Archivio del Tag ‘libertà’
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Noi e la democrazia: separati in casa, da troppo tempo
Cosa ci è rimasto? E’ importante rispondere a questa domanda per capire dove ci troviamo, come ripartire. Per sapere di quali armi dispone ancora il cittadino in questa pseudo democrazia. Andiamo per esclusione. Non abbiamo più il voto, non possiamo esprimere la preferenza per l’elezione di un parlamentare. Il Parlamento è quindi andato. Se Camera e Senato sono sottratte alla volontà popolare lo è anche la presidenza della Repubblica, eletta dalle Camere riunite, nominate dai capi dei singoli partiti. Quindi ci siamo giocati anche Napolitano insieme ai presidenti di Camera e Senato.
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Egitto, l’ipocrita Blair auspica un «cambiamento stabile»
Quel che salta subito all’occhio nelle rivolte di Tunisia e d’Egitto è la massiccia assenza del fondamentalismo islamico: secondo la migliore tradizione laica e democratica la gente si è limitata a rivoltarsi contro un regime oppressivo, la sua corruzione e la sua povertà, chiedendo libertà e speranza economica. La cinica convinzione occidentale secondo cui nei paesi arabi la coscienza genuinamente democratica si limiterebbe a piccole élite liberal, mentre le grandi masse possono essere mobilitate solo dal fondamentalismo religioso o dal nazionalismo si è dimostrata erronea. Il grosso interrogativo è naturalmente: che succederà il giorno dopo? Chi ne uscirà vincitore?
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La Cia, il boia Suleiman e la spazzatura della storia
Quattro morti e 1.500 feriti, museo egizio in fiamme, giornalisti picchiati a sangue: a far precipitare nel caos la protesta rivoluzionaria del Cairo, la comparsa di miliziani pro-Mubarak ora condannata da Obama, che si affretta a chiedere una «transizione immediata» fra il regime assediato – che non si rassegna a cedere il potere – e la vasta ondata popolare che ha portato in piazza milioni di persone, in nome della svolta democratica promossa dalle opposizioni coordinate da Mohammed El Baradei. Una situazione esplosiva, che sembra fatta apposta per esasperare la folla e rianimare così il fantasma dell’estremismo islamico, finora assente dalla contesa egiziana. E mentre Washington getta l’ex alleato Mubarak nella spazzatura della storia, la stampa americana riscopre – in ritardo – il “passato nero” di Omar Suleiman, formidabile aguzzino per conto della Cia durante l’era Bush.
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Attenti a noi: l’ultimo confine è la censura sui libri
Alla fine della Seconda Guerra gli Alleati vittoriosi nel dare mano alle grandi retate di criminali e collaborazionisti delle sconfitte dittature, non si dimenticarono degli intellettuali, e con loro, fatti salvi quelli che servivano per scopi strategici – scienziati, crittografi, storici, utili al nuovo quadro politico – con gli altri furono piuttosto duri, persino durissimi. Ezra Pound, probabilmente il più grande poeta del ‘900, fu accusato, giustamente, per tradimento del suo paese, gli Usa, di collaborazionismo attivo e pervicace con il fascismo, e condannato a passare il resto dei suoi giorni in un manicomio criminale.
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Il mondo discute di Mubarak, noi invece della “nipote”
«Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla “nipote”». Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, non ha dubbi: in Egitto, l’Italia – cruciale frontiera mediterranea – sta perdendo un’occasione storica: ricucire lo strappo con il Nord Africa post-coloniale e frenare l’esodo della disperazione mettendo in campo una nuova alleanza politica ed economica. «L’occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo – spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall’Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre».
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L’Egitto dopo Mubarak: la svolta nelle mani dell’esercito
Dopo 150 morti, una settimana di scontri e tre notti di manifestazioni in aperta violazione del coprifuoco, coi carri armati nelle strade, il presidente Hosni Mubarak è prossimo alla resa: secondo il “Sunday Times” gliel’avrebbero intimata direttamente i militari, dopo che i soldati – invitati in piazza a sostituirsi alla polizia, responsabile della sanguinosa repressione – hanno fraternizzato coi dimostranti, decisi a protestare a oltranza fino alla caduta del “faraone”. A trattare ormai direttamente con l’esercito, unico potere rimasto in piedi in Egitto, sono il leader dell’opposizione democratica Mohammed El Baradei e l’uomo forte del regime di Mubarak, il generale Omar Suleiman, nominato vicepresidente. La stessa Casa Bianca chiede una transizione rapida, “scaricando” di fatto l’anziano dittatore sostenuto per decenni.
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Cairo: rivoluzione web, wiki-hacker contro la censura
E’ iniziato tutto con l’hashtag (vuol dire ‘cancelletto’ in inglese ed è il modo per fare ricerche su Twitter) #Jan25. È stata quella la parola d’ordine sotto la quale la rivolta dei giovani egiziani ha iniziato a ripercorrere le orme di quella dei cugini tunisini. #Jan25 stava per gennaio 25, giorno della prima manifestazione di piazza in Egitto, poi è arrivato #Jan28. Sotto quel segno la protesta si è diffusa e si sta ancora diffondendo fino ad incendiare le principali città del paese nordafricano. Twitt dopo twitt, messaggio dopo messaggio, l’aggiornamento delle proteste, dei morti per strada e dell’ingrossarsi dei cortei, sta assumendo le sembianze di un’onda crescente che punta a travolgere l’Egitto e forse non solo.
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Il Telegraph: gli Usa conoscevano il piano anti-Mubarak
Gli Usa erano al corrente del piano segreto per far cadere il regime di Mubarak, messo a punto da tutte le opposizioni. Obiettivo: rovesciare il “faraone” e instaurare un regime democratico capace di assicurare libere elezioni in vista delle presidenziali 2011. Lo rivela il quotidiano britannico “The Telegraph”, proprio mentre il presidente americano Barack Obama chiede a Mubarak di rispondere coi fatti alle promesse annunciate in televisione nella drammatica serata del 28 gennaio. «Un insulto all’intelligenza degli egiziani» secondo il Premio Nobel per la Pace Mohammed El Baradei, ancora agli arresti domiciliari, deluso dalla mossa di Mubarak: «Non basta che cambi il governo, è lui che deve andarsene».
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La battaglia del Nilo assedia le dittature filo-occidentali
Decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti, i palazzi del potere assediati e presi d’assalto, i carri armati per le vie del Cairo sotto il coprifuoco, il presidente Mubarak che nella notte destituisce il governo provando così a restare in sella, nonostante la marea popolare che il 28 gennaio ha scosso dalle fondamenta il suo regime, da cui ormai prende le distanze anche Barack Obama. «Se cade Mubarak cade il Nord Africa»: questo lo spirito con cui l’Occidente assiste sgomento all’inatteso spettacolo rivoluzionario di decine di migliaia di egiziani, coordinati da Internet e social network, scesi in piazza per reclamare pane e libertà contro il regime che da trent’anni governa con pugno di ferro il paese dei Faraoni schiacciando i diritti democratici del popolo.
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Pane e Internet, Davos: aspettiamoci altre 100 rivolte
Da dove ci piomberà addosso il prossimo cigno nero? No, questo “Black Swan” non è il thriller con Natalie Portman nella parte della ballerina, candidata all’Oscar. Il cigno nero è una metafora statistica entrata nel gergo della finanza, si definisce come “un evento ad alto impatto, bassa probabilità, bassissima prevedibilità”. Esempio classico: la crisi dei mutui subprime del 2007. L’interrogativo sui cigni neri appassiona davvero il World Economic Forum. Chi riuscisse a prevedere il prossimo choc planetario, che si tratti di un leader politico o di un grande capitalista, avrà un vantaggio su tutti. Potrà usarlo bene – predisporre antidoti, limitare i danni – o semplicemente arricchirsi speculando nella direzione giusta.
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Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.
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Noi, la speranza dell’Egitto contro la violenza di Mubarak
Mi chiamo Rania Aala, ho trent’anni, e da quando sono nata ho sempre visto Mubarak al governo, sempre. E’ frustrante per la mia generazione. Il partito al governo, l’Npd, pensa che siccome ci sono quaranta milioni di poveri in questo Paese, allora siamo tutti ignoranti, politicamente incompetenti, senza leadership. Anche i capi della cosiddetta ‘opposizione’ si sono comportati come se noi non esistessimo. Ci hanno lasciato fuori dall’equazione e sono diventati tristi, ridicolmente oppressivi. Il picco della nostra frustrazione si è verificato in occasione di due fatti: le dichiarazioni di Gamal Mubarak, che vuol correre per la presidenza dopo il padre, uccidendo così tutte le nostre speranze