Archivio del Tag ‘libertà’
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Ma l’Ue nasce dall’Opus Dei, riciclando criminali nazifascisti
L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.Questa politica fu favorita a malincuore dal generale de Gaulle. I francesi avevano sostenuto massicciamente e sino all’ultimo momento il regime fascista dell’ex-maresciallo Pétain e, attraverso lui, avevano attivamente partecipato allo sforzo di guerra del Reich. Alla conferenza di Yalta, gli Alleati avevano deciso di occupare la Francia non appena avessero vinto, di fucilare i suoi ufficiali e di accusare di incapacità civica tutti gli uomini al di sopra dei quarant’anni. Il genio di de Gaulle fu dunque di presentare lo Stato francese come un usurpatore e il governo della Francia libera, durante la sua avventura londinese, come il solo legittimo. Perfettamente cosciente che la Resistenza che era effettivamente esistita sul suolo francese era in maggioranza comunista, e temendo un’insurrezione marxista, Churchill diede il suo appoggio a questa menzogna storica: si presentò la disfatta dello Stato francese come la liberazione da un territorio occupato da un nemico. Trascinato da questa logica revisionista, de Gaulle fu costretto ad accettare il mantenimento dei vescovi fascisti e a fare amnistiare, cioè presentare come “resistenti” diversi responsabili petainisti.Questo riciclaggio di cattolici fascisti fu favorito da due membri dell’Opus Dei vicini al generale: Maurice Schumann (“La vois de la France Libre”) e la contessa Thérése, sposa del maresciallo Leclerc de Hautecloque. De Gaulle pensava di evitare così una guerra civile. Comunque sia, questa tattica ha permesso a dei politici e funzionari di estrema destra di integrarsi nelle nuove istituzioni democratiche, di farvi carriera di nascosto e infine di farvi trionfare di nuovo le loro idee. Un caso sorprendente è quello di Robert Schuman (con una sola “n”, con nessun legame di parentela con il precedente appena citato). Nel settembre del 1944, questo politico cristiano-democratico, allora di 58 anni, appariva come l’effimero consigliere del maresciallo de Lattre de Tassigni durante la liberazione dell’Alsazia-Lorena. Eletto deputato nel 1945, nominato ministro delle finanze nel 1946, presidente del Consiglio nel 1947, ministro degli affari esteri nel 1948. Nel 1949, installò la sede della Nato a Parigi. Lanciò l’idea dell’Europa comunitaria nel 1950 (Ceca e Ced) e partecipò attivamente al governo di Antoine Pinay. Tenuto ai margini degli affari francesi al ritorno di de Gaulle, fu il primo presidente del Parlamento Europeo. Colpito da senilità, morì nel 1963. Rimane nella memoria come il “padre dell’Europa”.Lo si conosceva come profondamente religioso, come uno che assisteva alla messa ogni mattina, che si dedicava a dolorose mortificazioni; si sa oggi, in occasione della sua beatificazione, che era membro dell’Opus Dei. Avremmo dovuto ricordarci del decreto Poinso-Chapuis: quel testo, che egli firmò il 22 maggio 1948 da presidente del Consiglio, permetteva alla Chiesa di sviare delle sovvenzioni pubbliche attraverso l’espediente delle associazioni familiari. Fu ritirato dopo una potente mobilitazione nazionale. Ma prima che Robert Schuman venisse proclamato beato, poi santo da Giovanni Paolo II, conviene chiedersi come hanno potuto dimenticarsi che era stato fascista, sottosegretario di Stato di Philippe Pétain. Colpito da indegnità nazionale alla Liberazione, al momento stesso in cui aveva tentato di porsi presso il maresciallo de Lattre, era stato sollevato dalla sua ineleggibilità per intervento di Charles de Gaulle nell’agosto del 1945. Per camuffare questa riabilitazione si era evidenziato il fatto che era stato posto agli arresti domiciliari dai nazisti sin dal 1941. In realtà, Robert Schuman aveva sempre sostenuto la “rivoluzione nazionale” fascista e si era unicamente opposto all’annessione dell’Alsazia-Mosella da parte del Grande Reich.Robert Schuman non poté edificare le prime istituzioni europee che con l’aiuto di un altro membro dell’Opus Dei, Alcide De Gasperi, il cui processo di beatificazione è anch’esso in corso alla Sacra congregazione per la causa dei santi. De Gasperi si oppose all’accesso di Mussolini al potere e fu imprigionato dalle “camicie nere” nel 1926. Ma fu liberato e si ritirò dall’opposizione dopo la firma degli accordi del Laterano tra la Santa Sede e l’Italia. Visse allora nella Città del Vaticano, dove lavorò agli archivi segreti sino alla caduta del Duce. Segretario generale della Democrazia Cristiana, entrò al governo sin dal giugno del 1945 e fu diverse volte presidente del Consiglio. Sospese immediatamente l’epurazione e vegliò personalmente al ricollocamento dei quadri del fascismo che avevano saputo essere così generosi con il papato. Morì nel 1954. Robert Schuman e Alcide De Gasperi poterono appoggiarsi su Konrad Adenauer per costruire l’Europa dell’amnesia. Il cancelliere tedesco, presidente della Democrazia Cristiana tedesca (Cdu), non sembra essere stato membro della santa setta, ma fu, almeno sino al 1958, il suo alleato indefettibile.Pur sostenendo il nazismo, non svolse un grande ruolo nel regime hitleriano. Sindaco di Colonia, era stato accusato di incapacità dagli Alleati e rimosso dalle sue funzioni. Konrad Adenauer partecipò attivamente alla protezione dei sospetti di crimini contro l’umanità e al riciclaggio dei fascisti, non soltanto per ambizione politica ma per occultare il proprio passato. I primi vagiti dell’Europa comunitaria si concretizzarono nel 1950 con l’instaurazione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca). Riuniva come per caso gli interessi dei grandi industriali cattolici, produttori di materie prime, e degli armamenti pesanti. Nel 1957, la Comunità Europea vide la luce grazie al Trattato di Roma. I testi fondatori impiegano una fraseologia improntata alle encicliche sociali: “comunità”, “comunione”, “sussidiarità”. La sede della Comissione fu stabilita a Bruxelles, capitale del molto pio membro dell’Opus Dei Baldovino I. Il cardinale Danneels ha richiesto d’altronde la beatificazione del re cristiano che si era opposto all’aborto, confermando che l’Opus Dei è un vivaio di piccoli santi.Per garantire l’aiuto reciproco dei fascisti reinseriti in seno alle nuove istituzioni europee, l’erede del trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Otto von Asburgo-Lorena, fondò allora il Centro europeo di documentazione e di informazione (Cedi). Questa lobby fu del tutto naturalmente installata dall’Opus Dei al riparo dalla madrepatria sotto la protezione del caudillo, il generalissimo Franco. Cattolico di grande umiltà, Sua Altezza Imperiale Otto von Asburgo si è fatto eleggere semplice deputato europeo per continuare a Strasburgo la sua lotta per la riconciliazione europea. Grazie a lui, al Parlamento Europeo, i democratici cristiani (Ppe, Partito Popolare Europeo) non sono più a destra, e i socialisti (Pse, Partito Socialista Europeo) non sono più a sinistra. I confronti ideologici sono riservati alla galleria, in occasione delle elezioni. Una volta eletti, i deputati dei due grandi gruppi abbandonano i loro programmi e votano insieme la maggior parte dei testi. A Strasburgo la buona educazione di “monsignore” si è imposta: non ci sono conflitti politici, non vi sono che interessi condivisi. Il consenso dei privilegiati permette anche di spartirsi la presidenza del Parlamento e di organizzare un sistema a turno Ppe/Pse. I gruppi che rifiutano di entrare nella combinazione (comunisti, ecologisti, radicali) sono esiliati, insieme alle loro convinzioni.Con la progressione della sua espansione, l’Opus Dei ha ampliato i suoi obiettivi in Europa. Al riciclaggio dei fascisti, alla difesa delle monarchie cattoliche, al controllo delle nuove istituzioni democratiche si è aggiunta la difesa dei grandi interessi economici. Lo strumento più notevole fu creato nel 1983 sotto l’impulso del visconte dell’Opus Dei Étienne Davignon (allora comissario europeo incaricato dell’Industria e successivamente presidente della Societé Générale del Belgio): la Tavola Rotonda degli Industriali europei (Ert, European Roundtable of Industrialists). Raccoglie oggi una quarantina di dirigenti d’impresa, di cui più della metà sono membri della santa setta. L’adesione si fa unicamente per cooptazione, a titolo individuale, e non impegna ufficialmente le loro imprese. Tuttavia l’Ert è finanziata da queste imprese e pone a suo servizio alcuni dei loro quadri. L’Ert rivolge regolarmente le sue “raccomandazioni” alla Commissione Europea.L’Ert non manca mai di ricordare che è la lobby economica più potente in Europa: i suoi 42 membri impiegano tre milioni di persone. Realizzano 3.500 miliardi di franchi annui (del 1995) di volume d’affari. Un argomento che permette all’Ert di imporre le sue esigenze. Il “social-cristiano” Jacques Delors, che non gli rifiutava nessun appuntamento, diceva dell’Ert: «È una delle forze maggiori dietro il mercato unico». È «risolutamente pronunciata per uno sviluppo di reti europee di infrastrutture» e ha fatto inscrivere questi obiettivi nel Trattato di Maastricht. L’Opus Dei non si accontenta di piazzare i suoi membri e di difendere la loro comunità di interessi. Persegue sempre il suo obiettivo di restaurazione della cristianità. Per questo è protesa sia sul controllo dell’evoluzione istituzionale che sul controllo dei media. Così ha ottenuto che uno dei suoi membri fosse nominato alla Commissione Europea. Marcellino Oreja-Aguirre si è così visto stranamente affidare allo stesso tempo il portafoglio dei “Problemi audiovisivi” e quello della rinegoziazione del Trattato di Maastricht.Per quel che riguarda i “Problemi audiovisivi”, l’Opus Dei è favorevole al libero scambio. Cioè si augura di abolire «l’eccezione culturale», con riserva di una deontologia euro-americana della moralità nei media. Auspica che un ordine di giornalisti e produttori sia incaricato del suo rispetto. Quanto all’evoluzione istituzionale sono favorevoli a uno sviluppo della sovranazionalità a condizione che il potere politico sia affidato a dei tecnici. Su questo principio, hanno ottenuto il trasferimento del potere monetario a un consiglio non-politico, sul modello della Bundesbank. Un sistema che incantava il presidente (dell’Opus Dei) della banca centrale tedesca, Hans Tiettmeyer, oltretutto accademico pontificio. Si sono pronunciati per un allargamento dell’Europa sul criterio della cultura cristiana e non su quello della democrazia. È in base a questo principio che il democratico cristiano Helmut Kohl si è opposto al sostegno europeo alla repubblica laica della Bosnia Erzegovina, la cui popolazione è a maggioranza musulmana.(Thierry Meyssan, “L’Opus Dei e l’Europa, dal riciclaggio dei fascisti al controllo delle democrazie”, da “Osservatorio Anticapitalista” del 4 gennaio 2012. Giornalista internazionale e analista politico francese, Meyssan è fondatore di “Réseau Voltaire” e della conferenza “Axis for Peace”).L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.
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Euro e vaccini: e io che credevo alla serietà dei 5 Stelle…
Se vanno avanti così i 5 Stelle non vinceranno mai le elezioni (con margini sufficienti per andare al governo, intendo) perchè non hanno più il coraggio delle proprie idee. Prendiamo ad esempio la posizione ambigua, e sostanzialmente contraddittoria, che hanno assunto di recente riguardo al problema dei vaccini. Ospite della Gruber un paio di settimane fa, Alessandro Di Battista si è sentito fare una domanda-trabocchetto da una giornalista di “Sky-Tv”: «Lei vaccinerà suo figlio [che sta per nascere, ndr]?». «Certamente», ha risposto Di Battista senza esitazioni, e dimenticandosi di aggiungere una qualunque obiezione rispetto all’obbligatorietà dei vaccini. In altre parole, Di Battista ha voluto far passare il messaggio che “per i 5 Stelle i vaccini, così come sono somministrati oggi, non rappresentano un problema”. Peggio di lui ha fatto Luigi Di Maio, che pochi giorni dopo ad Harvard ha dichiarato: «I vaccini in Italia sono obbligatori per legge. Noi non abbiamo nessuna intenzione di eliminare questa obbligatorietà. Per noi sono fondamentali, e vogliamo promuovere il più possibile la cultura dell’informazione». Ma scusa un attimo, caro Di Maio, che cosa ce ne facciamo noi dell’“informazione”, se poi tanto i vaccini restano obbligatori?Questa lampante contraddizione nasconde una evidente paura che ha assalito i 5 Stelle da quando è esplosa la polemica sui vaccini. Messi sotto attacco da ogni angolo (compreso il “New York Times”, che non è poco), e accusati di essere anti-vax in modo categorico, i 5 Stelle non hanno trovato di meglio che fare una violenta retromarcia, per andare a nascondersi dietro ad una posizione palesemente allineata con il pensiero mainstream. La stessa cosa è successa con l’euro. Inizialmente i 5 Stelle denunciavano apertamente la moneta unica come evidente strumento per tenere in schiavitù le diverse economie nazionali, ma da un po’ di tempo a questa parte le loro posizioni si sono progressivamente annacquate, al punto da non essere più distinguibili dal pensiero mainstream. Il problema dei 5 Stelle è molto chiaro: quando sentono di poter diventare vulnerabili su un certo argomento, o fanno una netta marcia indietro (come nel caso dei vaccini) oppure annacquano talmente le loro posizioni (come nel caso dell’euro) da finire per assomigliare a tutti gli altri.Ma a questo punto a cosa servono i 5 Stelle? Se da partito di rottura stanno diventando lentamente allineati con gli altri su tutte le questioni più importanti, tanto vale votare Berlusconi oppure Matteo Renzi, no? Purtroppo i 5 Stelle seguono questa strategia convinti di poter conquistare più voti “fra gli indecisi”, ovvero fra coloro che sarebbero magari disponibili a votare per loro, ma che ne temono alcune posizioni troppo estreme. Ma in realtà avviene l’esatto contrario: l’indeciso rimane comunque indeciso (a causa delle posizioni poco chiare dei 5 Stelle), mentre chi prima li appoggiava apertamente rischia di sentirsi tradito dai loro voltafaccia, e di disamorarsi di questo movimento. Prendiamo ancora l’esempio dei vaccini: quante madri credono di aver conquistato, dicendo che «l’obbligo delle vaccinazioni non verrà messo in discussione»? Pochissime, in realtà, perchè comunque le madri che già sono favorevoli all’obbligo sono certamente persone che non votano 5 Stelle. E quante invece ne avranno perse? Moltissime, a mio parere, e cioè tutte quelle madri che speravano in una rimozione dell’obbligo vaccinale, proprio per poter decidere in piena libertà sul futuro e sulla salute dei propri figli.Quando ci si trova di fronte ad argomenti controversi non bisogna arretrare “per paura del nemico”, ma bisogna andargli incontro sostenendo con coraggio le proprie idee, in modo documentato ed informato. Io voglio poter votare per un movimento che sostiene apertamente e coraggiosamente quello che è giusto, documentando e argomentando in modo adeguato le proprie posizioni. Non me ne faccio nulla invece di un movimento che ha paura di tutto e di tutti, nascondendosi dietro ad un filo d’erba ogni volta che rischia di essere attaccato. Altrimenti, davvero, evviva la Democrazia Cristiana.(Massimo Mazzucco, “I 5 Stelle stanno perdendo la loro qualità migliore: la coerenza”, dal blog “Luogo Comune” del 9 maggio 2017).Se vanno avanti così i 5 Stelle non vinceranno mai le elezioni (con margini sufficienti per andare al governo, intendo) perchè non hanno più il coraggio delle proprie idee. Prendiamo ad esempio la posizione ambigua, e sostanzialmente contraddittoria, che hanno assunto di recente riguardo al problema dei vaccini. Ospite della Gruber un paio di settimane fa, Alessandro Di Battista si è sentito fare una domanda-trabocchetto da una giornalista di “Sky-Tv”: «Lei vaccinerà suo figlio [che sta per nascere, ndr]?». «Certamente», ha risposto Di Battista senza esitazioni, e dimenticandosi di aggiungere una qualunque obiezione rispetto all’obbligatorietà dei vaccini. In altre parole, Di Battista ha voluto far passare il messaggio che “per i 5 Stelle i vaccini, così come sono somministrati oggi, non rappresentano un problema”. Peggio di lui ha fatto Luigi Di Maio, che pochi giorni dopo ad Harvard ha dichiarato: «I vaccini in Italia sono obbligatori per legge. Noi non abbiamo nessuna intenzione di eliminare questa obbligatorietà. Per noi sono fondamentali, e vogliamo promuovere il più possibile la cultura dell’informazione». Ma scusa un attimo, caro Di Maio, che cosa ce ne facciamo noi dell’“informazione”, se poi tanto i vaccini restano obbligatori?
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Servizi deviati? No: a decidere è la politica (anche le stragi)
Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.Quando i servizi segreti italiani hanno ricevuto l’ordine di mettersi a disposizione della Gladio, l’operazione Stay Behind, l’hanno ricevuto da Cossiga, che era il ministro degli interni: dunque erano deviati loro o era deviato Cossiga? Certo che i servizi sono “al di sopra della legge”. E sono pure dotati della “licenza di uccidere”, proprio come il titolo del primo film di James Bond. Poi ci sono aspetti decisamente criminali, da parte di alcuni servizi segreti. C’è tutta una serie di attività di auto-finanziamento a cura di servizi come il Mossad (e, fino a dieci anni fa, i servizi bulgari), che fanno operazioni su commissione. Sono sempre autorizzate, questa operazioni: le autorità politiche non danno ai servizi tutti i soldi che loro richiedono, e quindi tollarano che, a scopo di auto-finanziamento, il servizio esegua azioni per conto terzi. A volte lavorano per qualche imprenditore che gli chiede qualche favore. Di mezzo c’è sempre, comunque, una responsabilità politica. In Italia i servizi rispondono solo a una commissione parlamentare e al ministro dell’interno, a cui si può contestare se è stato fedele, o meno, all’interesse nazionale. Da noi non puoi rivolgerti direttamente ai servizi: ti rivolgi al ministero dell’interno, chiedendo di attivare i servizi per monitorare ad esempio un’industria farmaceutica, o traffici finanziari. Ma tutto fa capo, sempre, al ministero.Il primo ministro può anche essere ignaro, dell’attività dei servizi, solo se non funziona il rapporto gerarchico con il referente diretto dei servizi, cioè il ministro dell’interno. Ma l’Italia è un paese bislacco, carente di responsabilità politica: da noi è capitato spesso che sia stato il presidente del Consiglio a chiedere espressamente al ministro dell’interno di non informarlo, su certe cose. E’ accaduto quando i servizi hanno gestito il pagamento del riscatto di certi sequestrati, e hanno pagato i rapitori con fondi che non dovevano comparire. Chi gestì quelle operazioni di liberazione, e con che soldi? Forse a questo punto vi date delle risposte, ricordando l’allora presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, già ministro dell’interno: rispose “non ci so”, quando gli chiesero dove fossero finiti certi famosi fondi neri. Scalfaro sapeva che gli sarebbe toccato tirar fuori l’elenco delle “operazioni” attuate per accumulare quei fondi neri. Quand’era ministro, il presidente del Consiglio aveva detto a Scalfaro: fa’ pure tutte quelle cose, ma fa’ in modo che io non ne sappia niente.Poi c’è l’ulteriore problema che è stato posto, ad esempio, durante il nazismo: la catena gerarchica ufficiale, che sotto il nazismo ha funzionato benissimo, era una catena perfetta. Gli ordini più terribili – uccidere, aprire i gas nei lager, sterminare ostaggi (come quelli delle Fosse Ardeatine) – gerarchicamente erano corretti. Ai soldati nazisti è stato contestato il fatto che, a certi ordini, bisognerebbe disobbedire. Ma è un problema molto delicato: perché, se fai passare questa linea, finisci col non ritrovartelo più, un esercito. Perché la linea gerarchica di un esercito, di un’operazione militare, dev’essere assoluta. Se tu la incrini, poi rimetti alle valutazioni individuali di ogni soldato a quale ordine obbedire e a quale no. Secondo voi sopravvive, un esercito, a questo? E’ un problema molto delicato, che vale anche per i servizi. Il servizio segreto che ha favorito la strage di Bologna, quello di Giannettini, si doveva rifiutare? Dire questo è eticamente giusto, però si stabilisce un principio che è contro la sopravvivenza di quell’organo: se uno mette in discussione la catena gerarchica, poi ognuno stabilisce per i fatti suoi quel che è giusto e quello che non è giusto, e quella cosa lì non esiste più.Attività criminali, come lo stragismo? Il rapporto con l’interesse nazionale lo stabilisce la responsabilità politica, siamo sempre lì. C’era una catena gerarchica che ha ritenuto utile, per l’interesse nazionale, la strategia della tensione e l’esistenza di opposti estremismi: “servivano” un estremismo violento di destra e un estremismo violento di sinistra, in maniera che la Dc sopravvivesse, potendo dire “noi, moderati, siamo i migliori”. Se c’è un potere politico che stabilisce qual è l’interesse nazionale, il funzionario dei servizi segreti esegue ordini. Ci sono dei campi in cui non esiste la libertà, etica, di fare o non fare una cosa: noi puoi rimettere alla valutazione di ciascun agente dei servizi quale ordine eseguire e quale no. A quel punto è meglio scioglierli, i servizi: fare a meno di averli. Quello che non si può fare è tenerli, e poi contestare il fatto che eseguano gli ordini che ricevono, dal potere politico, quando – per legge – sono assoggettati al potere politico.A volte i servizi segreti sono stati interessati ad acquisire informazioni dalla massoneria, altre volte sono stati interessati a utilizzare la massoneria come copertura per certe operazioni. A volte i servizi hanno avuto interesse ad affiancarsi a certe massonerie e non a certe altre, sperando che crescessero e proliferassero quelle più vicine al loro modus operandi. Ma è accaduto anche con i sindacati, con i partiti. Non fa una grossa differenza: se una funzione statuale come quella dei servizi, peraltro con uno status un po’ particolare, decide che per fare una certa operazione le è utile la Cgil, cerca di acquisire la collaborazione della Cgil. Anch’io ho avuto rapporti coi servizi: a suo tempo, mi era stato proposto anche di fare loro da consulente, con un bel compenso mensile. Solo che ho rifiutato. Ho detto: se la cosa è nell’interesse dello Stato la faccio gratis. Se non è nell’interesse dello Stato – e fortunamente non faccio parte di una catena gerarchica – perché dovrei farla pure a pagamento? Ho rifiutato proprio per quello: non volevo mettermi in un rapporto gerarchico, volevo essere io a valutare l’eticità di quello che mi veniva richiesto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web “Carpeoro Racconta” del 30 aprile 2017, ripresa su YouTube).Perché chiamarli “servizi deviati”, se i servizi segreti si prestano a fare una manovra riguardo a un traffico di droga che gli consente di acchiappare dei terroristi che stanno per mettere delle bombe? I servizi segreti fanno un lavoro sporco, ci dobbiamo rassegnare: uno può rinunciare ad averli, i servizi, ma non può pensare di avere servizi segreti trasparenti. I servizi segreti, pur di sapere se viene fatto un attentato al Papa, devono fargli vendere l’eroina, a qualcuno. Devono fare cose inconfessabili: per questo si chiamano servizi segreti. Devono fare cose sotto copertura, che non si devono venire a sapere. Ci sono Stati – molto piccoli – che non li hanno, i servizi, eppure vanno avanti lo stesso. Ma se li hai, devono essere segreti. Poi, dato che rispondono al governo, semmai a essere “deviato” è il governo: è il governo a chiedere qualcosa di “deviato”, ai suoi servizi, che sono alle dipendenze di una responsabilità anche politica. Non puoi dare ai servizi segreti responsabilità che non hanno. Interventi di servizi stranieri? Fa parte del gioco: anche noi interveniamo nelle cose straniere. Ognuno ha il suo interesse nazionale, che non si tutela solo entro i confini. Ma è sempre l’autorità politica a dare l’input.
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Hanno mangiato la brioche: Macron, capolavoro del potere
Oggi sono tutti contenti che Macron sia riuscito a sconfiggere il fascismo. Non è stato da meno di Reagan, Thatcher, Sarkozy, Merkel, Hollande, i Chicago boys e Pinochet i quali di volta in volta hanno salvato il popolo dalle insidie dell’“estrema sinistra”, del “populismo” del “castro-chavismo”, del “sovranismo”, del comunismo. Ora i francesi hanno la loro brioche e dunque potranno continuare la guerra in Siria, aiutare i nazisti ucraini, continuare a fare stragi in Africa per sostenere dittature tribali, non mettere mai più in dubbio la Nato, ma soprattutto potranno finalmente lasciarsi alle spalle gli obsoleti diritti del lavoro. Ben presto ci si accorgerà che in Francia ha vinto comunque la destra e dopo le legislative di giugno, Macron mostrerà il suo vero volto facendo scoprire che la sostanza marroncina con la quale è farcita la brioche non è precisamente crema al cioccolato. Del resto cosa ci si può attendere da uno la cui candidatura al potere è stata di fatto avanzata dal seguace dell’eugenetica Jacques Attali, a una riunione di Bilderberg nel 2014?E cosa ci si può aspettare da corpi elettorali sistematicamente frastornati da un’informazione divenuta cane da guardia del gregge e sempre più composti dalle generazioni perdute, rassegnate alla precarietà, votate al dilettantismo e orgogliose di “spiccicare” in inglese per poter imitare modelli di subordinazione e di primitivismo antropologico? Cosa ci si può attendere da giovani di apparente sinistra che affermano di aver dovuto scegliere tra fascismo e capitalismo? Nemmeno si accorgono che i capitalisti hanno scelto per loro fin dall’inizio, che hanno creato le condizioni per una dicotomia così ridicola tra una signora di provincia piuttosto confusa e dunque anche erratica sui temi della campagna e un giovanotto ricco, arrogante e del tutto irrilevante sul piano della politica e dell’intelligenza. Li hanno messi nel recinto lasciando che fossero loro stessi a chiuderlo; il vecchio fascismo è usato da quello nuovo come un’arma per la lotta di classe.Per quanta generosità e per quanta abilità possano avere i dirigenti che vengono da un altro mondo come Mélenchon, cosa possono mai fare con questa creta antropologica creata dal neoliberismo? E’ come se Michelangelo dovesse creare la Pietà col pongo e dipingere la Sistina con le bombolette. Infatti chi non voleva scegliere il capitalismo poteva astenersi invece di andare a fornire il proprio contributo, negare quanto meno il consenso, relativizzando la vittoria di Macron. E di certo non si ci saranno difficoltà per la potente macchina mediatica a riproporre lo stesso rozzo schema dicotomico alle legislative tra poco più di un mese. Sarà ancora capitalismo contro fascismo, democrazia contro comunismo, crescita contro i fantasmi di recessione annunciata, sicurezza contro libertà (magari con qualche sollecitato apporto del Califfo), il giovane presidente contro il vecchio Parlamento anche se a Macron non dovrebbe poi dispiacere: insomma la caricatura della dialettica, quella che è stata così efficace specie dopo il crollo del comunismo e il contemporaneo crollo della cultura politica.Mélenchon, il leader della sinistra, aveva rifiutato di cadere in questo semplicistico tranello, evitando la logica del meno peggio nella speranza di poter mettere un argine ai poteri finanziari almeno alle legislative, condizionando l’Eliseo, ma dai risultati che vediamo, dalla demonizzazione e dal ricatto che è stato esercitato su di lui e dalla esiguità della pattuglia dei non macronisti per necessità, si può legittimamente dare per fallito anche questo progetto. C’è chi pensa che questa situazione di impotenza porterà a una serie di secessioni interne nella sinistra, tra Francia periferica e Francia metropolitana, tra Francia repubblicana e Francia mussulmana, tra Francia operaia e Francia borghese, insomma a una decostruzione del paese. Ma questo è per l’appunto l’obiettivo del capitale globale: fare in modo che vi sia meno società collettiva possibile per potere dominare meglio: più un paese è spaccato all’interno, meglio è, nonostante i problemi che questo può creare. Quindi è vero che Macron all’Eliseo finirà per radicalizzare la battaglia politica, ma nel contesto attuale questo non potrà che portare acqua al mulino dei suoi burattinai.(“Hanno mangiato la brioche”, dal blog “Il Simplicissimus” dell’8 maggio 2017).Oggi sono tutti contenti che Macron sia riuscito a sconfiggere il fascismo. Non è stato da meno di Reagan, Thatcher, Sarkozy, Merkel, Hollande, i Chicago boys e Pinochet i quali di volta in volta hanno salvato il popolo dalle insidie dell’“estrema sinistra”, del “populismo” del “castro-chavismo”, del “sovranismo”, del comunismo. Ora i francesi hanno la loro brioche e dunque potranno continuare la guerra in Siria, aiutare i nazisti ucraini, continuare a fare stragi in Africa per sostenere dittature tribali, non mettere mai più in dubbio la Nato, ma soprattutto potranno finalmente lasciarsi alle spalle gli obsoleti diritti del lavoro. Ben presto ci si accorgerà che in Francia ha vinto comunque la destra e dopo le legislative di giugno, Macron mostrerà il suo vero volto facendo scoprire che la sostanza marroncina con la quale è farcita la brioche non è precisamente crema al cioccolato. Del resto cosa ci si può attendere da uno la cui candidatura al potere è stata di fatto avanzata dal seguace dell’eugenetica Jacques Attali, a una riunione di Bilderberg nel 2014?
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Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi. E nacque la Francia
«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amary, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.La disfatta di Muret fu l’inizio della fine per l’orgogliosa e libera contea di Tolosa, dove vivevano musulmani nei loro villaggi, le finanze della contea erano gestite dagli ebrei sefarditi fuggiti dall’Andausia, e i càtari potevano liberamente disputare di religione, in chiesa, accanto al clero cattolico. A scatenare il terrore non fu solo la pericolosità dell’eresia dualista incarnata dal catarismo balcanico introdotto in Linguadoca attraverso la Lombardia: un cristianesimo “alternativo” che riteneva il mondo materiale opera del Dio Straniero, il “principio del male”, paragonabile al Demiurgo degli gnostici e, prima ancora, ad Ahriman, l’antagonista della divinità celeste di Zoroastro. L’adesione al catarismo comportava la rinuncia alla proprietà privata e il divieto assoluto di giurare – decisamente eversivo in un sistema, come quello feudale, interamente basato sull’istituto del giuramento, per legittimare ogni forma di potere terreno, che si pretendeva investito dall’alto. La notizia sconvolgente, per il Vaticano, non era solo il dilagare dei “buoni cristiani”: Roma cominciò a tremare, al punto da scatenare la guerra, quando vide che ad aderire al catarismo non era solo la plebe, ma anche l’aristocrazia occitanica, la classe dirigente nobiliare di quella che, allora, era una delle regioni più evolute d’Europa, sul piano economico, sociale e culturale: fioriva la civiltà letteraria dei trovatori, in prospere cittadine dove il governo aristocratico era condiviso da “consoli” regolarmente eletti.Nel 1213, osserva la Veil nel libro-capolavoro “I Càtari e la civiltà mediterranea”, gli Stati feudali di Tolosa e Barcellona, accomunati persino dalla lingua (occitano e catalano sono lingue “gemelle”), rappresentavano una parte considerevole d’Europa: se avessero vinto, sostiene l’autrice, avremmo visto nascere un’altra Europa, con meno guerre e senza nessun Hitler, fondata su valori diversi dal “culto della forza” incarnato dai crociati, eredi dell’Impero Romano. Per veder risorgere la libertà di culto, sempre in Francia, c’è voluto mezzo millennio: il secolo dei Lumi, la presa della Bastiglia. Quindi la rivoluzione industriale e l’evoluzione continua della società, fino al socialismo. Oggi, sostengono svariati critici, siamo tornati – con l’Unione Europea – a un sistema neo-feudale. Il nuovo presidente francese Macron, già banchiere Rothschild ed ex ministro dell’incolore Hollande, prono ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, è una “creatura” di Jacques Attali, storico esponente della supermassoneria internazionale reazionaria. In molti hanno guardato alle elezioni francesi del 2017 come a un passaggio cruciale, storico: la possibilità di ribaltare il paradigma del rigore imposto dall’élite o, viceversa, la riaffermazione dell’ancient régime: non più militare ma elettorale, benché sospinta dalla paura, dopo anni di strategia della tensione affidata a un opaco terrorismo domestico, al servizio della logica perversa del dominio.«Tuez-les tous, Dieu reconnaîtra les siens»: intanto uccideteli tutti, sarà poi Dio a riconoscere i suoi, distinguendo i fedeli dagli eretici. Frase terribile, attribuita all’abate cistercense Arnaud Amaury, legato pontificio, nel 1209 di fronte alle mura della città rivierasca di Béziers, ferocemente assediata e annientata, con lo sterminio dell’intera popolazione, nel corso della prima e unica grande crociata in terra europea, quella contro gli Albigesi. L’inaudito massacro di Béziers, “colpevole” di tollerare la presenza di 200 càtari, smuove la geopolitica medievale europea: a fianco della Linguadoca assediata scende in campo la potente armata spagnola del re d’Aragona: Pietro II è un campione della cristianità, ma non può sopportare la “desmesura” della ferocia dei crociati. Lo scontro avviene a Muret, alle porte di Tolosa, nel 1213: lo schieramento occitanico-catalano è soverchiante, almeno il doppio dell’esercito papale, ma viene sconfitto. Quei cavalieri “combattevano come in un torneo”, cioè lealmente, scrive la “Canso”, il poema della crociata albigese. I difensori dei càtari credevano in un ideale cavalleresco intraducibile, dall’occitano: il Paratge. Onestà, coraggio, capacità di sacrificarsi per il debole. Da quel massacro nacque la Francia. E, scrive Simone Veil, morì l’ultima reincarnazione europea della Grecia di Pericle, il culto della bellezza, della tolleranza (la libertà di religione). La democrazia ateniese.
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Carpeoro: ucciso il socialismo, era l’antidoto all’orrore Ue
Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.Alla tragedia del leader socialdemocratico svedese, ucciso a Stoccolma nel 1986 da un killer mai identificato, Carpeoro ha dedicato lunghe pagine del suo lavoro sui legami occulti tra massoneria, servizi segreti e terroristi (il sistema della “sovragestione”). Ed è tornato sul tema a margine del simposio “Le forme della democrazia”, promosso dal Movimento Roosevelt, fondato da Gioele Magaldi. Cos’è stato, il socialismo? Cos’è oggi, e cosa potrebbe essere domani? «Non è stato un pensiero statico, ha avuto un’evoluzione storica, politica», e ora è stato letteralmente rimosso. «Da dov’era partito, il socialismo? Da molto lontano», esordisce Carpeoro: da un periodo di grande riflessione spirituale. «Senza scomodare i Rosacroce», già nel ‘600 si trovano svariate opere proto-socialiste: “Utopia” di Tommaso Moro, “La città del sole” di Tommaso Campanella, “La nuova Atlantide” di Francesco Bacone. Fino ad arrivare a opere meno conosciute, come quelle di Johann Valentin Andreae, presunto autore dei manifesti rosacrociani dell’epoca, che chiude la sua esistenza scrivendo “Christianopolis”, dove racconta il naufragio in un’isola (Caphar Salama) che viene governata in maniera socialista.«Perché la chiamo socialista? Perché una serie di capisaldi di queste opere caratterizzeranno la fase che Marx, con intento quasi spregiatorio, chiamerà “socialismo utopistico”». Ma la parola “utopia”, ricorda Carpeoro, non esisteva nemmeno, prima di Tommaso Moro. «L’ha inventata lui. E’ un neologismo di origine greca, significa “non luogo”. Lo stesso Marx, dunque, citando il “socialismo utopistico”, si richiama a Tommaso Moro». E come nasce, il socialismo utopistico? Ha varie declinazioni: è anarchica quella di Pierre-Joseph Proudhon, quasi mistica quella di Henri de Saint-Simon. Ci sono interpretazioni più pragmatiche, e c’è una declinazione, «forse la più illuminata», che è quella di Auguste Blanqui. «Ma in tutte queste declinazioni ci sono i capisaldi di quello che, secondo gli utopisti del ‘600, doveva essere lo Stato perfetto, la comunità perfetta, con l’abolizione della proprietà privata». In sostanza, «si cominciava a riconoscere il diritto delle persone a vivere secondo dignità e aspettative». Perché questi diritti vengano finalmente riconosciuti in modo istituzionale ci vorrà Eleanor Roosevelt, con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo alle Nazioni Unite nel 1948. «Ma queste idee erano state in qualche modo anticipate già quattro secoli prima». Giustizia e libertà. Tradotto: una società che riconosca il giusto a ognuno, dando a ciascuno la possibilità di scegliere. «Sembra una cosa semplice, no? Eppure, noi ancora non l’abbiamo creata, una società così».Nella sua storia, aggiunge Carpeoro, il movimento socialista si è continuamente frammentato. Lo dimostra la stessa storia del Psi italiano, fondato a Genova nel 1892 da Filippo Turati, «che sarà forse il socialista più coerente», fedele all’impostazione iniziale del progetto ottocentesco, rivoluzionario. Obiettivo: la “guerra” alla società classista del sistema capitalistico, che sottomette e sfrutta contadini e operai. Due mosse: prima la rivoluzione, per abbattere il sistema padronale, e poi l’abolizione delle classi sociali. Come? “Socializzando” i mezzi di produzione, l’economia, le industrie, e distribuendo le terre ai contadini. Poi irrompe Marx, che «istituzionalizza questa sorta di diagnosi», e pensa a come realizzare il disegno rivoluzionario e la fase successiva. «Marx chiama tutto questo “socialismo scientifico”, da contrapporre a quello che lui, disprezzandolo un po’, chiamava “socialismo utopistico”». Ma l’obiettivo, aggiunge Carpeoro, non era forse arrivare comunque all’utopia? «L’eliminazione delle classi cos’è, se non la realizzazione di “Utopia”, della “Nuova Atlantide”, della “Città del Sole”?». In ogni caso, poteva il “fiume” socialista restare interamente ancorato a questo schema? No, ovviamente. E così cominciano le divisioni.«La prima scissione, nel mondo socialista, è quella degli anarchici», ricorda Carpeoro. «Per loro non esiste la fase intermedia, si annulla tutto: nella loro visione, la dissoluzione dello Stato capitalistico è una fase contestuale all’impulso rivoluzionario». Poco dopo, vanno per la loro strada anche i comunisti: «Hanno una visione schematica, per la quale bisogna arrivare con quei passaggi, alla soluzione», che è sempre rivoluzionaria. Rimane il nucleo socialista, che – in Italia come in Europa – si divide a sua volta: nascono i “riformisti”, che restano anti-capitalisti e combattono per la giustizia sociale, ma rinunciano alla rivoluzione come mezzo per ottenerla. Poi ci sono quelli che, successivamente, si chiameranno “socialdemocratici”, come Leonida Bissolati, «i quali aboliscono anche il passaggio finale, l’abbattimento del capitalismo», e quando poi si radicheranno anche nel Pci prenderanno il nome di “miglioristi”. Secondo loro è irrealistica la rinuncia al sistema liberale. Semmai, il capitalismo va corretto con continue migliorie, per guarirne le distorsioni. Nell’800 c’era stato anche il filone dei “socialisti libertari”, che «declineranno il socialismo esclusivamente all’interno dei diritti civili e delle libertà, senza più occuparsi di strategie di governo».Il socialismo libertario, spiega Carperoro, era ciò che era rimasto di un’ulteriore scissione, quella di Mazzini: litigando con Garibaldi, l’ideologo del Risorgimento si era portato via «quel nucleo che poi diventerà l’area laica», repubblicani e Partito d’Azione). Ma, superata la tragedia della Prima Guerra Mondiale – intervisti, neutralisti – e poi il blackout planetario del nazifascismo, nel dopoguerra «dagli anni ‘70 in poi, l’unica direttiva che lentamente si afferma, nel socialismo, è quella socialdemocratica», alimentata anche dalla guerra fredda: nel fatidico 1956 il leader sovietico Khrushev alimenta grandi speranze con la denuncia dei crimini di Stalin, ma nello stesso anno non riesce a evitare la sanguinosa repressione della rivolta popolare scoppiata in Unghieria, replicata nel ‘68 con il soffocamento della “Primavera di Praga”. «In realtà – prosegue Carpeoro – si avvia quella che nel ‘70 si chiamerà “terza via”, cioè la possibilità di trovare una composizione della società, correggendone le deviazioni, verso una maggiore giustizia sociale: cosa che la socialdemocrazia europea considerava assolutamente irrinunciabile».E questa linea, particolarmente efficace perché moderata nelle forme quanto incisiva nei contenuti, «trova un eroe assolutamente straordinario», anche se è «un personaggio di cui non parla mai nessuno». Straordinario «da tutti i punti di vista (anche dal mio, perché era massone come me)», ammette Carpeoro, parlando di Olof Palme. «E’ stato uno dei personaggi più fulgidi del ‘900. Vi invito a leggere i suoi scritti, e soprattutto a rimetterlo sulle bandiere». Il leader svedese, intanto, «è la prima vittima di una congiura contro il socialismo». Attenzione: «Nell’arco di vent’anni, i grandi leader socialisti europei vengono tutti cancellati, in circostanze ambigue. Olof Palme viene ucciso mentre è presidente del Consiglio, in Svezia. E non è che ne sia parlato molto in Europa. Ancora oggi si parla di Che Guevara, non di Olof Palme. Ma è un eroe». E viene ucciso da killer rispetto ai quali «emergono connessioni con ambienti dell’estrema destra e anche, purtroppo, della massoneria: in un telegramma piuttosto equivoco, alla vigilia dell’attentato, Licio Gelli scrive a un parlamentare americano, Philip Guarino, che nel giro di pochi giorni “la palma svedese” sarebbe “caduta”, come la Svezia pullulasse di palme».Lo stesso Craxi, ricorda Carperoro, vinse lo storico congresso del Psi al Midas, da cui nacque la sua leadership, «con un programma che al 50% era quello di Olof Palme, che era il padre nobile di tutti questi socialisti europei». Poi ovviamente «ognuno è libero di considerare i seguaci degni o non degni, ma resta il fatto che Palme aveva dato un programma socialista all’Europa». Dopo il drammatico “avvertimento” rappresentato dall’omicidio di Stoccolma, nessuno dei seguaci di Palme gli sopravviverà – politicamente, quantomeno. «Craxi, in circostanze che non riesco a considerare nitide (e con tutti i suoi errori, certo) viene comunque rimosso dalla vita politica italiana. Poi viene rimosso Mitterrand, in Francia. E viene rimosso Schmidt in Germania, con uno scandaletto. E pensate che, dopo tutte queste concatenazioni nel giro di pochi anni, poi la si faccia casualmente, l’Europa unita, nel modo in cui è stata fatta?». Per Carpeoro, c’è poco da cianciare di complottismo: «Sono stati eliminati i vertici di un movimento politico che aveva un capofila importante».Palme, già attivissimo come leader del suo partito, ha poi svolto due mandati come presidente del Consiglio, in Svezia, «e il secondo l’ha fatto coram populo». Disse: «Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli le unghie ogni tanto». E’ questo il ruolo del socialismo, sottolinea Carpeoro: «Per questo il socialismo è necessario, è indispensabile a questa società. Anche perché, senza socialismo (come, del resto, senza liberismo) questa società non può camminare. Deve avere due ruote, un polo conservatore e un polo progressista. E possibilmente, questi due poli devono essere talmente di qualità che il fatto che si possano alternare al potere deve dipendere solo dalle condizioni del momento». Il liberismo sfrenato? «Non ha fatto male, all’America, appena è stato introdotto da Reagan. Poi però ci si doveva fermare. Se qualcuno ti progetta un regime oligarchico ultraliberista e senza regole per vent’anni, ti vuoi meravigliare se poi il risultato sono le banche che saltano, i soldi che non viaggiano, l’economia che non gira? E’ una forma di staticità della società, e la società non può essere statica».Di fronte alla drastica possibilità di nazionalizzare le aziende, Olof Palme adottò una soluzione intermedia, ispirata alla teoria dell’economista Rudolf Meidner: una quota ai lavoratori, una quota di controllo allo Stato e una quota al privato. «Non per tutto: solo per le aziende in difficoltà. E ha funzionato, in Svezia. Il problema è che poi Palme l’hanno ammazzato». E in Italia? «Se avessero adottato lo schema Meidner, anche da noi, forse molte aziende in difficoltà sarebbero sopravvissute, e i sacrifici richiesti alle nostre maestranze sarebbero stati vissuti in maniera diversa». Non c’è bisogno di tornare all’antico, all’assistenzialismo dell’Iri, basterebbe la leva dei benefici fiscali, alla portata di uno Stato che possedesse quote di aziende. Perché nonè successo? «Perché noi non abbiamo avuto il coraggio di fare quello che Palme ha osato fare, in Svezia, dal ‘69 in poi». Rimettere mano, oggi, alla “contaminazione” socialista? Assolutamente sì, come stimolo ideologico: «Progetto e ideologia sono la stessa cosa: non puoi fare un progetto se non hai un’ideologia. E l’aver trasformato l’ideologia in un insulto è la riprova che a questo sistema, le cose che hanno idee, fanno paura. Il potere le teme, vuole cose senza idee. Vogliono un encefalogramma piatto come quello di Renzi, dove non ci sono onde».Hanno ucciso Olof Palme, il migliore dei leader, per assassinare il socialismo in Europa, intimidire e poi togliere di mezzo personaggi come Schmidt e Mitterrand (e volendo, lo stesso Craxi). Obiettivo: far stravincere l’oligarchia finanziaria e mettere in piedi l’attuale obbrobrio chiamato Unione Europea. Faceva paura, il premier svedese? Eccome: acerrimo avversario di ogni totalitarismo, in Svezia aveva varato un’economia mista, con quote di controllo allo Stato, nelle aziende, e quote di partecipazione assegnate ai lavoratori. Pragmatismo, coraggio. E soprattutto idee: «E’ di quelle che ha paura, il potere. Per questo ha trasformato la parola “ideologia” in una specie di insulto. Ma l’ideologia è il futuro, il progetto. E senza idee, non puoi fare nessun progetto». Parola di Gianfranco Carpeoro, simbologo e romanziere, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, intervenuto in un recente convegno a Roma. L’occasione per una riflessione anche storica sull’eredità del socialismo: se la nostra società occidentale è ridotta così, alla solitudine dell’homo homini lupus, è perché è stato scientificamente, chirurgicamente asportato il virus benefico del socialismo. Anche con il terrorismo, e non da oggi.
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Gilioli: tutti i nemici della libertà di stampa (inclusi noi, pigri)
«Esistono molti modi diversi per bruciare un libro: e il mondo è pieno di gente che corre su e giù con i fiammiferi accesi» (Ray Bradbury). I nemici della libertà di stampa sono moltissimi, sapete? Molti di più di quanti ne conosca la nostra filosofia – o la nostra fede politica. I nemici della libertà di stampa sono i mafiosi, certo, ma a volte pure i magistrati, gli uomini in divisa e ogni tanto perfino quelli in tonaca porporata. I nemici della libertà di stampa sono quelli che vogliono imporre leggi speciali e diverse a seconda che un contenuto sia su carta o sul web. I nemici della libertà della stampa sono le corporation del web che censurano contenuti facendo prevalere le loro private e arbitrarie policy sulle Costituzioni delle democrazie. I nemici della libertà di stampa sono i paradisi fiscali che nascondono gelosamente patrimoni e reati, lontanissimi da ogni trasparenza, da ogni diritto di sapere la verità sui potenti del mondo. I nemici della libertà della stampa sono i politici di tutti i partiti – tutti, tutti, tutti – che telefonano ai direttori e agli editori. I nemici della libertà della stampa sono i politici che danno una notizia a un cronista oggi in cambio di un favore a lui o alla sua parte domani.I nemici della libertà di stampa sono i politici che vogliono un tribunale per decidere quali news sono fake e quali no, che questo tribunale sia l’Agcom o una giuria popolare. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che mandano le “diffide alla pubblicazione”, ogni giorno una diversa, se volete ci faccio una Treccani. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che minacciano, annunciano o fanno querele temerarie o infondate – più del 90 per cento delle querele intentate contro i giornalisti alla fine sono tali. I nemici della libertà di stampa sono i politici, gli imprenditori e i potenti in genere che minacciano, annunciano o fanno cause civili altrettanto temerarie o infondate, e per fermarli basterebbe imporre loro di pagare la cifra che hanno chiesto, se alla fine risulta che hanno torto. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che non coprono legalmente chi scrive sui loro giornali, assunto o precario che sia. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che non pagano i giornalisti e non si accorgono che così ammettono che i loro contenuti hanno valore zero, e poi pretendono di vendere dei contenuti che loro stessi reputano a valore zero.I nemici della libertà di stampa sono gli editori che hanno interessi fuori dall’editoria e usano i loro giornali per le proprie aziende. I nemici della libertà di stampa sono gli editori che nella loro veste di imprenditori individuano la soluzione politica o il partito politico più conveniente ai loro interessi e indirizzano la loro testata in quella direzione. I nemici della libertà di stampa sono gli inserzionisti che con la forza dei loro soldi ricattano e mettono a tacere ogni notizia a loro sgradita. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che per carriera, timore, convenienza o reverenza si adeguano al potente di turno o semplicemente hanno paura ad andare contromano rispetto al loro ambiente. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che di fronte a un dato di realtà contrario ai loro pregiudizi o alla loro visione delle cose, invece di rifletterci lo ignorano, lo sminuiscono, lo negano. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che non frequentano autobus, bar, mercatini e marciapiedi ma salotti, corridoi damascati e poltrone in pelle di gente potente. I nemici della libertà di stampa sono i giornalisti che non si fanno domande, che non sono curiosi, che non sono autocritici, che sono pigri.I nemici della libertà di stampa sono i lettori (utenti, ascoltatori, spettatori etc) che non si fanno domande, che non sono curiosi, che non sono autocritici, che sono pigri. I nemici della libertà di stampa sono i lettori (utenti, ascoltatori, spettatori etc) che vanno sempre in cerca della conferma del proprio pregiudizio, e i giornalisti che glielo offrono su un piatto d’argento, in una spirale senza fine verso il peggio. I nemici della libertà di stampa siete voi che quando un’inchiesta giornalistica tocca un politico che odiate è oro colato, quando tocca un politico che amate invece è spazzatura, gossip, complotto e manovra. I nemici della libertà di stampa sono tutti quelli che – giornalisti, editori, lettori, utenti – si convincono di ciò che a loro conviene e così credono di aver salvato la buona fede, l’onestà intellettuale. I nemici della libertà sono questi e molti e moltissimi altri. Ognuno guardi a se stesso, e ai suoi amici piuttosto che ai suoi avversari, se la libertà di stampa gli è davvero più amica di ogni altra cosa.(Alessandro Gilioli, “I nemici della libertà di stampa”, da “L’Espresso” del 27 aprile 2017).«Esistono molti modi diversi per bruciare un libro: e il mondo è pieno di gente che corre su e giù con i fiammiferi accesi» (Ray Bradbury). I nemici della libertà di stampa sono moltissimi, sapete? Molti di più di quanti ne conosca la nostra filosofia – o la nostra fede politica. I nemici della libertà di stampa sono i mafiosi, certo, ma a volte pure i magistrati, gli uomini in divisa e ogni tanto perfino quelli in tonaca porporata. I nemici della libertà di stampa sono quelli che vogliono imporre leggi speciali e diverse a seconda che un contenuto sia su carta o sul web. I nemici della libertà della stampa sono le corporation del web che censurano contenuti facendo prevalere le loro private e arbitrarie policy sulle Costituzioni delle democrazie. I nemici della libertà di stampa sono i paradisi fiscali che nascondono gelosamente patrimoni e reati, lontanissimi da ogni trasparenza, da ogni diritto di sapere la verità sui potenti del mondo. I nemici della libertà della stampa sono i politici di tutti i partiti – tutti, tutti, tutti – che telefonano ai direttori e agli editori. I nemici della libertà della stampa sono i politici che danno una notizia a un cronista oggi in cambio di un favore a lui o alla sua parte domani.
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Schiavi comprati e venduti nella Libia “liberata” dagli Usa
La Libia “liberata” dagli Usa è diventata un colossale mercato degli schiavi. Lo dimostra un report di Carey Wedler su “Zero Hedge”, che accusa l’Occidente: le stesse menti criminali, che hanno ridotto il territorio libico a disgustoso “business di carne umana”, stanno cercando di fare la stessa cosa in Siria. «È ben noto che l’intervento Nato a guida Usa del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muhammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l’Isis di prendere piede nel paese», premette Wedler. «Nonostante le conseguenze devastanti dell’invasione del 2011, l’Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria». Ieri Obama ha stroncato Gheddafi con la scusa di “proteggere il popolo libico”, e oggi – senza uno straccio di prova sulle responsabilità di Assad nell’attacco coi gas – Trump minaccia di abbattere il regime di Damasco. Ma, al netto della propaganda, «emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all’invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici». Lo conferma il “Guardian”, con «nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi».Il quotidiano inglese scrive che sebbene «la violenza, l’estorsione e il lavoro in schiavitù» siano stati già in passato una realtà per le persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio degli schiavi è aumentato». E oggi «la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole», scrive Wedler, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”. «Gli ultimi report sul ‘mercato degli schiavi’ a cui sono sottoposti i migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità che avvengono in Libia», afferma Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di emergenza dell’Iom, International Office of Migration, un’organizzazione intergovernativa che promuove “migrazioni ordinate e più umane a beneficio di tutti“, secondo il suo stesso sito web. «La situazione è tragica. Più l’Iom si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti». Il paese nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011, spiega Abdiker al “Guardian”, «il paese, che è ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza: e i migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti, sono particolarmente vulnerabili».Un sopravvissuto del Senegal, proveniente dal Niger, racconta che stava attraversando la Libia insieme a un gruppo di altri migranti, tutti in fuga dai paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il rischio di imbarcarsi per l’Europa. Ma, anziché portarli sulla costa, il trafficante li ha condotti in un’area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto riportato da Livia Manente, la funzionaria dell’Iom che intervista i sopravvissuti, «il loro autista gli ha detto all’improvviso che gli intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo i passeggeri in vendita». Molti altri migranti hanno confermato questa storia, aggiunge la Manente: i profughi descrivono «i vari mercati degli schiavi, indipendenti l’uno dall’altro, e le diverse prigioni private che si trovano in tutta la Libia». Le stesse storie, aggiunge la funzionaria, sono confermate dai migranti che hanno trovato asilo nell’Italia del sud.Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una prigione improvvisata che, come nota il “Guardian”, in Libia è cosa comune: «I detenuti all’interno sono costretti a lavorare senza paga, o in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo carceriere chiese 300.000 franchi Cfa (circa 450 euro), poi lo vendette a un’altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò senza spiegazioni». Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza che il riscatto venga pagato, continua il “Guardian”, vengono portati via e uccisi. «Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il loro numero complessivo non diminuisce mai», sottolinea il quotidiano britannico. «Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli altri», dice ancora Livia Manente. Le fa eco Giuseppe Loprete, capo della missione Iom in Niger: «È assolutamente chiaro che loro si vedono trattati come schiavi», ha detto.Loprete ha gestito il rimpatrio di 1.500 migranti nei soli primi tre mesi dell’anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalle coste libiche: «Le condizioni stanno peggiorando, in Libia: penso che ci possiamo aspettare molti altri casi nei mesi a venire». Ora, conclude Wedler, mentre il governo degli Stati Uniti «sta insistendo nell’idea che un cambio di regime in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel paese», è ormai sempre più evidente che la cacciata dei dittatori – per quanto detestabili possano essere – non è una soluzione efficace. «Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all’ascesa dell’Isis», sottolinea l’analista. «Mentre la Libia, che un tempo era un modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro in cui l’ha gettata “l’intervento umanitario” dell’Occidente». Un pozzo nero e senza fondo, nel quale «gli esseri umani vengono trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti affliggono la popolazione». Chi preme sulla guerra, conclude Wedler, deve sapere che non farà altro che produrre «ulteriori inimmaginabili sofferenze».La Libia “liberata” dagli Usa è diventata un colossale mercato degli schiavi. Lo dimostra un report di Carey Wedler su “Zero Hedge”, che accusa l’Occidente: le stesse menti criminali, che hanno ridotto il territorio libico a disgustoso “business di carne umana”, stanno cercando di fare la stessa cosa in Siria. «È ben noto che l’intervento Nato a guida Usa del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muhammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l’Isis di prendere piede nel paese», premette Wedler. «Nonostante le conseguenze devastanti dell’invasione del 2011, l’Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria». Ieri Obama ha stroncato Gheddafi con la scusa di “proteggere il popolo libico”, e oggi – senza uno straccio di prova sulle responsabilità di Assad nell’attacco coi gas – Trump minaccia di abbattere il regime di Damasco. Ma, al netto della propaganda, «emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all’invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici». Lo conferma il “Guardian”, con «nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi».
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Bonnal: è un lager digitale. Vale tutto, tranne pensare
«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».Un analista indipendente come Michael Snyder ricorda che la polizia statunitense ha fermato dei cittadini di ritorno da un breve viaggio in Canada per controllare il contenuto, dopo averlo confiscato, del loro cellulare. «Questa polizia detiene tutti i doveri, tranne quello di poteggervi», scrive Bonnal. «È la polizia messa in piazza all’indomani degli attentati. Domandatevi innanzitutto a chi giova il terrorismo. Aboliscono il cash per ostacolare il terrorismo, e accusano i russi di hackerare le elezioni, avendo così una buona scusa per annullarle davvero». Il progresso tecnologico, continua Bonnal citando Guy Debord, ha permesso la creazione di un “presente informativo permanente” che annega tutta la verità «nell’idiota liquidità visiva». E’ un presente nel quale «la moda stessa, l’abbigliamento o la musica, si è fermata», perché «vuole dimenticare il passato e non sembra credere più in un avvenire». Questo “eterno presente” lo si ottiene «dall’incessante passaggio circolare dell’informazione, il ripetersi in un qualsiasi momento delle stesse inezie, annunciate appassionatamente come si trattasse di notizie importanti; mentre raramente passano, e per brevi momenti, le notizie veramente importanti, che riguardano ciò che cambia realmente».Autodistruzione programma del mondo? «Il problema è che, prima di autodistruggersi, questa macchina mondiale distruggerà noi: come lo scorpione di Orson Welles». Secondo Bonnal, «l’attuale Stato mondiale è ebbro della propria potenza e trasforma la Terra in un campo di concentramento elettronico: ovunque l’abolizione del cash, in Giappone per i suoi Giochi olimpici, a Taiwan, in India e in Europa. Controllo dell’oro e del denaro, controllo del vostro pensiero, censura dell’informazione grazie ai servili canali della disinformazione; tutto diventa possibile, per questo Stato Profondo che è anche uno Stato di superficie, uno Stato dello spettacolo (il presidente turco ha visitato i massoni, i rifugiati di Calais, i resistenti siriani, gli amici del Bilderberg) e una società di facciata. E il pubblico, come nella favola di Platone, se la gode». Anche le fondazioni di Bill Gates festeggiano, come scrive Lucien Cerise: «L’iniziativa comune di un Bill Gates e di un Rockefeller di creare sull’isola norvegese Svalbard una sorta di bunker “arca di Noè” contenente tutti i grani e le sementi del mondo è piuttosto inquietante. Perché lo fanno, cosa stanno combinando? Domande retoriche, il progetto è molto chiaro: si tratta di cominciare a privatizzare tutta la biosfera, cosa che permetterà di controllarla integralmente dopo averla distrutta. Siamo al cuore di Gestell e dell’ingegneria cibernetica, che condivide lo stesso orizzonte: l’automatizzazione completa del globo terrestre»Siamo arrivati ai televisori coreani Samsung «che rivelano i vostri pensieri e i vostri sussurri». Non li comprerete? «Ma “loro” potranno sempre inviare questa neopolizia, questa polizia parallela per controllare il vostro oro, il vostro giardino, il vostro consumo di acqua». Per Debord, la mondializzazione è stata facilitata dalla «pericolosa espansione tecnologica», che è sempre stata al servizio del potere. Lo conferma Paul Virilio. Oggi, “governo” è essenzialmente “controllo”: «La parola viene da rotula, che indica il rotolo, il cilindro in latino», scrive Bonnal. «È stato introdotto in Inghilterra dai terribili normanni conquistatori di Guglielmo. E serve, questo controllo a redigere il “Domesday book”, che calcola la ricchezza di questi poveri anglosassoni gallina per gallina, uovo per uovo». Il problema, per Bonnal è che «ci connettiamo, per lamentarci, invece di organizzarci nelle piazze: e il web, come vi suggerisce il suo nome, ci intrappola più facilmente nella rete. L’informatica ci blocca in casa invece di farci uscire». Poi, ovviamente, «ci sono cretini che scorrazzano per strada sopportando i quaranta gradi (li ho visti a Madrid) per correre dietro a un Pokémon».Non dimentichiamoci, aggiunge Bonnal, che i campioni della mondializzazione si considerano i pensatori globali. Neo-aristocratici, oligarchi. «Esagero? Pensate a come vi tratta il fisco. Pensate a come la polizia elettorale tratta il 96% dei francesi che non vogliono più il socialismo e cerca il proprio candidato con l’aiuto di un motore di ricerca. Guardate come vi tratta la polizia stradale. Pensate come la banca o l’aeroporto vi trattano. Guardate come vi trattano in Germania (in prigione) se siete contrari all’educazione della teoria gender per il vostro bambino. Pensate a come il tribunale vi tratterà se siete europei qui, americani laggiù». Questa civilizzazione, continua Bonnal, «è come il volo terrificante della GermanWings: è guidata da folli suicidi, non si può scendere in corsa e allora si schianterà in volo». Il giovane ribelle Étienne La Boétie, filosofo del ‘500, aveva le idee chiare: «Povera gente insensata, vi lasciate portar via sotto gli occhi tutti i vostri migliori guadagni, permettete che saccheggino i vostri campi, rubino nelle vostre case spogliandole dei vecchi mobili paterni! Vivete in condizione da non poter più vantare di possedere una cosa che sia vostra; e vi sembrerebbe addirittura di ricevere un gran favore se vi si lasciasse la metà dei vostri beni, delle vostre famiglie, delle vostre vite».Mentre noi «lavoriamo per pagare le imposte ai nostri super-Stati, profondi e superficiali», continua Bonnal, «abbiamo dimezzato il numero dei nostri bambini». E attenzione: «E’ la democrazia ad aver realizzato questo miracolo: il numero delle nascite si è dimezzata nella Germania dell’est postcomunisma e nella Spagna postfranchista. Fu Orson Welles a dichiarare in un’intervista che la Spagna tradizionale era stata distrutta dalla democrazia». Alexis de Tocqueville l’aveva chiamato «un potere immenso e tutelare», un potere «assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite». Somiglierebbe all’autorità paterna, se solo avesse lo scopo di «preparare gli uomini alla virilità», e invece «cerca di fissarli irrevocabilmente all’infanzia: ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi». Un potere che «lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore». Provvede alla loro sicurezza e ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, «tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità». A quel punto, «non potrebbe allora togliergli interamente la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso».«Siamo tutti contenti di perdere il nostro tempo nella rete, di pescare qua e là dei pesci d’oro e delle informazioni, di perdere il tempo che avremmo potuto impiegare coltivando il nostro vero giardino. Ma come nel paese dei balocchi di Pinocchio, c’è un prezzo da pagare. Infatti si vive avvolti nella tela del ragno». Secondo Nicolas Bonnal, la Terra è ormai diventata una sorta di “campo di concentramento elettronico” monitorato su web. Lo scrittore francese cita la Bibbia, il libro di Giobbe: «L’empio si è costruito una casa simile alla tela di un ragno». Accusa: non ci sono più contadini, sono stati intrappolati dai trattati internazionali come il Gatt. «È Carl Schmitt a constatare come il guerrigliero o il resistente perdano tutto il potere dal momento che non è più terrestre ma tecnodipendente». Una resistenza è ancora possibile? «I progressi del totalitarismo elettronico attuale si basano sul web, che rafforza il potere mefitico dei veri cospiratori», accusa Bonnal, in un post su “Defensa” tradotto da “Come Don Chisciotte”. I cospiratori? «Sono le amministrazioni delle democrazie impopolari, le banche, i servizi segreti, la polizia parallela (non quella destinata a proteggervi), oggi diventati onnipresenti».
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Armi silenziose per guerre tranquille, mentre noi dormiamo
Guardare una città dall’alto è come vedere un grande formicaio, migliaia di persone viaggiano freneticamente senza mai fermarsi a chiedersi perché corrono. Le scadenze, il lavoro e il tempo le tiene prigioniere mentre tutto intorno a loro sembra essere fermo e statico: ognuno di noi vive un mondo, quello ufficiale in cui vige la morale religiosa, la legge dei “buoni” e l’economia del business. In realtà noi siamo intrappolati in un altro mondo, quello ufficioso, in cui la democrazia non esiste più perché il potere lo hanno attribuito alle istituzioni sovranazionali, la libertà è un’illusione perché il controllo dei nostri istinti e dei nostri pensieri è già in atto, e la legge è quella del Governo Mondiale che mediante le sue sfere di controllo gestisce il sistema. La cibernetica è la nuova scienza sociale, è lo schema per controllare i sistemi complessi come quello nostro, in cui il biologico e l’economico si fondono. Un sistema cibernetico equilibrato crea una struttura a celle, in cui gli elementi interagiscono in modo da aumentare il valore della produzione, e ha la grande proprietà dell’autoregolamentazione. In altre parole, è fatto in modo che dopo ogni azione si attivi subito una contro-reazione, un evento che si dirige verso uno scenario crea automaticamente le condizioni per un evento con tendenza inversa che annulla il primo…È un ecosistema vero e proprio, un essere che vive, perché è in grado di far fronte da solo alle situazioni che mettono in discussione la sua esistenza. Sistemi del genere hanno una grande stabilità nel tempo, e possono funzionare bene solo se li guida un codice etico, un obiettivo che sia nell’interesse di tutti gli uomini. Questo tuttavia non sta accadendo, perché l’intero sistema lavora per soddisfare gli interessi di una classe ben più ristretta, degli Illuminati, degli dèi che non permetteranno mai che la scienza liberi il popolo. Ora utilizzano contro le popolazioni inermi delle armi biologiche, spingono gli uomini a non vivere ma a sopravvivere, invece di gettare proiettili mettono catene tramite i data base; invece di inviare soldati, innescano delle bombe tramite dei computer e sotto gli ordini dei vostri generali, che sono i banchieri. Certamente non fanno niente di evidente, perché non vediamo esplosioni oppure danni fisici, ma la nostra vita sociale viene distrutta ogni giorno dal finto progresso. Le masse e il pubblico non potranno mai capire quest’arma e dunque non potrà credere che non siamo realmente attaccati, se non avviene un fatto criminoso reale.Pensate a che fino ha fatto la democrazia: lei non esiste più ma nessuno lo dice. Il margine di azione degli Stati è sempre più ridotto dagli accordi economici internazionali sui quali non è stato chiesto l’opinione dei cittadini del mondo. Una sospensione proclamata della democrazia avrebbe provocato una rivoluzione, e se non è successo è perché è stato deciso di mantenere una democrazia di facciata: i cittadini continuano a votare, i programmi politici di “destra” e di “sinistra” sono gli stessi. Le elezioni, i telegiornali continuano di esistere, ma sono stati svuotati del loro contenuto. Un telegiornale contiene al massimo 2 a 3 minuti di cronaca sui fatti del giorno, mentre il resto sono argomenti di facciata, di reality-show sulla vita quotidiana. Le analisi dei giornalisti specializzati sono state eliminate, e l’informazione passa attraverso la censura, che consiste non nell’omettere le notizie ma nell’annegarle in un diluvio di notizie insignificanti diffuse da una moltitudine di mezzi con contenuto simile in modo che sembra esistere la pluralità e la democrazia.Tutta la finezza della censura moderna risiede nell’assenza di censori. Questi sono stati sostituiti efficacemente dalla “legge del mercato”, che fornisce i mezzi per finanziare il lavoro di inchiesta. Eventi importanti saranno lievemente accennati, e poi affiancati a notizie di inutili, mentre un attentato verrà trattato con reportage sulle strade e tra le persone per esagerare il dramma. Le informazioni vengono presentate con una tale confusione, affiancate tra di loro anche se di diversa importanza, e questo non permette la memorizzazione delle notizie, che rimangono della mente dello spettatore solo se presentate in modo strutturato e catalogato. Una peggiore memorizzazione colpisca la popolazione con l’amnesia, in modo da essere più semplice da manipolare… La manipolazione mediatica è solo uno degli elementi della strategia del “diversivo”, che consiste nel deviare l’attenzione dal pubblico dai problemi importanti, con una marea continua di distrazioni: tenere il pubblico occupato per creare armi silenziose per guerre tranquille. Questa strategia è indispensabile per impedire il pubblico di interessarsi alle conoscenze essenziali della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia, e infine della cibernetica.Per rendere efficace quest’arma silenziosa occorre innanzitutto mantenere il pubblico ignorante dei principi di base della conoscenza. Per creare l’ignoranza, la creatività e le attività mentali sono stati sabotati fornendo dei programmi di educazione di bassa qualità in matematica, logica, di economia. Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella stupidità; fare in modo che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi utilizzati per il suo controllo e la sua schiavitù. La qualità dell’educazione data alle classi inferiori deve essere bassa in modo tale che l’ignoranza isoli le classi inferiori dalle classi superiori; le persone vengono incoraggiate in pubblico a cullarsi nella mediocrità, o nell’essere stupide, volgari e incolte. Alla fine l’individuo si convincerà che lui è il solo responsabile della sua disgrazia, a causa dell’insufficienza della sua intelligenza, delle sue capacità, o dei suoi sforzi. Così, invece, al posto di rivoltarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto-svaluta e si colpevolizza e generando in lui uno stato depressivo che inibisce ogni reazione, dunque nessuna rivoluzione.La regola generale è che c’è un profitto nella confusione; più la confusione è grande, più il profitto è grande: il migliore approccio è di creare dei problemi, e poi di offrire delle soluzioni, con uno schema “problema-reazione-soluzione”. Per fare accettare una misura inaccettabile, basta applicarla progressivamente, in maniera graduale, per una durata di 10 anni; avrebbe provocato una rivoluzione se fosse stata applicata brutalmente. In alternativa, una decisione impopolare per essere accettata deve essere presentata come “dolorosa ma necessaria”, ottenendo in consenso presente per un’applicazione nel futuro: è sempre più facile accettare un sacrificio futuro che non un sacrificio immediato, anche perché si spera sempre che “in futuro tutto andrà meglio”. Pensate all’euro, e riflettete su quello che è stato ieri, quello che è oggi, e vedrete anche cosa sarà domani. Per circuire l’analisi razionale e il senso critico degli individui è sufficiente far leva sul piano emozionale: le porte dell’inconscio degli individui si spalancheranno, e allora potranno essere immesse idee, desideri, paure.Questo, grazie al fatto che conoscono l’individuo meglio di quanto lui possa conoscere se stesso; grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” è giunto ad una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psicologicamente. Il sistema è arrivato a conoscere l’individuo medio meglio di quanto questo non si conosca da sé. Ciò significa che nella maggioranza dei casi, il sistema detiene un più grande controllo ed un più grande potere sugli individui, superiore al potere e al controllo che gli individui hanno su se stessi. Se siete in cerca di una prova, non cercate la risposta al di fuori di voi stessi ma dentro di voi. Chiedetevi come faranno a impiantare le pulci e i chip nel nostro corpo, o meglio, chiedetevi cosa oggi stanno facendo per realizzare l’impianto delle pulci. Stanno nascondendo i trapianti ad uso medico, per diminuire la diffidenza istintiva della gente sull’intrusione della macchina nel corpo, viene promossa la moda dei piercing, per abituare il la gente all’intrusione degli oggetti materiali nel corpo, viene reso obbligatorio il trapianto per l’identificazione degli animali domestici.Potrebbero anche organizzare, o lasciare organizzare, un attentato nucleare in una città occidentale per rendere obbligatori i trapianti di localizzazione e di identificazione per ogni individuo, in nome della “sicurezza” e della “lotta contro il terrorismo”… Pensateci bene, riflettete, non sarebbe tanto assurdo parlare di una città europea, che possiede il nucleare, e ha già subito minacce terroristiche, in un periodo di gravi scontri ideologici tra diverse culture religiose. Tutti nel profondo della loro coscienza sanno che qualcosa non va. Voi lo sapete ma non potete esprimervi, non potrete mai affrontare questo problema intelligentemente, perché è un’arma biologica, che non permetterà che gridiate e chiediate aiuto, perchè non sapete associarvi ad altri per difendervi. Questo veleno è iniettato lentamente fino ad indurre tutti ad adattarsi anche alla sua presenza, per cominciare a tollerare le sue ripercussioni fino a che la pressione psico-economica alienerà la vostra mentre, e quando noi resistere più lentamente vi abbandonerete al suicidio o asseconderete in sistema. Attacca le capacità, le opportunità degli individui della società, la loro mobilità, per manipolali; infetta le vostre fonti di energia sociali e naturali, le vostre forze deboli psichiche, mentali e emozionali. Guardate la vostra vita ed i vostri sacrifici, sarete tutti complottisti…(“Armi silenziose per guerre tranquille”, dal blog “Etelboro” del 20 settembre 2006).Guardare una città dall’alto è come vedere un grande formicaio, migliaia di persone viaggiano freneticamente senza mai fermarsi a chiedersi perché corrono. Le scadenze, il lavoro e il tempo le tiene prigioniere mentre tutto intorno a loro sembra essere fermo e statico: ognuno di noi vive un mondo, quello ufficiale in cui vige la morale religiosa, la legge dei “buoni” e l’economia del business. In realtà noi siamo intrappolati in un altro mondo, quello ufficioso, in cui la democrazia non esiste più perché il potere lo hanno attribuito alle istituzioni sovranazionali, la libertà è un’illusione perché il controllo dei nostri istinti e dei nostri pensieri è già in atto, e la legge è quella del Governo Mondiale che mediante le sue sfere di controllo gestisce il sistema. La cibernetica è la nuova scienza sociale, è lo schema per controllare i sistemi complessi come quello nostro, in cui il biologico e l’economico si fondono. Un sistema cibernetico equilibrato crea una struttura a celle, in cui gli elementi interagiscono in modo da aumentare il valore della produzione, e ha la grande proprietà dell’autoregolamentazione. In altre parole, è fatto in modo che dopo ogni azione si attivi subito una contro-reazione, un evento che si dirige verso uno scenario crea automaticamente le condizioni per un evento con tendenza inversa che annulla il primo…
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Cremaschi: il precariato è schiavismo, un inferno mafioso
A Milano sulla metro mi ferma un giovane, impiegato in un magazzino della logistica. Io sono tra i privilegiati, mi dice, certo non come i facchini che stanno giù al carico scarico merci, però anche in ufficio il clima è pesante. E mi racconta la storia dei punti della patente. Il capo ufficio si rivolge alla giovane impiegata, naturalmente assunta con un contratto precario, e le chiede con la massima naturalezza: senti, puoi darmi gli estremi della tua patente? Alle timide perplessità della ragazza, il capo risponde tranquillamente che è per una infrazione in cui è incorso guidando l’auto aziendale. È arrivata una multa pesante che comporta danno alla patente. Visto che l’auto è aziendale, nulla di male a scaricare il taglio dei punti sulla patente dell’impiegata, anche se questa non è titolata ad usarla, è spirito di collaborazione… che fa curriculum per la conferma a lavoro. La ragazza ha subito il ricatto?, ho chiesto alla fine, ma chi mi aveva raccontato l’episodio non è stato in grado di darmi una risposta, non conosceva la conclusione.Può sembrare una piccola cosa dover cedere la propria patente al capo, di fronte alla quantità di vergognosi ricatti che subiscono i lavoratori e ancora di più le lavoratrici, a cui si può impunemente dire: o accetti o quella è la porta, dietro la quale c’è la fila di chi aspetta il tuo posto. Tuttavia sono le piccole sopraffazioni che a volte ci danno il segno e la portata di quelle più grandi, è la violenza della precarietà che colpisce i diritti e la stessa dignità delle sue vittime e assorbe il rapporto di lavoro in un ambiente di mafia. Immaginiamo poi quando la precarietà dura all’infinito, quando con i trucchi permessi dalla stessa legge si è precari a tempo indeterminato, cioè ogni anno si deve subire l’esame di lavoro per continuare ad essere sfruttati e vessati. E non solo nel lavoro privato, ma anche in quello pubblico. Pochi giorni fa la Usb ha indetto lo sciopero dei precari pubblici e una manifestazione a Roma sotto il ministero, manifestazione ben riuscita nonostante gli ostacoli posti dalla polizia. Qui ho saputo da un lavoratore disperato che, nella pubblica amministrazione, ci sono persone precarie da più di venti anni, per una retribuzione mensile oggi giunta a ben 580 euro lordi.Il tribunale di Nola, in Campania, funziona grazie a questi precari più che ventennali, che mandano avanti tutte le attività di cancelleria. Come posso guardare crescere i miei figli negandogli una marea di cose, e subire anche l’umiliazione per cui ogni anno devo avere la conferma del contratto, altrimenti sono a casa? Che vita è questa? Così quel lavoratore ha concluso il suo racconto mentre la rabbia tratteneva le lacrime. Il governo ha appena suonato la fanfara per qualche decimale di disoccupazione in meno e Gentiloni ha esaltato le riforme del mercato del lavoro che avrebbero permesso questo clamoroso risultato. Per questo, dopo aver abolito i voucher per evitare il referendum, stanno pensando di sostituirli con il contratto a chiamata, quello per cui si deve essere sempre a disposizione gratuita dell’azienda, in attesa di essere convocati per poche e sottopagate ore di lavoro. La precarietà del lavoro marcia a tappe forzate verso lo schiavismo e le leggi che da trent’anni l’hanno autorizzata, incentivata, diffusa, hanno la stessa portata sociale e morale di quelle che nell’800 disciplinavano l’Asiento.Il mercato degli schiavi organizzato e pubblico che nelle Americhe veniva considerato un passo avanti rispetto a quello clandestino. Non si dice forse da trenta anni che le leggi sulla precarietà servono a far emergere il lavoro nero? Questo del resto sostengono tutte le istituzioni della Unione Europea, per le quali la merce lavoro non deve essere sottoposta a vincoli e controlli che ne impediscano la libera concorrenza. Se c’è disoccupazione è perché il lavoro costa troppo, bisogna che la concorrenza tra le persone ne abbassi il prezzo fino a che le imprese non trovino conveniente assumere. È la filosofia liberista della riduzione del costo del lavoro che dagli anni 80 ha ispirato tutte le leggi e tutti gli interventi sul mercato del lavoro delle istituzione europee e dei governi italiani. Negli anni ‘70 il contratto di assunzione era tempo indeterminato con l’articolo 18, salvo eccezioni che erano davvero tali. Il collocamento allora era pubblico e numerico, cioè le imprese dovevano assumere seguendo le liste pubbliche di chi cercava occupazione, non servivano curricula o partite di calcetto. E la pubblica amministrazione non era sottoposta ai vincoli massacranti del Fiscal Compact e ai conseguenti tagli al personale stabile, sostituito dall’appalto e dal lavoro precario.Poi, nel nome del mercato, della modernità, dell’Europa, questo sistema semplice, giusto e anche efficiente è stato metodicamente smantellato da tutti i governi senza distinzioni, con la complicità di Cgil, Cisl e Uil. Ora il collocamento è un affare delle agenzie interinali, una volta vietate come caporalato, i rapporti di lavoro precari sono una quarantina e lo stesso contratto a tempo indeterminato è una finta, visto che grazie al Jobs Act i nuovi assunti possono essere licenziati in qualsiasi momento. E se un sindaco regolarizza i dipendenti del suo comune rischia di finire sotto processo. Ora si può essere assunti in Romania con paghe del posto e lavorare nel Trentino eludendo i contratti, grazie alla Unione Europea e alle sentenze della sua Corte di Giustizia nel nome della libertà di mercato. E le leggi securitarie, anti migranti e anti poveri, come la Bossi Fini e il decreto Minniti, sono una tecnologica riedizione delle misure contro il vagabondaggio degli albori del capitalismo, che avevano la funzione di imporre il lavoro forzato e semi-gratuito in fabbrica.È dilagato il precariato, ma contrariamente alle giustificazioni ufficiali la disoccupazione è esplosa e il lavoro nero continua a espandersi. I devastatori del diritto però non hanno fallito, perché alla fine hanno realizzato esattamente ciò che volevano, riportare le lavoratrici e i lavoratori nella condizione di soggezione degli schiavi. Il sistema di lavoro fondato sulla precarietà è prima di tutto una organizzazione violenta e criminale dello sfruttamento e della schiavizzazione delle persone. Non è più tempo di combatterlo solo nel nome delle convenienze economiche, ma in quello della libertà e dei diritti fondamentali della persona. E l’Unione Europea, i suoi governi e le loro regole di mercato vadano all’inferno.(Giorgio Cremaschi, “Oggi lo schiavismo si chiama precarietà”, da “Micromega” del 4 aprile 2017).A Milano sulla metro mi ferma un giovane, impiegato in un magazzino della logistica. Io sono tra i privilegiati, mi dice, certo non come i facchini che stanno giù al carico scarico merci, però anche in ufficio il clima è pesante. E mi racconta la storia dei punti della patente. Il capo ufficio si rivolge alla giovane impiegata, naturalmente assunta con un contratto precario, e le chiede con la massima naturalezza: senti, puoi darmi gli estremi della tua patente? Alle timide perplessità della ragazza, il capo risponde tranquillamente che è per una infrazione in cui è incorso guidando l’auto aziendale. È arrivata una multa pesante che comporta danno alla patente. Visto che l’auto è aziendale, nulla di male a scaricare il taglio dei punti sulla patente dell’impiegata, anche se questa non è titolata ad usarla, è spirito di collaborazione… che fa curriculum per la conferma a lavoro. La ragazza ha subito il ricatto?, ho chiesto alla fine, ma chi mi aveva raccontato l’episodio non è stato in grado di darmi una risposta, non conosceva la conclusione.
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Berlino ha stravinto, ora può solo scegliere come perdere
L’euro sta per crollare, questo è certo: ma agli Usa conviene che l’Europa finisca ko? Secondo l’economista Alberto Bagnai, sarebbe meglio la seconda opzione: aiutare l’Europa a uscire dall’euro in modo non disastroso, dando comunque per scontato che la moneta unica europea è ormai al capolinea, visto che l’unione monetaria è stata «la peggiore strada possibile» per rimodellare l’unità europea oltre la Nato, caduto il Muro di Berlino. «Una cattiva economia non può generare una buona politica», afferma Bagnai: «Quello che avrebbe dovuto unire l’Europa oggi la sta lacerando». La Gran Bretagna ha già deciso di togliere il disturbo, mentre l’Europa continentale è di fronte a una scelta: alzare il livello dello scontro con Berlino o arrendersi all’egemonia della Germania. «Gli Stati Uniti, come qualsiasi altro attore a livello globale, devono porsi di fronte a questa realtà: l’euro ha dissepolto senza motivo la questione tedesca, provocando esattamente ciò che avrebbe dovuto prevenire». A Washington l’ardua sentenza: meglio un’Europa sul lastrico o un partner ancora in piedi, relativamente solido?«Se gli Stati Uniti decidono che a loro conviene avere a che fare con un’Europa politicamente divisa, economicamente a pezzi e socialmente instabile, allora sostenere l’euro è per loro la scelta migliore», quella del “divide et impera”. Ma siamo sicuri che convenga, a Washington? Se invece gli Stati Uniti ritengono che un’Europa in buona salute dal punto di vista politico ed economico possa essere un alleato più utile sullo scenario globale, allora – sempre secondo l’analisi di Bagnai, ripresa da “Voci dall’Estero” – dovrebbero «promuovere uno smantellamento controllato dell’euro». Attenzione: «Disfare l’euro non sarà privo di costi». In ogni caso, però, «saranno costi comunque inferiori a quelli che comporta l’alternativa», ovvero il protrarre questa paurosa stagnazione dell’economia europea e quindi mondiale, oltre al rischio crescente di una grave crisi finanziaria. Stagnazione che, peraltro, produce gravi conseguenze sull’economia globale, derivando anche da «regole europee sbagliate per gestire gli enormi squilibri creati da istituzioni europee viziate in partenza».L’integrazione economica europea, insiste Bagnai, ebbe un ruolo-chiave nel promuovere la prosperità della parte occidentale del continente, quando quella orientale era sotto il dominio dell’Urss. Poi, di colpo, la caduta la Cortina di Ferro «riportò sulla scena quella che era stata per secoli la causa principale di grandi sofferenze: la difficile relazione tra Francia e Germania». Il motivo del fallimento dell’euro, definito “sbrigativo matrimonio di convenienza” tra Parigi e Berlino? «E’ lo stesso che diede il colpo di grazia agli accordi di Bretton Woods», che stabilirano il dollaro come valuta internazionale: «Entrambe le due istituzioni promuovono la nascita di squilibri esterni, anche se per ragioni diverse». C’è sempre un peccato originale: quello del sistema di Bretton Woods «era stato l’adozione della valuta di uno Stato come valuta mondiale», mentre quello dell’euro «è stato l’adozione di una valuta senza Stato come valuta regionale». Il loro difetto comune? «La presenza di un tasso di cambio fisso, che impedisce l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti».Il sistema di Bretton Woods è durato a lungo, ricorda Bagnai, grazie al carattere dei mercati finanziari, che allora erano regolamentati, e alla capacità di visione del paese leader, gli Stati Uniti. «Di entrambe le cose non c’è traccia in Eurozona, dove è promossa una libertà di movimento dei capitali senza restrizioni, in assenza di qualsivoglia autorità regionale di supervisione, e dove il leader regionale, la Germania, è con ogni evidenza ossessionato da una oltremodo miope smania di accrescere il più possibile il suo surplus esterno». L’estrema rigidità dell’euro «ha incentivato il mercantilismo», cioè «la tentazione di tesaurizzare i capitali internazionali invece di reinvestirli nell’economia mondiale», e la pulsione mercantilista orienta il commercio a vantaggio dei paesi del nucleo centrale, la cui valuta in termini reali è sottovalutata, preservando il valore delle loro attività nette sull’estero. «Ma il presunto vincitore nella gara dell’euro, la Germania, si ritrova ora in un vicolo cieco», continua Bagnai. «Se vuole mantenere in vita l’Eurozona, deve accettare le politiche monetarie estremamente espansive della Bce». Viceversa, «una politica monetaria più restrittiva darebbe sollievo ai creditori, ma esattamente per lo stesso motivo provocherebbe il crollo istantaneo dei paesi debitori, rendendo loro ben difficile sostenere il debito».Se invece crescessero i redditi, nei paesi debitori, questo «rilancerebbe il debito estero, tornando a incentivare gli squilibri che hanno provocato la crisi». Secondo il Tesoro Usa, la Germania è riuscita a stravincere «grazie a manipolazioni del Forex», il mercato globale decentralizzato, nel quale tutte le valute del mondo vengono scambiate in ogni momento ad un prezzo concordato. I tedeschi si sono serviti di un euro «fortemente svalutato» per sfruttare gli Usa e gli altri partner commerciali: questa l’accusa di Peter Navarro, capo del National Trade Council degli Stati Uniti, secondo cui «l’euro è un marco travestito». Ma ora, aggiunge Bagnai, Berlino può solo scegliere come perdere: tutto in un colpo (per il collasso dei suoi debitori) o a poco a poco (a causa di tassi di interesse nulli o negativi). L’Europa è in declino, conclude l’economista, ma è ancora troppo grande per crollare senza terremotare il resto del mondo. Secondo i massimi economisti Usa, l’euro ha le ore contate. «La causa più probabile sarà un collasso del sistema bancario italiano, che trascinerà con sé quello tedesco. È nell’interesse di qualsiasi potere politico, certamente dei vacillanti leader europei, ma probabilmente anche degli Stati Uniti, gestire – piuttosto che subire – questa conclusione».L’euro sta per crollare, questo è certo: ma agli Usa conviene che l’Europa finisca ko? Secondo l’economista Alberto Bagnai, sarebbe meglio la seconda opzione: aiutare l’Europa a uscire dall’euro in modo non disastroso, dando comunque per scontato che la moneta unica europea è ormai al capolinea, visto che l’unione monetaria è stata «la peggiore strada possibile» per rimodellare l’unità europea oltre la Nato, caduto il Muro di Berlino. «Una cattiva economia non può generare una buona politica», afferma Bagnai: «Quello che avrebbe dovuto unire l’Europa oggi la sta lacerando». La Gran Bretagna ha già deciso di togliere il disturbo, mentre l’Europa continentale è di fronte a una scelta: alzare il livello dello scontro con Berlino o arrendersi all’egemonia della Germania. «Gli Stati Uniti, come qualsiasi altro attore a livello globale, devono porsi di fronte a questa realtà: l’euro ha dissepolto senza motivo la questione tedesca, provocando esattamente ciò che avrebbe dovuto prevenire». A Washington l’ardua sentenza: meglio un’Europa sul lastrico o un partner ancora in piedi, relativamente solido?