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Scie chimiche in tribunale, ma resta il silenzio sul fenomeno
Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato quello che Silvia Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», scrive Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».«Una bufera a cui non ero minimamente preparata», sostiene Silvia Bencivelli: «Io mi occupo di neutrini e balene, mai avrei pensato di poter suscitare un tale odio con un mio scritto». Si occupa di neutrini e balene, ma ha affrontato anche il tema delle scie chimiche. Come? Definendo il fenomeno “la leggenda di una bufala”. Sicurezza tolemaica, esibita già a partire dal sottotitolo: “Come una storia inventata da due truffatori americani nel 1997, per colpa dell’irrazionalità e dell’antiscienza, è diventata un articolo di fede”. Dunque quelle scie bianche sono rilasciate “dall’irrazionalità e dall’antiscienza”, non dagli aerei? Nell’articolo, la Bencivelli rievoca la storia di due statunitensi, Richard Finke e Larry Wayne Harris, che per reclamizzare la Lwh Consulting, società di consulenza contro gli attacchi terroristici, nel 1997 «cominciarono a spammare email in cui annunciavano l’imminenza di un attacco», con il batterio della peste bubbonica nebulizzato in atmosfera. A seguire, un “mailing” aggressivo sulla presunta irrorazione con sostanze tossiche mescolate al carburante degli aerei: «Le linee che riempiono i nostri cieli non sono scie di condensazione: vengono disperse e possono durare ore, rilasciando lentamente il flagello». La bufala cominciò così a volare, scrive Bencivelli, approdando sui media americani grazie al giornalista William Thomas, che ha lanciato “Skyder Alert”, il primo social network per appassionati di “chemtrails”: scaricato su smartphone, permette di inviare direttamente ai propri politici di riferimento le foto del cielo solcato da strisce bianche.«Sì, perché le principali prove dell’esistenza del fenomeno sono, al momento, fotografie del cielo», aggiunge Silvia Bencivelli nel suo articolo del 2013, citando “leggende” come quella degli “elicotteri neri” e “arei invisibili” che rilascerebbero veleni. Ma, a parte le dicerie sui vettori-fantasma, che dire delle scie che infestano lettaralmente il cielo da una quindicina d’anni? «Nella loro versione tradizionale», scrive la giornalista, «le scie chimiche vere e proprie sarebbero bianche e si riconoscerebbero dalle normali scie di condensazione degli aerei perché più spesse, più durature e genericamente insolite e sospette». Sarebbero? Certo: si usa il condizionale, di fronte alle scie bianche, come se chiunque non le potesse vedere. «Sarebbero anche recenti, cose degli ultimi vent’anni», aggiunge Bencivelli, «a dispetto di documenti fotografici risalenti alla guerra civile spagnola e alla seconda guerra mondiale che mostrano il cielo striato dalle tracce dei bombardieri». Qui bisogna ricorrere a Orwell: a meno di non metter mano a Photoshop, infatti – tra le foto scattate, a miliardi, sul pianeta Terra – è praticamente impossibile vedere (in tempo di pace) cieli striati di bianco, prima del Duemila. Oggi, viceversa, come chiunque può constatare – chiunque, ma non il giornalismo “scientifico” – non esiste più alcun orizzonte interamente blu, se non in giorni di forte vento: l’atmosfera è letteralmente coperta dalla griglia candida stesa in cielo ogni giorno dai “pittori” alati.Come da copione, in questi casi il mainstream si rivolge al Cicap, il think-tank fondato alla fine degli anni ‘80 su impulso di Piero Angela. L’iniziale Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale, proprio nel 2013 ha cambiato pelle: il suo “controllo” si è concentrato sulle Affermazioni sulle Pseudoscienze. L’uomo Cicap immancabilmente citato da Silvia Bencivelli nel suo celebre articolo sulla “Stampa” è Simone Angioni, chimico dell’università di Pavia. Lo schema è ripetitivo: Angioni si limita a parlare delle innocue scie di condensazione, quelle che “seguono” l’aereo per pochi chilometri, dissolvendosi rapidamente. Un giornalista, “scientifico” o no, a questo punto dovrebbe fare domande. Per esempio: le scie sono aumentate? Da quando sono comparse le scie “persistenti”? Sono provocate dal carburante degli aerei o da mutate condizioni atmosferiche? C’è da preoccuparsi o possiamo stare tranquilli? In altre parole: cosa sono, tutte quelle scie che ormai velano il sole e che vent’anni da non c’erano? Ma niente: non se ne parla proprio, laddove si svela “la leggenda di una bufala”. Il chimico Angioni preferisce un altro tema: la descrizione delle dicerie comuni, a cura del “complottismo”, sulla composizione delle scie. «Per qualcuno, di recente – aggiunge il tecnico del Cicap – c’è anche il sospetto di un complotto internazionale per indurre modifiche climatiche con microparticelle metalliche o cose simili, che nasce dalla confusione con esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche».Esperimenti veri, e pubblici, di modifica di microcondizioni climatiche? Questa sì che è una notizia, ma a quanto pare è fuori dalla portata dal nostro giornalismo “scientifico”. Il report “owning the weather” diffuso dal generale Fabio Mini, già a capo della missione Nato in Kosovo, è rimasto per lo più confinato nel recinto “cospirazionista” del web, così come le tesi sulla geoingegneria esposte a Erice dallo scienziato americano Edward Teller, il primo a parlare di “aerosol” nei cieli. «Ma in sostanza, niente di dimostrato e niente, alla fine, di veramente spaventoso», si legge nell’articolo della Bencivelli sulle scie, rassicurante solo per i ciechi. «Solo una bufala che vola», insiste, nonostante le innumerevoli interrogazioni parlamentari sul tema e il riprovevole spazio concesso alle ipotetiche “chentrails” da trasmissioni come “Voyager” e da emittenti come “Radio Deejay”. Ma attenzione: «Non è un vero business», precisa il chimico Angioni, improvvisandosi esperto di comunicazione: «Piuttosto serve ad avere l’attenzione dei media e del pubblico, fino alla prima serata in tv», quando finalmente si parlerà di cose più serie. «Nonostante tutto, la bufala delle scie chimiche continua a viaggiare indisturbata». Perché? Secondo Angioni, per una ragione umanissima: «La convinzione di essere i salvatori del mondo è appagante, soprattutto se si può diventare eroi restando comodamente seduti alla propria scrivania».Al contrario, «rivedere le proprie convinzioni significa tornare alla dura realtà», sostiene il chimico del Cicap. «Così molti preferiscono rimanere nel mondo delle cospirazioni globali». Il mondo dei complotti: «Quello in cui le bufale volano, per esempio», chiosa Silvia Bencivelli, il cui caso – le minacce, ora sanzionate dalla magistratura – torna ad alimentare la campagna di stampa contro il web. Silenzio assoluto, invece, sulle fake news che i grandi media continuano a fabbricare: solo “Pandora Tv” ha raccontato la storia di Hassan Djab, 11 anni, trasformato – in cambio di un po’ di cibo – in “comparsa” per il video girato dagli Elmetti Bianchi per simulare le conseguenze del presunto attacco chimico a Douma, servito da pretesto per il bombardamento missilistico ordinato da Trump. Giornali e televisioni? Hanno parlato dei “gas di Assad”, poi hanno voltato pagina. «I Caschi Bianchi tentano di corrompere anche il mondo dello spettacolo», denuncia Roger Waters in un concerto a Barcellona, dopo che qualcuno aveva cercato di ingaggiare l’ex Pink Floyd per la “crociata” contro la Siria. E’ vero, sui social media circola molto odio, protetto dall’anonimato dei nickname. Le menzogne veicolate dalla grande stampa, invece, fanno volare i missili. Le scie chimiche? Sembrano una piccola palestra di deformazione della realtà. Non viene in mente, al Cicap, che per dissipare le più fervide fantasie “complottistiche” basterebbe un pizzico di verità? Chi si azzarderebbe ancora a romanzare ipotesi fantasiose, se finalmente un governo si decidesse a spiegare cosa sono, quelle scie bianche che tutti (tranne il giornalismo “scientifico”) vedono invadere il cielo, da una ventina d’anni?Tu chiamalo, se vuoi, giornalismo. Nessuno sa o vuole spiegare come mai i cieli non sono più azzurri, ma a strisce bianche. Eppure la colpa è dei “complottisti”, non dei governi che tacciono sul fenomeno. Non fa eccezione la reporter Silvia Bencivelli, letteralmente bombardata da «un crescendo di insulti e minacce sui social (spesso a sfondo sessuale)», dopo un articolo scritto per “La Stampa” nel 2013, dal titolo: “Scie chimiche, la leggenda di una bufala”. Un assedio intimidatorio che, scrive ora su “Repubblica”, «mi ha costretto a vivere nella paura» da quando un “branco” di ostinati “cospirazionisti” l’ha presa di mira. Ora è stato condannato (in primo grado) quello che la Bencivelli definisce “il capobranco”: si tratta di Rosario Marcianò, del blog “Tanker Enemy”: otto mesi, per diffamazione a mezzo web. «La sentenza è di quelle storiche, capaci di creare un precedente», si compiace Giorgia Marino sulla “Stampa”, che saluta «forse anche un cambio di rotta, in tempi in cui odio digitale ed esacerbata violenza verbale impediscono troppo spesso un pacato e civile dialogo online». Tutto nasce nel 2013, quando Bencivelli scrive un articolo che la stessa Marino definisce “di giornalismo scientifico”. «Dopo appena mezz’ora dalla pubblicazione online, sulla casella di posta elettronica della giornalista arriva una email di Marcianò: “Non ti vergogni?”. Da quel momento – scrive Giorgia Marino – comincia un vero e proprio mail-bombing da parte dei seguaci di Marcianò, a cui segue una valanga di messaggi aggressivi su Facebook, incitati dallo stesso guru delle scie chimiche».
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Molinari: serve una donna a Palazzo Chigi, dopo 71 anni
Una donna a Palazzo Chigi, per la prima volta dopo 71 anni? Nelle trattative tra i partiti per trovare una maggioranza in Parlamento si fa strada l’ipotesi di un nome super partes, in grado di sciogliere le resistenze dei diversi schieramenti sui candidati che hanno vinto le elezioni. Comincia a farsi strada l’idea di un premier donna, lanciata dal direttore della “Stampa”, Maurizio Molinari. «Per l’Italia che il 4 marzo si è recata alle urne chiedendo un forte rinnovamento della classe politica – scrive – è arrivato il momento di avere una donna alla guida del governo». Il risultato del voto non potrebbe essere più evidente, ammette Molinari, perché oltre la metà degli elettori ha votato per partiti anti-establishment. A prescindere da quale sarà la combinazione di forze che esprimerà il nuovo presidente del Consiglio, «l’opportunità di avere in Italia la prima donna premier ha un valore strategico», è addirittura «un interesse nazionale», perché «potrebbe trasformare l’entusiasmo per il voto in entusiasmo per il governo, contribuendo a rafforzare la credibilità delle istituzioni rappresentative in una stagione segnata dal loro indebolimento». E’ quasi euforico, Molinari; con una donna primo ministro «l’Italia lancerebbe un segnale folgorante».Numerosi studi, secondo Molinari, dimostrano che il ritardo nella parità di genere frena lo sviluppo economico: «Una premier in Italia sarebbe un evento-spartiacque, tale da favorire un ruolo maggiore delle donne nel sistema produttivo nazionale, con una pioggia di ricadute postive». Chi sosterrebbe l’eventuale esecutivo “in rosa”? Teoricamente le ipotesi possibili sono quattro, ricorda l’“Agi”: coalizione M5S-Lega, coalizione M5S-Pd, governo di larghe intese, coalizione M5S-centrodestra. Quali le eventuali candidate per Palazzo Chigi? Nel caso toccasse alla berlusconiana Maria Elisabetta Alberti Casellati, appena eletta a Palazzo Madama anche coi voti dei grillini, potrebbe liberarsi la presidenza del Senato per il Pd, in vista di ipotetiche larghe intese. Tradizionale riserva della Repubblica, scrive sempre l’“Agenzia Italia”, la Corte Costituzionale ha nei suoi ranghi la vicepresidente Marta Cartabia (area centrosinistra) e Daria De Pretis, ancora più a sinistra. Ma se a scegliere dovesse essere il Movimento 5 Stelle – sostiene l’“Agi” – probabilmente a Palazzo Chigi andrebbe Silvana Sciarra, che in passato ha colpito duramente la legge Fornero, costringendo le forze politiche a una sua parziale revisione. Si parla anche dell’ex ministro Paola Severino, invisa però a Berlusconi (sua la legge che l’ha reso incandidabile), e tra i nomi sempre spesi volentieri c’è quello della Bonino, «reduce sì da una delusione elettorale, ma ben attenta a non legare troppo il suo nome a quello dei democratici».Curriculum ecumenico, quello della Emma nazionale: Berlusconi la volle alla Commissione Europea, il centrosinistra alla Farnesina. «Di profilo più basso i nomi al femminile che può presentare la Banca d’Italia, anch’essa tradizionale serbatoio di premier traghettatori e super partes». La stessa “Agi” fa i nomi di dirigenti come Orietta Maria Varnelli, Franca Alacevich e Donatella Sciuto. Poi le outsider: «Deboli, almeno a momento, anche i nomi di Anna Finocchiaro, più volte indicata in passato come possibile candidata al Quirinale, e di Linda Lanzillotta. Quanto a Lucrezia Reichlin, l’economista ha uno splendido curriculum ma potrebbe risultare poco gradita a Lega e 5 Stelle: troppo tecnica, soprattutto vicina ai mondi di Bruxelles e Londra che le due formazioni dicono di non apprezzare». Archiviate la Boschi e la Boldrini, insieme a Debora Serracchiani, Beatrice Lorenzin e Daniela Santanchè, a bordo campo qualcuno avvista Mara Carfagna, o meglio ancora Anna Maria Bernini, capogruppo forzista al Senato, già candidata alla presidenza da Salvini. Debuttanti assolute, dalla cosiddetta società civile? C’è chi ricorda che i grillini volevano Milena Gabanelli, giornalista fondatrice di “Report”, addirittura al Quirinale. Ma la donna più impegnata in politica – capo di un partito – è Giorgia Meloni, battagliera leader di “Fratelli d’Italia”, costola minore della coalizione vincente alle elezioni. Non esattamente una figura di mediazione: toni sempre accesi, contro l’ignobile “burocratura” di Bruxelles.Una donna a Palazzo Chigi, per la prima volta dopo 71 anni? Nelle trattative tra i partiti per trovare una maggioranza in Parlamento si fa strada l’ipotesi di un nome super partes, in grado di sciogliere le resistenze dei diversi schieramenti sui candidati che hanno vinto le elezioni. Comincia a farsi strada l’idea di un premier donna, lanciata dal direttore della “Stampa”, Maurizio Molinari. «Per l’Italia che il 4 marzo si è recata alle urne chiedendo un forte rinnovamento della classe politica – scrive – è arrivato il momento di avere una donna alla guida del governo». Il risultato del voto non potrebbe essere più evidente, ammette Molinari, perché oltre la metà degli elettori ha votato per partiti anti-establishment. A prescindere da quale sarà la combinazione di forze che esprimerà il nuovo presidente del Consiglio, «l’opportunità di avere in Italia la prima donna premier ha un valore strategico», è addirittura «un interesse nazionale», perché «potrebbe trasformare l’entusiasmo per il voto in entusiasmo per il governo, contribuendo a rafforzare la credibilità delle istituzioni rappresentative in una stagione segnata dal loro indebolimento». E’ quasi euforico, Molinari; con una donna primo ministro «l’Italia lancerebbe un segnale folgorante».
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Non basta uscire da Facebook, va chiusa anche WhatsApp
Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.Il patron di Facebook, Mark Zuckerberg, ha detto al “New York Times” di non ritenere che ci sia stato un numero significativo di abbandoni di Facebook. Molti siti, aggiunge “La Stampa” hanno intanto spiegato che, in realtà, cancellare il proprio account non è sufficiente per smettere di fornire dati al social network. La canadese “Ctv News” ricorda (pubblicando il contenuto anche su Facebook) che la società di Zuckerberg ha acquisito Instagram nel 2012 e poi i sistemi di messaggistica Cros e Whatsapp, nonché la società per lo sviluppo di realtà virtuale OculusVr e lo stesso Tbh, il social network usato soprattutto dai più giovani. L’amara soerpresa? «I termini per l’uso dei dati e la privacy di queste società permettono lo scambio di dati con Fb», scrive Magliocco. «La società di Zuckerberg, quindi, continuerebbe a raccogliere informazioni sulle persone attraverso queste altre app, se non vengono anch’esse abbandonate». E non è tutto: pure utilizzare il proprio account di Facebook per risparmiare tempo quando ci si iscrive ad altre applicazioni, come Airbnb, «probabilmente mette in collegamento i dati registrati da queste app con il social network». Se si vuole sapere quali siano queste applicazioni “contagiose” si può accedere al loro elenco attraverso il menù “impostazioni”.Inoltre, come ha dimostrato proprio il caso di Cambridge Analytica, i dati possono essere raccolti anche attraverso il collegamento con gli altri, aggiunge la “Stampa”: «Per essere certi che le proprie informazioni siano al sicuro non bisognerebbe essere in contatto con altre persone attraverso applicazioni che, nelle impostazioni usate da queste persone, siano potenzialmente collegate con Facebook». Ma ci vuol altro, per scoraggiare gli utenti di Facebook – ormai 2 miliardi, in tutto il mondo. Il quotidiano torinese cita lo psicanalista Aaron Balick, autore del libro “The Psychodynamics of Social Networking”, intervistato dall’edizione britannica di “Wired”. Per Balick, il problema nel lasciare Facebook sarebbe soprattutto di ordine psicologico: la preoccupazione per la propria privacy non supererebbe ancora la comodità di mantenere rapporti attraverso il social network, perché «a questo punto Facebook è integrato nelle nostre vite di relazione». Come dire: sappiamo di essere in trappola, ma ci restiamo tranquillamente. E pazienza se ogni nostro sospiro viene schedato e tradotto in numeri, a beneficio del marketing o del controllo politico.Non è così facile “mollare” Facebook e la sua rete di collegamenti: per uscire dal “radar” del più vasto social network al mondo, infatti, non basta cancellare il proprio profilo. Lo spiega Paolo Magliocco sulla “Stampa”, pensando soprattutto all’esodo di massa che sarebbe in corso: molti utenti sono infatti intenzionati ad abbandonare la piattaforma digitale più diffusa sul pianeta, dopo lo scandalo Cambridge Analytica: i dati di 50 milioni di statunitensi registrati da Facebook sono stati poi utilizzati da una società privata per la campagna elettorale presidenziale del 2016 ch ha incoronato Donald Trump. L’accusa: trasferendo i Big Data, Facebook ha consentito agli uomini reclutati da Steve Bannon di conoscere in anticipo l’orientamento elettorale di milioni di americani, “leggendo” alla perfezione anche il loro profilo psicologico, le loro abitudini, le loro intenzioni e forse anche i loro pensieri più reconditi, neppure ancora espressi. Alcuni utenti di Facebook adesso «hanno scoperto che i dati conservati dal social network sono molto più ampi di quanto immaginato». Dati che infatti «comprendono il registro di telefonate e messaggi di ogni genere, da Messenger a Whatsapp e agli Sms». Il movimento “#deletefacebook” ha raccolto adesioni di persone note, come la cantante Cher, l’industriale Elon Musk (proprietario di Tesla e SpaceX) e il cofondatore di Whatsapp, Brian Acton.
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Cox: ancora 20 anni e saremo al sicuro, popolando lo spazio
Se superiamo i prossimi 10-20 anni e non ci distruggiamo, credo che diventeremo una civiltà multiplanetaria. Sarà inevitabile. Mi piacerebbe che si scoprisse la vita su Marte o sulle lune di Giove o Saturno. La vita è inevitabile, quando ci sono le condizioni. In fisica, invece, vogliamo capire cosa sia l’energia oscura: si tratta di un problema teorico immenso. Dobbiamo renderci conto che luoghi come il nostro, come la Terra, potrebbero essere rari. E che perciò hanno grande valore. Eppure questa prospettiva non è tenuta in forte considerazione. Prevalgono gli interessi nazionali, invece della collaborazione internazionale. Ecco perché, per me, è un disastro che la Gran Bretagna abbia votato la Brexit. Ed è il motivo per cui abbiamo bisogno di qualcosa – uno shock, appunto – che ci costringa a pensare con più attenzione al nostro posto nell’universo e alla nostra singola civiltà. Il cosmo è il nostro destino? Sono convinto che siamo destinati a esplorarlo e colonizzarlo: penso al Falcon Heavy di Elon Musk, alla sua società Space X e alla Blue Origin di Jeff Bezos e alle loro future collaborazioni con Nasa ed Esa. Una volta che saremo nello spazio, con una base su Marte, allora saremo al sicuro.Il ritorno sulla scena di una possibile guerra nucleare? Mi vengono in mente le lezioni alla “Bbc” di Richard Oppenheimer, nel 1953, e il discorso di Richard Feynman “Il valore della scienza” del 1955: entrambi sostenevano che eravamo stati fortunati a scampare all’atomica, nonostante le scarse capacità dei politici. Questo istinto a non fare cose stupide dura da oltre 70 anni. Abbiamo bisogno di più scienziati in politica, dato che in questo momento viviamo un rapporto difficile con i fatti. Gli scienziati, infatti, rappresentano un modo di pensare che ci ha dato di tutto, dalla medicina alle comunicazioni digitali: non c’è nessuno, in ogni singolo minuto, che non usi un prodotto della scienza. E tuttavia questa logica – che è nata in Italia con il Rinascimento – non è rappresentata in modo abbastanza forte. Ecco perché penso alla politica: ogni scienziato dovrebbe pensarci. Che cosa ci insegna questa logica che trascuriamo? Due aspetti. Il primo è legato al famoso motto della Royal Society, di cui sono “fellow”: “Nullius, in verba”, vale a dire “non prendere per buone le parole di nessuno”.Newton è stato uno dei suoi presidenti, in un’epoca di poco successiva a Galileo, e il principio era di non fidarsi di nessun testo antico, che fosse Aristotele, Platone o la Bibbia. Il secondo aspetto è connesso al presente: non è possibile per un singolo individuo capire tutta la scienza, dato che non si può passare la vita a leggere testi scientifici. Ci sono anche altre cose da fare! E allora si deve avere la giusta percezione di chi fidarsi: se gli scienziati sostengono che è una buona idea tagliare le emissioni di anidride carbonica, da chi altri, se non loro, dovrei accettare quell’informazione? Nelle democrazie si prendono spesso decisioni sul futuro e, se le persone non capiscono come nasce un’argomentazione scientifica, siamo nei guai.(Brian Cox, dichiarazioni rilasciate a Gabriele Beccaria per l’intervista “Resistiamo per 20 anni, poi popoleremo lo spazio e saremo al sicuro”, pubblicata da “La Stampa” il 12 febbraio 2018. Scienziato e divulgatore, autore del saggio “Universal. Una guida al cosmo”, Hoepli, e del bestseller “Forces of Nature” in cui ammonisce che l’umanità ha bisogno di uno shock collettivo, l’inglese Brian Cox è fisico delle particelle all’università di Manchester e professore alla Royal Society di Londra).Se superiamo i prossimi 10-20 anni e non ci distruggiamo, credo che diventeremo una civiltà multiplanetaria. Sarà inevitabile. Mi piacerebbe che si scoprisse la vita su Marte o sulle lune di Giove o Saturno. La vita è inevitabile, quando ci sono le condizioni. In fisica, invece, vogliamo capire cosa sia l’energia oscura: si tratta di un problema teorico immenso. Dobbiamo renderci conto che luoghi come il nostro, come la Terra, potrebbero essere rari. E che perciò hanno grande valore. Eppure questa prospettiva non è tenuta in forte considerazione. Prevalgono gli interessi nazionali, invece della collaborazione internazionale. Ecco perché, per me, è un disastro che la Gran Bretagna abbia votato la Brexit. Ed è il motivo per cui abbiamo bisogno di qualcosa – uno shock, appunto – che ci costringa a pensare con più attenzione al nostro posto nell’universo e alla nostra singola civiltà. Il cosmo è il nostro destino? Sono convinto che siamo destinati a esplorarlo e colonizzarlo: penso al Falcon Heavy di Elon Musk, alla sua società Space X e alla Blue Origin di Jeff Bezos e alle loro future collaborazioni con Nasa ed Esa. Una volta che saremo nello spazio, con una base su Marte, allora saremo al sicuro.
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Fango, la “sovragestione” all’opera: è il turno dei 5 Stelle
«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».Gianfranco Carpeoro, autore di saggi su massoneria e terrorismo nonché sui legami tra Vaticano e logge all’origine del fascismo, è l’autore della “profezia” sui fatali travagli pre-elettorali dei 5 Stelle. Inevitabile: se sbandieri il monopolio politico dell’onestà, il sistema ti punirà severamente, con la classica legge del contrappasso. Trovare una “mela marcia” sarà l’ultimo dei problemi: dai parlamentari “infedeli” all’infido Borrelli, per anni seduto nel vertice-ombra del movimento che ha raccontano agli italiani che “uno vale uno” (purché non osi pensare in proprio, ad alta voce). Legge del taglione e contrappasso dantesco: puro dolore, per i pentastellati, vedere Renzi – Mister Etruria – pascolare da un telegiornale all’altro calpestando il mito grillino dell’onestà. «Ma in politica l’onestà non è nemmeno un valore», sostiene Carpeoro: «Al massimo è una conseguenza». Di cosa? «Della capacità, innanzitutto». Luoghi comuni? «Un politico ladro, ma capace, fa sicuramente meno danni, alla comunità, di un onestissimo cretino». Cosa ci siamo persi? «L’estetica», risponde Carpeoro. «E’ l’estetica a produrre l’etica: l’emozione contagiosa della bellezza. Il desiderio di giustizia, che poi è inevitabile, viene di conseguenza. E intendiamoci: la base dei grillini è diversissima da quella degli altri partiti. E’ fatta di gente che sogna un mondo migliore, per davvero».Il problema? Forse, un mondo migliore non ha bisogno di rabbia, ma di idee coerenti. Per esempio: cos’è più importante, la (presunta) scarsa trasparenza di Borrelli o il suo ruolo, emerso alla luce del sole, quando – da leader del gruppo grillino a Strasburgo – cercò di traghettare i 5 Stelle verso l’Alde, cioè la roccaforte politica della peggior eurocrazia che, a parole, in Italia, i 5 Stelle avevano sempre giurato di combattere? Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro formula il concetto di “sovragestione”: manipolazione perenne, da parte del potere, delle sue pedine. Un potere che fabbrica candidati e, all’occorrenza, persino movimenti e partiti. Il collante? «Sempre lo stesso: l’odio, per il nemico di turno». Ieri Andreotti e Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi. «E’ crollata, la mafia, dopo l’arresto di Riina e Provenzano? Nemmeno per idea: in una notte Cosa Nostra li ha sostituiti». Narrazioni, date in pasto al popolo: Gelli, Sindona. «Sono caduti, uno dopo l’altro. Ma è cambiato qualcosa, per noi?». Macché: la “sovragestione” ci ha proprosto altri personaggi da detestare, e noi abbiamo obbedito. Siamo tutti parte del problema, insiste Carpeoro: «Abbiamo gettato nella spazzatura le ideologie, che invece sono il futuro: rappresentano il progetto, l’immagine di come vorremmo che fosse la società domani».Inutile stupirsi, se oggi la “sovragestione” fa cadere qualcuno dal piedistallo. Solo ieri erano girate notizie sull’affare-Milan per “avvertire” Berlusconi, che infatti si è affrettato a rassicurare i boss europei: non toccherà il dogma del rigore Ue. Adesso tocca ai grillini? Logico: il Movimento 5 Stelle è anch’esso una creatura dei “sovragestori”, sostiene Carpeoro, che considera Di Maio «il peggior candidato possibile, non a caso (il meno preparato)» e gli imputa la vicinanza di un personaggio più che ingombrante: il politologo statunitense Michael Ledeen, espressione della supermassoneria più reazionaria nonché del B’nai B’rith, potentissima élite massonica ebraica, emanazione del Mossad. «Per mesi, Di Maio è entrato e uscito, quasi ogni settimana, dall’ambasciata americana di via Veneto», dice Carpeoro. «E i vari tour condotti nei santuari del potere atlantico, da Washington a Londra, glieli ha organizzati Ledeen». Oggi, guardacaso, Di Maio pesca dal cilindro un economista neoliberista, Lorenzo Fioramonti, per il quale il pericolo mortale per l’Italia non è l’austerity imposta dalla “sovragestione”, ma il debito pubblico. Siamo alle solite? Certo, ma con una differenza rispetto a ieri: i grillini sono una comunità organizzata, milioni di elettori. E se un giorno rompessero le righe, adottando idee utili per uscire dal tunnel in cui l’Italia è intrappolata?L’importante è non lasciarsi ipnotizzare dalle risse da saloon con cui si sta tentando di riempire il vuoto cosmico delle elezioni più inutili della storia. Laura Boldrini, vero e proprio ectoplasma politico, è riuscita a sopravvivere – sui media – solo grazie al teppismo del web, inventandosi la crociata orwelliana sulle fake news, su cui vigilierà il Ministero della Verità, la polizia di Minniti. Giorni di isteria collettiva – nel derby tra “fascisti” e “antifascisti” – per speculare elettoralmente sul sangue sparso da un folle a Macerata. L’Italia è praticamente senza governo. Da 25 anni il paese è privo di leadership, in balia della concorrenza tedesca e francese. La crisi economica non ha precedenti, dal dopoguerra, ma la campagna elettorale non va oltre la farsa: tutti i partiti sanno che nessuno vincerà. E nessuno, in ogni caso, ha in programma di ribaltare il paradigma che vede l’Italia subire i diktat di Bruxelles. Per Demopolis, solo 6 cittadini andranno alle urne, 17 milioni di italiani diserteranno i seggi (tra i giovani, uno su due). Siamo prossimi alla paralisi, nell’illusione di combattere il “cattivo” di turno. «Non sono le persone a fare progetti di potere: è il potere a fare progetti sulle persone», sostiene Carpeoro. Il problema non è “chi”, ma “cosa”. Questo sistema è da buttare, da rifondare. La medicina è una sola: la sovranità della democrazia. Ma invece di reclamarla, ci siamo sfogati a sparare contro sagome di cartone. Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi tra gli applausi. Finalmente uno onesto, dissero. Peccato fosse il boia.«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».
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Trovant, le “pietre viventi” che crescono e si riproducono
Pietre capaci di crescere e riprodursi, proprio come gli esseri viventi. Una follia? No, il risultato di una scoperta in Romania. Anche se è difficile da credere sembra che esistano delle rocce speciali che si comportano come se fossero delle piante. Le strane pietre sono state soprannominate Trovant (termine che in rumeno significa “sabbia cementata”), ma tutti le chiamano “rocce viventi”. I massi “nascono” come formazioni grandi appena 6 o 8 millimetri e crescono diventando rocce dotate di 6-10 metri di diametro, scrive “Supereva”. «La crescita avviene in tempi piuttosto lunghi, ma è allo stesso modo davvero sbalorditiva. Per comprendere meglio cosa accade basti pensare che per aumentare di 5 centimetri una pietra ha bisogno di 1200 anni». Non a caso, secondo gli esperti che le hanno analizzate, le pietre si sarebbero formate oltre 6 milioni di anni fa. Riuscirebbero ad aumentare di volume grazie a diversi fattori, quali l’alta concentrazione di sali minerali, contenuti nell’arenaria che le forma. Al loro interno per i geologi ci sarebbe sabbia cementata con acquee calcaree e carbonato.Oggi le rocce viventi si possono osservare all’interno della riserva naturale di Muzeul Trovantilor che viene gestita dall’associazione Kogayon con il patrocinio dell’Unesco. Non solo: sembra che in tutta la Romania siano presenti diversi siti in cui si trovano moltissime Trovant. I sassi reagiscono a contatto con l’acqua, sono in grado di crescere e si riproducono. Il sito, al centro di numerosi studi e ricerche, si trova a circa 35 chilometri da Ramnicu Valcea, capoluogo dell’omonimo distretto nella storica regione dell’Oltenia. Le Trovant sono concentrate in una decina di siti rumeni, ma il più spettacolare è indubbiamente il Muzeul Trovantilor, un museo a cielo aperto ove è possibile ammirarle in una grande varietà di forme e dimensioni. Dalle analisi condotte dai ricercatori, racconta “Scienze Fanpage”, è emerso che la “pasta di sabbia” di cui sono composte è ricca di sali minerali, carbonati e acqua dura, cioè calcarea: una sorta di cemento che, una volta a contatto con l’acqua piovana, produce una variazione di pressione interna e la conseguente crescita.«Quando si staccano dei frammenti dalle rocce di dimensioni maggiori, anch’essi sono esposti allo stesso principio, suggerendo la bizzarra interpretazione della “riproduzione”». Rocce viventi? Il loro accrescimento è stato confermato da evidenze scientifiche: «Al loro interno si possono vedere anelli simili a quelli dei tronchi degli alberi». Il fenomeno diventa visibile «in tempi geologici relativamente brevi, ma impossibili da apprezzare da un uomo: basti pensare che sono necessari oltre mille anni per osservare un aumento di 5-6 centimetri di dimensioni». Nel corso di centinaia di migliaia di anni, se non milioni, «il processo ha trasformato piccoli sassolini in giganti che vanno dai 6 ai 10 metri» Sono le “sculture naturali” più imponenti, visibili al Muzeul Trovantilor. Un caso unico al mondo: grazie alla loro composizione “cementata”, le Trovant si comportano come le piante, rileva “Focus”. E’ così che ogni “roccia madre”, col tempo, “partorisce” le sue escrescenze pietrose.«Naturalmente questo processo non è un vero parto, ma un fenomeno geologico», sul quale in ogni caso si interroga la scienza, che ancora divide la chimica in due categorie separate, organica e inorganica. Formazioni di 6-8 millimetri possono arrivare a diventare rocce da 10 metri di diametro. «Crescite sbalorditive, anche se in tempi molto lunghi: in media, per una crescita di 5 centimetri servono 1200 anni», scrive Noemi Penna sulla “Stampa”. «I geologi pensano che queste straordinarie pietre primordiali si siano formate 6 milioni di anni fa e che il loro aumento di volume sia dovuto all’alta concentrazione di sali minerali che si trova nel loro “impasto” di arenaria». A parte la riserva naturale di Muzeul Trovantilor, «sono oltre una decina i siti romeni dove sono state individuate altre pietre con le stesse caratteristiche», davvero senza eguali al mondo.Pietre capaci di crescere e riprodursi, proprio come gli esseri viventi. Una follia? No, il risultato di una scoperta in Romania. Anche se è difficile da credere sembra che esistano delle rocce speciali che si comportano come se fossero delle piante. Le strane pietre sono state soprannominate Trovant (termine che in rumeno significa “sabbia cementata”), ma tutti le chiamano “rocce viventi”. I massi “nascono” come formazioni grandi appena 6 o 8 millimetri e crescono diventando rocce dotate di 6-10 metri di diametro, scrive “Supereva”. «La crescita avviene in tempi piuttosto lunghi, ma è allo stesso modo davvero sbalorditiva. Per comprendere meglio cosa accade basti pensare che per aumentare di 5 centimetri una pietra ha bisogno di 1200 anni». Non a caso, secondo gli esperti che le hanno analizzate, le pietre si sarebbero formate oltre 6 milioni di anni fa. Riuscirebbero ad aumentare di volume grazie a diversi fattori, quali l’alta concentrazione di sali minerali, contenuti nell’arenaria che le forma. Al loro interno per i geologi ci sarebbe sabbia cementata con acquee calcaree e carbonato.
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Di Maio: bei giornalisti, prima mi attaccano poi si candidano
Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per Panorama: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.L’altro caso del giorno riguarda la mia missione a Londra con il professor Lorenzo Fioramonti, dove abbiamo incontrato gli investitori internazionali, ai quali ho spiegato cosa faremo la sera delle elezioni. A loro ho detto che il M5S può arrivare ad avere la maggioranza, ma se così non fosse, faremo un appello pubblico a tutte le forze politiche chiedendo di convergere non sui ministeri e le poltrone, ma sui temi. La cosa assurda è che è uscita un’agenzia della “Reuters” che dice che io vorrei fare un governo di larghe intese con Fi, Pd e Lega, e questo governo di larghe intese è finito su tutte le pagine dei giornali di oggi, che scrivono di un giallo o di un presunto malinteso che non c’è mai stato. E ne scrivono soprattutto “Stampa” e “Repubblica”, i giornali di Carlo De Benedetti, che si è fatto 600mila euro grazie alla telefonata di Matteo Renzi che gli annunciava il decreto sulle popolari.Nei collegi uninominali abbiamo presentato una super squadra di competenti che vengono dal mondo della ricerca, dell’università, della medicina, dello sport, delle forze armate, persone che si sono messe a disposizione del paese. I giornali si sono guardati bene dal raccontare di questa squadra e tutti invece parlano di candidati “riciclati”, solo perché c’è una persona che dieci anni fa si è candidata con una coalizione di centrodestra alle amministrative e un’altra che dice di aver fatto otto anni fa la coordinatrice del Pd a livello comunale. Ma queste sono persone che hanno lavorato sul territorio e che hanno abbandonato gli altri partiti anni fa dopo averli conosciuti e che ora mettono la propria faccia nei collegi in cui si candidano.Nel frattempo il Pd a Bologna candida Casini, a Modena la Lorenzin e il figlio di De Luca in Campania; Berlusconi in Campania sta candidando l’autista di Raffaele Cutolo, fondatore della nuova camorra organizzata; a Salerno è candidato Alfieri, quello delle fritture di pesce, mente noi candidiamo Alessia D’Alessandro, giovane economista che lavora in Germania e parla cinque lingue. Però i nostri candidati vengono demonizzati, mentre degli impresentabili candidati dagli altri non se ne parla. Dovete aiutarci a combattere la disinformazione che fa male al paese. I prossimi trenta giorni valgono come dieci anni, perché tra 30 giorni potremmo svegliarci e avere un governo 5 Stelle. Chiedo anche a voi, in questi trenta giorni, di mettere il massimo delle vostre energie.(Luigi Di Maio, “Gli attacchi dei media ci rendono più forti, è il momento di dare il massimo”, dal “Blog delle Stelle” del 3 febbraio 2018).Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per “Panorama”: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.
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“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
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De Benedetti, Repubblica e l’equivoco della diversità morale
Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».In più continua Feltri, De Benedetti ha attaccato Scalfari in una intervista sul “Corriere della Sera”, definendo le sue posizioni «un pugno nello stomaco per gran parte dei lettori di “Repubblica”, me compreso». Scalfari, che ha troncato ogni rapporto, gli ha risposto RaiTre a “Cartabianca”, il salotto di Bianca Berlinguer, dicendo che uno arrivato a 94 anni «se ne fotte» di quello che pensa De Benedetti. Ultima, ma solo in ordine di tempo, la vicenda della speculazione di Carlo De Benedetti grazie alle informazioni avute da Matteo Renzi e dalla Banca d’Italia. Questa, come ha detto l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, è come minimo «sconveniente», a prescindere dal fatto che sia o meno un reato. Intanto, premette Stefano Feltri, De Benedetti «ha accesso a Renzi e alla Banca d’Italia non tanto perché è (stato) un finanziere di successo – l’impero economico l’ha passato da tempo ai figli – ma in quanto editore di giornali rilevanti. Il non detto di questi rapporti è che il politico o l’uomo delle istituzioni coltiva le simpatie dell’editore convinto di ottenere, per questa via, un trattamento di favore dai giornalisti. E quando poi il giornale dovesse invece dimostrarsi completamente autonomo, si genera la spiacevole telefonata del tipo “Ma come, pensavo fossimo in buoni rapporti…”».In questo, conclude Feltri, si vede che Renzi «non è diverso dagli altri politici che voleva rottamare», se infatti «corteggia gli editori nella speranza di avere trattamenti di favore dai giornali». E De Benedetti, per contro, «non ritiene che invitare a cena ministri e presidenti del Consiglio possa complicare la vita ai suoi direttori ed editorialisti». Secondo: Carlo De Benedetti, che ha consolidato la sua carriera da finanziere «in un’Italia in cui l’uso di informazioni privilegiate per fare operazioni di Borsa non era neppure reato», rivendica la correttezza del proprio operato con questa argomentazione: se avessi saputo davvero qualcosa di specifico, non avrei investito solo 5 milioni ma almeno 20. «Autodifesa che diventa ammissione dell’assenza di ogni vincolo etico». Renzi, da parte sua, «ha dimostrato di non avere alcun filtro, alcuna prudenza nel gestire provvedimenti e informazioni con un impatto sui mercati». Negli anni 2014-2015, ricorda Stefano Feltri, «a Palazzo Chigi c’era un vorticoso ricambio di consulenti, amici del premier, collaboratori più o meno ufficiali che discutevano di Telecom, Eni, Banca Etruria, riforma delle Popolari e delle banche di credito cooperativo. Ora abbiamo chiaro con quale prudenza e quale riservatezza. Chissà quanti “casi De Benedetti” ci sono stati di cui non sappiamo».Terzo profilo sconveniente, nella vicenda Renzi-De Benedetti, «quello più rilevante: la reazione del sistema a tutela del potere costituito». Renzi e De Benedetti «fanno qualcosa, a gennaio 2015, che può essere reato o non esserlo, che può portare a sanzioni o meno». Tutto dipende dalla valutazione che ne viene fatta. La Consob indaga e decide, nel collegio dei commissari, di non sanzionare. La Procura di Roma, a quanto emerge, praticamente non indaga affatto ma chiede subito l’archiviazione dell’unico indagato, il povero broker che esegue l’ordine d’acquisto di azioni di banche popolari arrivato da De Benedetti. La vicenda esce una prima volta sui giornali dopo gli attacchi di Renzi alla Consob di Giuseppe Vegas, e riesplode ora che, con grande fatica, i parlamentari della commissione d’inchiesta sulle banche sono riusciti ad avere una parte dei documenti dalla Procura di Roma. I punti critici sono vari, riassume Feltri: per quasi tre anni, in troppi hanno saputo che incombeva questa bomba su Renzi (incombe ancora, visto che l’inchiesta non è stata archiviata). «Non è mai una cosa sana quando un politico sa di essere potenzialmente ricattabile». Ma perché la Procura di Roma ha mantenuto tanta riservatezza? «Perché il procuratore Pignatone considera grave che il contenuto delle carte sia filtrato dalla commissione banche? Non lo ha mai spiegato».E quando Vegas è andato allo scontro con il governo, dopo la sua mancata riconferma al vertice della Consob, rivelando gli interessamenti di Maria Elena Boschi su Etruria, «sapeva di avere nel cassetto l’arma segreta: tutte le carte di quello che i suoi uffici avevano classificato come insider trading, prima che la commissione lo archiviasse». Vegas “sapeva”, come lo stesso Renzi: «Chi doveva sapere sapeva, e tutti si sono comportati di conseguenza». E i grandi giornali? Sono «parte non irrilevante di questa storia», scrive Feltri. Il giorno in cui esce la trascrizione della telefonata di De Benedetti con il suo broker, “Repubblica” non ha la notizia. «Diciamo che è stato uno scoop della concorrenza, anche se di questa fanno parte praticamente tutti i giornali italiani incluso “La Stampa”, testata dello stesso gruppo editoriale». Il giorno dopo viene dato conto solo del “caso politico” intorno alla telefonata. Poi il “Sole 24 Ore” pubblica sul proprio sito web in modo quasi integrale il verbale di De Benedetti in Consob, dove l’editore di “Repubblica” si difende e rivela i suoi rapporti con Renzi, Boschi, Padoan, Visco, e rivendica perfino di essere stato il primo ispiratore del Jobs Act. «Non una riga esce oggi su “Repubblica” di tutto questo. E, cosa ancora più singolare, solo un francobollo sul “Sole 24 Ore” cartaceo, che invece spesso ha ospitato gli editoriali di De Benedetti. Scelta bizzarra, questa di regalare lo scoop on line ma di non valorizzarlo nell’edizione a pagamento».Gli imprenditori della Confindustria, «che ricevono ogni mattina la copia del giornale che hanno portato vicino al disastro», non hanno così potuto leggere – su quelle pagine – il verbale del loro collega De Benedetti. Lo stesso “Corriere della Sera” dedica al caso un semplice colonnino. Ma non è sempre stato così, annota Stefano Feltri: negli archivi del “Corriere” si trovano ampi e completi articoli, per esempio, su quando alcuni familiari di De Benedetti sono stati sanzionati dalla Consob per 3,5 milioni per un insider trading su Cdb Web Tech, all’epoca uno dei veicoli finanziari dell’Ingegnere. Nel libro “Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, ripubblicato in allegato a “Repubblica”), Francesco Piccolo racconta la storia di una conversione politica, «quella di preferire una sinistra del compromesso, pragmatica e disposta a sporcarsi nella pratica quotidiana del potere rispetto a quella che invece rivendica la superiorità morale, una diversità antropologica, che considera chi vota Berlusconi moralmente disprezzabile». E’ la storia di come Francesco Piccolo ha scelto l’Enrico Berlinguer del compromesso storico al posto di quello della “questione morale” e della diversità comunista. E di come ha accettato di essere italiano, nel bene e nel male, invece che considerarsi sempre diverso, una persona un po’ migliore degli italiani raccontati dalla tv, quelli che votavano prima Democrazia Cristiana e poi Forza Italia.«Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” – continua Feltri – sono stati per quarant’anni gli alfieri e la voce di un’Italia che si riteneva migliore della media, che rivendicava il diritto a fare una gerarchia di valori, a inseguire qualche ideale invece che rassegnarsi al “così fan tutti”, che guardava Silvio Berlusconi e il suo stile di vita e poteva permettersi di criticarlo». Illusioni? «Non esiste una Italia migliore e una peggiore», scrive Stefano Feltri: «Gli uomini, visti da molto vicino, sono tutti uguali», o in ogni caso «nessuno ha titolo di giudicare il suo prossimo». Però, aggiunge Feltri, quell’illusione qualcuno è servita: «Ha dato alla politica (soprattutto alla sinistra), agli elettori e soprattutto ai lettori una tensione etica, ha trasmesso il messaggio che poteva esistere un paese migliore». Un paese «magari un po’ tromboneggiante e moralista, talvolta noioso, spesso più conformista di quello che era disposto ad ammettere, ma migliore». E invece, per citare Francesco Piccolo, Scalfari, De Benedetti e “Repubblica” hanno realizzato il loro inconfessato e inconfessabile “desiderio di essere come tutti”, quindi non criticabili da nessuno. «Hanno dissipato ogni illusione di alterità. E se sono tutti uguali, allora non c’è differenza tra De Benedetti e Berlusconi, tra Renzi e D’Alema, tra Salvini e Di Maio. Senza illusioni e senza questione morale restano soltanto il cinismo e l’antipolitica», sostiene Feltri. «Quando, dopo le elezioni di marzo, commentatori e politologi vorranno spiegare il tracollo del Pd e l’inspiegabile tenuta del Movimento Cinque Stelle nonostante le mille prove di dilettantismo, sarà bene considerare tra le variabili rilevanti il crepuscolo della galassia Espresso-Repubblica».Scalfari che sdogana il Cavaliere e la “Repubblica” che tace sui contatti affaristici tra Renzi e De Benedetti? E’ la fine di un’epoca, o perlomeno di un equivoco. Negli ultimi vent’anni Marco Travaglio ha attribuito i guai del paese essenzialmente a Berlusconi, non alla potentissima super-casta eurocratica che di Berlusconi si è poi sbarazzata, per poter infliggere il ko finale all’Italia. Stefano Feltri, vicedirettore del “Fatto”, ora si volge verso gli antiberlusconiani storici, quelli del gruppo Espresso, denunciando la fine della loro presunta, lungamente sbandierata “diversità morale”. «Se mettiamo in fila gli eventi di questi ultimi due anni – scrive – capiamo che è davvero finita un’epoca. Il Gruppo Espresso si è fuso con l’Itedi, la società editoriale degli Agnelli che pubblica la “Stampa”, Carlo De Benedetti ha lasciato la presidenza, l’“Espresso” è diventato un allegato di “Repubblica”, molti editorialisti hanno lasciato il giornale (alcuni proprio per il “Fatto”)». E in una delle più accese battaglie politiche di questi anni, il referendum 2016 sulla riforma costituzionale, “Repubblica” non ha preso posizione: «Il suo direttore Mario Calabresi ha dedicato più editoriali critici al sindaco di Roma Virginia Raggi che all’ex premier Matteo Renzi o a Silvio Berlusconi. Il fondatore, Eugenio Scalfari, ha detto che, dovendo scegliere tra Silvio Berlusconi e Luigi Di Maio, preferisce Berlusconi, ridimensionando vent’anni di leggi ad personam e di politiche economiche contrarie a tutto quello che “Repubblica” e Scalfari hanno sempre professato».
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A spese dei pensionati il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle
Deficit, taglio delle pensioni e più tasse. Il fantasmagorico programma di governo del Movimento 5 Stelle si fonda su questo mix che, a prima vista, può sembrare quantomeno improbabile ma che, a guardarlo un po’ meglio, assume contorni terrificanti. Tutto parte dagli annunci del candidato premier Luigi Di Maio contenuti in un’intervista concessa al “Mattino”. In buona sostanza, il reddito di cittadinanza a geometria variabile (da 780 euro mensili per i single a 1.950 per famiglie con due figli che hanno più di 14 anni) che, almeno nelle intenzioni costerebbe 17 miliardi dei quali 2 destinati a potenziare i centri per l’impiego, sarà finanziato per 12 miliardi dal taglio delle pensioni d’oro, cioè quelle superiori a 5mila euro. Come osservato in precedenza anche dal “Giornale”, tale intendimento significherebbe cancellare ex abrupto i 145mila trattamenti superiori a tale soglia. Ma, come precisato dallo stesso Di Maio, «saranno tagliate quelle sopra i 5mila euro netti non coperte dai contributi e comunque il risparmio sarà distribuito su più anni». Insomma, anche il reddito di cittadinanza presupporrebbe deficit, circostanza sempre smentita dai pentastellati.Ieri la spiegazione dell’arcano da parte della deputata grillina Laura Castelli, che in un colloquio con “La Stampa”, interpellata sulla possibilità che la Consulta bocci come in passato la decurtazione, ha precisato che «il problema dei diritti acquisiti si può superare togliendo una quota a tutte le pensioni per poi redistribuire i risparmi da quelle d’oro a quelle più basse». Dunque la proposta del Movimento assomiglia molto a quella profetizzata dal “Giornale”: tagliare del 21% le pensioni sopra i 3mila euro mensili recuperando annualmente i 12 miliardi. A meno che, nelle prossime settimane, i grillini non tirino fuori dal cilindro oltre al piano di spending review di Carlo Cottarelli bocciato da Renzi anche il piano del presidente Inps, Tito Boeri, per ricalcolare su base contributiva tutte le pensioni ottenendo ben 46 miliardi annui in un sol colpo. In realtà, come ammesso da Castelli, il programma M5S si fonda da una parte sull’aumento del deficit sopra il 3% del Pil per 2-3 anni in modo da finanziare investimenti per circa 100 miliardi di euro.Alla proposta che farebbe piovere su Roma le saette della Commissione Ue si aggancia anche un piano di inasprimento fiscale che nulla ha da invidiare a quelli di Vincenzo Visco. Da un lato, una lotta all’evasione che si basa su un’integrazione ancor più stringente delle banche dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate (in realtà già iperefficiente) e, dall’altro lato, un inasprimento dei prelievi sugli utili delle banche, un taglio agli sgravi sugli investimenti delle Fondazioni bancarie e una serie di imposte per penalizzare il ricorso alle fonti energetiche fossili (Eni e anche Enel dovrebbero iniziare a tremare), incluso un taglio a 18 miliardi di sussidi. Ciò che agli italiani viene promesso (superamento della riforma Fornero con possibilità di pensionamento con 41 anni di contributi o «quota 100» tra età e contribuzione, rimodulazione delle aliquote Irpef più basse) verrebbe immediatamente sottratto sotto forma di maggiori costi, atteso che le imprese ricaricherebbero sui prezzi la maggiore pressione fiscale. Né sembra promettere bene un programma «spendaccione» alla vigilia dello stop al quantitative easing della Bce.(Gian Maria De Francesco, “Il folle programma M5S Reddito di cittadinanza a spese dei pensionati”, dal “Giornale” del 6 gennaio 2018).Deficit, taglio delle pensioni e più tasse. Il fantasmagorico programma di governo del Movimento 5 Stelle si fonda su questo mix che, a prima vista, può sembrare quantomeno improbabile ma che, a guardarlo un po’ meglio, assume contorni terrificanti. Tutto parte dagli annunci del candidato premier Luigi Di Maio contenuti in un’intervista concessa al “Mattino”. In buona sostanza, il reddito di cittadinanza a geometria variabile (da 780 euro mensili per i single a 1.950 per famiglie con due figli che hanno più di 14 anni) che, almeno nelle intenzioni costerebbe 17 miliardi dei quali 2 destinati a potenziare i centri per l’impiego, sarà finanziato per 12 miliardi dal taglio delle pensioni d’oro, cioè quelle superiori a 5mila euro. Come osservato in precedenza anche dal “Giornale”, tale intendimento significherebbe cancellare ex abrupto i 145mila trattamenti superiori a tale soglia. Ma, come precisato dallo stesso Di Maio, «saranno tagliate quelle sopra i 5mila euro netti non coperte dai contributi e comunque il risparmio sarà distribuito su più anni». Insomma, anche il reddito di cittadinanza presupporrebbe deficit, circostanza sempre smentita dai pentastellati.
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Il coraggio di Imposimato, in quest’Italia senza giustizia
«Un paese si salva dalla rovina solo se tutti i cittadini vivono in una condizione di dignità». E’ il testamento spirituale di Ferdinando Imposimato, alto magistrato e uomo libero, senza paura di affrontare il vero potere: nell’Italia politica delle anime morte ha attaccato il decreto Lorenzin sui vaccini, ha denunciato il ruolo della mafia nella rete ferroviaria Tav e ha accusato la cupola Gladio-Bilderberg per il caso Moro, evento simbolo della strategia della tensione che manipolò le Brigate Rosse per azzoppare il paese. E’ arrivato a minacciare di trascinare gli Stati Uniti al Tribunale dell’Aja, per aver deliberatamente ignorato i preparativi terroristici del maxi-attentato dell’11 Settembre, che poi ha proiettato la “guerra americana” in mezzo mondo. Già presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Imposimato – spentosi a Roma il 2 gennaio all’età di 81 anni – non amava i giri di parole. «Ormai sappiamo tutto della strategia del terrore», disse, presentando il recente saggio “La repubblica delle stragi impunite”. Quella strategia «fu attuata dalla struttura Gladio (Stay Behind) in supporto ai servizi segreti (non deviati) italiani. Serviva a scoraggiare l’instaurarsi di governi di sinistra ed era orchestrata dalla Cia».
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Fake news, un network Facebook depista milioni di italiani
Un nuovo vasto network di disinformazione, fatto di siti web e pagine Facebook, è stato scoperto in Italia da un’analisi informatica e giornalistica di “Buzzfeed”. Il network, scrive “Buzzfeed”, «è proprietà di un imprenditore romano, con legami con un’associazione cattolica assai riservata, La Luce di Maria», ed è uno dei più estesi in lingua italiana tra i network organizzati che compiono operazioni di disinformazione su Facebook. Nel network circolano i contenuti e i temi classici delle propagande populiste, con una sovrapposizione tra post anti-migranti, mondo ultranazionalista, clickbaiting (ossia ricerca ingannevole dei clic, a fini di monetizzazione pubblicitaria). La cosa più interessante e inquietante è che questo network si collega – a valle – con gruppi Facebook di propaganda politica vicini ad altri network, di due aree politiche italiane in particolare, come vedremo più sotto. Facciamo un esempio di questa propaganda: se aprite il sito “direttanews.it” trovate una colonna “politica” che spinge notizie favorevoli ai Cinque Stelle o a CasaPound, oppure che attaccano personaggi come Monti, Visco, Laura Boldrini, Renzi.Il post “Monti-Visco, lo spettro di patrimoniale e nuove tasse da pagare”, per citare solo un caso, diventa virale anche dentro il fan club non ufficiale di big grillini, e sentiamo cosa dice: «Adesso l’incubo che possano essere reintrodotte nuove tasse sembra essere reale. Laura Boldrini, presidente della Camera, aveva espresso parere favorevole all’introduzione di una nuova imposta sul modello della vecchia patrimoniale. E Renzi, nella sua corsa alle elezioni, potrebbe scendere a compromessi con Mdp». Abbiamo verificato che Boldrini – una delle vittime più frequenti di questa “disinformazia” – mai si è espressa sul tema della patrimoniale; come del resto Matteo Renzi. La notizia è falsa ma virale, nel network scoperto da “Buzzfeed” (e nel network pro-M5S, con cui esistono sovrapposizioni). Al cuore del primo network, scoperto da Craig Silverman e Alberto Nardelli, «c’è Giancarlo Colono, e la sua società chiamata Web365». La società controlla 175 domini Internet, e una rete di pagine Facebook. News, salute, calcio, gattini e gossip: la medesima catena di altre galassie di disinformazione, comprese quelle più vicine a precisi partiti politici italiani.Allarmismo, attacchi forsennati ai migranti, xenofobia, false storie, islamofobia sono i temi ricorrenti di questa rete. Assieme – sostiene “Buzzfeed” – a propaganda pro-Putin e anticasta. I due principali siti di “news operations”, «operazioni legate alle notizie», sono “direttanews.it” e “inews24.it”. Ieri le relative pagine Facebook risultavano chiuse. Si tratta di un network che può raggiungere tra gli otto e i dieci milioni di “like” su Facebook, più della somma di due dei tre principali quotidiani italiani. Colono ha dichiarato che uno degli account Facebook sottopostigli da “Buzzfeed”, e più strettamente interconnessi al network, è “fake” (cosa che secondo le “policy” di Facebook sarebbe vietata). Intestato a tale “Roberto Granieri”, è la porta che conduce dal sito “Inews24” fin dentro una serie di gruppi Facebook «aperti o chiusi, di estrema destra, nazionalisti, anti-migranti, anti-Islam, come anche dentro gruppi pro-Putin, pro M5S, e gruppi inneggianti a Matteo Salvini». Una fonte a conoscenza delle analisi di “Buzzfeed” spiega: «Attraverso queste sovrapposizioni il network entra in un altro network, quello delle pagine fan club che usano i nomi dei big grillini». Pagine non ufficiali, giova ripeterlo, ma – per quanto riguarda le pagine filogrilline – a loro volta centralissime in un’altra rete raccontata a lungo da “La Stampa”.(Jacopo Iacoboni, “Xenofobia, Putin, anticasta: in Italia un nuovo network di disinformazione su Facebook”, da “La Stampa” del 22 novembre 2017).Un nuovo vasto network di disinformazione, fatto di siti web e pagine Facebook, è stato scoperto in Italia da un’analisi informatica e giornalistica di “Buzzfeed”. Il network, scrive “Buzzfeed”, «è proprietà di un imprenditore romano, con legami con un’associazione cattolica assai riservata, La Luce di Maria», ed è uno dei più estesi in lingua italiana tra i network organizzati che compiono operazioni di disinformazione su Facebook. Nel network circolano i contenuti e i temi classici delle propagande populiste, con una sovrapposizione tra post anti-migranti, mondo ultranazionalista, clickbaiting (ossia ricerca ingannevole dei clic, a fini di monetizzazione pubblicitaria). La cosa più interessante e inquietante è che questo network si collega – a valle – con gruppi Facebook di propaganda politica vicini ad altri network, di due aree politiche italiane in particolare, come vedremo più sotto. Facciamo un esempio di questa propaganda: se aprite il sito “direttanews.it” trovate una colonna “politica” che spinge notizie favorevoli ai Cinque Stelle o a CasaPound, oppure che attaccano personaggi come Monti, Visco, Laura Boldrini, Renzi.