Archivio del Tag ‘Libia’
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Lo 007 confessa: la Turchia dietro la strage di Bruxelles
I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.«Le forze popolari curde che combattono in Siria hanno oggi [24 marzo] catturato un alto funzionario dei servizi segreti turchi che, “sottoposto ad interrogatorio”, ha coinvolto il presidente Erdogan», scrive “Veterans Today” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «A Veterans Today – aggiunge Nahed Al Husaini – è stato dato accesso alle confessioni registrate che hanno rivelato il ruolo del Mit (Milli Istihbarat Teskilati, l’intelligence turca) nelle esplosioni di Bruxelles ed i piani per effettuare ulteriori attacchi in Europa. Il “funzionario sospetto” ha confessato il suo ruolo nella pianificazione – a Raqqah – dell’attacco di Bruxelles, in collaborazione con l’Isis». L’informazione che ha portato alla cattura del funzionario, scrive “Veterans Today”, deriva da un’intercettazione effettuata dai russi: le forze di Mosca non sarebbero state direttamente coinvolte nell’operazione, ma si presume che unità di “Spetsnaz”, i corpi speciali russi, potrebbero essere state messe a disposizione dei curdi, come supporto.Secondo le affermazioni estorte al funzionario catturato, i servizi segreti turchi gestirebbero un centro di pianificazione operativa collocato in un complesso sotterraneo di Raqqah, la “capitale” del Califfato in Siria. «Il centro, costruito al di sotto di un impianto di atletica, contiene scorte di armi chimiche e biologiche, tra le quali il gas sarin, il virus per l’influenza suina e tonnellate di materiali per la produzione di altri tipi di gas», scrive ancora Nahed Al Husaini. «Gli Stati Uniti, coordinandosi con l’unità siriana “Tigre”, colpirono quel complesso nell’ottobre del 2014, nell’ambito di una di quella mezza dozzina di operazioni altamente segrete effettuate congiuntamente. L’operazione portò alla cattura di alcuni ufficiali del Qatar, dell’Arabia Saudita e della Turchia». “Veterans Today” dichiara di aver ricevuto un resoconto dell’interrogatorio da Haissam Bou Said, segretario generale del Desi, Dipartimento sicurezza e informazioni per l’Europa, secondo cui «dietro agli orribili attentati suicidi c’è proprio il Mit».Sempre secondo questa fonte, «alcune cellule terroristiche turche erano state impiantate anni fa in Europa, in collaborazione con un’infrastruttura del crimine organizzato attiva nel traffico degli esseri umani e della droga, al lavoro con gruppi israeliani e sauditi per effettuare attacchi terroristici “false flag”», cioè “sotto falsa bandiera”, secondo il copione (italiano) della “strategia della tensione”. Il presidente turco Erdogan, sempre secondo la fonte di “Veterans Today”, avrebbe introdotto le cellule terroristiche addestrate dal Mit «nascondendole all’interno del flusso di profughi, attentamente orchestrato, per poi indirizzarle presso le comunità della criminalità turca, con sede in Germania, Belgio e Olanda». Per l’intelligence Usa, «da oltre un decennio la criminalità organizzata turca è concentrata a Monaco di Baviera, che è il “ground zero” per gli attacchi terroristici che dovrebbero colpire gli Stati Uniti alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali».Da anni, il presidente turco è al centro di crescenti polemiche, anche per via del giro di vite autoritario sulla stampa nazionale, che ha portato giornalisti in carcere. Contestato da più parti anche la violenza della repressione interna affidata alla polizia, Erdogan ha tentato di coinvolgere la Nato nello scontro con la Russia, con l’abbattimento del jet di Mosca. Ma non è tutto: nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi scrive che lo stesso Erdogan è affiliato alla superloggia segreta “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush. Si tratta di un club super-massonico internazionale definiti “del sangue e della vendetta”, di cui farebbero parte anche Tony Blair, inventore del falso storico delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, e il francese Sarkozy, protagonista della guerra in Libia contro Gheddafi. La “Hathor Pentalpha” avrebbe avuto un ruolo di primo piano nel maxi-attentato dell’11 Settembre, per poi lasciare la propria “firma” anche nell’Isis, acronimo che richiama la dea egizia Iside, chiamata anche Hathor.I servizi segreti turchi dietro alla strage di Bruxelles? A lanciare direttamente la pista di Ankara, coinvolgendo nientemeno che il presidente Erdogan, sono i “nemici” storici della Turchia, i curdi, in questo caso affiancati da un paese come la Russia, anch’essa entrata in rotta di collisione coi turchi dopo l’abbattimento di un bombardiere Sukhoi impegnato nell’unica efficace campagna militare finora condotta in Siria contro l’Isis. Un impegno, quello russo, che ha preso in contropiede l’Occidente e ha oltretutto permesso di giungere alla denuncia, documentata, del supporto turco allo Stato Islamico attraverso basi logistiche alla frontiera e soprattutto il contrabbando di petrolio. La Turchia sul banco degli imputati ora anche per le bombe esplose a Bruxelles? La notizia la fornisce il 24 marzo Nahed Al Husaini, corrispondente da Damasco del sito statunitense di contro-informazione “Veterans Today”: intercettazioni russe avrebbero portato alla cattura, da parte dei miliziani curdi, di un responsabile dell’intelligence di Ankara. L’uomo avrebbe confessato che gli attentati di Bruxelles sarebbero stati progettati a Raqqah su ordine di Erdogan.
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Cremaschi: terrorismo, per puntellare quest’infame Europa
È insopportabile la retorica europeista che accompagna le stragi che colpiscono le città europee, ultima Bruxelles. Il dolore per le persone uccise del terrorismo jihadista, la paura di esserne prima o poi vittime, vengono oramai stravolti e sottomessi al dominio ideologico della casa comune europea assediata. Cento e più anni fa il nazionalismo era amministrato paese per paese, oggi viene diffuso in una dimensione continentale, ma con gli stessi scopi e non facendo meno danni. Ricordate l’immagine della manifestazione dei governanti a Parigi, poco più di un anno fa dopo il massacro di Charlie Hebdo? Un clamoroso falso mediatico (dietro i capi di governo non c’era nessuno) che voleva mostrare che i governi europei uniti guidavano il corteo dei loro popoli. Ma di quale Europa stiamo parlando? Di quella che ha fatto mercato dei migranti con la Turchia, organizzando la più grande deportazione di massa dalla fine della seconda guerra mondiale? Quale Europa, quella che con le politiche di austerità sta da anni colpendo le conquiste sociali dei suoi popoli?Quale Europa, quella che nelle periferie delle sue città più ricche accumula il rancore dei suoi cittadini figli di migranti, fascinati dal fanatismo assassino dei kamikaze? Quale Europa, quella che da 25 anni viene trascinata in guerre sempre più vaste che hanno fatto milioni di morti, guerre promosse dai governi di Francia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, che non sono europei ma comandano? Abbiamo appreso che l’Italia ha soldati persino in Mali solo perché, nelle stesse ore di Bruxelles, sono sfuggiti ad un attentato. Quale Europa ha deciso di mandarceli? La solidarietà verso le vittime del terrorismo è sentimento ben diverso da quello che la propaganda ci vuole imporre. C’è un potere che usa le stragi per convincere i popoli della bontà della costruzione europea e della necessità di difenderla con le armi. Così chi mette in discussione l’euro è anti patriottico, come lo è chi non vuole che si vada a bombardare, o a invadere, la Libia.Bisogna fermare la guerra proprio nel nome delle vittime innocenti delle stragi che si susseguono. La guerra non è la soluzione, è il problema e dopo 25 anni di interventi militari che han solo provocato altri interventi militari e stragi, dovrebbe essere persino scontato. Invece non lo è, perché l’Europa è imprigionata nella spirale guerra-terrorismo e non riesce a muoversi dal vicolo cieco in cui l’hanno portata i suoi governi e il sistema di potere della sua Unione. E il vicolo cieco della guerra è la stessa strada ove la barriera delle politiche di austerità fa dilagare l’ingiustizia sociale e la rottura delle solidarietà. Bisogna uscire da questa costruzione europea e dalle sue guerre prima che sia troppo tardi per tutti i suoi popoli.(Giorgio Cremaschi, “Basta con questa Europa e le sue guerre”, da “Micromega” del 22 marzo 2016).È insopportabile la retorica europeista che accompagna le stragi che colpiscono le città europee, ultima Bruxelles. Il dolore per le persone uccise del terrorismo jihadista, la paura di esserne prima o poi vittime, vengono oramai stravolti e sottomessi al dominio ideologico della casa comune europea assediata. Cento e più anni fa il nazionalismo era amministrato paese per paese, oggi viene diffuso in una dimensione continentale, ma con gli stessi scopi e non facendo meno danni. Ricordate l’immagine della manifestazione dei governanti a Parigi, poco più di un anno fa dopo il massacro di Charlie Hebdo? Un clamoroso falso mediatico (dietro i capi di governo non c’era nessuno) che voleva mostrare che i governi europei uniti guidavano il corteo dei loro popoli. Ma di quale Europa stiamo parlando? Di quella che ha fatto mercato dei migranti con la Turchia, organizzando la più grande deportazione di massa dalla fine della seconda guerra mondiale? Quale Europa, quella che con le politiche di austerità sta da anni colpendo le conquiste sociali dei suoi popoli?
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Bombe a Bruxelles, ma noi italiani non possiamo più cascarci
Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?Queste bombe sono la prosecuzione di quelle di Parigi del 2015: Charlie Hebdo e il Bataclan. Di Ankara, contro i turisti tedeschi. Sono la prosecuzione della messinscena di Colonia. Sono lo strascico del fiume di profughi. Andiamo con ordine: sono contro di noi. Contro “i popoli d’Europa”. Per ridurre le loro libertà residue e le loro capacità di risposta ai soprusi dei poteri. Infatti il primo risultato, scontato, sarà la sospensione di tutte le garanzie democratiche. È già in corso in Francia, ora sarà la volta del Belgio. Poi, dopo qualche altro attentato, magari in Italia, se per caso non volesse entrare in guerra in Libia, allora sarà la volta del nostro paese. Noi italiani siamo gli ultimi a poter essere ingannati, poiché abbiamo già vissuto la stessa cosa con la strategia della tensione. Questo ci dice che non dobbiamo cadere nella trappola di guardare il dito invece della Luna. Se ci dicono che è Daesh, diffidiamo. Probabilmente è “anche” Daesh. Ma Daesh è lo strumento, e la mano (in parte), ma non la mente.Sono bombe contro “l’Europa dei popoli”, per renderla uno straccio subalterno al potere dell’Impero, per trascinarla in guerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L’avviso è per tutti non solo per Bruxelles.Chi è la mente non lo possiamo sapere. Ma una cosa che sappiamo è che i servizi segreti europei, tutti, chi più chi meno, sono filiali inquinate e di altri servizi segreti. Più probabilmente di settori, pezzi, frammenti incontrollabili di servizi segreti altrui. Ricordiamo il bellissimo e profetico film di Sydney Pollack, “I tre giorni del Condor”. Per questo non scoprono niente. E non scopriranno niente: perché non sono in condizioni di indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Cambiando chi ci governa, e che sgoverna l’Europa, con altro personale, meno vile e più lungimirante. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi.(Giulietto Chiesa, “Bruxelles, al centro della strategia del terrore”, da “Megachip” del 22 marzo 2016).Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?
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Bush-Clinton, abbraccio infernale tra due dinastie pericolose
Come volevasi dimostrare. Hillary Clinton è oramai il candidato semi-ufficiale per la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America della famiglia Bush. Il 23 febbraio del 2016, sulle pagine de “Il Moralista”, pubblicavo un articolo titolato “Jeb Bush e Hillary Clinton sono espressione degli stessi centri occulti di potere”. Venerdi 11 marzo, in occasione dei funerali di Nancy Reagan, Hillary e George W., in versione amanti clandestini finalmente usciti allo scoperto, si sono fatti fotografare avvinghiati in un caloroso e complice abbraccio. In politica nulla si fa per caso, e la scelta di veicolare questo tipo di immagine non può essere casuale. D’altronde non c’è molto da stupirsi, dal momento che, al punto in cui siamo, la saldatura di un establishment tanto debole quanto intrinsecamente assassino era pressoché scontata. La dicotomia destra/sinistra, come ripetiamo da tempo, è buona solo per ingannare i tonti, masse di ingenui facilmente impressionabili da una sigla di partito o da un simbolo carico di storia. Dietro i simboli di partito però ci sono sempre gli uomini in carne ed ossa, con cordate al seguito e rispettivi interessi privati da soddisfare.I “mondi” dei Clinton e dei Bush sono chiaramente comunicanti. Entrambe le dinastie politiche prima citate portano responsabilità gravissime per quanto concerne la distruzione del Medio Oriente, insanguinato da guerre infami e farlocche, avviate dai Bush e poi proseguite dal segretario di Stato Hillary Clinton, notoriamente ossessionata dall’idea di uccidere Gheddafi e Assad per destabilizzare l’intera regione e favorire l’ascesa dei “finti nemici” dell’Isis. Perfino Obama, non certo un cuor di leone, ha avuto modo di denunciare la furia distruttrice di Hillary Clinton, protagonista insieme a Cameron, Sarkozy, Napolitano e altra bella gente dell’insensata e folle guerra alla Libia del 2011, indegna macelleria ammantata di nobili e ipocriti ideali. Bush e Clinton, poi, a differenza di Trump, sono filo-israeliani e fautori della prosecuzione delle sanzioni alla Russia di Putin, colpevole ai loro occhi di avere smontato il giochino del terrorismo islamico globale, costruito con tanta cura e pazienza dai principali e sanguinari network esoterici in voga negli Stati Uniti d’America e non solo.Al Bagdhadi, sedicente califfo del terrore, è stato appositamente liberato da un campo di prigionia per farne una specie di redivivo Bin Laden, mostro mediatico utilissimo per legittimare e consentire una nuova stagione di “guerre per la libertà” (Orwell, ci sei?) per la gioia di petrolieri alla Dick Cheney e dei signori del famigerato complesso militare e industriale a stelle e strisce. Oltre alle affinità sul tema “terrorismo politico”, le somiglianze tra i Bush e i Clinton non mancano neppure con riferimento al “terrorismo finanziario ed economico”. Fu proprio durante la presidenza di Bill Clinton che venne abolito lo “Steagall Act” di rooseveltiana memoria, linea Maginot che per anni impedì il dilagare dei nazisti tecnocratici di Wall Street ora impuniti e imperanti.Mentre i Bush sono da sempre fautori della teoria dello “sgocciolamento”, tesi bislacca che tutela i soli interessi dei milionari sull’assunto che, ingrossando le tasche dei pochi “Paperoni”, qualche briciola finirà infine per forza anche sulla tavola dei tanti straccioni. Nel merito delle scelte di indirizzo politico effettivamente intraprese, al netto cioè di ricostruzioni suggestive e non dimostrabili, Bush e Clinton somigliano a due gemelli che fino ad oggi hanno “marciato divisi per colpire uniti” (l’utilizzo di simile immagine è da ritenersi per nulla casuale, ndm). A partire da venerdi 11 marzo a quanto pare – oltre a colpire – uniti ci “marciano” (in tutti i sensi) pure.Due considerazioni finali. I Clinton e i Bush traducono in concreto visioni e idee maturate all’interno di consessi gnostici, pan-teistici e di fatto di ispirazione satanica. La politica, per elementi simili che puzzano di zolfo lontano un miglio, è poco più che un paravento. Per dimostrare quanto sia amata fuori dai confini americani Hillary Clinton ha pensato bene di vantarsi del sostegno del premier/cazzaro Matteo Renzi. Giusto come nota di cronaca è bene ricordare che uno dei “consulenti strategici” del premier italiano è Michael Ledeen, uomo dal raffinato ingegno organico al primo cerchio di potere riconducibile alla famiglia Bush (di recente Ledeen ha partecipato ad incontri molto interessanti nel sud d’Italia). Un tassello in più che dimostra quale tipo di “triangolazione” si celi dietro “l’innocente abbraccio” tra l’ex first lady e l’ex inquilino della Casa Bianca al tempo degli attentati alle Torri Gemelle.(Francesco Maria Toscano, “A mali estremi, estremi rimedi: Hillary Clinton e George W. Bush gettano la maschera”, dal blog “Il Moralista” del 15 marzo 2015).Come volevasi dimostrare. Hillary Clinton è oramai il candidato semi-ufficiale per la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America della famiglia Bush. Il 23 febbraio del 2016, sulle pagine de “Il Moralista”, pubblicavo un articolo titolato “Jeb Bush e Hillary Clinton sono espressione degli stessi centri occulti di potere”. Venerdi 11 marzo, in occasione dei funerali di Nancy Reagan, Hillary e George W., in versione amanti clandestini finalmente usciti allo scoperto, si sono fatti fotografare avvinghiati in un caloroso e complice abbraccio. In politica nulla si fa per caso, e la scelta di veicolare questo tipo di immagine non può essere casuale. D’altronde non c’è molto da stupirsi, dal momento che, al punto in cui siamo, la saldatura di un establishment tanto debole quanto intrinsecamente assassino era pressoché scontata. La dicotomia destra/sinistra, come ripetiamo da tempo, è buona solo per ingannare i tonti, masse di ingenui facilmente impressionabili da una sigla di partito o da un simbolo carico di storia. Dietro i simboli di partito però ci sono sempre gli uomini in carne ed ossa, con cordate al seguito e rispettivi interessi privati da soddisfare.
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi
Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti. Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia. Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa. Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo. La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington. E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington. Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi. E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro. Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei). Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia. Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi. E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani. La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre. Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.
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D’Alema: Renzi deve perdere le città e poi il referendum
«Vedo più spettatori che votanti a queste primarie». Oppure: «C’era anche Renzi al funerale? Non l’ho visto». A parlare è un Massimo D’Alema che in questi giorni si mostra di insolita giovialità, quasi spensierato. E così, fra una battuta e l’altra, qualche sera fa, in una cena in cui c’era una giornalista, il lìder Massimo si è lasciato sfuggire una battuta «lieve come un’incudine sui piedi», ovvero: «Renzi è un agente del Mossad, bisogna farlo cadere». Il Mossad, nientemeno! Vero, Renzi «si è sempre mostrato assai comprensivo verso le ragioni di Israele», ammette Aldo Giannuli, che da tempo segnala grandi manovre per far fuori il Rottamatore, che peraltro ha come consigliere economico Yoram Gutgeld, già tenente colonnello dell’esercito israeliano. «Forse, quella del Conte Max era solo una battuta di spirito», aggiunge Giannuli, sarcastico, proprio mentre – da Napoli a Roma – il Pd renziano sta per andare incontro a un possibile disastro, alle amministrative. Il momento è delicato? Ed ecco che interviene D’Alema – un uomo che, per inciso, vanta relazioni europee di altissimo livello, come quelle con pesi massimi del super-potere, del calibro di Jacques Attali, già uomo-ombra di Mitterrand e da sempre presente nel vertice supremo, anche massonico, che pilota le istituzioni europee.A ottobre, ricorda Giannuli, c’è il referendum sulle riforme costituzionali: se passa il no, Renzi ha detto che si dimette (ma forse no), nel qual caso potrebbero esserci nuove elezioni: «In fondo, almeno formalmente, il motivo per cui questo incredibile Parlamento è restato in vita nonostante la sua palese illegittimità, è stata la necessità di attuare riforme costituzionali, venute meno le quali, non si capisce perché mai dovrebbe restare in carica». Se invece dovesse vincere il sì, «allora è proprio sicuro che voteremmo dopo pochi mesi», aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «perché un Renzi incoronato da un referendum passerebbe subito all’incasso». In ogni caso, «la squadra renziana (se non lui personalmente) procederebbe alla decimazione dei bersaniani nei gruppi parlamentari». Non solo: anche per il super-potere europeo (la Bce, la Merkel, le grandi banche d’affari) sarebbe più difficile «abbattere un premier fresco di unzione popolare». Quindi, gli anti-renziani «hanno pochi mesi per tentare il colpo», ed ecco spiegato anche l’improvviso attivismo di D’Alema: sa benissimo che, se Renzi supera il referendum, dopo sarà più difficile fermarlo.Scenari possibili, nel frattempo? Tanti. Per esempio, un voto contrario in Parlamento: «Cosa facile da farsi in Senato ma di dubbia efficacia, perché sino a quando resta segretario del partito non si potrebbe fare alcun altro governo e si andrebbe alle elezioni anticipate che probabilmente potrebbero essere vinte da Renzi». Piano-B: un congresso straordinario che lo metta in minoranza: «Cosa possibile solo se c’è una spallata fortissima, tale da mandare in frantumi il blocco dominante». Meno improbabile, forse, «un capitombolo sulla questione libica che produca una tale ondata di protesta popolare da spingere una bella fetta del gruppo dirigente ad offrire la testa di Renzi per salvarsi davanti all’elettorato». Ma Renzi non è certo uno sprovveduto: «Si sta dimostrando tutt’altro che propenso ad imbarcarsi in quella avventura». Il pericolo, per Renzi, cresce davvero solo se proviene da Bruxelles: una nuova tempesta dello spread, con lettere e richiami della Bce? Certo, Renzi è meno vulnerabile di Berlusconi – non ha le sue aziende, che in quei giorni persero il 26% del loro valore in Borsa. «Si può provare, ma la riuscita non è garantita», scrive Giannuli. «Poi, in un momento di grande instabilità finanziaria non sarebbe prudente introdurre un altro elemento di fibrillazione: in fondo, l’Italia rappresenta pur sempre il terzo debito mondiale».Altri frangenti scivolosi? «Un grosso scandalo, magari aiutato dall’intervento di qualche procura: e qui, fra l’Etruria, la Popolare di Vicenza e altro, ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta sulla casella su cui fare la puntata. Però occorre che lo scandalo possa investire personalmente il presidente del Consiglio (non basterebbero uno o tre ministri) e dovrebbero esserci prove di qualche consistenza». Ma la prima pietra d’inciampo sono proprio le amministrative di giugno: l’aria non è buona per il Pd, Napoli e Roma sono piazze difficilissime, qualche problema potrebbe esserci a Torino o Bologna, e a decidere potrebbe essere Milano. «Renzi, che è furbo, ha fiutato il vento e ha già detto che non è su quel test che si misurerà, ma sul referendum: uno schema di gioco che può reggere se il risultato è dignitoso anche se sfavorevole». Oggi tutte le cinque maggiori città, eccetto Napoli, sono governate dal Pd: perdere in una delle altre quattro città sarebbe una sconfitta, ma accettabile (specie se si trattasse di Roma, dove la partita è proibitiva). Ma se a Napoli e Roma si aggiungesse un’altra città? E se la terza sconfitta fosse proprio a Milano? «Le cose andrebbero diversamente e si accenderebbe uno scontro interno al partito in cui potrebbe anche accadere che un pezzo della maggioranza si stacchi per dar vita ad una corrente di centro», cosa che inizierebbe a rendere difficile la vita al fiorentino, conclude Giannuli: difficile credere che non stia pensando proprio a questo, il Conte Max.«Vedo più spettatori che votanti a queste primarie». Oppure: «C’era anche Renzi al funerale? Non l’ho visto». A parlare è un Massimo D’Alema che in questi giorni si mostra di insolita giovialità, quasi spensierato. E così, fra una battuta e l’altra, qualche sera fa, in una cena in cui c’era una giornalista, il lìder Massimo si è lasciato sfuggire una battuta «lieve come un’incudine sui piedi», ovvero: «Renzi è un agente del Mossad, bisogna farlo cadere». Il Mossad, nientemeno! Vero, Renzi «si è sempre mostrato assai comprensivo verso le ragioni di Israele», ammette Aldo Giannuli, che da tempo segnala grandi manovre per far fuori il Rottamatore, che peraltro ha come consigliere economico Yoram Gutgeld, già tenente colonnello dell’esercito israeliano. «Forse, quella del Conte Max era solo una battuta di spirito», aggiunge Giannuli, sarcastico, proprio mentre – da Napoli a Roma – il Pd renziano sta per andare incontro a un possibile disastro, alle amministrative. Il momento è delicato? Ed ecco che interviene D’Alema – un uomo che, per inciso, vanta relazioni europee di altissimo livello, come quelle con pesi massimi del super-potere, del calibro di Jacques Attali, già uomo-ombra di Mitterrand e da sempre presente nel vertice supremo, anche massonico, che pilota le istituzioni europee.
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L’Isis in Kosovo, come volevano gli Usa (complice l’Italia)
Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.Una terra non appartiene solo a chi la abita in quel momento, ma è anche frutto delle generazioni che l’hanno vissuta e lavorata in precedenza facendone ciò che è. Era quindi una questione che indipendentisti kosovari e Serbia avrebbero dovuto risolversi fra loro. Che c’entravano gli Usa che stanno a 10mila chilometri di distanza? Ma siccome essi hanno interessi geopolitici dappertutto, anche sul più sperduto atollo, convocarono sotto la loro guida una Conferenza di pace a Rambouillet. Le condizioni poste alla Serbia (molto invisa anche perché era rimasto l’ultimo paese paracomunista in Europa) erano tali che Belgrado non avrebbe dovuto rinunciare solo alla sovranità sul Kosovo, ma anche su se stessa. E i serbi, già defraudati della vittoria conquistata sul campo di battaglia in Bosnia (perché, sul terreno, sono i migliori combattenti del mondo e si deve alla loro resistenza alla Wermacht quel ritardo di tre mesi che fu fatale a Hitler, perché ritardò il suo attacco all’Urss e così le truppe di Von Paulus si scontrarono col Generale Inverno che aveva già sconfitto Napoleone – questo merito storico bisognerebbe riconoscerglielo, qualche volta) dissero di no.Allora gli americani, con alcuni servi fedeli fra cui l’Italia (gli aerei partivano da Aviano), violando il principio del diritto internazionale – fino ad allora mai messo in discussione – della non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano (e con questo precedente è ora difficile bacchettare la Russia perché si è intromessa in Ucraina a difesa degli indipendentisti russi di Crimea e di altre zone russofone), bombardarono per 72 giorni una grande e colta capitale europea come Belgrado facendo 5500 morti, fra cui molti di quegli albanesi che pretendevano di difendere. E, poiché da sempre bombardano “’ndo cojo cojo”, colpirono anche l’ambasciata cinese. Princìpi a parte, abbiamo finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quella che oggi provoca le isterie Fallaci-style.Gli Usa però almeno un piano ce l’avevano: costituire una striscia di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) in appoggio a quella che allora (oggi molto meno) era la loro grande alleata nella regione, la Turchia. Ma sbagliarono anche quella volta i calcoli: oggi i musulmani dei Balcani sono assai meno moderati, molti stingono nello jihadismo e la Turchia sta via via abbandonando l’assetto laico di Ataturk per un regime sempre più confessionale. Ma particolarmente stolida fu la partecipazione dell’Italia a quell’aggressione. Perché noi con i serbi non abbiamo mai avuto alcun contenzioso (l’abbiamo avuto semmai con i croati che fascisti erano e fascisti sono rimasti). Abbiamo anzi un legame storico che risale ai primi del Novecento. A quell’epoca si pubblicava a Belgrado un quotidiano che si chiamava Piemonte, perché i serbi vedevano nell’Unità d’Italia un modello per raggiungere la loro. Inoltre il ‘gendarme’ Milosevic, checché se ne sia detto e scritto, era, almeno dopo la pace di Dayton, un fattore di stabilizzazione nei Balcani. Ridotta ora la Serbia ai minimi termini, in Kosovo, Bosnia, Macedonia, Montenegro e Albania sono concresciute grandi organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari sporchi nel paese ricco più vicino, l’Italia.Quando a “Ballarò”, presente Massimo D’Alema, dissi che la guerra alla Serbia oltre che illegittima era stata cogliona, l’ex premier – che guidava il governo all’epoca dell’intervento non fiatò. Ma io a “Ballarò” non ci ho più rimesso piede. Ma l’avventurismo yankee nei Balcani ci ha lasciato un altro regalo, il più gravido di conseguenze: ora, per i contraccolpi dell’aggressione alla Serbia del ‘99, gli uomini del Califfo li abbiamo sull’uscio di casa, mentre gli Usa se ne possono fregare perché c’è l’oceano di mezzo. Eppoi almeno qualcosa hanno ottenuto: oggi in Kosovo c’è la loro più grande base militare. Non è poco visto che, in giro per il mondo, ne hanno una settantina.(Massimo Fini, “Il Califfo in Kosovo, grazie a Usa e Italia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 febbraio 2016).Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.
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Duff: uno di questi pagliacci dominerà gli Usa (e il mondo)
Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.Mentre la gente è costretta a saccheggiare i propri risparmi, sono proprio queste bestie [Adelson, i Koch …] e i politici che esse controllano – sono 350 i membri del Congresso e 22 i governatori di cui tirano le fila, assieme ai cartelli della droga, alle compagnie petrolifere e a Wall Street – ad essere i veri terroristi: sono essi stessi l’Isis, Al-Qaeda, l’incarnazione stessa della guerra. Puntare il dito contro Hillary o George Soros è semplice … sono dei bersagli molto facili, lo ammetto. Sono i pianificatori delle vicende di Bengasi, i sostenitori di Boko Haram, di al Qaeda e dell’Isis. Tuttavia, se vogliamo ‘crescere’ e porci delle domande difficili, chiediamoci perché la tronfia ‘principessa neocon’ [Victoria Nuland], moglie di uno dei fratelli Kagan, fu ‘consacrata’ alla distruzione dell’Ucraina proprio da Hillary Clinton. I ratti stanno spolpando l’Ucraina mentre i politici fascisti che a loro fanno capo, con l’aiuto di una ben orchestrata ‘crisi dei profughi’, stanno prendendo l’Europa dal basso.Prendetevi i 6 minuti e 27 secondi che sono necessari e sedetevi su una sedia a guardare il video del “South Front”. Cominciate a pensare alla situazione del mondo intero e al fatto che, mentre stiamo spingendo la Russia verso la bancarotta e la Cina verso la guerra, i nostri ‘salvatori’ dovrebbero essere proprio questi pagliacci. Mi piace veramente tanto ascoltare Trump. Quello che posso dire è che ha un’intelligenza di basso livello, che è un personaggio tutto sbagliato ed essenzialmente la caricatura di se stesso: il cartone animato di un cartone animato. Tuttavia, vale il doppio di Mitt Romney ed è una specie divinità se comparato a Kasich, a McCain o a Jeb Bush. Romney crede veramente di potersi infilare nella corsa alla presidenza e c’è un motivo se può nutrire questa speranza. Il Gop sta alimentando il ‘Dipartimento di Giustizia’ con dei propri files su Trump. Romney, inoltre, sembrerebbe un candidato perfetto, affidabile, con la sua abbronzatura scintillante e i suoi abiti sempre un po’ troppo attillati.Mi ricordo di G. W. Bush e della sua enorme tuta antiproiettile, adatta a coprire il suo grosso sedere e le sue spalle strette: un tentativo per bilanciare il suo sguardo, compreso fra quello di uno scimpanzé e quello del ‘Gollum’ [un personaggio del “Signore degli Anelli”]. Romney, invece, ha un aspetto esteriore veramente bello e, dopo aver ascoltato il discorso di Trump, il suo commento ‘in ginocchio’, comincio a pormi un paio di domande al riguardo di Trump. Ma poi, di nuovo, in una nazione governata da pedofili, l’idea di mettere in discussione la natura di qualsiasi relazione fra adulto e adulto – o fra essere umano ed essere umano, se quest’ultimo termine è più chiaro – viola i veri standard morali dell’America, per come essi sono nella realtà. Nel 2012 alcuni amici dell’Fbi vennero a trovarci nella nostra sede, portando con loro la prova della complicità di Romney con la criminalità organizzata, con il traffico di droga – assieme al suo partner Carlos Salinas – e infine i contratti clandestini che aveva stipulato con Castro ed il ‘Kgb’. Le registrazioni di quelle interviste sono su YouTube.Qualunque sia la mia opinione su Trump, è un ‘capo’ e ha le spalle ben al di sopra della gente del Gop. Ha introdotto un nuovo livello di chiarezza nel discorso politico americano. Il solo problema è che molto di quello che dice è poco considerato, una conseguenza del suo convulsivo modo di parlare, generato da quello che posso solo immaginare sia un caso di ‘sindrome da deficit di attenzione’. Non credo, comunque, che intenda esprimere, nella realtà, le cose folli che gli escono di bocca ed è senz’altro molto meno ‘pericoloso’ di quanto possa sembrare. Anch’io credo che non sia in possesso delle capacità amministrative e dell’energia personale che possano metterlo davanti al ‘pacchetto’ [dei candidati repubblicani alla presidenza]. Per quanto riguarda i democratici, in questo momento è Hillary la favorita. A meno che non venga uccisa, sarà lei il presidente. Il suo programma di politica interna è eccezionale ma, per quanto riguarda la politica estera, è chiaro che lei è ‘gestita’ da una ‘forza nascosta’ che non ama molto gli Stati Uniti.E’ molto doloroso doverlo dire, in particolare per chi come me è sempre più anziano e non è ancora uno stupido integrale. Mi ricordo di Ike, di Nixon e di Reagan. Dei rospi velenosi che avrebbero dovuto essere strangolati nella culla, ma che tuttavia erano lontani mille miglia da ‘W’ [Bush], la più grande mostruosità umana della nostra epoca, di qualsiasi nazione e di qualsiasi specie. Il rischio reale, con Trump, è che nessuno lo può comprare e che lui non condivide i sogni del resto del Gop, capace solo di blandire i ragazzini e ballare al fianco di Tony Scalia, in una gioiosa esaltazione dell’Angelo della Luce [Lucifero]. “Veterans Today” è per la maggior parte un club di bravi ragazzi ma, per quanto riguarda le pubblicazioni, lo staff di Vt è composto più da ‘Bar Fighters’ [combattenti da bar] che da ‘Bible Thumpers’ [coloro che considerano la Bibbia uno strumento per attaccare gli altri e non la guida per una vita corretta]. Ci sono delle verità in quello che stiamo dicendo, per la memoria di cui siamo portatori e che speriamo di condividere con tutti gli altri, mettendo gli orologi indietro fino all’epoca di presidenti ormai morti da molto tempo, come Roosevelt, Truman, Ike e gente simile, come ad esempio il primo ministro Churchill.Ma siamo ormai arrivati al momento della ‘ricreazione’ pomeridiana, del football consumato ‘out of the box’. Il pipistrello si è liberato dai legacci e ha messo fuori la testa, sul campo di gioco. Alcuni ragazzi sono rimasti indietro, giocano al ‘salto della corda’ con le ragazze sviluppando quelle capacità che altri vorrebbero aver guadagnato. Altri invece si sono attaccati alle gonne delle insegnanti in attesa del suono della campanella, che consentirà loro di tornare alla sicurezza e al calore delle loro scrivanie. Sono proprio quest’ultimi, coloro che non hanno mai fatto una scelta, che non hanno mai battuto troppi sentieri, sono proprio costoro i nostri leader nazionali. Se guardiamo ai candidati del Gop, a Jeb, a Kasish, a Cruz, a Rubio o a Trump, anche a Romney, ebbene sono proprio loro ‘quei ragazzi’, quelli di cui ci eravamo scordati e che sono riapparsi nella nostra vita come una vile pugnalata alle spalle, con le loro facce che sorridono alle organizzazioni criminali. Ditemi voi se mi sto sbagliando.(Gordon Duff, “Solo una goccia d’intelligenza”, da “Veterans Today” del 3 marzo 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Veterano del Vietnam, Duff è un prestigioso analista internazionale, molto popolare anche sui media).Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.
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Il mondo sta crollando, ma niente ferma il Tav in val Susa
Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.Il progetto Torino-Lione sembra uscito da un romanzo di Dino Buzzati: si misura essenzialmente con l’assurdo, in una dilatazione spazio-temporale che rasenta la metafisica, archiviate l’economia e l’ingegneria, la scienza dei trasporti, le cifre del mondo reale. Come se un oscuro potere imperiale, quello che assiepa soldati alla Fortezza Bastiani nell’attesa eterna nel Nemico, avesse provveduto con incrollabile fede a istruire minuziose, inarrestabili procedure per l’avanzata della Grande Opera: una ferrovia-doppione, costosissima e devastante. Una strada ferrata che resterà senza treni, per mancanza di passeggeri e di merci, e ridurrà a deserto pericoloso e tossico il territorio attraversato. Ma non hanno orecchie, i grandi decisori, per ascoltare le argomentate proteste gridate e scritte, in tonnellate di carta, da ingegneri e geologi, ambientalisti, trasportisti italiani ed europei, criminologi antimafia, sentinelle mobilitate contro la finanza-canaglia che mette insieme partiti e banche, malaffare, alta burocrazia europea, élite industriale e finanziaria. Quella talpa cieca, semplicemente, deve continuare a scavare nel debito pubblico italiano, trasformato in tragedia dalla perdita di sovranità monetaria.Resiste a tutto, il progetto Tav Torino-Lione. Era nato alla fine degli anni ‘80, in previsione del collasso dell’Urss, per collegare via terra tutta l’Europa, da Lisbona a Kiev, proseguendo la sua corsa (largamente onirica) fino a Pechino. Erano gli anni della Perestrojka, della caduta del Muro. Poi vennero gli anni ‘90, la sciagura invisibile di Maastricht, Berlusconi e l’Ulivo di Prodi, Mario Draghi e il Britannia, Padoa Schioppa, Ciampi. La crisi in Somalia, la guerra in Cecenia, la devastazione della Jugoslavia, il Kosovo. Bill Clinton, la pace tra Rabin e Arafat, l’omicidio di Rabin e quello di Arafat, la fine del Glass-Steagall Act decretata da Clinton e quindi l’avvento della super-finanza onnivora senza più freni, fino all’apocalisse della Lehman Brothers. Era in corso una guerra invisibile, ma in Italia e in Europa di respirava ancora un clima di pace sostanziale, di economia non ancora in lacrime. Poi, nel 2011, la catastrofe. La Troika, Monti, la legge Fornero, la mannaia dell’austerity, il collasso di decine di migliaia di aziende, l’esplosione della disoccupazione. Nulla, comunque, che potesse fermare gli uomini d’acciaio decisi ad azzannare le rocce di Chiomonte, sgomberando a forza gli ultimi ostinati manifestanti, insieme alle loro insopportabili ragioni, tristemente verificabili come odiose verità matematiche.Da lì in poi, l’Italia non ha fatto che sprofondare in un incubo, smarrite tutte le certezze sociali ed economiche dei decenni precedenti, tra negozi sprangati e cervelli in fuga, giovani di quarant’anni mantenuti da genitori e nonni, aziende chiuse, suicidi a catena, licenziamenti in massa. Un terremoto senza precedenti, dal 1945. Spazzate via tutte le coordinate convenzionali della vita repubblicana, le tutele del lavoro rottamate insieme alla Costituzione e al sogno di una legge elettorale democratica. E attorno, un assedio livido e minaccioso, dall’Ucraina alla Siria fino alla Libia e al massacro della Grecia, vivisezionata senza anestesia a mo’ avvertimento, per tutti. Strategia della tensione, a livello internazionale: bombe e stragi “false flag”, i finanziamenti occulti e l’esodo biblico dei profughi, il terrorismo sporco dell’Isis e gli attentati opachi di Parigi. Prospettive, zero: un giovane su due è senza lavoro. Ma, naturalmente, la talpa di Chiomonte non si ferma: scava un buco, nel futuro più cieco di tutti i tempi.La storica battaglia dei NoTav era nata e cresciuta in tempo di pace, reclamando diritti a portata di mano, fino all’altro ieri. L’ambiente, il territorio, la salute, la giustizia, la trasparenza, l’economia reale. Era un mondo dove sembrava esserci ancora spazio per discussioni ragionevoli, seduti allo stesso tavolo. Ora, non c’è più neppure il tavolo: niente intermediazioni né dialogo, nessuna possibile trattativa. Siamo al diktat del 3%, imposto del super-potere bancario per tagliare la spesa sociale, anche a costo di far crollare, di conseguenza, l’economia privata, l’occupazione e il gettito fiscale, con ripercussioni fatali sul debito. Ma non importa, stiamo entrando nell’era del Ttip. Lo Stato senza più moneta, che deve farsi approvare il bilancio a Bruxelles, non conta più niente e conterà ancora meno, quando a dettare legge saranno direttamente le multinazionali, coi tribunali speciali istituiti dal trattato Usa-Ue che sbaraccherà ogni residua sovranità nazionale e locale. Fine dei microcosmi che abbiamo abitato, per decenni, confidando nella possibilità di migliorare la situazione. I NoTav sono ancora là, in valle di Susa, con le loro bandiere. Ma tutt’intorno, l’Italia sembra non esserci più – a parte quel buco ostinato e sempre più surreale, in quest’Europa desolata dagli oligarchi.Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.
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Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire
L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:- L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.- L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!- La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.- L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.- La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.- La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.(Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
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Regeni, 007 ucciso dagli inglesi in vista della guerra in Libia
Giulio Regeni non era solo un talento, un ragazzo prodigio, ma anche uno 007 di primo livello reclutato dall’Aise, l’intelligence italiana all’estero, che utilizzava l’ateneo di Cambridge come copertura, dando cioè l’illusione di lavorare per Londra. Missione: tenere sotto pressione il regime di Al-Sisi, sul mancato rispetto dei diritti umani, raccogliendo prove. Vero obiettivo: aiutare l’Italia a “convincere” l’Egitto – anche in cambio del silenzio su quel dossier – a dare pieno appoggio a Roma nella imminente missione di guerra in Libia. Opzione temutissima soprattutto da Londra, preoccupata dalle ottime relazioni italiane con il Cairo. Da qui la contromossa dell’intelligence britannica, l’Mi6, che avrebbe infiltrato il Mukhabarat, il servizio segreto egiziano, ordinando a una sua cellula di sequestrare il giovane, torturarlo e ucciderlo, per poi farlo ritrovare orribilmente martoriato. Conseguenza evidente: una crisi diplomatica tra Roma e l’ignaro governo di Al-Sisi, altra vittima del complotto inglese, insieme all’Italia e soprattutto al povero Regeni, intrappolato in una sanguinosa spy-story.La vicenda avrebbe anche potuto avere un finale diverso: la liberazione del ragazzo, se i colleghi 007 italiani avessero a loro volta sequestrato un agente inglese, per poi organizzare lo scambio di prigionieri, come ai tempi della guerra fredda. E’ la testi esposta nei giorni scorsi da un grande giornalista come Marco Gregoretti, già inviato di “Panorama”, vincitore del Premio Saint-Vincent per i suoi servizi sulle violenze (stupri, torture) commesse nelle missioni di pace in Somalia, dove furono assassinati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Tralasciando le ovvie smentite dei familiari di Regeni, Gregoretti si sofferma sull’anomalia assoluta della smentita ufficiale fornita dall’Aise (normalmente, i servizi segreti non “esternano”, men che meno con comunicati stampa). Soprattutto, il giornalista sottolinea il silenzio delle principali istituzioni: nessuna smentita, sul ruolo di Regeni in Egitto, né da Palazzo Chigi né dalla Farnesina, a conferma del basso profilo che sta tenendo il governo Renzi, «saggiamente orientato alla prudenza», di fronte all’inaudita gravità del complotto inglese.Dopo svariati articoli pubblicati sul suo blog, ripresi anche dal “Giornale” (non senza conseguenze: il reporter racconta di aver ricevito «esplicite minacce»), Gregoretti ha riassunto la sua posizione in un’intervista a Stefania Nicoletti per “Border Nights”, trasmissione web-radio. Premessa obbligatoria: si tratta di analisi, considerazioni e deduzioni, data l’impossibilità di esibire riscontri e rivelare fonti riservate, cui il giornalista ha evidentemente accesso. Punto di partenza, a livello geopolitico: l’insofferenza di Londra per il rapporto privilegiato tra l’Italia e Al-Sisi, come in Libia ai tempi di Gheddafi. «L’ombra efficiente del Mi6, la gloriosa intelligence britannica, si allunga sempre più sulla morte dell’agente dell’Aise, (il servizio segreto italiano che si occupa di estero) Giulio Regeni». Gregoretti cita una delle sue fonti, secondo cui «gli inglesi, in Egitto, hanno giocato sporco come in Libia, soltanto che là c’erano anche i francesi». A Londra «non vogliono che si mantenga il canale aperto tra il nostro governo e Al-Sisi, soprattutto in vista della guerra in Libia».Quel che è successo al Cairo, scrive Gregoretti, ha il ritmo e la suspense di un giallo di John Le Carré. «Regeni era un operativo della nostra intelligence, ma non nel senso degli interventi armati o di azione fisica, la sua operatività era di tipo informativo». Per la fonte di Gregoretti, il giovane friulano barbaramente assassinato in Egitto era «molto intelligente, serio e a modo». Ma, «contrariamente a quanto si potrebbe evincere dalle fotografie con il gattino, anche preparato fisicamente». Per questo avrebbe reagito alla cattura, «lottando in maniera determinata», prima di essere «sopraffatto numericamente». Che c’entra l’Mi6? «Tutto, o quasi», scrive Gregoretti. «Le università britanniche sono terreno fertile dei servizi segreti inglesi: sono una delle coperture maggiormente praticate. E a quella di Cambrige, una delle più prestigiose, era collegato Regeni. Ed è proprio da lì che il suo contatto, la professoressa Maha Abdelharam, esperta di Medio Oriente, interrogata in questi giorni dal pm Sergio Colaiocco (che ha sentito anche il professor Gennaro Gervasio, l’uomo che la sera del 25 gennaio diede l’allarme della scomparsa di Regeni), gli chiese di approfondire le informazioni sui sindacati e sui Fratelli Musulmani». Il giovane aveva anche ricevuto una precisa scaletta di notizie che doveva trasmettere all’ateneo inglese: un documento molto importante, che in questo momento dovrebbe essere nelle mani dei carabinieri del Ros.Insomma, l’ Mi6 avrebbe usato l’università di Cambrige con una doppia finalità: avere il materiale e sapere che cosa era a conoscenza dei servizi italiani: «Regeni, pensando di avvalorare la copertura, infatti, mandava una copia a Cambrige (senza sapere che in realtà era una trappola inglese) e una all’Aise». Per liquidarlo, gli agenti britannici avrebbero utilizzato una sezione del Mukhabarat, che è un servizio segreto diviso in tre tronconi che non comunicano tra loro. In più, secondo la fonte di Gregoretti, «In Egitto ci sono alcuni generali che si oppongono ad Al-Sisi». Sicché, per l’intelligence britannica, «geniale in questo tipo di operazione», il gioco è stato facile: «In un paese dove il livello di corruzione è piuttosto alto, l’Mi6 non ha avuto problemi a mettere al proprio soldo un paio di agenti del Mukhabarat e a fargli fare il lavoro sporco». Dunque, concluce Gregoretti, il presidente egiziano davvero non sapeva nulla. «Tant’è che il cadavere è stato ritrovato dopo il suo intervento. Ma il contesto era perfetto per creare un problema serio tra l’Egitto e l’Italia: c’era la visita del ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, si stavano prendendo importanti accordi economici e, soprattutto, militari in vista della guerra».L’Mi6 teneva d’occhio Regeni da tempo, continua Gregoretti. E sapeva benissimo che era un agente segreto italiano. «D’altronde, Regeni stesso ne diede indirettamente conferma quando, l’11 dicembre, partecipando a una assemblea sindacale, disse di essersi accorto che qualcuno lo stava fotografando. Erano i giorni in cui da Cambrige gli avevano chiesto gli approfondimenti di ricerca». Quindi, ricapitolando, Regeni è stato prelevato da due persone del Mukhabarat che lo hanno torturato per avere informazioni su quanto ancora non aveva relazionato della sua ricerca (sul sindacato degli autotrasportatori, per esempio) e poi l’hanno ucciso e mutilato facendo ritrovare il cadavere il 3 febbraio, con lo scopo di creare un incidente tra il nostro paese e l’Egitto di Al-Sisi. E l’Aise? Risponde l’informatore: «L’Aise gioca, questi no: questi uccidono. Il problema è che ognuno di noi all’estero, con i servizi segreti che abbiamo, è un Regeni in pericolo». Che fare, allora? Secondo la fonte, bisognava «catturare il primo loro spione in Italia, tanto si conosce l’elenco, e far capire che non era aria. Secondo me – aggiunge il funzionario – inglesi o non inglesi, ci avrebbero restituito Regeni in un batter d’occhio. Queste sono operazioni che si sono sempre fatte sul campo. Ma oggi, sul campo chi c’è?».Giulio Regeni non era solo un talento, un ragazzo prodigio, ma anche uno 007 di primo livello reclutato dall’Aise, l’intelligence italiana all’estero, che utilizzava l’ateneo di Cambridge come copertura, dando cioè l’illusione di lavorare per Londra. Missione: tenere sotto pressione il regime di Al-Sisi, sul mancato rispetto dei diritti umani, raccogliendo prove. Vero obiettivo: aiutare l’Italia a “convincere” l’Egitto – anche in cambio del silenzio su quel dossier – a dare pieno appoggio a Roma nella imminente missione di guerra in Libia. Opzione temutissima soprattutto da Londra, preoccupata dalle ottime relazioni italiane con il Cairo. Da qui la contromossa dell’intelligence britannica, l’Mi6, che avrebbe infiltrato il Mukhabarat, il servizio segreto egiziano, ordinando a una sua cellula di sequestrare il giovane, torturarlo e ucciderlo, per poi farlo ritrovare orribilmente martoriato. Conseguenza evidente: una crisi diplomatica tra Roma e l’ignaro governo di Al-Sisi, altra vittima del complotto inglese, insieme all’Italia e soprattutto al povero Regeni, intrappolato in una sanguinosa spy-story.
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E’ il potere a fabbricare il terrore, ma il 30% non ci casca più
La Terza Guerra Mondiale? Ci siamo già dentro: ed è cominciata l’11 settembre del 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle e quindi le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Da allora, solo guerra. Non c’è davvero altro modo per definire lo scenario di inarrestabile e devastante destabilizzazione globale, con milioni di morti e popoli in fuga, in un’aera vastissima: dall’Asia Centrale al Medio Oriente, all’Africa, fino al terrorismo finto-islamista che minaccia l’Europa. La buona notizia – l’unica – è che un 20-30% dell’umanità di sta “risvegliando”, e ha capito che non si può più fidare del sistema mainstream, politico e finanziario, economico e mediatico. E’, in sintesi, la visione fornita in questi giorni da Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, ora animatore del network “Coscienze in Rete”, che diffonde contro-informazione con particolare attenzione al profilo invisibile, anche “spirituale”, degli avvenimenti. La tesi: una piramide “nera” di potere fomenta la paura e l’odio, in ogni parte del mondo, per generare altra paura e altro odio, in una spirale senza fine.Nel corso di una lunga intervista radiofonica a “Forme d’Onda”, trasmissione web-radio, Carotenuto espone il suo pensiero in termini anche estremamente sintetici: la guerra in Siria non è che l’ultimo capitolo della grande guerra ultra-decennale contro i regimi “laici” dell’area islamica, da quello di Saddam a quello di Gheddafi. Lo strumento-cardine del “potere nero”? Il cosiddetto fondamentalismo jihadista, ieri Al-Qaeda e oggi Isis. «Tutte creazioni dell’intelligence occidentale, che ha obbligato le monarchie del Golfo – a loro volta, una creazione occidentale, recente e precaria – ad appoggiare, finanziare e armare i tagliagole dello Stato Islamico», facendo esplodere di colpo – in parallelo – anche la tradizionale rivalità tra sunniti e sciiti. Movente fondamentale: «Costruire un nuovo, grande nemico, chiaramente percepito come tale, capace di rimpiazzare il “nemico pubblico” del passato, l’Unione Sovietica». Secondo Carotenuto, «l’Occidente non impiegherebbe più di 15 giorni a sbaragliare l’Isis, ma non lo fa: perché è una sua creazione». L’obiettivo è semplice: demolire ogni residua sovranità statale e regionale oltre il Mediterraneo, e – in Europa – convincere i cittadini che dovranno accettare necessarie restrizioni, dovendo fronteggiare un nemico pericoloso, crudele, folle.«Essendo impossibile “fabbricare” un nemico anche solo lontanamente paragonabile all’Unione Sovietica, per potenziale strategico e militare – continua Carotenuto – si è scelta l’opzione più comoda, quella del terrorismo, ripescando dall’immaginario collettivo l’antica eredità delle Crociate, lo schema “cristianità contro Islam”». Suggestioni storiche ma soprattutto terrorismo, dunque: un’arma “low cost”, invisibile ma onnipresente, che può colpire a Damasco o a Parigi, «in questo caso, magari, per dimostrare – mettendo in piazza la strana inefficienza degli apparati di sicurezza francesi – la necessità di un super-Stato gendarme, ovviamente europeo, che sequestri ogni restante potere democratico nazionale». Geopolitica e terrore. E’ la tecnica del caos, quella della strategia della tensione già usata in passato, in Italia: anche allora, quando c’erano le Brigate Rosse, tanti giovani inconsapevoli sono stati manipolati, per un causa che credevano loro, ma che invece faceva parte di un disegno eterodiretto che aveva il medesimo scopo, incutere paura e legittimare i governanti al potere».Il grande obiettivo, per Carotenuto, è sempre lo stesso: impedire che si risvegli la coscienza. «Se uno “dorme”, resta nelle sue abitudini di consumo e continua a fidarsi di quello che i media gli raccontano, si abituerà a sopravvivere passando da un’emergenza all’altra, senza mai vedere che il nemico, quello vero, non è lontano da noi – e non è ovviamente musulmano». Nonostante tutto, Carotenuto scommette sul futuro: «C’è almeno un 20-30% dell’umanità che si sta letteralmente risvegliando alla verità e non cade più nell’inganno. Per questo, probabilmente, assistiamo a tanta violenza: i dominus hanno capito di averci già perso, e puntano a spaventare gli altri, quelli che “dormono” ancora. Ma è del tutto evidente che la tendenza non è a loro favore: i “risvegli” sono destinati a crescere».La Terza Guerra Mondiale? Ci siamo già dentro: ed è cominciata l’11 settembre del 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle e quindi le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq. Da allora, solo guerra. Non c’è davvero altro modo per definire lo scenario di inarrestabile e devastante destabilizzazione globale, con milioni di morti e popoli in fuga, in un’aera vastissima: dall’Asia Centrale al Medio Oriente, all’Africa, fino al terrorismo finto-islamista che minaccia l’Europa. La buona notizia – l’unica – è che un 20-30% dell’umanità di sta “risvegliando”, e ha capito che non si può più fidare del sistema mainstream, politico e finanziario, economico e mediatico. E’, in sintesi, la visione fornita in questi giorni da Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, ora animatore del network “Coscienze in Rete”, che diffonde contro-informazione con particolare attenzione al profilo invisibile, anche “spirituale”, degli avvenimenti. La tesi: una piramide “nera” di potere fomenta la paura e l’odio, in ogni parte del mondo, per generare altra paura e altro odio, in una spirale senza fine.