Archivio del Tag ‘Libano’
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“Ribelli” di Bengasi in Siria per la prossima guerra Nato
Sta arrivando una guerra ancora più sporca di quella appena conclusa in Libia per rovesciare Gheddafi col pretesto umanitario. Nuovo obiettivo: Damasco, anticamera di Teheran. “Libia 2.0” uguale Siria? No, peggio: «E’ più “Libia 2.0 remix”», col solito alibi “R2p”, cioè “responsabilità di proteggere”, ovvero «i civili bombardati fino alla democrazia», ma stavolta senza neppure la copertura dell’Onu, perché Russia e Cina opporranno il veto. E mentre anche la Turchia soffia sul fuoco, Hillary Clinton scalda i reattori degli F-16: alla televisione indonesiana ha appena annunciato che in Siria sta per scatenarsi «una guerra civile», ben finanziata e «ben armata» da un’opposizione zeppa di disertori, ma non solo: il nuovo regime di Tripoli ha inviato al confine siriano 600 miliziani, reduci della “rivoluzione” contro Gheddafi.
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La razzia in arrivo: acqua e Tav, nucleare e inceneritori
«E’ mai possibile dover attendere decenni per completare la rete Tav?». Corrado Passera, il super-banchiere promosso ministro dello Sviluppo dal governo tecnico di Mario Monti, ha fretta di veder realizzata la Torino-Lione, ma non solo: in un’intervista a “Panorama” si lamenta anche dei tempi “eterni” per costruire gli inceneritori e per «rinnovare le reti idriche». Ma l’acqua non doveva restare pubblica, come da referendum? Non per il nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà: la strada maestra, dice, «resta il ricorso al mercato». E se il voto popolare di giugno ha tramortito i partiti con il “no” al nucleare, ad “annullarlo” politicamente provvede il neo-ministro dell’ambiente, Corrado Clini, secondo cui l’atomo è una fonte pulita e sicura, che l’Italia non dovrebbe precludersi. Alla faccia di Fukushima, e della democrazia.
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Il generale Clark: Libia nel mirino da anni, e ora Siria e Iran
Circa dieci giorni dopo l’11 Settembre mi sono recato al Pentagono e ho visto il segretario alla Difesa, Rumsfeld, e il vicesegretario Wolfowitz. Sono sceso a salutare alcune persone dello Stato maggiore che lavoravano per me e uno dei miei generali mi chiamò dicendomi: «Venga, le devo parlare un minuto». E io: ma lei avrà da fare. Lui disse: «No, no. Abbiamo preso una decisione: attaccheremo l’Iraq». Io gli chiesi: ma perché? E lui: «Non lo so. Penso che non sappiamo cos’altro fare». Domandai: hanno trovato informazioni che collegano Saddam Hussein con Al-Qaeda? «No, non c’è niente di nuovo», disse, «hanno soltanto deciso di fare la guerra all’Iraq: penso che la ragione è che non si sa cosa fare riguardo al terrorismo, però abbiamo un buon esercito e possiamo rovesciare qualsiasi governo».
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Strana guerra senza vincitori, unico sconfitto il Colonnello
Se la guerra di Libia come sembra è terminata, sappiamo chi l’ha perduta: il Colonnello, il suo clan familiare, i profittatori del regime, le tribù alleate, gli amici internazionali che hanno scommesso sulla sua vittoria. Non sappiamo invece chi l’ha vinta. I ribelli hanno combattuto coraggiosamente, ma sono una forza raffazzonata composta all’inizio da qualche nucleo islamista, senussiti della Cirenaica, nostalgici del regno di Idris, una pattuglia democratica. Le loro file si sono ingrossate quando l’intervento della Nato è sembrato garantire una vittoria sicura, ma molti notabili rimasti alla finestra per mesi hanno cambiato campo solo nelle ultime settimane: la prova che il risultato era incerto e che, nella migliore delle ipotesi, il Paese sarà ora governato da una coalizione di opportunisti post-gheddafiani, a lungo complici dell’uomo che ha dominato la Libia per 42 anni.
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Riciclare Al Qaeda per fermare la Primavera Araba
Osama Bin Laden è morto ufficialmente il 1° maggio 2011 perché non poteva compiere, alla svelta, il terzo voltafaccia della sua impetuosa carriera: prima uomo Cia in Afghanistan contro l’Urss, poi leader antiamericano. Ora i suoi sauditi servono nuovamente, come ai vecchi tempi, dalla parte dell’America: in Libia per eliminare Gheddafi e mettere le mani sul petrolio, in Egitto per annullare la rivoluzione democratica di piazza Tahrir e in Siria, per demolire Bashar Assad che non rompe con l’Iran, non fa la pace con Israele e non abbandona i palestinesi al loro destino. L’improvviso accordo tra Hamas e Abu Mazen, che ha spiazzato Tel Aviv? E’ la risposta dei palestinesi contro chi vorrebbe trasformare Assad in un dittatore, dopo aver infiltrato anche l’esercito siriano di cecchini che sparano sulla folla.
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Capitan America e gli OsamaLeaks: pronti alla Guerra 2.0
A parte gli “asini che volano”, finiti subito nel radar di Giulietto Chiesa, quello che più colpisce nella “fiction” andata in scena in Pakistan, dove «stavolta gli sceneggiatori della Cia hanno davvero esagerato con le loro fantasiose teorie della cospirazione» è l’enfasi con cui i media “mainstream” parlano della «miniera d’oro» ritrovata in casa Osama. Ebbene sì, perché «l’inafferrabile primula rossa del terrorismo islamico» non solo abitava da anni stabilmente nello stesso luogo, in barba alle più elementari regole di qualunque fuggiasco (e senza nessun serio dispositivo di difesa), ma «addirittura deteneva tranquillamente con sé, a disposizione, i computer con le memorie e centinaia di dischetti contenenti tutti i segreti, ma proprio tutti tutti, della sua fantomatica organizzazione. Ops, sono caduti in mano al nemico, che sfortuna!».
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L’Italia bombarda Gheddafi e la Siria scruta la crisi libica
Anche l’Italia entra ufficialmente in guerra con la Libia di Gheddafi: d’ora in poi i caccia tricolori spareranno missili, per stroncare la resistenza militare del Colonnello. E’ stato Barack Obama a ottenere l’ok di Berlusconi, che ora dovrà vedersela con le barricate già annunciate dalla Lega, contraria all’intervento armato diretto, dopo la concessione delle basi e i sorvoli ricognitivi dei caccia in funzione anti-radar. Sotto il comando unificato della Nato, peraltro richiesto proprio dall’Italia, ora le artiglierie di Gheddafi saranno colpite da cacciabombardieri come i Tornado e gli Amx, specializzati nell’attacco a terra. Non solo: le forze italiane sono considerate strategiche per “illuminare” gli obiettivi dei missili Nato.
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Strage in Siria, Assad nel panico fa sparare sulla protesta
Anche la Siria è in fiamme: almeno 100 morti sono il tragico bilancio della protesta del “venerdì santo”, soffocata dalla feroce repressione scatenata il 22 aprile che ha suscitato le proteste di Usa e Onu. Libertà e democrazia, elezioni, via la censura e la legge marziale che schiaccia il paese da decenni. Risposte: prima promesse vane e ora pallottole, con l’esercito in campo a sparare sulla folla inferocita, nel paese-chiave del Medio Oriente, in bilico fra Turchia e Iran e in attrito permanente con Israele. Il presidente Bashar Assad non sa rispondere alla protesta con validi argomenti e ricorre alla violenza più brutale, prenotando probabilmente il suo suicidio politico, in un autentico bagno di sangue.
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Sangue in Siria, Assad si rassegni e conceda la libertà
«La libertà costa cara. Voi europei sapete bene quanto avete pagato per conquistarla in Italia, in Francia, e altri in America e in Giappone. Beh, adesso tocca a noi siriani. Come voi, dobbiamo lottare. S’è sparso sangue nel Paese, e altro ne scorrerà. Però, non c’è altra scelta». Così parla l’anziano avvocato Haythem al-Maleh, 80 anni, in libertà dopo un anno e mezzo di prigione. Già magistrato, negli anni ’50 e ’60 «quando la magistratura siriana era forte e indipendente», al-Maleh è un dissidente storico: il padre dei diritti civili in Siria, un paese nel quale i dissidenti sono stati incarcerati e decine di migliaia, torturati e uccisi. Un paese ora in fiamme, che non crede più alle promesse del giovane presidente Bashar Assad.
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Siria, il mondo trema: si rischia la guerra con l’Iran
La Siria sta rapidamente raggiungendo un punto di non ritorno. Di fronte al presidente Assad si apre un bivio molto semplice: di qua le riforme, di là la repressione. Quale sarà la direzione che Damasco prenderà si saprà in non tanto tempo. Ieri le cose lasciavano sperare: sono state annunciate la cancellazione dopo 48 anni dello stato d’emergenza imposto nel 1963 e le dimissioni dell’attuale gabinetto di governo. Ma alla fin fine, come ci hanno insegnato fin qui le altre rivolte arabe, il livello di riforme necessarie a calmare le acque o è molto alto o è inesistente. E la leadership dell’erede del Leone di Damasco, come lo definisce nella sua migliore biografia Patrick Seal, non ha mai dato fin qui particolari segni di forti capacità né strategiche né politiche – nemmeno nel senso di forza repressiva che il padre era capace di scatenare.
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Il Web da solo non basta: lo usano anche le dittature
Gheddafi ha spento Internet, ha chiuso la finestra attraverso cui il mondo giudicava i suoi crimini. S’illude così di trovare vendetta nel tempo senza tempo del deserto. In una lettera al direttore della rivista americana “Science” del 19 gennaio 1968, un lettore scriveva: «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia». Spegnendo Internet, Gheddafi deve aver pensato di liquidare una specie di sortilegio che la modernità ha pronunciato contro la sua tirannia tribale. La Libia isolata può ora dedicarsi a girare le lancette dell’orologio al contrario, nell’illusione che tutto possa tornare come prima. Così anche il sangue versato resterà un segreto domestico.
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Tunisia, Egitto e Libano: rivoluzione in Medio Oriente
Dopo la Tunisia, dove un mese di proteste e repressioni ha provocato la cacciata del presidente-ditattore Ben Alì, ora è la volta dell’Egitto: quattro morti, tra cui un poliziotto, sono il bilancio degli scontri divampati il 25 gennaio con l’invasione popolare delle piazze del Cairo e di Alessandria. Tutto questo, mentre in Libano crolla il governo Hariri e gli islamici di Hezbollah annunciano l’avvio di una transizione senza precedenti. Il Mediterraneo è diventato come l’Europa dell’Est del 1989? E’ presto per dirlo, scrive Pino Cabras su “Megachip”, anche se una novità è evidente: lo scossone geopolitico imposto da grandi masse, non più disposte a fermarsi davanti alle feroci repressioni dei dittatori a lungo puntellati dall’Occidente.