Archivio del Tag ‘lager’
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Mediocrità e ipocrisia nell’Italia di Renzi alla Casa Bianca
Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?Nemmeno negli spot del Mulino Bianco succedono queste cose. Ma, lo sappiamo tutti, pur di vincere un Oscar c’è anche chi è disposto a stravolgere il senso della Storia. Beatrice Vio: lo sport paraolimpico è una triste invenzione dei tempi del politically correct: da una parte il mondo delle persone normali, che si ripuliscono dai sensi di colpa verso gli handicappati inventando delle Olimpiadi fatte su misura per loro. Dall’altra questi handicappati, vittime designate di questa catarsi collettiva, nella quale si finge di esaltarsi per imprese sportive che sono tali solo nei parametri del nostro relativismo sociale. Le paraolimpiadi sono il festival dell’ipocrisia collettiva, e i loro eroi non sono che il trofeo sociale di questa ipocrisia. Giusy Nicolini: il sindaco di Lampedusa è un esempio innegabile di altruismo, generosità e profondo senso civico. Ma Giusy Nicolini è soltanto la sottile foglia di fico che nasconde, proprio grazie alla sua generosità, una tragedia infinita sia dal punto di vista umano che da quello politico. La tragedia di un sistema – la cosiddetta civiltà occidentale – che da una parte porta guerre d’invasione in tutto il mondo, e dall’altra è assolutamente incapace di gestire i risultati catastrofici che queste guerre vengono a creare.Di Paolo Sorrentino so poco (“E ci sarà un motivo”, direbbero Aldo Giovanni e Giacomo). So solo che ha fatto un film mediocre, con il quale è riuscito inspiegabilmente a vincere un Oscar. Forse gli americani hanno creduto di trovarsi di fronte ad un nuovo “La dolce vita”, ma sta di fatto che nessun critico italiano, per quanto venduto possa essere, è riuscito a gridare al capolavoro. Sorrentino è il classico emblema della mediocrità elevata ad eccellenza per semplice mancanza di talenti reali. Raffaele Cantone: il famoso magistrato incaricato da Renzi di combattere corruzione, mafia e clientelismo nel nostro paese. Finge di beccare qualcuno ogni tanto, spara sentenze feroci (ma innocue) contro i corrotti, mentre in realtà si presta volentieri a fare da emblema di un’Italia che finge di combattere i propri mali, quando questi stessi mali vengono alimentati da scelte politiche decisamente ambigue, come ad esempio i continui condoni per gli evasori fiscali.Giorgio Armani: “Re Giorgio” è sicuramente un’eccellenza di valore assoluto. Ma eccellenza di che cosa, se non dell’effimero? Che cosa rappresenta l’alta moda, in un mondo di 6 miliardi di persone nel quale cinque e mezzo di loro fanno la fame, se non il trionfo dell’élite a discapito di tutti gli altri? Celebrare un uomo che ha costruito un impero basato sull’apparenza invece che sulla sostanza significa in fondo celebrare l’effimero al posto del reale, l’inutile al posto dell’utile, la stupidità al posto dell’intelligenza. Con questa squadra di persone (e pochi altri) il nostro premier ha pensato bene di andare a rappresentare l’Italia alla Casa Bianca. Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto, perché non abbia scelto di portare invece un tornitore della Breda in cassa integrazione, un agricoltore del Salento che lavora sottocosto, o un disoccupato del Lodigiano costretto a dormire in macchina con tutta la famiglia perché non riesce più a pagare il mutuo della sua casa. Ma questo sarebbe stato troppo, perché si rischiava che di colpo la dura realtà di oggi facesse irruzione nel mondo da cartolina del nostro amatissimo Matteo Renzi.(Massimo Mazzucco, “Foto di gruppo alla Casa Bianca”, dal blog “Luogo Comune” del 24 ottobre 2016).Mi è capitata fra le mani una foto dei cosiddetti “italiani eccellenti” portati da Matteo Renzi la scorsa settimana alla Casa Bianca. Costoro, secondo la scelta del nostro primo ministro, dovrebbero rappresentare il meglio dell’Italia. Roberto Benigni: un traditore del cinema a doppia mandata. Prima volta traditore, perché ha rubato l’idea di “La vita è bella” ad un suo collega, il regista rumeno Radu Mihaileanu. Mihaileanu aveva mandato a Benigni la sceneggiatura del suo film, “Train de vie”, chiedendogli di fare il protagonista. Benigni finse di non essere interessato, solo per correre di nascosto a scrivere il suo film, “La vita è bella”, con il quale avrebbe vinto l’Oscar. Le trame dei due film sono diverse, ma l’idea di ambientare un film comico sullo sfondo dell’Olocausto è identica. Seconda volta traditore, perchè mentre il film di Mihaileanu finisce – giustamente – con il protagonista dietro al filo spinato di Auschwitz, quello di Benigni finisce in modo antistorico, con un happy end del tutto improbabile che strizza l’occhio ai poteri forti di Hollywood: quando mai un ragazzino esce vivo da una Auschwitz liberata dagli americani, solo per incontrare la sua mamma che lo aspetta sorridente sotto un albero?
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Brian Eno: apartheid, Israele non avrà la mia musica
Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?Ah già dimenticavo – sono “ebrei che odiano se stessi”, giusto? Questa posizione ridicolmente artificiosa nasce dalla commistione di Israele come Stato con gli ebrei come popolo. II popolo ebraico merita di più che essere rappresentato esclusivamente dal governo israeliano. Allora perché io “me la prendo” con Israele? In primo luogo, perché è stato il governo britannico, attraverso la Dichiarazione Balfour, che ha contribuito a creare tutta questa situazione. Abbiamo regalato quella terra – che non era nostra da regalare – e abbiamo contribuito all’avvio del processo per ripulirla dagli arabi. Forse è stato un modo per chiedere scusa per la nostra incapacità di aiutare gli ebrei quando ne avevano bisogno – prima e durante la guerra – ma è stato fatto a spese del popolo che già viveva lì. In secondo luogo, sosteniamo Israele militarmente e diplomaticamente – e abbiamo un bel commercio di armamenti in corso tra noi e loro. In terzo luogo, Israele si presenta come una democrazia liberale occidentale, e insiste ad essere considerata come tale. Quale altra democrazia liberale occidentale è uno Stato di apartheid?Quale altra democrazia liberale occidentale rinchiude con checkpoint una gran parte della popolazione (occupata) in ghetti e la bombarda periodicamente? Ho poco potere per intervenire su questo. Praticamente l’unica cosa che posso fare è non prenderne parte – e per me questo significa non partecipare alla campagna di pubbliche relazioni che Israele conduce attraverso i suoi programmi culturali – in particolare, non permettendo l’uso della mia musica per gli eventi sponsorizzati dal governo israeliano. Tutto qua. Voglio un mondo dove sia i palestinesi che gli ebrei siano sicuri e liberi di esprimere i loro talenti, ma ritengo che quello che il governo israeliano sta facendo ora praticamente garantisce che ciò non venga mai realizzato.(Brian Eno, “Ecco perché non concedo la mia musica a Israele”, da “Sette” del “Corriere della Sera” del 7 ottobre 2016, ripreso da “Megachip”).Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?
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Sovragestione: i padrini dell’Isis erano a Yalta nel 1945
Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».Perché siamo finiti tra le spire della “sovragestione”, che ultimamente ha preso di mira l’Europa con gli attentati di Parigi, Bruxelles e Nizza, regolarmente targati Isis? Per Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), non si può capire molto se non si legge tra le righe: l’origine del potere occidentale moderno è interamente massonico (democrazia, laicisimo). Ma nel dopoguerra la massoneria internazionale ha partorito 36 super-strutture segrete, chiamate Ur-Lodges (logge madri), che hanno intrapreso una gestione monopolistica della politica, dell’economia, della finanza. Alcune di queste hanno espresso una tendenza neo-conservatrice, aristocratica, neo-feudale. Fino all’eccesso: la strategia della tensione, i golpe in mezzo mondo. Avverte Magaldi: anche questo va interpretato; se sei consapevole di averla “inventata” tu, la modernità, mettendo fine all’assolutismo monarchico con la Rivoluzione Francese e all’oscurantismo vaticano con il Risorgimento italiano, può accadere che ti consideri il padrone del mondo, il nuovo mondo che hai contribuito in modo determinante a creare, abbattendo l’Ancien Régime.Il che è aberrante, ma aiuta a “vedere” come ragionano i capi supremi dell’élite mondiale reazionaria che dagli anni ‘80 ha preso il sopravvento, dichiarando guerra alla democrazia e imponendo la sua globalizzazione a mano armata, gestita dalle multinazionali finanziarie. E a questo disegno appartiene anche l’ultimissima stagione: quella del terrore, che ci sta investendo. Non a caso, nel mirino è finita anche l’Europa, terremotata dall’austerity. Se da qualche anno il terrore “islamista” si rivolge contro l’Europa, scrive Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, «non è certamente perchè il “sovragestore” vuole distruggerla». Al contrario: l’élite occidentale che organizza il terrorismo-kamikaze «ha interesse che rimanga così», questa Unione Europea interamente in mano a loro, gli oligarchi della finanza. Ergo: «Il neoterrorismo deve impedire che l’Europa si liberi dal giogo monetario delle banche e dalla soggezione al potere finanziario». Sono sempre “loro”, gli uomini al comando dietro le quinte: ieri col Trattato di Maastricht che ha rovinato l’Italia, poi con i diktat della Troika che hanno ridotto la Grecia alla fame. Gli europei cominciano a ribellarsi? Ed ecco gli attentati “islamici”. Il regno della paura serve a questo: impedire che si evada dal “lager”. La violenza terroristica è in aumento? Altro segnale, aggiunge Carpeoro: qualcuno, davanti a tanto sangue, si sta sfilando dall’élite criminale. E allora, forse, il super-vertice comincia ad avere paura, a sua volta. Per questo preme sull’acceleratore delle stragi.Secondo Carpeoro, il male viene da lontano: è figlio del sistema economico attuale. Il capitalismo finanziario mondializzato è feroce, disumano: perché qualcuno stia meglio, bisogna che qualcun altro stia peggio. Mors tua, via mea. Da lì in poi, “vale” tutto. Anche la guerra. Fino al neoterrorismo della “sovragestione”. Guai, infatti, se dovessero trionfare gli ideali proclamati all’Onu, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Erano il cardine della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fortemene voluta dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt, secondo la quale «nessun sistema, nessun regime politico, nessuna dottrina sociale può essere giusta se ogni individuo, fino all’ultimo pigmeo africano, fino al più sfruttato lavoratore cinese o coreano, non può vivere con dignità o senza poter aspirare alla sua porzione di spazio spirituale e vitale, cioè di felicità». E allora ecco il “terrorismo interno” di oggi, la nuova strategia della tensione, che «salda il rapporto tra il popolo e il potere con il collante della paura, com’era già accaduto ai tempi di Al-Qaeda e delle Torri Gemelle». Perché poi la manovalanza è islamica? Opera nostra, anche quella: a partire da Yalta, dalla scelta di non dare uno Stato ai palestinesi.Una decisione fatale, dice Carpeoro, che determinò il ritiro dalla scena della componente più ispirata del mondo esoterico occidentale, la “fratellanza” dei Rosacroce, delusa dal patto di spartizione mondiale firmato da Roosvelt, Churchill e Stalin. Attorno alla “leggenda storicamente accaduta” dei Rosacroce, di cui è un grande studioso, Carpeoro ha scritto anche un romanzo, “Il volo del Pellicano”, edito da Melchisedek. Avvocato e giornalista (all’anagrafe, Gianfranco Pecoraro), Carpeoro è stato gran maestro della massoneria più “indipendente” (33esimo grado del Rito Scozzese), a capo di una comunione massonica auto-scioltasi per scongiurare pericolose infiltrazioni di potere. Ai Rosacroce si sarebbero ispirate correnti “deviate” fino al satanismo e vicinissime alla super-élite del massimo potere, quella della “sovragestione” degli “uomini che si credono Dio”. Di ben altra caratura, invece, i veri Rosacroce, il cui ultimo “Ormùs” fu il pittore Salvador Dalì, con accanto personaggi come Picasso, Erik Satie, Jean Cocteau, il regista moldavo Emil Loteanu. Era stata proprio la “paramassoneria” di potere, scrive Carpeoro, a sabotare – a Yalta – il grande progetto rosacrociano per il dopoguerra: pace in Medio Oriente. Vinsero gli altri, i protagonisti delle future Ur-Lodges: niente pace, meglio la guerra. Opportuno, quindi, coltivare i focolai dell’odio, partendo proprio dalla Palestina, in mezzo agli emirati del petrolio.«Il tutto – scrive Carpeoro – si concluse con la istituzione del solo Stato di Israele». Sicché, «non risulta niente affatto avventato definire tale esito come la premessa del sorgere di un progenitore del neoterrorismo islamico, e cioè quello palestinese, nella prima versione dell’Olp». Dal Medio Oriente all’Italia: «Altrettanto accadde in occasione dell’omicidio del povero Enrico Mattei, reo di voler sottrarre il mondo del petrolio arabo alla gestione economica, ma anche culturale, della lobby delle Sette Sorelle, in nome della sua formazione socialista, scarsamente sensibile al perpetuarsi del potere di certi sceicchi e califfi». Tessere di un mosaico, nemico della democrazia, da sud a nord: «Il progetto europeo di caratura liberalsocialista veniva definitivamente sabotato tramite l’omicidio del suo leader politico e spirituale Olof Palme, mettendo le basi di questa disgraziata Europa attuale, burocratica e disumana, unione solo di banche e burocratica distruttrice di economie produttive a favore di una finanza ormai astratta, estranea da ogni legittima aspirazione di popoli e individui». E dopo la Svezia, la “sovragestione” colpì di nuovo in terra d’Israele con l’omicidio del leader ebreo Rabin, «protagonista di una pax massonica, stavolta nel senso autentico, in Medio Oriente, che tanto aveva preoccupato i Signori della Guerra e del Terrore».Come dire: solo gli sprovveduti possono pensare che il tragico carnevale dell’Isis nasca dal nulla. Passo su passo, di attentato in attentato, l’Occidente ha fabbricato «una polveriera che si chiama Islam», ma attenzione: «Darle questo nome è un abuso nei confronti della dottrina religiosa in questione», che infatti è stata «modificata, redatta, interpretata nell’ignoranza e nell’arretratezza, sponsorizzata dai satrapi del petrolio e dai potenti protetti dall’Occidente per incrementare odio e integralismo da utilizzare per la autoconservazione di un potere assoluto e cieco». Luoghi comuni: «Quando si dice Islam, automaticamente si pensa al mondo arabo, ma la logica delle divisioni etniche in questo caso non aiuta: il popolo turco non è arabo, quello afghano tanto meno, e neanche la quasi metà del popolo indiano islamico e di quello africano». In realtà, aggiunge Carpeoro, la grande religione islamica è stata «riadattata a strumento permanente di supporto a regimi politici integralisti e assoluti, neganti ogni diritto e ogni libertà democratica, fautori di sistemi sociali dove c’è chi ha tutto funzionalmente allo sfruttamento di chi non ha nulla». Solo così, quella religione «è diventata il collante di popolazioni quasi abbrutite dall’ignoranza e dal bisogno, tramite una rete di imam e presunti padri spirituali la cui presenza e la cui legittimazione era stata la prima cosa assolutamente proibita dal Profeta».I veri leader islamici sono stati emarginati, e la parte sana delle popolazioni travolte dal terremoto è «dormiente e passiva di fronte a questo scempio». E siamo ai giorni nostri: «Ecco che dalla disperazione del popolo palestinese, dai flagelli vari, siccità, malattie, povertà del popolo africano, dalle drammatiche divisioni tra popoli asiatici nasce e si diffonde una vera e propria figura antropologica: il terrorista». Al terrorista, per decine di anni, «viene offerta la prospettiva simbolica che gli ha consentito di accettare il rischio di sacrificare la sua vita: il riscatto sociale». E i terroristi di oggi, annidati nelle nostre città che si vantano si realizzare una vera integrazione? «Quella che noi chiamiamo “integrazione” è stata solo la trasmissione di schemi consumistici e disumanizzanti», sostiene Carpeoro. Questo processo, è vero, «ha soppiantato il potenziale esplosivo del vecchio terrorismo», ma ne ha anche fatto impallidire le motivazioni sociali e politiche, che almeno ne consentivano la comprensione, mantenendo «un minimo di possibilità di recupero umano e sociale».Ora è tardi: «Aiutata dalla sapiente diffusione di nuove droghe raffinate e di ulteriori adattamenti snaturanti della religione islamica, la mutazione antropologica del terrorista si è ulteriormente evoluta: da esseri comunque umani a macchine del terrore». L’Isis, appunto: uomini «addestrati e resi dipendenti da varie droghe in campi adeguatamente finanziati e organizzati». Questo esercito di neoterroristi «è oggi pronto a spargersi nelle nostre città come metastasi di un carcinoma, e noi siamo impotenti». Ma attenzione: «E’ un esercito “sovragestito”, anche se dubito molto che chi ne fa parte ne sia consapevole». Sono temi che lo stesso Carpeoro approfondirà in un saggio che si annuncia esplosivo, “Dalla massoneria al terrorismo”, che uscirà in autunno per i tipi di Uno Editori. Si scrive Isis, ma si legge “sovragestione”. Il problema siamo noi, il nostro sistema: che va radicalmente bonificato nella sua struttura occulta di potere. «La vera scommessa dell’Occidente è la nascita di un Neoumanesimo».Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».
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Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte». Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar». E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria». Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza». E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva? E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007. Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico». Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles». Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”». I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate. «Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti. Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”. «E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni. «I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze». Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei. Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi. Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga? Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
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Odio, nemico, guerra: potere cannibale, siamo tutti soldati
1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico. A contestare l’empatia, interviene però quella prescrizione imposta dal beato Sigmund da Vienna laddove categorizza: “Wo Es war, soll Ich werden”, cioè al posto dell’Es è necessaria l’instaurazione dell’Io e, va da sé, del super-Io. Ed è la messa in mora della poiesis, la dichiarazione della sudditanza al discorso. Interviene insomma il potere, metaforizzato dal super-Io fallico nelle metastasi del dominio, che sono potere politico, potere religioso e potere di preparare e condurre la guerra.2. Dominio. Perché il dominio, per perdurare in ciascuna delle sue manifestazioni, ha bisogno di nemici che lo giustifichino. E non c’è differenza effettiva tra l’una delle metastasi in questione. Il potere politico si fonda e si replica in quello religioso e in quello bellico. E ciò fin dalla sua invenzione e introduzione nel mondo, risalente a circa quindicimila anni fa. E per la persistenza delle metastasi e dunque del Dominio stesso, è sempre indispensabile una forma o l’altra di mobilitazione. Necessaria per garantire il funzionamento degli stabilimenti industriali e degli uffici, perché occorre persuadere i dipendenti, operai o impiegati dell’opportunità di non opporsi alle rigide norme della produttività. Così, per riaffermare la fede dei credenti occorrono, certo, processioni, encicliche, corali, altre prediche e altre parafernalia, ma in primo luogo quella componente selettivamente mobilitatoria, persuasiva, che è la messa o il suo equivalente, la quale comporta l’inghiottimento del dio fatto particola o pane, di solito con accompagnamento del vino sacramentale riservato al sacerdote.In tutti i casi, la mobilitazione si basa sull’asserto che senza l’obbedienza ai superiori – manager, ministri del culto, gerarchie ecclesiastiche, comandanti militari – i nemici sempre in agguato (concorrenza nazionale e internazionale, crisi finanziarie causate da incompetenza o più spesso da malafede, eccetera) il sistema correrebbe seri pericoli. La funzionalità della mobilitazione si rivela, e anzi salta agli occhi anche di chi, operaio o impiegato, la vive o la subisce, sia pure in maniera meno palese, e anzi spesso senza che gli uni e gli altri si rendano conto della sua astanza. Ben più esplicita è la mobilitazione militare che riguarda tutti, intendo per tutti gli appartenenti alla Patria o alle strutture che parzialmente o totalmente l’hanno effettivamente o presuntamente vicariata. A questo punto, per i reggitori del sistema, padroni, uomini politici, dirigenti militari, si pone il problema, di fondamentalissima incidenza, consistente nel mascherare le esigenze e le pretese della patria o dei suoi equivalenti. Che hanno in comune i denti lunghi che sono un’eredità del cannibalismo degli antichi tempi e dei superstiti selvaggi.La Patria, voglio dire, imperversa, esige, pretende, impone – s ìenza proporre giustificazioni – il supremo sacrificio, considerandolo aprioristicamente un dovere al quale nessun mobilitato può sottrarsi. Con l’avvertenza che la preparazione alla guerra, che è perenne in tutti gli stati, non si traduce necessariamente nel richiamo immediato, urgente, alle armi. Ma è, ripeto e sottolineo, presente a tutti i livelli produttivi, persino alle attività di svago e riposo. Le quali sono appunto attività, dal momento che la consumazione esige la preventiva creazione dei mezzi, finanziari ma anche e soprattutto psicologici, che permettono lo spreco festoso. Quella che diciamo Patria, e quale che ne sia la struttura, è cannibale, pronta all’occorrenza a divorare i suoi figli, insensibile alle angosce e alle paure dei singoli mobilitati. La Patria-cannibale imperversa e a nulla serva implorare dal fondo di una trincea che si astenga dall’impiego e dall’essere il bersaglio di letali proiettili, razzi, gas tossici, assalti e distruttive manovre. La patria va però opportunamente mascherata, le sue pretese vanno attenuate, i suoi denti e le sue unghie limati. Non è bene inteso una giustificazione: è solo un sipario calato di fronte agli attori e spettatori. E lo si cala rendendo accettabile, addirittura affabile l’eventualità della morte che è lo scotto aprioristicamente imposto a chi si sia messo volontariamente o obbligatoriamente al suo servizio.3. La mobilitazione. Che, ripeto, ha luogo a tutti i livelli, compreso quelli scolastici, accademici, di produzione culturale e nell’ambito di tutte le attività economiche e produttive, comporta anche un’altra forma di persuasione, non meno importante, del richiamo del dovere verso la Madre, ed è la denigrazione sistematica del nemico. Occorre infatti che il nemico venga descritto come pericoloso, spietato, implacabile, proditorio, assetato di sangue, ma alla fin fine superabile dalle nostre armi e più ancora dal fegato e dal cuore dei nostri militi. Allo stesso modo il concorrente industriale, l’appartenente a un altro esercito produttivo che in ogni momento possa diventare ostile, sarà anch’esso necessariamente calunniato, fatto prescrittivamente oggetto di sospetto, deprecazione, finanche odio. Solo così la mobilitazione sarà effettiva ed efficace.L’operazione – odio del nemico – implica di necessità che il potenziale o attuale avversario, e in primo il nemico per antonomasia della società, il criminale comune o politico, giudicato, condannato e variamente isolato dal resto dei componenti la società mediante chiusura in carcere, detenzione in un campo di concentramento, esilio o internamento di altro genere, non sia oggetto di simpatie o anche solo di commiserazione. La punizione che gli viene inflitta deve essere pertanto resa nota, sottolineata, giustificata, spesso anzi proclamata. Il nemico interno della società deve essere cioè oggetto di disprezzo, deve essere calunniato, fatto segno di riprovazione e odio, esattamente come il nemico esterno. È quanto si è visto accadere nel caso dei campi di concentramento tedeschi, ma anche nei campi di lavoro, i gulag dei deportati sovietici. Nulla di nascosto: anzi, tutto dichiarato, esposto del ludibrio della parte “sana” delle popolazioni.4. L’Odio. Ma come si suscita ostilità e odio totale nei confronti del nemico esterno e ostilità e disprezzo di quello interno, il criminale comune o politico che sia? Va premesso che l’odio totale o l’odio temperato dal disprezzo, comunque l’ostilità, cresce – e si vuole appunto che accada – su se stessa. Una volta che il dominio sia riuscito ad avviare il meccanismo, di importanza fondamentale per al sua stessa sopravvivenza, chi se ne fa interprete o strumento andrà come alla scoperta di un continente, l’oscura, torbida regione della negatività. Io, l’odiatore, colui che ha fatto propria l’ostilità, divengo il mezzo per cui l’altro si è rivelato, si è attuato come oggetto della mia insopportabilità. Io, l’odiatore, sono l’arnese che serve ad attuare uno scopo specifico. Che è la dichiarata superiorità della mia parte – la patria o la parte sana della società. Scopro l’insopportabilità di ogni gesto, pensiero, azione del nemico dichiarato tale. Non posso – non devo – ignorare la presenza del nero accanto a me; buon cittadino di uno stato razzista, dovrò nutrire paura nei confronti dello zingaro; e, apertamente o meno, debitamente, desiderare di fargli del male, di perseguitarlo, di appenderlo a un ramo.E sono atteggiamenti emozionali in cui si riassume il desiderio di distruggere, o almeno di mettere in condizione di non nuocere, tutti i simili a lui, il nero o lo zingaro, cioè tutti quelli che stanno al di là, oltre la barricata: nei confronti dei quali, chiunque vi si trovi o corra il rischio di collocarvisi, l’odio dev’essere sempre pronto a scattare. E nell’odio, l’odiatore simboleggerà la volontà di affermare il proprio assoluto valore, la propria indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli è propria una indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli altri, oggetto prima del suo disprezzo (dal momento che la scuola dell’odio procede per crescenti fasi: disprezzo determinato dal fatto di detestare, via via, una, poi molte delle sue qualità) saranno al termine il bersaglio della negativa globalità dell’ostilità e dell’odio.5. Inutilità dell’Odio. Ma anche inutilità dell’odio. Per il fatto stesso di esistere, l’altro, l’odiato, costituisce un pericolo e una minaccia, ma l’odio non può sopprimere il fatto primordiale dell’esistenza altrui. L’odio è così minato da se stesso: non può impedire all’altro di rivelarsi quale presenza indispensabile. Qualcosa dell’altro mi sfugge sempre, o lo distruggo, e porto a compimento l’odio, ma in pari tempo nullifico l’odio (l’altro è esistito, l’altro fu una presenza: dell’altro aleggia il ricordo, i suoi occhi, il suo sguardo, la certezza che per questo spiraglio di luce che qualcosa mi è sfuggito) oppure gli do modo di crearsi una zona sua, non più grande di un’unghia ma imprendibile: l’odiato mi odia a sua volta, è me stesso in carne d’altri; e, a questa stregua, il mio odio non tocca il culmine, è un meccanismo che gira a vuoto. Con l’odio, la mia sconfitta è certa.Infatti, se odio faccio un ricorso come ultima istanza… che cosa mi resterebbe, che cosa ho concluso, una volta salito su un monte di cadaveri? La guerra – ogni guerra – finisce; poniamo che io, qualunque sia la nazione di mia appartenenza, abbia vinto, che guardiano di un campo di concentramento e di sterminio, abbia celebrato quella che allora è diventata la mia vittoria: ecco che mi ritrovo davanti a una folla di schiavi, che non ho più né scopo né ragione di odiare, dal momento che hanno cessato di costituire un pericolo. Ma riconquistare la propria integrità – ed è ciò che avviene al termine di ogni guerra, per quanto catastrofica sia stata – sarà tanto più difficile quanto più è avanzato il processo di decomposizione, di semplificazione, di riduzione: insomma, quanto più vasta è stata l’abiura alla mia umanità.6. Guerra. L’altra faccia della medaglia: guerra. Il problema, si è visto, è rappresentato dalle modalità usate per rendere il soldato invulnerabile alla pietà. Che il soldato possa diventare da semplice cittadino un carnefice, colui cioè che è incaricato di distruggere carne umana, è dimostrato dai campi di concentramento della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. I guardiani dei detenuti erano perlopiù SS che dopo aver combattuto su vari fronti, erano stati ritirati dal servizio attivo perché feriti o perché troppo usurati per venire impiegati in prima linea. Assurto alla figura di eroe, di collerico semidio incaricato di combattere e all’occorrenza eliminare, i nemici della “patria” e del sistema politico dominante: trasfigurato come tutti i guerrieri in incarnazione della violenza, dell’aldilà incontrollabile, l’SS ne reca addosso la maschera e il paludamento.Il soldato ridotto a stizzoso guardiano è anch’egli un masochista, anzi un sadomasochista. In quanto masochista, pronto a pagare uno scotto prima di commettere l’azione che sa o sospetta riprovevole. In quanto sadico, non è esattamente il beccaio: è un carnefice che deve riuscire a rendere masochista la vittima. Il suo proposito sarà dunque quello di escogitare tormenti tali da tappare la bocca del martire le cui lamentele lo irritano e incattiviscono. E martire e carnefice si vedranno così impegnati in un duello che non potrà, a un certo punto, non assumere l’apparenza della lealtà, dello scontro aperto, dichiaratamente senza esclusione di colpi. Col carnefice che dovrà, almeno con se stesso, ammettere la propria sconfitta, quando la vittima non si sia trasformata in oscurità rantolante, in annebbiamento e abiura, ma anche qualora il rantolo sia diventato irreversibilmente agonico.Supremo ideale del sadico: riuscire a trasformare l’altro in carne senza che costui cessi di essere strumento. Gli basta, per convincerlo di avere toccato la propria meta, l’implorazione della vittima? No, poiché anche nelle grida di terrore può celarsi la soperchieria. E l’atteggiamento del sadico, in questo caso soldato – carnefice, è dettato da volontà di potenza. Definizione che è una mera tautologia: resta da spiegare, infatti, il perché del gusto di dominare gli altri. E se il sadico questo impulso lo prova, è perché vede in esso la possibilità di avere la rivelazione dell’altro, – e di sé per riflesso – attraverso l’oppressione. Ma l’accettazione a cui l’altro si obbliga deve essere senza residui; e non basta neppure che la vittima rinneghi e abiuri, che strisci e urli. Occorre che quegli urli siano per così dire assoluti. In un certo senso, frutto di una libera scelta, e che tuttavia codesta scelta non lasci residui, ombre, ambiguità. La vittima dovrà interamente trasferirsi in quest’esito, senza avere più un secondo fine, soprattutto quello di convincere il sadico-carnefice di avere già pagato abbastanza e pertanto di persuaderlo a rinunciare alla continuazione della tortura. E allora?La tortura cessa: o la vittima è un freddo cadavere, o è tornata coscienza, astuzia, gioco, inganno. Il sadico-carnefice si sente defraudato nell’uno come nell’altro caso. Deve pertanto impedire che venga superata una linea di confine non oggettivamente determinabile, una soglia solo probabilisticamente fissabile. La sua è quindi la condanna alla tortura perenne: in ogni istante dovrà essere circondato almeno dagli emblemi del suo potere, e come un Dracula banchettare tra i cadaveri, o come i quattro signori delle Centoventi giornate di Sodoma, prescriversi un rigido rituale, un crescendo dell’orrore. Il sadismo diviene pertanto consumazione e autofagia: il sadismo perciò stesso si rifà al suo contrario, gli estremi finiscono per toccarsi. Il sadico può scoprire la possibilità che venga applicata a lui stesso l’impresa tentata a spese degli altri. Può allora accadere che il masochismo prevalga. Che il combattente veda, nel suo avversario, il nemico che dovrebbe odiare senza remissione, ed è ormai vano farlo; che scopra, nell’uomo dell’opposta trincea, il suo simile. Può accadere dunque che si verifichi un istante di empatia, quasi un ritorno a un’origine mai dimenticata, perché indimenticabile, un vuoto di memoria che può all’improvviso colmarsi. È accaduto tante volte, durante le stragi della prima e della seconda guerra mondiale.Può accadere, in qualunque guerra, che questa divenga ritualistica – che a prevalere sia la stanchezza e che ne derivi compassione per il nemico, e che dia luogo alla rassegnazione (di chi, sepolto nel rifugio, sperimenti, cieco, l’ossessione dei bombardamenti) e alla stanchezza dei disertori e addirittura degli ammutinati. Gli eserciti zaristi, nel 1917, proprio per questo si sono disfatti. È come se la vittima, anziché semplicemente soccombere – e pur restando condannata – sia entrata nel seno della sacralità. Che divenga intoccabile, ancorché si continui a toccarla, a disfarla. Si constata allora che il gioco dell’angoscia sia sempre lo stesso, angoscia fino alla morte, al sudore di sangue. E al di là della morte e della rovina, il superamento dell’angoscia, quello che ha popolato la terra di eroi e taumaturghi, di figli del sole e nati da vergini minacciati e invincibili come il sogno dell’uomo. Viene allora fatto di chiedersi: può allora l’uomo rinunciare ai sacrifici, concreti o simbolici? Può fare a meno di vittime a carnefici? Ed è legittimo il dubbio che anche tra i nostri progenitori paleolitici – e tra gli ultimi selvaggi – superstiti della civiltà – si desse e si dia la nostra stessa, attualissima suddivisione tra sofferenti e apportatori di sofferenza? In altre parole: l’uomo poteva allora, e può ancora, rinunciare all’angoscia? O l’angoscia è costitutiva dell’umanità?7. Beltran de Born. Dante lo incontra nel suo XXVIII dell’Inferno, ai versi 118 – 149. Nona Bolgia riservata ai seminatori di scandalo e scisma, e dunque «mali consiglieri». Dove i dannati girano perennemente tutt’attorno e vengono feriti di spada dal Diavolo. Le loro ferite si rimarginano prima che gli ripassino davanti. «Io vidi certo… / un busto senza capo andar…// e il capo tronco tenea per le chiome, / presol con mano a guisa di lanterna…». È Bertram de Born (per Dante, dal Bormio) trovatore (ca.1140-1215) signore del Castello di Hautefort tra il Périgord e il Limosino, coinvolto – si dice – in dispute feudali tra Francia e Inghilterra e suscitatore, forse, di discordia tra Enrico di Inghilterra e il padre, re Enrico II. Gli si devono una trentina di sirventesi in cui celebra le virtù cavalleresche, esalta la guerra come unica fonte di gloria, la morte in battaglia come liberazione dalle miserie terrene. La più celebre di tali composizioni è stata tradotta in toscano nel XV da un poeta di cui mi sfugge il nome. Dopo aver celebrato la primavera, la bella fioritura, i dolci canti degli uccelli, Bertram cambia di colpo registro: “Ma più mi piace veder per li prati alzar le tende e stendardi piantare. / E per i campi cavalieri andare. Tutti in ischieri su cavalli armati. / E piacemi se vedo scorridori, molti ed armati a tumulto venienti. / E piacemi se vedo inseguitori. Che fan fuggire con loro robe el genti. / Et ho allegrezza assai grande mirando. Forti castelli assaltati e crollare muri abbattuti / E le schiere ristare presso le fosse steccati innalzando”.Mi si farà notare che la guerra può eccitare con l’allucinazione del potere che conferisce, con la speranza di premi e ricompense, con la liceità di “perversioni” giudicate ammissibili e anzi consigliabili; e tuttavia potrebbe in ultima analisi esercitare un fascino solo per chi attribuisce scarso e nullo significato alla propria esistenza, e dunque per quelli che ci si ostina a chiamare «dannati della terra,» o a giovani incapaci di trovare una nobile ragione per vivere. Ma mi si farà anche notare che la guerra, ogni guerra, rappresenta la prosecuzione di un clima di festa, di messa in mora delle norme consuete. Di sospensione della separazione tra realtà e sogno, tra quotidianità e avventura. Né si mancherà di ricordarmi che la guerra è necrofila, in quanto esige dal combattente familiarità con la morte propria e altrui. Un fascino oscuro, quello esercitato dalla guerra: ma sono tutte considerazioni di accento negativo, laddove la celebrazione di Bertran de Born è una affermazione di vitalità spinta ai limiti.Gli è che la guerra ha una sua intrinseca bellezza, e lo comprovano i molti, celeberrimi dipinti di ogni secolo – a partire, facile notarlo, dal Neolitico, e più avanti dirò perché – i quali illustrano fatti d’armi, si tratti delle Termopili, della carica della cavalleria scozzese alla battaglia di Waterloo, o dell’enorme numero di film che continuano ad esaltarne l’importanza, la torbida bellezza, insomma l’incidenza enorme che le guerre, e soprattutto certe battaglie conclusive, hanno avuto e hanno sulle vicende sociali. Persino sulla delimitazione dei periodi che usiamo chiamare storici. L’Inghilterra è nata dalla conquista normanna del 1166. Cos’è dunque la guerra? Risposta di Karl von Clausewitz: «Limitiamoci alla sua essenza, il duello». Dove il grande teorico della guerra rischia la confusione tra violenza e guerra, come se fossero un’unica cosa. L’errore di Clausewitz è consistito nell’aver equiparato la guerra a un atto, o una serie di atti, istintuali. Quasi si trattasse di un litigio da osteria che finisca a coltellate.Ma la guerra non è l’istintuale. Non si guerreggia obbedendo a impulsi prerazionali. No, perché le guerra sono proprie, ed esclusivamente, di società gerarchiche, strutturate in piramidi formate da un vertice autorevole e da una successione di sudditi convinti all’obbedienza. Senza questa struttura, eminentemente razionale, e di ascendenza neolitica (e come tale furto dello stanziamento, della produzione agricola, dell’allevamento del bestiame, dell’invenzione della divinità, del dominio nella sua triplice articolazione, dell’invenzione della macchina, della proprietà privata – in una parola dell’epoca, appunto il Neolitico, di cui siamo gli eredi, e anzi i continuatori). Clausewitz, celebre autore del suo celeberrimo “Della guerra”, 1832-34, si è reso conto del suo errore. Dicendo che per il militare non esiste «la pace»: esiste solo la non-guerra, la tregua armata. E alludendo dunque alla perennità della mobilitazione continua a tutti i livelli della società e di conseguenza alla condanna del militarismo inteso quale politica che abbia a propria finalità e conclusione la guerra. Della politica, infatti, la guerra è, al più, la forma suprema, il culmine. E soltanto una politica stupida (e ne abbiamo avuto nel secolo scorso esempi clamorosi, Vietnam, Iraq, Afganistan…) si tramuta senz’altro in guerra, al di là di ogni considerazione di carattere razionale e utilitaristico.8. Meccanismo della Persuasione. Sì, perché esiste una tecnoscienza, ripetuta di generazione in generazione, della mobilitazione. Ed è quella che da altri, in particolare Clyde Miller, è stata chiamata Meccanismo della Persuasione. Né è certo una novità l’intervento di «persuasori occulti,» cioè di appelli all’irrazionale nella vita delle nazione: irrazionale camuffato, sia chiaro, da richiami ai principi di realtà. Elaborata da secoli a scopi mobilitatori, la propaganda politica nella fase attuale dello sviluppo civile ha investito la società in maniera un tempo sconosciuta. Le forme di propaganda rispecchiano i fondamenti economici della società che la usa, nonché gli intenti della sua classe dirigente; e, per ciò che riguarda le società odierne – tutte borghesi seppure con varie connotazioni, che siano o meno sottoposte al controllo di un partito unico – il modulo, l’insieme di tecniche impiegate allo scopo, è sempre lo stesso, che si tratti di agire nell’ambito della caserma o del supermercato, quale che sia la merce da indurre ad apprezzare, ad accettare, ad acquistare, formaggi o ideologie.Perché i problemi della persuasione si riducono a uno solo: sviluppare certi riflessi condizionati mediante ricorso a parole-chiave. A simboli-chiave, ad azioni-chiave. Il consumatore-mobilitando, il compratore-soldato, viene “precondizionato”, gli si stampa nel cervello l’elogio del prodotto in modo da escludere dubbi sulla sua assolutezza. Si tratta di agire programmaticamente su tutti i livelli dell’opinione, soprattutto a quelli consci o preconsci, (pregiudizi, terrori, credenze ancestrali, impulsi emotivi), applicando nei confronti del milite come del consumatore i ritrovati della ricerca motivazionale, dell’analisi delle motivazioni. Il prodotto – e l’ideologia – dovrà esercitare una suggestione sui sentimenti annidati nella psiche. Ma non si tratta di prassi inedite, inaspettatamente iniettate nelle vene della società borghese, anche se hanno assunto, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, un’estensione rilevantissima in concomitanza con l’espansione del mercato. E la cura costante per le esigenze psicologiche degli eserciti (fino a tempi recentissimi quelli di massa, oggi in apparenza composti da volontari salariati) ha avuto uno sviluppo parallelo a quello dell’economia di mercato. Il cliente, milite o compratore, dovrà innamorarsi del prodotto, a esso legarsi mediante una fedeltà irrazionale.Per quanto riguarda il compratore, il prodotto apparirà ( anche se in effetti contenga veleni), casalingo, puro, cortese, pulito, onesto, paziente. Nel caso dell’acquirente del prodotto patria, dovrà apparire virile, forte, potente, autoritario. Sempre il prodotto dovrà avere una personalità, la stessa della patria o dei suoi equivalenti. Si offrirà così al mobilitando un’illusione di razionalità, un pretesto con il quale nascondere a se stesso l’irrazionalità su cui si fa leva. L’estetica dell’arma, da lustrare e curare, l’arma che prolunga la personalità del combattente, kalascnicov o elicottero che sia, fa il paio con l’idea dell’automobile come mezzo di espressione dell’“aggressività” di chi la acquista. Importantissime, ai fini della mobilitazione, le parate militari, che altro non sono se non l’esposizione di certi prodotti sapientemente architettati, accuratamente designed, carri armati dall’aria cattiva, di fosco colore, dalle minacciose torrette, mostri scientifici e metafisici insieme; e velivoli senza pilota, invisibili, irrintracciabili in cielo, di invincibile pericolosità; caccia-bombardieri nei quali la funzionalità si sposi alla misteriosità, all’incomprensibilità per il profano, e la cui efficienza sia già rivelata dal fracasso che producono volando o decollando e dalle enigmatiche scie di condensazione. Se al consumatore del supermercato piace vedere una grande abbondanza di merci che lo sazia letteralmente e preventivamente, al milite piace la sensazione di essere in tanti che partono in missione, e la constatazione di disporre di tante armi, presuntamente efficientissime, che si aggiungono all’euforia tipica delle manifestazione di massa, soprattutto quelle patriottiche-militaristiche.9. Il Militarismo. Il Militarismo è l’esplicita o sottilmente insinuata finalizzazione della politica alla guerra proclamata come necessaria. E tale è stata dichiarata, a sua giustificazione, la guerra del Vietnam, come quelle successive. Noi viviamo così in società della paura (qualcuno può sempre e comunque sganciare la BOMBA). Ma l’oscuro fascino della guerra è lungi dall’essersi spento e anche solo eclissato, e sussiste pur sempre la possibilità di sottrarsi collettivamente al logos inteso come super-Io, e di abbandonarsi lontano dalla città con le sue forclusioni, a una sorta di stravolta empatia (o controempatia) con la rivelazione però, non dell’Alterità, bensì della Morte. L’ostilità è così calata dal cielo a funestare la terra – ogni lembo di terra abitato dalla civiltà, che è per definizione bianca, occidentale. Né chiamatela follia. Poiché quella che si usa definire follia – oppure psicosi o altri presunti equivalenti – è innanzi tutto condizione della poiesis.Ed è hybris, è dissoluzione del soggetto, rifiuto dell’obbligatoria felicità, contestazione della volgarità sotto forma del rappresentabile e rappresentato – pittura, teatro, danza, o dalla rappresentabilità della Logica del Tempo, della Logica dell’Inconscio, in nome dell’eccesso, dell’estremismo, dell’ekstasis, parola greca che può indicare l’uscita dai ceppi della ratio come assoluta egemone, ma dalla quale deriva, guarda caso essere, non esser-ci: voglio dire l’inattingibile Carne, mai matrugiata dalla carne, forse intravista – budella squarciate, sublime dolore, dal samurai che pratica il seppuku, – e forse per un istante raggiunga il fondo supremo della rivelazione, il simbolo palpabile dell’aldilà, della sua presenza in noi. Cosa non data al soldato, e tanto meno al cosiddetto eroe. E mai al soldato. Soldato che inesorabilmente scopre la sua propria miseria.(Francesco Saba Sardi, “Istituzione dell’ostilità”, dalla pagina Facebook di Giovanni Francesco Carpeoro, 14 aprile 2016. Scrittore, saggista e traduttore, eminente intellettuale italiano, ha tradotto i maggiori scrittori mondiali dell’800 e del ‘900, nel 1958 ha firmato “Il Natale ha 5000 anni” e, in un altro saggio, “Dominio”, edito nel 2004, ha tracciato una lucida analisi della natura autoritaria del potere che ha guidato la civilizzazione terrestre, dall’avvento del neolitico ai giorni nostri).1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico.
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Nazi-medicine, la chemioterapia e gli altri 7 farmaci letali
«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.Pensateci. Non esiste alcuna altra ragione per la quale le aziende farmaceutiche statunitensi dovessero impiegare assassini di massa condannati per occupare le posizioni più alte in Bayer, Basf e Hoechst. Fritz ter Meer, condannato per omicidio di massa, ha scontato solo 5 anni in prigione, dopo i quali è comodamente diventato il presidente del consiglio di sorveglianza della Bayer (sì, quella Bayer che fabbrica i medicinali per bambini nonché la famosa aspirina). Carl Wurster della Basf contribuì a creare il gas Zyklon-B, il potente pesticida utilizzato per giustiziare milioni di ebrei – questo mostro è andato a lavorare sulla chemioterapia, la più grande truffa medica del secolo. Kurt Blome, che partecipò all’uccisione di ebrei tramite “macabri esperimenti”, fu reclutato nel 1951 dalla divisione chimica dell’esercito Usa per lavorare sulla guerra chimica. Capite?In altre parole, i malefici semi di Big Pharma, che la Fda chiama medicina, sono stati piantati inizialmente negli Stati Uniti 65 anni fa. Molti degli “scienziati pazzi” che torturarono esseri umani innocenti durante l’Olocausto sono stati impiegati e promossi dai presidenti americani per spingere con forza la cosiddetta “medicina occidentale”, il cui scopo ultimo è la creazione di malattia e la cura dei suoi sintomi per profitto. Ascoltate bene, amici, perché questi sono gli 8 farmaci più pericolosi sul pianeta Terra. Si chiama “Guerra contro i deboli”.#1. Ssri (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, ndt) – altamente sperimentali, nessuna prova di sicurezza o efficacia, possono bloccare completamente la serotonina portando a pensieri suicidi e persino ad atti omicidi e suicidi orrendi.#2. Vaccino Mpr (morbillo, parotite, rosolia) – associato ad autismo e ad altri disordini del sistema nervoso centrale e ad una miriade di problemi di salute. Quando il virus vivo del morbillo entra nel corpo, il sistema immunitario è seriamente compromesso, ed altri adiuvanti chimici ed ingredienti geneticamente modificati attaccano l’organismo del bambino causando esiti permanenti e talvolta fatali.#3. Vaccino antinfluenzale – contiene fino a 50.000 parti per miliardo (ppb) di mercurio, oltre a formaldeide, glutammato monosodico (Gms) e alluminio. Può causare interruzioni di gravidanza e aborti spontanei.#4. Antibiotici – distruggono la flora batterica intestinale benefica e quindi indeboliscono gravemente il sistema immunitario. I medici prescrivono antibiotici impropriamente per le infezioni virali peggiorando ulteriormente la situazione!#5. Vaccino anti-Hpv (papillomavirus umano) – noto per mandare le ragazzine in shock anafilattico e coma. Migliaia di famiglie hanno citato in giudizio i produttori per milioni di dollari per danni alla salute cronici e permanenti.#6. Chemioterapia – devasta il sistema immunitario e spesso porta allo sviluppo di nuovi tumori, specialmente del sangue. Gli scienziati nazisti sapevano negli anni ‘50 che la chemioterapia fa regredire solo temporaneamente il cancro, per ripresentarsi con maggior forza in altre parti del corpo! (Anche qui, la medicina occidentale definisce questo un successo).#7. Vaccino antirotavirus “RotaTeq” – il vaccino (orale) estremamente nocivo contiene ceppi virali ivi (G1, G2, G3, G4 e P1), insieme all’altamente tossico polisorbato 80 e siero bovino fetale. Contiene inoltre frammenti di circovirus porcino – un virus che infetta i maiali.#8. Vaccino antipolio (orale e iniettato) – È un fatto nudo e crudo e spaventoso che milioni di americani siano stati inoculati con il cancro contenuto nel vaccino antipolio. Non solo, le versioni orale e nasale del vaccino hanno diffuso la polio in India e lasciato molti bambini paralizzati a vita.Certo, le persone sono paranoiche riguardo alle malattie infettive e per un motivo ben preciso. L’industria medica americana ha esacerbato i peggiori casi registrati, per spaventare a morte tutti quanti affinché si facciano iniettare i loro carcinogeni per “protezione”. Questo è un racket ed è illegale, ma i produttori di vaccini sono immuni alle cause, protetti da un enorme fondo nero e dal loro tribunale segreto. Se voi o vostro figlio venite gravemente danneggiati dai vaccini, non potete citare il produttore del vaccino. Dovrete portare il caso all’Office of Special Masters della U.S. Court of Federal Claims, comunemente definito il segretissimo “Tribunale dei vaccini”. Questo “tribunale” corrotto gestisce un programma di risarcimento senza colpa (sì, avete letto bene), che funziona come tribunale alternativo ai vostri diritti costituzionali. Fu creato fin dal 1986, dopo che le aziende farmaceutiche persero enormi profitti in cause legali di alto profilo dovute a vaccini che avevano causato gravi danni a un certo numero di bambini, i quali ebbero convulsioni e danno cerebrale in seguito al vaccino Dtp (difterite-tetano-pertosse, ndt). Prima ancora di valutare se ingoiare o iniettarvi un’altra volta tossine chimiche chiamate “medicina”, andate almeno da un medico naturopata e scoprite se il vostro problema di salute ha una base alimentare, perché è molto probabile che sia così.(S.D.Welss, “Gli 8 farmaci più pericolosi del pianeta: ne state prendendo qualcuno?”, da “Naturalnews” del 30 giugno 2016, tradotto da Emanuela Lorenzi per “Come Don Chisciotte”).«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.
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Oliver Stone: Putin e Trump meglio di Obama e Hillary
«Non è stato facile farmi coinvolgere in una storia controversa come questa, dopo i miei film in Sudamerica so bene che posso subire attacchi anche violenti, e per me è inconcepibile che si possa essere accusati solo perché si mostrano fatti in contrasto con le versioni ufficiali. Ma è importante che l’opinione pubblica conosca gli eventi dell’Ucraina orientale da una prospettiva diversa da come ci sono stati presentati». Oliver Stone parla di “Ukraine on fire” dell’ucraino Igor Lopatonok, cittadino americano dal 2008, presentato in anteprima mondiale al festival di Taormina, del quale non solo è coproduttore ma partecipa come intervistatore dell’ex presidente Viktor Yanukovich e del presidente russo Vladimir Putin. Il film, scrive Maria Pia Fusco su “Repubblica”, ricostruisce la storia del paese dal 1941 al 2014, ponendo l’accento sui movimenti nazionalisti che parteciparono alla seconda guerra mondiale affiancando i nazisti nella strage di ebrei e polacchi. E che, supportati dalla Cia durante la guerra fredda, si sono infiltrati nelle manifestazioni ucraine pacifiche degli ultimi anni.Oliver Stone parla di «necessità di una controinformazione» e cita Mark Twain: “Se non leggi i giornali non sei informato, se li leggi sei informato male”. «E’ importante per gli Usa e per l’Europa conoscere la realtà, perché tutto questo, che è anche una guerra fatta dai media, ha portato alle sanzioni, all’embargo, conseguenze dure per l’economia». È vero che in Ucraina molti manifestanti erano motivati da ragioni giuste e si sentivano oppressi, riconosce il regista, «ma noi raccontiamo la storia da prima della rivoluzione arancione, e come sappiamo in Ucraina ci son sempre stati governi corrotti. Sicuramente in questo governo, insediato da due anni, ci sono elementi che discendono da assassini, persone che si unirono al Reich. È il primo governo con elementi nazisti, è molto pericoloso. E negli Usa non c’è stata reazione, si parla solo dell’aggressione russa». Il ruolo dei media: così determinante? Eccome: «Sappiamo quante volte la Cia abbia usato il cosiddetto “soft power” per influenzare altri paesi, magari per scongiurare l’affermazione di governi di sinistra. Ma prima dell’Ucraina, gli Usa sono intervenuti in tanti paesi dell’ex Urss, con addestramenti delle forze Nato, storie che i grandi media non raccontano».A Stone, la Fusco chiede direttamente un giudizio su Putin come persona e come leader. «Un uomo molto intelligente, articolato, razionale, che conosce a fondo i problemi», risponde Stone. «Putin dal 2001 in poi sta cercando una sorta di alleanza con gli Usa: ha espresso la sua solidarietà dopo l’11 Settembre, ha cercato di affiancarli nell’Asia centrale e nella lotta al terrorismo, ma il comportamento degli americani è sempre lo stesso: abbattere i regimi ostili e crearne di compiacenti, senza cercare di capire le ragioni interne di un paese, la cultura, il disagio, le divisioni». E non è cambiato niente con la presidenza Obama?«L’ho votato due volte, ma sono deluso», amette il cineasta. «Aveva promesso di cambiare la politica estera di Bush, parlava di trasparenza, voleva smettere con le intercettazioni illegali. Non è successo niente, non ha capito che non si può lottare contro le idee, bisogna prima capirle». E il futuro? «Il sistema americano è troppo consolidato, penso che nessuno possa cambiarlo veramente: né Trump, né la Clinton. Anzi, Hillary mi sembra ancora più radicale di Obama in tema di politica estera».«Non è stato facile farmi coinvolgere in una storia controversa come questa, dopo i miei film in Sudamerica so bene che posso subire attacchi anche violenti, e per me è inconcepibile che si possa essere accusati solo perché si mostrano fatti in contrasto con le versioni ufficiali. Ma è importante che l’opinione pubblica conosca gli eventi dell’Ucraina orientale da una prospettiva diversa da come ci sono stati presentati». Oliver Stone parla di “Ukraine on fire” dell’ucraino Igor Lopatonok, cittadino americano dal 2008, presentato in anteprima mondiale al festival di Taormina, del quale non solo è coproduttore ma partecipa come intervistatore dell’ex presidente Viktor Yanukovich e del presidente russo Vladimir Putin. Il film, scrive Maria Pia Fusco su “Repubblica”, ricostruisce la storia del paese dal 1941 al 2014, ponendo l’accento sui movimenti nazionalisti che parteciparono alla seconda guerra mondiale affiancando i nazisti nella strage di ebrei e polacchi. E che, supportati dalla Cia durante la guerra fredda, si sono infiltrati nelle manifestazioni ucraine pacifiche degli ultimi anni.
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Lo spettro dei Balcani e la rivoluzione da fare contro l’Ue
“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.Gran parte di quelle motivazioni sono comprensibili, tant’è vero che la maggior parte dei “leave” proviene dalle aree operaie mentre le forze del finanzismo davano per certa la vittoria alla faccia di chi in nome dei “valori europei” si fa derubare il salario. Ma il problema non sta nelle motivazioni, il problema sta nelle conseguenze. L’Unione Europea non esiste più da tempo, almeno dal luglio del 2015, quando Syriza è stata umiliata e il popolo greco definitivamente sottomesso. Ci occorre forse un’Europa più politica come dicono ritualmente le sinistre al servizio delle banche? Sono anni che crediamo nella favoletta dell’Europa che deve diventare più politica e più democratica. Ci siamo caduti anche noi, mi spiace dirlo, ma non è mai stato vero. L’Unione europea è una trappola finanzista da Maastricht in poi.Un articolo di Paolo Rumiz (“Come i Balcani”) uscito il 23 su “La Repubblica” dice una cosa che a me pareva chiara da tempo: il futuro d’Europa è la Yugoslavia del 1992. Rumiz lo dice bene, solo che dimentica il ruolo che la Deutsche Bank svolse nello spingere gli yugoslavi verso la guerra civile (e Wojtyla fece la sua parte). Ora credo che dobbiamo dirlo senza tanti giri di parole: il futuro d’Europa è la guerra. Il suo presente è già la guerra contro i migranti che già è costata decine di migliaia di morti e innumerevoli violenze. Forse suona un po’ antico, ma per me resta vero che il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta. Cosa si fa in questi casi? Si ferma la guerra, si impongono gli interessi della società contro quelli della finanza? Naturalmente sì, quando questo è possibile. Ma oggi fermare la guerra non è più possibile perché la guerra è già in corso, anche se per il momento a morire sono centinaia di migliaia di migranti in un Mediterraneo in cui l’acqua salata ha sostituito lo Zyklon-B.I movimenti sono stati distrutti uno dopo l’altro. E allora?, allora si passa all’altra parte dell’adagio leniniano (segnalo per chi avesse qualche dubbio che non sono mai stato leninista e non intendo diventarlo). Si trasforma la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Cosa vuol dire? Non lo so, e nessuno può saperlo, oggi. Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione Europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione. Ma insomma, non porto il lutto perché gli inglesi se ne vanno. Ho portato il lutto quando i greci sono stati costretti a rimanere a quelle condizioni (e adesso che ne sarà di loro?). Cent’anni dopo l’Ottobre, mi sembra che il nostro compito sia chiederci: cosa vuol dire Ottobre nell’epoca di Internet, del lavoro cognitivo e precario? Il precipizio che ci attende è il luogo in cui dobbiamo ragionare su questo.(Franco “Bifo” Berardi, “L’inglese se n’è gghiuto”, da “Alfabeta 2” del 28 giugno 2016).“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.
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Soluzione Finale, la sporca guerra dell’élite contro di noi
Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.Uno dei miti più in voga che dà forza alla narrazione luciferina prevalente che tende a legittimare un modello di governo fondato sulla menzogna, sul sopruso e sull’imbroglio riguarda il tema della guerra. «Chi di voi ha nostalgia delle brutture del Novecento, quando le guerre lasciavano sul campo milioni di morti sacrificati sull’altare di un nazionalismo anacronistico e aggressivo? Se oggi domina la pace, anzi, se da settanta anni gli europei vivono in armonia, il merito è del processo di unificazione avviato all’indomani del secondo conflitto mondiale. Nessuno ha il diritto di buttare a mare un patrimonio così nobile nato con Spinelli sull’isola di Ventotene». Non è forse questo il ritornello che i servi del regime massonico-mondialista ripetono di continuo come pappagalli ammaestrati? Siete poveri, disoccupati, disperati, ammalati e non curati? Non lamentatevi, dal momento che vi abbiamo perlomeno lasciato la libertà di ammazzarvi da soli, rispondono tra le righe i padroni del vapore. Ebbene, sappiate che il ricatto della “pace”è falso come una banconota da tre euro.Intanto quelli che si gloriano di avere condotto l’umanità sulla via della tolleranza e del progresso sono gli stessi che fomentano, finanziano, pianificano e realizzano di continuo stragi in Medio Oriente. Basta studiare en passant il profilo di una Hillary Clinton, appoggiata discretamente pure dal clan Bush nella corsa alle presidenziali americane, per rendersene conto. In secondo luogo non è vero che la guerra è stata bandita nel “mondo libero”, avendo semmai assunto forme asimmetriche, ipocrite e dissimulate. La guerra, è vero, non si combatte più “orizzontalmente” tra eserciti regolari. La guerra moderna, che è in atto ed è altrettanto sanguinaria e spietata, la combattono trasversalmente i pochi potenti – ovunque dislocati nell’orbe terracqueo – contro i tanti poveracci che brulicano senza sosta in cerca di sicurezze che mai troveranno. Detta in termini più chiari ed espliciti: Obama, Merkel, Hollande, Abe, Cameron e compagnia non si combattono tra di loro perché già impegnati nel combattere insieme una guerra sporca contro tutti noi; i rappresentanti politici delle élite economiche e finanziarie dei rispettivi paesi colpiscono come un sol uomo gli esclusi e i deboli in quanto tali, senza cioè farsi condizionare da questioni di razza, sesso o religione, fattori da essi stessi marxianamente considerati poco più che “sovrastruttura”.In questo modo le élite colpiscono nell’ombra e non rischiano quasi nulla. Immaginate come sarebbe oggi il mondo se Hilter e Stalin, anziché sfidarsi mortalmente, avessero trovato all’epoca un accordo tra di loro sulle pelle delle classi subordinate tanto russe quanto tedesche. La “pace” di cui oggi “godiamo” è frutto di uno scellerato patto che “blinda” soltanto i vertici della Piramide. Per cui non bisogna lasciarsi impaurire dalle letture distorte e interessate veicolate da figuri come Giorgio Napolitano, pericolosissimo elemento che ha lavorato e lavora come pochi per disintegrare il benessere materiale e spirituale dell’Italia. Chi governa sulla paura è ontologicamente un farabutto. Chi propone di accettare una scelta dolorosa, non per convinzione ma per evitare guai peggiori, è certamente un delinquente da segnare con matita rossa per poi colpire (politicamente s’intende) con intensità e cinismo nel momento più opportuno. Fretta e isteria sono sempre cattive consigliere.Per Tony Blair, ad esempio, macellaio che falsificò documenti per giustificare una scellerata guerra in Iraq, il momento delle “spiegazioni” è quasi arrivato. Il 6 luglio verrà infatti pubblicato un report all’interno del quale saranno messe in evidenza le tante porcherie commesse dall’ex premier inglese. Solo chi insegua la “giustizia” prima o poi rischia di trovarla. Il “sistema” eretto dai massoni mondialisti e nazisti tecnocratici, che punta finalisticamente alla creazione di un mondo reso omogeneo dalla divinizzazione dei “diritti cosmetici” (a scapito di quelli sostanziali, economici e sociali), da realizzare per mezzo di endemici shock sapientemente cadenzati nel tempo, comincia a scricchiolare. In Austria hanno dovuto ricorrere all’utilizzo di pacchiani brogli elettorali per insediare al potere l’ennesimo personaggio “tegolato” e “ammaestrato”. In Francia il premier Valls ha già dato il via a rastrellamenti in stile Petain. Insomma la resa dei conti è già iniziata e i nemici della verità, della libertà e della democrazia sono spietati e pronti a tutto. I loro effimeri troni, a breve, verranno definitivamente spazzati.(Francesco Maria Toscano, “I nazisti tecnocratici pianificano la Soluzione Finale in danno delle classi subalterne”, dal blog “Il Moralista” del 27 maggio 2016).Questa Europa è un lager. Perfino il “Corriere della Sera” ha pubblicato giorni fa uno studio dove si evidenzia come negli ultimi anni sia esploso anche in Italia il numero dei bambini poveri; dei bambini che, cioè, nel cuore dell’Occidente “opulento” e “libero”, vivono in condizioni paragonabili a quelle che scandiscono la vita delle famigerate favelas brasiliane. Il “Corriere della Sera”, al pari dei boss mafiosi che mandano una corona di fiori per onorare il funerale di quelli che hanno appena finito di scannare, è parte del progetto genocida in atto. Un progetto che espleta i suoi velenosi effetti senza ricorrere a metodi formalmente cruenti. Perché uccidere, quando si può indurre al suicidio? Perché depredare con la forza ciò che può essere estorto con la carta bollata? Devo ammettere che i nazisti tecnocratici che comandano il globo, appena riunitisi in Giappone per pianificare nuovi stermini e rappresaglie contro una umanità che considerano inferiore e bestiale, sono davvero scaltri.
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Sanders e i bari del globalismo-canaglia, da Hillary a Renzi
Gli avvocati del Free Trade cominciano a preoccuparsi per le critiche che piovono sulla globalizzazione selvaggia da tutti i maggiori candidati in corsa per la Casa Bianca, dal repubblicano Trump al democratico-socialista Sanders, senza escludere la democratica moderata Hillary Clinton che, dimentica di quanto sostenuto in passato assieme al marito ultraliberista, oggi corteggia gli elettori radicali di Sanders con dichiarazioni contro il TTIP, temendo che le neghino l’appoggio nel caso quasi certo che sia lei correre per le presidenziali di novembre. Dopo Zuckerberg, che giorni fa ha tuonato contro gli anacronistici costruttori di muri che vorrebbero farci regredire al medioevo, è intervenuta la segaligna managing director del Fmi, Christine Lagarde: «Non entro nelle campagne politiche, ma dico che chi mette in discussione il free trade sbaglia», ha detto, per poi aggiungere: «I commerci internazionali portano benessere per tutti e la loro contrazione costa cara soprattutto ai paesi più poveri». Quindi è stata la volta del boss dei boss Bill Gates, il quale ha dichiarato al “Financial Times”: «Qualcuno dovrà pure ricordare alla gente che gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il maggiore beneficiario della globalizzazione».Insomma chi beneficia della globalizzazione: i paesi più poveri? Gli Stati Uniti? Tutti? La risposta sta nel fatto che queste indignate reazioni bersaglino soprattutto il repubblicano Trump e i populismi europei di destra. Questo perché sono bersagli “facili”, a causa del loro sgangherato razzismo contro i migranti. Più difficile misurarsi con Sanders che, nei suoi discorsi, smaschera sia le menzogne dei guru americani della New Economy, dimostrando cifre alla mano che a beneficiare del free trade non è stato il popolo americano (che al contrario ha perso milioni di posti di lavoro, oltre a subire tagli ai salari e al welfare) ma la casta dei super ricchi, sia quella della Lagarde, dimostrando che i presunti “benefici” per i paesi poveri consistono nella schiavizzazione di milioni di lavoratori in fabbriche lager come le maquilladoras messicane e la cinese Foxconn.E la battaglia di Sanders serve a smascherare anche le menzogne degli ex socialdemocratici convertiti al neoliberismo, i quali, da Blair a Renzi, celebrano a loro volta le magnifiche sorti e progressive di un mondo sempre più interconnesso, “libero” e “felice”. Inoltre, nella misura in cui dimostra che si può essere contro la globalizzazione dei flussi finanziari senza demonizzare i flussi migratori, può forse instillare un po’ di saggezza nei cervelli assopiti di quegli intellettuali della “sinistra radicale” che credono che la globalizzazione, ad onta dei “danni collaterali” che provoca, sia cosa buona perché favorisce la modernizzazione, l’innovazione, lo sviluppo delle forze produttive, ecc., alimentando l’equivoco che il cosmopolitismo borghese dei Gates e dei Zuckerberg possa avere qualcosa da spartire con l’alter mondialismo progressista.(Carlo Formenti, “A chi giova la globalizzazione? Il dibattito alle primarie Usa”, da “Micromega” del 20 aprile 2016).Gli avvocati del Free Trade cominciano a preoccuparsi per le critiche che piovono sulla globalizzazione selvaggia da tutti i maggiori candidati in corsa per la Casa Bianca, dal repubblicano Trump al democratico-socialista Sanders, senza escludere la democratica moderata Hillary Clinton che, dimentica di quanto sostenuto in passato assieme al marito ultraliberista, oggi corteggia gli elettori radicali di Sanders con dichiarazioni contro il TTIP, temendo che le neghino l’appoggio nel caso quasi certo che sia lei correre per le presidenziali di novembre. Dopo Zuckerberg, che giorni fa ha tuonato contro gli anacronistici costruttori di muri che vorrebbero farci regredire al medioevo, è intervenuta la segaligna managing director del Fmi, Christine Lagarde: «Non entro nelle campagne politiche, ma dico che chi mette in discussione il free trade sbaglia», ha detto, per poi aggiungere: «I commerci internazionali portano benessere per tutti e la loro contrazione costa cara soprattutto ai paesi più poveri». Quindi è stata la volta del boss dei boss Bill Gates, il quale ha dichiarato al “Financial Times”: «Qualcuno dovrà pure ricordare alla gente che gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il maggiore beneficiario della globalizzazione».
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Non credete a quelle bombe: sanno quando esploderanno
«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».Strategia della tensione, istruzioni per l’uso: Mazzucco, giornalista e regista di importanti documentari sull’11 Settembre (“Inganno globale”, “La nuova Pearl Harbor”) fornisce una sintesi sconcertante, in una recente conferenza in Friuli ripresa sul blog “Luogo Comune”. Tema: le modalità sistematiche con cui si ripetono i più recenti attentati, destinati – sempre – a impressionare profondamente il pubblico, diffondendo un senso generale di paura e insicurezza. «Pazienza se il pubblico non si accorge di essere preso in giro: il guaio è che sono i giornalisti a far finta di niente, come se non si accorgessero della ripetitività della trama», a partire dai primi due aspetti che saltano immediatamente all’occhio, l’esercitazione concomitante e la comparsa del “patsy”. Primo: «Quando c’è un attentato, c’è sempre la presenza contemporanea di esercitazioni di forze speciali che fanno esattamente, per finta, quello che poi succede davvero». Secondo: in brevissimo tempo, anche solo poche ore, viene individuato il “colpevole presunto”, perfetto per distrarre i media dalla scena del crimine: da quel momento, giornali e televisioni si occuperanno solo della biografia dell’arrestato, tralasciando di analizzare la dinamica reale degli eventi.Fa scuola, naturalmente, l’11 Settembre, con una decina di esercitazioni dell’aviazione programmate quella mattina, nonostante i ripetuti allarmi ricevuti dai servizi segreti di mezzo mondo, che da mesi parlavano di possibili attentati negli Usa, per giunta proprio con aerei di linea dirottati. Sicché, alcune di quelle esercitazioni prevedevano esattamente l’intervento dei caccia contro voli dirottati – ma nei cieli del Canada e dell’Alaska: a difendere il quadrante nord-est degli Stati Uniti, quello di New York e Washington, c’erano solo 4 intercettori. Troppo pochi, per districarsi nel caos che faceva impazzire i radar: «C’era in volo almeno il triplo dei velivoli, e gli addetti alla sicurezza non sapevano quali fossero quelli dirottati e quali no». Oltre ad allontanare i caccia e a creare confusione, secondo il giornalista investigativo Webster Tarpley le esercitazioni aeree programmate proprio quel giorno servivano anche a controllare dall’interno i computer della sicurezza, depistando le operazioni, grazie all’accesso diretto ai monitor della difesa, dietro a cui stavano ignare sentinelle. In più, quella mattina – stranamente – il grado di allerta era stato declassato a “normale”, il livello più basso. «Coincidenze o barzellette».Poi ci sono gli attentati a terra, i più diffusi. «Immancabile, la simultanea esercitazione antiterrorismo». Comodissima, peraltro: «Intanto perché qualcuno deve piazzarla, la bomba: se per caso viene colto in flagrante, può sempre dire che fa parte dell’esercitazione. Poi la bomba scoppia davvero, e un minuto dopo si sprecano le dichiarazioni di stupore: che combinazione, dicono tutti, è successo proprio mentre eravamo lì. E infine, proprio perché erano già lì – forze di sicurezza, soccorritori, ambulanze – si fa anche bella figura, soccorsi immediati e rapidissima cattura del “colpevole”». Sempre secondo Mazzucco, un caso da manuale è quello dei devastanti attentati dinamitardi di Londra, 7 luglio 2005: colpiti tre convogli della metropolitana e un autobus, 56 morti e 700 feriti. «In tutte e quattro le situazioni erano in corso esercitazioni anti-bomba. Dai responsabili della sicurezza, ovviamente “meravigliati” per la straordinaria coincidenza, giunse anche un’excusatio non petita: dissero che i loro uomini erano presenti in quei luoghi non a caso, ma per proteggere la City finanziaria». E attenzione: «In quelle ore, a Edimburgo, era in corso il G8: quale prefetto autorizzerebbe mai una esercitazione antiterrorismo nello stesso giorno in cui nel tuo paese è in corso un G8? Impensabile».Stessa dinamica negli Usa dieci anni prima, il 19 aprile ‘95. Oklahoma City: camion-bomba contro un edificio federale, il Murrah Building. Secondo la versione ufficiale, il veicolo era stato imbottito con oltre 2.300 chili di fertilizzante. Una strage: 168 morti, tra cui 19 bambini, e 680 feriti. Il più sanguinoso attentato terroristico entro i confini degli Stati Uniti prima dell’11 Settembre. «Mai, fino ad allora, gli americani si erano sentiti così vulnerabili», annota Mazzucco. «Furono le prove generali, per testare l’opinione pubblica prima del super-attentato delle Twin Towers?». Quella volta niente arabi, ma un estremista di destra, Timothy McVeigh, veterano della guerra del Golfo, arrestato e poi giustiziato sei anni dopo con iniezione letale. E l’esercitazione concomitante? C’era, naturalmente: Alex Jones, titolare dell’importante sito web “Prison Planet”, spiega che a Oklahoma City, nello stesso momento, erano in corso esercitazioni anti-bomba della polizia federale. Un’altra straordinaria coincidenza.Idem alla maratona di Boston, 15 aprile 2013: «Proprio sulla linea del traguardo – ricorda Mazzucco – si stava svolgendo un’esercitazione con cani anti-bomba». Gli altoparlanti ripetono l’annuncio, per il pubblico in apprensione che osserva le squadre di sicurezza: «Non preoccupatevi, è solo un’esercitazione». Tre secondi dopo l’ultimo annuncio, scoppia la bomba: 3 morti e 264 feriti. Dagli Stati Uniti alla Francia: Parigi, 13 novembre 2015, la carneficina del teatro Bataclan, 137 morti e 368 feriti. «L’indomani – rileva Mazzucco – il capo della protezione civile va in televisione e dice: ma tu guarda, proprio ieri mattina stavamo facendo un’esercitazione negli stessi posti. Una fortuna, per l’efficienza dei soccorsi». Ultimo capitolo, la mattanza di San Bernardino, California, 2 dicembre 2015. Marito e moglie sparano su un centro per disabili: 14 morti e 13 feriti. «E cos’era in corso, proprio lì, un attimo prima dell’attentato? L’esercitazione “Active Shooter”», sottolinea Mazzucco. «Non solo ci prendono in giro, ma contano sul fatto che non abbiamo memoria, capacità di collegare i fatti. Noi pazienza, ma i giornalisti dovrebbero farlo per mestiere: invece tacciono, guardano da un’altra parte, altrimenti perdono il lavoro».E’ successo ad Andrew “Judge” Napolitano, conduttore di una famosa trasmissione a “Fox News”: licenziato, dopo aver denunciato il ruolo dell’Fbi nella formazione e nell’assistenza dei terroristi di Oklahoma City. Stranamente, dopo aver fatto quel servizio, è stato liquidato. Napolitano parlava anche di 17 casi apparentemente sventati dall’Fbi, dove – diceva – era stata la stessa Fbi a infiltrare aspiranti terroristi, convincendoli: «Hanno reclutato islamici, giovani incazzati, e li hanno covinti ad agire, spiegando loro che avrebbero potuto cambiare il mondo ammazzando degli americani, per poi presentarli come “arabi dalla mentalità anti-americana”». Altre volte, «l’Fbi ha usato intermediari con precedenti penali, disponibili a collaborare in cambio di sconti di pena». Tra le illustri vittime del mainstream anche un grande giornalista come Dan Rather, prestigioso reporter della “Cbs”: «E’ stato liquidato con una “polpetta avvelenata” (una notizia falsa, fornitagli appositamente), per bruciargli trent’anni di grande giornalismo. La sua colpa? Aveva rivelato e denunciato lo scandalo di Abu Ghraib, il lager iracheno dove si infliggevano le peggiori torture ai soldati di Saddam».Non se ne esce, dice Mazzucco, se la stragrande maggioranza dei giornalisti si ostina a “non vedere”. Eppure, nell’attentato del 1993 al Wto – un camion-bomba nel parcheggio sotterraneo della Torre 1 – fu la stessa Fbi ad ammettere di essere implicata: stava infiltrando aspiranti terroristi e aveva fornito loro l’esplosivo, tramite l’ex militare egiziano Emad Salem, il quale confermò che il tutto avvenne addirittura con la supervisione del procuratore distrettuale. «L’Fbi sapeva, poteva evitare l’attentato», conclusero le televisioni americane. Perché la situazione “sfuggì di mano”? Forse lo si può dedurre da quanto dichiarò, poco dopo, l’ex direttore dell’Fbi di New York, Jim Kallstrom: «Quella bomba ha fatto tremare il nostro concetto di sicurezza nazionale, la convinzione di essere invulnerabili al terrorismo. Le crepe nella fiducia non potranno essere riparate. E’ successo una volta: potrà succedere ancora? E’ quello che ci domandiamo». Stesso retroscena nelle indagini dopo l’attentato di Boston, per il quale furono incolpati i giovani fratelli Dzokhar e Tamerlan Tsarnaev, di origine cecena. In piena caccia all’uomo, la madre dichiarò: «Perché fingono di non sapere dove siano? Da più di tre anni l’Fbi vive qui a casa nostra e segue i miei ragazzi».Proprio la fulminea cattura del “patsy” è l’ultimo capitolo di quella che, per Mazzucco, è chiaramente una farsa: «Nell’infernale caos dell’11 Settembre, già nelle prime ore, l’unica notizia data per certa era la responsabilità di Bin Laden». E qual è il modo più semplice per arrivare subito al “colpevole”? «Ovvio: trovi il suo passaporto. E’ noto, infatti, che tutti quelli che vanno a fare attentati se lo portano dietro». Nell’apocalisse di fuoco, fumo e macerie di Ground Zero, gli unici reperti intatti erano quelli: «Passaporti solo bruciacchiati un po’ ai lati con l’accendino, ma con foto e nomi sempre ben visibili: nemmeno un documento annerito o strappato». Il primo, trovato il giorno dopo il crollo delle Torri, a quattro isolati: apparteneva ad Abdul Aziz Alomari, quello che insieme a Mohamed Atta avrebbe dirottato il primo aereo. E nella “Buca di Shanksville”, in Pennsylvania, niente rottami di aereo (solo un cratere con ferraglia fumante) e 2 passaporti intatti, una bandana rossa (indumento “appartenente a un dirottatore”, secondo le presunte telefonate dei passeggeri di uno degli aerei), più la carta d’identità di un terzo terrorista, più la ricevuta di una lavanderia, con tanto di nome e cognome del quarto presunto attentatore.Ancora più clamoroso il ritrovamento all’aeroporto di Boston, dove viene ritrovata una valigia “dimenticata” da due dei presunti dirottatori del volo per San Francisco. Contenuto: il Corano, tute dell’American Airlines, manuali di volo del Boeing 767 e, addirittura, la lista completa dei terroristi. Passaporti provvidenziali anche in tasca ai terroristi di Londra, quattro pakistani, inizialmente dichiarati “membri di Al-Qaeda” (notizia poi smentita, nel silenzio dei media). Fondamentali, i documenti, per collegarli alle immagini filmate dalle telecamere del metrò. «Niente passaporti, niente identificazione». Stessa situazione per Charlie Hebdo: «Indossavano passamontagna per non farsi riconoscere, salvo poi “dimenticare” un passaporto in bella vista sul cruscotto dell’auto». Il caso più tragicomico? Quello di Oklahoma City, dove «la famosa “bomba al letame” avrebbe tirato quasi giù un intero edificio in cemento armato». E come venne arrestato, Timonthy McVeigh? Mezz’ora dopo l’esplosione, viene fermato alla guida di un’auto senza targa, lanciata al doppio della velocità consentita. Poi il poliziotto nota che ha la maglietta “macchiata di letame”, quindi si insospettisce, e nel baule scova – indovinate – un manuale per fabbricare le bombe col letame.Il copione non cambia, dice Mazzucco, e il primo della storia fu Lee Harvey Oswald, presentato al mondo come l’assassino di John Fitzgerald Kennedy. «Non sono stato io», protestò, «io sono soltanto un “patsy”», cioè il diversivo perfetto per allontanare l’attenzione dalla dinamica del crimine, con tutte le sue incredibili incongruenze. Il caso è noto. Dopo la morte di Jfk, l’abitato di Dallas viene passato al setaccio. Ma Oswald, anziché sparire, prende con sé una pistola e se ne va in giro, armato, per la città. Lo ferma un poliziotto, l’agente Tippit, che gli chiede i documenti. Oswald estrae l’arma e gli spara. Poi si rifugia in un cinema, dove però si fa notare, perché entra senza pagare. Al che, la cassiera chiama la polizia, che lo arresta. Ma come lo collega a Tippit? Elementare: mentre estraeva la pistola gli è cascato il portafoglio, con dentro la patente. L’hanno trovato a terra, accanto al corpo dell’agente colpito. «Quindi – riassume Mazzucco – Oswald era andato ad ammazzare Kennedy pensando bene, anche lui, di portare con sé il documento di identità». Che altro aggiungere? «Siamo di fronte a una manipolazione totale. Ed è impossibile credere che i giornalisti non se ne rendano conto».«Se sentite parlare di un’esercitazione antiterrorismo, fate come dice Crozza: portate via i coglioni, e alla svelta!». Parola di Massimo Mazzucco. «Attenzione: i terroristi esistono, le bombe esplodono davvero e le vittime muoiono. Il problema è chi li crea, i terroristi, chi li manipola: capire quello che c’è dietro. Abbiamo un problema, sì. Ed è l’informazione, che da molti anni non fa più il suo dovere». Non vede, non sente, non parla. Soprattutto, non ricorda. Finge di non accorgersi che il copione è sempre lo stesso: esercitazione “antiterrorismo” e attentato concomitante, guardacaso, proprio lì, a quell’ora. A seguire: cattura immediata del “patsy”, il colpevole di comodo, regolarmente incastrato a tempo di record e col medesimo sistema: l’ingenuo aveva portato con sé il passaporto e, combinazione, l’aveva dimenticato proprio sul luogo dell’attentato. Succede da decenni, dice Mazzucco, e nessuno ci fa caso. Teoria e pratica del “terrorismo fatto in casa”, da Jfk in poi, fino alle Torri Gemelle, agli attentati di Londra e a quelli di Parigi. Succede sempre. E nessuno lo denuncia, perché «è più comodo, per la carriera di tutti».
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Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip
L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.La malafede di Cameron e del capitalismo britannico, che hanno bisogno dei migranti ma vogliono pagarli il meno possibile per ricattare così anche i lavoratori nativi, è stata formalizzata nell’accordo. I lavoratori regolari provenienti dai paesi Ue per 7 anni avranno meno diritti e garanzie sociali degli altri. Si torna così al peggio della condizione della immigrazione europea, che l’Italia ha vissuto dalla strage di Marcinelle in Belgio ai gastarbeiter in Germania negli anni ‘50. Emerge tutta la truffa della cosiddetta cittadinanza europea. Essa vale solo per i ricchi e per gli Stati più potenti, mentre gli italiani che andranno a lavorare in Gran Bretagna, e son già decine di migliaia, saranno cittadini europei di serie B. Ad essi si aggiungeranno i migranti regolarizzati extracomunitari, che saranno europei di serie C e sotto di essi tutti gli irregolari che sono e saranno fuori classifica, esposti al più turpe commercio delle vite. Intanto ogni paese europeo costruisce i suoi muri contro i migranti, e i paesi più ricchi scaricano sui più poveri il compito di costruire lager e fili spinati per fermare i profughi.Con questo accordo l’Unione Europea rinuncia a qualsiasi finta utopia democratica e si riconosce come un’associazione brutale di interessi economici di poteri forti, con precise aree di influenza e affari. L’euro rinuncia a diventare quella moneta europea di cui cianciano i suoi sostenitori, e si consolida come moneta tedesca allargata. Il solo terreno che unifica i paesi europei resta quello, come dichiara l’accordo, dello sviluppo della competitività, cioè di quella concorrenza al ribasso sui salari e sui diritti sociali che è alla base delle politiche di austerità di ogni Stato. Cameron, Hollande, Merkel hanno mostrato che la classe politica dei governi europei che decidono in Europa, al di là di distinzioni di facciata, è fatta tutta della stessa pasta e agisce per rispondere agli stessi interessi e poteri economici e finanziari. Renzi e Tsipras si sono mostrati i soliti ridicoli servi. Rappresentano i paesi i cui popoli più pagheranno questa intesa e l’hanno approvata. A Renzi è bastata la bacchettata di Monti (e Napolitano), immagino che Tsipras sarà stato come al solito messo a posto da Merkel. Penosi. Essere contro la Ue si dimostra sempre di più una scelta morale e politica per la democrazia, contro quella che sempre più si rivela una costruzione reazionaria e autoritaria, coperta dall’ipocrisia. Mi auguro che i cittadini britannici votino No a questa porcheria.(Giorgio Cremaschi, “Brexit, un accordo vergognoso che anticipa i danni del Ttip”, da “Huffington Post” del 20 febbraio 2016).L’accordo anti-Brexit dimostra che l’Unione Europea trova l’unità solo quando si tratta di togliere diritti sociali a qualcuno, solo quando si possono stabilire gerarchie di potere e diseguaglianze. Si sta nella Unione Europea per colpire i diritti dei popoli e per creare gerarchie di privilegi tra Stati e favorire i gruppi più potenti del capitalismo finanziario. Per tenere unita l’Unione Europea alla Grecia è stato imposto il memorandum che sta portando le condizioni sociali di quel popolo indietro di cento anni. La Gran Bretagna è infinitamente più potente della Grecia, e quindi per restare nella Unione ha ottenuto misure di segno opposto, cioè la possibilità per le sue grandi imprese di godere tutti i vantaggi finanziari della Unione – ricordiamo che la Fca Fiat ha stabilito lì la sede fiscale per pagare meno tasse – senza pagare alcun prezzo. L’accordo per evitare la Brexit prevede misure liberiste a favore delle imprese e del mercato globale di tutti i tipi, in questo senso diventa il cavallo di Troia per la sottoscrizione da parte della Ue del famigerato Ttip con gli Usa, anticipandone contenuti e principi. Ma soprattutto l’accordo è una infame intesa per il super-sfruttamento del lavoro dei migranti.