Archivio del Tag ‘lavoro’
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Sos futuro: serve un’economia sociale e democratica
Inutile negare che l’economia sia un potente motore dell’umanità, come comunità sociale: ma il problema è che, oggi, proprio l’economia è diventata il grande tabù della politica. «L’economia non può essere un vincolo per la politica, se contemporaneamente la politica non lo è per l’economia», sostiene Enrico Guglielminetti, direttore della rivista “Spazio filosofico”. «Se – come osserviamo – sempre più spesso l’economia prevarica sulla politica, l’alternativa non sta semplicemente in un ristabilimento dei confini reciproci, ma in forme diverse, e questa volta virtuose, di contaminazione». Ovvero: «L’economia deve farsi politica e la politica economia». Attenzione: «Non nel senso che i banchieri debbano governare gli Stati», cosa che peraltro avviene oggi, dalle parti dell’Eurozona, «ma nel senso che il capitalismo dovrebbe imboccare con decisione la propria fase sociale di sviluppo».
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Giulietto Chiesa: svegliamoci, il potere ha paura di noi
Nella vita quotidiana di ognuno di noi la crisi ha assunto i tratti di un personaggio da tragedia antica: il fato, il convitato di pietra, una presenza immanente e ostile, eppure inafferrabile. «Conseguenza inevitabile, quando gli effetti di una congiuntura globale sono ormai alle porte delle nostre case, colpiscono le nostre vite, corrodono la speranza di un futuro per i nostri figli e sgretolano ciò che davamo per scontato: stile di vita, lavoro, salute, istruzione». C’è la sensazione diffusa che tutto ciò sia solo la punta di un iceberg, che queste perdite siano in realtà le estreme propaggini di un enorme buco nero in espansione. «Ma mancano le prove, perché nessuno dice veramente come stanno le cose», accusa Giulietto Chiesa. «C’è un silenzio colpevole, perché interessato, da parte dei pochi che sanno». “Invece della catastrofe”, l’ultimo libro di Chiesa appena edito da Piemme, vuole «svelare le tremende verità che ci vengono nascoste e lanciare un drammatico appello alle coscienze».
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Tangenti Finmeccanica: le regole del mestiere delle armi
«Non è possibile che un incidente come quello di cui sono stati protagonisti i due marò del San Marco, colpevoli o innocenti che siano, possa portare a una crisi così clamorosa nei rapporti fra Italia e India». Parola di Davide Giacalone, editorialista di “Libero”, secondo cui i due militari sarebbero solo due pedine di un gioco più grande: “extracosti” legati alle commesse di Finmeccanica, cioè mazzette promesse e poi non versate fino in fondo. Il caso esplode ora con l’arresto di Giuseppe Orsi, ad e presidente della grande azienda. L’accusa: corruzione internazionale. Per la precisione: 50 milioni di euro versati – guardacaso – all’India, per una fornitura di elicotteri italiani. Nel gioco delle parti, ora l’India minaccia di depennare Finmeccanica dalla lista fornitori, inserendola nella “black list”. Suona perlomeno ipocrita, stando a quello che lo stesso Giacalone scriveva, con franchezza, già a gennaio: «In tutto il mondo si fanno affari pagando extracosti o consulenze, alias mazzette, specie nel settore militare».
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Che farsa: ci hanno rovinati, e vogliono pure il voto utile
È tornato lo spread, è tornata la Germania, sono tornati rigore ed austerità. Sembravano scomparsi da questa penosa campagna elettorale. Le principali forze politiche, dopo aver governato assieme per più di un anno, appena iniziato lo spettacolo televisivo del voto, se ne erano dimenticate. Sembrava una villeggiatura, quelle dove si cerca di staccare dalle preoccupazioni quotidiane. Magari una villeggiatura a Cortina visto che si parlava solo di tasse. Forse si sperava che questa vacanza dalla realtà durasse fino al 27 febbraio, invece è finita prima. Non sono solo le vendite di tappeti in saldo di Berlusconi, lo scandalo della banca senese, le incertezze per il Senato a far ripartire la cosiddetta sfiducia dei mercati.
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Fine dell’università per tutti, si torna alla scuola d’élite
I giovani italiani rinunciano all’università: è la fine di un sistema democratico basato sulla fiducia nel futuro, grazie alla promozione sociale di massa. Impressionanti i dati su quella che Carlo Formenti definisce «l’apocalisse dell’università italiana». Ovvero: 58.000 iscritti in meno, un calo del 17% rispetto a dieci anni fa, mentre i professori diminuiscono a un ritmo ancora più rapido (meno 22% negli ultimi sei anni). Risultato: il rapporto medio fra studenti e docenti (18,7%) continua a essere il più alto d’Europa. Altro poco invidiabile record europeo: abbiamo la più bassa percentuale di laureati nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni, appena il 19% a fronte di una media europea del 30%. Cala anche il numero delle borse di studio, peraltro di entità ridicola, assieme ai finanziamenti ordinari, mentre «di quelli per la ricerca è meglio tacere». Perché i giovani disertano gli atenei? Ormai «non credono più che la laurea rappresenti una risorsa strategica per spuntare redditi dignitosi su un mercato del lavoro sempre più avaro».
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Uccidiamo tutto, per farne Pil: questa economia è delirio
Una delle ragioni per cui non ci sono persone che lavorano per far crollare il sistema che sta uccidendo il pianeta è che le loro vite dipendono dal sistema. Se la tua esperienza è che il tuo cibo viene dal negozio di alimentari e la tua acqua dal rubinetto, allora difenderai alla morte il sistema che ti porta quelle cose perché dipendi da esse. Siamo diventati così dipendenti da questo sistema che ci sfrutta e ci uccide che è diventato quasi impossibile per noi immaginare di viverne al di fuori. L’altro problema è la paura che abbiamo di avere ancora qualcosa da perdere. Abbiamo molto da perdere se questa cultura dovesse crollare. Una ragione primaria per la quale così tanti di noi non vogliono vincere questa guerra – o persino riconoscere che sia in corso – è che abbiamo dei benefici materiali dal saccheggio procurato da questa guerra. Quanti di noi rinuncerebbero ad automobili e cellulari, docce calde e luce elettrica, negozi di alimentari e vestiti? Ma la realtà è che il sistema sta uccidendo il pianeta.
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Cremaschi: addio diritti, i sindacati hanno scelto il potere
Ci sono notizie che durano il tempo di una breve del telegiornale, e poi vengono inghiottite dal bidone aspiratutto degli scandali e della campagna elettorale, mescolati tra loro. L’Istat ci ha comunicato che la dinamica attuale dei salari è la peggiore degli ultimi trent’anni. Questo dato dovrebbe essere alla base di ogni proposta che si fa per affrontare la crisi. Ma non è così. La caduta dei salari è diventata un dato di colore, fa parte dello spettacolo del dolore mostrato in televisione, sul quale meditano e dissertano i candidati. Ma senza che si pronunci la frase semplice e brutale: aumentare la paga! Poco tempo fa il Cnel ha comunicato un altro dato su cui riflettere davvero. Negli anni ‘70 la produttività del lavoro in Italia è stata la più alta del mondo, poi è solo calata. Sì, proprio quando il lavoro aveva più salario e più diritti, “rendeva” di più!
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Barnard: operai schiavi, ringraziate i vostri sindacati
Guardatevi, operai della Fiat di oggi. Ma guardatevi in questo modo: mettetevi su un balcone più in alto e state affacciati a osservare Mirafiori e Pomigliano. Cosa si vede da lì su? Si vede un pollaio dove in 4 metri quadri di terriccio puzzolente i polli si agitano per difendere i loro 4 metri quadri di terriccio puzzolente. Ma come vi siete conciati in quel modo? Lo sapete che nessuno vi ha mai raccontato chi veramente vi ha fottuti? Tutto vogliono, meno che voi scopriate che le fonti dei vostri mali stanno TUTTE fuori dal recinto Italia, perché se le scoprite allora gli inceppate il gioco e li potete fottere. Vi hanno convinti che la libertà e la dignità oggi per voi significhi contrattare su un altro metro quadro di recinto infestato di cacca. Sperano che a nessuno di voi salti in mente di accorgersi che fuori dalla rete del pollaio ci sono spazi di salvezza illimitati in termini economici, che vi hanno sempre tenuti nascosti.
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Crisi, nessuna soluzione? Elezioni inutili, vince il non-voto
«Distruggere l’Italia e assistere inerti alla sua rovina? Prego, fate pure. Ma, almeno, non contate su di me: il mio voto ve lo potete scordare». Sembra essere questa l’intenzione di almeno 20 milioni di italiani, alla vigilia delle elezioni di febbraio. Secondo i sondaggi, il primo partito sarà quello dell’astensionismo. Disertare le urne: è l’opzione che tenta soprattutto i più giovani, come rivela una recente rilevazione di “Mtv” tra i ragazzi. Quasi la metà di loro è decisa a non dare il voto a nessuno. Politici e candidati? «Corrotti, incapaci e incompetenti: una vera delusione». Ammesso che – come pare scontato – la campagna elettorale finisca col polarizzare il voto e motivare almeno in parte gli indecisi, arginando la valanga dei “renitenti”, proprio l’astensione sembra destinata a restare protagonista. Disaffezione: convinzione che il voto sia ormai assolutamente inutile, nonostante Grillo e Ingroia.
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Imprese agli operai: si può fare, se lo Stato li aiuta
Usare i beni dello Stato non per privatizzarli, ma come garanzia per le aziende che non vogliono chiudere. O meglio: per i lavoratori che intendono resistere alla chiusura, vedendo ancora spazi di mercato su cui collocare il prodotto del loro lavoro. Produzione a corto raggio, destinata al territorio. Tutto sarebbe risolto, a monte, se l’Italia disponesse di moneta sovrana: a salvare l’economia basterebbe lo Stato. Ma, dovendo sottostare al regime disastroso dell’Eurozona, l’emissione finanziaria statale è impraticabile. Arrendersi alla castastrofe? Al contrario: pur in queste difficilissime condizioni, è possibile trovare risorse alternative per risollevare l’economia. Lo sostiene Aldo Giannuli, dopo uno sguardo rassegnato all’offerta elettorale, una «fiera dell’ovvio» dove tutti promettono crescita, giustizia sociale, equità fiscale, efficienza e occupazione, ma senza uno straccio di idea. Zero assoluto: nessuna soluzione da Monti, Bersani e Berlusconi, ma neppure da Vendola, Ingroia e Grillo.
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Sacrificare i bambini: ce lo chiede l’Europa
“Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio Isacco, colui che ami, e va nella regione di Moria. Sacrificalo là come olocausto”. Quella di Abramo e Isacco è la più assurda e incredibile tra le storie scritte nella Bibbia. Molto, molto più incredibile della storia di un Dio che crea l’uomo plasmandolo dal fango. Ho sempre pensato che se un pezzo della Bibbia era pura fantasia, doveva essere quello: Abramo e Isacco. E’ una storia folle, qualsiasi siano gli occhi con cui la si osserva: figlio, genitore, ateo, cristiano. Da qualsiasi angolazione la guardassi, non avevo per anni mai compreso il senso di quella storia, o se potesse esistere un senso non come storia divina, ma almeno come storia umana. Oggi ho capito. Mi guardo intorno. Vedo invasati che obbediscono all’ordine di un dio di cui non conoscono il nome, e che dice loro: dovete fare i sacrifici.
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Antonini: prima del mio stipendio, la verità su Viareggio
Mi restituite il lavoro? No, grazie. Prima di tutto, serve la verità sul rogo di Viareggio, quei 32 morti e 25 feriti del 29 giugno 2009. Riccardo Antonini è irremovibile: rifiuta l’accordo sul reintegro, già accettato dall’ad delle Ferrovie, Mauro Moretti, e vuole un regolare processo sul suo caso: licenziato per aver detto verità scomode su quel disastro. Il rogo di Viareggio, scrive Claudio Giorno sul suo blog, puzza di strage di Stato: mentre gli apparati di potere si coprono, per il momento a pagare è solo chi si è dato disponibile a testimoniare di fronte ai giudici le discutibili “scelte aziendali” all’origine del disastro. Tagli pericolosi, che forse nessun giudice riuscirà a individuare come causa diretta della morte di tante persone innocenti, ma che «sicuramente sono alla base dello stato di abbandono in cui nelle ferrovie italiane versa ogni settore che non sia funzionale agli appalti sempre più costosi del progetto Alta Velocità».