Archivio del Tag ‘lavoro’
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Il super-ricco Cuban: studiate filosofia, domani varrà oro
Nonostante l’evocativo cognome, Mark Cuban è un miliardario americano da tempo segnalato su “Forbes” come uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti. Agli sportivi è più noto per essere il presidente dei Dallas Mavericks, la squadra texana di basket. Di economia ne capisce parecchio, visto che vanta quasi 4 miliardi di dollari di patrimonio nonostante l’umile famiglia (padre tappezziere) e un cognome originario, Chabenisky, che tradisce l’origine russa, mentre la madre era una casalinga rumena. E’ stato il tipico ragazzo americano povero che si arrangiava con i lavoretti, ma con notevole fiuto per gli affari, se è vero che da studente universitario si è aperto un bar, subito divenuto famoso e frequentatissimo, poi una microsocietà di produzione di software, rivenduta a breve per 6 milioni di dollari. E’ proprietario di una televisione, e si è saputo gestire anche come investitore in campo finanziario. Da uno così non ti aspetteresti il consiglio di studiare filosofia, eppure lo ha fatto in una recente intervista, pure sbilanciandosi in una previsione per certi punti di vista facile, che non posso fare mia solo perché sostengo la medesima cosa già da anni.Il portale “Glassdoor” che si occupa di dare informazioni in ambito di lavoro afferma che i laureati in informatica o ingegneria saranno i più pagati, in futuro, cioè con uno stipendio migliore degli altri rispetto ai laureati in discipline umanistiche. A parte che chi sostiene che la filosofia sia “solo” umanistica non sa di cosa sta parlando, non ci pare che il celebre portale dica una cosa sconosciuta sulle differenze stipendiali tra laureati in storia dell’arte o lettere e quelli in ingegneria meccanica. Nel prendere atto del segreto di Pulcinella svelato da “Glassdoor”, Mark Cuban prevede che le cose cambino. In una intervista rilasciata alla “Abc”, ha sostenuto che tra dieci anni una laurea in filosofia varrà molto di più di una laurea in informatica. Perché? La spiegazione è tecnica ed economica, niente affatto romantica o legata alle preferenze personali di Cuban. Secondo il miliardario americano la tecnologia relativa all’Intelligenza Artificiale (Ai) cambierà completamente il mercato del lavoro, ma non nel senso che ci saranno lavori per i tecnici, bensì nel senso che arriverà ad auto-programmarsi.«Con l’intelligenza artificiale automatizzeremo l’automazione – dice Cuban – e l’Ai non avrà bisogno di me o di voi per farlo, nei prossimi dieci o quindici anni sarà capace di capire da sola come rendere automatici questi processi». Secondo Cuban, paradossalmente, saranno proprio i programmatori a farne le spese, ed è per questo che spinge a studiare discipline che forniscono elasticità e a pensare in grande, come la filosofia. «Saper pensare in modo critico, avere la capacità di valutare in una prospettiva globale – afferma Cuban – per me ha già valore oggi, ma ne avrà molto di più tra dieci anni». Inoltre, aggiungo io, sono molti gli studiosi di filosofia che si sono affermati nel mondo dell’imprenditoria, del management e della finanza, da Marchionne a Turner, fondatore della “Cnn”, ma non mancano severe eccezioni a questa regola, come il nostrano Chicco Testa (o testa di Chicco?) per nostra disgrazia già presidente dell’Enel.(Massimo Bordin, “Il miliardario americano Mark Cuban non ha dubbi: studiate filosofia!”, dal blog “Micidial” del 15 settembre 2018).Nonostante l’evocativo cognome, Mark Cuban è un miliardario americano da tempo segnalato su “Forbes” come uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti. Agli sportivi è più noto per essere il presidente dei Dallas Mavericks, la squadra texana di basket. Di economia ne capisce parecchio, visto che vanta quasi 4 miliardi di dollari di patrimonio nonostante l’umile famiglia (padre tappezziere) e un cognome originario, Chabenisky, che tradisce l’origine russa, mentre la madre era una casalinga rumena. E’ stato il tipico ragazzo americano povero che si arrangiava con i lavoretti, ma con notevole fiuto per gli affari, se è vero che da studente universitario si è aperto un bar, subito divenuto famoso e frequentatissimo, poi una microsocietà di produzione di software, rivenduta a breve per 6 milioni di dollari. E’ proprietario di una televisione, e si è saputo gestire anche come investitore in campo finanziario. Da uno così non ti aspetteresti il consiglio di studiare filosofia, eppure lo ha fatto in una recente intervista, pure sbilanciandosi in una previsione per certi punti di vista facile, che non posso fare mia solo perché sostengo la medesima cosa già da anni.
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Becchi e Palma: via il Fiscal Compact, torniamo a crescere
La guerra sui numeri che impazza in questi giorni su Tv e giornali ha un nome ed un cognome: Fiscal Compact. Di cosa si tratta? Di un trattato intergovernativo, firmato il 2 marzo 2012 per il nostro paese da Mario Monti, con il quale ci impegnavano al pareggio di bilancio e a ridurre il rapporto debito pubblico/Pil di un ventesimo all’anno. L’Italia subiva le conseguenze del colpo di Stato con il quale era stato fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi e, in deroga ai trattati istitutivi dell’Unione (Maastricht e Lisbona), si impegnava a fare pareggio di bilancio, cioè zero spesa a deficit. Il governo Monti – tra il plauso dei media – sottoscrisse quel trattato intergovernativo imponendo la cosiddetta austerità. Anche se nessuno oggi lo ricorda, è per questo che ormai da diversi anni i governi italiani fanno a braccio di ferro con Bruxelles per elemosinare lo “zero virgola” in più. Il Fiscal Compact – ribadiamolo – è un trattato intergovernativo, quindi non rientra formalmente nei trattati dell’Unione Europea. Tuttavia, il secondo comma dell’articolo 2 del trattato – sul punto – è chiarissimo: «Il presente trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea. Esso non pregiudica la competenza dell’Unione in materia di unione economica».Bene. Se il Fiscal Compact, per sua stessa previsione, è applicabile solo se compatibile con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea, va da sé che sia palesemente nullo. Vediamo perché. I trattati istitutivi della Ue, su tutti quello di Maastricht e successivamente quello di Lisbona, prevedono che ciascuno Stato possa spendere a deficit nella misura del 3% del rapporto deficit pubblico/Pil. Poco, a dire il vero, ma in linea di principio non è austerità. Vi è di più. Maastricht e Lisbona prevedono anche che gli Stati possano andare oltre il tetto del 3% quando la spesa a deficit riguarda investimenti produttivi ad alto impatto sul prodotto interno lordo. Una eccezione limitata e temporanea, alla quale hanno fatto ricorso più volte nel corso degli anni Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, senza che nessuno battesse ciglio. L’Italia, invece, dal 2007 in avanti si è (con poche eccezioni) tenuta sotto la soglia del 3%. Il Fiscal Compact, però, in quanto non conforme ai trattati istitutivi della Ue, è nullo – come scriveva qualche anno fa Giuseppe Guarino, e oggi tutti se lo sono dimenticati. Un trattato intergovernativo, che per suo stesso espresso richiamo va applicato finché sia compatibile coi trattati istitutivi dell’Unione, deve essere ritenuto nullo dal governo italiano in quanto non conforme alle fonti del diritto gerarchicamente superiori, cioè i trattati istitutivi.Stando così le cose, la guerra sui numeri non ha alcun senso. Il Def predisposto dal governo Gentiloni-Padoan aveva previsto, per il 2019, un rapporto deficit-Pil dello 0,8% (corretto allo 0,9%). Il ministro dell’economia dell’attuale governo, Giovanni Tria, vorrebbe fare invece l’1,6%, una soglia più alta ma non sufficiente per portare a compimento le misure più incisive del “contratto di governo”. Che fare, quindi? La decisione è politica e spetta ai due vicepresidenti del Consiglio. Si dovrebbe a nostro avviso procedere con la denuncia unilaterale del Fiscal Compact e tornare – per ora realisticamente – almeno ai parametri di Maastricht. Dall’anno prossimo la musica potrà cambiare. Con un Europarlamento e una Commissione Europea meno invasive si potrà mettere mano anche alla soglia del 3%. Tria o non Tria, qui bisogna iniziare a capire che il ministro dell’economia non può limitarsi a far quadrare conti, altrimenti ci saremmo tenuti Monti e Padoan. Nell’anno del referendum costituzionale, Renzi portò il rapporto deficit-Pil al 2,5% dando agli insegnanti e ai diciottenni la mancetta elettorale dei 500 euro per i concerti. Una misura fatta solo per strappare qualche consenso. Salvini e Di Maio vorrebbero invece arrivare poco sotto il 3% per ridurre le tasse alle partite Iva, abbassare un po’ l’età pensionabile e ridare dignità a chi resta senza lavoro o lo sta cercando. Se rinunciano a questo inizieranno a perdere consensi. Rinunciare al proprio bilancio di Stato significa rinunciare ad essere uno Stato. Bisogna avere coraggio e cominciare a fare l’interesse nazionale. Questo si aspettano gli italiani da un governo sovranista.(Paolo Becchi e Giuseppe Palma, “Liberiamoci dal Fiscal Compact e torneremo a crescere, il ministro Tria abbia maggiore coraggio”, da “Scenari Economici” del 26 settembre 2018).La guerra sui numeri che impazza in questi giorni su Tv e giornali ha un nome ed un cognome: Fiscal Compact. Di cosa si tratta? Di un trattato intergovernativo, firmato il 2 marzo 2012 per il nostro paese da Mario Monti, con il quale ci impegnavano al pareggio di bilancio e a ridurre il rapporto debito pubblico/Pil di un ventesimo all’anno. L’Italia subiva le conseguenze del colpo di Stato con il quale era stato fatto cadere l’ultimo governo Berlusconi e, in deroga ai trattati istitutivi dell’Unione (Maastricht e Lisbona), si impegnava a fare pareggio di bilancio, cioè zero spesa a deficit. Il governo Monti – tra il plauso dei media – sottoscrisse quel trattato intergovernativo imponendo la cosiddetta austerità. Anche se nessuno oggi lo ricorda, è per questo che ormai da diversi anni i governi italiani fanno a braccio di ferro con Bruxelles per elemosinare lo “zero virgola” in più. Il Fiscal Compact – ribadiamolo – è un trattato intergovernativo, quindi non rientra formalmente nei trattati dell’Unione Europea. Tuttavia, il secondo comma dell’articolo 2 del trattato – sul punto – è chiarissimo: «Il presente trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i trattati su cui si fonda l’Unione Europea e con il diritto dell’Unione Europea. Esso non pregiudica la competenza dell’Unione in materia di unione economica».
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Salvini con Bannon e Orban? Big Business resusciterà il Pd
Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.Oltretutto, è già stato ampiamente previsto che proprio l’odierna crisi degli “emergenti” già cova in sé l’usuale rimbalzo sia speculativo che in termini di produzione, con profitti cosmici per gli investitori. Il punto: gli uomini con le scarpe da 5.000 dollari che stanno a Manhattan, Hong Kong, Davos o a Francoforte sanno fare i loro conti coi soldi, e oggi, al contrario di solo pochi anni fa, non si possono più permettere di ‘offendere’ quelli neri, marron o gialli. L’accusa, o anche solamente il sospetto, di simpatie o contiguità con la parola razzismo è fra le ultime cose che vogliono al mondo. Basta un titolo sul “Wall Street Journal” che insinui quella vicinanza e loro ci smenano miliardi in pochi minuti. No, non deve succedere. L’implacabile sobillare del padano nella direzione dell’ipertrofico allarme migranti ha appiccicato a questo governo una colossale etichetta di razzismo-xenofobia populista agli occhi di tutto il mondo, e ora non ce la leva più nessuno. Unite i puntini e starete capendo cosa accadrà.L’Italia è un paese ancora ricco, con un notevolissimo bottino in assets privati, che ispira grandi appetiti fra gli investitori internazionali. Si pensi solo che Assogestioni, che ha il polso del risparmio delle famiglie italiane, ha registrato a metà 2016 il suo record storico di patrimonio con 1.857 miliardi, più dell’intero Pil nazionale. E’ quindi ovvio che i mercati non rinunceranno a operare in Italia. Ma fosse stato solo per gli sbraiti nazionali a tinteggiature razziste populiste di Matteo Salvini, e delle sue folle nelle piazze o sui social, è anche possibile pensare che gli investitori internazionali avrebbero solo esercitato prudenza, con Roma. In altre parole: far affari, ma con un basso profilo. Invece, come detto, tutto è cambiato per il peggio e senza rimedio dopo che Salvini si è associato inequivocabilmente, platealmente e sbracando del tutto con Steve Bannon e Viktor Orban. Un atto politico irresponsabile per il paese.I mercati pianificano il loro futuro in politica non a 8 stupidi mesi (le europee) come fa l’esaltato fan-club leghista, ma a 10 o 30 anni. Ora gli investitori internazionali, dopo l’irrimediabile svolta di cui sopra e, ricordo ancora, con ¾ di occhio puntato a tenersi buoni i mercati emergenti dei ‘neri, marron e gialli’, stanno scegliendo l’unico loro possibile interlocutore rimastogli in Italia, quello che non rischia di finire sul “Wall Steet Journal” o su “Bloomberg” come razzista populista: il centrosinistra, che peraltro fu sempre il loro favorito. Il Movimento 5 Stelle è per il momento fuori dai loro radar, perché incatenato (e sottomesso risibilmente) alla Lega. A cosa credete che stiano lavorando in quest’epoca i Romano Prodi, Mario Monti, Corrado Passera o i Giovanni Bazoli, e naturalmente Mattarella e Draghi con la loro enorme rete di contatti in finanza e nelle Powerhouse del mondo? Per essere ancor più chiari: Big Business non potrà sposarsi con un trionfo a breve termine (2019) dei razzisti Bannon, Orban, Salvini e codazzo in Ue. Starà calmo in superficie, mentre finanzierà sia la rapida caduta dei populisti che il ritorno dei soliti noti. Ancora dettagli.La storia delle spinte ai partiti da parte della lobbistica e dei mercati, con finanziamenti, appoggi trasversali, lavori di persuasione mediatica, scolastica, accademica, e in particolare di terrorismo economico sugli elettori, l’ho lungamente descritta nella parte storica de “Il Più Grande Crimine”. Ne sarà beneficiario nei prossimi 5-10 anni il centrosinistra, e tornerà a vincere. Basterebbero a questo fine anche solo le aste dei titoli con cui si finanzia il nostro Tesoro, perché sono loro a decidere chi governa o meno, e dunque se tu avrai una vita decente o invece una lunga miseria di fatiche. Quelle aste, di nuovo, le hanno totalmente in mano gli investitori internazionali di cui sopra, perché l’Italia, anche con Salvini e i suoi economisti in malafede, è incastonata nell’Eurozona senza che nessuno seriamente intenda togliervela. E’ desolante nella sua stupidità l’elettorato gradasso tinto di verde nella sua convinzione che nessuno più fermerà il populismo. Balle, loro stessi (e per primi) si squaglieranno al sole quando gli stolti populismi europei mancheranno miseramente di ‘consegnargli il concreto’ nei portafogli.Avete presente i proverbiali topi che saltano dalla nave? Saranno nulla in confronto. Sappiamo bene di cosa è capace l’italiano medio nel suo genio supremo, il trasformismo. Ho descritto quella che sarà una catastrofe a tutto tondo, e per essa dovrete solo ringraziare Matteo Salvini nella sua smisurata e miope ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia. Ma non è tutto. Ci sono i Faang. Sono ahimè pochissimi gli italiani che assieme a me si stanno rendendo conto che qualcosa di ancor più inaudito sta avvenendo alle spalle delle già epocali manovre post-capitalismo sopra descritte. Please welcome i Faang, cioè la dilagante conquista di ogni frammento di globo da parte delle tecnologie di Facebook (F), Apple (A), Amazon (A), Netflix (N), e Google (G) – ma non ci si dimentichi di Alibaba, Tencent, Huawei, dall’altra parte del pianeta, e di migliaia di altri simili al seguito in ogni dove.Come ho già scritto in due anni di lavoro, i colossi “tech” vanno man mano acquisendo niente meno che le chiavi private della vita sul pianeta in ogni campo, dalla finanza alla medicina alle comunicazioni; dai trasporti civili e commerciali all’energia alle materie prime; dagli alloggi alla difesa al cibo stesso, e si potrebbe continuare all’infinito. Possono farlo perché sono loro, e non più il vecchio capitalismo industriale, a brevettare quasi tutto ciò che di nuovo nasce sulla Terra da almeno 20 anni a questa parte. Ma di più: il loro strapotere è balzato oltre l’atmosfera con il dilagare della loro Artificial Intelligence (Machine Learning in particolare), perché, come epicamente detto dal fondatore di Google-DeepMind Demis Hassabis, «noi vogliamo padroneggiare l’intelligenza, e poi risolvere tutto il resto». Questo fu geniale, perché davvero è solo l’intelligenza il motore dell’umanità, e chi la controllerà con le “tech” controllerà il mondo. Ma anche senza esplorare nei dettagli l’inimmaginabile nuovo potere dei Faang e soci, chiunque oggi non viva nelle catacombe vede ogni giorno come la società e l’economia di ogni centimetro quadrato della Terra stiano vestendosi sempre più di Faang.E rieccoci al punto: per motivi che ho per primo divulgato al pubblico, i nuovi padroni “tech” del pianeta stanno correndo forsennatamente verso posizioni etiche sempre più avanzate, che piazzano in primo piano in ogni loro pubblica mossa, ricerca di laboratorio e prodotto. Fa parte del Dna della loro strategia di vendita globale. Occorrerebbe un saggio enorme per dare conto con esempi di questo, ma dovrebbe essere evidente a chiunque segua anche solo distrattamente il dibattito sulle “tech”. Dunque se la parola “Ethics” è spalmata dappertutto fra i padroni del futuro, le parole “Racism” e la consociata “Populism” sono per essi letteralmente virus di peste bubbonica, e anche solo sfiorassero l’immagine aziendale di questi colossi gli farebbero perdere tali volumi d’affari da impietrire i loro Ad. Riapplicate su Faang e soci quanto già detto sopra nel caso degli investitori internazionali, e ci risiamo: con un Salvini al governo che ora puzza internazionalmente del razzismo populista di Bannon-Orban, i padroni delle chiavi orivate della vita sul pianeta in ogni campo sterzeranno molto alla larga dalla Roma gialloverde, e indovinate su chi punteranno? Vi rendete conto di che razza di spinta politica si tratta? Più che spinta, è una certezza.Concludo riprendendo il testimone da qui: il populismo italiano, prima di Salvini e dei suoi inguardabili compari, aveva il potenziale di svilupparsi in una nuova frontiera della difesa dei nostri diritti costituzionali macellati dalla Ue, alla luce del disgustoso tradimento della sinistra politically correct. Ora è un’etichetta marcia, inavvicinabile e senza futuro. La colpa è ben ferma sulle spalle di Matteo Salvini, “nella sua smisurata ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia”. Mercati e Faang sono ora costretti a riportarci il Peggior (P) Destino (D) possibile, nella camera a gas chiamata Eurozona. Agli esagitati stupidi che “il trionfo sarà fra 8 mesi” (le europee), ricordo ancora che oggi il loro futuro è pianificato a 10 o 30 anni a partire da questo minuto da chi gli finanzia il 100% dell’ossigeno di cui vivono. E con quest’arma in mano, quelli difficilmente perdono. Che il volere del popolo sia infermabile è la più sonora balla mai raccontata ai popoli. Da chi? Dai populisti alla Salvini.(Paolo Barnard, estratto dal post “Salvini ha sbracato e ci riporterà il Pd, ecco come”, pubblicato sul blog di Barnard il 26 settembre 2018).Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.
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Galloni: perché l’Italia attira e sfrutta lavoratori clandestini
La Guardia di Finanza ha arrestato alcuni malviventi marocchini che gestivano diversi extracomunitari, prevalentemente clandestini, occupati in attività agricole nel forlivese: paghe fino a 6 euro al giorno per giornate di 14 ore di lavoro agricolo durissimo. Prima considerazione: se non ci fossero regole nel mondo del lavoro, il liberismo sfrenato porterebbe a rendere “normali” situazione come quella descritta. Seconda considerazione: gli imprenditori italiani hanno bisogno di lavoratori così sfruttati per tenere bassi i costi di produzione o per realizzare sovraprofitti? Terza considerazione: se è per tenere bassi i costi (e non importare prodotti a basso prezzo, ad esempio dal Nordafrica), non sarebbe meglio cambiare modello economico e basarsi sullo sviluppo locale, l’autoproduzione, i km zero anche introducendo monete complementari che spiazzino le merci della globalizzazione?Quarta considerazione: se è per realizzare un sovraprofitto, allora è necessario stabilire minimi salariali tali da interessare l’assorbimento di disoccupati locali e rafforzare i controlli amministrativi perché il supersfruttamento dei lavoratori venga bandito. Conclusione: prima bisogna stabilire il salario minimo e farlo rispettare anche con la forza dello Stato; poi e solo poi, valutare se non ci sono lavoratori disponibili, ovvero se non è meglio modificare il modello economico. Nel senso di favorire la sostituzione delle importazioni anche attraverso il pratico strumento della introduzione, a livello locale, di una valuta di basso pregio, che possa circolare solo su un territorio circoscritto (all’incirca un quarto o un quinto di una provincia media) garantendo, così, lo spiazzamento dei prodotti della globalizzazione.Ciò rappresenterebbe un fortissimo sostegno all’occupazione, un importante incentivo all’emergere del nero e del grigio, senza nessuna compromissione di chi volesse risultare in grado di esportare i prodotti del made in Italy di notevole qualità. La qualità dev’essere la forza del made in Italy ed il prezzo di vendita (costo di produzione + profitto) dev’essere la discriminante tra la merce veramente made in Italy (da esportare in valuta internazionale) e quella, sì prodotta in Italia, ma da commercializzare prevalentemente a livello locale.(Nino Galloni, “Cosa dobbiamo capire della presenza dei clandestini in Italia”, da “Scenari Economici” del 22 settembre 2018).La Guardia di Finanza ha arrestato alcuni malviventi marocchini che gestivano diversi extracomunitari, prevalentemente clandestini, occupati in attività agricole nel forlivese: paghe fino a 6 euro al giorno per giornate di 14 ore di lavoro agricolo durissimo. Prima considerazione: se non ci fossero regole nel mondo del lavoro, il liberismo sfrenato porterebbe a rendere “normali” situazione come quella descritta. Seconda considerazione: gli imprenditori italiani hanno bisogno di lavoratori così sfruttati per tenere bassi i costi di produzione o per realizzare sovraprofitti? Terza considerazione: se è per tenere bassi i costi (e non importare prodotti a basso prezzo, ad esempio dal Nordafrica), non sarebbe meglio cambiare modello economico e basarsi sullo sviluppo locale, l’autoproduzione, i km zero anche introducendo monete complementari che spiazzino le merci della globalizzazione?
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Casalino e il Deep State. Mazzucco: che ingenui, i 5 Stelle
«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».Mazzucco è un abile demistificatore: ben attento a non finire nel variopinto girone del complottismo “gridato”, si dedica da anni a studiare meticolosamente i complotti veri. E’ stato tra i primi a dimostrare che la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. E nell’ultimo film, “American Moon”, certifica che le storiche immagini dell’allunaggio, purtroppo, non sono state affatto realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa. Fa sempre notizia il lavoro di Mazzucco, sia che si tratti della “nuova Peral Harbor” scatenata a Manhattan e comodamente attribuita ad Al-Qaeda, sia che sul monitor compaia una seria indagine sulle cure alternative per il cancro. E a proposito di salute: non certo ostile ai 5 Stelle, Mazzucco ha aspramente criticato il clamoroso voltafaccia sui vaccini, coi pentastellati prima tiepidi sul decreto Lorenzin e poi in confusione assoluta, ora che – con Giulia Grillo – avrebbero in mano le leve ministeriali del governo della sanità. Solo che, tra il dire e il fare, c’è appunto di mezzo la politica: «Me ne sono sempre tenuto alla larga, proprio perché temo quell’ambiente», confessa Mazzucco: «In passato ho anche rifiutato di impegnarmi personalmente, quando mi è stato chiesto di candidarmi, perché so che, per come sono fatto, essere costretto a confrontarmi con certe dinamiche mi farebbe perdere il sonno. Non fa per me, ecco tutto».Se però stiamo parlando di un soggetto politico come i 5 Stelle, aggiunge Mazzucco, le cose cambiano: «Nel momento in cui ti candidi a rivoluzionare l’Italia, non puoi non sapere che tipo di ostacoli incontrerai. I tuoi elettori, per primi, si aspettano che tu sappia perfettamente come muoverti. Bel guaio, se adesso scoprono che non sai bene che pesci pigliare». Un intero ministero che “rema contro” ostacolando lo stesso ministro, come nel caso di Tria, secondo la versione di Casalino? «Ma è ovvio, scusate», protesta Mazzucco: «Funziona così persino negli Usa», dove pure c’è un forte spoil-system e un robusto ricambio di funzionari, scelti dal politico che ha vinto le elezioni. «Il fatto è che puoi cambiare il ministro della difesa, non i generali: quelli restano. E se vogliono fare una guerra, prima o poi il ministro lo tirano dalla loro parte». Si chiama Deep State, ed è il potere che avrebbe bypassato lo stesso Bush durante la crisi dell’11 Settembre, per poi bivaccare alla Casa Bianca con Obama. Un potere, sempre lo stesso, che sta cercando di mettere in croce l’imprevedibile Donald Trump, finora sfuggito al suo controllo (e quindi braccato dal fantasma dell’impeachment). Come si può pensare che in Italia, a maggior ragione, non valgano le stesse regole? Come sperare che il Deep State euro-italico ceda docilmente il timone del dicastero dell’economia, teleguidato da Bruxelles?Appena quattro mesi fa, a fine maggio, Luigi Di Maio giunse ad annunciare ben altre dimissioni: non voleva mettere in stato di accusa oscuri funzionari, ma addirittura il capo dello Stato. La “colpa” di Mattarella? Aver impedito alla nascente alleanza gialloverde di insediare al ministero dell’economia Paolo Savona, fortemente avversato da Mario Draghi tramite il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Proprio da Visco, irritualmente, Mattarella “spedì” in udienza l’allora premier incaricato, Conte, perché prendesse nota delle raccomandazioni della banca centrale: guai a sforare il tetto (più che esiguo) imposto alla spesa pubblica dai super-poteri europei, pena lo tsunami dello spread. Nel giro di ventiquattr’ore, Di Maio ingoiò il rospo: rinunciare a Savona, pur di far nascere il governo. Giovanni Tria? Lo stesso Savona fu tra quanti ne approvarono la designazione, rivela Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Massone, Tria si dichiarò di opinioni progressiste, disponibile a infrangere – dopo inziali rassicurazioni – l’assurdo vincolo di spesa imposto dall’élite neoliberista che manovra le sedicenti istituzioni europee». Ora però lo stesso Magaldi è perplesso, su Tria: «Si decida a operare nel senso inizialmente concordato, viceversa i gialloverdi dovranno scegliere: o lui, o gli italiani (a cui hanno promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni dignitose, cancellando la legge Fornero)».Il guaio? Lo scomodissimo endorsement che l’euro-tecnocrate numero uno, «il gran maestro Mario Draghi, supermassone neo-aristocratico», ha tributato a Tria: apertamente elogiato, dal presidente della Bce, per la prudenza sui conti pubblici, ancora una volta improntati alla linea di rigore pretesa da Bruxelles. La battaglia è proibitiva: a “remare contro” il cambio di paradigma – più spesa pubblica, per rianimare l’economia – non sono solo Draghi, Visco e i fantomatici funzionari del ministero di Tria: tutto il mainstream giornalistico sta sparando ad alzo zero contro il nuovo governo. Ogni scusa è buona, a cominciare dall’intransigenza di Salvini sull’allegro “caos all’italiana” nella non-gestione dei migranti. E in questo pozzo di veleni, l’audio di Casalino irrompe come un petardo, per la gioia di telegiornali e talkshow. Tutto fa brodo, pur di continuare a non ragionare. Personaggi come Ferruccio De Bortoli (assistito nientemeno che da Piero Angela, su “Rai News 24”) arriva a rimpiangere la formidabile “ripresa” assicurata all’Italia dai compianti governi Renzi e Gentiloni, con all’economia Pier Carlo Padoan, ennesimo yesman di quel potere europeo che predica le virtù metafisiche del digiuno (altrui). Brutta bestia, il neoliberismo. Il suo capolavoro letterario, basato su conti truccati? La teoria – genere fantasy – della “austerity espansiva”, spacciata da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, da Harvard: fategli saltare i pasti, e l’affamato guarirà miracolosamente.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo del keynsiano Federico Caffè, interviene spesso nel dibattito pubblico per correggere le “fake news” immesse nel sistema da Carlo Cottarelli, tecnocrate di scuola Fmi e venerato dal Deep State (e dai media) come una sorta di vestale dei conti pubblici. Lo stesso Mattarella sventolò la “nomination” di Cottarelli a Palazzo Chigi per indurre a più miti consigli i gialloverdi, che all’economia volevano Savona. E’ semplicissimo, il ragionamento di Galloni, suffragato da prove incontrovertibili: ogni euro ben speso sotto forma di deficit “renderà” 3 o 4 volte tanto, l’anno seguente, in termini di lavoro, fatturato, assunzioni, gettito fiscale. E dato che la spesa pubblica produttiva fa crescere il Pil, il risultato è automatico: il debito pubblico, di colpo, farà meno paura (proprio perché supportato dalla famosa crescita, quella che forse – durante i governi Renzi e Gentiloni – De Bortoli avrà al massimo intravisto, lontana anni luce dall’Italia, solo grazie al potente telescopio di Piero Angela). Lo scomposto, imbarazzante Casalino? Perfetto, per permettere ai media di continuare – come sempre – a guardare il dito, anziché la Luna (quella vera, non la “American Moon” del film di Mazzucco). Tradotto: fino a quando un signore come Mario Draghi darà bei voti al nostro ministro dell’economia, per gli italiani saranno rogne. Meno soldi per tutti. “Austerity espansiva”: uno strano Ramadan, imposto da oligarchi che nessuno ha mai eletto. Una piovra tenace, con tentacoli ovunque – a partire dai ministeri economici. Appunto: possibile che i 5 Stelle non lo sapessero fin dall’inizio?«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».
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Pansa: ho paura per l’Italia, golpe in arrivo o guerra civile
Sarà un golpe a far cadere l’esecutivo Conte, incapace di gestire un’Italia ormai nel caos. Giampaolo Pansa, ovvero: l’apocalisse: il gioverno gialloverde «è pericoloso perché fa solo danni al paese, fa solo annunci e non combina niente: prima o poi verrà abbattuto». Fine della democrazia: «Non si andrà a votare: nessuno andrà a votare, perché le forze armate (che sono le sole ad avere le armi) interverranno. E’ la legge della vita». E’ un fiume in piena, Pansa, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, su “La7”. Vede un’Italia sull’orlo della guerra civile: «Qui siamo di fronte a quelli che ti rubano la casa e ti ammazzano la moglie. Siamo in situazione di pre-guerriglia…. e sono peggio del fascismo». Salvini? Imprudente, nel rivolgersi alla “pancia” degli italiani. Di Maio e i 5 Stelle? Drammaticamente inadeguati. «Volete Grillo? Volete una nazione governata da Di Maio? Volete che Grillo decida cosa fare della disoccupazione giovanile in Italia? Che decida come far pagare le tasse a chi non le paga, o come rimettere ordine negli asili, dove i bambini non riescono a trovare posto? Cavoli vostri, provateci. Io cerco di starne lontano. Poi – aggiunge – mi rendo conto che, se qualcuno comincia a usare delle armi diverse da quelle della protesta, e quindi comincia a sparare – cosa che avverrà (lo dico qui, la sera del 18 settembre) – non fingiamo di non sapere che questo è un paese pronto per una nuova guerra civile».Ad accogliere le clamorose esternazioni di Pansa, oltre all’attonita Gruber, Antonio Padellaro del “Fatto” e Marco Damilano de “L’Espresso”, il quale ammette che «l’attuale classe dirigente sollecita le frange estremistiche». Padellaro getta acqua sul fuoco, citando Ennio Flaiano: le barricate, gli italiani le fanno “coi mobili degli altri”. «Siamo in Italia: tutte le tensioni che verifichiamo ogni giorno poi si stemperano sempre in qualcosa che assomiglia al melodramma. Non scordiamoci che abbiamo attraversato persino le Brigate Rosse. E a proposito di complotti, abbiamo avuto la P2. Ricordando il passato, forse il presente ci appare meno drammatico». Pansa non concorda: per lui, Padellaro e il Fatto non hanno «gli occhiali giusti per vedere quello che succede davvero». Le Br? Le avremo anche “attraversate”, ma intanto «hanno ammazzato il politico più importante d’Italia, Aldo Moro, dopo averlo tenuto prigioniero per settimane in un “carcere del popolo” che gli apparati dello Stato facevano finta di non trovare». Flaiano? «Bella battuta, la sua, ma da caffè di via Veneto». La verità non è quella, sostiene Pansa: «C’è un odio profondo, che in Italia cova in tutti i ceti, anche in quelli che non consideriamo mai e chiamiamo ceti popolari: pensionati, casalinghe disperate, giovani che non trovano lavoro».Catastrofe imminente? «Io non vedo attorno a me un clima da guerra civile», protesta la Gruber. «Non lo vedi – replica Pansa – perché sei ancora agganciata all’oggi. Anch’io, se sto agganciato all’oggi, non vedo un clima da guerra civile, perché gli italiani pensano alle vacanze, alle donne, al modo di non pagare le tasse. Vorrebbero lavorare poco e guadagnare molto. Questo è un paese che non ha più spina dorsale». L’anziano giornalista, oggi 83enne, vede un odio dilagante e pericolosissimo, alimentato – più che da questo o quel partito – «dallo stato di fatto delle cose». Ammette: «Da un po’ di anni non vado più a votare, perché so che il mio voto verrebbe comunque sprecato: tutti i partiti sono screditati, la casta politica fa schifo». Insiste, Pansa: «Il governo di Di Maio finisce male perché è composto di prepotenti come Salvini o incompetenti che distruggeranno tutto: o finiscono male da soli o li faranno finire male altri». Il futuro è nero, sostiene il giornalista: «Non sono troppo pessimista, ho sempre visto verificarsi delle storie che non immaginavo si sviluppassero in quel modo». E aggiunge: «Quando succederà, la signora Lilli Gruber dirà: quella sera, quel vecchiaccio pessimista del “Giampa” aveva ragione».Fa impressione, ascoltare Giampaolo Pansa nelle vesti di profeta di sventure. Come giornalista fece storia, fin dagli esordi di “Repubblica”: in un’intervista, Enrico Berlinguer consumò il celebre strappo da Mosca (meglio la Nato che il Patto di Varsavia). Nel suo impareggiabile “Bestiario”, rubrica settimanale di Pansa su “L’Espresso”, trovavano posto l’Elefante Rosso e la Balena Bianca, impietosi ritratti del Pci e della Dc, colonne portanti del potere della Prima Repubblica. Ironico e tagliente, irriverente e sempre indipendente, Pansa, fino a dare scandalo con il saggio “Il sangue dei vinti”, bestseller da un milione di copie, vero e proprio tsunami capace di demolire i tabù della Resistenza raccontando le efferate vendette partigiane dell’immediato dopoguerra. Oggi, il vecchio Pansa appare smarrito di fronte ai confusi albori dell’ipotetica Terza Repubblica. Si rivolge a Lilli Gruber in modo affabile: «Tu sei una donna intelligente, una giornalista esperta, hai fatto politica, sei stata pure parlamentare europea». Già, ma la Gruber è anche ospite fissa del Gruppo Bilderberg, dettaglio che Pansa non cita. Gli altri due giornalisti nello studio di “Otto e mezzo” il 18 settembre? Damilano, punta di lancia del gruppo “Espresso-Repubblica”, è impegnato nel cannoneggiamento quotidiano del governo gialloverde, bombardando Salvini con accuse di xenofobia, razzismo e fascismo. Padellaro e il “Fatto”? Più indulgenti con i 5 Stelle, ma rigorosamente allineati all’impostazione neoliberista della narrazione economica: i tagli alla spesa sono sacrosanti, dogmi di fede.Da anziano veggente, come in una tragedia greca, Pansa-Tiresia vede che l’Italia si sta frantumando, ma è come se non sapesse leggere le cause della catastrofe in atto: una rivolta politica generalizzata, classificata comodamente sotto il nome di “populismo”, ma in realtà innescata dall’inaudito sfascio sociale prodotto dall’economia privatizzata “a tradimento” negli anni ruggenti di Pansa e colleghi. Quanti di loro videro davvero quel che si stava preparando? Quanti, tra gli allora fan di Di Pietro e Mani Pulite, si accorsero del summit a bordo del Britannia per la svendita del paese al capitale finanziario globalizzato? In quanti si accorsero del disastroso effetto del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, che trasformò il debito pubblico in tragedia nazionale? Da eterno battitore libero, oggi Pansa scorge – con angoscia – i sintomi di un malessere che potrebbe anche degenerare in brutalità palese. Ma è come se non avesse ancora metabolizzato la gravità degli eventi maturati nella storia recente, con il “golpe delle élite” che ci ha precipitato nella post-democrazia (ben prima dell’avvento del governo Conte). Se non altro Pansa parla per sé e racconta quello che gli sembra di vedere. Non è impegnato nella fabbricazione quotidiana del consenso, come i propagandisti di “Repubblica” e come la stessa Gruber, che oltre che “donna intelligente” e “giornalista esperta” è anche, di fatto, contigua agli architetti occulti della post-democrazia, gli “sciacalli” che hanno progettato l’attuale sfacelo – che, come dice Pansa, potrebbe anche far saltare in aria il paese.Sarà un golpe a far cadere l’esecutivo Conte, incapace di gestire un’Italia ormai nel caos. Giampaolo Pansa, ovvero l’apocalisse: il governo gialloverde «è pericoloso perché fa solo danni al paese, fa solo annunci e non combina niente: prima o poi verrà abbattuto». Fine della democrazia: «Non si andrà a votare: nessuno andrà a votare, perché le forze armate (che sono le sole ad avere le armi) interverranno. E’ la legge della vita». E’ un fiume in piena, Pansa, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, su “La7”. Vede un’Italia sull’orlo della guerra civile: «Qui siamo di fronte a quelli che ti rubano la casa e ti ammazzano la moglie. Siamo in situazione di pre-guerriglia…. e sono peggio del fascismo». Salvini? Imprudente, nel rivolgersi alla “pancia” degli italiani. Di Maio e i 5 Stelle? Drammaticamente inadeguati. «Volete Grillo? Volete una nazione governata da Di Maio? Volete che Grillo decida cosa fare della disoccupazione giovanile in Italia? Che decida come far pagare le tasse a chi non le paga, o come rimettere ordine negli asili, dove i bambini non riescono a trovare posto? Cavoli vostri, provateci. Io cerco di starne lontano. Poi – aggiunge – mi rendo conto che, se qualcuno comincia a usare delle armi diverse da quelle della protesta, e quindi comincia a sparare – cosa che avverrà (lo dico qui, la sera del 18 settembre) – non fingiamo di non sapere che questo è un paese pronto per una nuova guerra civile».
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Magaldi: i gialloverdi scelgano, Tria (e Draghi) o gli italiani
«Il massone Giovanni Tria scelga chi servire: il popolo italiano o l’élite neoliberista incarnata dal pessimo Mario Draghi, il demolitore dell’Italia, che ora si complimenta con lui». Non usa mezzi termini, Gioele Magaldi, nel sollecitare il governo gialloverde a diffidare dall’atteggiamento “frenante” del ministro dell’economia: «I gialloverdi avevano promesso agli elettori reddito di cittadinanza, meno tasse e pensioni dignitose. Se non manterranno la parola data saranno loro a pagare, non certo Tria e le altre figure tecniche dell’esecutivo». Dove trovare le coperture? Semplice: occorre sfondare il famoso tetto di spesa del 3%, stabilito da Maastricht in modo ideologico, senza alcun fondamento economico-scientifico: più deficit significa far volare il Pil e creare lavoro. «Si tratta di smascherare Bruxelles e ingaggiare una dura battaglia, in Europa: solo l’Italia può farlo. E se Tria “frena”, preferendo ascoltare Draghi, Visco e Mattarella, allora è meglio che Salvini e Di Maio lo licenzino, perché a pagare il conto alla fine saranno loro, per la gioia del redivivo Renzi, che infatti già accusa il governo gialloverde di parlare molto e combinare poco». La ricetta di Magaldi? «Non temere il ricatto dello spread e sfoderare con l’Unione Europea, per il bilancio 2019, la stessa fierezza mostrata da Salvini nel denunciare l’ipocrisia dell’Ue che lascia ricadere solo sull’Italia il problema degli sbarchi di migranti».
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Sapelli: Usa inerti, ma così l’Italia affonda nel Mediterraneo
Dove sono gli Usa? È un interrogativo che inizia a proporsi e a riproporsi, mano a mano che si dipana la lotta di potenza e di egemonia nel Mediterraneo, “lago atlantico” ormai contendibile all’egemonia nordamericana che aveva sostituito quella britannica nel 1956, quando gli Usa – con una mossa del cavallo – appoggiarono Nasser e la sua nazionalizzazione del canale di Suez. Schierandosi contro i paracadutisti sul Sinai lanciati da Regno Unito, Francia e Israele, gli Usa avevano finito per strappare ai sovietici il controllo dell’Egitto, per poi abbattere i partiti “baathisti” in Siria e in Iraq, e infine Gheddafi in Libia dopo l’11 Settembre. Un flashback che l’economista e storico Giulio Sapelli, sul “Sussidiario”, rievoca per richiamare l’attenzione sull’attuale disastro libico, specchio della debolezza mediterranea di un’Italia “abbandonata” dall’alleato americano. I contendenti degli Usa? Oggi non sono più solo i russi, scrive Sapelli, ma anche i francesi: hanno infatti saldato la loro influenza economica (con il Cfa, il franco francese-africano imposto a 14 paesi) a quella militare (dal genocidio dei Tutsi in Ruanda da parte degli Hutu pro-francesi, all’esercito schierato nel sub-Sahara).Proprio i francesi, aggiunge Sapelli, hanno sconvolto antichi equilibri di potenza post-coloniali (anche per contenere la crescente influenza cinese, da Gibuti a Suez, fino a Tripoli). Dal canto suo, Pechino si protende nel Mediterraneo, dove sembra propensa a negoziare con la Russia e con l’Egitto «per aver meglio a disposizione la via verso l’Alto Adriatico passando per Suez e continuare così sino all’Artico indebitando Stati e impiegando il lavoro forzato in infrastrutture mai finite e pericolose». E l’Italia? «E’ il vaso di coccio tra i vasi di ferro», scrive Sapelli. «La stella di Mattei brillò quando gli Usa si allearono con Nasser e scacciarono gli inglesi dal Mediterraneo, proteggendo di fatto gli italiani in Libia e in Algeria: provocarono l’odio e la vendetta francese, di cui l’eroico e mai compreso Enrico Mattei fu la vittima sacrificale». Ora, secondo Sapelli, la storia si ripete: Russia e Cina si riavvicinano con manovre militari, a cui gli Usa non oppongono alcuna strategia di contenimento. «L’unica via utile alla sicurezza mondiale sarebbe un’alleanza nordamericana con la Russia contro la nascente egemonia cinese, ma questo è assai difficile».Secondo Sapelli, «la Cina crolla egemonicamente in Asia perché disvela un volto imperialista, ma trionfa ancora in Europa grazie ai Quisling innumerevoli di cui dispone nell’eurocrazia e in molte nazioni europee, Francia e Italia in testa». Gli Usa? «Sono troppo divisi nel loro establishment per poter condurre una politica di potenza che comprenda l’importanza strategica del Mediterraneo». La prima nazione a patirne – va da sé – è proprio l’Italia, «stretta appunto tra la sua borghesia “vendidora” che vive sull’erosione della sovranità e del potenziale di ciò che dovrebbe essere la patria, e invece per costoro è un suk con clienti stranieri». Per questo, pesa ancora di più l’assenza strategica degli Stati Uniti: «Solo l’Italia può garantire gli Usa per un nuovo equilibrio di potenza in Africa del nord e nell’Africa sub-sahariana». Per Sapelli, è assolutamente necessaria una urgente discussione pubblica su questo tema, visto che «rischiamo la decadenza dell’Italia».Dove sono gli Usa? È un interrogativo che inizia a proporsi e a riproporsi, mano a mano che si dipana la lotta di potenza e di egemonia nel Mediterraneo, “lago atlantico” ormai contendibile all’egemonia nordamericana che aveva sostituito quella britannica nel 1956, quando gli Usa – con una mossa del cavallo – appoggiarono Nasser e la sua nazionalizzazione del canale di Suez. Schierandosi contro i paracadutisti sul Sinai lanciati da Regno Unito, Francia e Israele, gli Usa avevano finito per strappare ai sovietici il controllo dell’Egitto, per poi abbattere i partiti “baathisti” in Siria e in Iraq, e infine Gheddafi in Libia dopo l’11 Settembre. Un flashback che l’economista e storico Giulio Sapelli, sul “Sussidiario”, rievoca per richiamare l’attenzione sull’attuale disastro libico, specchio della debolezza mediterranea di un’Italia “abbandonata” dall’alleato americano. I contendenti degli Usa? Oggi non sono più solo i russi, scrive Sapelli, ma anche i francesi: hanno infatti saldato la loro influenza economica (con il Cfa, il franco francese-africano imposto a 14 paesi) a quella militare (dal genocidio dei Tutsi in Ruanda da parte degli Hutu pro-francesi, all’esercito schierato nel sub-Sahara).
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Carpeoro: il Lussemburgo, fogna d’Europa, accusa Salvini?
Si vergogni, il ministro del Lussembugo che osa insultare Matteo Salvini e, con lui, tutti gli italiani: il Granducato è il peggior paese d’Europa. Il ministro degli esteri Jean Asselborn? «E’ veramente uno dei personaggi più volgari e più idioti che io abbia mai visto: spero che mi quereli, perché dovrebbe farlo davanti a un giudice italiano, e lo voglio vedere un giudice italiano che mi condanna di fronte a questo personaggio». Parola di Gianfranco Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, all’indomani delle esternazioni dell’esponente del governo lussemburghese al summit europeo di Vienna. «In Lussemburgo – ha detto Asselborn – avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, erano migranti che guadagnavano i soldi affinché ne poteste avere per i vostri figli». Poi l’elegante chiosa finale («merda!»), pronunciata sbattendo il microfono, in perfetta consonanza con l’aggettivo “vomitevole” con cui il portavoce di Macron ha definito la politica italiana sui migranti. Carpeoro protesta: «Peggio ancora se l’insulto di Asselborn non era riferito a Salvini: vuol dire che era indirizzato a tutti gli italiani». Che hanno sì lavorato come immigrati nel Granducato, arricchendolo, ma mai quanto i maxi-evasori fiscali, anche italiani, di cui il Lussembugo è stato un sontuoso rifugio.«Il Lussembugo è lo Stato più volgare dell’Unione Europea», dice Carpeoro, senza giri di parole. «E’ il paradiso fiscale dove finiscono tutte le porcherie». Ne sa qualcosa lo stesso presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, che è stato «l’artefice delle porcherie fiscali più gravi e più importanti». Quindi, aggiunge Carpeoro, «non mi meraviglia se un ministro del Lussembugo dice che ci hanno dato loro i soldi per fare figli, in passato, perché erano i nostri soldi: hanno preso i soldi dai nostri evasori e poi, in qualche modo, li hanno un po’ riciclati». Tutti addosso a Salvini, oggi? Purché non ci si metta anche il Lussembugo, paese che farebbe meglio a tacere. Certo, aggiunge Carpeoro, sui migranti Salvini sta recitando una parte, come del resto lo stesso Trump. «A me le modalità di Salvini non piacciono», premette Carpeoro, che però aggiunge: «Il fatto che in questo momento si sia reso “nemico” di una serie di poteri e di espressioni del potere, per certi aspetti mi fa piacere». In altre parole: «Salvini fa quello che può, in un base a una situazione politica scardinata da una “sovragestione” che ha gestito crisi e risorse in maniera da metterla in ginocchio, l’Italia». Un establishment di cui anche l’increscioso Lussembugo fa parte, anche se il suo ministro degli esteri ha la faccia tosta – attaccando Salvini – di insultare gli italiani come popolo.Il Lussembugo, ricorda “Money.it”, è un piccolo paese di appena 550.000 abitanti, al confine con il Belgio, la Francia e la Germania. È a tutti gli effetti un paradiso fiscale, «perché applica una legislazione favorevole alle imprese, che permette alle società di risparmiare miliardi in tasse». Amazon, per esempio, ha la sua sede europea in Lussemburgo e trasferiva tutti i guadagni delle vendite realizzate in Europa attraverso il suo ufficio nel Lussemburgo. Banche e multinazionali: sono almeno 350 le società platenarie domiciliate fiscalmente nel Granducato: tra queste Abn Amro, Axa, Barclays, Bnp Paribas, Black e Decker, Carlyle e Citigroup. E poi Commerzbank, Credit Suisse e Deutsche Bank, FedEx, Gazprom, General Electric, Glaxo, Ikea. Ancora: Hsbc, Heinz, Jp Morgan e Pepsi, Procter & Gamble, Vodafone, Volkswagen, Walmart e Disney. Ben figurano anche marchi italiani come Banca Sella e Dolce e Gabbana, Finmeccanica, Intesa SanPaolo, Prada, Unicredit. Senza contare l’azienda più grande, Fiat-Chrysler, ora Fca. «Il trattamento fiscale ricevuto da Fiat in Lussemburgo grazie agli accordi sottoscritti nel 2012 con il Granducato – scriveva il “Fatto Quotidiano” nel 2016 – ha comportato un “vantaggio illegale”, riducendo di 20 volte l’utile imponibile». Per questo il gruppo automobilistico è stato chiamato a restituire «tra i 20 e i 30 milioni di euro», come stabilito dall’antitrust Ue.Quanto a Juncker, che Carpeoro definisce “l’architetto” di questo colossale sistema di evasione fiscale, l’attuale capo dell’Ue – già al vertice della Banca Mondiale, del Fmi e dell’Eurogruppo – guidò proprio il Lussembugo per 18 anni, dopo aver fatto del Granducato un paese-cavia: Juncker, ricorda “Rete Voltaire”, è stato l’uomo che, per anni, ha messo illegalmente sotto sorveglianza i tre quinti dei suoi concittadini, spiati segretamente dallo Srel, l’intelligence lussemburghese. Per questo, accusato nel 2013 da una commissione d’inchiesta, fu costretto alle dimissioni. Storica pedina dei poteri forti, Juncker fu accusato, in patria, di aver fatto schedare migliaia di persone a loro insaputa, dopo aver coperto la strategia della tensione di marca Gladio, basata su attentati “false flag” realizzati in collaborazione con i servizi segreti tedeschi. Strategia accuratamente collaudata proprio in Lussembugo, prima ancora che in Italia, con attentati a industrie, aeroporti, giornali, tribunali e commissariati di polizia. Sciolta ufficialmente la Gladio nel 1990, aggiunge “Rete Voltaire”, i servizi segreti di Juncker avrebbero poi «continuato a spiare illegalmente singoli individui per motivi privati senza che il premier intervenisse». Il loro direttore operativo, inoltre, creò «una società d’intelligence economica, la Sandstone, utilizzando risorse statali».Questo è il paese-modello dal quale il ministro Jean Asselborn dà lezioni a Matteo Salvini, ricordandogli che gli italiani “straccioni” dovrebbero dire grazie, in eterno, al generoso e nobile Lussembugo, il paradiso terrestre dei maggiori evasori fiscali. Un posto dove, secondo il giornale lussemburghese “Wort”, l’establishment politico tentò di fermare la magistratura che stava cercando di far luce sui sanguinosi attentati terroristici che avevano scosso il paese. Per zittire il giudice Robert Biever, che era giunto ad accusare direttamente il ministro della giustizia Luc Frieden di sabotare le indagini, fu scatenata una campagna di disinformazione e discredito, arrivando a incolpare il magistrato di turismo pedofilo in Thailandia. Gli oscuri attentati degli anni ‘80 contro l’innocuo Lussemburgo servivano a creare una tensione allarmante nella popolazione, al fine di far accettare leggi restrittive e un controllo totale su ogni singola persona, come afferma lo storico svizzero Daniel Ganser, che denuncia i contatti “coperti” tra l’intelligence lussemburghese e il Bnd, il servizio segreto della Germania. Legami storici: non a caso è stata Angela Merkel a piazzare Juncker a capo della Commissione Ue.Si vergogni, il ministro del Lussembugo che osa insultare Matteo Salvini e, con lui, tutti gli italiani: il Granducato è il peggior paese d’Europa. Il ministro degli esteri Jean Asselborn? «E’ veramente uno dei personaggi più volgari e più idioti che io abbia mai visto: spero che mi quereli, perché dovrebbe farlo davanti a un giudice italiano, e lo voglio vedere un giudice italiano che mi condanna di fronte a questo personaggio». Parola di Gianfranco Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, all’indomani delle esternazioni dell’esponente del governo lussemburghese al summit europeo di Vienna. «In Lussemburgo – ha detto Asselborn – avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, erano migranti che guadagnavano i soldi affinché ne poteste avere per i vostri figli». Poi l’elegante chiosa finale («merda!»), pronunciata sbattendo il microfono, in perfetta consonanza con l’aggettivo “vomitevole” con cui il portavoce di Macron ha definito la politica italiana sui migranti. Carpeoro protesta: «Peggio ancora se l’insulto di Asselborn non era riferito a Salvini: vuol dire che era indirizzato a tutti gli italiani». Che hanno sì lavorato come immigrati nel Granducato, arricchendolo, ma mai quanto i maxi-evasori fiscali, anche italiani, di cui il Lussembugo è stato un sontuoso rifugio.
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Chi hanno fatto santo, al posto del vero Francesco d’Assisi?
Secondo il filologo Igor Sibaldi, il “patrono d’Italia” non si chiamava neppure Francesco, ma Giovanni: era di origine provenzale, e dall’appellativo “il francese” nacque poi il nome canonico del futuro “poverello di Assisi”. Nel saggio “San Francesco, le verità nascoste” (Melchisedek) Gian Marco Bragadin denuncia «l’ipocrita ricostruzione che lo ha trasformato nel più fedele e mansueto servitore della Chiesa, nel medioevo e oltre, fino ai giorni d’oggi». Un falso storico: «Moltissimi documenti, scritti, memorie su Francesco (e probabilmente anche su Chiara) sono stati dati alle fiamme per non propagare un ritratto non idoneo a farne un obbediente santo della Chiesa cattolica». E non a caso, rivela la storica medievale Chiara Mercuri, autrice di “Francesco d’Assisi, la storia negata” (Laterza), per la biografia ufficiale di Francesco, ovviamente postuma, fu incaricato Bonaventura da Bagnoregio: un frate erudito, ma che non aveva mai conosciuto Francesco. Venne così effettuata una vera e propria opera di demolizione, spiega Paolo Franceschetti, autore di un saggio (“Alla ricerca di Dio”) che traccia ponti spirituali tra le diverse religioni. Specialità di cui era un campione proprio Francesco d’Assisi: vicino ai Catari, ai Templari e ai Sufi. Al punto da raggiunge il Sultano, in Egitto, nel settembre del 1219.
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Bavaglio al web in Europa: ce l’hanno fatta, ora sarà legge
Bavaglio al web: alla fine ce l’hanno fatta. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d’autore nel mercato unico digitale. La proposta sul copyright avanzata da Axel Voss è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, modificando leggermente i contestatissimi articoli 11 e 13, che furono bersaglio – a luglio – di una rumorosa campagna a favore della libertà di Internet. L’articolo 11, ricorda il “Corriere della Sera”, è quello che coinvolge anche la stampa e introduce l’obbligo del pagamento, da parte delle piattaforme come Google e Facebook, per l’utilizzo delle notizie, anche sotto forma di “snippet”, l’anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente. «Quindi: non si tratta più di riconoscere solo i diritti dell’intero testo, ma anche della sua presentazione online, che spesso è l’unica a essere consultata dai lettori». L’articolo 13 introduce invece l’obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. YouTube, ad esempio, sarà direttamente responsabile delle copie e degli spezzoni pirata che vengono caricati dagli utenti. Il via libera della plenaria (arrivato il 12 settembre) apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio.«Con la scusa della riforma del copyright, il Parlamento Europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva. Una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini», protesta Isabella Adinolfi, europarlamentare 5 Stelle. «Il testo approvato oggi dall’aula di Strasburgo contiene l’odiosa “link tax” e filtri ai contenuti pubblicati dagli utenti. È vergognoso, ha vinto il partito del bavaglio». Purtroppo, aggiunge la Adinolfi, sono stati respinti tutti gli emendamenti che il Movimento 5 Stelle aveva presentato, «in particolare l’articolo 11, che prevede l’introduzione della cosiddetta “link tax”, e il 13, che mira a introdurre una responsabilità assoluta per le piattaforme, nonché un meccanismo di filtraggio dei contenuti caricati dagli utenti», conclude. Che tirasse brutta aria, a Strasburgo, lo si capiva dalle premesse, anticipate di prima mattina dal “Blog delle Stelle”: «L’Europa dei banchieri e dei lobbisti ha scelto la sua preda: il web libero. Anziché scardinare i paradisi fiscali e salvare in modo serio il diritto d’autore, il Parlamento Europeo rischia di usare il copyright come una mannaia dei diritti dei cittadini».Non sono in pochi a ritenere che la riforma – avanzata nel 2016 dall’allora commissario Ue alla Digital Economy Günther Oettinger – potrebbe «distruggere Internet per come lo conosciamo». Per gli europarlamentari rappresentati da Julia Reda, relatrice per il Parlamento Europeo del dossier sulla riforma del copyright e membro del Partito Pirata tedesco, «il progetto limita la libertà di espressione online e mette in difficoltà i piccoli editori e le startup innovative». Di fatto, il divieto di citare liberamente le fonti (con l’introduzione della “link tax”) equivale alla censura preventiva sul web: fine della libera circolazione di contenuti, come finora è stato nella Rete. Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, punta il dito contro lo stesso Oettinger, il tedesco secondo cui sarebbero stati “i mercati” a “insegnare agli italiani come votare”. Proprio quell’Oettinger, dice Magaldi, milita nei circuiti supermassonici reazionari che hanno trasformato l’Ue in un mostro giuridico, gestito da tecnocrati al soldo di interessi privatistici che mirano a svuotare le democrazie e privatizzare Stati non più sovrani, a cui viene impedito di investire (sotto forma di deficit) per creare occupazione.Comunque lo si legga, l’attacco al web finisce per colpire uno strumento di comunicazione potentissimo, cercando di riportarlo sotto il completo controllo dei media mainstream, spesso protagonisti di un uso pressoché criminale di autentiche “fake news”. Il voto del Parlamento Europeo è stato salutato con soddisfazione da Antonio Tajani, coinvolto – secondo il saggista Gianfranco Carpeoro – nell’operazione che ha portato (premendo su Berlusconi) a bloccare la nomina, alla presidenza della Rai, di Marcello Foa, autorevole giornalista, autore del volume “Gli stregoni della notizia”, che smaschera le tante imposture del mainstream. Secondo Carpeoro, la manovra anti-Foa è nata dalle parti dell’Eliseo: Jacques Attali (mentore di Macron ed esponente della superloggia reazionaria “Three Eyes”) si sarebbe rivolto al massone Tajani e poi allo stesso Berlusconi, dopo essersi consultato con Giorgio Napolitano, che nel libro “Massoni” lo stesso Magaldi presenta come esponente della “Three Eyes”, la medesima superloggia nella quale milita Attali, contigua al mondo supermassonico di cui fa fa parte, da molti anni, il tedesco Oettinger, vero e proprio “architetto” del bavaglio europeo imposto al web.E’ noto a tutti che le oligarchie al potere, in Europa e non solo, hanno sviluppato un’enorme diffidenza nei confronti della Rete: un network che si ritiene abbia avuto un ruolo assai rilevante in tutti i “dispiaceri” che gli elettori hanno rifilato, negli ultimi anni, all’establishment – la Brexit e il referendum di Renzi, quindi l’elezione di Trump e infine il boom dei “gialloverdi” in Italia. «Se Grillo vuole fare politica fondi un partito, se ne è capace», disse Piero Fassino, non immaginando che l’ex comico non solo ce l’avrebbe fatta, ma sarebbe finito praticamente al governo, scalzando il Pd. Il Movimento 5 Stelle è stato creato proprio via web, a partire dalle candidature. Colpire il web in Europa, proprio oggi, significa predisporre contromisure in vista delle elezioni europee 2019, in cui i grandi poteri economici e oligarchici che si nascondono dietro la tecnocrazia Ue temono l’exploit dei partiti “sovranisti” e “populisti”, o meglio democratici. Mentre le televisioni sono letteralmente “militarizzate” dall’establishment, le vendite dei giornali sono in caduta libera. Ecco dunque la necessità, per gli oligarchi, di silenziare in ogni modo il web.Bavaglio al web: alla fine ce l’hanno fatta. Il Parlamento Europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d’autore nel mercato unico digitale. La proposta sul copyright avanzata da Axel Voss è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, modificando leggermente i contestatissimi articoli 11 e 13, che furono bersaglio – a luglio – di una rumorosa campagna a favore della libertà di Internet. L’articolo 11, ricorda il “Corriere della Sera”, è quello che coinvolge anche la stampa e introduce l’obbligo del pagamento, da parte delle piattaforme come Google e Facebook, per l’utilizzo delle notizie, anche sotto forma di “snippet”, l’anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente. «Quindi: non si tratta più di riconoscere solo i diritti dell’intero testo, ma anche della sua presentazione online, che spesso è l’unica a essere consultata dai lettori». L’articolo 13 introduce invece l’obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. YouTube, ad esempio, sarà direttamente responsabile delle copie e degli spezzoni pirata che vengono caricati dagli utenti. Il via libera della plenaria (arrivato il 12 settembre) apre ora la strada ai negoziati con il Consiglio.
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Ci sfruttiamo l’un l’altro: questa civiltà è destinata a crollare
La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria.Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.Oggi chi nasce a Roma è italiano. Fino a qualche decennio fa era cittadino vaticano. Oggi chi nasce in Corsica è francese. Prima era piemontese. Prima ancora era fenicio… I confini sono un’invenzione. E noi uccidiamo per quell’invenzione. Uccidiamo per la Patria. Uccidiamo per la Religione. Uccidiamo per l’Ideologia. La nostra civiltà – intendo la civiltà a livello mondiale, la civiltà umana – è al collasso. Perché ci sono dei circuiti perversi che accettiamo passivamente, dandoli per scontati, senza rifletterci. Pensateci: gente che si vende, tradisce, si abbrutisce, uccide per delle entità irreali. I numeri della Borsa – i milioni di miliardi che si muovono nei “mercati” ogni giorno – non corrispondono a niente. Il denaro stesso – che un tempo era il corrispettivo delle riserve auree – non corrisponde più a niente. Ma già l’oro in sé non corrispondeva a niente di veramente prezioso. Cos’è l’oro? Si mangia? Si beve? Ci si ripara? Gli Aztechi e i Maya pensavano che gli spagnoli se ne nutrissero, non capivano tanta avidità per un metallo.Pensateci: per questa concezione perversa dell’economia ci ritroviamo con vaste aree del globo terrestre ricchissime di tutto ciò che è prezioso (acqua, terreno, colture, clima, minerali…) che sono in miseria. E ci sono invece posti in mezzo al deserto, dove non cresce nulla e si vive a stento, in cui costruiscono piste da sci tra la sabbia, in cui fontane d’acqua dolce zampillano in ogni angolo e in cui la gente muore per il colesterolo alto. Vi sembra normale, questo? Pensateci: intere classi sociali, anche in Italia, si fanno a guerra per i pochi beni a disposizione. «Non c’è lavoro per tutti», si dice. «Non ci sono risorse per tutti», si dice. «È una guerra tra poveri», si dice. Ogni giorno i bar, le pasticcerie, i supermercati, le pizzerie, i ristoranti buttano via tonnellate di cibo. Ogni giorno. Tonnellate di cibo ogni giorno. Non ci sono risorse per tutti? Ogni stagione vengono lasciati marcire o schiacciati con i trattori tonnellate di pomodori, arance, zucchine, mele… Ettolitri di latte versato nel terreno. Non ci sono risorse per tutti? È una guerra tra poveri? Ma siamo davvero così poveri? Pensateci: non c’è lavoro per tutti. No. Siamo nel 2016.Un tempo per coltivare un campo che rendeva 100 dci volevano 20 persone. Oggi bastano 3 persone e un trattore. E il campo rende 300, grazie alle biotecnologie. Ci sono 19 persone di troppo. Certo, alcuni di quei contadini di troppo andranno a costruire i trattori. Ma sono comunque troppi. Ma il punto non è questo. Il punto è che il salario per il lavoro è un’invenzione. Se fossimo davvero nel 2016 e se fossimo davvero avanzati come civiltà, non ci sarebbe una cosa come “il salario”. Le ore di lavoro non sarebbero per la sopravvivenza – quella dovrebbe essere garantita dal fatto che sei un essere umano e hai diritto di vivere. Le ore di lavoro sarebbero il tuo contributo alla comunità nella quale sei nato. Perché lavorare non è una condanna ma un’opportunità di senso, di crescita personale, di identità. È diventato una schiavitù perché l’attuale lavoro è un ricatto e le condizioni di lavoro sono spesso da schiavitù. Lavoreremmo tutti, 4-5 ore al giorno. E il resto del tempo? Lo vivremmo. Lo passeremmo a coltivare le amicizie, a occuparci degli affetti, all’arte, alla crescita personale, al progresso della civiltà.Lo scriveva già quasi un secolo fa Bertrand Russell. Ma questo presupporrebbe, oltre a un radicale cambiamento di prospettiva, un controllo delle nascite. Le società animali lo fanno in modo naturale: dove c’è abbondanza di risorse si moltiplicano, dove c’è scarsità di risorse diminuiscono. Anche gli esseri umani lo fanno in modo naturale: dove le risorse sono distribuite e c’è un buon livello di benessere le comunità umane hanno meno figli. O meglio, fanno il numero di bambini proporzionato alle risorse. Nei paesi in cui l’aspettativa di vita è scarsa si fanno molti più figli perché il “gene egoista” cerca di sopravvivere dandosi più chance. Come le tartarughine: sono tantissime ma solo poche testuggini raggiungono il mare e sopravvivono. Per questo fanno tante uova. Il controllo delle nascite (come il controllo della sessualità, dell’alimentazione, etc.) negli uomini è regolato non dall’istinto ma dalla cultura. Infatti tutte le religioni controllano sessualità, cibo e desideri. E tutte le “culture” hanno norme su cosa è giusto o sbagliato in campo di sessualità, cibo e desideri.Il collasso della civiltà quindi non è solo una questione di “corsi e ricorsi storici” ma una questione di cultura. Ma secondo voi la nostra cultura ha fatto molti progressi? Sì, non c’è più la schiavitù. E le baraccopoli di braccianti africani in Puglia che raccolgono le tue cicorie bio? Non c’è più la schiavitù. E i capannoni alla periferia di Prato e di Roma in cui donne incinte e bambini cinesi cuciono la maglietta che indossi? Non c’è più la schiavitù. E i contratti precari con cui i lavoratori di oggi vengono tenuti sotto ricatto? Non c’è più la schiavitù. E le migliaia di ragazze deportate sulle nostre strade costrette a farsi violentare ogni giorno per qualche decina di euro “di divertimento”? Guardando la civiltà ateniese del III secolo ac, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto così tanti progressi? Guardando le comunità di nativi americani, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto molti progressi?(Chistian Giordano, “Il collasso della civiltà”, dal blog di Giordano del 14 luglio 2016).La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria. Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.