Archivio del Tag ‘Licio Gelli’
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Carpeoro: tutto resti com’è. Così l’Isis obbedisce al potere
Poteri forti? Grazie anche a cittadini deboli, sempre disposti a credere all’Uomo Nero, il nemico da odiare comodamente, cui attribuire ogni male. Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’avvocato Gianfranco Carpeoro inserisce un passaggio di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’ostilità”, che chiarisce il concetto: il gioco al massacro continuerà all’infinito, fino a quando le vittime non capiranno che il nemico di turno è solo un trucco del potere. «Il politico, il massone, il mafioso, il gesuita: in Italia non ci siamo fatti mancare niente. Gelli e Sindona, Craxi, Andreotti. Caduti i quali, è cambiato qualcosa?». Ecco il punto: «Non cambiare mai niente, nella sostanza. A questo serve l’odio del nemico. E attenzione: «Il lasciare tutto com’è è esattamente l’obiettivo di questo potere, che oggi ricorre in modo sistematico al terrorismo targato Isis». Tema che Carpeoro ha affrontato in un recente convegno, in Veneto, sul dominio occulto dell’élite paramassonica. Una situazione che si annuncia molto critica ormai anche per l’Italia: «L’ultimo report dei nostri servizi segreti parla di qualcosa come 5.000 “foreign fighters” provenienti dalla Siria, via Albania: sono perfettamente addestrati e si teme invadano la penisola per attuare attentati».Per capire il neo-terrorismo, ragiona Carpeoro, basta analizzarne il movente: «Ha un progetto politico, l’Isis?». Non se ne vede traccia: il cosiddetto Califfato Islamico è una barzelletta. «Ha una base etnica, lo Stato Islamico? Neppure: all’Islam aderiscono arabi sunniti, persiani sciiti, bosniaci ariani». E inoltre: «Provengono da un retroterra di profonde sofferenze, i miliziani jihadisti “foreign fighters”». Macché: «Il più delle volte sono figli di famiglie borghesi». Sono anche loro – più che mai – terroristi, certamente. «Ma non hanno niente in comune con un certo Pietro Micca, che nel 1706 fa saltare in aria mezza Torino per opporsi all’assedio francese». Carpeoro traccia una linea rossa che, attraverso svariate geografie, collega i “terrorismi” del passato, lontano e prossimo: da Pietro Micca ai palestinesi dell’Olp, passando per l’Ira irlandese, la Raf tedesca, le Brigate Rosse. «Ovviamente non posso approvare la violenza come metodo di lotta, ma almeno in quei casi si può leggere una coerenza, una proiezione di futuro: la liberazione di territori, la lotta politica per trasformare il governo del paese. I tedeschi della Baader-Meinhof combattevano a modo loro contro il governo di Bonn, inquinato dalla presenza di ex nazisti. Gli irlandesi volevano cacciare gli inglesi dalla loro terra. Le stesse Br aspiravano a una svolta rivoluzionaria in Italia». E l’Isis? Dov’è il suo progetto?Le cose si sono completamente ribaltate, sottolinea Carpeoro, «da quando il potere è finito nelle mani di un’élite oligarchica», che oggi «ha capito che non ha più nessuna chance democratica: non potrebbe in nessun modo godere del consenso popolare, della stima dei cittadini». E allora, per ottenere la loro obbedienza, «impugna l’arma della paura, attraverso il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, cioè attribuito agli islamici in modo fraudolento, ma in realtà concepito e diretto da menti massoniche occidentali, gestito da settori dei servizi segreti e affidato a sciagurata manovalanza che si dichiara islamista, pilotata e manipolata in modo da danneggiare innanzitutto l’Islam, che con il terrorismo non c’entra niente». E’ un massone (o meglio, un super-massone) lo stesso presunto capo dell’Isis, il sedicente “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain dopo esser stato improvvisamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca. Dopo Osama Bin Laden, Al-Baghdadi è l’ultima reincarnazione dell’Uomo Nero, il nemico brutto e cattivo. «Che effetto fa, allora, scoprire che quel tizio è stato iniziato alla stessa superloggia in cui sedevano sia George W. Bush che il capo di Al-Qaeda, Bin Laden?».Il primo a fare il nome di quell’organizzazione-ombra (Hathor Pentalpha, si chiama) è stato Gioele Magaldi nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato a fine 2014). Sta per uscire il “sequel”, con nuovi dettagli destinati ad aggravare ulteriormente la posizione della “loggia del sangue e della vendetta” fondata da Bush senior all’inizio degli anni ‘80, dopo la bruciante sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane. Al club aderiranno l’intero gruppo neocon statunitense ma anche politici europei, come l’inglese Tony Blair (quello delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam), il francese Nicolas Sarkozy (il killer politico di Gheddafi) e il turco Recep Tayyip Erdogan, invischiato fino al collo nell’invasione della Siria da parte dell’Isis. Ma nell’album di famiglia della “Hathor” non ci sono soltanto le peggiori menti dell’Occidente: accanto ai Bush e a Blair, a Sarkozy e a Erdogan «bisogna aggiungere prima Bin Laden, poi Al-Baghdadi». E’ indispensabile, per capire con chi abbiamo davvero a che fare: l’Uomo Nero è in azione, ma non è una scheggia impazzita come i suoi kamikaze. Sta obbedendo a ordini, a istruzioni precise, che partono dai piani più alti del potere mondiale, occidentale.Un potere che, oggi, non si fa scrupolo di sparare nel mucchio: «E’ il caso dei camion lanciati sulla folla a fare strage: un metodo semplice, economico e con pochi rischi, tranne che per l’attentatore». I terrorismi di ieri sparavano su obiettivi strategici: industriali, banchieri, politici. Oggi, invece, le vittime siamo noi. «Erano terroristi la cui azione – non approvabile, per carità – nasceva comunque da infinite sofferenze, come nel caso dei palestinesi». All’epoca dell’arresto di Renato Curcio, le stesse Br non avevano ancora ucciso nessuno: «Fu Curcio a fare fuoco, sul carabiniere che aveva ucciso sua moglie, Mara Cagol, colpendola alla schiena mentre stava scappando: può un carabiniere sparare alla schiena di qualcuno?», si domanda Carpeoro. Poi, certo, la storia del “vecchio” terrorismo è a doppio fondo, piena di infiltrazioni, in tutti sensi: terroristi “in buona fede” e terroristi “gestiti” dall’intelligence, 007 complici della strategia della tensione e agenti invece onesti, fedeli alle istituzioni. Un caos sanguinoso, infernale, con code processuali infinite, misteri irrisolti e vittime eccellenti – una su tutte, da noi: Aldo Moro.«Alla base, però, c’erano posizioni nette: da una parte una visione eversiva e rivoluzionaria, o irredentista, dall’altra lo Stato». Adesso, invece, a pilotare l’eversione è direttamente il lato oscuro del potere: non ha neppure “cavalcato” il furore dell’Isis, l’ha proprio progettato a tavolino, sfruttando la disperazione di paesi arabi a cui l’Occidente infligge sterminate sofferenze, attraverso la complitcità di dittature filo-occidentali. Questo “funziona” per ottenere la necessaria manovalanza, ma non certo per provocare una sollevazione politica delle popolazioni musulmane, che dell’Isis hanno orrore. «Ieri, i terroristi volevano cambiare tutto. I terroristi di oggi, invece, rispondono agli ordini di chi è deciso a non cambiare niente, dell’attuale sistema: pochissimi hanno in mano tutto, e così deve restare». Rimarremo al buio per sempre? «Oso sperare – azzarda Carpeoro – che magari, nel giro di due o tre generazioni, questa situazione cambierà». Smascherare i mandanti, liberare le nostre società dal ricatto della paura – perfettamente consonante con il ricatto economico dell’austerity, il rigore imposto per via finanziaria dall’élite privatizzatrice che, in Europa, a partire dall’omicidio di Olof Palme, ha stroncato il seme del socialismo democratico. Smontare il teatro del terrore? «A una condizione: che si smetta di dare la caccia all’Uomo Nero. E’ lì apposta per distrarci, per farci odiare qualcuno. E’ lo schema della magia, dell’illusionismo: il potere non fa altro che darci in pasto il cattivo di turno, da detestare. Se invece smettessimo di odiare, una buona volta, avremmo fatto un passo avanti enorme».Poteri forti? Grazie anche a cittadini deboli, sempre disposti a credere all’Uomo Nero, il nemico da odiare comodamente, cui attribuire ogni male. Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’avvocato Gianfranco Carpeoro inserisce un passaggio di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’ostilità”, che chiarisce il concetto: il gioco al massacro continuerà all’infinito, fino a quando le vittime non capiranno che il nemico di turno è solo un trucco del potere. «Il politico, il massone, il mafioso, il gesuita: in Italia non ci siamo fatti mancare niente. Gelli e Sindona, Craxi, Andreotti. Caduti i quali, è cambiato qualcosa?». Ecco il punto: «Non cambiare mai niente, nella sostanza. A questo serve l’odio del nemico. E attenzione: «Il lasciare tutto com’è è esattamente l’obiettivo di questo potere, che oggi ricorre in modo sistematico al terrorismo targato Isis». Tema che Carpeoro ha affrontato in un recente convegno, in Veneto (video su YouTube), sul dominio occulto dell’élite paramassonica. Una situazione che si annuncia molto critica ormai anche per l’Italia: «L’ultimo report dei nostri servizi segreti parla di qualcosa come 5.000 “foreign fighters” provenienti dalla Siria, via Albania: sono perfettamente addestrati e si teme invadano la penisola per attuare attentati».
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5 Stelle (e strisce), come la Lega: oggi Grillo, ieri Bossi
Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.«Non si muove foglia che Washington non voglia: anche in Padania». In politica, sostiene Dezzani nel suo blog, ogni segmento della domanda deve essere coperto, come in ogni altro settore di mercato: l’offerta deve essere costantemente rinnovata e nuovi prodotti possono essere lanciati grazie a un’adeguata campagna pubblicitaria. Basta considerare i partiti alla stregua di ogni altro prodotto di consumo. «L’abilità di chi tira i fili della democrazia consiste nel rifornire gli scaffali dalla politica dei partiti giusti, al momento giusto: ad ogni tornata elettorale, i votanti acquisteranno i loro prodotti preferiti, con grande soddisfazione di chi controlla il grande supermercato della democrazia». Negli ultimi anni, va crescendo la “specialità” dei partiti di protesta. Ma la loro origine non è recente, ricorda Dezzani: «Risale agli albori della Repubblica Italiana, quando Washington e Londra foggiarono per l’Italia una singolare democrazia, dove la seconda forza politica del paese, il Pci, era esclusa “de iure” dal governo», ovviamente per ragioni geopolitiche (la sua contiguità con l’Urss, avversaria della Nato).«Per ovviare a questo opprimente immobilismo, che un po’ stona con le logiche del mercato», in 70 anni sono state immesse diverse sigle per intercettare il malcontento dell’elettorato e la domanda di cambiamento: «Si comincia, prima delle elezioni del 1948, con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e si termina oggi con il Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio». Annota Dezzani: «Sia Giannini che Casaleggio sono, incidentalmente, inglesi da parte materna». Tra i due estremi, l’analista annovera anche il Partito Radicale di Marco Pannella, «che prestò non pochi servigi all’establishment atlantico: la campagna per le dimissioni del presidente Giovanni Leone, quella per l’aborto e il divorzio, i referendum del 1993 contro “la partitocrazia” e “lo Stato-Padrone”». E poi c’è anche il caso della Lega Nord, nata e cresciuta nei travagliati primi anni ‘90, nutrendosi dei voti in uscita dal Psi e soprattutto dalla Dc. Ma come? Anche il folkloristico Carroccio, i raduni di Pontida, il “dio Po” e il leggendario Alberto da Giussano, sarebbero un prodotto dell’establishment atlantico? Ebbene sì, scrive Dezzani: «È una verità che probabilmente spiazzerà molti leghisti della prima ora», ma è indispensabile per capire, ad esempio, «perché Umberto Bossi, padre-padrone della primigenia Lega Nord, contesti la recente svolta nazionalista, anti-euro e filorussa di Matteo Salvini».Salvini appare deciso a trasformare (con esiti incerti) il Carroccio nella versione italiana del Front National? Non a caso, il redivivo Bossi oggi gli si oppone, chiedendo un congresso. «Bruxelles è sempre stata ed è tuttora il faro di Umberto Bossi, sebbene il suo obiettivo fosse agganciarsi all’Unione Europea non attraverso l’Italia, ma tramite la “Padania”, in ossequio a quella “Europa della macroregioni” tanto cara all’establishment atlantico», sostiene Dezzani. Il progetto: «Smembrare gli Stati nazionali per sostituirli, al vertice, con un governo sovranazionale e, alla base, con una costellazione di cantoni, regioni e feudi: l’oligarchia libera di comandare indisturbata su 500 milioni di persone ed i paesani appagati delle loro effimere autonomie». La storia della Lega Nord, continua l’analista, è indissolubilmente legata al crollo del Pentapartito. Cioè alle manovre, iniziate con la firma del Trattato di Maastricht, per traghettare l’Italia verso la nascente Unione Europea a qualsiasi costo: vergognose privatizzazioni, saccheggi del risparmio privato, attentati terroristici e giustizialismo spiccio. «Studiare l’origine della Lega Nord significa quindi completare l’analisi dell’infamante biennio 1992-1993 che travolse la Prima Repubblica e forgiò la Seconda, dove Umberto Bossi ha giocato un ruolo di primo piano».La Lega Nord nasce ufficialmente nel febbraio del 1991, come federazione della Lega Lombarda, della Liga Veneta, di Piemont Autonomista e dell’Union Ligure: «Chi volesse indagare sul periodo proto-leghista, scoprirebbe quasi certamente che anche questi movimenti autonomisti nascono nel medesimo humus massonico-atlantista da cui germoglierà poi il Carroccio». La Liga Veneta, quella più radicata e “antica”, compie i primi passi presso l’istituto privato linguistico Bertrand Russell di Padova, dove nel 1978 è istituito un corso di storia, lingua e civiltà veneta. «Chi volesse scavare più indietro ancora – ipotizza Dezzani – potrebbe riallacciarsi alla lunga serie di attentati destabilizzanti, di matrice autonomista e secessionista, che colpiscono tra gli anni ‘50 e ‘60 il Nord-Est dove, è bene ricordarlo, la concentrazione delle forze armante angloamericane è più alta che in qualsiasi altra parte dell’Italia continentale», come nel caso della caserma Ederle di Vicenza e della base di Aviano, fuori Udine. «L’idea di superare le leghe su base “etnica” e di federarle in un’unica Lega allargata all’intero Nord, ribattezzato all’occorrenza come “Padania”, è comunque ufficialmente attribuita ad Umberto Bossi». Ma il “senatur” ne è stato l’unico padre o è stato “aiutato” da una regia più ampia, «sofisticata e altolocata», come quella che starebbe dietro ai 5 Stelle?«Diversi elementi fanno propendere per la seconda ipotesi», continua Dezzani, «declassando Umberto Bossi al ruolo di capo carismatico di facciata, di semplice tribuno e di arringatore: la stessa funzione, per intendersi, svolta da Beppe Grillo nel M5S». Siamo infatti nel febbraio 1991, il Muro di Berlino è crollato da due anni e l’Unione Sovietica collasserà entro pochi mesi: «L’oligarchia atlantica ha già stilato i suoi piani per il “Nuovo Ordine Mondiale” che, calati nella realtà italiana, significano l’abbattimento della Prima Repubblica, l’archiviazione della Dc e del Psi, lo smantellamento dell’economia mista e, se possibile, anche un nuovo assetto geopolitico per la penisola», da attuare attraverso i movimenti indipendentisti. Segnale importante: «L’accoglienza che la grande stampa anglosassone riserva al neonato Carroccio, simile a quella che il Movimento 5 Stelle riceverà a distanza di 15 anni, non lascia adito a dubbi circa l’interessamento che Londra e Washington nutrono per la neonata formazione nordista: il 4 ottobre 1991 il “Wall Street Journal” definisce la formazione di Umberto Bossi come “il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana”».Poco dopo, nel gennaio 1992, il settimanale statunitense “Time” definisce Bossi come il leader più popolare e temuto della politica italiana. E il 28 marzo, il settimanale inglese “The Economist”, megafono della City, accomuna la Lega Nord al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, definendolo come «l’unico fattore di rinnovamento nel decadente panorama politico italiano». Sono le stesse settimane in cui Mario Chiesa, esponente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, è arrestato a Milano per aver intascato una bustarella: è il primo atto di quell’inchiesta giudiziaria, Mani Pulite, destinata a travolgere il Pentapartito e la Prima Repubblica. «Non c’è dubbio che la Lega Nord debba “completare”, nei piani angloamericani, l’inchiesta di Tangentopoli», sostiene Dezzani: «Il pool di Mani Pulite è incaricato di smantellare la Dc ed il Psi, mentre il Carroccio ha lo scopo di intercettare i voti in fuga dai vecchi partiti prossimi al collasso». E il trait d’union tra il palazzo di giustizia milanese e la Lega Nord, sempre secondo Dezzani, è fisicamente incarnato dal console americano Peter Semler, cioè il funzionario statunitense che, alla fine del 1991, un paio di mesi prima dell’arresto di Mario Chiesa, “incontra” Antonio Di Pietro nei suoi uffici per discutere delle imminenti inchieste giudiziarie. E’ lo stesso funzionario che, «quasi contemporaneamente, “incontra” i dirigenti della Lega Nord».In una recente intervista a “La Stampa”, Semler ammette di aver pranzato con due dirigenti leghisti il 1° gennaio 1992: «Quello che mi colpì di più era un ex poliziotto, ex militare. Giocammo al golf club di Milano e mi dissero: “Cambierà tutto”». Rileva Dezzani: «C’è da scommettere che non siano stati i due leader della Lega Nord ad avvertire il console americano che tutto sarebbe cambiato, bensì l’opposto». Il Carroccio, infatti, all’epoca «è parte integrante della manovra angloamericana per smantellare il Psi e la Dc», con la sua corrosiva e talvolta violenta retorica contro la partitocrazia della Prima Repubblica, lo Stato clientelare ed assistenzialista (indimenticabile il cappio sventolato nel 1993 a Montecitorio, per “appendervi” i politici corrotti). Ma perché mai, continua Dezzani, l’attacco è sferrato “su base regionale”, attraverso una formazione che inneggia alla Padania onesta e laboriosa, contro la Roma corrotta e la ladrona, sede di “un Parlamento infetto”? Ovvero: perché la stessa funzione non è assolta da un partito di protesta “nazionale”, come è oggi il Movimento 5 Stelle?«Compito della Lega Nord – riprende Dezzani, parlano al presente storico – è anche quello di attuare il piano geopolitico che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia in questa drammatica fase della vita nazionale: passare dall’Italia unita all’unione, o confederazione, di tre macroregioni», ovvero la Repubblica del Nord (o Padania), una repubblica del Centro e una del Sud: «E’ il periodo, infatti, delle “stragi mafiose” e Cosa Nostra ed il Carroccio sembrano lavorare all’unisono (d’altronde, la regia a monte è comune) per ritagliarsi ognuno il proprio feudo, cannibalizzando lo Stato nazionale». Da qui, Dezzani mette in luce l’entrata in scena di una figura-chiave del leghismo delle origini, il personaggio politico che avrebbe dovuto essere “la mente” del processo di secessione della Repubblica dal Nord: Gianfranco Miglio, classe 1918 (scomparso poi nel 2001). Allievo del filosofo liberale Alessandro Passerin d’Entrèves (a lungo docente all’Università di Oxford e quella di Yale) e del giurista Giorgio Balladore Pallieri (primo giudice italiano alla Corte europea dei diritti dell’uomo).Docente all’Università Cattolica di Milano, teorizzatore del decisionismo, studioso del federalismo e ascoltato consulente in materia di riforme costituzionali, vero e proprio “giacobino di destra”, Gianfranco Miglio è un intellettuale molto gettonato dai politici e dagli alti manager della Prima Repubblica in cerca di consigli. Miglio comincia coll’assistere l’uomo più potente d’Italia, Eugenio Cefis: presidente dell’Eni dal 1967, dopo la morte di Enrico Mattei, fino al 1971, e poi numero uno della Montedison dal 1971 al 1977. Secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Cefis è stato il capo della Loggia P1, vero dominus delle strategie coperte per la manipolazione occulta dell’Italia. Carpeoro la chiama “sovragestione”: un intreccio di poteri fortissimi eterodiretti dagli Usa, reti massoniche e servizi segreti deviati. Un livello di potere assai più alto e protetto di quello rappresentato dalla P2 di Gelli, che infatti all’occorrenza fu sacrificato sull’altare dell’opinione pubblica, a differenza del potentissimo Cefis, che è anche l’uomo-ombra di “Petrolio”, il romanzo incompiuto sulla fine di Mattei che forse è costato la vita a Pasolini. Tornando alla ricostruzione di Dezzani sulle mosse di Miglio: dopo aver collaborato con Cefis, l’ideologo della Padania ha fatto anche da consulente al primo ministro Bettino Craxi.Nei tumultuosi anni che seguono la caduta del Muro di Berlino – scrive Dezzani – il professor Miglio compie una spettacolare e singolare metamorfosi: nel giugno del 1989, constata la precarietà delle finanze pubbliche e del panorama politico italiani, suggerisce nientemeno che «sospendere le prove elettorali per un certo periodo, dar vita a un lungo Parlamento, bloccare il ricambio parlamentare, che so, per 8-10 anni», affidando quindi poteri speciali al Pentapartito per fronteggiare le emergenze. Dopo nemmeno due anni, Miglio è invece diventato “l’ideologo” della costituenda Lega Nord, nonché il più severo e spietato censore della partitocrazia, dello Stato parassitario e della deriva mafiosa del Meridione: «E’ difficile spiegare questo repentino cambiamento e il suo “affiancamento” a Umberto Bossi, se non come un’operazione studiata a tavolino, concepita da quegli “ambienti liberali ed anglofoni” che Miglio frequenta sin dalla gioventù».Gianfranco Miglio, annota Dezzani, è l’architetto di quelle riforme costituzionali che dovrebbero scardinare l’assetto geopolitico dell’Italia, servendosi della Lega Nord e di Umberto Bossi come semplici grimaldelli. Esisterebbero, secondo il professore, due Italie: una europea, da agganciare alla nascente Unione Europea, e una mediterranea, da abbandonare alla deriva verso il Levante e il Nord Africa. Lo Stato unitario ha fatto il suo tempo e sulle sue macerie bisogna edificare uno Stato federale, o meglio ancora confederale, costruito da tre entità separate: una Repubblica del Nord, una del Centro e una del Sud. Al governo centrale della neo-costituita Unione Italiana, spetterebbero soltanto la difesa e parte della politica estera. «Il disegno sottostante alle ricette di Miglio è chiaro: sfruttare l’inchiesta di Tangentopoli che sta sconquassando la politica, il crollo del Pentapartito, la strategia della tensione e l’emergenza finanziaria, per cancellare l’Italia unitaria come soggetto geopolitico. Un’Italia che, con Enrico Mattei, Aldo Moro e le politiche filo-arabe di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha dimostrato di poter infastidire gli angloamericani nello strategico bacino mediterraneo».Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 vedono la Lega Nord raccogliere una discreta percentuale dei voti in uscita dalla Dc e dal Psi: in Lombardia il Carroccio raccoglie il 23% delle preferenze, ad un solo punto dai democristiani, ma si ferma all’8,65% a scala nazionale, mentre le varie leghe del Sud non decollano. «Non è andata così bene, dovevamo essere determinanti», ammette Bossi, ben sapendo che la secessione del Nord dal resto d’Italia implicherebbe una forza elettorale che la Lega dimostra di non avere. Bottino elettorale: 55 deputati e 25 senatori. Sono abbastanza, «per portare a compimento la demolizione della Prima Repubblica e il rapido smantellamento dell’economia mista, come auspicato dai croceristi del Britannia». Ecco il punto, per Dezzani: «Non c’è una singola mossa del Carroccio, infatti, che si discosti dall’agenda che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia: la Lega è decisiva per bloccare l’elezione di Giulio Andreotti al Quirinale, si schiera contro l’ipotesi di una presidenza del Consiglio affidata a Bettino Craxi, è favorevole ad un aggressivo piano di privatizzazioni».«Gli economisti di Bossi credono nella Thatcher», titola la “Repubblica”, riportando che la Lega vuole «privatizzare tutte le imprese di Stato, dall’Iri all’Eni, all’Efim. Senza risparmiare le banche pubbliche come Bnl, Comit, Credito italiano, San Paolo di Torino. Largo ai privati anche per le Ferrovie, l’Enel e le Poste». La Lega di Bossi, aggiunge Dezzani, è fautrice di un “liberismo spinto” contrapposto allo Stato-padrone, definito ovviamente come «parassitario, bizantino, romano-centrico, corrotto, ladrone». Non solo, il Carroccio «gioca di sponda con le “menti raffinatissime” che stanno attuando una spietata strategia di destabilizzazione per meglio saccheggiare i risparmi degli italiani e l’industria pubblica: mentre i servizi segreti “deviati” piazzano bombe in tutt’Italia e gli squali dell’alta finanza si accaniscono sui Btp, la Lega Nord getta altra benzina sul fuoco, incitando allo sciopero fiscale, sconsigliando di comprare i titoli di Stato, evocando la separazione del Sud mafioso dal resto dell’Italia, gridando all’imminente secessione della Padania».«Ma se la casa crolla, il Nord deve andarsene», è un sintomatico titolo della “Repubblica” del 31 dicembre 1992. Nell’articolo, il professor Miglio dipinge un futuro a tinte fosche per l’Italia. E pronostica un imminente, drammatico peggioramento della situazione economica, anticamera della secessione della Repubblica del Nord: «Se si arrivasse a non riuscire a controllare più niente, se non si riuscisse più ad avere i servizi, se la sicurezza e le garanzie crollassero, è evidente che ciascuno penserebbe a se stesso. Probabilmente anche il Sud se ne andrebbe per conto suo». Bingo: per Dezzani, «le parole dell’ideologo del Carroccio sono musica per chi, a Washington e Londra, lavora per tenere l’Italia in costante fibrillazione». Poco dopo, nel 1993, l’inchiesta di Mani Pulite ha sortito gli effetti sperati: Dc e Psi, che l’analista definisce «i vincitori morali della Guerra Fredda», sono stati spazzati via dal pool di Milano. «L’unico grande partito risparmiato dalle inchieste giudiziarie è stato il Pci, riverniciato ora come Pds, cui gli angloamericani contano di affidare il governo facendo affidamento sulla sua ricattabilità», dato che «nella Russia allo sfascio si comprano gli archivi del Kgb a prezzo di saldo».Se dalle successive elezioni uscisse un Nord saldamente in mano al Carroccio e un Centro-Sud in mano alla sinistra, «si concretizzerebbe lo scenario di una secessione “de facto” della Padania dal resto dell’Italia». Per la Lega Nord non che resta, a questo punto, che «ricevere la benedizione “ufficiale” da parte dell’establishment atlantico, dopo lunghi rapporti reconditi ed opachi». Così, il 18 ottobre 1993 una delegazione del Carroccio si reca in visita al quartier generale della Nato a Bruxelles. E il 23 ottobre è la volta degli Stati Uniti: una prima tappa a New York, per incontrare il milieu dell’alta finanza e di Wall Street, e una seconda tappa a Washington, dove sono in programma pranzi di lavoro con deputati e senatori repubblicani ed esponenti della National Italian American Foundation. Ma ecco che accade qualcosa di inatteso: «La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, annunciata nell’autunno del 1993, è un evento non previsto dall’establishment atlantico», che secondo Dezzani puntava sulla bipartizione Lega (Nord) e sinistra (Centro-Sud). In più, il Cavaliere vince: «La neonata Forza Italia si impone alle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, drenando buona parte dei voti in uscita dal Psi e dalla Dc e imponendosi come primo partito del Nord Italia».La Lega, ferma all’8% delle preferenze su scala nazionale, dimostra ancora di non avere una forza sufficiente per strappare la secessione della Padania e attuare gli ambiziosi cambiamenti costituzionali sognati da Gianfranco Miglio. Forte di 122 deputati e 59 senatori, il Carroccio dispone però di un manipolo di parlamentari sufficienti per staccare la spina al primo governo Berlusconi, di cui è entrata a far parte nella cornice del Popolo della Libertà. Per Dezzani, riemerge quindi la vera natura della Lega Nord «come strumento politico nelle mani di Londra e Washington». E quando Berlusconi, durante la conferenza mondiale dell’Onu contro la criminalità organizzata, riceve un invito a comparire dal pool di Milano, Umberto Bossi «completa l’operazione per disarcionare il Cavaliere, togliendogli la fiducia e avvallando il “ribaltone” che insedia l’ex-Bankitalia Lamberto Dini a Palazzo Chigi». Si marcia così rapidamente verso nuove elezioni, e «ancora una volta il Carroccio agisce in perfetta sintonia con l’establishment atlantico: scegliendo di correre da solo e di non rinnovare l’alleanza col Popolo della Libertà, spiana la strada ai governi di Romano Prodi e Massimo D’Alema: seguirà “il contributo straordinario per l’Europa”, la scandalosa privatizzazione della Telecom, “la marchant bank” di Palazzo Chigi, la liquidazione finale dell’Iri, il vergognoso cambio di 2.000 lire per ogni nuovo euro, l’avvallo alle operazioni militari della Nato contro la Serbia».E così, mentre «quel che rimane dell’economia mista è smantellato a prezzi di saldo e i risparmi degli italiani sono immolati sull’altare della moneta unica», Umberto Bossi continua a blaterare di secessione, di camice verdi, di milizie armate del Nord, di rivolta fiscale. Dezzani lo definisce «utile idiota manovrato dall’oligarchia atlantica». La Lega tornerà al governo solo dopo le elezioni del 2001, quando i giochi “europei” saranno ormai fatti. Morale: «Le vicende della Lega Nord, di Gianfranco Miglio e di Umberto Bossi sono legate a doppio filo alla nascita Seconda Repubblica, alla perdita di qualsiasi sovranità nazionale e all’avvento della moneta unica». Secondo Dezzani, il Senatùr ne è perfettamente cosciente. Intervistato recentemente dal “Corriere della Sera”, dichiara: «Se venisse giù l’euro, verrebbe giù tutto, una situazione che nessuno saprebbe gestire. Tra l’altro, pagheremmo di più le materie prime, cosa che per un paese di trasformazione come l’Italia sarebbe un disastro. Berlusconi parla di doppia moneta, il che è una presa per il culo. Ma non è che Berlusconi non sia in grado di capire le cose». Per Dezzani, «sono le ultime battute dell’ennesima “stampella del potere”», sia pure in camicia verde.Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.
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La caverna dei 7 ladri: Gelli, il Pci e il tesoro di Jugoslavia
Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.Il giovane re Pietro volle però che il tesoro della corona fosse nascosto nelle grotte del monastero del patriarca Gavrilov, sul monte Ostrog. Tenne per sé 15 milioni di dinari per le spese personali e per la fuga. Intanto il 17 aprile l’Italia con le divisioni Centauro, Messina e Marche, occupa l’intero Montenegro, e improvvisamente, il piano del governo jugoslavo e dell’ambasciatore inglese per imbarcare il tesoro, diventa impraticabile. Entrano in scena i servizi segreti militari italiani. Il generale Mario Roatta localizza l’oro jugoslavo attraverso il generale Riccardo Pentimalli, comandante della divisione Marche, e fa piantonare la caverna. Entra in scena Licio Gelli, che all’epoca è in Jugoslavia al seguito di un ex federale di Pistoia, Luigi Alzona, diventato rappresentante del Servizio Informazione Militari (Sim). E’ proprio Gelli a proporre l’idea di un falso treno ospedale diretto a Trieste, per trasportare il tesoro jugoslavo. Con questo stratagemma il tesoro raggiunge l’Italia, i cinque vagoni che lo trasportavano furono parcheggiati in un binario morto dopo la stazione di Trieste. Lì, Alzona e Gelli lo consegnarono ad altri agenti del Sim.A questo punto, il bottino si divise: otto tonnellate d’oro furono consegnate alla Banca d’Italia, le altre per la maggior parte furono nascoste dagli stessi funzionari della Banca d’Italia in varie località segrete, dove restarono fino alla liberazione di Roma sotto il controllo del governatore Azzolini, di Roatta e di Pentimalli. In questo quadro si inserirebbe un incontro tra Licio Gelli e Palmiro Togliatti, nella sede romana del Pci, dove Gelli sarebbe giunto scortato da tre ex partigiani comunisti, incaricati dal Cln, al comando di Bruno Tesi. Perché ci sarebbe stato questo incontro? Gelli voleva un appoggio per far sbiadire i suoi trascorsi fascisti? Forse voleva parlare del malloppo jugoslavo, barattando l’informazione con protezioni politiche? Di certo si sa che in questo periodo del presunto colloquio con Togliatti, Gelli ebbe vari contatti con esponenti responsabili del Pci. Nel 1945, via mare e in gran segreto, 27 tonnellate d’oro del tesoro jugoslavo furono restituite a Tito. Solo nel 1947, ufficialmente, furono restituite le otto tonnellate conservate nelle casseforti della Banca d’Italia.Nel frattempo i protagonisti della vicenda dell’oro jugoslavo, Roatta, Pentimalli, Azzolini e Gelli, approdano con pochi danni dal regime fascista a quello democratico. La scure dell’epurazione non colpì nessuno dei quattro protagonisti, che alla fine furono tutti riabilitati nel secondo grado di giudizio, perché “ingiustamente” condannati. Secondo Gianfranco Piazzesi, autore del libro “La caverna dei sette ladri” (Baldini & Castoldi, 1996), dopo l’incontro con Togliatti, Gelli poté entrare nell’isola della Maddalena sotto la tutela degli americani, dove lo raggiunse la moglie e il resto della famiglia, tutti al sicuro da eventuali vendette partigiane. Il suo iter giudiziario fu davvero poco drammatico. Fu spedito nelle carceri di Cagliari e di Napoli. A Regina Coeli, poi, condivise la cella con Junio Valerio Borghese, il principe nero, ex comandante della X Mas. Nel 1947 fu in carcere a Pistoia, poi a Firenze con l’accusa di collaborazionismo. Nel 1947 Togliatti, ministro della giustizia, promulga l’amnistia, dalla quale sono esclusi solo i colpevoli di sevizie particolarmente efferate. Gelli ha collaborato con i nazisti, ma si è fatto anche vedere a fianco dei partigiani e i documenti del Cln sono tutti a suo favore. Gelli rientra a pieno titolo nei casi previsti dall’amnistia. E il tesoro? Oltre venti tonnellate d’oro restarono in mani misteriose.(Lara Pavanetto, “La caverna dei sette ladri, ovvero come l’esercito italiano trafugò l’oro jugoslavo grazie a Licio Gelli. Cattaro 1941”, dal blog della Pavanetto, 5 ottobre 2014).Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.
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Massoni pirati, poi corsari venduti al potere: come Gelli
Perché chiamo Gelli un pirata? La pirateria è stata un fenomeno massonico: i pirati erano quasi tutti massoni. Si imbarcavano, sulle navi, perché dal ‘600 in poi non si sono più costruite cattedrali, e guardacaso quel periodo coincide con l’entrata in scena della pirateria. Scalpellini, carpentieri e cavatori di marmo non avevano più lavoro. E nel ‘600, buona parte di loro diventano marinai: marinai che vengono da logge. Allora l’Inghilterra, che in queste cose è sempre all’avanguardia, consente a questi marinai massoni di fare delle logge tra di loro, sulle navi. E da lì nasce un rito massonico inglese, si chiama Ark Mariner, tuttora esistente. Dall’Ark Mariner nasce la pirateria, che è la prima battaglia di liberazione della massoneria – perché, contro chi lottavano, i pirati? Lottavano contro i monarchi assoluti che viaggiavano con galeoni pieni di ricchezze, alla faccia dei loro popoli. E quindi cosa fanno, i pirati? Le logge di pirati massoni organizzano la Tortuga, cioè la pirateria organizzata, dove i vari capi si conoscevano tra di loro, e cominciano questa guerra all’opulenza dei monarchi assoluti.Nell’iconografia di tutti i libri, il pirata è sempre raffigurato mentre lo seppellisce, il tesoro, mai mentre lo tira fuori. Il pirata, in realtà, non mirava ad acquisire la ricchezza: non se ne facevano niente, vivevano tutti alla Tortuga. L’oro, il denaro, lo seppellivano: proprio perché non circolasse più. Il problema qual è? Il solito: a un certo punto alcuni pirati si vendono al potere. E nascono i corsari, che sono quelli che fanno la guerra ai pirati, pur essendo pirati anche loro: sono i vari Pinochet che fanno la guerra ad Allende, “fratelli” nella stessa loggia. Gli schemi del potere non cambiano. Perché definisco Gelli un pirata? Perché Gelli è un pirata che diventa corsaro: è il pirata che si è venduto. E’ colui che del pirata ha il cinismo, l’ironia, l’allergia alle regole. Ma dei pirati gli manca una cosa: l’etica. E perché gli manca l’etica? Perché, dal ‘900 in poi, noi abbiamo perso l’estetica, quindi abbiamo perso anche l’etica. Non c’è etica senza estetica: siccome ci piacciono delle cose sempre più brutte, l’allontamento dalla bellezza è anche un allontanamento dai valori, dal bene. Chi non ama la bellezza non può vivere bene. Chi non la sente, chi non ha la sensibilità dell’arte, della bellezza, non può condurre una vita etica.L’etica è condizionata all’estetica. Lo aveva scritto Aristotele, in un libro che si chiama “Libro sull’estetica”, ma la Chiesa cattolica l’ha proibito: è il famoso libro che si cerca nel “Nome della rosa”. E il principio che si stabiliva in quel libro era qusto: il valore di premessa ontologica dell’estetica rispetto all’etica. Gelli è così. E’ un uomo che ha perso l’etica perché non riesce più a essere sensibile alla bellezza. E’ un massone che non costruisce più, è un massone che non fa altro che cospirare, in tutta la sua vita – con chiunque: cospira coi comunisti, coi democristiani, coi socialisti, coi finanzieri. Partecipa anche a trame quasi di complotto per uccidere delle persone. Io gli addebito, in pieno – e lui stesso se l’addebita – l’uccisione del leader svedese Olof Palme, che è stato il primo passo della massoneria reazionaria per eliminare ogni personaggio che potesse impedire che l’Europa fosse fatta nel modo in cui poi è stata fatta.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Torino il 16 dicembre 2016 nell’ambito della presentazione del libro “Dalla massoneria al terrorismo”, Revoluzione-UnoEditori, ripresa su YouTube).Perché chiamo Gelli un pirata? La pirateria è stata un fenomeno massonico: i pirati erano quasi tutti massoni. Si imbarcavano, sulle navi, perché dal ‘600 in poi non si sono più costruite cattedrali, e guardacaso quel periodo coincide con l’entrata in scena della pirateria. Scalpellini, carpentieri e cavatori di marmo non avevano più lavoro. E nel ‘600, buona parte di loro diventano marinai: marinai che vengono da logge. Allora l’Inghilterra, che in queste cose è sempre all’avanguardia, consente a questi marinai massoni di fare delle logge tra di loro, sulle navi. E da lì nasce un rito massonico inglese, si chiama Ark Mariner, tuttora esistente. Dall’Ark Mariner nasce la pirateria, che è la prima battaglia di liberazione della massoneria – perché, contro chi lottavano, i pirati? Lottavano contro i monarchi assoluti che viaggiavano con galeoni pieni di ricchezze, alla faccia dei loro popoli. E quindi cosa fanno, i pirati? Le logge di pirati massoni organizzano la Tortuga, cioè la pirateria organizzata, dove i vari capi si conoscevano tra di loro, e cominciano questa guerra all’opulenza dei monarchi assoluti.
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Magaldi: gli Occhionero bruciati per imporre 007 infedeli?
Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.«Giulio e Francesca Romana Occhionero hanno agito in piena sintonia e reciproca consapevolezza di quello che ciascuno faceva», dichiara Magaldi ad “Affari Italiani”. I due «sono stati coperti e protetti, per anni, accumulando molti dati sensibili a favore di chi li proteggeva e ispirava». Avrebbero accumulato, per conto terzi, «una mole infinitamente più grande di dati rispetto a quella sinora scoperta dagli investigatori». Per Magaldi, Giulio Occhionero «ambiva a far parte di una specifica Ur-Lodge», una superloggia sovranazionale, la “White Eagle”, «operante principalmente tra Usa, Regno Unito, Malta e il Medio Oriente». Della “White Eagle”, dice ancora Magaldi, fa parte Ledeen, il politologo statunitense la cui storia si è intrecciata più volte con quella italiana, anche sul caso Moro. Un altro studioso di formazione massonica, Gianfranco Carpeoro, nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione-UnoEditori) collega Ledeen anche a Licio Gelli e all’omicidio del leader socialista svedese Olof Palme, attribuendo a Ledeen anche la militanza nel B’nai B’rith, la super-massoneria israeliana controllata dal Mossad. Ma che c’entra, tutto questo, con il caso dei due italiani accusati di cyber-spionaggio?«Al fratello Occhionero – spiega Magaldi, sempre intervistato da “Affari Italiani” – stava stretta l’appartenenza ad una loggia, la “Paolo Ungari-Nicola Ricciotti Pensiero e Azione” all’Oriente di Roma, che fa parte di una obbedienza ordinaria e nazionale come il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani». Per Magaldi, il Goi sarebbe «una di quelle entità massoniche ormai in stato di declino e di relativa marginalità, rispetto a quei circuiti delle superlogge che ho iniziato a descrivere nel libro “Massoni”», di cui sta per uscire il sequel, intitolato “Globalizzazione e Massoneria”. In realtà, aggiunge Magaldi, Giulio Occhionero e la sorella Francesca Romana «coltivavano l’ambizione di essere ammessi a una specifica superloggia sovranazionale, la “White Eagle”». Per questo, «hanno agito su commissione di personaggi collegati come affiliati o come ‘compagni di strada/aspiranti affiliati’ di questa Ur-Lodge». Chiarisce Magaldi: «La massoneria sempre meno rilevante del Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani c’entra poco, con questa intricata vicenda». Lo “spionaggio” ai danni di alcuni dignitari del Goi «era soprattutto un’esigenza personalistica di Giulio Occhionero, qualcosa di irrilevante per i suoi mandanti in ‘super-grembiulino’».Diverso invece il caso della “sorveglianza” del gran maestro del Goi, Stefano Bisi, che per Magaldi «va ricondotta allo spionaggio sul fratello Mario Draghi (mi dicono avvenuta anche su altre utenze rispetto a quelle sin qui individuate dagli investigatori), di cui Bisi è in qualche modo un servizievole esecutore per questioni massoniche di natura locale». Servizievole esecutore? Magaldi afferma che il ruolo di Bisi risale «ai tempi del ‘groviglio armonioso’ legato al Monte dei Paschi di Siena, allorché Draghi, come governatore di Bankitalia, non vigilò adeguatamente su alcune condotte del management della banca senese». E Bisi, come massone e giornalista (caporedattore e poi vicedirettore del “Corriere di Siena”, testata influente nella città toscana, «aveva le mani in pasta in diverse questioni Mps, ispirando la sua azione di concerto con il fratello Draghi e con la sorella libera muratrice Anna Maria Tarantola, capo della Vigilanza di Bankitalia, la quale, in virtù della sua clamorosa ‘mancata vigilanza’ sulle questioni più scabrose in capo a Mps, fu premiata dal massone Mario Monti con la nomina a presidente Rai nel 2012».Ma se questi sono piccoli risvolti italiani, continua Magaldi, «la massoneria che invece c’entra molto, con tutto questo affaire del cyber-spionaggio imputato ai fratelli Occhionero, è quella della Ur-Lodge sovranazionale neoaristocratica “White Eagle”». Chi potrebbe essere il committente del cyberspionaggio? «Se dal nome della superloggia sovranazionale coinvolta andiamo nel particolare dei personaggi che hanno fatto da tramite con Giulio e Francesca Romana Occhionero, la questione si fa clamorosa», sostiene Magaldi. Che aggiunge: «Uno dei personaggi che consiglio agli inquirenti di ascoltare con attenzione su questa vicenda è il massone conservatore e reazionario Micheal Ledeen, appunto affiliato di peso alla “White Eagle”». Un altro personaggio che secondo Magaldi «varrebbe la pena sentire come ‘persona informata dei fatti’ è Marco Carrai, wannabe supermassone, con specifica propensione proprio verso la “White Eagle”, come il suo caro amico Matteo Renzi». Nel lessico libero-muratorio, il “wannabe” è colui che chiede di essere accolto, in questo caso in una superloggia internazionale.Quale potrebbe essere l’obiettivo di questa attività di spionaggio? «Qualcuno, per anni, ha raccolto e utilizzato le informazioni sensibili che i fratelli Occhionero gli hanno passato, coprendone e proteggendone in vario modo le attività», sostiene Magaldi, che svela l’identità delle sue fonti riservate: si tratta di «cari e fraterni amici in capo a importanti strutture di intelligence militare e civile di area euro-atlantica». Queste fonti, continua Magaldi, gli hanno rivelato che «da qualche tempo, Giulio e Francesca Romana Occhionero erano diventati ‘sacrificabili’ per ottenere, cinicamente, attraverso uno scandalo fatto scoppiare ad arte sulla loro vicenda, una ristrutturazione della cybersecurity italiana a livello nazionale». Una ristrutturazione che, «sin qui, non si era potuta realizzare», e che «avrebbe potuto portare al suo vertice una persona gradita a Matteo Renzi, ma sgradita a diversi ambienti massonico-progressisti dell’intelligence italiana e statunitense, con cui quella italiana tradizionalmente collabora in modo privilegiato».Lo stesso Magaldi ha più volte fatto riferimento alla “speciale protezione” di cui avrebbe goduto il nostro paese, specie negli ultimi anni, in cui l’opinione pubblica europea è stata scossa dai devastanti attentati che hanno colpito la Francia. E nel suo libro, Magaldi sottolinea il ruolo decisivo di un super-massone di altissimo rango, come il sociologo Arthur Schlesinger Jr., collaboratore strategico della Casa Bianca, cui l’autore attribuisce un ruolo-chiave, negli anni ‘60 e ‘70, nel tentativo (riuscito) di sventare i tre diversi colpi di Stato che avrebbero posto fine alla democrazia italiana. Anche per questo, probabilmente, Magaldi invita a non sottovalutare i possibili retroscena del cyber-spionaggio, settore delicatissimo da cui dipende, davvero, la sicurezza nazionale, specie in tempi come questi, gremiti di sanguinosi attentati palesemente “inquinati” da settori deviati dell’intelligence. Attraverso i suoi contatti con i «circuiti liberomuratori progressisti sovranazionali», Gioele Magaldi dichiara di impegnarsi a vigilare «affinché nessuno strumentalizzi questo scandalo per far conferire ad ‘amici degli amici’ incarichi tali da mettere in pericolo proprio quella sicurezza nazionale informatica italiana che si pretenderebbe di voler tutelare».Lo scandalo della cyber-security con l’arresto dei fratelli Occhionero? Fatto scoppiare ad arte, per imporre un nuovo super-controllore gradito a Renzi (e all’ultra-destra massonica cui il leader Pd guarderebbe) ma sgradito agli ambienti della massoneria internazionale progressista. E’ la tesi, dirompente, enunciata dal massone Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico e autore del saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014 ma completamente oscurato dai grandi media, nonostante rivelasse – in modo del tutto inedito – i più segreti retroscena del “back office” del potere, consentendo una clamorosa rilettura dell’intera storia del ‘900, inclusa quella italiana, mettendo in luce il ruolo del “convitato di pietra”, la massoneria, nella sua versione apolide, quella delle 36 Ur-Lodges che reggerebbero i grandi giochi mondiali. «Ho più volte offerto di esibire prove concrete, un dossier di 6.000 pagine – protesta Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio” – ma nessuno si è finora azzardato a smentirmi». Contro la “congiura del silenzio”, Magaldi ora interviene anche sull’ultimo caso di cronaca, quello dei fratelli Occhionero, indicando una regia interamente massonica dietro alla vicenda. Nomi eccellenti? Mario Draghi, Marco Carrai, Anna Maria Tarantola, Mario Monti. E l’onnipresente, ma invisibile, Michael Ledeen.
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Moro ucciso da Gladio, per sabotare il socialismo in Europa
Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.Purtroppo, la Stay Behind ha tanti morti sulla coscienza, tanti attentati. Ed è una cosa in cui la massoneria razionaria ha avuto parte, non solo tramite la figura di Gelli, ma anche tramite una serie di figure di raccordo, compreso Michael Ledeen, che è massone ma anche Ur-massone, perché fa parte di una Ur-Lodge; è massone del B’nai B’rith, la massoneria ebraica, e faceva anche parte di una Ur-Lodge. Perché, a un certo punto, della strategia della tensione non c’è stato più bisogno? Perché hanno praticamente smantellato la possibilità, per l’Europa, di essere socialista, progressista. Hanno ammazzato Olof Palme, hanno fatto fuori Craxi, hanno segato le gambe a Mitterrand: è stata una strategia complessa, che ha portato a determinare l’attuale quadro politico – molto stabile, peraltro. Hanno sabotato il socialismo. I socialisti di adesso sono solo fantocci, come Hollande. Il socialismo era una sorta di tutela di ogni individuo. Qual è stata la risposta del potere, al socialismo? Creare al suo interno il comunismo: perché il comunismo non tutela l’individuo, ma le masse. E le masse fanno sempre comodo, al potere: quando l’invididuo viene ridotto a massa, il potere festeggia. Che ce lo riduca il capitalismo o ce lo riduca il comunismo, è uguale.L’unica ideologia tanto laica da evitare questo esito era il socialismo, però ormai l’hanno disgregato dappertutto, riducendolo a simulacro. Il socialismo è la possibilità di ogni individuo di far valere i suoi diritti, e di avere dei diritti. Oggi il potere fa due cose: molti diritti te li toglie, e quelli che ti lascia ti invita a non esercitarli, li esercita lui per te. Il socialismo era fondato sulla tutela individuale. Quando poi muore il socialismo utopistico di Produhon, Leblanc, e nasce il socialismo materialista che si allinea con il capitalismo nel considerare gli individui “massa”, già lì si perde l’identità originaria. Il socialismo è un sistema per il quale ogni uomo ha diritto a lottare per la sua felicità, per la sua realizzazione. Non è un mettere tutti alla pari obbligatoriamente, è far partire tutti alla pari. Certo che poi non si arriva, alla pari: c’è chi arriva più avanti, chi resta più indietro; però la partenza dev’essere alla pari. E in questa società la partenza non è alla pari.(Gianfranco Carpeoro, dichirazioni rilasciate durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, in collegamento con Fabio Frabetti di “Border Nights” il 15 gennaio 2017, su YouTube).Cossiga è stato colui che ha lavorato per i registi di 40 anni di storia italiana. Ha sempre lavorato con copertura della massoneria inglese, però si è messo al servizio dell’operazione più vergognosa (non tanto nello scopo, ma nel modo) che sia stata fatta nell’ambito dell’intelligence sul territorio italiano: l’operazione Stay Behind, altrimenti detta Gladio. E poi è rimasto prigioniero, di questa cosa. Tenete presente che la vera responsabile della morte di Moro è la Stay Behind, cioè Gladio. Questa è una cosa che non ha detto nessuno, finora, e che è vera. E’ la cricca costituita da Cossiga, Gelli, Santovito. Non scordiamoci che Gelli partecipava alle riunioni, quand’è stato rapito Moro. La cricca – Gelli, Santovito, Michael Ledeen – che è la regia dell’operazione Stay Behind, è quella che ha deciso le cose più raccapriccianti della strategia della tensione. E’ una pagina vergognosa della storia italiana, della quale Cossiga – che ho conosciuto ed era una persona amabile, per certi aspetti – è rimasto prigioniero, tutta la vita. Ha avuto il rimorso di Moro, e lo ha manifestato in tutti i modi, ma nello stesso tempo sapeva di esser stato parte di quella regia, e di tutta una serie di regie.
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Chi ha ucciso Olof Palme? Un atto di guerra, contro tutti noi
«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.Ieri, prima di Al-Qaeda e dell’Isis, c’erano altre sigle in circolazione: Gladio, Stay Behind. Accusate di aver organizzato attentati come quello costato la vita all’uomo simbolo dell’Europa democratica e ostile alla guerra, Olof Palme. «Tell our friend the Swedish palm will be felled». Firmato: Licio Gelli. Messaggio ricevuto il 25 febbraio 1986 da Philip Guarino, esponente repubblicano Usa vicinissimo a George Bush senior e stretto collaboratore di Michael Ledeen, «storico e giornalista le cui vicende sono torbidamente intrecciate con l’intelligence americana», scrive Carpeoro. «Legatissimo alla Cia e appartenente alle logge massoniche di stretta emanazione Nato», negli anni ‘80 Ledeen è stato consulente strategico per i servizi statunitensi sotto Reagan e Bush. «Su posizioni neoconservatrici e reazionarie da sempre», Ledeen è stato consulente del Sismi quando il servizio era diretto dal generale Giuseppe Santovito, affiliato alla P2.Fu sponsor di Craxi e consulente di Cossiga, «per tutelare la Gladio», anche come “esperto” durante il sequestro Moro. Il faccendiere Francesco Pazienza ne indicò il ruolo anche nel depistaggio delle indagini sull’attentato a Wojtyla: fu lui, disse Pazienza, a “inventare” la fantomatica “pista bulgara”. Il nome di Ledeen, sostiene Carpeoro, è collegabile – tramite Licio Gelli – anche al giallo, tuttora irrisolto, della morte di Olof Palme, che segnò l’inizio della fine della grande stagione del benessere europeo. Nel profetico romanzo “Nel nome di Ishmael”, lo scrittore italiano Giuseppe Genna include l’assassinio di Palme tra gli oscuri misfatti della “Rete Ishmael”, dove gli omicidi eccellenti vengono sempre fatti precedere dalla raccapricciante uccisione – rituale – di un bambino, a scopro propriziatorio. E’ un mondo, quello di “Ishmael”, che ricorda sinistramente quello degli attentati di oggi, intrisi di simbologie: la data-cardine dell’epopea dei Templari ricorre nella strage del Bataclan, come il 14 luglio – la Presa della Bastiglia, cara alla massoneria illuminista – nella mattanza di Nizza.Olof Palme viene “abbattuto” il 27 febbraio: nell’anno 380 coincide con l’Editto di Tessalonica, in cui l’Impero Romano proclama religione di Stato il cristianesimo, gettando così le basi per un altro “impero”, il più longevo della storia. E sempre il 27 febbraio, ma del 1933, i nazisti incendiano il Reichstag per dare inizio al Terzo Reich. E se l’esoterismo (deviato) ha a che fare con Palme, vale ricordare che ancora un 27 febbraio, quello del 1593, viene incarcerato Giordano Bruno. Un caso, quella data, per la fine di Olof Palme? Era pur sempre il capo della P2 l’italiano Licio Gelli che, dal Sudamerica, recapitò quell’enigmatico messaggio a Washington, all’indirizzo di Guarino, sua vecchia conoscenza: «Alcuni anni prima – scrive Enrico Fedrighini sul “Fatto Quotidiano” – avevano entrambi sottoscritto un affidavit a favore di un finanziere, Michele Sindona». Era pericoloso, Olof Palme? Assolutamente sì: lo dice l’elenco dei suoi potentissimi nemici. Al premier svedese guardavano le sinistre europee: dopo aver «spogliato la monarchia svedese degli ultimi poteri formali di cui godeva», Palme aveva varato clamorose riforme sociali che avevano portato a un aumento del potere dei sindacati all’interno delle aziende, ricorda “Il Post”. «Ma fu grazie alla politica estera che Palme divenne famoso in tutto il mondo». Si scagliò contro la guerra Usa in Vietnam, «paragonando i massicci bombardamenti sul Vietnam del Nord ai massacri dei nazisti», dichiarazione che «spinse il governo degli Stati Uniti a ritirare il suo ambasciatore in Svezia».Olof Palme, continua il “Post”, fu ugualmente critico nei confronti dell’Unione Sovietica: attaccò la repressione della Primavera di Praga nel 1968 e poi l’invasione dell’Afghanistan nel 1979. Criticò il regime di Augusto Pinochet in Cile, l’apartheid in Sudafrica, la dittatura di Francisco Franco in Spagna, la corsa agli armamenti nucleari e le disuguaglianze globali. L’Onu aveva affidato a Olof Palme il delicato incarico di arbitrato internazionale fra Iraq e Iran, in guerra da sei anni. «Una guerra sanguinosa, sporca, un crocevia di traffico d’armi e operazioni coperte: l’Iran stava ricevendo segretamente forniture di armi attraverso una rete formata da pezzi dell’apparato politico-militare Usa; i proventi servivano anche a finanziare l’opposizione dei Contras in Nicaragua», ricorda Fedrighini sul “Fatto”. Palme scoprì «qualcosa di ancora più grave, di più spaventoso». Ovvero: la rete che forniva armi all’Iran sembrava agire con strutture operative ramificate all’interno di diversi paesi dell’Europa occidentale, anche nella civilissima Scandinavia. Scoperte che Palme avrebbe fatto il giorno stesso della sua morte, a colloquio con l’ambasciatore iracheno.La sera andò al cinema, con la moglie, dopo aver licenziato la scorta. Fu colpito mentre si allontanava a piedi dopo la proiezione. Dal buio sbucò «un uomo con un soprabito scuro», armato di Smith & Wesson 357 Magnum. Due colpi, alla schiena. Le indagini delle autorità svedesi non portarono a nulla. Lo scrittore svedese Stieg Larsson, autore di “Uomini che odiano le donne”, aveva condotto indagini riservate sul caso, accumulando 15 scatoloni di dossier, inutilmente consegnati alla polizia e alla Säpo, il servizio segreto reale, «nella vana speranza che facessero luce sulla tragedia», scrive “Repubblica”. «Larsson lanciò un’accusa precisa: i colpevoli erano i servizi segreti del Sudafrica razzista. Ma non fu ascoltato». Lo ha rivelato lo “Svenska Dagbladet”, il primo quotidiano svedese, poco dopo la morte del romanziere, deceduto nel 2004 per un infarto. Secondo l’avvocato Paolo Franceschetti, anche Stieg Larsson «è stato probabilmente giustiziato». Lo suggeriscono troppe “coincidenze”, a partire dalla data della morte, 9.11.2004, il cui «valore numerico-rituale» è 8, cioè “giustizia”. Lo scrittore «muore come il personaggio del suo terzo libro, “La ragazza che giocava con il fuoco”: muore cioè di infarto, nella redazione del suo giornale».Per Franceschetti, sono circostanze che richiamano «la legge del contrappasso, utilizzata dall’organizzazione che si chiama Rosa Rossa», e che – sempre secondo Franceschetti – adotta, per le sue esecuzioni “eccellenti”, proprio la procedura in base alla quale Dante Alighieri organizza l’Inferno nella Divina Commedia: punizioni simboliche, commisurate alle azioni compiute durante la vita. Nulla che, in ogni caso, abbia potuto contribuire a far luce sull’omicidio Palme, per il quale venne condannato in primo grado nel 1988 un pregiudicato, Christer Patterson, prosciolto poi in appello del 1989 per mancanza di prove. Ma anche Patterson, come Stieg Larsson, non sopravivisse: «Il 15 settembre 2004, Patterson contatta Marten Palme», il figlio dello statista ucciso. «Desidera incontrarlo, ha qualcosa di importante da confidargli sulla morte del padre», racconta sempre Fedrighini sul “Fatto”. «Il giorno dopo, Patterson viene ricoverato in coma al Karolinska University Hospital con gravi ematomi alla testa. Muore il 29 settembre per emorragia cerebrale, senza mai aver ripreso conoscenza».Chi tocca muore: non era rimasta senza spiacevoli conseguenze neppure la divulgazione, nell’aprile 1990, ad opera del quotidiano svedese “Dagens Nyheter”, del telegramma inviato da Licio Gelli a Guarino nel 1986, tre giorni prima dell’omicidio Palme. Contattando i colleghi svedesi, ricorda Fedrighini, un giornalista del Tg1, Ennio Remondino, rintracciò e intervistò le fonti, due agenti della Cia, che confermarono la notizia del telegramma, «rivelando anche l’esistenza di una struttura segreta operante in diversi paesi dell’Europa occidentale, denominata Stay Behind (nella versione italiana, Gladio), coinvolta da decenni in traffici d’armi ed azioni finalizzate a “stabilizzare per destabilizzare”». L’intervista con uno dei due, Dick Brenneke, venne trasmessa dal Tg1 nell’estate del 1990, provocando «la reazione furibonda di Cossiga, il licenziamento in tronco del direttore del Tg1 Nuccio Fava e il trasferimento di Remondino all’estero come inviato sui principali fronti di guerra».Dopo oltre un quarto di secolo, il buio è sempre fitto: «L’arma del delitto non è mai stata trovata, e l’omicidio di Olof Palme è un caso ancora aperto». Per Gianfranco Carpeoro, il killer politico di Palme è già noto, si chiama “sovragestione” ed è tuttora in azione, in Europa, fra attentati e stragi. Carpeoro si sofferma in particolare sul possibile ruolo di Michael Ledeen, deus ex machina di tante operazioni coperte che hanno segnato la nostra storia recente, al punto che a metà degli anni ‘80 l’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, lo fece allontanare dall’Italia come “persona non grata”. «Ledeen è membro dell’American Enterprise Institute», organismo che, «dopo l’11 Settembre, si è reso leader di un’enorme operazione di lobbismo per dirigere la politica estera Usa verso l’attuale e rovinosa “guerra al terrorismo globale”, sponsorizzando intensamente l’invasione dell’Afghanistan, l’occupazione dell’Iraq, e tentando ripetutamente di provocare l’aggressione dell’Iran». Fonti americane lo segnalano oggi nel team-ombra di Trump, impegnato a sabotare gli accordi sul nucleare con Teheran.Consulente di vari ministri israeliani, continua Carpeoro, «Ledeen è stato anche tra i capi del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa), al cupola semi-segreta collegata al B’nai Brith, la superloggia massonica ebraica che sovragestisce le relazioni inconfessabili tra l’esercito israeliano, alcuni settori del Pentagono e l’apparato militare industriale americano». Ledeen, continua Carpeoro, riuscì anche a sabotare i rapporti fra Italia e Usa durante il sequestro dell’Achille Lauro, traducendo in diretta – in modo infedele – le parole che Ronald Reagan rivolse a Bettino Craxi. Il suo nome, poi, riaffiora durante lo scandalo Nigergate: come svelato dai giornalisti italiani Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, Ledeen avrebbe scelto il Sismi «per trasmettere alla Cia falsi documenti a riprova dell’importazione di uranio dal Niger da parte dell’Iraq di Saddam Hussein», poi utilizzati da Bush come “prova” dell’armamento “nucleare” di Saddam, alibi perfetto per scatenare la Seconda Guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e l’uccisione dello stesso Saddam, in possesso di segreti troppo scomodi per la Casa Bianca.Nel film “L’avvocato del diavolo”, Al Pacino (il diavolo) rimprovera il suo allievo, Keanu Reeves: «Sei troppo appariscente», gli dice: «Guarda me, invece: nessuno mi nota, nessuno mi vede arrivare». A pochissimi, in Italia, il nome Michel Ledeen dice qualcosa, nonostante abbia avuto un ruolo in moltissime pagine della nostra storia, fino a Di Pietro (in contatto con Ledeen all’epoca di Mani Pulite) e ora «con Beppe Grillo» e con lo stesso Matteo Renzi, «attraverso Marco Carrai». Per Gioele Magaldi, Ledeen milita nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, fondata dal clan Bush, con al seguito personaggi come Blair, Sarkozy, Erdogan. La “Hathor” avrebbe avuto un ruolo nell’11 Settembre, nella creazione di Al-Qaeda e poi in quella dell’Isis, avendo affiliato lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Nuovo ordine mondiale, da mantenere ad ogni costo scatenando il caos attraverso la guerra e il terrorismo? Carpeoro la chiama, semplicemente, “sovragestione”. Spiga che le sue “menti” si richiamano alla teoria della “sinarchia” del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: l’élite illuminata ha il diritto divino di imporsi sul popolo, anche con la violenza, uccidendo i paladini dei diritti democratici. Come sarebbe, oggi, l’Europa, con uomini come Olof Palme? Quattro anni prima di essere trucidato, Palme aveva varato il rivoluzionario Piano Meidner: un nuovo modello di partecipazione, che coinvolgeva i lavoratori nella gestione delle imprese, condividendone anche gli utili. Olof Palme “doveva” morire. E con lui, noi europei.«Informa il nostro amico che la palma svedese verrà abbattuta». Curioso: in Svezia non crescono palmizi. Di che “palma” si trattasse, il mondo lo scoprì tre giorni dopo, il 27 febbraio 1986, quando un killer freddò il premier svedese Olof Palme, considerato il padre spirituale del welfare europeo, il sistema di diritti estesi su cui la sinistra moderata e riformista ha costruito il benessere dell’Europa nel dopoguerra, cioè quel sistema contro cui si batte, strenuamente, l’Unione Europea del rigore e dell’austerity. Ma attenzione: se non bastano la super-tassazione e l’euro, i tagli alla spesa e il pareggio di bilancio, può intervenire anche il terrorismo: Charlie Hebdo, Bruxelles, Bataclan, Nizza, Berlino. E’ la tesi dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, studioso di simbologia, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. L’accusa: l’élite mondialista reazionaria si avvale di settori dei servizi segreti per fabbricare una nuova strategia della tensione, impiegando manovalanza presentata oggi come islamista. Obiettivo: seminare il caos, la paura, perché nulla cambi e il sistema resti com’è, fondato sul dominio della finanza a spese della democrazia.
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Avevamo Olof Palme, poi sull’Europa hanno spento la luce
Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Di chi è il turno? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in paticolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono politici: c’è il Fiscal Compact, c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.Gli italiani votano No al referendum, e prontamente viene sistemato a Palazzo Chigi l’ectoplasma del governo appena battuto, inutilmente bocciato dagli elettori. Nel frattempo un calendario provvidenziale scatena le tempestive bufere giudiziarie che scuotono le due città più importanti, dirompenti e chiassose, quasi come gli attentati dinamitardi che insanguinano la tenebrosa Turchia di Erdogan, sponsor Nato dell’Isis, o le bombe russe e siriane cadute su Aleppo, dove giornali e televisioni scoprono che una guerra devastante si è trasformata in un martirio di popolazioni, ma si guardano bene dal ricordare al pubblico chi l’ha iniziata, quella guerra, chi l’ha finanziata e armata, chi – dalla Casa Bianca – l’ha protetta con la menzogna quotidiana, con l’intelligence e i missili, con la disinformazione più cieca. L’Italia (governo) ha tifato per Hillary e Obama, ha fatto la òla per il Ttip, ha approvato le sanzioni alla Russia, ha belato ininterrottamente a Bruxelles, ha lasciato che la Germania macellasse la Grecia. E alla fine ha provato persino a recitare il copione della diversità, invocando – ma solo per finta, per scherzo – un allenamento dell’austerity, cioè della norma fisiologica adottata dal regime Ue per depotenziare l’Europa, riducendola a comparsa internazionale, nel momento in cui – caduto il Muro di Berlino – poteva finalmente giocare la protagonista.Il peccato originale? Fu commesso trent’anni fa, il 1° marzo 1986, con l’assassinio di Olof Palme in Svezia. Lo scrive Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Nella sua ricostruzione, Palme fu ucciso da un complotto rimasto oscuro, del quale però alcune tracce – anche scritte – portano a un certo Licio Gelli e al suo “principale”, il politologo americano Michael Ledeen, ancora in circolazione e più che mai influente, anche nel retrobottega del governo Renzi. Olof Palme, leader socialdemocratico, era il padre del moderno welfare europeo, il massimo profeta della filosofia politica dell’interesse pubblico, la promozione del benessere diffuso, l’estensione dei diritti, la democrazia avanzata in cui si coniugano libertà e socialismo, lavoro e dignità, pari opportunità per tutti. Era il prototipo, Olof Palme, di un’Europa diversa: un’Europa amica, autorevole, giusta. Un’Europa che non abbiamo mai visto, che mai avrebbe sprofondato gli Stati nella catastrofe della crisi, lasciandoli in balìa di incursoni e predoni, con mano libera nei palazzi del potere locale grazie a una piccola casta di governatori asserviti, di vassalli obbedienti, di mediocri traditori travestiti da algidi burocrati o, all’occorrenza, da sulfurei masanielli dal roboante eloquio (ma dall’innocuo agire). L’infima Italia del 2016, il paese dove nessuno propone vere vie d’uscita, sembra la fotografia perfetta di questa Europa pericolosamente in avaria.Nessuno sceglie, nessuno parla, nessuno denuncia. Nessuno decide: come se non fosse tempo di determinazioni importanti. Ciascuno, nel frattempo, gioca la sua partita, nelle retrovie, lontanissimo dal match decisivo. Gentiloni, Renzi, Grillo e tutti gli altri. Capitani e comparse, chi è di scena? Beppe Sala? Virginia Raggi? I padri nobili del referendum che doveva salvare l’Italia o affossarla? Dopo esser riuscito solo in parte a esaudire i desideri del grande potere, fingendo di risollevare le sorti del paese, il piazzista Renzi prova a stilare il calendario del suo glorioso ritorno – ma senza smettere di scherzare, senza nemmeno provare a mettersi dalla parte giusta, quella degli italiani stritolati dalla morsa dell’oligarchia che ha affidato l’Europa (e l’Italia in particolare) alle amorevoli cure della Bce e dalla Commissione Europea. Al governo non ci sono più politici: c’è il Fiscal Compact, ormai; c’è il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione da Mario Monti con il voto bipartisan di Berlusconi e del silente Bersani, l’uomo secondo cui, misteriosamente, il Pd sarebbe qualcosa di diverso dal supremo potere cui obbedisce la nomenklatura di Bruxelles che taglia sovranità e democrazia, rottama e privatizza gli Stati, riduce i cittadini a sudditi.
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
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Addavenì Roosevelt, ma per ora ci sono i padroni di Matteo
Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.Tutti a sparare contro Gelli, dice Gioele Magaldi, e nessuno che dica – a parte lui – che nello stesso anno in cui Berlusconi entrava nella P2, Napolitano veniva affiliato alla “Three Eyes”, la potentissima Ur-Lodge plasmata da personaggi come Kissinger e Rockefeller. Proprio alla “Three Eyes”, dice sempre Magaldi (massone progressista), il giovane Matteo sta tuttora “bussando”, sperando di essere accolto – nella “Three Eyes”, faro storico della destra massonica mondiale, ma anche presso altri «circuiti massonici neo-aristocratici, segnatamente quelli di cui è protagonista Mario Draghi», come le superlogge “Pan-Europa”, “Edmund Burke”, “Compass Star-Rose” e “Der Ring”, il cui venerabile maestro è il ministro delle finanze tedesco, il terribile Wolfgang Schaeuble. Sono informazioni ormai accessibili al pubblico: Magaldi le ha inserite nel suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere, che i media mainstream hanno evitato di recensire. «Non c’è la documentazione di quanto si afferma», ha detto qualcuno. Magaldi ha sempre risposto prontamente: «Ho a disposizione 6.000 pagine di documenti, se qualcuno dubita della veridicità di quanto ho lo scritto me lo dica, gli dimostrerò che si sbaglia». Silenzio assoluto, naturalmente.Tornando a Matteo: ha avuto buon gioco nel liquidare Letta («che è un esponente dell’Opus Dei», dichiara un altro analista di appartenenza massonica, Gianfranco Carpeoro, autore del dirompente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, pubblicato da Uno Editori). Lo stesso Carpeoro aggiunge: quei “salotti” non lo vogliono, Renzi, perché allarmati – persino loro – dalla straordinaria disinvoltura del fiorentino, troppo privo di scrupoli (“Enrico stai sereno”) persino per i super-squali del massimo potere. Fatto fuori brutalmente Letta, Renzi ha illuso anche Berlusconi, facendosi credere disponibile a condividere il ridisegno strutturale del paese, dalla Costituzione alla legge elettorale. E, prima ancora, aveva bruciato sul traguardo il pessimo Bersani, inchiodato da Grillo alla “non-vittoria” del 2013. Bersani, ovvero: l’emblema della sinistra “politically correct” che ha dato a intendere agli italiani, per vent’anni, che il problema del paese era Berlusconi, e non la svendita dell’Italia ai super-padroni stranieri che manovrano i tecnocrati di Bruxelles, utilizzando l’abortita Unione Europea per svalutare le economie del Sud Europa, deindustrializzare, delocalizzare, demolire i diritti, far crollare il Pil, far esplodere il debito, ridurre l’ex classe media all’esasperazione che sta dietro al successo di Marine Le Pen e Donald Trump.I tempi stanno per cambiare? Forse, e non solo negli Usa. Lo disse, mesi fa, una delle più importanti eminenze grigie del “back office” super-massonico del potere americano, Zbigniew Brzezinki, già consigliere di Carter e stratega della globalizzazione. Ammonì Obama e la Clinton: basta provocazioni, è tempo di un accordo stabile con Russia e Cina. Su un altro piano, a queste dichiarazioni fa ora eco un altro super-potente, il francese Jacques Attali, già braccio destro di Mitterrand e “maestro” di Massimo D’Alema. L’epoca dell’austerity è finita, ha detto, ed è stata una catastrofe per l’Europa. Serve un nuovo Roosevelt che cambi faccia al vecchio continente, tornando a investire sulla spesa pubblica per produrre posti di lavoro. Sembra di sognare: nato come socialista, Attali divenne uno dei massimi artefici della politica neo-conservatrice che ha devastato l’Europa, da Maastricht in poi, precipitando nella crisi i paesi dell’Eurozona. Ora Attali ci ripensa: abbiamo sbagliato tutto, ammette. Nel suo piccolo ha sbagliato tutto anche Matteo, ultimamente, facendosi benedire dal tandem morente Obama-Hillary.Si mette male, per il referendum renziano? Chi può dirlo. Certo è che non esiste ancora un piano-B. Da una parte la Merkel e Juncker a puntellare la tecnocrazia della crisi, dall’altra l’esplosione dei cosiddetti populismi. Al povero Matteo, gli italiani credono sempre meno – e a milioni correranno a votare, anche solo per cancellargli dalla faccia il suo trionfalismo ipocrita e provinciale, ormai grottesco. Ma dov’è l’alternativa? Dov’è il nuovo Roosevelt di cui parla l’anziano Attali? Secondo un sondaggio commissionato dalla “Stampa”, due italiani su tre hanno paura di abbandonare sia l’euro che l’Unione Europea, non riconoscendo né l’uno né l’altra come le vere cause del disastro che subiscono, tra aziende chiuse, lavoratori a spasso, super-tassazione, erosione dei risparmi, zero futuro. Di fronte c’è un Everest praticamente invalicabile, la disinformazione sistemica: il debito pubblico è visto ancora come una colpa, anziché una leva di sviluppo. Le élite ci hanno lavorato per decenni: media, università, libri. Sfugge, al cittadino comune, il valore decisivo della sovranità statale. Non gliel’hanno spiegato né i sindacati né la sinistra di Bersani e quella di D’Alema, che andava a scuola da Attali quando ques’ultimo progettava l’annientamento dell’Europa. Restano i 5 Stelle, dice qualcuno. I 5 Stelle, appunto. Il nuovo Roosevelt può attendere.Sarà anche meno simpatico di prima, però è stato bravo, Matteo. Li ha messi tutti nel sacco: Bersani, Letta, Berlusconi. Poi ha fatto il Jobs Act, rottamando quel che restava dei diritti del lavoro, in un paese devastato dal rigore indotto dall’Eurozona. Quindi ha regalato a BlackRock metà di Poste Italiane, società che andava benissimo e fruttava ogni anno quasi mezzo miliardo, allo Stato. E adesso rilancia: più potere al governo, una sola Camera, o me o il diluvio. Ma è solo un esecutore, Matteo. Un esecutore ambizioso, certo, dotato di talento narrativo: è riuscito a far credere di lavorare davvero per l’Italia, anziché per i soliti grandi manovratori, da cui dipende il suo avvenire. Come Jamie Dimon, boss della Jp Morgan, quello che “la Costituzione italiana è oblsoleta, tutela ancora troppo i diritti sociali”. Dimon e Larry Fink, di BlackRock. E Michael Ledeen, super-falco dell’ultradestra americana, suo consigliere-ombra per la politica estera. E il fido Marco Carrai, legato a Israele come Yoram Gutgeld, “mente” economica del Pd renziano ridotto a cinghia di trasmissione dei supremi poteri. “Doveva” vincere, Matteo, contro il timido Letta, l’esausto Silvio, l’increscioso Bersani che consegnò l’Italia a Mario Monti, sottoscrivendo l’operazione internazionale affidata, per la regia italiana, a Giorgio Napolitano.
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Carotenuto: parla Renzi, ma a decidere è Michael Ledeen
Siccome si sono resi conto del fatto che la gente sempre meno sopporta la centralizzazione europeista, i renziani hanno deciso di fare finta di essere antieuropeisti e minacciano addirittura la “disgregazione” della Ue. Hanno posto un veto al bilancio comunitario, in quanto non tiene conto delle esigenze italiane. Che non tenga conto delle vere esigenze degli italiani ce ne eravamo accorti da sempre, ma i vari Ciampi, Prodi, Napolitano, Letta, Monti, Mattarella e Renzi hanno sempre detto il contrario: «Ci vuole più Europa», hanno proclamato fino a ieri in ogni occasione, anche a sproposito. Come soluzione panacea di qualsiasi problema. Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone. Il problema è che a non volerla non è solamente quel 30% più maturo del paese, ma anche le parti più immature. E non è solo la gente a non volerla: i partiti contrari vanno dai comunisti a Casapound, passando per 5 Stelle e Lega, oltre ad un grupetto di livorosi oppositori interni nel Pd.Questa singolare “ammucchiata” di oppositori politici rende facile per i renziani sbandierare che tutti i peggiori sono contrari a questa “luminosa” riforma che farà risorgere il paese. E’ fin troppo semplice dire: “Casapound vota No, e tu non vuoi essere come Casapound, vero?” Ora il suo obiettivo è la maggioranza dormiente, quella che nelle democrazie occidentali c’è sempre. E che non si fa tante domande… Di quelli che stanno lì nel sonno profondo e sognano di poter vivere tranquilli senza informarsi bene, senza occuparsi di politica in modo consapevole. Quella maggioranza fatta di gente che vota Pd e che si fida comunque del leader, di altri che si bevono la panzana del rinnovamento del paese e della diminuzione dei costi della politica, di quelli che sono contenti dei loro 80 euro mensili in più, degli altri che vogliono andare in pensione prima e che pensano di dover ringraziare Renzi… e di quelli sonnecchianti, ai quali basta raccontare di giorno in giorno un po’ di balle: come l’aumento improvviso del Pil (un ridicolo 0,9%, per altro assai sospetto persino per “Repubblica”), la finta eliminazione del bicameralismo, la riforma elettorale da fare “dopo” il referendum, la falsa chiusura di Equitalia.Da un paio di giorni hanno persino riesumato il fantasma dello spread, poverino: riposava tanto bene da anni… Renzi le sta provando tutte. Ha veramente paura di dover andare a casa. E gira insistentemente la Sicilia alla ricerca dei voti della mafia e dei comitati d’affari. La parola d’ordine è “Ponte sullo Stretto”. Un ponte pericoloso e che non serve, ma che darebbe tantissimi soldi nostri a tutti i comitati d’affari siciliani e oltre. E manda lettere agli italiani all’estero promuovendo il Sì ed impedendo al comitato del No di fare altrettanto, rifiutandogli l’accesso alle liste di indirizzi. Del resto Renzi non avrebbe alcun problema – pur di sopravvivere politicamente – a trasformarsi da ”Clinton” in “Trump”. Tanto sarebbe tutto finto… solo questione di darla a bere agli italiani. E poi lui non gode solamente dell’appoggio della sinistra americana, quella clintoniana e obamiana, ma anche della destra di sostegno a Trump, attraverso personaggi inquietanti come Michael Ledeen, vera e propria ombra sul gabinetto Renzi. Potenza trasversale degli ambienti massonici…Sì, proprio Michael Ledeen, quello delle mene americane sul caso Moro, quello espulso perfino dai nostri servizi segreti perché troppo intrigante, quello legato alla P2, quello coinvolto nel Nigergate e nello scandalo Iran-Contra, quello che per conto del reazionario Reagan si scontrò con Craxi nella notte di Sigonella (Craxi pagò amaramente quel gesto di indipendenza dagli Usa). Quello di cui non si sanno la maggior parte delle cose che ha combinato in Italia, e sarebbe bene saperle… Quello che vuole che gli Stati Uniti aumentino radicalmente il livello dei loro interventi militari nel mondo. Quel Ledeen che è da anni intimo del pupillo di Renzi, Carrai, il cui ruolo è quello di coordinare i servizi segreti italiani… Quello che lavora per la Cia e per il Mossad contemporaneamente…E’ chiaro, solo un segnale forte da parte degli italiani potrà porre almeno un freno a questa deriva anti-democratica: un bel No al referendum. Non vogliamo perdere ancora più rappresentatività, non vogliamo ancora più centralizzazione. Non vogliamo più multinazionali a rovinare il nostro territorio… Senato, regioni e province funzionano male? E allora facciamoli funzionare bene invece di abolirli… invece di togliere loro potere e abolirle, lasciando tutto in mano a pochi oscuri funzionari centrali influenzati da lobbisti predatori di tutte le razze. Lontanissimi dal controllo e dalla vigilanza delle popolazioni locali. Quanto aveva già ragione Dante: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Ora il nocchiere c’è, ma è quello sbagliato, e la sua intenzione è proprio quella di aumentare il “bordello” a favore di poteri diversi da noi. Ed è singolare il profetico riferimento di Dante alle province. Forza, non dormiamo: diamoci da fare per il No.(Fausto Carotenuto, “Pur di vincere il referendum Renzi ora fa anche finta di essere antieuropeista”, da “Coscienze in Rete” del 16 novembre 2016).Siccome si sono resi conto del fatto che la gente sempre meno sopporta la centralizzazione europeista, i renziani hanno deciso di fare finta di essere antieuropeisti e minacciano addirittura la “disgregazione” della Ue. Hanno posto un veto al bilancio comunitario, in quanto non tiene conto delle esigenze italiane. Che non tenga conto delle vere esigenze degli italiani ce ne eravamo accorti da sempre, ma i vari Ciampi, Prodi, Napolitano, Letta, Monti, Mattarella e Renzi hanno sempre detto il contrario: «Ci vuole più Europa», hanno proclamato fino a ieri in ogni occasione, anche a sproposito. Come soluzione panacea di qualsiasi problema. Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone. Il problema è che a non volerla non è solamente quel 30% più maturo del paese, ma anche le parti più immature. E non è solo la gente a non volerla: i partiti contrari vanno dai comunisti a Casapound, passando per 5 Stelle e Lega, oltre ad un grupetto di livorosi oppositori interni nel Pd.
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Pieczenik, il boia di Moro, gola profonda sull’11 Settembre
Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?Sandy Hook è il massacro in una scuola elementare nel Connecticut, il 14 dicembre 2012, dove un folle ha ucciso 27 persone, bambini e insegnanti. A Orlando, la strage nella discoteca gay “Pulse”, giugno 2016, fu attribuita a un musulmano. Due casi denunciati sui blog come “false flag”, operazioni di auto-terrorismo. «Oggi Pieczenik, allusivamente, conferma: sappiamo che siete stati voi». Ma chi sono i “voi”? «Li vediamo affrettarsi ad infiltrare anche l’amministrazione Trump», scrive Blondet. C’è chi si precipita, infatti, a scrivere «articoli adulatori sul generale Michael Flynn», il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, «che tutti danno come suggeritore di Trump per il Medio Oriente e la pacificazione con Mosca». Quando era capo della Dia, l’intelligence militare, cioè fino al 2014, Flynn «ha raccontato come ha sabotato – insieme al capo degli stati maggiori di allora, ammiraglio Dempsey – il piano di Obama di armare i jihadisti in Siria per abbattere Assad». Flynn e Dempsey non eseguirono gli ordini di Obama, «collaborando sotto sotto coi russi». E adesso, improvvisamente, il potente mainstream – fino a ieri schierato con Obama e Hillary – presenta il generale Flynn come un eroe nazionale.Lo stesso Flynn ha appena scritto un libro, “Field of Fight”, che ha come sottotitolo “come possiamo vincere la guerra contro l’Islam radicale e i suoi alleati”, dove racconta gli “insabbiamenti e falsificazioni” di Obama a favore dell’Isis e di Al-Qaeda. Attenzione: il libro l’ha scritto con Michael Ledeen, vecchia conoscenza – purtroppo – della politica italiana, come Pieczenik. Temibile neocon, esponente dell’ultra-destra americana vicina alla lobby israeliana, Ledeen «è ricomparso in Italia a fianco di Marco Carrai, l’“intimo amico” di Renzi». Per Blondet, Carrai è «un evidente agente israeliano, a cui Renzi ha affidato l’incarico di suo consulente al Dis (l’organismo di coordinamento dei servizi segreti), il che equivale a consegnare la nostra intelligence al Mossad». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori) indica proprio Ledeen come il grande manovratore occulto della “sovragestione” della politica italiana, dal caso Moro alla P2: «Sponsorizzò prima Craxi e poi Di Pietro, ora Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio».Oggi Ledeen sembra di nuovo in piena corsa, tra i neocon che sgomitano per condizionare la politica di Trump, attraverso la collaborazione con Michael Flynn. «Apparentemente, il generale Flynn non potrebbe aver niente da spartire con Ledeen, di cui non ignora certo le parti che ha giocato l’11 Settembre», scrive Blondet. «Il punto di contatto sembra essere nella volontà – ferocemente ebraica – di far sì che il presidente stracci il trattato sul nucleare con l’Iran». Da almeno dieci anni, aggiunge Blondet, gli israeliani «tentano di indurre Washington a bombardare per loro l’Iran, specie le sue centrali atomiche». Trump li asseconderà? Altre ombre si addensano su Rudolph Giuliani: la sua presenza nello staff presidenziale «sembra assicurare che non sarà aperta un’inchiesta sull’11 Settembre e i suoi veri mandanti». Giuliani, a quel tempo sindaco di New York, «fu pesantemente partecipe al piano della distruzione delle Twin Towers», sostiene Blondet. Per contro, nel team c’è anche Steve Bannon, il direttore di “Breitbart.com” (18 milioni di lettori: un’audience che il “New York Times” può solo sognarsi). Bannon è «un antisistema proclamato e quindi bollato ad altissima voce dai media come “antisemita”, oltre che anti-islamico e anti-gay». Bannon, quindi, «può rassicurare sul coraggio di Trump di non piegarsi alla nota lobby», confermando «la pulsione “rivoluzionaria” che l’ha portato alla vittoria elettorale».Squarci di verità, tra i retroscena “imperiali” degli ultimi 15 anni? Sul “Fatto Quotidiano”, Giulietto Chiesa mette le mani avanti: «Una delle fonti che io considero più attendibili, Paul Craig Roberts, sul suo blog ha commentato con molta prudenza queste fonti, limitandosi a dire che, in caso fossero reali le intenzioni di Trump di riaprire l’inchiesta sull’11 Settembre, difficilmente resterebbe vivo fino al momento del suo insediamento». Non ci sono solo Bannon e il generale Flynn, nella cerchia di Trump, ma anche John Bolton, «superfalco neocon ed ex rappresentante all’Onu», e Mike Pompeo, che sarà alla testa della Cia («uno che ha comunicato al mondo, via Twitter, la sua impazienza di cancellare il negoziato con l’Iran»). Tutto questo, scrive Chiesa, «fa pensare che l’11 Settembre resterà nei cassetti delle rivelazioni future ancora per qualche tempo». Il che, però, «non significa che tutto sia immobile». Impossibile sottovalutare le esternazioni di Steve Pieczenik: «Parole che non possono essere ignorate per molte ragioni». Pieczenik è stato «un fedele e abile servitore dello Stato Imperiale per molti anni e su scenari assolutamente decisivi per la politica statunitense: è stato al servizio di diversi presidenti, come agente dei servizi segreti, come diplomatico, come influencer di alto profilo».Basterebbe ricordare che Pieczenik «venne inviato da Washington in Italia per “assistere” l’allora ministro degl’interni Francesco Cossiga, poi divenuto presidente della Repubblica, nel non facile compito di gestire il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro». In qualche intervista, anni fa, Pieczenik «non fece mistero del suo compito di allora: liquidare definitivamente Aldo Moro». Non solo: «Alcune allusioni che egli stesso fece filtrare condussero molti, tra cui il sottoscritto, a ritenere che fosse proprio lui uno dei manovratori delle Brigate Rosse, dei servizi italiani “deviati”, e dei depistaggi che impedirono agli inquirenti italiani di giungere al carcere segreto dove Moro era rinchiuso prima che fosse ucciso». Adesso è in pensione, fuori servizio, ma fino a un certo punto: «In piena campagna elettorale americana se ne uscì parlando come se fosse parte del “contro-colpo di Stato” dell’Fbi contro (perdonate la reiterazione) il “colpo di Stato” della Clinton». È indubbio che Pieczenik ha accesso a fonti di prima mano. «E se oggi dice – e promette – “non più false flag”, “non più 11 Settembre”, “non più finte uccisioni di Osama bin Laden” si ha ragione di ritenere che nei meandri della lotta politica feroce che dilania l’establishment americano, questa questione si sta muovendo».Certo, resta da capire perché parla ora: lo fa «con il contagocce, ma parla, allude». Succede a molti di questi alti esecutori, di parlare quando vanno in pensione, di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. «Magari si rendono conto, in prossimità della fine, delle mostruosità che hanno contribuito a compiere», scrive Chiesa. «Oppure vogliono vendicarsi per i torti subiti da chi stava sopra di loro e li ha usati, magari senza neppure premiarli per il lavoro svolto». O ancora, semplicemente, «vogliono rendersi utili e rimediare, per quanto possibile, in ritardo, alle loro malefatte: in cerca, almeno, del Purgatorio». In ogni caso, «ben vengano le rivelazioni, anche postume». Se non altro, tutto questo «potrebbe venire utile anche a coloro che, qui da noi, si sono messi, in tutti questi anni, al servizio della menzogna e hanno cercato, in tutti i modi, di attaccare, ridicolizzare, emarginare, insultare coloro che la verità la videro, o la intuirono, o comunque la cercarono». Sembrano dunque aprirsi spiragli che lasciano intravedere meglio l’interno della “casa americana”, che appare «molto diversa da come ce l’hanno dipinta». Così, «quando si spalancherà la porta, saranno in molti a doversi nascondere», primi fra tutti i media mainstream, solerti custodi di verità rimaste sotto chiave: se fossero state denunciate per tempo – Watergate insegna – molti orrori non sarebbero neppure andati in scena, il Deep State non sarebbe arrivato a tanto.Basta attentati “false flag”, basta manipolazioni come l’11 Settembre. A dirlo è nientemeno che Steve Pieczenik, uno che se ne intende: «Pieczenik è un esponente dello “Stato profondo”, l’uomo che al tempo del rapimento Moro fu mandato in Italia dal Dipartimento di Stato per assicurarsi che Moro non tornasse a casa», scrive Maurizio Blondet. «A modo suo un servitore dello Stato, e di quegli apparati nazionali che i neocon hanno sbattuto fuori l’11 Settembre, prendendo a forza il comando della politica estera Usa nella “lotta al terrorismo islamico”, per il bene di Israele». E quindi, se oggi proclama “Mai più 11 Settembre”, «sta avvertendo: sappiamo che siete stati voi, possiamo riaprire l’inchiesta». In un video, nel quale si rallegra della vittoria di Trump, che attribuisce alla mobilitazione dei «16 servizi di intelligence», Pieczenik elenca “ciò che il popolo americano non vuole più”: «Non più false flag, non più 11 Settembre, non più Sandy Hook, sparatorie di Orlando o altri imbrogli, propaganda e stronzate! Quel che vogliamo oggi è la verità». Ciò significa che l’enorme rimescolamento di poteri causato dallo tsunami-Trump potrebbe scoperchiare tante verità sepolte?