Archivio del Tag ‘lavoro’
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Europee, contro il Pd di Renzi l’unico vero “voto utile”
La confusione è grande, perché non esiste un piano-B sufficientemente chiaro: non c’è ancora un possibile governo per l’alternativa, a cominciare dall’economia. Rispetto alle politiche 2013, però, la situazione si è molto chiarita: la crisi sta devastando famiglie e imprese, e la protesta contro Bruxelles ormai dilaga in tutta Europa, da Londra a Parigi. Si improvvisano liste no-euro per cogliere il vento favorevole, mentre sul fronte opposto fioccano scongiuri: ma sono motivati dalla scarsa credibilità attribuita a molte espressioni no-euro, piuttosto che da una reale convinzione nelle virtù della moneta unica, il cui fallimento disastroso è ormai sotto gli occhi di tutti. I critici più coerenti, sulle barricate da anni contro l’anomalo regime monetario di Francoforte, unico al mondo, invitano a non considerare affatto un fallimento quello dell’euro, bensì il perfetto compimento – col massimo profitto possibile – del piano oligarchico di cui l’euro sarebbe il braccio armato: ridurre gli Stati all’impotenza e preparare la loro resa definitiva alle ragioni del più forte, cioè il capitalismo globalizzato che oggi si rifugia nella speculazione finanziaria e nella razzia ai danni dello Stato, non potendo più ricorrere, come prima, al consueto saccheggio del colonialismo industriale a spese del terzo mondo.La situazione geopolitica si va facendo esplosiva, con gli Stati Uniti che accerchiano la Cina nel Pacifico e intanto in Ucraina logorano il più importante alleato dei cinesi, la Russia, con la piena collaborazione di un’Europa-fantasma, domani al guinzaglio anche sul piano commerciale grazie al varo del Trattato Transatlantico, che minaccia di porre fine alla storica sovranità giuridica europea in materia di libero scambio, agricoltura, energia, salute, lavoro, pensioni, sicurezza alimentare. Nell’offerta elettorale italiana, per molti aspetti sconcertante, uno spettro variegato di forze – da destra a sinistra – denuncia perlomeno alcuni aspetti della crisi. Una sola, il Pd, procede invece a rullo compressore verso un regime di devastante pericolosità. Jobs Act e precariato obbligatorio, abolizione del Senato, legge elettorale liberticida: secondo i maggiori giuristi è a rischio la sopravvivenza stessa della democrazia, o di quel che ne rimane, grazie soprattutto al soggetto politico prescelto per tenere l’Italia in stato di sofferenza, sprofondando il paese in una depressione irreversibile. Se una vera soluzione non c’è ancora, milioni di elettori andranno alle urne il 25 maggio con in testa un’idea precisa: la convizione che ogni voto contro il Pd di Renzi sia un voto utile.Fermare il Bugiardo di Firenze, in qualunque modo. Per milioni di elettori, molestati dal debordante presenzialismo televisivo del premier, è la vera missione del voto del 25 maggio. Vale tutto: qualsiasi lista – da Tsipras a Fratelli d’Italia – può servire a sbarrare la strada a quello che la maggioranza relativa degli italiani ormai considera il pericolo numero uno per il paese, il Pd, percepito come il partito di gran lunga più compromesso coi “nemici” storici dell’Italia. Partito che ora, con Renzi, si appresta a sfrerrare il colpo di grazia di fronte al quale Berlusconi e persino Monti avevano esitato. Vecchia, triste regola degli ultimi decenni: il super-potere sceglie la sinistra (intesa come partiti) per colpire a fondo i ceti popolari. Così Prodi, D’Alema e Amato introdussero privatizzazioni, tagli e flessibilità, producendo sofferenze e precariato. Oggi, il partito del super-potere euroatlantico teme l’antagonista Grillo, e gli oppone il giovane Matteo. Obiettivo: fingere di innovare il paese e in realtà smantellare quel che resta dello Stato, a beneficio del grande capitale finanziario che si appresta a banchettare su pensioni e sanità, scuola, servizi vitali, acqua potabile, trasporti.
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Ragazzi, eravamo ricchissimi. E vi hanno rubato tutto
Questo è per voi, il giovane, la giovane, italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… VOLTATO INDIETRO voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.Poi cosa si vede? Si vede che i vostri nonni, padri e madri HANNO FATTO I COMPITI A CASA hanno fatto i compiti a casa. Dopo 35 anni dai cumuli di macerie, e dai mandarini solo due volte all’anno in tavola, l’Italia diventa la quinta potenza mondiale, il primo paese al mondo per risparmio privato e per ricchezza privata pro-capite. Scese Cristo e moltiplicò i pesci? No, no. Tuo nonno e tuo padre fecero i compiti a casa. E arriviamo al 1994, quando le agenzie di rating ci definivano “Economia leader d’Europa”, quando stracciavamo la Germania sia in produzione che export. Ricchi, ricchissimi. E arrivate voi. I giovani italiani si presentano dal Notaio dopo il 1994 per reclamare LA GIUSTA EREDITA’ la giusta eredità del quinto paese più ricco del mondo, quindi lavoro garantito, stipendi per casa, matrimonio e bei risparmi. No? Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? DOVE SONO FINITI I SOLDI, IL 5° PIL DEL MONDO, GLI ENORMI RISPARMI, LA 1a RICCHEZZA PRIVATA DEL MONDO, IL LAVORO, CIOE’ TUTTA L’EREDITA’ DEI 70 ANNI DI LAVORO DI TUO NONNO E DI TUO PADRE? Dove sono finiti i soldi, il 5° Pil del mondo, gli enormi risparmi, la 1a ricchezza privata del mondo, il lavoro, cioè tutta l’eredità dei 70 anni di lavoro di tuo nonno e di tuo padre? Ancora giratevi indietro, ragazzi. Cosa si vede? Si vede che i padri fondatori dell’Italia si erano seduti sulle macerie della guerra e avevano scritto la PIU’ AVANZATA COSTITUZIONE la più avanzata Costituzione nell’interesse pubblico del mondo. Anno 1948. Diritti garantiti, Stato sovrano, Parlamento sovrano, Costituzione sovrana. Una legislazione del lavoro che era invidiata da tutto il pianeta. I giovani italiani si presentano oggi dal Notaio per reclamare LA SECONDA GIUSTA EREDITA’ la seconda giusta eredità: si chiama DIRITTI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA GA-RAN-TI-TI diritti della Costituzione italiana ga-ran-ti-ti. Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? Sì, nulla. Non vi avevano detto che nel 1993 dei tecnocrati europei che nessun italiano ha mai eletto avevano creato il Trattato di Maastricht, poi nel 2007 quello di Lisbona, che hanno esautorato il Parlamento del tutto, hanno tolto all’Italia la sovranità monetaria, e hanno persino soppresso la nostra Costituzione. Risultato: NON AVETE NESSUN DIRITTO CHE L’ITALIA POSSA OGGI DIFENDERE PER VOI Non avete nessun diritto che l’Italia possa oggi difendere per voi. Shock. Ricapitoliamo: Esistevano per voi giovani, DUE EREDITA’ CAPITALI due eredità capitali, costruite per voi dai vostri nonni, padri, madri, e Padri Fondatori, che vi avrebbero garantito il futuro di dignità e prosperità e democrazia. Erano lì fino al 1999! Oggi non ci sono più. MA COME E’ POSSIBILE Ma come è possibile? Come accade che 70 anni di lavoro per voi svaniscano nel nulla negli ultimi 5 minuti?Chi vi ha… RUBATO IL FUTURO E LA VITA STESSA QUANDO VI SPETTAVA DI DIRITTO IN EREDITA’ DOPO 70 DI LAVORO, VITA, LOTTA E MORTE DEI VOSTRI NONNI, GENITORI E PADRI FONDATORI rubato il futuro e la vita stessa quando vi spettava di diritto in eredità dopo 70 anni di lavoro, vita, lotta e morte dei vostri nonni, genitori e padri fondatori? Risposta: Unione Europea dei Tecnocrati non eletti che lavorano per un pugno di speculatori Neofeudali, primi fra tutti i tedeschi, che vogliono divorare l’Italia. Chi vi scrive pubblica da 5 anni le prove su prove su prove di questo crimine contro di voi, perpetrato attraverso la creazione dell’Eurozona coi suoi Trattati di cui sopra.Soluzione: LE DUE EREDITA’ SONO VOSTRE! RIPRENDETELE, IN DUE MODI: le due eredità sono vostre! Riprendetele, in due modi: a) Assediare il Parlamento, che s’inginocchi a chiedere scusa agli italiani, stracci i Trattati Ue della rapina storica contro l’Italia, riporti la sovranità monetaria e costituzionale in Italia; b) Gridare alle forze armate della Repubblica di arrestare Giorgio Napolitano, principale complice della rapina storica in Italia, dissolvere il governo di Renzi servo dei tedeschi distruttori dell’Italia, e che riportino la sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale in Italia. Fuori dall’Eurozona. Le forze armate hanno giurato fedeltà alla Costituzione, devono farlo. Poi tornate dal Notaio e reclamate le vostre EREDITA’ eredità, questa volta nel nome dei vostri nonni, padri e madri, che ve l’avevano lasciata. Alzate la testa, ragazzi, la piazza è vostra, ma non per fare casino. Per reclamare CIO’ CHE VI SPETTA IN EREDITA’ ciò che vi spetta in eredità.(Paolo Barnard, “Giovani, se capite questo farete le barricate”, dal blog di Barnard del 3 maggio 2014).Questo è per voi, giovani italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.
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Terzi: subito più deficit per tutti, o l’Europa è spacciata
I posti di lavoro sono scomparsi perché il fatturato delle imprese è crollato, e senza domanda non c’è lavoro. Da qui nasce il provvedimento del governo Renzi che riduce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti per aiutare la ripresa dei consumi. Il governo avrebbe preferito farlo aumentando il deficit, ma sarà costretto invece a finanziarsi tagliando ancora la spesa pubblica: tagli permanenti di tasse saranno finanziati da tagli permanenti di spesa. Risultato: «Molto semplicemente, qualcuno in Italia starà meglio e qualcun altro starà peggio», osserva un economista come Andrea Terzi. «La riduzione della spesa (buona o cattiva che sia) comprime immediatamente redditi e risparmi del settore privato. D’altro canto, la riduzione dell’Irpef lascerà nelle tasche di qualcun altro più reddito e più risparmio. Crescerà la domanda interna? Poco o nulla. E anzi calerà, se una fetta di quel reddito redistribuito ai lavoratori dipendenti non dovesse essere spesa».Ben più efficace sarebbe la manovra – scrive Terzi in un intervento su “Sbilanciamoci” ripreso da “Megachip” – se Renzi potesse sforare i limiti imposti dalle regole europee sul disavanzo. Ma solo a certe condizioni: «Se i risparmi creati dalla riduzione fiscale saranno spesi in merci tedesche, crescerà il Pil della Germania e l’Italia si ritroverà presto col rapporto deficit-Pil di nuovo in allarme rosso». Per uscire dalla spirare dell’euro-crisi, dice Terzi, c’è un’unica soluzione: l’aumento della spesa pubblica, mediante una forma concordata di “deficit comune europeo”. Le altre soluzioni sono binari morti. Più credito bancario? Opzione non realistica: «La Bce non può fare quasi nulla: se la domanda è depressa, le imprese non investono, né le banche sono propense a rischiare. Tassi negativi e quantitative easing sono solo palliativi». Opzione due: più export? Negativo. Nemmeno se crollasse il valore dell’euro si riuscirebbero a recuperare i 7 milioni di posti di lavoro che mancano all’appello dal 2008, per non parlare dei 19 milioni di occupati scomparsi dall’Eurozona.E se fossimo tutti competitivi come la Germania? «È la ricetta del presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. E non si sa se ridere o preoccuparsi (più la seconda)», continua Terzi. «Significherebbe accontentarsi di prezzi più bassi per portar via fatturato agli altri, allargando a tutta l’Europa quella stessa strategia che la Germania ha potuto realizzare solo grazie al fatto che qualcun altro, altrove in Europa o nel mondo, alimentava il fatturato delle proprie imprese». Meglio, di gran lunga, l’opzione tre: più disavanzo pubblico, che è «il motore delle altre due», nonché «il vero e unico carburante della domanda». Niente di così strano, peraltro: «È quello che gli Stati Uniti hanno impiegato, pur col contagocce, per uscire dalla recessione. Ed è quello di cui la Cina si è servita, in dosi massicce, per evitare la recessione globale». Stati Uniti e Cina: paesi sovrani, a moneta sovrana. L’Europa dell’euro, invece, si rifiuta ostinatamente di ricorrere al deficit, «autocondannandosi al declino».In Europa, aggiunge Terzi, prevale la convinzione (infondata) per cui il disavanzo pubblico sarebbe una sorta di “ripiego”, di “droga” da cui è bene stare alla larga, pena l’assuefazione, l’inflazione o un’altra crisi finanziaria. Tutto sbagliato: nelle economie monetrarie contemporanee, «la fonte ultima di denaro in circolazione» è proprio «la spesa del settore pubblico che eccede gli introiti fiscali». Se per lo Stato il saldo è zero (pareggio di bilancio) o addirittura positivo (avanzo primario), comincia la tragedia per aziende, famiglie, lavoratori. L’élite neoliberista nega la realtà: il denaro viene creato dal nulla, non è un “tesoro” conquistato e accantonato. Perché non crearne di più e investirlo, sotto forma di spesa pubblica, cioè deficit positivo? Secondo Terzi, si tratta innanzitutto di convincere i poteri forti europei – Germania in primis – a «lasciar crescere il disavanzo pubblico europeo in maniera economicamente e politicamente equilibrata»,e cioè «non certo concedendo a questo o a quel paese di sforare il tetto nazionale consentito».Obama propone che i paesi coi deficit pubblici più piccoli «mettano a repentaglio le proprie finanze pubbliche per aiutare gli altri», mentre Draghi sostiene che «il risanamento delle banche e delle finanze pubbliche farà crescere la fiducia». Nemmeno i ricercatori più attenti della Bce ci credono, osserva Terzi, visto che alcuni di loro hanno scritto che la devastante crisi tedesca del 1931 fu causata proprio dall’austerità. L’economista ritiene invece percorribile la creazione di «un “disavanzo pubblico europeo” finalizzato alla piena occupazione», cioè l’obiettivo che l’élite eurocratica contrasta in ogni modo, fin dalla nascita dell’Unione Europea. Piena occupazione: proprio quello che i signori di Bruxelles non vogliono. Eppure, insiste terzi, il lavoro per tutti «risolverebbe molti problemi assieme: dal rispetto dei vincoli nazionali, allo spread, al rilancio del credito bancario». Per cui «è indispensabile, e drammaticamente urgente, studiare una soluzione condivisa». Un’ottima soluzione, democratica: quella che l’euro-regime vuole evitare a tutti i costi, anche a rischio di far fare a mezza Europa la fine della Grecia.I posti di lavoro sono scomparsi perché il fatturato delle imprese è crollato, e senza domanda non c’è lavoro. Da qui nasce il provvedimento del governo Renzi che riduce il prelievo fiscale sui lavoratori dipendenti per aiutare la ripresa dei consumi. Il governo avrebbe preferito farlo aumentando il deficit, ma sarà costretto invece a finanziarsi tagliando ancora la spesa pubblica: tagli permanenti di tasse saranno finanziati da tagli permanenti di spesa. Risultato: «Molto semplicemente, qualcuno in Italia starà meglio e qualcun altro starà peggio», osserva un economista come Andrea Terzi. «La riduzione della spesa (buona o cattiva che sia) comprime immediatamente redditi e risparmi del settore privato. D’altro canto, la riduzione dell’Irpef lascerà nelle tasche di qualcun altro più reddito e più risparmio. Crescerà la domanda interna? Poco o nulla. E anzi calerà, se una fetta di quel reddito redistribuito ai lavoratori dipendenti non dovesse essere spesa».
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Cremaschi: l’euro è stato creato per demolire la sinistra
A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.Infatti la scelta distintiva del governatorato di Baffi era stata proprio la manovra sulla moneta. La lira veniva rivalutata rispetto al dollaro, in modo da rendere meno pesante la bolletta energetica, e svalutata rispetto al marco, per sostenere la produzione industriale. Baffi motivò esplicitamente queste scelte con la necessità di non svalutare i salari e fu l’unico governatore a non demonizzare la scala mobile e il sistema di protezione sociale. Lo Sme invece mise al centro della politica economica la rigidità monetaria, adottando quel liberismo che andava al governo in Gran Bretagna con Thatcher e negli Usa con Reagan. I nostri primi interpreti di quella svolta furono il governatore Ciampi e il ministro del Tesoro Andreatta. Che assieme decisero nel 1981 la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, con il conseguente obbligo di vendere sul mercato i Bot per finanziare la spesa pubblica. E con l’attacco alla indicizzazione dei salari che ebbe il suo apice in quel decreto Craxi di taglio della scala mobile, contro cui Enrico Berlinguer fece la sua ultima battaglia.In sintesi l’euro e la perdita formale della sovranità monetaria a favore della Bce sono il punto di arrivo, e non la partenza, di un sistema di accordi e decisioni che avevano un obiettivo dichiarato: rendere impossibili le politiche economiche keynesiane, imporre gli interessi della globalizzazione finanziaria e dei mercati come vincoli insuperabili per gli Stati. Il pareggio di bilancio in Costituzione, votato da noi anche dalla destra oggi anti-euro, è l’ultimo atto formale di tale politica trentennale. L’effetto euro sulle economie europee é stato duplice. Da un lato la moneta unica è stata lo strumento per istituzionalizzare ovunque le politiche liberiste. La Grecia é stata distrutta con il ricatto della sua espulsione dall’euro. Da noi lo slogan “lo vuole l’Europa” ha accompagnato ogni operazione di smantellamento dei diritti del lavoro e dello Stato sociale. Dall’altro lato la moneta unica forte ha finito per mettere alla pari economie che pari non erano, facendo della zona euro non un’area di crescita comune, bensì il campo di battaglia della competizione estrema.Di questo si è avvantaggiata profondamente l’economia tedesca, che con il governo socialdemocratico Schroeder all’inizio del duemila ha colpito duramente i diritti del lavoro, aprendo così la via all’era Merkel. La depressione salariale da sola non fa competitività, ma se si somma ad un sistema industriale forte che gode di una moneta particolarmente favorevole, allora la fa eccome. Perché l’euro desse risultati economici con un minimo di equilibrio ci sarebbe voluto un boom salariale in Germania. Invece sono nati a milioni i cosiddetti mini-job, lavori precari con paghe da pochi euro l’ora, per i quali dal Belgio son partite denunce alla Corte di Giustizia Europea a causa delle delocalizzazioni che hanno lì provocato. E questa politica continua oggi in primo luogo per opera della socialdemocrazia e della complicità sindacale. La legge sul salario minimo, vantata come un successo progressista, è in realtà una formalizzazione del dumping sociale. Stabilire che nel 2017 la paga minima in Germania sarà di 8,50 euro all’ora, quando ora in Francia è di 10, significa usare l’euro come arma di devastazione economica di massa.Ora i due partiti che guidano l’Unione Europea, la Germania e gli altri principali governi, Pse e Ppe, promettono un allentamento dei lacci delle politiche di austerità. Ma mentono sapendo di mentire perché in realtà il sistema euro, con i suoi trattati non rinegoziabili, da Maastricht al Fiscal Compact, non prevede alternative alle politiche liberiste. O salta o continua come sempre, e proprio di questa rigidità si fa forte la signora Merkel, che così ha spianato ogni debole ostacolo da parte della Spd. Tre anni fa una intervista di Giuliano Amato a Rossana Rossanda puntava sul ritorno al governo dei socialisti in Francia e Germania per farla finita con l’austerità. Non voglio infierire – certo il centrosinistra europeo è oramai una formazione social-liberale che ha ben poco della sinistra – ma la realtà è che il sistema europeo non è riformabile.Le tre misure più avanzate di cui si discute in campagna elettorale – condono di una parte del debito per i paesi del sud Europa, Eurobond, trasformazione della Bce in un istituto che dia i soldi direttamente agli Stati e non alle banche – non sono realizzabili senza cancellare, e non semplicemente aggiustare, i trattati che stanno a presidio dell’euro. E in ogni caso sarebbero impedite da qualsiasi governo tedesco. Chi sostiene queste misure dovrebbe aggiungere: o si fa questo, o salta la baracca perché così non si può andare avanti. Invece questo non viene detto, e così il sistema di potere economico finanziario che guida l’Europa capisce che non si fa sul serio. Il fondatore della Linke tedesca, Oskar Lafontaine, aveva proposto un piano europeo di smontaggio dell’euro, ma il suo stesso partito non ha avuto il coraggio di sostenerlo. E tutta la sinistra europea oggi esprime la stessa paura.È chiaro che dire no all’euro non basta se non si rimuove la politica economica liberista che ha portato alla sua costruzione, ma la fine della moneta unica è una condizione necessaria per poter ricostruire una politica economica e sociale fondata su eguaglianza e democrazia. È una condizione necessaria, ma non sufficiente; e proprio questa insufficienza avrebbe dovuto essere il campo d’azione di una vera sinistra. Come ho cercato di spiegare, l’euro non é tutto, ma è il simbolo monetario delle politiche liberiste e di austerità. La sinistra non doveva subire il ricatto psicologico di chi accusa di nazionalismo la rivendicazione della sovranità monetaria, mentre in realtà difende l’internazionalismo di banche e finanza. La sinistra non avrebbe dovuto avere il tabù dell’euro, ma anzi avrebbe dovuto fare della contestazione della moneta unica la leva per spingere in campo una critica popolare e di massa al liberismo.La sinistra doveva dire no all’euro dal suo punto di vista, e così questo punto di vista sarebbe tornato in campo nella crisi europea. Invece il campo è stato abbandonato e così il no all’euro è diventato vessillo delle destre autoritarie, xenofobe e neofasciste. Che ovviamente lo usano a loro modo e per i loro fini. Il risultato è che la politica europea è bloccata tra la continuazione delle politiche di austerità sotto le larghe intese Ppe-Pse e la contestazione degli euroscettici reazionari. E il sostegno Ue al governo ucraino infarcito di neonazisti, mostra che ci sono momenti e situazioni in cui questi due schieramenti possono trovare sintesi. Un’alternativa di sinistra a tutto questo si ricostruirà solo quando le sue forze sapranno proporre senza tabù la messa in discussione dei poteri e delle politiche dell’Europa reale, senza trastullarsi con una Europa ideale tanto ipocrita quanto inesistente.In Italia questo significa una sinistra che rompa davvero con il Pd e apra il confronto e il dialogo con il “Movimento 5 Stelle”, che avrà tanti limiti e contraddizioni, ma che finora ha anche il merito democratico di aver impedito un lepenismo di massa nel nostro paese. La prima cosa da proporre subito dopo le elezioni europee è un referendum costituzionale sui trattati e sull’euro, così come si fece già nel 1989. Lo chieda anche la sinistra che non vuol morire renziana. Aveva ragione Berlinguer a dire no allo Sme, e ha torto oggi la sinistra a non mettere in discussione quell’euro che è stato messo lì per distruggerla.(Giorgio Cremaschi, “Perché la sinistra deve dire no all’euro”, da “Micromega” del 14 maggio 2014).A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.
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Vittorio Grilli alla Jp Morgan come Blair, l’amico di Renzi
Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.Il più celebre “ex”, in questo campo, è il britannico Tony Blair, in forza proprio alla Jp Morgan: di recente, a Londra, Blair ha nuovamente incontrato Matteo Renzi, col quale si era visto, a suo tempo, già a Firenze. Gli ex politici “promossi” nel gotha della finanza planetaria, aggiunge Galbiati, fanno gola alle grandi banche internazionali, «sempre attente a raccogliere i fuoriusciti che possono garantire loro gli appoggi giusti per entrare nel giro degli affari degli Stati. E in Italia – aggiunge il giornalista di “Repubblica” – tra la gestione di 2.000 miliardi di debito pubblico e le nuove privatizzazioni annunciate dal presidente del consiglio Matteo Renzi, non manca certo il lavoro per gli advisor finanziari».All’epoca dei primi contatti con Jp Morgan, Grilli era direttore generale del Tesoro e a luglio 2011 si era parlato di lui come di un possibile successore di Mario Draghi alla guida di Banca d’Italia, grazie all’appoggio di Giulio Tremonti e di Massimo Ponzellini, presidente della Banca Popolare di Milano, finito al centro di un’inchiesta per finanziamenti facili a un giro di “amici”. Superato da Ignazio Visco nella corsa per il vertice di Bankitalia (e smentita la migrazione verso Wall Street), Grilli era stato chiamato da Monti come viceministro dell’economia. Diventerà il titolare del dipartimento, però, solo a luglio del 2012, quando il “premier dello spread” deciderà di lasciare l’interim del Tesoro. Da ministro, ricorda ancora Galbiati, Grilli «era stato al centro di una polemica per l’acquisto di un appartamento a Roma finanziato dal Monte dei Paschi di Siena con un mutuo superiore all’importo del valore della casa».Le aveva definite “voci infondate e dannose”, quando il giorno prima del varo del governo Monti, il 14 novembre del 2011, era stato ipotizzato un suo passaggio a Jp Morgan. Oggi, a distanza di quasi tre anni, quelle voci che lo volevano vicino a un approdo alla grande banca d’affari americana, una delle più importanti del mondo, trovano conferma a posteriori: l’ex ministro è stato infatti nominato presidente del Corporate & Investment Bank del colosso finanziario statunitense per l’area Europa, Medio Oriente e Africa. Il ceo di Jp Morgan, Jamie Dimon, è il super-potente che ha apertamente dichiarato guerra alle “vecchie” Costituzioni antifasciste, come quella italiana, che pretendono ancora di tutelare i diritti dei lavoratori. Grilli, scrive Walter Galbiati su “Repubblica”, entra nel novero di quei politici che dopo una lunga militanza all’interno dello Stato finiscono a fare i consulenti per le grandi banche d’affari, interessatissime ad allungare le mani sul patrimonio pubblico.
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Fine programmata della democrazia: l’ha deciso l’élite
I veri padroni del mondo non sono più i governi, ma i dirigenti di gruppi multinazionali finanziari o industriali, e di istituzioni internazionali opache (Fmi, Banca Mondiale, Ocse, Wto, banche centrali). Purtroppo, questi dirigenti non sono stati eletti, malgrado l’impatto delle loro decisioni sulle popolazioni. Il potere di queste organizzazioni viene esercitato su una dimensione planetaria, mentre il potere di uno Stato è ridotto ad una dimensione nazionale. Tra l’altro, il peso delle multinazionali nei flussi finanziari ha da tempo superato quello degli Stati. Di dimensione internazionale, più ricche degli Stati, ma anche principale fonte finanziaria dei partiti politici di ogni tendenza nella maggior parte dei paesi, queste organizzazioni si trovano quindi al di sopra delle leggi e del potere politico, al di sopra della democrazia. La democrazia ha già cessato di essere una realtà.I responsabili delle organizzazioni che esercitano il potere non sono eletti, e il pubblico non viene informato sulle loro decisioni. Il margine d’azione degli Stati viene sempre più ridotto da accordi economici internazionali per i quali i cittadini non sono stati né consultati, né informati. Tutti questi trattati elaborati negli ultimi 10 anni (Gatt, Omc, Ami, Ntm, Nafta) hanno un unico scopo: trasferire il potere degli Stati verso organizzazioni non elette, tramite un processo chiamato “mondializzazione”. Una sospensione proclamata della democrazia avrebbe senz’altro provocato una rivoluzione. Ecco perché sembra essere stato deciso di mantenere una democrazia di facciata, e di piazzare il potere reale verso nuovi centri. I cittadini continuano a votare, ma il loro voto è privo di senso. Votano per dei responsabili che non hanno più un potere reale. Ed è senz’altro perché non c’è più nulla da decidere, che i programmi politici di “destra” e di “sinistra” si assomigliano sempre di più in tutti i paesi occidentali.Per riassumere, non possiamo scegliere il piatto, ma possiamo scegliere il contorno. Il piatto si chiama “nuova schiavitù”, e il contorno può essere o piccante di destra, o agro-dolce di sinistra. Dai primi anni ‘90, l’informazione è stata progressivamente tolta dai media destinati al grande pubblico. Come le elezioni, i telegiornali continuano ad esistere, ma sono privi di senso. Un telegiornale contiene al massimo 2 o 3 minuti di vera informazione. Tutto il resto è costituito da soggetti da rivista, servizi aneddotici, fatti diversi e reality show sulla vita quotidiana. Le analisi di giornalisti specializzati e le trasmissioni di informazione sono state quasi totalmente eliminate. L’informazione si restringe ormai alla stampa, letta da un numero ridotto di persone. La sparizione dell’informazione è un segno tangibile che il nostro regime politico ha già cambiato natura.I responsabili del potere economico provengono quasi tutti dallo stesso mondo, lo stesso giro sociale. Si conoscono, si incontrano, condividono gli stessi punti di vista e gli stessi interessi. Condividono quindi naturalmente la stessa visione di ciò che dovrebbe essere il futuro mondo ideale. E’ quindi naturale che si mettano d’accordo e sincronizzino le loro azioni verso degli obbiettivi comuni, inducendo a delle situazioni economiche favorevoli alla realizzazione dei loro obbiettivi, come ad esempio: indebolimento degli Stati e del potere politico, deregolamentazione, privatizzazione dei servizi pubblici, disimpegno totale degli Stati dall’economia, compresi i settori dell’educazione, della ricerca e, tra breve, dell’esercito e della polizia, destinati a diventare dei settori sfruttabili da ditte private.Indebitamento degli Stati tramite la corruzione, lavori pubblici inutili, sovvenzioni a ditte senza contropartita, spese militari. Quando una montagna di debiti viene accumulata, i governi sono costretti alla privatizzazione e allo smantellamento dei servizi pubblici. Più un governo è sotto il controllo dei “Padroni del Mondo”, più fa aumentare i debiti del suo paese. Precarietà del lavoro e mantenimento di un alto livello di disoccupazione, intrattenuti tramite il decentramento e la mondializzazione del mercato del lavoro: tutto ciò aumenta la pressione economica sui lavoratori, che sono quindi costretti ad accettare qualsiasi stipendio o condizione di lavoro. Riduzione dell’aiuto sociale per aumentare le motivazioni del disoccupato ad accettare qualsiasi tipo di lavoro o qualsiasi stipendio: un aiuto sociale troppo elevato impedisce alla disoccupazione di fare una pressione efficace sul mercato del lavoro. Impedire l’espansione di rivendicazioni salariali nel Terzo Mondo, mantenendovi dei regimi politici totalitari o corrotti: se i lavoratori del Terzo Mondo venissero pagati meglio, il principio stesso del decentramento, e della pressione che esercita sul mercato del lavoro nella società occidentale, verrebbe frantumato. Ciò costituisce un lucchetto strategico essenziale che deve essere preservato ad ogni costo. La famosa “crisi asiatica” del 1998 è stata innescata nello scopo di mantenere questo lucchetto.Le organizzazioni multinazionali private si stanno progressivamente dotando di tutti gli attributi della potenza degli Stati: reti di comunicazione, satelliti, servizi di spionaggio, dati sugli individui, istituzioni giudiziarie (stabilite dal Wto e l’Ami, accordo tramite il quale una multinazionale potrà fare causa ad uno Stato davanti ad una corte internazionale speciale). La prossima e ultima tappa per queste organizzazioni sarà di ottenere il potere militare e poliziesco che corrisponda alla loro nuova potenza, creando i loro propri eserciti, dato che gli eserciti e le polizie nazionali attuali non sono adattate alla difesa dei loro interessi nel mondo. Tra breve, gli eserciti diventeranno società private, presteranno servizio sotto contratto con gli Stati, o con qualsiasi altro cliente capace di pagarli. Ma all’ultima tappa del piano, questi eserciti serviranno quasi esclusivamente gli interessi delle multinazionali, e attaccheranno gli Stati che non si piegheranno al nuovo ordine economico. Nel frattempo, questo ruolo viene assunto dall’esercito dei Stati Uniti, il paese meglio controllato dalle multinazionali.Oggi il denaro è essenzialmente virtuale. La sua realtà è una serie di 0 e di 1 nei computer delle banche. La maggior parte del commercio mondiale si opera senza denaro liquido, e solo 10% delle transazioni finanziarie quotidiane corrispondono a degli scambi economici nel “mondo reale”. Gli stessi mercati finanziari costituiscono un sistema di creazione di denaro virtuale, di profitto non basato su una creazione di ricchezze reali. Questa creazione di denaro senza creazione di corrispondente ricchezza economica è la definizione della creazione artificiale del denaro. Ciò che la legge vieta ai falsificatori di denaro, e ciò che l’ortodossia economica liberale vieta agli Stati, è quindi legale e possibile per un numero ristretto di beneficiari. Se si vuol capire ciò che realmente è il denaro e a che cosa serve, basta invertire la famosa frase “il tempo è denaro”: il denaro è tempo. Permette di comprare il tempo degli altri, il tempo necessario a produrre i prodotti o i servizi che consumiamo.E’ evidente che siamo oggi urtando i limiti ecologici dell’attività economica. I modelli economici attuali sono incapaci di stimare al suo giusto valore la “produzione” della natura, indispensabile alla nostra sopravvivenza: produzione d’ossigeno, fissazione dei gas carbonici dalle foreste e gli oceani, regolazione della temperatura, protezione dai raggi del sole, riciclaggio chimico, spartizione delle alluvioni, produzione d’acqua potabile, di alimenti. La produzione della natura è stata valutata a 55.000 miliardi di dollari annui da un gruppo di scienziati dell’Institute for Ecological Economics dell’Università del Maryland nel 1997. La scomparsa della natura è inevitabile, poiché voluta dal nuovo potere economico. La scomparsa della natura e l’aumento dell’inquinamento renderanno gli individui ancora più dipendenti del sistema economico per la loro sopravvivenza, e permetteranno di generare nuovi profitti, tra i quali un consumo crescente di medicine e prestazioni mediche.Tutto quello che può portare un individuo a pensare e a vivere con la propria testa è potenzialmente sovversivo. Il più grande pericolo per l’ordine sociale è la spiritualità che porta l’individuo a rimettere in gioco il proprio sistema di valori e quindi il proprio atteggiamento. Questo nuovo potere è globale, planetario. Non ha quindi né alternativa, né scappatoia. Costituisce un nuovo livello di organizzazione della civilizzazione, una specie di super-organismo. D’altronde l’unificazione del mondo per via dell’economia e il declino degli Stati-nazione sono stati in parte decisi per una nobile causa: rendere impossibile una nuova guerra mondiale che, all’era atomica, significherebbe la fine della civilizzazione. La globalizzazione non è una cosa negativa in sé: potrebbe permettere una forma di pace mondiale durevole. Ma se continua ad essere organizzata a beneficio di una minoranza di persone e se conserva la sua attuale direzione neoliberista, non tarderà ad instaurare una nuova specie di totalitarismo, il commercio integrale degli esseri viventi, la distruzione della natura e una forma inedita di schiavitù.(Estratti da “Fine programmata della democrazia”, dal sito “Syti.net” a cura di Sylvain Timsit).I veri padroni del mondo non sono più i governi, ma i dirigenti di gruppi multinazionali finanziari o industriali, e di istituzioni internazionali opache (Fmi, Banca Mondiale, Ocse, Wto, banche centrali). Purtroppo, questi dirigenti non sono stati eletti, malgrado l’impatto delle loro decisioni sulle popolazioni. Il potere di queste organizzazioni viene esercitato su una dimensione planetaria, mentre il potere di uno Stato è ridotto ad una dimensione nazionale. Tra l’altro, il peso delle multinazionali nei flussi finanziari ha da tempo superato quello degli Stati. Di dimensione internazionale, più ricche degli Stati, ma anche principale fonte finanziaria dei partiti politici di ogni tendenza nella maggior parte dei paesi, queste organizzazioni si trovano quindi al di sopra delle leggi e del potere politico, al di sopra della democrazia. La democrazia ha già cessato di essere una realtà.
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Ue, Mosca e Pechino soci perfetti: è l’incubo degli Usa
E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».L’elemento saliente di quel periodo, ricorda Helevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è la seconda guerrra cecena, combattuta tra il 1999 e il 2001. «La strategia militare elaborata da Putin implicò delle perdite fortissime tra i civili residenti in Cecenia (sia ceceni che russi) e questa violazione dei diritti umani non venne mai denunciata politicamente e formalmente dagli “occidentali” perchè troppo importante era Putin in relazione ad un possibilissimo ritorno al potere dei neo-comunisti». Altro errore, analogo: «Trattare la Cina come “qualcosa di rosso” perché c’è il Pcc al potere». Altro caso di miopia che, sempre secondo Halevi, «rende una grossa parte della sinistra completamente scema senza possibilità d’appello». Il modo migliore di intepretare la nuova Cina? «E’ vederla come un fenomeno ultra-bismarckiano», pur tenendo conto del fatto che «la formazione di una potenza bismarckiana delle dimensioni della Cina pone dei problemi per l’altra potenza», quella americana.Una visione, questa, elaborata già nel 1999 dalla Rand Corporation. Cina ultra-bismarckiana? A coniare la formula fu Zalmay Khalilzad, afghano emigrato negli Usa diventato sotto Bush figlio e ambasciatore Usa a Kabul dopo il 2001, poi ambasciatore in Iraq dopo il 2003 ed infine ambasciatore statunitense all’Onu. Sul versante geopolitico, Khalilzad spiega perchè – con la Cina di oggi – gli Usa non possono avere rapporti di sola cooperazione amichevole o di solo conflitto. «Pochi hanno colto la dimensione duale e contraddittoria degli interessi Usa in Cina, ma per coglierli basta studiare – leggendo il “Wall Street Journal” e l’“International New York Times” – Walmart, Apple e la General Electric». Quei colossi «sono in Cina per rifornire in primo luogo il mercato Usa, in secondo luogo il resto del mondo, in terzo luogo per vendere sul mercato cinese in crescita asfissiante (letteralmente)». Il successo della loro presenza in Cina «dipende dalla crescita cinese, che è organizzata dallo Stato bismarckianamente».Questa crescita, continua Halevi, significa «capacità di mettere in piedi in breve tempo grosse strutture industriali con ampie economie di scala e con ritmi di lavoro parossistici». Tutto ciò «conferisce una dimensione concreta alla globalizzazione». Esempio, il caso Apple, con iPad e iPhone «progettati negli Usa, prodotti da una società di Taiwan ma localizzata in Cina», perchè «a Taiwan e nemmeno negli Usa avrebbero potuto costruire, in poco tempo e con tutte le infrastrutture di collegamento, un insieme di impianti che occupano oltre 700 mila persone». Così, si è generato «uno iato crescente tra gli interessi economici del capitale Usa e la capacità dello Stato Usa di garantirne gli interessi in maniera coerente». Per esempio, negli Usa si discute la necessità di far rivalutare la moneta cinese, lo yuan: «A non volerlo sono proprio le società Usa che operano dalla Cina».Fino alla fine degli anni ‘90, prosegue Halevi, il mantenimento dell’egemonia statunitense si fondava sul ruolo della spesa pubblica federale (senza la quale il sistema militare, politico e finanziario non funzionerebbe) e sul ruolo del dollaro. Due elementi che permettevano e permettono il controllo delle cruciali zone energetiche del Medio Oriente. Un analista come Zbigniew Brzezinski sostenne che il controllo dell’arco energetico che va dall’Arabia Saudita all’insieme del Medio Oriente pemette di “tenere al guinzaglio” simultaneamente sia il Giappone che l’Unione Europea. «Giustissimo, per quel periodo», dice Halevi. «Da allora, la Russia è emersa come superpotenza energetica e la Cina come fulcro della produzione industriale mondiale, nonchè come asse dei meccanismi finanziari sui mercati delle materie prime, come il carbone».«Insieme alla finanziarizzazione degli Oceani e soprattutto dell’Artico – conclude Halevi – la dinamica dei prodotti finanziari globali non è certo determinata dal debito pubblico italiano e dallo spread, bensì dalla Cina». Sicché, la formazione di un “continuum” economico tra Cina, Russia ed Europa, Germania in primis, «è nei piani sia cinesi che tedeschi e russi». La parte più debole meno coordinata è quella russa, «perchè il processo di disgregazione dell’Urss apertosi nel 1991 è lungi dall’essersi concluso: la Russia è una superpotenza energetica, ma come forza statuale è ancora nel day-after del 26 dicembre del 1991». Per gli Stati Uniti, dunque, «è essenziale che non si formi alcun “continuum” euroasiatico, altrimenti entrerebbe seriamente in crisi la capacità dello Stato americano di proteggere coerentemente gli interessi del capitale Usa».E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».
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Chomsky e Barnard: se gridare di rabbia non basta più
«C’erano due milioni di italiani a manifestare contro la guerra in Iraq a Roma nel 2003… per un giorno. Bravi. Ma li vedi tu per il resto dell’anno passare di casa in casa a informare le masse? Dai. Se lo facessero allora sì che, assieme a nuovi metodi di comunicazione, le cose cambierebbero». Così Paolo Barnard scrive a Noam Chomsky, il linguista statunitense che il “New York Times” considera il maggior intellettuale vivente. Si tratta di un carteggio privato, datato 2007, cioè «prima dell’esplosione della crisi finanziaria, che ha sbattuto in faccia al mondo quanto in realtà ci siamo involuti e non evoluti nella difesa dei diritti dell’uomo e nella gestione dell’interesse pubblico». Tema cruciale: che fare, per cambiare le cose. Chomsky si appella a una variante della scommessa di Pascal: «Se decidiamo di rinunciare alla speranza, siamo certi che il peggio accadrà. Se invece manteniamo la speranza, possiamo immaginare che un futuro migliore arriverà». Barnard invece non ci crede più, non gli basta. Vede che tutto il nostro attivismo per i diritti finisce nel tritacarne del mainstream, senza che le atrocità del mondo vengano minimamente arginate.«Ancora non riusciamo a fermare l’orrore delle guerre, le ingiustizie su macro-scala, la fame di milioni di bambini, l’avanzare del Vero Potere, la dittatura dei mercati», scrive oggi Barnard. «Ebbi quindi un’idea. Scrissi a Chomsky e gli proposi la formazione di un pannello di esperti a livello mondiale che per la prima volta studiassero “che cosa cambia l’umanità in meglio”, partendo da cosa l’ha cambiata in passato, per arrivare a cosa la può veramente cambiare oggi. Un pannello di storici, antropologi, psicologi, intellettuali e veri combattenti». Assioma di partenza: «Non possiamo dare per scontato che ciò che è riuscito a stemperare la barbarie di 5.000 anni – passando per la Rivoluzione Francese e illuminista, quella socialista, per quella femminista, sulla scia dell’olocausto delle guerre mondiali, durante il prodigioso arrivo della rivoluzione delle tecnologie e mezzi di comunicazione – possa funzionare anche oggi. Talmente tanto è cambiato, soprattutto il Vero Potere ha ottenuto una tale rivincita a livello planetario, che dire – come diceva proprio Noam Chomsky – che “l’umanità è sempre uscita dalla barbarie e non c’è motivo per cui questo non debba continuare”, mi appariva superficiale».Se gli attivisti che lottano “per un mondo migliore” sbagliano l’analisi e gli strumenti per il cambiamento, rischiano di consegnarsi alla vittoria finale di quello che Barnard chiama “Vero Potere”. Sì, «c’è motivo di dubitare che l’attivismo possa ottenere qualcosa», ammette Chomsky, secondo cui però “ieri si stava peggio”. Ovvero: se si crede che il punto di svolta negativo e irreparabile sia maturato negli anni ‘70, fino al fallimento dell’opinione pubblica mondiale che non è riuscita a scongiurare la guerra in Iraq, il grande intellettuale americano cita gli anni ‘60, in cui «gli Usa compivano atrocità ben peggiori di quelle fatte in Iraq». Un solo esempio, il Vietnam: «Già nel 1967 il più rispettato storico militare sul Vietnam, Bernard Fall, dubitava che quel paese potesse persino sopravvivere ad attacchi di quella ferocia. Ma le proteste erano minime. In Europa non si mosse un dito mentre mezzo milione di soldati americani, coreani, thailandesi e mercenari stavano devastando il Vietnam del sud». L’Iraq? «E’ certamente un crimine, ma non si avvicina neppure pallidamente alle atrocità della guerra in Vietnam».Non si tratta di «rinunciare alla speranza», replica Barnard, ma – al contrario – dobbiamo «prendere atto del terrificante cambiamento nelle dinamiche sociali che ha reso apatici milioni di occidentali, e trovare un antidoto a questo finché possiamo». Secondo il giornalista, già inviato di “Report”, «i tempi migliori per la rivolta sociale alla brutalità vennero negli anni ‘70, che rappresentano il culmine, la “crema” se si vuole, di 250 anni di rivoluzioni sociali». La triste novità, invece, è «la paralisi odierna delle masse occidentali, frutto di 35 anni di “esistenza commerciale” e “cultura della visibilità massmediatica”, che hanno eroso la nostra psiche collettiva, e che va peggiorando. Sono due fenomeni che vedono la luce anch’essi negli anni ‘70 e lì iniziarono ad avvelenarci». Sono due fenomeni «interamente nuovi nella storia dell’umanità», mai tanto manipolata, «così come è inedito l’effetto di addormentamento oppiaceo che hanno sulle masse». In concreto, «la nostra esistenza oggi ci priva del tempo di capire, studiare e attivarci contro la barbarie del Vero Potere, ci toglie l’autostima per essere liberi pensatori (con conseguenze catastrofiche fra i sindacati italiani e i loro lavoratori)».Per Barnard, questi sconvolgenti cambiamenti «sono una “prima” assoluta nelle dinamiche sociali umane da 5.000 anni, non possono non aver causato mutamenti nel nostro sviluppo sociale». Sono troppo enormi per essere scartati e il giornalista vi scorge «la più grave minaccia alla nostra capacità di organizzazione collettiva contro i poteri». Dunque, aggiunge: «Io invoco che noi scopriamo la chiave di quella minaccia e la disattiviamo». Questa paralizzante mutazione antropologica, replica Chomsky, in realtà «iniziò negli anni ‘20 per poi massimizzarsi negli anni ‘70». Ha certo «plasmato il pubblico», ma secondo il linguista «con risultati del tutto diversi da quelli che il potere voleva ottenere», se è vero che «l’attivismo dagli anni ‘80 ha raggiunto cime mai viste prima, e ora sta inventandosi altri percorsi creativi». I movimenti tuttavia non sono all’altezza della sfida, né dei nuovi mezzi di cui pure disponiamo? «Argomento interessante», ammette Chomsky: «Un’idea intrigante, ma non so come misurarla».«La speranza, Noam, è nei nuovi metodi», risponde Barnrad, perché «quelli consueti nell’attivismo sono diventati privi di significato», siamo assuefatti anche alla protesta, che il mainstream digerisce senza turbarsi. E allora, «che senso ha continuare ad appellarsi a masse drogate da quei e fenomeni? Quindi perché non cercare nuovi metodi, che sappiano raggiungere le immense masse di maggioranza, quelle che non sanno neppure cosa significhino le parole Fondo Monetario, quelle che credono che la Palestina sia nata da Isreale, che non s’immaginano neppure lontanamente cosa veramente costi alle vite dei contadini africani la nostra tazza di caffè della mattina?. La speranza c’è a tonnellate, Noam, ma solo se abbiamo l’umiltà di accettare che i vecchi metodi sono morti e che un nuovo arsenale va costruito». Chomsy non è d’accordo: è «travolto da richieste di conferenze, interviste, attivismo». E poi, quali sarebbero le nuove forme di lotta? Neppure Barnard lo sa, ma – almeno – è certo che i “girotondi”, le raccolte di firme e i cortei di protesta non servano più a niente.«Quali erano le vecchie forme di lotta? Nominiamole: conferenze sempre piene di fans già convertiti; le solite manifestazioni; pubblicazioni e libri, di nuovo però ospitati da editori e media “amici”; i forum sociali, ancora zeppi di amici degli amici già simpatizzanti; l’equo-solidale col Sud, ok, bene, ma sempre minuti gruppi di “belle anime”. Insomma, le “belle anime” che parlano fra di loro Noam, sempre. Ma dimmi: è sufficiente ’sta roba a combattere una macchina colossale di potere finanziario, mediatico, industriale, politico e massmediatico che ha intrappolato 800 milioni di persone in una frenesia di vita e di indebitamento? Dimmi, Noam: le “belle anime” stanno convincendo e dando potere al taxista, al negoziante, all’impiegato, al pensionato, ai tifosi, alle discotecare, ai poliziotti, ai contadini, agli operai, ai conservatori, ai manager, ai colletti bianchi, gli anziani, ai qualunquisti, ai confusi, a chi non ha tempo per respirare la sera a casa? Sono milioni e votano! Non so, forse negli Usa avete fatto una miracolo, ma qui il movimento No-Global è conosciuto dal 99% come i black block che spaccano le vetrine, e nessuno sa nulla delle loro battaglie contro il Wto e i trattati di libero scambio coi poveri del Sud».«Gli Usa – replica Chomsky – sono oggi una nazione molto più civile di prima, e non è stato per magia. Questo include anche le aggressioni militari. Oggi nessun presidente qui potrebbe cavarsela con quello che hanno fatto Kennedy e Johnson nel sud est asiatico. E lo sanno». Chomsky è felice di essere riuscito a tenere una conferebza a mille cadetti e ufficiali di West Point sul tema della “guerra giusta”. E’ vero, il più delle volte la platea è fatta di “amici”, ma comunque «anni fa gli amici erano tre persone in una chiesa, oggi possono essere 5.000 di ogni estrazione in alcuni dei posti più reazionari d’America, e che ti ascoltano con attenzione. Questo è il risultato di molti anni di attivismo da parte di un sacco di gente, e mi sembra un’ottima cosa». Era solo il 2007, Chomsky non aveva ancora visto la Grande Crisi nella sua espressione più disumana, quella europea: un pugno di criminali, ha detto di recente, ha distrutto l’Europa. «Si credono i padroni del mondo. Dobbiamo fermarli». Già, ma come?«C’erano due milioni di italiani a manifestare contro la guerra in Iraq a Roma nel 2003… per un giorno. Bravi. Ma li vedi tu per il resto dell’anno passare di casa in casa a informare le masse? Dai. Se lo facessero allora sì che, assieme a nuovi metodi di comunicazione, le cose cambierebbero». Così Paolo Barnard scrive a Noam Chomsky, il linguista statunitense che il “New York Times” considera il maggior intellettuale vivente. Si tratta di un carteggio privato, datato 2007, cioè «prima dell’esplosione della crisi finanziaria, che ha sbattuto in faccia al mondo quanto in realtà ci siamo involuti e non evoluti nella difesa dei diritti dell’uomo e nella gestione dell’interesse pubblico». Tema cruciale: che fare, per cambiare le cose. Chomsky si appella a una variante della scommessa di Pascal: «Se decidiamo di rinunciare alla speranza, siamo certi che il peggio accadrà. Se invece manteniamo la speranza, possiamo immaginare che un futuro migliore arriverà». Barnard invece non ci crede più, non gli basta. Vede che tutto il nostro attivismo per i diritti finisce nel tritacarne del mainstream, senza che le atrocità del mondo vengano minimamente arginate.
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La sinistra europea è complice dei signori della crisi
La sinistra che doveva cambiare l’Europa mitigando l’austerity e mettendo in discussione il neoliberismo di Bruxelles ha fatto esattamente l’opposto: allineamento totale alla non-politica dei “conti in ordine”, quella cioè che rende semplicemente impossibile l’uscita dalla crisi. Rigore fiscale e centralità del mercato: uno scenario dominato da «politiche conservatrici e liberali, fedeli al credo monetarista», sottolinea Nicola Melloni. «Una risposta in tutto e per tutto simile a quella di Herbert Hoover, e della gran parte dei suoi colleghi europei, alla crisi del ’29, in un contesto istituzionale diverso ma, in realtà, comparabile: se il regime finanziario internazionale di allora era caratterizzato dal Gold Standard, quello presente, in Europa, è costituito da Bce, Commissione europea e unione monetaria». Servirebbe un piano-B, appunto: quello che la sinistra riformista europea si rifiuta categoricamente di prendere in considerazione, preferedo diversioni “creative” alla Matteo Renzi.Di fatto, assistiamo allo svuotamento delle funzioni dei Parlamenti nazionali, ai diktat dei “mercati ci chiedono”, alla centralità di debito e deficit rispetto alla disoccupazione e alla produzione, ai meccanismi automatici di riequilibrio dei disavanzi commerciali attraverso recessioni auto-indotte, scrive Melloni su “Sbilanciamoci”, in un post ripreso da “Micromega”. Non c’è più neppure l’alibi della destra al governo: in Francia c’è Hollande, in Italia Renzi. «Eppure, continua clamorosamente a mancare una risposta di sinistra, di alternativa politica ed economica al mainstream neoliberale – quella risposta keynesiana, socialista o, che più in generale mettendo al centro della politica economica la domanda, il lavoro, il salario, aveva sconfitto la Grande Crisi». Per la verità, la sinistra europea «aveva abbandonato quelle idee e programmi già da una trentina d’anni, a cominciare non da Blair e Schroeder ma da Mitterrand», correva l’anno 1983, «senza dimenticare l’austerity anticipata dei vari governi Prodi in Italia».Anche davanti ad una crisi economica di portata storica, continua Melloni, i socialisti europei si sono contraddistinti per un atteggiamento ultra-passivo rispetto alla risposta conservatrice data alla crisi: «Il rigore finanziario è stato sposato e difeso a spada tratta, un po’ sotto la pressione dello spread, un po’ per convinzione e mancanza di riferimenti economico-culturali alternativi». Se una parte del mondo accademico ha tentato di denunciare il problema, «non ha mai trovato nessun vero spazio nelle stanze dei bottoni del Pse». Socialisti e conservatori: diversi per storia, ma uniti nella prassi di oggi. «Le decisioni – senza dibattito – sulla politica economica sono state demandate a Bruxelles, mentre nell’arena politica nazionale si discute di temi importanti quali il salario minimo (la Spd in Germania) o quali tipo di tagli al welfare (nel Regno Unito) senza per questo portare ad un generale ripensamento dei cardini della politica economica».Tanto i socialdemocratici tedeschi che i laburisti inglesi «hanno fatto di tutto per accreditarsi come “responsabili”, per chiarire al di là di qualsiasi ragionevole dubbio che l’austerity non sarebbe stata toccata in caso di cambiamento della maggioranza di governo». In Francia, questo trend è stato ancora più evidente: «Hollande è stato eletto come alfiere di un’altra Europa, ma una volta all’Eliseo ha abbracciato subito il dogma dei conti in ordine». Idem in Italia: «Il Pd non è certo uscito dal paradigma liberale: ha sostenuto un governo tecnocratico come quello di Monti, ha votato Fiscal Compact e pareggio di bilancio in Costituzione e continua a predicare il rigore e il rispetto degli impegni europei. Si parla tanto di sviluppo e crescita, ma nulla o quasi è stato fatto in questo senso». Per il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, l’austerity è «un falso problema»: la risposta alla crisi sarebbero «le riforme, non la politica economica».Questa vulgata, continua Melloni, è aumentata esponenzialmente con l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi: «La politica economica è stata ignorata, con vari giri di valzer sul limite del 3% per il deficit, prima denunciato in patria e poi santificato a Berlino». E nel suo tour europeo, da Parigi a Londra, Renzi ha confermato la sua allergia alla spesa pubblica. «Le cosiddette novità di Renzi sono, appunto, nelle riforme, che nulla hanno a che fare con la scelta di paradigmi economici differenti da modelli mainstream di rigore». Ma un partito che rifiuta in via di principio politiche keynesiane, che rimane «guardiano dei conti in ordine» e che chiede al mercato – con disoccupazione e riduzione dei salari – di risolvere le proprie crisi, per Melloni «nega in fieri un ruolo centrale per il lavoro», sicché «la piena occupazione rimane tabù, mentre la stella polare rimane il mercato che si auto-regola, l’utopia del liberismo sfrenato». E, nel frattempo, «il dibattito sulla politica economica – che è forse il contenuto principale della democrazia – è stato espulso dalla dialettica politica cancellando qualsiasi possibile risposta di sinistra alla crisi».La sinistra che doveva cambiare l’Europa mitigando l’austerity e mettendo in discussione il neoliberismo di Bruxelles ha fatto esattamente l’opposto: allineamento totale alla non-politica dei “conti in ordine”, quella cioè che rende semplicemente impossibile l’uscita dalla crisi. Rigore fiscale e centralità del mercato: uno scenario dominato da «politiche conservatrici e liberali, fedeli al credo monetarista», sottolinea Nicola Melloni. «Una risposta in tutto e per tutto simile a quella di Herbert Hoover, e della gran parte dei suoi colleghi europei, alla crisi del ’29, in un contesto istituzionale diverso ma, in realtà, comparabile: se il regime finanziario internazionale di allora era caratterizzato dal Gold Standard, quello presente, in Europa, è costituito da Bce, Commissione europea e unione monetaria». Servirebbe un piano-B, appunto: quello che la sinistra riformista europea si rifiuta categoricamente di prendere in considerazione, preferedo diversioni “creative” alla Matteo Renzi.
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Cina, gli operai-schiavi rialzano la testa (grazie al web)
Sul piano legislativo i lavoratori cinesi godono di una serie di diritti, ancorché più limitati di quelli di cui dispongono i loro colleghi occidentali. Purtroppo tali diritti restano quasi sempre sulla carta, sia perché le imprese si guardano bene dal rispettarli, sia perché il Partito Comunista e i sindacati di stato non muovono un dito per farli rispettare. Ecco perché la Yue Yuen Industrial Holdings, azienda taiwanese che è considerata il più grande produttore mondiale di scarpe sportive (fra i suoi commettenti può vantare marchi di prestigio come Nike e Adidas) non ha versato per anni i contributi per la pensione ai suoi dipendenti. Mal gliene è incolto, perché non ha tenuto conto dell’evoluzione culturale delle nuove generazioni di operai cinesi, animate da una rabbia e uno spirito combattivo sconosciuti alle precedenti generazioni, e della loro abilità nell’usare i social network come strumenti di organizzazione e mobilitazione dal basso.Il risultato, come racconta il “New York Times”, è stato uno dei più lunghi e partecipati scioperi della storia recente del paese: 40.000 operai hanno bloccato le linee di produzione per due settimane, infliggendo all’azienda 27 milioni di danni. Alla fine il governo cinese, non riuscendo a bloccare la vertenza, si è rassegnato a intervenire e a costringere la Yue Yuen Industrial Holdings ad accettare un accordo. Pur in assenza di sindacati indipendenti (vietati dalla legge cinese) i lavoratori cinesi, secondo lo stesso articolo, hanno effettuato ben 1100 scioperi e proteste dal giugno del 2011 alla fine del 2013, mentre se ne registrano 200 solo negli ultimi due mesi.Lo strumento che ha favorito queste imponenti mobilitazioni, che hanno strappato consistenti aumenti salariali e altre concessioni, è stato un software di messaggistica chiamato Weixin (conosciuto anche con il nome inglese We Chat) che ha trecento milioni di utenti in grande maggioranza giovani: gli operai lo usano sistematicamente per scambiare informazioni, coordinare le azioni e estendere le lotte attraverso il passaparola. Ma attribuire tutto questo fermento sociale alla Rete sarebbe un errore non meno pacchiano di quello che ha indotto i media occidentali ad appioppare alla “primavera araba” l’etichetta di Twitter Revolution – una semplificazione su cui hanno giustamente ironizzato autori come Evgenij Morozov.Per capire le radici di questa ondata di lotte di classe è meglio andarsi a leggere il bel libro della sociologa cinese Pun Ngai, tradotto in Italia da Jaca Book con il titolo “La società armoniosa”. Pun Ngai analizza la cultura dei quasi trecento milioni di migranti interni che si sono riversati dalle campagne nelle grandi città dove vivono e lavorano in condizioni di sfruttamento spaventoso, paragonabili solo a quelle della classe operaia inglese dell’800 descritte da Engels. Sfruttati ma anche dotati di conoscenze, curiosità e competenze assai più avanzate di quelle dei loro genitori e quindi meno disposti a sopportare quelle condizioni disumane. Una massa operaia che, al pari di quella riversatasi dal nostro Sud a Torino e Milano negli anni ‘60 del ‘900, si sta rivelando poco propensa a chinare la testa e decisa a strappare redditi e condizioni di lavoro e di vita migliori. Quando la tecnologia incontra il capitale sono dolori per le classi subordinate, ma quando invece la tecnologia incontra la classe operaia sono dolori per i padroni.(Carlo Formenti, “Se gli operai cinesi rialzano la testa”, da “Micromega” del 5 maggio 2014).Sul piano legislativo i lavoratori cinesi godono di una serie di diritti, ancorché più limitati di quelli di cui dispongono i loro colleghi occidentali. Purtroppo tali diritti restano quasi sempre sulla carta, sia perché le imprese si guardano bene dal rispettarli, sia perché il Partito Comunista e i sindacati di stato non muovono un dito per farli rispettare. Ecco perché la Yue Yuen Industrial Holdings, azienda taiwanese che è considerata il più grande produttore mondiale di scarpe sportive (fra i suoi commettenti può vantare marchi di prestigio come Nike e Adidas) non ha versato per anni i contributi per la pensione ai suoi dipendenti. Mal gliene è incolto, perché non ha tenuto conto dell’evoluzione culturale delle nuove generazioni di operai cinesi, animate da una rabbia e uno spirito combattivo sconosciuti alle precedenti generazioni, e della loro abilità nell’usare i social network come strumenti di organizzazione e mobilitazione dal basso.
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Sono solo comparse del Partito Ipnocratico di Massa
Avviso ai naviganti. Questo è un messaggio per chi è iscritto, a sua insaputa, al Partito Ipnocratico di Massa. Per appurare se hai la tessera, controlla se sei sotto ipnosi senza saperlo. Osserva i sintomi. Hai intenzione di votare Pd alle prossime elezioni europee (o uno qualsiasi dei partiti del nuovo arco costituzionale del sonno, Forza Italia e Nuovo Centro Destra compresi)? Hai preso parte alle primarie democratiche? Sei iscritto a un club Forza Silvio? Sei convinto che Renzi sia l’ultima (buona) occasione per l’Italia di uscire dal pantano? Se hai risposto di sì ad almeno una delle precedenti domande la diagnosi è confermata. Ciò che stai per leggere potrebbe svegliarti per cui prosegui solo se ti consideri pronto. Anzi, leggi lo stesso. Alla fine del pezzo ti riaddormenterò di nuovo e non ricorderai più nulla. Qualcuno ha detto che è meglio illudersi da ignoranti che disperarsi da consapevoli, quindi, forse, dormire è la ricetta giusta. Ecco un buon vademecum da portarsi in cabina elettorale.L’Unione Europea è una costruzione intrinsecamente anti-democratica. Nessuno dei suoi organi muniti di prerogative sovrane è elettivo. Non la Commissione Europea, che ha il potere di iniziativa legislativa, cioè di proporre le leggi che tu subirai. Non il Consiglio Europeo, che definisce orientamenti e priorità generali della Ue. Non il Consiglio dell’Unione Europea che approva le leggi che la Commissione fa e a cui tu obbedisci. C’è il Parlamento, obietterai, da europeista dormiente quale sei. Certo, ma non ha funzioni legislative e non ha alcun reale potere a parte fungere da foglia di fico, ogni cinque anni, per far credere ai cittadini di contare ancora qualcosa con la farsa delle elezioni. Ma il lato veramente liberticida di tutta la faccenda è la composizione della Commissione. E’ l’organo più potente, fa le leggi, gestisce il bilancio, vigila sull’applicazione del diritto comunitario, bacchetta gli Stati membri se non fanno i compiti per casa, può infliggergli sanzioni e le sue decisioni sono vincolanti (en passant, rappresenta pure l’Europa nel mondo).Tu, europeista addormentato nel bosco, oltre a non sapere che la Commissione non è elettiva (i tuoi leader si sono sempre dimenticati di dirtelo) non sai neppure da quanti membri sia composta questa nomenklatura. Ventotto. Incredibile, vero? Meno di trenta persone non elette che fanno e disfano le sorti di trecento milioni di persone. Non è finita. La Commissione si riunisce una volta alla settimana, le sue riunioni non sono pubbliche e le sue decisioni hanno carattere riservato. I piccoli chimici che si son dilettati a generare in provetta la Ue ne han fatte anche di peggio. Tipo concepire un sistema che privava gli Stati sovrani di una loro banca con cui fare politiche sociali tramite la spesa pubblica e attribuirne le funzioni a una banca centrale che non può rifornire di denaro gli Stati. Geniale, non trovi? E gli Stati son diventati succubi dei mercati. Et voilà monsieur lo spread!Così facendo han violato una caterva di articoli di quella Costituzione per la quale i tuoi nonni son morti in montagna. Dal primo (per cui la sovranità appartiene al popolo) al trentottesimo (tutela dei lavoratori) al quarantunesimo (per cui l’attività economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale). Benvenuto nel futuro, dove vigono regole diametralmente opposte: competitività, flessibilità, mercati in primis; poi, se resta tempo e spazio, politica e democrazia. Ora, lo so bene, caro elettore del P.I.M., che sembra una roba da regime, ma così da regime che se te l’avessero detto prima e ad alta voce li avresti appesi a testa in giù da qualche parte. E infatti lo è, solo che le tue guide te l’han fatta sotto il naso mentre eri distratto a guardare la telenovela “Berlusconi contro Occhetto” e i sequel “Berlusconi contro Rutelli”, “Berlusconi contro Veltroni”, “Berlusconi contro Bersani”.Poi, quando l’opera al nero è stata completata, han rottamato tutti i primattori e le comparse del tragicomico ventennio che abbiamo alle spalle: destra e sinistra, il partito della libertà e la classe dirigente del partito democratico, le Province e il Senato.Ora che abbiamo trovato il cadavere (la repubblica democratica e sovrana) non resta che chiedersi se qualcuno è stato corrivo con l’assassino. Purtroppo, caro elettore del P.I.M., la risposta è affermativa. Avevi un pantheon di eroi che si chiamavano De Gasperi e Togliatti, Dossetti e Nenni, Moro e Berlinguer? Bene, gli epigoni dei tuoi miti di bambino, quell’accozzaglia di acronimi che la storia ha già digerito ed evacuato (Pds, Ds, Fi, Ppi, Ccd, Udc, Pdl, Pd, Ncd) sono stati il cavallo di Troia che ti ha portato in casa la Merkel, Barroso e Van Rompuy. Quindi significa che c’è un disegno? Certo che sì. La sinistra post-comunista e la destra post-democristiana, sostenitrici accorate (e unificate) dell’ingresso dell’Italia nell’Ue, sono state il grimaldello per consegnare il nostro paese a un futuro tecnocratico, ademocratico, oligarchico (cioè il presente in cui viviamo).Vuoi la pistola fumante? Vai a rileggere il rapporto redatto nel 1975 da Michel Crouzier, Samuel Huntington e Joji Watanuki per conto della Commissione Trilaterale dove, tra l’altro, si scriveva: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene. (…) Curare la democrazia con ancor più democrazia è come aggiungere benzina al fuoco». Adesso andiamo a citare alcuni dei padri nobili “de sinistra” e “de destra” che preconizzarono il sol dell’avvenire da cui ora ti ritrovi ustionato. Jean Claude Juncker (ex presidente dell’Eurogruppo), il 21 dicembre 1999, a “Der Spiegel”, sul modus operandi della Commissione Europea: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa é stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno».Romano Prodi, il 4 dicembre 2001, al “Financial Times”: «Sono sicuro che l’euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile, ma un bel giorno ci sarà una crisi e si creeranno i nuovi strumenti». Jacques Attali (uno dei padri fondatori dell’Unione Europea e dei trattati europei), il 24 gennaio 2011, all’università partecipativa: «Abbiamo minuziosamente “dimenticato” di includere l’articolo per uscire da Maastricht. In primo luogo, tutti coloro, e io ho il privilegio di averne fatto parte, che hanno partecipato alla stesura delle prime bozze del trattato di Maastricht, hanno o meglio ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne sia impossibile. Abbiamo attentamente “dimenticato” di scrivere l’articolo che permetta di uscirne. Non è stato molto democratico, naturalmente, ma è stata un’ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti».Helmuth Kohl, il 9 aprile 2013, al “Telegraph”, sull’ingresso nell’euro da parte della Germania: «Sapevo che non avrei mai potuto vincere un referendum in Germania. Avremmo perso il referendum sull’introduzione dell’euro. Questo è abbastanza chiaro. Avrei perso sette a tre. Nel caso dell’euro, sono stato come un dittatore». Ecco, caro elettore del Partito Ipnocratico di Massa, chi sono i paladini cui darai, tra poco, il tuo voto. Ora che lo sai, rilassati, inspira, espira, inspira, espira, inspira, espira. Tutto ciò che hai letto è solo un brutto sogno. Conta da ventuno a zero, piano piano. Ninna nanna, ninna oh, questo Mostro a chi lo do? Leggi i manifesti del Pd, ascolta un sermone di Renzi, sparati un monito di Napolitano. Fatto. Ora puoi tornare a dormire.(Francesco Carraro, “Il Partito Ipnocratico di Massa”,da “Libero” del 14 aprile 2014).Avviso ai naviganti. Questo è un messaggio per chi è iscritto, a sua insaputa, al Partito Ipnocratico di Massa. Per appurare se hai la tessera, controlla se sei sotto ipnosi senza saperlo. Osserva i sintomi. Hai intenzione di votare Pd alle prossime elezioni europee (o uno qualsiasi dei partiti del nuovo arco costituzionale del sonno, Forza Italia e Nuovo Centro Destra compresi)? Hai preso parte alle primarie democratiche? Sei iscritto a un club Forza Silvio? Sei convinto che Renzi sia l’ultima (buona) occasione per l’Italia di uscire dal pantano? Se hai risposto di sì ad almeno una delle precedenti domande la diagnosi è confermata. Ciò che stai per leggere potrebbe svegliarti per cui prosegui solo se ti consideri pronto. Anzi, leggi lo stesso. Alla fine del pezzo ti riaddormenterò di nuovo e non ricorderai più nulla. Qualcuno ha detto che è meglio illudersi da ignoranti che disperarsi da consapevoli, quindi, forse, dormire è la ricetta giusta. Ecco un buon vademecum da portarsi in cabina elettorale.
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Barnard: Ttip, ricatto finale. Ora siamo davvero finiti
Se fino a ieri una multinazionale americana poteva chiedere a Washington di denunciare un singolo governo europeo per i “mancati profitti” provocati da una legge che tutela il lavoro, l’ambiente, la salute o la sicurezza alimentare, con l’entrata in vigore del Ttip siamo alla fase-2 della globalizzazione, quella terminale: saranno le mega-aziende a denunciare direttamente i nostri governi, e lo faranno presso tribunali speciali, off shore, gestiti da avvocati d’affari che ai governi potranno infliggere sanzioni così salate da scoraggiare in partenza qualsiasi forma di resistenza a tutela di cittadini, aziende e lavoratori. “Merito” dell’oligarchia che si è messa in moto, «la solita lobby d’élite finanziaria e grande industriale», cioè «i mastini del Vero Potere», quelli che «non si fermano mai». Proprio lei, la super-lobby, secondo Paolo Barnard «ha fatto quello che doveva fare: vincere». Si chiama S2B, acronimo dell’inglese “Seattle to Bruxelles Network”. «Ci trovate: J.P. Morgan, Chevron, Bnp Paribas, Microsoft, Uniliver, Philip Morris, Glaxo, Ford, Shell, Monsanto, Goldman Sachs… devo continuare?».Barnard, il primo in Italia a segnalare in televisione gli abusi della mondializzazione selvaggia con servizi come “I globalizzatori” trasmessi da “Report”, oggi parla di «un orribile risveglio, che suona così: noi non molliamo mai, noi siamo infermabili, non sentiamo fatica, coscienza, rimorso, pietà, e alla fine vinciamo sempre. Firmato: il Vero Potere». La «nuova offensiva» chiamata Transatlantic Trade and Investment Partnership o Trattato Transaltantico «è micidiale, potenzialmente devastante come mai prima per l’esistenza stessa di democrazia e interesse pubblico». Nel 1999, all’epoca delle primissime denunce sui pericoli della globalizzazione, «intesa proprio come sistema di accordi segreti e potentissimi creato da una élite di capitalisti per ricacciare indietro decenni di progressi democratici a favore del pubblico, nelle aree dei commerci, della finanza e dei servizi», il “mostro” si muoveva, mastodontico, nella stanze di Ginevra del Wto.In pratica, il Trattato di Marrakech del Wto «stabiliva regole di potere superiore alle leggi degli Stati aderenti che, ad esempio, avrebbero potuto limitare qualsiasi intervento della politica in campo economico e finanziario se esso avesse rappresentato una barriera al Libero Commercio, al Libero Profitto, ai diritti delle Corporations». Ad esempio: «Se una multinazionale americana riteneva che le leggi italiane le impedissero di vendere in Italia un suo prodotto contenente una plastica per noi tossica, poteva chiedere al governo Usa di denunciare Roma al tribunale del Wto, per ottenere l’abolizione della legge italiana», ritenuta “una barriera” al libero sviluppo del loro business. Stessa storia in caso di gare d’appalto per un servizio pubblico: «Qualsiasi mega-corporation mondiale dei servizi poteva reclamare lo stesso diritto a partecipare di un’azienda locale, quando magari il Comune avrebbe preferito dar lavoro e reddito a italiani locali».Col Trattato di Marrakech, sovranazionale e quindi sovrastante le leggi dei singoli Stati, «l’ignorante politica del mondo occidentale aveva firmato e ratificato regole micidiali tutte a favore delle mega-corporations e tutte a sfavore di qualsiasi intervento politico nazionale o anche locale per proteggere i lavoratori, le famiglie, le aziende nazionali, le cooperative, i Comuni», ricorda Barnard. «L’Italia ratificò Marrakech con un solo politico – uno solo! – che l’avesse letto, fra Camera e Senato». Segretamente, cioè «sotto il naso disattento di milioni di cittadini», questo sistema «ha fatto danni immensi alle economie nazionali ma soprattutto ai distretti piccolo-medi industriali italiani che ci fecero ricchi dopo la II guerra mondiale, con valanghe di fallimenti e licenziati a cascata», dice Barnard. «Danni anche ai diritti dei cittadini alla tutela della salute, per non parlare dell’orrore inflitto al Terzo Mondo». C’era però ancora una clausola: la multinazione di turno avrebbe dovuto chiedere al governo Usa di fare causa al governo italiano presso il tribunale del Wto, non poteva agire direttamente. Ora, l’ostacolo è stato superato. Le multinazionali avranno pieni poteri: il loro imperio sovrasterà la sovranità democratica degli Stati.Obiettivo dichiarato: “armonizzare” le regole del commercio e della finanza fra Usa e Ue, liberalizzando gli scambi ed eliminando le barriere all’interno dell’area di libero scambio Usa-Ue, dove avviene «almeno un terzo degli scambi globali». Dalle stime della stessa Commissione Europea, aggiunge Barnard, si deduce che alle promesse del Ttip non crede neppure Bruxelles: secondo il commissario europeo al commercio, Karel de Gught, l’impatto dell’accordo sul Pil europeo è di appena lo 0,01%. Già il “meno peggio” del Ttip, per Barnard, è «una tragica porcheria», in tre atti. Primo: «In Europa verranno imposte le miserrime regole di protezione dell’ambiente e dei consumatori degli Usa, e in America verrà imposta la miserrima regolamentazione della finanza che abbiamo noi europei. Quindi una gara al ribasso ovunque». Secondo: Il Ttip propone la totale liberalizzazione del settore dei servizi pubblici – sanità, asili e scuole, assistenza anziani, trasporti, acqua potabile. Terzo: fine di quel che resta dei diritti sindacali europei.Risultato: «I lavoratori italiani, che già oggi con la bastardata dell’euro devono vedersela con una deflazione dei redditi da incubo, domani saranno anche in gara a tagliarsi i diritti del lavoro per competere con i lavoratori Usa, dove licenziare è più facile che fare un peto. Tutto questo – sottolinea Barnard – per il solito infame motivo che dipendiamo tutti dagli “investitori” per avere economia, e gli “investitori” investono quasi sempre dove i diritti sono minori». Tutto questo ci prepara (si fa per dire) al “peggio” del Ttip, ovvero: le mega-aziende denunciano direttamente gli Stati, e lo fanno presso tribuinali speciali, fuori dalla giurisdizione nazionale. «Significa che abbiamo centinaia di multinazionali che possono aggredire con cause costosissime il nostro paese (gli studi legali per questo tipo di affari prendono parcelle da 3.000 euro al giorno per ciascun avvocato e sono in media una quindicina, per tempi biblici, e moltiplicateli per una pioggia di cause infinita) senza limiti di sorta, imponendoci spese di Stato rovinose, e di fronte alle quali un governo finisce quasi sempre per cedere e cambiare la legislazione d’interesse pubblico».Il ricatto è micidiale, insiste Barnard, perché «con il dogma economico neoclassico (vedi Eurozona) non è più lo Stato che può intervenire con la sua spesa a dar lavoro, reddito e protezione a cittadini e aziende: oggi quel “pane” a tutti ce lo danno i “mercati”, cioè quelle corporations di beni e finanza». Per cui, ecco la minaccia: «Se perdono le cause ritireranno gli investimenti (il pane) dalle nostre tavole nazionali e noi siamo fottuti». Per Barnard, «già a questo stadio un governo finisce per cedere, ma c’è di peggio». E cioè: nei futuri tribunali internazionali, per gli Stati europei sarà praticamente impossibile difendersi. «In tutti gli aspetti del vivere – governati, o anche solo lambiti dai commerci di beni e servizi – il Ttip può divenire letale per famiglie, cittadini, piccole medie aziende, democrazia e Stato stesso. Ancora un’altra mazzata catastrofica all’idea di Mondo Migliore che tanti di noi sognavano o sognano per i propri bambini. Noi che sappiamo queste cose, noi che capiamo cosa fa e come si comporta il Vero Potere, noi che Renzi, i tagli Irpef, le europee, Grillo, Confindustria e i sindacati sappiamo essere fuffa, zero, nulla in grado di proteggerci da nulla. Good luck».Se fino a ieri una multinazionale americana poteva chiedere a Washington di denunciare un singolo governo europeo per i “mancati profitti” provocati da una legge che tutela il lavoro, l’ambiente, la salute o la sicurezza alimentare, con l’entrata in vigore del Ttip siamo alla fase-2 della globalizzazione, quella terminale: saranno le mega-aziende a denunciare direttamente i nostri governi, e lo faranno presso tribunali speciali, off shore, gestiti da avvocati d’affari che ai governi potranno infliggere sanzioni così salate da scoraggiare in partenza qualsiasi forma di resistenza a tutela di cittadini, aziende e lavoratori. “Merito” dell’oligarchia che si è messa in moto, «la solita lobby d’élite finanziaria e grande industriale», cioè «i mastini del Vero Potere», quelli che «non si fermano mai». Proprio lei, la super-lobby, secondo Paolo Barnard «ha fatto quello che doveva fare: vincere». Si chiama S2B, acronimo dell’inglese “Seattle to Bruxelles Network”. «Ci trovate: J.P. Morgan, Chevron, Bnp Paribas, Microsoft, Uniliver, Philip Morris, Glaxo, Ford, Shell, Monsanto, Goldman Sachs… devo continuare?».