi ne sono l’esempio più evidente. Ma la tendenza è la stessa. La maggior parte degli Stati liberali oggi è in decadenza. Le ragioni sono complesse, e le esamino in dettaglio nel mio libro precedente, “Territorio, autorità, diritti” (Bruno Mondadori, 2008). Le privatizzazioni e la deregolamentazione sono stati fattori cruciali. Un altro fattore è il numero crescente di ricchi e di corporation potenti che pagano sempre meno tasse. La finanziariazzazione dell’economia e il graduale restringimento dei settori economici distributivi come il manifatturiero, è un altro fattore ancora. L’impoverimento delle classi medie, i prezzi più elevati per le case che hanno compromesso la possibilità per i figli di vivere fuori casa, la contrazione del sistema di sostegno sociale organizzato dallo Stato. Sono gli esiti di una logica distorta che ha catturato lo Stato liberale. Agli estremi, gli esiti sono le espulsioni.(Saskia Sassen, estratti dell’intervista “Le nuove logiche del capitalismo predatorio” rilasciata a Giuliano Battiston per “L’Espresso” e ripresa da “Micromega” il 4 novembre 2015. Docente di sociologia alla Columbia University di New York, la Sassen è autrice di “Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale”, Il Mulino, 296 pagine, 25 euro).La disuguaglianza è inevitabile in sistemi complessi e altamente differenziati, e ci accompagna sin da quando i primi essere umani hanno costruito delle città. Dobbiamo quindi interrogarci sulle condizioni della disuguaglianza: per esempio, dovremmo chiederci quand’è che la disuguaglianza diventa profondamente ingiusta, e quando è accettabile. Anche le economie successive alla seconda guerra mondiale producevano disuguaglianza, ma era una forma di disuguaglianza più o meno ragionevole. Oggi la disuguaglianza, al contrario, è estrema. Il linguaggio sulla “maggiore disuguaglianza”, sulla “maggiore povertà”, sull’aumento dell’incarcerazione, sulla crescita della distruzione ambientale e così via, è insufficiente a individuare il periodo attuale. Ci sono delle rotture in corso. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa cosa. Siamo di fronte a una serie – imponente e diversificata – di espulsioni, una serie che segnala una più profonda trasformazione sistemica, che viene documentata a pezzi, in modo parziale, in studi specialistici diversi, ma che non viene narrata come una dinamica onnicomprensiva che ci sta conducendo in una nuova fase del capitalismo globale, e della distruzione globale.
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Volkswagen? Robetta: Gm fece sparire i tram dagli Usa
Emissioni truccate e airbag difettosi: negli ultimi 18 mesi, due dei più grandi produttori di auto al mondo sono stati giudicati responsabili di “complotti di morte”. «Le rivelazioni recenti, tuttavia, non possono competere con gli scandali industriali precedenti», avverte lo scrittore canadese Yves Engler, che punta il dito contro gli infiniti atti di pirateria industriale (e corruzione poltica) per soppiantare il trasporto sostenibile, elettrico, a favore del motore a scoppio. A tener banco, ovviamente, oggi è il caso Volkswagen: l’azienda tedesca è stata colta in flagrante per aver equipaggiato milioni di automobili con sistemi taroccati per la misurazione delle emissioni, “pulite” nel corso dei test ma, durante la guida, con un rilascio di ossido d’azoto 40 volte superiore al limite dichiarato. Così, «migliaia di persone saranno colpite da asma, malattie ai polmoni e altri disturbi». Lo scandalo Volkswagen ricorda quello della General Motors, impegnata a «nascondere i difetti nel meccanismo di accensione dell’airbag in milioni dei suoi veicoli». Gli interruttori difettosi fanno in modo che l’airbag si rompa in caso di incidente: «General Motors riconosce che almeno 124 persone sono morte in conseguenza di un’anomalia, della quale i dirigenti della compagnia erano a conoscenza da anni».In uno scandalo di portata più grande, cinquant’anni fa, ricorda Engler in un post su “Counterpunch” tradotto da “Come Come Chisciotte”, erano emerse informazioni che «coinvolgevano le compagnie di automobili in un complotto, con lo scopo di mantenere la popolazione sotto la coltre di una nebbia tossica». Il “complotto dello smog” è stato rivelato nel 1968, quando il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha archiviato un caso di antitrust contro le “tre grandi”, accusate di collusione nel celare l’installazione di marmitte catalitiche e altre tecnologie per ridurre l’inquinamento. A partire dal 1953, disse il Dipartimento di Giustizia, «i difensori e i co-cospiratori sono stati coinvolti in un accordo e complotto irragionevole per la limitazione della suddetta libera concorrenza e commercio nell’equipaggiamento di controllo delle emissioni inquinanti presente nel motore dei veicoli». Per acquietare le critiche montanti sull’inquinamento dell’aria generato dalle automobili, General Motors, Ford e Chrysler (insieme all’Ama, Automobile Manufacturers Association), trovarono un accordo proprio nel 1953 per la ricerca congiunta sulle tecnologie per ridurre le emissioni inquinanti. «I produttori di automobili hanno asserito che la loro alleanza era determinata dall’interesse per la salute pubblica. Non è stato così».Col passare del tempo, continua Engler, è emersa l’evidenza che le Tre Grandi si erano in realtà unite per rinviare l’installazione dei costosi dispositivi anti-inquinamento. Nel libro “Taken for a Ride”, Jack Doyle scrive che «i produttori di automobili, tramite Ama, hanno complottato non per competere nella ricerca, sviluppo, produzione e installazione dei dispositivi» per il controllo dell’inquinamento. In realtà «hanno fatto, congiuntamente, tutto ciò che era in loro potere per ritardare tale ricerca, sviluppo, produzione e installazione», imbrogliando i consumatori. «Ma lo scandalo di portata ancora più grande, nell’ambito delle automobili, è stato di molto peggiore dell’alleanza dello smog», scrive Engler. «È stato un complotto che ha mutato l’aspetto dei paesaggi urbani in tutto il Nord America». Il capo di General Motors, Alfred Sloan, già nel 1922 aveva creato un gruppo di lavoro con l’incarico di «minare e sostituire il tram elettrico». La prima azione del gruppo fu il lancio di una linea di autobus che, a Los Angeles, arrivava un minuto prima della vettura elettrica. Risultato: la linea dei tram è stata ben presto chiusa. «Al tempo vi erano centinaia di linee tramviarie a Los Angeles, così il caso della chiusura di una di esse non si è rivelato particolarmente degno di nota. Ma ciò è stato foriero di cose a venire».All’inizio degli anni ’20 si assisteva al boom dell’industria tramviaria, ricorda lo scrittore canadese. C’erano 1.200 tra compagnie tramviarie e di treni interurbani, con 29.000 miglia di percorso. Negli anni migliori si superavano i 15 miliardi di passeggeri. Più di mille miglia di percorso per i tram si intersecavano nella sola area di Los Angeles, portando ogni giorno al lavoro la maggior parte delle persone. Ma la concorrenza motorizzata stava crescendo: il numero di auto su strada ha raggiuse quota 20 milioni negli anni ’20. In questo periodo così cruciale nella storia del traffico, «General Motors era intenta nell’eliminazione della concorrenza». Offrì ai politici municipali delle Cadillac gratis, «affinché votassero la condotta della compagnia». Fece pressioni anche sulle banche nelle piccole comunità, «in modo tale da mettere alla fame le compagnie locali che finanziavano i tram». E in seguito fu stato reso disponibile un credito agevolato per le compagnie tramviarie che sostituivano i loro percorsi con autobus di General Motors. Nel 1932, l’azienda fondò l’Ucmt, United Cities Motor Transportation, per l’acquisto di compagnie tramviarie in aree urbane e la loro conversione in linee per autobus. Percorsi rivoluzionati, cavi aerei rimossi. A conversione completata, «la Ucmt ha rivenduto le nuove reti di autobus, a condizione che non venissero riconvertite a tram».Nel relativo anonimato di Galesburg nell’Illinois, continua Engler, la stessa Ucmt fece la sua prima acquisizione di controllo nel 1933. «Muovendosi rapidamente, aveva già smantellato le reti tramviarie in tre centri urbani, prima di ricevere il richiamo ufficiale dell’American Transit Association». Dopo il richiamo ufficiale nel 1935, General Motors sciolse la Ucmt. Ma «non ci è voluto molto prima che le sue attività anti-tram venissero ripristinate e raddoppiate». General Motors e soci «hanno sviluppato un network di organizzazioni per il contatto con la clientela». Nel ‘36, Gm si è unita a Greyhound per formare il gruppo National City Lines; nel 1938 ambedue collaborarono con la Standard Oil della California per creare la Pacific City Lines; nel 1939 altre due compagnie, Phillips Petroleum e Mack Truck, si unirono alla National City Lines. Infine, American City Lines è stata creata nel 1943 per focalizzarsi sulle città più grandi. Più difficile la penetrazione di Gm nelle grandi città: «Nelle aree urbane più grandi le linee dei tram erano spesso di proprietà delle compagnie elettriche, le quali con i guadagni della vendita dell’energia elettrica, hanno potenziato le rotaie».Le compagnie elettriche, spiega Engler, beneficiarono di un accantonamento fiscale che permise loro di assorbire i deficit dei tram, tramite tasse più basse. Ma la cosa non sfuggì agli strateghi di Gm, prontissimi come sempre a premere sui politici per promuovere i propri sacri interessi: «Bloccata da quest’accordo di proprietà dell’elettricità per i tram, all’inizio degli ’30 General Motors ha prodotto una quantità di dossier per il Congresso, sottolineando la mancanza di entrate erariali che ne è risultata». Come prevedibile, «la strategia di General Motors si è rivelata un successo». Il Public Utility Holding Company Act del 1935 «ha reso estremamente difficile per le compagnie energetiche possedere le linee dei tram», e così hanno iniziato a venderle. «Diciotto mesi dopo, General Motors ha fatto a pezzi 90 miglia di rete tramviaria a Manhattan. Dopo aver trasformato con successo il sistema tramviario di New York, General Motors e i suoi amici intimi si sono spostati a Tulsa, Philadelphia, Montgomery, Cedar Rapids, El Paso, Baltimora, Chicago e Los Angeles. Detto fatto, un centinaio di reti elettriche di trasporto in 45 città sono state fatte a pezzi, convertite e rivendute». Verso la metà degli anni ’50, quasi il 90% della struttura elettrica dei tram negli Stati Uniti era stata liquidata.«I difensori di General Motors negano che qualsiasi complotto abbia avuto luogo», scrive Engler. Tuttavia i fatti sono schiaccianti: come ha evidenzato Edwin Black nel libro “Internal Combustion”, General Motors fu condannata dal Dipartimento di Giustizia, dal Senato e dai tribunali «per pratiche anti-trust che erano parte di questo complotto internazionale». In una sezione dell’accusa del 1947 si legge che i difensori furono «coinvolti coscienziosamente e di continuo in un accordo sleale e illecito», nonché «in un complotto per l’acquisizione di un reale interesse finanziario in una parte effettiva delle compagnie che forniscono il servizio di trasporto locale in varie città», per «eliminare ed escludere la concorrenza nella vendita degli autobus, dei derivati del petrolio, dei pneumatici e delle camere d’aria alle compagnie locali di trasporto». Il verdetto fu di colpevolezza. «Tuttavia, la punizione per aver complottato per distruggere un modello di traffico di massa è ammontata a una multa di 5.000 dollari: non certo un deterrente, per una compagnia che vale miliardi di dollari».Emissioni truccate e airbag difettosi: negli ultimi 18 mesi, due dei più grandi produttori di auto al mondo sono stati giudicati responsabili di “complotti di morte”. «Le rivelazioni recenti, tuttavia, non possono competere con gli scandali industriali precedenti», avverte lo scrittore canadese Yves Engler, che punta il dito contro gli infiniti atti di pirateria industriale (e corruzione poltica) per soppiantare il trasporto sostenibile, elettrico, a favore del motore a scoppio. A tener banco, ovviamente, oggi è il caso Volkswagen: l’azienda tedesca è stata colta in flagrante per aver equipaggiato milioni di automobili con sistemi taroccati per la misurazione delle emissioni, “pulite” nel corso dei test ma, durante la guida, con un rilascio di ossido d’azoto 40 volte superiore al limite dichiarato. Così, «migliaia di persone saranno colpite da asma, malattie ai polmoni e altri disturbi». Lo scandalo Volkswagen ricorda quello della General Motors, impegnata a «nascondere i difetti nel meccanismo di accensione dell’airbag in milioni dei suoi veicoli». Gli interruttori difettosi fanno in modo che l’airbag si rompa in caso di incidente: «General Motors riconosce che almeno 124 persone sono morte in conseguenza di un’anomalia, della quale i dirigenti della compagnia erano a conoscenza da anni».
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Crisi senza fine? La previde vent’anni fa il “profeta” Craxi
Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.Rivelazioni che «spiegano con parole mirate e incisive i fatti degli ultimi anni ed odierni, ancora oggi tristemente e quotidianamente sotto gli occhi del tutto ignari della quasi totalità» del pubblico, che magari vota Renzi e ha di Craxi un pessimo ricordo. Un libro, quello dell’ex leader del Psi, definito (oggi) da diversi giornalisti “profetico”, “sorprendente”, “agghiacciante”, “al limite della preveggenza”. Lo Stato è a pezzi, così come l’idea di nazione? «La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata», scrive Craxi. «Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali». Al contrario, «cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire». E attenti: «Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare».Da Mani Pulite, Craxi fu liquidato come “capo di una banda di ladri” per via del finanziamento illecito ai partiti, compreso il suo? «I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico – scrive l’ex leader socialista – sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira, evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla».Possibile che sul finanziamento illecito non avesse niente da dichiarare il Pci? «D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico», scriveva Craxi. «Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”». E’ storia, ormai: «Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra e adottato da tutti, anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio».“Serviva”, quel coperchio, per legittimare una “nuova” classe dirigente europeista, usa obbedir tacendo. «Il regime avanza inesorabilmente: lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato», scriveva Craxi quasi vent’anni or sono. «La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza». Il regime, continua Craxi, «avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante». A proposito di “sottocultura”, Bellisario ricorda il recentissimo attacco «violento, squallido e di bassissimo profilo» sferrato da Luciana Littizzetto contro il Movimento 5 Stelle nientemeno che dalla tribuna televisiva di Fabio Fazio, sulla Rai (in compenso, all’epoca, dalla televisione di Stato fu cacciato Beppe Grillo, colpevole di mettere alla berlina di socialisti “ladri”: anche di quello si occupava, Craxi, anziché esternare sui pericoli della globalizzazione privatizzatrice in arrivo).«Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici», scrisse più tardi, da Hammamet, il segretario del Psi. «A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione», che è sempre «presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca: una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale». Parole sante, col senno del poi? Non si direbbe: la Grande Privatizzazione continua anche ora e più che mai, con Renzi, che mette all’asta persino un modello di impresa pubblica in super-attivo, Poste Italiane.Facile dire che vedeva lungo, Craxi: «La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza». Chissà cos’avrebbe detto, oggi, di fronte agli ultimi orrori, a comiciare dal Ttip, il Trattato Transatlantico Usa-Ue che rade al suolo ogni residua sovranità economica. Per non parlare del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio inserito addirittura in Costituzione, a certificare la morte clinica dello Stato come garante della comunità nazionale. Ai tempi, quando i Prodi e i Ciampi magnificavano il dorato avvenire promesso da Bruxelles, Craxi scriveva: «I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti». E l’andamento di questi anni «non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori: la situazione odierna è diversa da quella sperata».Ogni trattato, aggiungeva Craxi, può e deve essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali e alle nuove esigenze: «Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà», lontano cioè dall’autismo dogmatico dei tecnocrati e dei loro cantori più o meno prezzolati, distribuiti in ogni paese. «Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione». La “scelta della crisi”, dunque, da cui la “conseguente disoccupazione”. L’euro? No, grazie: «Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro». Ed era solo la fine degli anni ‘90. L’Italia non era ancora finita nel girone infernale della Bce: recessione e crollo del Pil, super-tassazione, licenziamenti e fallimenti, erosione dei risparmi, disperazione sociale, rassegnazione al declassamento dell’Italia Così parlava il “profeta” Craxi. Rileggerlo oggi? Scomodo, per troppi personaggi in pista già allora. Uomini che però, anziché ad Hammamet, sono fini alla Bce, al Fondo Monetario e all’Ocse, a Bankitalia, alla Goldman Sachs. E naturalmente a Palazzo Chigi, e al Quirinale.Col suo libro esplosivo sulle 36 super-logge segrete del massimo potere mondiale (“Massoni, società a responsabilità illimitata”, edito da Chiarelettere), il massone Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico in aperta polemica con la massoneria ufficiale italiana, «ha completamente riscritto la storia degli ultimi non so quanti anni», scrive Vincenzo Bellisario sul sito del “Movimento Roosevelt”, nato su impulso dello stesso Magaldi per squarciare il velo sulla politica italiana dominata dall’élite internazionale e contribuire a democratizzare il sistema, in un percorso di ripristino della perduta sovranità. Ma a fare un’anologa denuncia, ricorda Bellisario, fu il vituperato Bettino Craxi, dal suo esilio di Hammamet, nella seconda metà degli anni ‘90. Memoriale uscito nel 2014, col titolo “Io parlo, e continuerò a parlare” (Mondadori). Altro libro utilissimo, dice Bellisario, «per comprendere in “altri termini” cos’è accaduto e accade in Italia, in Europa e nel mondo», ovvero: nomi e cognomi di chi ci ha inguaiato davvero, precipitandoci in questa crisi infinita.
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Gender: facile da controllare, l’uomo senza identità sessuale
Verso il cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, le élites starebbero tentando di “rielaborare” l’umanità a proprio piacimento, anche grazie la creazione dell’“uomo senza identità” che sarebbe fabbricato dall’ideologia gender, le cui strategie (e obiettivi) vengono messi a fuoco dal libro “Unisex” di Enrica Perucchietti, scritto a quattro mani con Gianluca Marletta. «Un libro che ancor prima di essere pubblicato ha scatenato forti polemiche da parte dei movimenti femministi e Lgbt, secondo i quali la cosiddetta “teoria gender” nemmeno esiste», scrive Riccardo Allione su “Vvox”. L’autrice però non ci sta: «L’ideologia di genere esiste e ha la sua storia: l’espressione è stata coniata da John Money, padre degli studi di genere insieme ad Alfred Kinsey. Dopo gli anni ’80 si arenò in seguito ai fallimenti degli esperimenti di Money e oggi è stata riesumata. È vero che esistono gli studi di genere, ma d’altra parte c’è il tentativo politico-mediatico di recuperare velleità dei padri del gender». Niente complottismi, dice la Perucchietti. Ma è evidente il «processo di globalizzazione spinto dalle lobby mondialiste che mira a spersonalizzare l’individuo, e questo processo si sta focalizzando sulla questione dell’identità sessuale, per rendere le nuove generazioni più facilmente manipolabili e omologate».Nel concreto, da un lato le multinazionali finanziano le campagne elettorali chiedendo in cambio di promuovere quelle politiche, e dall’altro c’è l’industria culturale: «Sempre più spesso, film e serie tv fanno passare l’idea di una sessualità fluida». Nel libro, la Perucchietti cita un serial di Mtv, “Faking it”, dove le protagoniste e i loro amici cambiano più volte orientamento sessuale nel corso della stagione. «C’è anche la musica: basta pensare a Miley Cyrus o Lady Gaga, che pur non essendo gay si fanno portavoce delle cause omosessuali, strumentalizzando il messaggio come strategia di marketing costruita a tavolino». Questo progetto avrebbe un duplice scopo: «I padri dell’ideologia gender sognavano una “democrazia sessuale” globale dove tutti gli orientamenti fossero leciti e legali, compresa la pedofilia. La seconda finalità è il controllo sociale: individui sempre più spersonalizzati e disorientati, senza un’identità definita, sono più facili da manipolare».Dietro l’intenzione di distruggere la famiglia tradizionale sostituendola con altri modelli c’è anche una questione economica: «Nel momento in cui vengono sdoganate le famiglie omogenitoriali, che per forza di cose non possono avere figli, si favorisce il business delle maternità surrogate e degli uteri in affitto». Tuttavia, spiega la Perucchietti, la questione non riguarda l’omosessualità in sé. «Nel libro contestiamo il fatto che si sta spingendo verso un’idea di sessualità culturale: non si nasce maschio o femmina per natura, ma lo si diventa per cultura. Un’idea contestata anche da Vladimir Luxuria durante una diretta radiofonica a cui ho partecipato. Eppure è questo ciò che insegnavano i fondatori dell’ideologia di genere. Il rischio è di sfociare nel trans-umanesimo, nel post-umano, e quello che preoccupa è che tale manipolazione avviene in maniera sempre più capillare e perfino violenta».Per contro, osserva Allione, si potrebbe controbattere che la difesa dei “valori tradizionali” è a sua volta propaganda dei poteri forti più conservatori, ad esempio la Chiesa. «Qualsiasi tesi portata avanti con il vessillo di un dogma rischia di diventare fanatismo o di essere strumentalizzata», taglia corto l’autrice. «Le difese a oltranza sono sbagliate, si finisce sempre in fazioni pro o contro, ma così non si dialoga. Non si può combattere un’ideologia con un’altra ideologia. Noi abbiamo cercato di curare un’inchiesta giornalistica storico-sociologica nel modo più obbiettivo possibile». Venendo all’attualità e al polverone alzato dal disegno di legge Fedeli sull’educazione di genere a scuola, «si è fatta molta disinformazione, però il ministro Giannini che dichiara che l’ideologia di genere è una bufala minacciando le vie legali, ricorda molto la “psico-polizia” di Orwell». Per quanto riguarda invece i libri per l’infanzia censurati a Venezia, per la giornalista torinese «l’idea dell’insegnamento gender all’asilo o alle elementari è assolutamente folle».A scuola, aggiunge la Perucchietti, non bisognerebbe parlare di certe tematiche a bambini così piccoli: «Non conosco tutti i libri, ma ne ho letti alcuni, come quello sulla maternità surrogata (“Perché hai due mamme?”, edito da “Lo Stampatello”), che mi è sembrato pazzesco. Perché bisogna spiegare queste cose a un bambino di quattro anni? Non si capisce, a me pare una strumentalizzazione per sdoganare la fecondazione eterologa». Per contrastare questa “mutazione antropologica” messa in atto dall’ideologia gender, l’unica strada passa dall’informazione. «Sia chi è contro il gender, sia i sostenitori, si sono formati un’idea sulla base di chiacchiere, per sentito dire. Molte delle critiche al nostro libro sono state fatte prima della sua pubblicazione. Come si fa a stroncare un libro non ancora uscito, sulla base della copertina? Ci vuole senso critico, dopodiché uno si forma un’idea, ma non sulla base di posizioni acritiche e fanatiche».(Il libro: Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, “Unisex – Cancellare l’identità sessuale, la nuova arma della manipolazione globale”, Arianna Editrice, 224 pagine, euro 11,80).Verso il cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, le élites starebbero tentando di “rielaborare” l’umanità a proprio piacimento, anche grazie la creazione dell’“uomo senza identità” che sarebbe fabbricato dall’ideologia gender, le cui strategie (e obiettivi) vengono messi a fuoco dal libro “Unisex” di Enrica Perucchietti, scritto a quattro mani con Gianluca Marletta. «Un libro che ancor prima di essere pubblicato ha scatenato forti polemiche da parte dei movimenti femministi e Lgbt, secondo i quali la cosiddetta “teoria gender” nemmeno esiste», scrive Riccardo Allione su “Vvox”. L’autrice però non ci sta: «L’ideologia di genere esiste e ha la sua storia: l’espressione è stata coniata da John Money, padre degli studi di genere insieme ad Alfred Kinsey. Dopo gli anni ’80 si arenò in seguito ai fallimenti degli esperimenti di Money e oggi è stata riesumata. È vero che esistono gli studi di genere, ma d’altra parte c’è il tentativo politico-mediatico di recuperare velleità dei padri del gender». Niente complottismi, dice la Perucchietti. Ma è evidente il «processo di globalizzazione spinto dalle lobby mondialiste che mira a spersonalizzare l’individuo, e questo processo si sta focalizzando sulla questione dell’identità sessuale, per rendere le nuove generazioni più facilmente manipolabili e omologate».
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Barnard: il futuro è l’agri-business, e la mafia salverà l’Italia
Il celeberrimo economista del ‘700 Adam Smith (che tutti hanno travisato oggi) si trovò di fronte a una scelta di realismo: doveva scegliere fra un male abominevole, e cioè il dominio assoluto di Re e nobili parassiti, autoritari, succhiasangue di tutti senza far nulla, e un male assai minore, cioè il Libero Mercato nascente all’epoca della nuova borghesia commerciale. Fu REALISTA realista. Non era certo una “bella anima” deficiente come quelle che qui oggi predicano peace&love fuori dal capitalismo senza capire un cazzo della realtà. Adam Smith sapeva che la scelta era quella, e realisticamente scelse il Libero Mercato solo perché gli altri erano troppo orribili da contemplare. Oggi siamo allo stesso punto. Piacerebbe avere il mondo della giustizia e delle violette, ma non ci è concesso. La scelta oggi è di nuovo fra il Neofeudalesimo orripilante della politica tecnocratica europea, fra le Mafie pressoché medievali che abbiamo, e la più moderabile realtà del Mercato. Qui per ora dobbiamo scegliere. Per ora. Chi mi conosce sa il curriculum che ho. Gli altri pazienza.A questo punto dell’apocalisse in Eurozona, quando siamo alla fase forse più terribile del progetto di Friedrich Von Hayek (1899-1992) di distruzione di 250 anni di costruzioni democratiche, progetto pienamente avviato dalle tecnocrazie europee (fra cui quelle italiane di Andreatta, Padoa Schioppa, D’Alema, Bersani, De Benedetti, Prodi, Renzi ecc.), ho in mente quella che è l’unica via d’uscita. Ho in mente qualcosa un secolo avanti. Siamo quindi rimasti fra noi, le persone. Io, con mia madre cieca e 91enne che ha un badante che le succhia (meritevolmente) più di mezza pensione, e sempre io che devo vivere con mia madre con l’altra mezza pensione. Tu che lavori per una miseria, tu che sei un ‘flessibile’, tu che dopo la laurea hai nulla, tu che hai avuto il tuo primo contratto indeterminato a 50 anni, tu che sei cassintegrato, tu che bestemmi come regola ogni giorno, tu pensionato esodato indebitato, voi gente vera. Stiamo con l’Italia della disoccupazione fuori controllo che passa scoreggiando davanti al Job Act di Renzi (meno di 130.000 posti di lavoro creati dal fiorentino, con 285.000 posti persi solo per il sì del fiorentino alle sanzioni alla Russia, poi il resto della débacle).Stiamo con le Piccole Medie Imprese i cui marchi se li stanno comprando per spiccioli i cinesi e russi e tedeschi, a causa del deprezzamento indotto dall’Eurozona sui paesi del Sud Europa, a un ritmo di 350 marchi di prestigio che perdiamo all’anno. Stiamo col fatto che oggi un laureato in giurisprudenza o medicina se non emigra va a lavorare nei pub, anche con famiglia che appoggia. Ok. Sono anni che listo i disastri italiani. Soluzione via d’uscita di Realismo N.1, prima di arrivare alle Mafie: A) Tornare alla Lira, cioè alla moneta sovrana, e applicare le politiche economiche chiamate Mosler Economics. Le potete leggere QUI APPIENO qui appieno. Cosa significano in soldoni? Significano una cosa importantissima fra le tante benefiche per l’Italia, e leggete: “Che l’Italia torna ad avere la sovranità di emettere la propria moneta senza limiti, come fanno Usa e Giappone e Inghilterra. Quindi i mercati sapranno che qualsiasi cosa investano sullo Stato italiano, questo Stato in possesso di moneta sovrana emessa senza limiti sarà sempre in grado di ripagarla in pieno e puntuale. La famosa “ability to pay”, cioè capacità di pagare sempre, che è l’unica cosa che interessa i mercati”.“Oggi non l’abbiamo perché usiamo l’euro, che è moneta non italiana e che dobbiamo prensdere in prestito dalla Bce per pagare i mercati, che per questo motivo diffidano di noi. Ripresa la moneta sovrana in Italia, i mercati tornerano a investire a man bassa sull’Italia ricca (perché lo siamo), sull’Italia sicura nei ripagamenti, e sull’Italia con la piccola media impresa migliore del mondo”. I Mercati sono amorali, sono liberi, vanno dove si sentono sicuri, e se saranno sicuri della ABILITY TO PAY ability to pay dell’Italia con moneta sovrana illimitata, noi li avremo in massa a investire su questo paese geniale che ha saputo passare dalle rovine a livello kosovaro della II Guerra Mondiale alla 5a potenza del mondo in soli 35 anni. I Mercati questo lo sanno, sanno di che fibra siamo fatti, sanno che un tintore di pelli di Reggio Emilia sa battere la concorrenza di tutto il pianeta e diventare un mostro multimiliardario per Ferré, Dolce & Gabbana, Gucci e Krizia. Lo sanno i Mercati di che pasta siamo fatti sul lavoro, e da noi verranno in massa. Sui nostri titoli di Stato investiranno tranquilli (facendoci crollare i tassi d’interesse che Roma paga su di essi), ma, ripeto, solo se avremo quella “ability to pay” che viene dall’essere sovrani nella moneta come Usa, Gb e Giappone.E qui siamo alle Mafie. Salveranno il Sud Italia. Ora, voi, fermi. Quanto guadagnano in stime approssimative le 3 maggiori Mafie italiane all’anno, assommate? Le stime ci dicono circa 100 miliardi di dollari lordi (il riciclaggio gliene mangia enormi fette, quindi il netto è molto meno). Ora attenzione: quanto guadagna una singola megabanca d’investimento, UNA SINGOLA una singola, all’anno lordi? Prendiamo Jp Morgan di Ny: sono 101 miliardi di dollari nel 2014. E questa è una singola banca d’investimento, UNA SOLA una sola, che guadagna poco più delle tre maggiori Mafie del mondo. Quante megabanche esistono nel mondo e quanto guadagnano, quindi? Mafie, fatevi una pippa. Quando le Mafie si sbarazzeranno, e ACCADRA’ e accadrà, dei pecorari cervelli di culo di cane che ancora le dominano, capiranno che il loro futuro di ricchezza sta nel mega-banking in Sud Italia. Le Mafie lasceranno perdere gli investimenti puzzoni in puttane, armi, droga, racket, pizzi, omicidi, ed edificheranno le Istituzioni Finanziarie più avanzate del Sud Mediterraneo. Perché?Perché siamo in attesa del BOOOOM boooom, e lo scrivo appositamente così, della più grande industria planetaria del futuro: l’AGRIBUSINESS agribusiness per il cibo, in sviluppo nell’Africa sub-sahariana. E chi si trova in Occidente ma vicino a quell’Africa? Questo dovete CAPIRLO, CAPIRLO capirlo, capirlo!! Cristo: il Sud Italia è posizionato come nessuna terra al mondo all’incrocio dei traffici più lucrosi dei prossimi 500 anni, quelli del…. CIBO cibo! No, non è il petrolio che manca. Non è il cobalto. Non sono cotone e computer. E’… IL CIBO il cibo. In Africa, la Cina, i Sauditi, la Korea e altri stanno comprando appezzamenti da dedicare all’Agribusiness con altissime tecnologie che sono grandi come mezza Francia o come l’intero Belgio. E mica sono scemi. E’ il cibo che scarseggia al mondo, e questa scarsità diverrà insostenibile quando 1 miliardo e 400 milioni di cinesi, quasi 1 miliardo d’indiani, poi i brasiliani e indonesiani ecc. arriveranno alla classe media. Sarà allora che l’Agribusiness per cibo spazzerà via qualsiasi concorrente in affari.E chi, ditemi chi, avrebbe la capacità di smistare gli affari richiesti da Cina, India, Brasile, Indonesia, come super-banche a pochi chilometri dal Sudan, dalla Tunisia, dall’Egitto? IL SUD ITALIA! Il Sud Italia! Le Mafie abbandoneranno la criminalità miserabile, apriranno super-banche e ci porteranno miliardi in parcelle, investimenti e intermediazioni sull’Agribusiness africano, e molto altro in finanza. Fine famiglie di puzzoni psicopatici di Napoli, Sorrento, Catania, Palermo, Reggio, trogloditi taglieggiatori & puttanieri, fine riciclaggio di rifiuti tossici o armi, fine di un’epoca. Ora, realismo. Adam Smith vienici in aiuto. Non è il mondo peace&love di John Lennon. Ma è di certo un mondo assai migliore di quello di oggi. Cosa avremo?Di fatto avremo due cose: LA SOVRANITA’ POLITICA ED ECONOMICA DEL LEGISLATORE ITALIANO. E LE EX-MAFIE DIVENUTE COLLETTI BIANCHI NEI GRATTACIELI DI POZZUOLI O MESSINA A FAR AFFARI SOTTO I REGOLATORI PARLAMENTARI, COME A WALL STREET. La sovranità politica ed economica del legislatore italiano. E le ex-Mafie divenute colletti bianchi nei grattacieli di Pozzuoli o Messina a far affari sotto i regolatori parlamentari, come a Wall Street. Non c’è paragone con lo sfacelo italiano di oggi. Non esiste paragone. Poi da lì i nostri figli ripartiranno con un’altra battaglia, quella che oggi si combatte in Usa: come portare i secondi pienamente sotto il controllo dei primi per l’Interesse Pubblico. Ma questa è un’altra storia. Realismo: inutile sognare. Già oggi ci leccheremmo i baffi se avessimo uno Stato pienamente sovrano e benestante, e non più le 3 maggiori Mafie di assassini pecorari ricatta-vedove spacciatori trafficanti in droga e armi e puttanieri internazionali. Ecco tutto. Ecco come potrebbe accadere. Realisticamente.(Paolo Barnard, “Ci salveranno i Mercati e le Mafie, per ora. Grazie, Adam Smith”, dal blog di Barnard del 13 settembre 2015).Il celeberrimo economista del ‘700 Adam Smith (che tutti hanno travisato oggi) si trovò di fronte a una scelta di realismo: doveva scegliere fra un male abominevole, e cioè il dominio assoluto di Re e nobili parassiti, autoritari, succhiasangue di tutti senza far nulla, e un male assai minore, cioè il Libero Mercato nascente all’epoca della nuova borghesia commerciale. Fu realista. Non era certo una “bella anima” deficiente come quelle che qui oggi predicano peace&love fuori dal capitalismo senza capire un cazzo della realtà. Adam Smith sapeva che la scelta era quella, e realisticamente scelse il Libero Mercato solo perché gli altri erano troppo orribili da contemplare. Oggi siamo allo stesso punto. Piacerebbe avere il mondo della giustizia e delle violette, ma non ci è concesso. La scelta oggi è di nuovo fra il Neofeudalesimo orripilante della politica tecnocratica europea, fra le Mafie pressoché medievali che abbiamo, e la più moderabile realtà del Mercato. Qui per ora dobbiamo scegliere. Per ora. Chi mi conosce sa il curriculum che ho. Gli altri pazienza.
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Paghiamo il pizzo al Pentagono, purché non faccia più guerre
Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele. Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione. Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente americano non può farci niente. Il presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini. In pratica, Obama è irrilevante. Può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice: “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà: “Sissignore!”.Obama può promettere l’assistenza sanitaria a 50 milioni di americani che non ce l’hanno, ma non può sconfiggere il veto della lobby della guerra e della lobby delle assicurazioni. La lobby della guerra dice che i profitti di guerra sono più importanti dell’assistenza sanitaria e che il paese non si può permettere sia la “guerra al terrore” che la “medicina socializzata”. La lobby delle assicurazioni dice che l’assistenza sanitaria deve venir data dalle assicurazioni sanitarie private; altrimenti non possiamo permettercela. Le lobby della guerra e delle assicurazioni hanno sventolato le loro agende con i contributi versati in campagna elettorale e molto velocemente hanno convinto il Congresso e la Casa Bianca che lo scopo reale del progetto di legge sull’assistenza sanitaria è di salvare soldi tagliando i benefici a “Medicare” e “Medicaid”, e quindi «mettere gli “entitlements” [diritti acquisiti] sotto controllo». “Entitlements” è una parola usata dalla destra per denigrare le poche cose che, in un lontano passato, il governo faceva per i suoi cittadini. La “Social Security” e “Medicare”, ad esempio, vengono denigrati come “entitlements”.La destra continua senza sosta a parlare della “Social Security” e di “Medicare” come se fossero regali dati a persone incapaci che rifiutano di prendersi cura di se stesse, quando in realtà i cittadini vengono di gran lunga sovratassati con un’imposta del 15% nelle loro paghe per avere in cambio dei magri benefici. Infatti per decenni ormai il governo federale ha finanziato le sue guerre e i budget militari con le entrate in surplus raccolte dalla tassa sul lavoro della “Social Security”. Sostenere, come fa la destra, che non possiamo permetterci l’unica cosa nell’intero budget che ha in modo consistente prodotto delle entrate in eccesso sta ad indicare che lo scopo reale è di portare il cittadino medio ad uno stato di indigenza. I veri “entitlements” non vengono mai menzionati. Il budget della “difesa” è un entitlement per il complesso militare e della difesa, sul quale il presidente Eisenhower ci mise in guardia 50 anni fa. Una persona dev’essere folle per credere che gli Stati Uniti, “l’unica superpotenza del mondo”, protetta da oceani ad Est e a Ovest e da Stati-fantoccio a Nord e a Sud, abbia bisogno di un budget della “difesa” superiore all’intera spesa militare del resto mondo messo insieme.Il budget militare è nient’altro che un “entitlement” per il complesso militare e della sicurezza. Per nascondere questo fatto, l’entitlement viene mascherato come una protezione contro i “nemici” e fatto passare attraverso il Pentagono. Io dico, eliminiamo l’intermediario e distribuiamo semplicemente una percentuale del budget federale al complesso militare e della sicurezza. In questo modo non avremo bisogno di inventare scuse per invadere altri paesi e andare a fare la guerra con il solo scopo di dare al complesso militare e della difesa il suo “entitlement”. Sarebbe molto più economico dargli i soldi direttamente, e salverebbe anche un sacco di vite umane e sofferenze in patria e all’estero. L’invasione statunitense dell’Iraq non aveva proprio niente a che fare con gli interessi nazionali americani. Aveva a che fare con i profitti sugli armamenti e con l’eliminazione di un ostacolo all’espansione territoriale israeliana. Il costo della guerra, oltre i 3 trilioni di dollari, è stato di 4.000 americani morti, oltre 30.000 feriti e mutilati, decine di migliaia di matrimoni americani distrutti e carriere perdute, un milione di iracheni morti, quattro milioni di iracheni profughi e un paese ridotto in macerie. Tutto questo è stato fatto per i profitti del complesso militare e della sicurezza e anche affinchè la paranoide Israele, armata con 200 bombe nucleari, potesse sentirsi “sicura”.La mia proposta renderebbe il complesso militare e della difesa ancora più ricco, dato che le compagnie riceverebbero i soldi senza aver bisogno di costruire le armi. Piuttosto, tutti i soldi potrebbero venir usati per bonus multimilionari e dividendi distribuiti agli azionisti. Nessuno, in patria o all’estero, dovrebbe venir ucciso, e il contribuente sarebbe ben più felice. Non c’è alcun interesse nazionale americano nella guerra in Afghanistan. Come rivelato dall’ex ambasciatore britannico Craig Murray, lo scopo della guerra è di proteggere gli interessi della Unocal per un oleodotto che passa attraverso l’Afghanistan. Il costo della guerra è di gran lunga superiore all’investimento dell’Unocal nell’oleodotto. L’ovvia soluzione è di comprare l’Unocal e dare l’oleodotto agli afghani come parziale risarcimento per la distruzione che abbiamo inflitto a quel paese e alla sua popolazione, e di portare le truppe a casa.Il motivo per cui le mie ragionevoli soluzioni non verranno attuate è che le lobby pensano che i loro “entitlements” non potrebbero sopravvivere se diventassero evidenti a tutti. Loro pensano che se il popolo americano sapesse che le guerre stanno venendo combattute per arricchire le industrie degli armamenti e del petrolio, la gente fermerebbe le guerre. In realtà, il popolo americano non ha diritto di opinione su ciò che il “suo” governo fa. I sondaggi mostrano che metà o più della metà del popolo americano non sostiene le guerre in Iraq e Afghanistan e non sostiene l’escalation del presidente Obama per quanto riguarda la guerra in Afghanistan. Nonostante ciò, le occupazioni e le guerre continuano. La Russia di Putin ha già paragonato gli Usa alla Germania nazista, e il premier cinese ha paragonato gli Usa a un debitore irresponsabile e immorale. Gli inglesi stanno indagando sul loro capo criminale, l’ex primo ministro Tony Blair, e l’inganno che mise in piedi contro il suo stesso consiglio dei ministri per fornire una scusa a Bush per la sua invasione illegale dell’Iraq.Agli investigatori inglesi è stata negata l’abilità di presentare accuse penali, ma la questione della guerra basata interamente su una macchinazione di bugie e inganni sta venendo ben diffusa. Riecheggierà per tutto il pianeta, e il mondo vedrà che non esiste un’indagine simile negli Usa, il paese da dove ebbe origine la Guerra Falsa. Nel frattempo, le banche d’investimento Usa, che hanno distrutto la stabilità finanziaria di molti governi, incluso quello degli Usa, continuano a controllare, come hanno sempre fatto fin dall’amministrazione Clinton, la politica economica e finanziaria degli Usa. Il mondo ha sofferto in modo terribile per i gangsters di Wall Street, e adesso guarda all’America con occhio critico. I sondaggi nel mondo mostrano che gli Usa e il suo capo-fantoccio vengono visti come le due più grandi minacce per la pace. Washington e Israele superano nella lista dei più pericolosi il regime pazzoide della Nord Corea. Quando il dollaro sarà sovra-inflazionato da una Washington incapace di pagare i suoi conti, il mondo sarà spinto dall’avidità e cercherà di salvarci per salvare i suoi investimenti, oppure dirà “grazie a Dio, che liberazione”.(Paul Craig Robers, estratti da “Il fantoccio Obama”, intervento pubblicato da “Information Clearing House” e ripreso dal blog “Vox Populi” il 25 agosto 2015. Eminente economista e politologo, Craig Roberts fu tra i più stretti collaboratori di Ronald Reagan).Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele. Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione. Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente americano non può farci niente. Il presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini. In pratica, Obama è irrilevante. Può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice: “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà: “Sissignore!”.