Archivio del Tag ‘Lituania’
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Guerra e gas, obbedire a Obama è un pessimo affare
Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.Significativo, scrive Dinucci sul “Manifesto”, è che la visita di Obama in Europa si sia aperta con il terzo summit sulla sicurezza nucleare: una creazione dello stesso Obama, «non a caso Premio Nobel per la Pace», per “mettere in sicurezza” l’immenso arsenale atomico occidentale: alle 8.000 testate nucleari americane, tra cui 2.150 pronte al lancio, si aggiungono le 500 testate francesi e britaniche, che portano il totale Nato a oltre 2.600 testate pronte al lancio, a fronte delle circa 1.800 russe. Potenziale ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli Usa di oltre 300 chili di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito adatti alla fabbricazione di armi nucleari, cui si aggiungono 20 chili da parte dell’Italia. Nel club nucleare c’è anche Israele, l’unica potenza nucleare in Medio Oriente (non aderente al Trattato di non-proliferazione), che possiede fino a 300 testate e produce tanto plutonio da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki.Obama ha ordinato che circa 200 bombe B-61 schierate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia (violando il trattato di non-proliferazione) siano sostituite con nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, progettate in particolare per il caccia F-35, comprese quelle anti-bunker per distruggere i centri di comando in un “first strike” nucleare. La strategia di Washington ha un duplice scopo, sostiene Dinucci: da un lato, ridimensionare la Russia, che ha rilanciato la sua politica estera (si veda il ruolo svolto in Siria) e si è riavvicinata alla Cina, e dall’altro «alimentare in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati». Alcuni sono veri e propri alleati, come la Germania: «Con il governo tedesco Washington tratta per la spartizione di aree di influenza». Con altri, come l’Italia, semplici paesi satelliti, la Casa Bianca «si limita a pacche sulle spalle sapendo di poter ottenere ciò che vuole».Contemporaneamente, continua Dinucci, Obama preme sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Obiettivo non facile. L’Unione Europea dipende per circa un terzo dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per oltre il 90%. L’amministrazione Obama, scrive il “New York Times”, persegue una «strategia aggressiva» che mira a ridurre le forniture energetiche russe all’Europa: essa prevede che la Exxon Mobil e altre compagnie statunitensi forniscano crescenti quantità di gas all’Europa, sfruttando i giacimenti mediorientali, africani e altri, compresi quelli statunitensi la cui produzione è aumentata permettendo agli Usa di esportare gas liquefatto.In questo quadro rientra la “guerra dei gasdotti”: obiettivo statunitense è bloccare il Nord Stream, che porta nella Ue il gas russo attraverso il Mar Baltico, e impedire la realizzazione del South Stream, che lo porterebbe nella Ue attraverso il Mar Nero. Entrambi i grandi gasdotti aggirano l’Ucraina, attraverso cui passa oggi il grosso del gas russo, e sono realizzati da consorzi guidati dalla Gazprom di cui fanno parte compagnie europee. Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni, ha avvertito il governo che, se venisse bloccato il progetto South Stream, l’Italia perderebbe ricchi contratti, come l’appalto da 2 miliardi di euro che la Saipem si è aggiudicata per la costruzione del tratto sottomarino.Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.
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Blondet: imbecilli, applaudono l’uomo della guerra
«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.«Quelli che decidono a vostro nome sia da Roma, sia soprattutto da Bruxelles, hanno scelto per voi», scrive Blondet, in un post ripreso da “Megachip”. Escludere Mosca dal G8 e accodarsi a Obama, che si permette di minacciare la Russia «in difesa del governicchio ucraino, frutto delle eversioni americane, ovviamente anch’esso non eletto dagli ucraini». Esplicito, l’inquilino della Casa Bianca: «Agiremo in loro difesa qualunque cosa accada: questa è la Nato». Secondo Obama, «ci sono momenti in cui l’azione militare può essere giustificata». Possibile casus belli, dopo l’Ucraina, la “difesa” dei paesi baltici: Lituania, Estonia e Lettonia hanno una popolazione paragonabile a quella di una media provincia italiana, eppure «a Bruxelles contano più di Italia e Spagna», inoltre «fanno i galletti e sfidano Mosca, si armano spendendo il 4% del loro ridicolo bilancio per gli armamenti, perché si sanno coperti dall’America». E Washington, dice Blondet, li addita ad esempio: «Voi europei grossi e molli spendete troppo poco in armi, l’1, il 2% del Pil, scrive il “Wall Street Journal”, dovete armarvi di più, spendere più dalla Lockheed».Accusa Blondet: «Ebbene: i vostri politici vi hanno impegnato a difendere i baltici. Hanno detto sì ad Obama, senza nemmeno rimproverargli le manovre eversive americane a Kiev, ampiamente provate». In pratica, i nostri politici hanno «firmato di nuovo il patto di difesa reciproca della Nato», struttura «che avremmo dovuto sciogliere già dal ‘90, quando si sciolse il Patto di Varsavia». Sicché ora, «se uno dei galletti baltici fa qualche provocazione, noi dovremo partecipare alla guerra contro la Russia, e intanto subire le conseguenze economiche dell’embargo decretato anche da noi, per ordine di Washington». Pericolosa, aggiunge Blondet, la pratica dei sorvoli dello spazio aereo russo, avviati dopo la conquista di Kiev da parte delle milizie di piazza Maidan. Gli Usa «hanno cominciato a sorvolare coi loro aerei lo spazio russo, obbligando anche noi a fare altrettanto». Lo fanno «in base al trattato internazionale Cieli Aperti, “Open Skies”, firmato a Vienna per aumentare la fiducia reciproca nel campo della minaccia nucleare».Il trattato obbliga i paesi firmatari ad aprire il loro spazio aereo a regolari ispezioni. «In buona fede, Putin ha firmato questo trattato nel 2001. La Cina invece no, e guardacaso nessuno la minaccia». Da giorni, «il sorvolo è diventato una vera passione per Washington».Blondet riferisce che il 3 marzo il sorvolo ha visto ispettori francesi a fianco degli americani, mentre l’11 marzo con gli statunitensi «si sono levati ispettori italiani», imitati il 17 marzo da “ispettori” ucraini («non si sa a che titolo») e il 24 marzo di nuovo da ispettori francesi. Un sorvolo a settimana: «Immaginate solo se Putin pretendesse di fare altrettanto nello spazio aereo americano, in questo momento di estrema tensione: tutti i nostri media, all’unisono con i loro padroni americani, strillerebbero: “Provocazione! Aggressione! Espansionismo paleo-sovietico!”». La cosa preoccupante? «E’ quel che ha detto Obama, piombato in Europa a darci ordini. Ha detto di non essere preoccupato dall’aggressione Russa come minaccia per gli Stati Uniti; ha aggiunto però che quello che lo preoccupa è “un fungo atomico sopra Manhattan”. Sapendo che a Manhattan hanno avuto lo stomaco di far saltare quei due grattacieli (l’11 Settembre, e vi siete bevuti la storia ufficiale) per giustificare l’invasione di Afghanistan ed Iraq nonché l’introduzione della tortura nel diritto di guerra statunitense e il non-riconoscimento dei nemici come combattenti legittimi».Blondet riferisce che, nel frattempo, all’Aia si è svolto uno strano vertice sulla sicurezza nucleare. Secondo il ministro degli esteri canadese, John Baird, «al momento attuale la minaccia di terrorismo nucleare resta una delle più gravi per la sicurezza mondiale». Da qui il rafforzamento del partenariato con Israele – presente Yuval Steinitz, ministro dell’intelligence di Tel Aviv – per aiutare «gli Stati del Medio Oriente e altrove a perseguire i pericolosi criminali che conducono attività nucleari illecite». Chi pensava alla solita trama paranoide sionista contro l’Iran, dice Blondet, ora dovrà ricredersi, di fronte alla sconcertante uscita di Obama, che dice di temere «un fungo atomico sopra Manhattan». Siamo sicuri che l’Ucraina abbia consegnato, a suo tempo, tutte le testate che aveva in custodia dall’Armata Rossa? La stessa Yulia Tymoshenko ha appena dichiarato di voler sterminare, con l’atomica, gli 8-10 milioni di russi che vivono nell’Est dell’Ucraina.Escalation nucleare? «Se accade, italioti, ci siete in mezzo», scrive Blondet. «Vi hanno messo in mezzo i mascalzoni di Bruxelles, vi ci ha messo quel tizio danese che si chiama Ander Fogh Rasmussen, vi ha messo in mezzo il governo Napolitano – pardon, volevo dire il governo Renzi». E per cosa? «Per salvare “la democrazia” in Ucraina», un paese che vuole “venire in Europa” e intanto – a parte le atomiche della Tymoshenko – ha già proibito la lingua russa e spento le televisioni che trasmettevano in russo. E sui nostri media mainstream, naturalmente, notte fonda: si evita di dire che l’Ucraina ha firmato solo il 2% del trattato di pre-adesione all’Ue, cioè la parte che riguarda «un piano per una politica estera e di sicurezza congiunta», e che dopo le elezioni del 25 maggio si trasformerà in «un insieme di condizioni di riforma militare che equivalgono “ad un accordo con la Nato preliminare all’integrazione”».Regista dell’operazione, Herman Van Rompuy. «E i nostri politici non hanno eccepito. Anzi, hanno detto: “Sì, escludiamo la Russia dal G8”». Tutti, tranne uno: Berlusconi. «Credo sia avventato e controproducente aver escluso la Russia dal vertice di ieri all’Aia», ha detto il Cavaliere. «Questo contrasta con il lungo lavoro fatto da noi, dal governo italiano: siamo stati noi a trasformare il G7 in G8 a Genova con Putin». Peccato però che Berlusconi non sia più in Parlamento e sia prossimo agli arresti domiciliari, conclude Blondet. Il leader di Forza Italia – l’unico fuori dal coro anti-russo – non ha più alcuna prospettiva di governare in futuro, e dopo tutti i disastri del passato recente – ora appare troppo indebolito per impostare una politica anti-Ue e contraria alle pericolose forzature di Obama. «L’elettorato di centrodestra è nella mani dell’harem, della mignottocrazia, delle concubine». In altre parole, siamo rovinati: se Berlusconi sembra «un decrepito imperatore cinese», tutti gli altri applaudono entusiasti alla guerra che verrà.«Italiani, siete seriamente candidati al premio Darwin. Quando una intera nazione è nel vostro stato, si piega a simili governanti, accetta l’euro (lo accettate ancora in maggioranza), stima Draghi il Rettiliano, considera Napolitano un buon vecchio nonno e si aspetta protezione da Washington e aiuti da Berlino, non appende in piazza Loreto i suoi padroni folli, è logico che finisca come i dinosauri». E’ l’invettiva con cui Maurizio Blondet, su “Effedieffe”, conclude il suo grido di allarme sui drammatici sviluppi della crisi con Mosca: Obama ci sta letterarmente trascinando verso una possibile Terza Guerra Mondiale. Lo dimostra la preoccupante escalation politico-diplomatica contro Mosca, con risvolti militari su cui il mainstream tace: con l’Ue, «nuova prigione dei popoli», l’Ucraina ha appena firmato un dossier di assistenza militare in caso di guerra, mentre ci sono anche militari italiani nel team americano che sta sorvolando, ogni settimana, lo spazio aereo russo. E tutti – tranne Berlusconi – applaudono Obama.
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Spararono sulla folla a Kiev, erano cecchini della Cia
Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini della Cia coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante a Kiev dell’Unione Europea ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.Le drammatiche “rivelazioni” di Yakimenko, rilasciate alle televisioni russe? «Probabilmente non tutte innocenti, ma certo molto credibili», scrive Chiesa sil “Manifesto”. Tanto più che combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Urmas Paet alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea: il ministro dell’Estonia disse che a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina, bensì i cecchini «assoldati dalle opposizioni». Le accuse, osserva Giulietto Chuiesa, «sono una più grave dell’altra, una più infamante dell’altra». E se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, «ciò vuol dire soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della comunicazione».Yakimenko ha chiamato in causa l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, il vincitore – con Julia Tymoshenko – della ormai sfiorita rivoluzione arancione. Sarebbe stato lui a «lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti nazionalisti seguaci di Stepan Bandera», l’uomo che nella Seconda Guerra Mondiale collaborò con Hitler, e la cui effigie è tornata – dopo tanti anni – sulla piazza Maidan. Quando arrivò Yanukovic, sempre secondo Yakimenko, i “campi paramilitari” non furono chiusi, ma spostati – in Polonia, Lettonia e Lituania. Neppure Yanukovic decise di chiuderli, osserva Chiesa: «Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani», perché evidentemente «l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo forti per poter essere contrastate».Insomma, l’ex capo della polizia politica ucraina sostiene che l’eversione in Ucraina abbia origini lontane: non è stata né spontanea, né improvvisata. «Ha fatto parte di un piano strategico nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione Europea». Certo, continua Chiesa, «in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da tutto il “mondo libero”, indignato per la sua ferocia».Yakimenko sostiene che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di cannocchiale». Gli uomini della sicurezza ucraina erano nella piazza, mescolati alla folla e – dice Yakimenko – videro tutto e riferirono. Ma «non furono gli unici a vedere»: anche i leader di alcuni gruppi estremisti videro che quei cecchini sparavano sulla folla, e si allarmarono al punto da contattare lo stesso Yakimenko, «chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue “teste di cuoio”, il famoso o famigerato “Gruppo Alfa”». Yakimenko, continua Giulietto Chiesa, parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di “Svoboda” e di “Settore Destro”. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». O forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva. E nel frattempo un gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i santi giorni». Sono gli uomini che oggi incarnano il nuovo potere di Kiev.Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante dell’Unione Europea nella capitale ucraina ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.
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Amoroso: via l’euro, se vogliamo democrazia in Europa
Monete sovrane svalutabili, o sarà la fine: dobbiamo uscire immediatamente dall’euro, per salvare la nostra economia e ripristinare la democrazia in Europa. Lo sostiene l’economista italo-danese Bruno Amoroso: l’euro non è che un dogma smentito dai fatti, mentre in realtà rappresenta un fattore devastante di disgregazione. Prima ha spaccato l’Europa in due, opponendo i 17 paesi dell’Eurozona ai 10 rimasti fuori, e ora ha diviso la stessa Eurozona, scavando un solco incolmabile tra nord e sud. La disastrosa moneta della Bce? Con la sua rigidità «è la causa prima dell’attuale situazione di crisi del progetto europeo». Un piano oligarchico, i cui gestori oggi hanno “gettato la maschera”: il rigore promosso dalla Troika formata da Bce, Fmi e Ue non è altro che l’esecuzione, in Europa, dell’ideologia neoliberista imposta dalla globalizzazione, che comprime i diritti del lavoro e mortifica lo Stato sovrano, disabilitandolo come garante dei cittadini. Fiscal Compact, Patto di Stabilità: sono gli strumenti con cui l’oligarchia finanziaria ha deciso di metterci in crisi.
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Il Club di Sofia: falsa Europa, in guerra contro di noi
Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.Ora la competizione, che è stata la macchina dello sviluppo degli ultimi tre secoli, sta diventando la macchina che produce la guerra. Ciò è l’effetto dei limiti dello sviluppo, nel frattempo emersi, e della fine dell’“era dell’abbondanza”. Ciò si sta verificando in condizioni di profonda e generale disuguaglianza: nel campo della potenza militare; nel campo delle tecnologie; nel campo del consumo e dei redditi; nel campo del denaro; nel campo delle risorse, nel campo delle istituzioni. Se questi vincoli noi li mettiamo assieme alla vecchia idea della competizione è ovvio che il mondo sarà fatalmente spinto verso l’uso della forza. È ciò cui stiamo assistendo: coloro che sono più forti saranno spinti dalla circostanze a usare la loro forza. Lo faranno. Lo hanno già fatto. Lo stanno facendo ora in Siria. Chi sarà il prossimo della lista?Il contesto globale è orientato verso la falsa idea della società di consumatori. Noi riteniamo che muoversi in questa direzione significhi promuovere una successione di conflitti, sia globali, sia regionali – che condurranno il mondo intero in un vicolo cieco, in fondo al quale c’è la catastrofe di una nuova guerra mondiale. Una tale guerra sarà simile a quella che il mondo conobbe 100 anni orsono, ma ingigantita dall’esistenza di armi nucleari e di altro genere, dotate di un potere tremendamente distruttivo. I pericoli di guerra stanno aumentando. Molti segnali sono già visibili, ma molti preferiscono non vederli. Il collasso di una civilizzazione moderna basata sul consumo è inevitabile. Non è questione di buona o cattiva volontà. Il fatto è che la crisi mondiale si va estendendo sia in termini di complessità, e di dimensione, sia in termini di profondità, e non vi è chi abbia una soluzione in vista: non gli Stati, non la scienza del XX secolo, non le differenti culture e religioni.Siamo in presenza di una tremenda carenza di comprensione proprio della complessità della crisi. Essa non si riduce a una semplice somma di fattori, come la crisi finanziaria, quella dei cambiamenti climatici, quella dell’energia, dell’acqua, della disoccupazione, della crescita demografica, degli ecosistemi violati, della diversità biologica compromessa. Inoltre noi non siamo di fronte a una crisi lineare. Al contrario noi vediamo i rischi di una catastrofe senza precedenti che richiede, prima di tutto, di essere compresa e, insieme, controllata. Stiamo già assistendo a un accelerato percorso verso una catena di collassi interconnessi tra di loro e che possono demolire i pilastri portanti della civilizzazione umana. Noi riteniamo che soltanto una Nuova Europa Unita possa essere uno dei pilastri di una coesistenza pacifica multipolare nel XXI secolo.È un’Europa multiculturale che si adopera per gettare un ponte tra il Nord e il Sud, specialmente nell’area mediterranea. Un’Europa che venisse concepita come una fortezza dovrebbe affrontare non solo una ma molte Lampedusa tutto attorno ai suoi confini e perfino all’interno di essi. Noi siamo contro ogni tentativo di costruire un nuovo “Muro di Berlino” nella forma di “arco Mar Baltico-Mar Nero-Mar Caspio”, utilizzando i partner orientali dell’Unione Europea. La Russia – nonostante le differenze tra regimi politici – è già sotto molti profili interconnessa con l’Europa ed è il grande vicino che l’Unione Europea deve considerare partner affidabile. La Russia, la Turchia, l’Unione Europea e i suoi partner dell’est – Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Ucraina – devono considerare se stessi come componenti decisive di una indivisibile sicurezza europea. Questo sarà il contributo dell’Europa alla pace e alla sicurezza del mondo intero. Gli Stati Uniti d’America, che durante la Guerra Fredda hanno svolto il ruolo di un alleato “privilegiato e protettore” dell’Unione Europea, devono ora diventare partner con eguali diritti.Una Nuova e Unita Europa, capace di svolgere un attivo ruolo di pace, deve essere forte e autonoma nelle sue decisioni. Una Nuova e Unita Europa costruita su questi principi non ha nemici. Ciò significa che essa deve avere un proprio esercito, che dovrà essere utilizzato solo ed esclusivamente sotto l’autorizzazione delle Nazioni Unite. È giunto il tempo di abbandonare lo schema amici-nemici che fu caratteristico della Guerra Fredda. Esso è ormai il passato. La sicurezza è di ciascuno e di tutti. Ogni tentativo di costruire la sicurezza solo per noi stessi senza tenere contro di quella degli altri produrrà soltanto tensioni e conflitti. Il compito primario è dunque quello di costruire amicizie di lunga durata, cooperazioni strategiche in tutte le direzioni. Una nuova guerra globale sarebbe la fine dell’umanità e ogni piano che la preveda come possibile è un’idea folle. Noi, membri del Club di Sofia, ci impegniamo a costruire un tale approccio e a proporlo a tutti i soggetti di tutti i continenti, a trovare una via comune per la comprensione della nuova epoca che irrompe ad alta velocità nelle nostre vite e che tratteggia il destino delle future generazioni. Noi vogliamo agire non solo per il loro benessere, ma per la loro stessa sopravvivenza.(Sintesi della Dichiarazione costitutiva del “Club di Sofia”, think-tank paneuropeo costituitosi nella capitale bulgara il 26 ottobre, su iniziativa di Giulietto Chiesa, presidente del laboratorio politico “Alternativa”, con Antonio Ingroia di “Azione Civile”, il greco Panos Trigazis di “Syriza” e la lettone Tatjana Zdanoka, europarlamentare dei Verdi e co-presidente del “Partito per i diritti umani nella Lettonia Unita”. Tra i promotori anche altri parlamentari come l’ucraino Vadim Kolesnichenko, del “Partito delle Regioni”, e il deputato comunista moldavo Zurab Todua. Completano la lista dei fondatori del “Club di Sofia” il russo Sergey Kurginyan, presidente del partito “Essenza del Tempo”, il polacco Mateusz Piskorski, direttore esecutivo dell’“European Centre of Geopolitical Analysis”, il lituano Algirdas Paleckis, del partito “Fronte Socialista del Popolo” e il bulgaro Zakhari Zakhariev, presidente della “Sklavyani Foundation” e dirigente del Partito Socialista di Bulgaria).Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.
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Il vero peso dell’Italia, occultato dai padrini dell’euro
Opinion maker come Eugenio Scalfari e Giovanni Floris fanno operazioni di «spudorato terrorismo», perché «spaventavano il pubblico dicendo che, fuori dall’euro, l’Italia avrebbe perso qualsiasi peso economico» e hanno usato espressioni come «finiremmo come il Marocco, o l’Egitto, quei posti lì». Sorvolando sul «retrogusto razzistoide» di frasi di quel genere, che possono far presa «solo su chi ha una totale ignoranza della realtà economica del nostro tempo, e in particolare sul peso specifico del nostro paese nel contesto internazionale», Claudio Martini ricorda che l’Italia «è un paese molto importante, ma sopratutto molto ricco». Peccato che, nell’immaginario collettivo di tanti italiani, il nostro paese resta «una provincia piccola e marginale», che presto sarà «scalzata dalla Thailandia», e che comunque «non può reggere il peso dell’avanzata dei paesi emergenti», quindi deve “fare gruppo” con i cugini europei per resistere alla preoccupante ascesa dei “negri”, membri dell’ex “terzo mondo”. «Corollario: se si esce dall’esclusivo club euro si finisce come il Nord Africa».
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Conti correnti a rischio: il caso-Cipro diventerà la regola
Confisca dei depositi bancari: a marzo 2013 la vicenda di Cipro ha scioccato il mondo intero. Qualcuno ha cercato di farla sembrare una misura d’emergenza, ma esistono solide basi per credere che i prelievi forzosi diventeranno un elemento della vita quotidiana. Lo sostiene l’economista Valentin Katasonov, presidente della Sharapov Russian Economic Society. La crisi cipriota? Una mossa in realtà «concertata e ben preparata, approvata dai vertici, tra i quali attori della scena extraeuropea». Un precedente, un vero e proprio test «per lanciare una tendenza mondiale e diffondere la confisca in tutto il mondo». Già nel 2009-2010, quando nei summit internazionali si discuteva sulle possibili vie d’uscita dalla crisi mondiale (G7, G8, G20 e altri incontri di questo livello), nei programmi comparivano punti come modalità non-standard per salvare, in caso di necessità, le banche. Tra queste modalità, modelli di “bailout” a spese dei titolari di conti: tagli ai depositi, congelamento dei conti e loro conversione: alla banca il cash, al correntista semplici azioni.
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Alternativa: fermiamo i golpisti di quest’Europa mostruosa
Un club planetario a vocazione totalitaria sta distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia, la nostra libertà. Il nostro futuro è in grave pericolo. Gradualmente, senza che ce ne rendessimo conto, siamo stati consegnati nelle mani di un’oligarchia senza patria e senz’anima, il cui unico collante è il delirio di onnipotenza derivante dal possesso del denaro infinito che essa crea. Coloro che ci hanno condotto a questo guado sono i maggiordomi dei “proprietari universali”: i proprietari finali delle azioni di banche, fondi e corporations internazionali, persone che nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma che determinano le nostre vite. Essi, sostenuti da parlamenti formalmente eletti, ma in realtà nominati dall’alto, hanno consegnato il potere politico ed economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture prive di ogni legittimazione democratica. Queste strutture sono le impalcature di un nuovo ordine mondiale in via di costruzione.
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Barnard: ci stanno portando in Kosovo, schiavi sottopagati
Il peggio dell’economia a senso unico noi ancora non l’abbiamo subito, anche se siamo sul punto di. Il grande esperimento delle “riforme”, del “rigore”, delle Austerità, fu inflitto come “laboratorio”, a partire dal crollo del muro di Berlino, a tutto l’Est europeo. Quando l’impero sovietico crollò nell’arco di pochi mesi, le porte dell’Est europeo si spalancarono ai falchi del Libero Mercato e dietro di esse c’erano masse di miserabili sbandati disposti a lavorare per pochi centesimi, assieme a intere economie da spolpare. Le élite d’Europa e degli Usa non avevano mai sognato nulla del genere. E’ ovvio che non sto dicendo che le dittature comuniste erano in alcun modo raccomandabili, ma lo sfruttamento di quelle genti che seguì il loro crollo è stato moralmente rivoltante. Qui di seguito alcuni dati scientifici, ma poi anche un dato aneddotico che, a mio parere, vale più di qualsiasi librone.
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Estulin su Rai2: Monti traditore, il suo posto è in galera
«Il vostro nemico è Mario Monti. E’ un traditore della nazione italiana, dovrebbe essere messo in prigione». Parola di Daniel Estulin, giornalista russo di origine lituana, autore del dirompente saggio sull’oscura influenza del Gruppo Bilderberg nella politica economica mondiale. La clamorosa denuncia di Estulin, introdotto dal blogger Claudio Messora, autore di “Byoblu”, è andata in onda – clamorosamente – su RaiDue il 26 ottobre, grazie all’info-talk “L’ultima parola”, condotto da Gianluigi Paragone. Una puntata interamente concentrata sul nodo della sovranità monetaria, la cui “amputazione” imprigiona gli Stati dell’Eurozona al giogo del debito pubblico. Servizi dal meeting di Rimini sulla Modern Money Theory, con interviste a Paolo Barnard e Warren Mosler. In studio, Giorgio Cremaschi attacca: «Soffriamo per i trattati-capestro varati da Bruxelles: perché in Italia non c’è mai stato un referendum che li convalidasse?». Rincara la dose l’economista Giulio Sapelli: «E’ ora di dire la verità alla gente: possiamo votare solo per il Parlamento Europeo, che non conta niente».
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Siamo in recessione, Draghi: scordatevi la pace del welfare
L’Europa scivola verso la recessione, e Mario Draghi è contento: vede «buoni segnali», beato lui. E’ impazzito? Tutt’altro: si limita a constatare che l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procede a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l’Europa del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il “Fiscal Compact”, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile». L’unica soluzione parrebbe dunque la privatizzazione dei beni comuni: quelli che gli italiani hanno tentato di difendere coi referendum del giugno scorso.
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Prigioni segrete, le tante Guantanamo che non chiudono
Esplode, non esplode, esplode. Lo scandalo della prigione segreta della Cia in Lituania si arricchisce di nuovi particolari, sempre più attendibili. La notizia arriva con oltre due anni di ritardo rispetto alle rivelazioni della americana Abc che avevano permesso di individuarne almeno due, in Polonia e in Romania, spingendo il Parlamento Europeo a formare una commissione speciale d’indagine sulle extraordinary renditions di presunti terroristi, cioè prelevamenti illegali di prigionieri con destinazione finale Guantanamo. Molti aeroporti europei, tra cui quello di Roma e di Aviano, erano serviti come tappa, tra il 2002 e il 2005.