Archivio del Tag ‘Lega Nord’
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Barnard: voto i 5 Stelle, sono la peggior peste. Vacciniamoci
Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della sua storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».Barnard parla di «abietto pericolo insito in questa psicosi di massa chiamata 5 Stelle» a partire dall’azienda di Casaleggio «che è l’unica al mondo assieme a Mediaset ad avere i suoi lobbysti seduti in Parlamento». Beppe Grillo? «E’ riuscito a vendere un ‘ultra nazismo’ protocollare in pieno III millennio in un paese occidentale: 100.000 euro di multa agli espulsi o ai migranti politici». Ricorda, dice Barbard, il Saddam che «faceva sparare nelle ginocchia degli allenatori iracheni della nazionale se perdeva la partita». Secondo il saggista più imprevedibile d’Italia, autore de “Il più grande crimine”, il paese «sta segnando il suo secondo marchio d’infamia nella storia moderna dopo quei bei record di Mussolini e Berlusconi, per cui ancora siamo sbeffeggiati nel mondo (Andreotti era un criminale, ma era uno statista)». Scrive, Barnard: «Ho documentato in molti articoli quanto impostori siano Grillo e i Casaleggio, uomini che hanno cavalcato in modi diversi i Tronchetti Provera e i Colaninno a lor comodo. Ma qui, davvero, ciò che è peggio è che non esiste un eletto che abbia competenze per gestire una friggitoria, altro che il paese Italia: trovatemi una singola figura all’altezza, fra i 5 Stelle».Politiche monetarie e operazioni monetarie dello Stato, della banca centrale, del Tesoro. E poi gestione di assets, equity markets, “currency swaps” internazionali, “commodity markets” e ora blockchain e cryptovalute. Dove sono i 5 Stelle? Cosa ne sanno dell’ambiente “startup”, che ha bisogno di attirare i “venture capitals” internazionali? E poi: diplomazia del commercio e regole mondiali presso il Wto nei suoi intricatissimi ma vitali negoziati. Padronanza degli accordi (bilaterali e multilaterali) di “free-trade”. Politica estera e geostrategie legate alla sicurezza nazionale e alla razionalizzazione delle risorse? Peggio che andar di notte. Ancora: «Conoscenza vera dello sviluppo finanziario nelle energie rinnovabili. Comprensione dei nuovi “ecosystems” industriali, le piattaforme, e non quella cretinata dell’industria 4.0». Inoltre: «Analisi del rapporto fra interesse pubblico, potere sovrano e nuove super-tech & “artificial intelligence”. La nostra disperata necessità d’investimenti in ricerca, su cosa esattamente, ma soprattutto pagata da chi. L’agonizzante arretratezza del sistema Italia nell’era dalla IoT e delle “abstractions”, come padroneggiarla, pena la fine del paese come membro del G8».Mai sentito dai 5 Stelle qualcosa che lasci intravedere una visione geopolitica «per proteggere davvero l’Italia dalla crisi migrazione» con piani di risoluzione sistemica delle tensioni da cui si origina? «Statura e pedigree diplomatici necessari». Per esempio: «Voi sapete che razza di calibro è il Ceo dell’Eni Claudio Descalzi? Un Rex Tillerson gli può forse tenere testa. Ma voi ve l’immaginate il teatrino di Di Maio, Grillo e Casaleggino seduti davanti a Descalzi? Se li mangia vivi in 11 minuti, li rigira da fargli venire la labirintite mentre con la mano destra telefona a Igor Sechin di Rosneft. Ma non sto scherzando, c’è di mezzo la nostra vita, Cristo». E tutti i settori citati sopra? «Mario Monti è una bestia umana, ma Monti in mezza giornata fa e pensa quello che tutti i vertici 5S messi assieme fanno e pensano in sei mesi». Fico e la Taverna coi diplomi aziendali? «Io e l’insider di Wall Street per 30 anni, Warren Mosler, incontrammo a Roma alcuni deputati 5 Stelle della commissione bilancio: si doveva parlare di macroeconomia dello Stato, e ’sti ragazzini bofonchiavano proposte per modificare la partita doppia».Obiezione corrente: saranno degli sprovveduti, come del resto anche gli altri politici italioti; se non altro, i 5 Stelle almeno loro sono onesti. «Tutto sbagliato», sentenzia Barnard. «Il pericolo più micidialmente insidioso del Movimento 5 Stelle è che sono dei travestiti, tutti». Ovvero: «Non solo sono dei totali incompetenti come gli altri, ma sono omertosi perché sanno benissimo cosa sia la porcata del loro partito-azienda: cioè sanno dove i CasaleggioForProfit vogliono andare a parare, a spese di 60 milioni d’italiani, fra amicizie americane e banchieri dell’Ambrosetti. Sanno che Grillo è marcio fino al collo, ma, al contrario dei piddini o dei leghisti, i 5 Stelle vivono nello stesso ricatto della prostituta moldava schiava, a cui i papponi hanno sequestrato il passaporto e che se sgarra spaccano poi le ossa alla sua famiglia a casa. Questo è. E ’sti tizi si sono spacciati per “la speranza”. Ma ormai ci sono, si moltiplicano come l’E.coli nell’intestino». E allora ok, «ammaliamoci di 5 Stelle per qualche anno, ma poi almeno saremo immunizzati». Parola di Tucidide. O meglio di Paolo Barnard. Che a marzo, giura, ai 5 Stelle farà il peggior dispetto possibile: votarli.Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravvissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».
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Promesse elettorali per mascherare la loro servitù alla Ue
Promesse elettorali favolose, con un unico vero obiettivo: mascherare la servitù al regime finanziario neoliberista che domina l’Unione Europea. Lo sostiene Dante Barontini su “Contropiano”, esaminando l’imbarazzante scenario della campagna elettorale in corso. A cosa servono queste elezioni? «Per tutti quelli che concorrono con qualche ambizione a conquistare una poltrona ministeriale il problema è uno solo: ottenere il benestare delle “istanze superiori”». Lo si capisce perfettamente leggendo i maggiori giornali, come “Repubblica” e il “Corriere”. Entrambe le ex “corazzate” della stampa italiana, ormai molto ridimensionate nei loro numeri, «convergono nel bastonate spietatamente la massa di promesse irrealizzabili dei vari protagonisti della campagna elettorale». La mette giù dura l’editoriale di Mario Calabresi, “Incapaci di immaginare il futuro”: «Ascoltiamo soltanto una grottesca cantilena di abolizioni», scrive il direttore di “Repubblica”. «Via l’obbligo di vaccini, via il canone Rai, via il bollo auto, via lo spesometro, via le tasse universitarie, via il redditometro, via la legge Fornero, via il Jobs Act, fino alla mirabolante promessa finale di cancellare migrazioni e migranti».Sullo stesso tono gli immarcescibili neoliberisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, «duo di economisti che non ne ha mai imbroccata una ma che si ripropone ogni volta come se fosse la prima volta», scrive Barontioni, citando il loro “Le favole da evitare sul debito pubblico”. Ma il bersaglio sono i 5 Stelle, a cominciare da Di Maio, «che sfarfalleggia da settimane per accreditarsi presso le “autorità superiori” (pellegrinaggi a Cernobbio e negli Usa, niente più uscita dall’euro, pronti a fare governi anche con altri partiti purché non lo si dica prima, ecc)». Il piano grillino per ridurre il debito è effettivamente un castello di carte, ammette Barontioni, rilevando però che i due teorici della fiaba dell’austerità espansiva, per i quali «se tagli la spesa pubblica il paese riprende a crescere», lo usano come pretesto per ripetere sempre la stessa giaculatoria: o si riducono le spese o si aumentano le tasse, tertium non datur. Sul fronte politico, continua “Contropiano”, il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari «spinge in campo Veltroni e Prodi per “l’unità a sinistra” (Pd e bersaniani) nell’antichissimo schema del “fermare le destre”». Ma guardando più da vicino, sempre grazie a “Repubblica”, «emerge che ci sono solo due movimenti considerati inaffidabili nelle “alte sfere”: grillini e Lega. Tutti gli altri vanno naturalmente benissimo».Chi e perché? Ad essere approvati dal vero potere, l’establishment che conta (soprattutto fuori dall’Italia, al quale obbediscono i terminali nazionali) sono «tutti quelli che hanno da sempre accettato l’Unione Europea come amministratore unico delle faccende economico-finanziarie anche italiane, da cui dipende qualsiasi programma di gestione del paese», scrive Barontini. «Banalmente, se non puoi disporre liberamente delle risorse che vai producendo, non puoi fare nessun’altra politica se non quella prevista dai trattati europei e dalle indicazioni in tempo reale della Commissione Europea (tramite il Six Pack e il Two Pack)».A questo ampio club, continua Barontini, «si è iscritto da tempo anche Berlusconi», e lo ha dimostrato «promettendo (la mattina) di abolire il Jobs Act e garantendo (la sera) di mantenerlo così com’è». E dire che il Jobs Act è un peso per la spesa pubblica (la decontribuzione garantita alle imprese riduce le entrate statali), ma «la centralità degli interessi delle aziende è un dogma intoccabile per la Ue: dunque, su questo fronte si può continuare a spendere».Restano ai margini leghisti e pentastellati, peraltro pesantemente “lavorati ai fianchi”. La rinuncia di Roberto Maroni a un altro mandato da presidente della Lombardia? A prima vista incomprensibile, motivata da vaghe «ragioni personali», secondo Barontini comincia a rivelarsi un legnata a Salvini e «una candidatura per una poltrona di rilevo nell’unico governo a questo punto possibile». Quale? «Se si escludono M5S e (parte della) Lega, non restano molte alternative: un bel “governo del presidente” con dentro Pd, Forza Italia, “Liberi e Uguali” e frattagline varie (Lorenzin, democristiani di varia osservanza, singoli parlamentari che cambiano casacca)». Cosa li terrà insieme? «Il bastone dell’Unione Europea, che quest’anno trasformerà il Fiscal Compact da semplice “trattato intergovernativo” a “legge comunitaria”», ossia «da oggetto di flessibilità contrattata volta per volta a dispositivo automatico affidato a organismi tecnici». Conclude Barontini: «Come si fa a non augurarsi che il potere ritorni al popolo?».Promesse elettorali favolose, con un unico vero obiettivo: mascherare la servitù al regime finanziario neoliberista che domina l’Unione Europea. Lo sostiene Dante Barontini su “Contropiano”, esaminando l’imbarazzante scenario della campagna elettorale in corso. A cosa servono queste elezioni? «Per tutti quelli che concorrono con qualche ambizione a conquistare una poltrona ministeriale il problema è uno solo: ottenere il benestare delle “istanze superiori”». Lo si capisce perfettamente leggendo i maggiori giornali, come “Repubblica” e il “Corriere”. Entrambe le ex “corazzate” della stampa italiana, ormai molto ridimensionate nei loro numeri, «convergono nel bastonate spietatamente la massa di promesse irrealizzabili dei vari protagonisti della campagna elettorale». La mette giù dura l’editoriale di Mario Calabresi, “Incapaci di immaginare il futuro”: «Ascoltiamo soltanto una grottesca cantilena di abolizioni», scrive il direttore di “Repubblica”. «Via l’obbligo di vaccini, via il canone Rai, via il bollo auto, via lo spesometro, via le tasse universitarie, via il redditometro, via la legge Fornero, via il Jobs Act, fino alla mirabolante promessa finale di cancellare migrazioni e migranti».
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Odiavano Silvio, hanno sfasciato l’Italia e oggi tifano per lui
Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?E come mai tutto questo ben di Dio dovrebbe costituire un argine ai populisti, Frau Merkel, e aggiungiamo noi, a una crescita spropositata del debito pubblico italiano? Raccontiamoci tutte le fregnacce che vogliamo, dai, ma almeno non prendiamoci per i fondelli: Berlusconi oggi è molto peggio di quanto non lo fosse nel 1994, nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013 e un suo ritorno a Palazzo Chigi, da king o da kingmaker, sarebbe una tragedia in qualunque paese con un minimo di serietà. Allora aveva una classe dirigente, piacesse o meno, con titoli e competenze per prendere in mano il timone di un paese; oggi è costretto a improvvisare un nome come quello dell’ex generale Gallitelli come possibile presidente del Consiglio, o Maurizio Gasparri come presidente del Senato o della Regione Lazio. Allora aveva una piattaforma programmatica perlomeno coerente e proporzionata, ancorata a un principio di realtà, oggi accatasta proposte che nemmeno Trump. Allora, perlomeno a sprazzi, aveva la volontà di cambiare il paese a immagine e somiglianza della sua visione del mondo, oggi è mosso solo dal desiderio di mettere al sicuro Mediaset e di garantire un happy ending alle sue aziende, per evitare vengano spolpate vive appena lui e Confalonieri non saranno più in grado di occuparsene. Allora vi faceva schifo, oggi è un simpaticone. Molto bene.Anzi no, non va bene un bel niente. Fatevelo dire da chi anti-berlusconiano non è mai stato. L’unica differenza, cari nostri, è che oggi Berlusconi vi serve come l’aria. Perché con le sue sparate è l’argine perfetto a Salvini e Di Maio. Perché pensate che se la gente si beve le sue sparate, meglio ancora se sono patacche, non si berrà le loro. Perché siete convinti che potrà fare solo da stampella, non certo tornare a comandare. Perché avete la certezza, sotto sotto, che sia solo una carcassa di Caimano, vecchio, stanco, incapace di fare danni. Una notizia: i danni li state facendo voi, a questo giro, e sono più grandi di quel che potete immaginare. Perché i prossimi saranno anni di sacrifici e lo sapete benissimo. Perché la gente è stupida finché volete, ma si accorge se la state fregando e se una volta al governo Berlusconi non farà quel che ha promesso, o non gli sarà concesso di farlo dai vincoli di bilancio che oggi tutti fingono di non vedere, ci penseranno Grillo e Salvini ad accogliere a braccia aperte tutti i delusi dal Cavaliere. Perché state distruggendo tutta la poca o tanta credibilità che vi ha accompagnato per vent’anni abbondanti, investendola, tutta in una volta sola, nella speranza (vana?) di cinque anni tranquilli. Perché il prezzo che dovrete pagare sarà ciò contro cui avete combattuto per un quarto di secolo, quel conflitto d’interessi vulnus primordiale del vostro feroce anti-berlusconismo. Perché anche prendendo il 15-20% Berlusconi stravincerà la sua lunga partita politica. Perché tutta questa melassa ipocrita è un distillato purissimo di doppia verità, ancora peggio del venticinquennale perbenismo moralista che ha accompagnato Re Silvio come un’ombra. E no, non servirà a nulla, se non a lui.(Francesco Cancellato, “Berlusconi è diventato ‘buono’? La peggiore bugia di questa campagna elettorale”, da “Linkiesta” dell’11 gennaio 2018).Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?
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Formica: l’Ue chiede a Silvio l’inciucio col Pd ma senza Renzi
«Renzi finirà asfaltato dai No, poi il successore lo designerà il Vaticano». Una “profezia” firmata Rino Formica, puntualmente esatta: il Rottamatore a casa, sostituito dal nipote dell’uomo di fiducia della Santa Sede, che firmò il Patto Gentiloni per riportare i cattolici in politica dopo l’Unità d’Italia. Oltre un anno dopo, alla vigilia delle politiche, l’ex ministro craxiano rilancia: le “dritte” dell’Ue a Berlusconi prevedono una “grande coalizione”, ma senza Renzi. Lo racconta Formica a Federico Ferraù, che l’ha intervistato per “Il Sussidiario”. Premessa: l’uscita del commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, secondo cui «un rischio politico» incombe sull’Europa, visto che «l’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso». Quale maggioranza uscirà dal voto? Moscovici critica la proposta di Luigi Di Maio di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil e ribadisce il dogma (bugiardo) dell’austerity: «Ridurre il deficit significa combattere il debito, e combattere il debito significa rilanciare la crescita». Secondo Formica, classe 1927, ex ministro delle finanze socialista e attentissimo osservatore della situazione, l’Unione Europea è scesa in campo, e il messaggio di Moscovici risponde a una strategia precisa: imporre a Berlusconi un governo di larghe intese col Pd, che però escluda Renzi.«Lo sfondamento del 3% lo aveva già richiesto Renzi: perché Moscovici a suo tempo non ha sollevato la questione?», si domanda Formica. Nel mirino, evidentemente, ci sono i 5 Stelle. L’establishment europeo ha nuovamente sdoganato Berlusconi per un motivo preciso: nonostante il Jobs Act, l’oligarchia di Bruxelles ritiene che Renzi abbia fallito, sul terreno delle drastiche controriforme neoliberiste sollecitate dall’élite finanziaria. «L’operazione è più sottile», sostiene Formica: «A Bruxelles vogliono ridimensionare il M5S e favorire l’ipotesi di una grande coalizione post-voto». Soprattutto, l’ex ministro immagina che «le coalizioni che entrano in campagna elettorale non saranno le stesse che ne usciranno dopo il 4 marzo». Del resto, se il Movimento 5 Stelle (nonostante il profilo ormai ultra-moderato) è ancora ritenuto un fattore di instabilità, lo è anche nel centrodestra la Lega di Salvini. «Attaccando Di Maio, Moscovici chiude le porte a Renzi, che aveva chiesto pure lui flessibilità, e introduce un fattore di rottura nella coalizione di centrodestra».In questi giorni, da Berlusconi a Grasso passando per i 5 Stelle, si sono sentite tutte le promesse acchiappavoti possibili. Traduzioni pratiche? «Fino a quando non saranno presentate le liste sentiremo solo parole in libertà», assicura Formica. «Dopo, invece, insieme ai candidati dovremmo intravedere qualcosa di più». Ma l’ex ministro non è fiducioso: «Tutti i partiti fanno promesse mirabolanti perché sanno bene che nessuno avrà la maggioranza per governare. E’ come se dicessero: tanto nessuno ci potrà chiedere di onorarle, quelle promesse, perché manca la condizione principale per poterlo fare: i numeri». E se una delle tre forze si ritrovasse con i numeri bastanti per prendere il largo? «Anche se dovesse esserci una maggioranza – dice Formica – questa sarà così contraddittoria al suo interno da avere le mani legate e da giustificare l’inadempienza del progetto. Vale anche per il M5S, che corre da solo. E l’informazione ci mette del suo». Eppure, obietta Ferraù, giornali e tv denunciano all’unisono l’inconsistenza delle promesse. «I media accusano – replica Formica – ma si guardano bene dal chiedere la cosa più semplice: qualora voi, da destra a sinistra, doveste governare in una maggioranza che non è quella dei singoli blocchi, che cosa riterreste qualificante e irrinunciabile? Quale sarebbe la vostra linea del Piave?».Nessuno l’ha ancora fatto, insiste Formica, «e non so se lo faranno». Informazione complice del gioco? «Più che complice, è succube. Tanto, gli elettori non sono in condizione di poter interloquire. Se non con il voto, a suo tempo». Per ora ci sono solo i sondaggi: il centrodestra è davvero favorito, come sembra? «Ha un vantaggio che, dopo il voto, può diventare uno svantaggio», risponde Formica. «Il vantaggio è di essere la coalizione costituita da entità politiche dotate di una propria consistenza». E lo svantaggio? «Quello di essere una sorta di fronte popolare». Grosso limite: «Tutti i fronti popolari stanno in piedi finché c’è un nemico da battere, ma dopo le elezioni tutto diventa più complicato». Fantapolitica e simili: “Liberi e uguali” può fare un accordo post-voto col M5S? Secondo Formica, quella messa insieme da Bersani e D’Alema «è l’unica lista dotata di spessore politico vero, perché ha il radicamento delle vecchie forze di sinistra» e la rappresentanza di Grasso e Boldrini, che l’ex ministro considera «simbolicamente forte». Ma il suo ruolo, aggiunge, «non mi pare tanto quello di allearsi, quanto di fare da detonatore: se avrà successo, potrà risultare esplosiva per i partiti che non vinceranno, scompaginandone le fila: a sinistra il Pd, e in mezzo il M5S». In ogni caso, secondo Formica «molto dipenderà da ciò che succede in Europa». Ovvero: «Se a Berlino la Grosse Koalition riprende in mano la guida dell’unificazione europea, l’Italia o si adegua o sarà penalizzata. E la Germania non lascerà alla Francia la guida dell’opinione pubblica politica europea».«Renzi finirà asfaltato dai No, poi il successore lo designerà il Vaticano». Una “profezia” firmata Rino Formica, puntualmente esatta: il Rottamatore a casa, sostituito dal nipote dell’uomo di fiducia della Santa Sede, che firmò il Patto Gentiloni per riportare i cattolici in politica dopo l’Unità d’Italia. Oltre un anno dopo, alla vigilia delle politiche, l’ex ministro craxiano rilancia: le “dritte” dell’Ue a Berlusconi prevedono una “grande coalizione”, ma senza Renzi. Lo racconta Formica a Federico Ferraù, che l’ha intervistato per “Il Sussidiario”. Premessa: l’uscita del commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, secondo cui «un rischio politico» incombe sull’Europa, visto che «l’Italia si prepara ad elezioni il cui esito è quanto mai indeciso». Quale maggioranza uscirà dal voto? Moscovici critica la proposta di Luigi Di Maio di sfondare il tetto del 3% nel rapporto deficit-Pil e ribadisce il dogma (bugiardo) dell’austerity: «Ridurre il deficit significa combattere il debito, e combattere il debito significa rilanciare la crescita». Secondo Formica, classe 1927, ex ministro delle finanze socialista e attentissimo osservatore della situazione, l’Unione Europea è scesa in campo, e il messaggio di Moscovici risponde a una strategia precisa: imporre a Berlusconi un governo di larghe intese col Pd, che però escluda Renzi.
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Magaldi: Italia da rifare, ma non con questi politici venduti
«Magari fosse un pericolo per l’establishment, quel damerino di Di Maio», che invece ha tutta l’aria del bravo ragazzo innocuo. Renzi e Berlusconi concentrano su di lui i loro strali? Ovvio: fabbricando un nemico apparente, tentano di accreditarsi come politici autorevoli, in grado di cambiare il paese. Peccato che, «mentre i 5 Stelle al massimo hanno malgovernato Roma», il Pd e il centrodestra hanno a lungo “sgovernato” l’Italia: «Perché mai, in tutti questi anni, non hanno fatto nemmeno una delle strabilianti cose che adesso promettono, in campagna elettorale? Lo spettacolo che offrono è patetico». Ma c’è poco da ridere, avverte Gioele Magaldi a “Colors Radio”: la scontata non-vittoria di nessuno dei tre blocchi maggiori «è esattamente il risultato atteso e auspicato dalla supermassoneria reazionaria, interessata ad avere in Italia l’ennesimo governo debole e precario, sorretto da una maggioranza parlamentare friabile e quindi ancora più manipolabile e sottomesso ai grandi interessi economici sovranazionali, quelli che tengono in scacco l’intera Europa». Il peggiore degli scenari? Una replica del pessimo governo Letta, «creatura di quel “magnifico” oligarca che è stato Giorgio Napolitano». La risposta? «Popolare: di fronte all’inciucio di primavera, gli italiani faranno bene a chiedere nuove elezioni subito, per smascherare questa classe politica giunta al capolinea».
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De Benedetti, Repubblica e l’equivoco della diversità morale
Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».In più continua Feltri, De Benedetti ha attaccato Scalfari in una intervista sul “Corriere della Sera”, definendo le sue posizioni «un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di “Repubblica”, me compreso». Scalfari, che ha troncato ogni rapporto, gli ha risposto RaiTre a “Cartabianca”, il salotto di Bianca Berlinguer, dicendo che uno arrivato a 94 anni «se ne fotte» di quello che pensa De Benedetti. Ultima, ma solo in ordine di tempo, la vicenda della speculazione di Carlo De Benedetti grazie alle informazioni avute da Matteo Renzi e dalla Banca d’Italia. Questa, come ha detto l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, è come minimo «sconveniente», a prescindere dal fatto che sia o meno un reato. Intanto, premette Stefano Feltri, De Benedetti «ha accesso a Renzi e alla Banca d’Italia non tanto perché è (stato) un finanziere di successo – l’impero economico l’ha passato da tempo ai figli – ma in quanto editore di giornali rilevanti. Il non detto di questi rapporti è che il politico o l’uomo delle istituzioni coltiva le simpatie dell’editore convinto di ottenere, per questa via, un trattamento di favore dai giornalisti. E quando poi il giornale dovesse invece dimostrarsi completamente autonomo, si genera la spiacevole telefonata del tipo “Ma come, pensavo fossimo in buoni rapporti…”».In questo, conclude Feltri, si vede che Renzi «non è diverso dagli altri politici che voleva rottamare», se infatti «corteggia gli editori nella speranza di avere trattamenti di favore dai giornali». E De Benedetti, per contro, «non ritiene che invitare a cena ministri e presidenti del Consiglio possa complicare la vita ai suoi direttori ed editorialisti». Secondo: Carlo De Benedetti, che ha consolidato la sua carriera da finanziere «in un’Italia in cui l’uso di informazioni privilegiate per fare operazioni di Borsa non era neppure reato», rivendica la correttezza del proprio operato con questa argomentazione: se avessi saputo davvero qualcosa di specifico, non avrei investito solo 5 milioni ma almeno 20. «Autodifesa che diventa ammissione dell’assenza di ogni vincolo etico». Renzi, da parte sua, «ha dimostrato di non avere alcun filtro, alcuna prudenza nel gestire provvedimenti e informazioni con un impatto sui mercati». Negli anni 2014-2015, ricorda Stefano Feltri, «a Palazzo Chigi c’era un vorticoso ricambio di consulenti, amici del premier, collaboratori più o meno ufficiali che discutevano di Telecom, Eni, Banca Etruria, riforma delle Popolari e delle banche di credito cooperativo. Ora abbiamo chiaro con quale prudenza e quale riservatezza. Chissà quanti “casi De Benedetti” ci sono stati di cui non sappiamo».Terzo profilo sconveniente, nella vicenda Renzi-De Benedetti, «quello più rilevante: la reazione del sistema a tutela del potere costituito». Renzi e De Benedetti «fanno qualcosa, a gennaio 2015, che può essere reato o non esserlo, che può portare a sanzioni o meno». Tutto dipende dalla valutazione che ne viene fatta. La Consob indaga e decide, nel collegio dei commissari, di non sanzionare. La Procura di Roma, a quanto emerge, praticamente non indaga affatto ma chiede subito l’archiviazione dell’unico indagato, il povero broker che esegue l’ordine d’acquisto di azioni di banche popolari arrivato da De Benedetti. La vicenda esce una prima volta sui giornali dopo gli attacchi di Renzi alla Consob di Giuseppe Vegas, e riesplode ora che, con grande fatica, i parlamentari della commissione d’inchiesta sulle banche sono riusciti ad avere una parte dei documenti dalla Procura di Roma. I punti critici sono vari, riassume Feltri: per quasi tre anni, in troppi hanno saputo che incombeva questa bomba su Renzi (incombe ancora, visto che l’inchiesta non è stata archiviata). «Non è mai una cosa sana quando un politico sa di essere potenzialmente ricattabile». Ma perché la Procura di Roma ha mantenuto tanta riservatezza? «Perché il procuratore Pignatone considera grave che il contenuto delle carte sia filtrato dalla commissione banche? Non lo ha mai spiegato».E quando Vegas è andato allo scontro con il governo, dopo la sua mancata riconferma al vertice della Consob, rivelando gli interessamenti di Maria Elena Boschi su Etruria, «sapeva di avere nel cassetto l’arma segreta: tutte le carte di quello che i suoi uffici avevano classificato come insider trading, prima che la commissione lo archiviasse». Vegas “sapeva”, come lo stesso Renzi: «Chi doveva sapere sapeva, e tutti si sono comportati di conseguenza». E i grandi giornali? Sono «parte non irrilevante di questa storia», scrive Feltri. Il giorno in cui esce la trascrizione della telefonata di De Benedetti con il suo broker, “Repubblica” non ha la notizia. «Diciamo che è stato uno scoop della concorrenza, anche se di questa fanno parte praticamente tutti i giornali italiani incluso “La Stampa”, testata dello stesso gruppo editoriale». Il giorno dopo viene dato conto solo del “caso politico” intorno alla telefonata. Poi il “Sole 24 Ore” pubblica sul proprio sito web in modo quasi integrale il verbale di De Benedetti in Consob, dove l’editore di “Repubblica” si difende e rivela i suoi rapporti con Renzi, Boschi, Padoan, Visco, e rivendica perfino di essere stato il primo ispiratore del Jobs Act. «Non una riga esce oggi su “Repubblica” di tutto questo. E, cosa ancora più singolare, solo un francobollo sul “Sole 24 Ore” cartaceo, che invece spesso ha ospitato gli editoriali di De Benedetti. Scelta bizzarra, questa di regalare lo scoop on line ma di non valorizzarlo nell’edizione a pagamento».Gli imprenditori della Confindustria, «che ricevono ogni mattina la copia del giornale che hanno portato vicino al disastro», non hanno così potuto leggere – su quelle pagine – il verbale del loro collega De Benedetti. Lo stesso “Corriere della Sera” dedica al caso un semplice colonnino. Ma non è sempre stato così, annota Stefano Feltri: negli archivi del “Corriere” si trovano ampi e completi articoli, per esempio, su quando alcuni familiari di De Benedetti sono stati sanzionati dalla Consob per 3,5 milioni per un insider trading su Cdb Web Tech, all’epoca uno dei veicoli finanziari dell’Ingegnere. Nel libro “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, ripubblicato in allegato a “Repubblica”), Francesco Piccolo racconta la storia di una conversione politica, «quella di preferire una sinistra del compromesso, pragmatica e disposta a sporcarsi nella pratica quotidiana del potere rispetto a quella che invece rivendica la superiorità morale, una diversità antropologica, che considera chi vota Berlusconi moralmente disprezzabile». E’ la storia di come Francesco Piccolo ha scelto l’Enrico Berlinguer del compromesso storico al posto di quello della “questione morale” e della diversità comunista. E di come ha accettato di essere italiano, nel bene e nel male, invece che considerarsi sempre diverso, una persona un po’ migliore degli italiani raccontati dalla tv, quelli che votavano prima Democrazia Cristiana e poi Forza Italia.«Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” – continua Feltri – sono stati per quarant’anni gli alfieri e la voce di un’Italia che si riteneva migliore della media, che rivendicava il diritto a fare una gerarchia di valori, a inseguire qualche ideale invece che rassegnarsi al “così fan tutti”, che guardava Silvio Berlusconi e il suo stile di vita e poteva permettersi di criticarlo». Illusioni? «Non esiste una Italia migliore e una peggiore», scrive Stefano Feltri: «Gli uomini, visti da molto vicino, sono tutti uguali», o in ogni caso «nessuno ha titolo di giudicare il suo prossimo». Però, aggiunge Feltri, quell’illusione qualcuno è servita: «Ha dato alla politica (soprattutto alla sinistra), agli elettori e soprattutto ai lettori una tensione etica, ha trasmesso il messaggio che poteva esistere un paese migliore». Un paese «magari un po’ tromboneggiante e moralista, talvolta noioso, spesso più conformista di quello che era disposto ad ammettere, ma migliore». E invece, per citare Francesco Piccolo, Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” hanno realizzato il loro inconfessato e inconfessabile “desiderio di essere come tutti”, quindi non criticabili da nessuno. «Hanno dissipato ogni illusione di alterità. E se sono tutti uguali, allora non c’è differenza tra De Benedetti e Berlusconi, tra Renzi e D’Alema, tra Salvini e Di Maio. Senza illusioni e senza questione morale restano soltanto il cinismo e l’antipolitica», sostiene Feltri. «Quando, dopo le elezioni di marzo, commentatori e politologi vorranno spiegare il tracollo del Pd e l’inspiegabile tenuta del Movimento Cinque Stelle nonostante le mille prove di dilettantismo, sarà bene considerare tra le variabili rilevanti il crepuscolo della galassia Espresso-Repubblica».Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».
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Bankitalia può fabbricare miliardi, voi politici non lo sapete?
«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».Sul cosa fare, scrive Zibordi sul forum “Cobraf” ripreso da “Come Don Chisciotte”, il grillino Di Maio ha dichiarato: «Niente uscita dall’euro». E, nel caso ci fossero dubbi sulla logica, ha detto che il debito pubblico deve scendere di un 40% (rispetto al Pil). I soldi mancanti? Devono venire da 50 miliardi di taglio della spesa pubblica. Berlusconi? Anche lui si dichiara pro-euro, però «non parla di tagli come Di Maio e quindi è più “a sinistra”». Peccato però che, in questo modo, «i 70 o più miliardi per cancellare la Fornero, il “reddito di dignità” e la “flat tax” esistano solo nei suoi discorsi». Quanto a Salvini, «continua a lanciare frecciate contro l’euro, ma finora nelle proposte non parla più di EurExit e si è alleato con chi non ne vuole proprio uscire (e dice che lui, Salvini, ha cambiato idea)». In sostanza: i candidati alle politiche 2018 promettono spese per 100 miliardi, senza però dire come uscire dal sistema degli euro-vincoli. «Dire che li trovate tagliando le spese o reprimendo l’evasione come fa Di Maio – scrive Zibordi – è come dire che quei soldi li porterà la Befana, specie dopo l’esperienza di Monti».Ora che la Bce ha creato 2.400 miliardi dal 2012 e assieme alle altre banche centrali ha creato dal nulla 19.000 miliardi dal 2009, «forse la nozione che si possa creare denaro potrebbe essere spiegata agli elettori italiani». A differenza di altre elezioni, continua Zibordi, stavolte l’italiano medio sta ad ascoltare, se si parla di economia. «All’austerità, l’idea che c’è una quantità fissa di soldi e se ne occorrono da una parte ne devi tagliare dall’altra, sono rimasti a credere solo quelli che sentono Oscar Giannino». I candidati dovrebbero quindi spiegare che, invece, «non ci sono ostacoli pratici a creare 100 miliardi per lo Stato, sia in generale che nello specifico, visto che la Bce e le varie banche centrali nazionali hanno ricomprato 900 miliardi di debito sui mercati mentre i deficit pubblici erano di 200 miliardi». Cioè: negli ultimi anni il debito pubblico sui mercati si riduceva nell’Eurozona di 900 miliardi, e la quota dell’Italia era intorno ai 200 miliardi. Ovunque nel mondo, prosegue Zibordi, «le banche centrali hanno comprato una grossa fetta di debito pubblico facendolo sparire dai mercati». In certi casi anche il 40% del debito è stato ritirato dai mercati, «con il risultato che poi gli interessi non pesano più sullo Stato». Per cui, attenzione: «I miliardi per fare redditi di cittadinanza o pensioni o riduzioni di tasse vengono da qui, da quelli che le banche centrali hanno creato e poi usato per ridurre il debito pubblico». E’ un discorso così difficile da fare, per un politico?«Se prometti 100 miliardi di pensioni, redditi garantiti e tagli di tasse dicendo però che resti dentro i vincoli dell’Eurozona allora sì che vedi facce perplesse e incredule», scrive Zibordi. E perchè il discorso del ritorno alla lira non funziona? «Perchè la gente pensa che i soldi si riducano di valore, che svaluti, e alla fine poi in realtà ci sia meno denaro perchè vale di meno». Non è necessariamente vero: «Bankitalia in questo stesso momento sta stampando euro con cui compra Btp e lo ha fatto ormai per 300 miliardi di Btp senza conseguenze negative. Di questi 300 miliardi ne servono 100 miliardi per ridurre tasse e altre cose. Bankitalia e la Bce “stampano” miliardi e questo va bene, ma li usano solo per togliere il debito dai mercati, renderlo inoffensivo. E’ un ottima cosa, andrebbe fatto sempre nei prossimi anni fino a quando il debito pubblico sparisce quasi tutto dai mercati. Ma una frazione di questi soldi va anche girata alle famiglie e imprese. Nell’insieme, Bce e Bankitalia hanno ora 400 miliardi circa di titoli di Stato italiani, per cui ci si può permettere di darne 100 miliardi indietro al pubblico italiano». Bisogna però che i leader politici lo dichiarino, cioè dicano che la posizione dell’Italia, del prossimo governo italiano, è che il debito pubblico comprato da Bankitalia stampando centinaia di miliardi di euro vada sottratto dal totale.«Dato quindi che si sta già stampando denaro da parte della banca centrale, che opera per conto dello Stato, bisogna riconoscerlo e dire che non possono essere solo investitori e speculatori finanziari a beneficiarne». Il prossimo governo italiano, continua Zibordi, deve dire che ora tocca a lui creare anche solo una frazione di questi miliardi a beneficio di imprese e lavoratori italiani. Come? Ci sono diverse soluzioni: emissione di crediti fiscali, Btp fiscali, criptovalute. «Sono mezzi di pagamento per le tasse, cioè i crediti fiscali o Btp Fiscali o gli ItCoin: lo Stato li accetta per le tasse, ma non li impone per legge come moneta, altrimenti violerebbe i trattati per i quali solo l’euro è moneta legale». Bankitalia non è d’accordo? Ovvio: «E’ costretta dal suo ruolo istituzionale a mentire, o comunque a dire qualcosa di fuorviante, perché deve difendere il suo potere di creare miliardi dal nulla e impedire allo Stato di fare altrettanto». Ma la verità è che proprio la Banca d’Italia «può creare 300 o anche 600 miliardi senza vincoli, e lo Stato deve chiedere il permesso di spenderne 3 per delle emergenze». Tutto merito dell’euro. «Lo Stato italiano deve tornare a fare quello che per 30 anni ha delegato alla banca centrale, con i risultati di depressione economica, crollo demografico e milioni di sottoccupati e disoccupati», conclude Zibordi. Per farlo non c’è bisogno di tornare prima alla lira: basta denunciare «il bluff delle banche centrali, che creano migliaia di miliardi e predicano agli Stati l’austerità perchè “non ci sono i soldi”».«Alla fine Salvini, quando parla di economia, passerà il suo tempo a spiegare perché sarebbe per uscire dall’euro anche se non lo mette nel programma e anche se si allea con chi è contrario», afferma Giovanni Zibordi. Berlusconi è inaffidabile, ma qui c’è un problema vero. Scrive il Cavaliere, su Twitter: «Salvini ha da tempo cambiato posizione e non ha più l’idea di uscire dall’euro, sa che è tecnicamente impossibile e comunnque insostenibile per l’economia italiana». E sia Salvini che Berlusconi e Di Maio, aggiunge Zibordi, passeranno il loro tempo a spiegare «come possano trovare circa 100 miliardi per le loro proposte di aumenti di pensioni e sussidi a milioni di persone». La campagna elettorale è partita e chi vuole sostituire Renzi propone: reddito di cittadinanza per 4,5 o 10 milioni di persone, a seconda della versione, oppure reddito “di dignità” (simile, ma non ancora bene specificato) più abolizione della legge Fornero. Le stime per queste due cose vanno dai 50 ai 100 miliardi. Inoltre il centrodestra propone la “flat tax” che è stimata intorno ai 30 miliardi. «Il pubblico italiano è stufo di austerità, ma anche senza aver studiato intuisce che si parla di cifre complessive grosse e non capisce come vengano fuori con i “vincoli di bilancio” dell’Eurozona che i giornali e telegiornali ripetono come i muezzin il Ramadan».
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Magaldi: elezioni-farsa, poi finalmente toccherà agli italiani
Preparatevi all’ultima farsa dei morti viventi: fingono di candidarsi per governare il paese, ben sapendo che non ci proveranno neppure, perché occuparsi dell’Italia significa sfidare Bruxelles. Il loro unico obiettivo? Tentare di salvare la poltrona, col terrore di non riuscirci: la coperta delle larghe intese è troppo stretta, in tanti resteranno al freddo e fatalmente daranno filo da torcere al governicchio che Mattarella proverà comunque a mettere in pista, per tirare a campare ancora un po’. Tradotto: «Queste elezioni saranno senza vincitori e daranno vita a un esecutivo dal respiro corto, un ectoplasma come il governo Letta o quello di Gentiloni». Dopodiché, tempo scaduto: sarà la fine, per questi partiti che oggi promettono di avere ancora un futuro davanti a sé. «E lo sanno, che è l’ultima fermata», perché poi finiranno i residui scampoli di illusione, dalla chimera Renzi al surreale Berlusconi. Tutti a casa, e palla al centro: toccherà finalmente agli italiani, dopo tanto tempo. Ne è convinto Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, osservatore ravvicinato della politica nazionale ed europea. Pronostico: la crisi, sempre più feroce, indurrà la popolazione a scendere in campo direttamente, occupandosi del proprio destino. Obiettivo: un cambio radicale di paradigma. Giù le tasse, fine dell’austerity, stop ai trattati-capestro dell’Ue, recupero della sovranità finanziaria nazionale.Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi offre una visione precisa dello scenario che si va preparando. «Punto primo: nessuno dei tre blocchi vincerà le elezioni, nessuno sfonderà e nemmeno crollerà». In altre parole, si prefigura la peggiore delle prospettive possibili: «Il centrodestra si illude fare mirabilie sull’onda del voto siciliano ma resterà deluso, così come Salvini e la Meloni che, in ossequio all’alleanza elettorale con Berlusconi, si scoprono ogni giorno più moderati». Più in calo il clan renziano del Pd, che però non è ancora pronto a rottamare il leader, «anche solo per una questione di poltrone da mantenere». I 5 Stelle? «E’ vero che molti militanti sono delusi dalle perfomance dei dirigenti, ma intanto sono curiosi di vedere come se la caverà di Maio, che comunque in nessun caso sarà premier». Governo tecnico? Giammai: «Gli italiani si sono “vaccinati” con Monti, hanno imparato che i tecnocrati di quel calibro sono ancora meno trasparenti dei politici: obbediscono a interessi inconfessabili. E Mattarella, che magari non brilla di molte virtù, non ha però la protervia di Napolitano: incaricherà una figura incolore, destinata a durare poco».Nel frattempo, si augura Magaldi, gli italiani apriranno gli occhi: «Per anni hanno votato politici che baravano sistematicamente: si candidavano a rimettere in piedi il paese, sapendo benissimo che invece non avrebbero contato nulla, di fronte ai poteri forti internazionali». Lo stesso Renzi si è limitato a fingere di fare le riforme che Berlusconi aveva solo promesso per vent’anni, e i 5 Stelle vanno alle elezioni senza un programma di governo per l’Italia. Poi ci sono i cespugli, più o meno imbarazzanti, come “Liberi e Uguali”, con Pietro Grasso «intronato da quattro amici al bar». E la Bonino, che ottiene il simbolo da Tabacci per evitare di raccogliere le firme per candidarsi? «Stupisce un simile gesto da una radicale: se fatta bene, proprio la raccolta firme è un’occasione per fare campagna elettorale in modo democratico, presentandosi ai cittadini». Tutti a casa? L’astensionismo sarà alto, le premesse ci sono tutte: nessuno dei concorrenti ha idee spendibili per risollevare le sorti del paese. «Ma restare a guardare non è una soluzione», sostiene Magaldi, che sta lavorando per la nascita di un nuovo soggetto politico, il Pdp (Partito Democratico Progressista), con una prospettiva rivoluzionaria: respingere il paradigma neoliberista del rigore.Finita la farsa elettorale del 4 marzo, dice, sotto la spinta dell’inesorabile crisi economica gli elettori smetteranno di regalare deleghe in bianco a partiti nei quali non hanno più alcuna fiducia. «Si sta avvicinando la fine di un ciclo, questo è certo: niente sarà più come prima. Dopo le elezioni 2018, tutti si accorgeranno che nessuno dei candidati ha gli strumenti per rappresentare degnamente l’Italia, affrontando la crisi in modo adeguato». Gli italiani? «Toccherà a loro decidere: se restare a casa ancora una volta, o partecipare direttamente alla costruzione di un futuro diverso, diametralmente opposto a quello sin qui confezionato dal finto centrosinistra e dal finto centrodestra, entrambi asserviti alle logiche sovranazionali, supermassoniche, che hanno orientato l’Unione Europea: un apparato burocratico “matrigno”, manovrato esclusiamente da interessi privati, industriali e finanziari». Nessuno lo dice apertamente, certo: anche per questo, il voto del 4 marzo sarà davvero una farsa. L’ennesima, l’ultima. Poi, dice Magaldi, qualcosa dovrà per forza succedere: questo paese, prima o poi, dovrà svegliarsi.Preparatevi all’ultima farsa dei morti viventi: fingono di candidarsi per governare il paese, ben sapendo che non ci proveranno neppure, perché occuparsi seriamente dell’Italia significa sfidare Bruxelles. Il loro unico obiettivo? Tentare di salvare la poltrona, col terrore di non riuscirci: la coperta delle larghe intese sarà troppo stretta, in tanti resteranno al freddo e fatalmente daranno filo da torcere all’inciucio, al governicchio che Mattarella proverà comunque a mettere in pista, per tirare a campare ancora un po’. Tradotto: «Queste elezioni saranno senza vincitori e daranno vita a un esecutivo dal respiro corto, un ectoplasma come il governo Letta o quello di Gentiloni». Dopodiché, tempo scaduto: sarà la fine, per questi partiti che oggi promettono di avere ancora un futuro davanti a sé. «E lo sanno, che è l’ultima fermata», perché poi finiranno i residui scampoli di illusione, dalla chimera Renzi al surreale Berlusconi. Tutti a casa, e palla al centro: toccherà finalmente agli italiani, dopo tanto tempo. Ne è convinto Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, osservatore ravvicinato della politica nazionale ed europea. Pronostico: la crisi, sempre più feroce, indurrà la popolazione a scendere in campo direttamente, occupandosi del proprio destino. Obiettivo: un cambio radicale di paradigma. Giù le tasse, fine dell’austerity, stop ai trattati-capestro dell’Ue, recupero della sovranità finanziaria nazionale.
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Voto inutile? Non per sempre: gli italiani sono in sciopero
Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena terrorizzato milioni di famiglie, migliaia di scuole e centinaia di Asl con la valanga di vaccinazioni appena imposte, senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?Negli ultimi mesi, è diventato rovinosamente evidente il ruolo di “gatekeeper” del Movimento 5 Stelle, in un certo senso rivendicato dallo stesso Grillo, anni fa: non ci fossimo noi, ci sarebbero le barricate in strada. Finora, dai 5 Stelle, non una parola sulle guerre Nato che minacciano la sicurezza strategica italiana, a cominciare dalle tensioni con la Russia (già costate miliardi, al made in Italy, in termini di mancato export dopo le sanzioni inflitte a Mosca). Soprattutto, i grillini non hanno ancora formulato una ricetta per il problema numero uno, la drammatica crisi economica. Insistono nel proporre un “reddito di cittadinanza”, cioè la paghetta per la rassegnazione definitiva al peggio, pagata peraltro facendo solo la cresta agli “sprechi”. L’Europa “matrigna”? Grillo ha tentato di smarcarsi da Farage, a Strasburgo, per approdare tra gli ultra-europeisti dell’Alde, vicini a Monti, l’uomo del rigore. L’euro? Peggio che andar di notte: quando ormai tutti gli economisti del mondo spiegano che la moneta unica è una trappola mortale per l’Italia, la pentastellata Laura Castelli confessa, in televisione, che a un eventuale referendum sull’euro non saprebbe come votare.Di fronte a questo tipo di offerta, è facile intuire che l’oceano dell’astensionismo crescerà ancora – ma secondo Aldo Giannuli si illudono, Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa, se sperano di far breccia nel non-voto con una proposta last minute: «Ammesso che riescano a presentare le liste, c’è il rischio che non raggiungano neppure l’1%». Realisticamente, numeri alla mano, lo spettacolo che ci attende non è allegro: l’ennesimo “inciucio” tra Renzi e Berlusconi o un’alleanza tattica tra D’Alema e Di Maio, che si sta accreditando come un possibile premier rassicurante per i poteri forti, uno che si guarderà bene dal cambiare qualcosa. In entrambi i casi, molti analisti ritengono che le urne produrrano un esecutivo zoppo, di breve durata. Motivi di consolazione? Uno, forse: i milioni di italiani che, magari a torto, nel 2013 presero per buona la freschezza dei 5 Stelle, mandando in tilt l’establishment politico. Poi il seguito è cronaca, a cominciare dalla commedia romana della Raggi. Ma quei voti-contro, espressi ormai quasi cinque anni fa, restano un monito, sommati al gesto dei milioni di italiani che hanno disertato le urne per protesta e sfiducia. Uno su due ha smesso di votare; degli altri, e quasi uno su tre voterà 5 Stelle, illudendosi che serva a qualcosa. Tradotto: in larga maggioranza, l’Italia ha già bocciato questa politica. Prima ancora delle elezioni.Sempre sicuri che un terzo dell’umanità si starebbe risvegliando dal letargo, come scrive l’analista geopolitico Fausto Carotenuto? L’Italia è il paese in cui ha il coraggio di ripresentarsi alle elezioni Beatrice Lorenzin, addirittura alla guida di una coalizione centrista, non paga di aver appena mandato nel panico milioni di famiglie, insieme alle scuole e alle Asl, con la valanga di vaccinazioni imposte senza l’ombra di un’emergenza sanitaria in atto. Tutti i sondaggi in vista delle politiche 2018 danno i 5 Stelle come primo partito, verso il 30%, ma il centrodestra in lievissimo vantaggio, sommando i voti dell’intramontabile Berlusconi a quelli (in calo) della Lega di Salvini, fatalmente annacquatasi nell’alleanza col Cavaliere, fattosi conciliante con Bruxelles. Dopo la grana Boschi-Etruria, lo stesso Renzi appare in discesa libera, addirittura al 22,8% secondo Ixè, anche per colpa dell’altra fenomenale novità del prossimo 4 marzo, il cartello “Liberi e Uguali” capitanato da due new entry della politica italiana come D’Alema e Bersani, alle spalle degli entusiasmanti Grasso & Boldrini. E’ tutto qui il presunto risveglio degli italiani? Nient’altro, in vista, per gli elettori stufi di farsi prendere in giro da politici che in realtà si limitano da decenni a obbedire a diktat stranieri, soprattutto finanziari?
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Della Luna: tengono in vita l’Italia solo per finire di svuotarla
Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.E perché stupirsi? La legalità è l’interesse più diffuso, dunque il più disperso, il più debole, quindi il più perdente. E’ un interesse impotente a difendere se stesso. Il popolo è bue perché è popolo, non per altra ragione. Per contro, gli interessi concentrati, dei pochi contro i molti, soprattutto se illeciti e nascosti, sono anche poteri forti, e hanno buon gioco a comprare chi gli serve e a mettere nei posti giusti i loro fiduciari. Gli esponenti del regime italiano vantano oggi una ripresa economica, sia pur da fanalino di coda, ma non dicono che le previsioni per i prossimi 25 anni mostrano il sistema-paese Italia in costante perdita di produttività-competitività rispetto agli altri paesi comunitari e Ocse. Il che comporta che, per competere sui costi di produzione, si dovrà continuare a tagliare i salari reali, i diritti dei lavoratori, le pensioni, gli investimenti, e che in prospettiva l’Italia è spacciata, perché già da 25 anni sta perdendo in produttività comparata, e 50 anni così implicano che il paese non è più vitale. Spacciata, anche perché il governo deve perseguire una politica di saldi primari attivi (cioè togliere con le tasse dalla società più denaro di quanto riversa in essa, nonostante che la società sia in grave carenza di denaro).Altro che virtuosità, risanamento, ripresa: tutto deve andare ai banchieri che prestano i soldi, compresa la proprietà delle aziende. Senza investimenti strategici non vi è recupero di produttività, non vi è fine del declino. Ciò accelererà la fuga di capitali, imprenditori, lavoratori qualificati e cervelli. Questo destino fallimentare è connaturato all’Italia unitaria, a questo Stato voluto e creato dall’estero per servire ed essere sfruttato da potenze straniere, come spiegato in precedenti articoli. Uno Stato sbagliato per composizione, che è stata fatta accozzando nazioni preunitarie troppo diverse tra loro e che perciò non hanno mai legato ma hanno generato una governance parassitaria e incompetente, che sa solo arricchirsi rubando sui trasferimenti dalle aree efficienti a quelle inefficienti, e in generale sulle risorse pubbliche e private. Uno Stato vassallo, in cui la politica è decisa dall’estero e alla classe politica interna, come unico spazio di azione, rimane la competizione-lottizzazione nel saccheggio del cittadino e della spesa pubblica. Non potendo procurarsi consensi con le buone politiche nell’interesse nazionale, i nostri politicanti se li procurano distribuendo privilegi clientelari. Questo è il modo di produzione della legittimazione elettorale in Italia.I potentati stranieri dominanti sostengono e legittimano quelle forze politiche e burocratiche italiane che meglio servono i loro interessi a spese degli italiani (fino a mandare eserciti italiani a combattere servilmente guerre americane e francesi contro gli interessi italiani), consentendo loro in cambio di continuare i loro traffici con piccole banche, appalti truccati. E’ grazie a siffatti rapporti con la partitocrazia e la burocrazia italiane che potentati stranieri hanno acquisito il controllo di (quasi) tutte le imprese di punta e strategiche italiane, nonché della Banca d’Italia e del sistema creditizio. E’ così che il governo ha regolarmente sottoscritto, sotto ricatto di rating, contratti finanziari scientemente rovinosi a vantaggio delle controparti dominanti come Morgan Stanley, con perdite per decine di miliardi – vedasi il commento dell’onorevolele Brunetta all’audizione della dottoressa Cannata in commissione banche, audizione che si è cercato di mettere in ombra col polverone sulle dichiarazioni del presidente di Consob Giuseppe Vegas alla medesima commissione sul caso Etruria-Boschi, tacendo sul ministro e sugli alti dirigenti del Tesoro che sono poi passati a Morgan Stanley.Un simile Stato, come apparato, non può vivere se non attraverso una corruzione sistemica, quindi intessuta nelle istituzioni anche di controllo (le campagne di lotta contro la corruzione, ovviamente, sono una presa per i fondelli). I suoi partiti politici sono galassie di comitati di affari dediti ad operazioni illecite o quantomeno scorrette. Le rispettive segreterie fanno da organo di coordinamento tra tali comitati, e di ricezione delle richieste di interessi stranieri (talvolta anche nazionali) dominanti. Che forza avrebbero i partiti di potere se non gestissero (clientelarmente) appalti, crediti, assunzioni, licenze? Nessuna. I partiti che si staccano da quelli di potere per perseguire ideali sociali e di giustizia, sistematicamente, si spengono; non sono vitali, sebbene abbiano talora ottime idee e grande onestà, proprio perché non si portano dietro alcuna fetta di spesa pubblica, alcuna risorsa clientelare. Laddove vi sono seri interessi in gioco, le leggi, anche dagli organi di controllo e giustizia, sono osservate solo marginalmente, soprattutto per mantenere una minima facciata di legittimità agli occhi della gente comune.In realtà, vi è una netta divisione tra chi è soggetto alla legge e chi sta sopra di essa e la usa sugli altri per schiacciarli e spremerli. Il potere pubblico è inteso come proprietà privata, come diritto di passare sopra le regole e di togliere diritti agli altri, cioè di derogare alla legalità. Adesso, in campagna elettorale, è inevitabile che i partiti millantino, ciascuno, di avere la capacità e la volontà di salvare il paese e di combattere la corruzione. Lo afferma quella (pseudo) sinistra che è stata l’esecutore più attivo e fedele degli interessi stranieri, che più ha collaborato nel sottomettere ad essi tutto il paese, nello spremerlo per arricchire gli squali della finanza predona, nel sabotare l’economia e l’ordine pubblico, nell’imporre un pensiero e un linguaggio unico che impedissero persino di descrivere ciò che essa stava e sta perpetrando. Poi abbiamo un Berlusconi, proprietario del principale partito del centrodestra, che ha sempre usato i voti di chi gli dava fiducia per sostenere la linea della (pseudo) sinistra e della Germania, persino il rovinoso governo Monti, al fine di difendere i propri interessi aziendali e processuali – un Berlusconi da sempre condizionabile mediante attacchi giudiziari che scattano quando serve.Abbiamo una Lega con analisi e propositi condivisibili, la quale un tempo era indipendentista e ora non lo è più, almeno nelle dichiarazioni, e si propone come tutrice degli interessi nazionali pan-italiani entro un’Ue e un euro in cui vuole rimanere. Purtroppo, sino ad ora, su scala nazionale, la Lega ha realizzato niente o quasi dei suoi programmi, pur essendo stata a lungo al governo. Abbiamo infine una M5S che conta numerosi esponenti validi, coraggiosi e liberamente agenti, ma i cui titolari – quelli che enunciano che “uno vale uno” – non si sa che mete abbiano e che interessi incarnino, anche se appaiono significativi legami con gli Usa. Abbiamo infine una nuova, furbesca legge elettorale, che lascia nelle mani delle segreterie (negandole agli elettori) non solo la scelta dei parlamentari, ma anche la decisione sul nuovo governo: una legge tipicamente partitocratica. No, signori miei, non illudetevi: il processo di disfacimento e la parassitosi maligna interna ed esterna continueranno più saldamente che mai, con la Bce che sosterrà il debito pubblico, differendo il collasso, per consentire di portare a compimento il piano di trasferimento delle risorse del paese. Niente cambierà con le prossime elezioni. L’unico cambiamento possibile e concreto lo realizza chi emigra.(Marco Della Luna, Il Re è nudo ma niente succede, dal blog di Della Luna del 17 dicembre 2017).Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.
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Fiscal Horror, Cremaschi: tagliola sull’Italia, la politica tace
Nella complice e colpevole disattenzione dei palazzi della politica, in questi giorni a Bruxelles si decide del futuro del nostro paese. L’Italia è il paese Ue con il più alto numero assoluto di poveri, quasi 11 milioni. Proprio mentre emerge questo nostro record mostruoso, il governo Gentiloni decide di aderire al nuovo accordo europeo sul Fiscal Compact. C’è un rapporto tra i due fatti? Certamente, il secondo aggraverà il primo, il record di poveri non ce lo toglierà più nessuno. In questi dieci anni di crisi i poveri sono triplicati, e questo perché il lavoro e la vita stesse delle persone sono stati sacrificati al rigore di bilancio. Rigore feroce, nonostante che le fake news del regime propagandino l’idea di una spesa pubblica troppo generosa verso i cittadini. In realtà il bilancio pubblico è in attivo da più di venti anni, cioè ogni anno i cittadini versano in tasse allo Stato più di quanto ricevano in servizi e prestazioni. Il deficit della spesa pubblica deriva da una sola voce: gli interessi sul debito che si pagano alle banche. Essi ammontano a quasi 80 miliardi all’anno. Lo Stato ne copre circa 50 con i soldi dei cittadini, in particolare lavoratori, pensionati, ceti medi. Il resto sono deficit e manovre, che portano via altre risorse ai servizi pubblici.Se proiettiamo questo conto su un ventennio, alla spesa pubblica necessaria per fare dell’Italia un paese un poco più civile sono mancati circa 1000 miliardi. Mentre il debito è comunque aumentato di diverse centinaia di miliardi. Per la precisione dal giugno 2011, da quando il presidente Giorgio Napolitano reclamò lacrime e sangue per ridurre il debito pubblico, quest’ultimo è aumentato di circa 300 miliardi. I cittadini pagano sempre di più per avere sempre meno, ma il debito cresce. E non per colpa dei furbetti del cartellino o dei pensionati, come invece fa credere la propaganda di regime. Tutto questo avviene a causa dell’usura bancaria sullo Stato, divenuta legge con la fine del controllo pubblico sulla moneta. Lo Stato italiano dal 1981 non può stampare moneta per finanziarsi, ma deve chiedere prestiti alle banche. Poi dal 1992, con il Trattato di Maastricht e poi con l’euro, lo Stato italiano ha persino dovuto cancellare la sua sovranità su come e quanto indebitarsi. Sono i vincoli europei a imporre le decisioni.Così siamo arrivati ad avere cittadini che pagano sempre di più, uno Stato che dà sempre meno, un debito che cresce. Tutto in funzione dei profitti delle banche e della finanza internazionale, che grazie alla usura sul debito fanno shopping delle risorse del paese. Ora il Fiscal Compact renderà questo meccanismo ancora più feroce ed insopportabile. Questo accordo europeo, imposto dalla Germania nel 2012, infatti non solo obbliga al pareggio di bilancio, che vergognosamente Pd, Forza Italia e satelliti hanno addirittura inserito nell’articolo 81 della Costituzione. Il Fiscal Compact va oltre questa misura socialmente criminale e impone non solo la stabilizzazione del debito, ma la sua riduzione in venti anni al 60% del Pil. Per l’Italia che attualmente è al 133%, significa più che dimezzare. Dunque oltre a quelli per pagare gli interessi, dovremmo ogni anno trovare altri 40-50 miliardi per ridurre l’ammontare del debito. In totale ogni anno dovremmo fare finanziarie da 120 miliardi, come per un paese in guerra.Questa follia è sembrata esagerata persino ai burocrati di Bruxelles, che hanno capito che se la si imponeva troppo rigidamente, sarebbe saltata. Così in questi giorni tutti i governi della Ue hanno deciso di far slittare il Fiscal Compact, che avrebbe dovuto scattare già l’anno prossimo, al 2019. Inoltre questo patto non dovrebbe più essere inserito nei grandi trattati costituenti la Ue, ma diventare una direttiva. Questo fa dire a Gentiloni che l’Italia ha ottenuto un successo. Balle, se non è zuppa è pan bagnato. Anche l’usuraio a volte allenta il cappio sulla vittima, quando vede che non ce la può più fare. Preferisce rinunciare a qualcosa, ma mantenere il guadagno sicuro e tenere sempre la vittima a propria disposizione. Il Fiscal Compact sarà meno rigido, ma per questo ancora più micidiale e ridurrà l’Italia a condizioni uguali o persino peggiori della Grecia. Tutto sarà privatizzato, tutto sarà in vendita. E la democrazia sarà completa finzione, perché un superministro del tesoro Ue compilerà i nostri bilanci.Intanto però il Fiscal Compact non scatterà con le elezioni, e questo ha permesso a tutte le principali forze politiche di parlare d’altro. Avete per caso sentito Renzi, Di Maio, Berlusconi, Meloni, Grasso e Salvini affrontare davvero la questione? E soprattutto metterla in testa a tutte le altre, visto la sua importanza per i diritti sociali e le vite di tutti? Quale forza politica oggi in Parlamento propone non di sbattere i pugni su qualche inesistente tavolo, ma di disdettare il Fiscal Compact e di riconquistare il controllo sul bilancio pubblico, rompendo con tutti i vincoli dei trattati Ue, cioè rompendo con la Ue? Nessuna, per questo i burocrati di Bruxelles e la Germania hanno allentato il cappio per qualche mese. Sanno che comunque lo tengono ben saldo su chi governa o vuole governare. Solo la rottura coi vincoli Ue e con le complicità con essi può dare un futuro al paese.(Giorgio Cremaschi, “Gli usurai europei del Fiscal Compact e i loro complici”, da “Micromega” del 14 dicembre 2017).Nella complice e colpevole disattenzione dei palazzi della politica, in questi giorni a Bruxelles si decide del futuro del nostro paese. L’Italia è il paese Ue con il più alto numero assoluto di poveri, quasi 11 milioni. Proprio mentre emerge questo nostro record mostruoso, il governo Gentiloni decide di aderire al nuovo accordo europeo sul Fiscal Compact. C’è un rapporto tra i due fatti? Certamente, il secondo aggraverà il primo, il record di poveri non ce lo toglierà più nessuno. In questi dieci anni di crisi i poveri sono triplicati, e questo perché il lavoro e la vita stesse delle persone sono stati sacrificati al rigore di bilancio. Rigore feroce, nonostante che le fake news del regime propagandino l’idea di una spesa pubblica troppo generosa verso i cittadini. In realtà il bilancio pubblico è in attivo da più di venti anni, cioè ogni anno i cittadini versano in tasse allo Stato più di quanto ricevano in servizi e prestazioni. Il deficit della spesa pubblica deriva da una sola voce: gli interessi sul debito che si pagano alle banche. Essi ammontano a quasi 80 miliardi all’anno. Lo Stato ne copre circa 50 con i soldi dei cittadini, in particolare lavoratori, pensionati, ceti medi. Il resto sono deficit e manovre, che portano via altre risorse ai servizi pubblici.
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Il subcomandante Di Maio sfida l’Europa con Grasso e il Pd
Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».Se Renzi ottenesse un risultato deludente, «ad esempio intorno al 20% dei voti o addirittura meno (e non è da escludere) l’agguato di una resa dei conti interna è dietro l’angolo», scrive Becchi su “Libero”, in un’analisi firmata insieme a Giuseppe Palma e ripresa da “Scenari Economici”. Il possibile esito della catastrofe renziana: «Dimissioni da segretario e, al suo posto, una figura Caronte che traghetti il partito verso nuove primarie e un nuovo congresso. A quel punto, tolto di mezzo Renzi, l’accordo tra M5S e Pd è presto fatto». Anche in questo caso, secondo Becchi e Palma, basterà puntare su tecnici “di area”, per un governo «formalmente guidato dal M5S, ma in realtà dalla vecchia sinistra: una maggioranza parlamentare che va da Di Maio a Grasso, passando da Orlando, Finocchiaro e Franceschini, con il godimento massimo di Massimo D’Alema e di Bersani». Insomma, un’alternativa alla coalizione del centrodestra c’è, e proprio Di Maio «la sta abilmente costruendo». La verifica della sua tenuta? «E’ già sperimentata: a questo – e solo a questo – serviva la legge sul testamento biologico», che ha allineato in anticipo i voti trasversali che domani, secondo i due analisti, potrebbero sorreggere il governo Di Maio.Quanto al programma dell’eventuale esecutivo “arcobaleno”, è meglio non farsi illusioni. «Se dovessimo arrivare al referendum sull’uscita dall’euro, che per me è l’extrema ratio, è chiaro che sarei per l’uscita», dice Di Maio a “La7”, «perché vorrebbe dire che l’Europa non ci avrebbe ascoltato su nulla». Ma prima, aggiunge, «proverei a ottenere risultati andando in Europa». Se Di Maio scherza, Renzi non ride alle sue barzellette. Mette in discussione il tabù dell’euro? «Sarebbe una follia per l’economia italiana», replica l’ex premier, il mancato salvatore dell’Italia. Questa la sua visione: «Immaginate cosa accadrebbe al nostro export, e ai lavoratori delle aziende interessate, se al governo ci fosse chi vuole uscire dall’euro come Salvini o Di Maio: chi pagherebbe il conto?». E’ vero, si corregge Di Maio: non dicevo sul serio. «L’obbiettivo di governo del M5S non è assolutamente l’uscita dall’euro», chiarisce il grillino, su Facebook. La vera missione è «rendere la permanenza del nostro paese nella moneta unica una posizione conveniente per l’Italia». Perfetto, e come?Di Maio spiega che porterà in Europa un «pacchetto di proposte», essendo, beato lui, «fiducioso nella strada del dialogo con le istituzioni europee». Poi però minaccia: «Se l’Europa sarà rimasta sorda a tutte le nostre richieste, non sacrificheremo la ricchezza e il benessere degli italiani sull’altare dell’euro». Ma non lo sa, il subcomandante Di Maio, che i buoi sono giù fuggiti dalla stalla, mentre i 5 Stelle dormivano e a Strasburgo cercavano addirittura di traslocare tra i super-euristi dell’Alde, in compagnia di Mario Monti? Evidentemente, i candidati alle politiche 2018 sanno di potersi permettere di tutto, convinti che gli italiani ci cascheranno ancora. Magari votando per frontman anziani, o giovanissimi già decrepiti, che pensano di mandare Massimo D’Alema a sbattere i pugni sui tavoli di Bruxelles. Un programma veramente credibile, rivoluzionario. Difatti, il vero potere ostile all’Italia – da Wall Street a Bruxelles – sta già tremando, all’idea di doversela vedere con Di Maio e Bersani, Grasso e Franceschini. Un altro lottatore, Stefano Fassina, avverte: «Sull’euro il referendum consultivo è impraticabile per evidenti ragioni pratiche: la fuga di capitali dall’Italia e l’impennata degli spread sui titoli di Stato al solo annuncio di volerlo celebrare».Di Maio vaneggia sull’euro e comincia a ventilare possibili alleanze post-elettorali? Fa parte di un piano, sostiene l’ex grillino Paolo Becchi: l’obiettivo è conquistare Palazzo Chigi con l’appoggio di D’Alema, Bersani e Grasso, più eventuali spezzoni del Pd, nel caso il partito di Renzi andasse incontro a una disfatta, scaricando il segretario. Come arrivare alla guida del futuro esecutivo? «È molto semplice: proponendo per il governo guidato da Di Maio nomi di tecnici per i vari ministeri, in realtà però “tecnici di area”». Di quale area? «Una di queste aree riguarda l’intesa di massima con “Liberi e Uguali”, il nuovo partito di Bersani e D’Alema guidato da Piero Grasso (messo lì al Senato con i voti di Grillo, nonostante l’incazzatura di Casaleggio)». Al momento il nuovo cartello ex-Pd è dato nei sondaggi intorno al 7%, ma in campagna elettorale potrebbe crescere fino al 10%. «In termini di seggi non sarebbero tanti, anche perché potrebbe vincere in pochi collegi uninominali; ma una quarantina di scranni a Montecitorio e una ventina a Palazzo Madama, scaturenti quasi tutti dai collegi plurinominali, dovrebbe ottenerli. Sommando a quel punto i seggi del M5S con quelli di “Liberi e Uguali”, la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe però ancora lontana. Ma non per questo irraggiungibile: a spuntare in soccorso arriverebbe il Pd».