Archivio del Tag ‘Joseph Stiglitz’
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Allarme Italia, la soluzione c’è ma Napolitano non la vede
Secondo Citigroup, l’Italia resterà bloccata in depressione: crescita dello 0,1% nel 2014, crescita zero nel 2015 e limitata allo 0,2% nel 2016. Se è così, prende nota Ambrose Evans-Pritchard, dopo otto anni di crisi ininterrotta e la produzione crollata del 10%, quella del nostro paese sarà «una performance di gran lunga peggiore di quella avuta durante la Grande Depressione». Se anche l’Eurozona dovesse riprendersi nei prossimi tre anni, «il meglio che l’Italia possa sperare è la stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si considera l’altissimo livello di lavoratori italiani scoraggiati (numero tre volte superiore alla media Ue) che sono usciti fuori dalle statistiche». La domanda è: quanto tempo la società potrà tollerare tutto questo? «Nessuno di noi sa la risposta», ammette Pritchard, che registra – e critica – l’allarme rosso lanciato da Napolitano: il presidente denuncia il pericolo di rivolte violente, ma evita di indicare le cause del disastro italiano, cioè l’euro e i vincoli imposti da Bruxelles.Mentre la recessione si trascina, Napolitano evoca il rischio concreto di «tensioni sociali e disordini diffusi» nel 2014, visto il peso crescente di masse ormai emarginate, disponibili a compiere «atti di protesta indiscriminata e violenta, verso una forma di opposizione totale». Migliaia di aziende sono «sull’orlo del collasso», mentre grandi masse di persone «prendono il sussidio di disoccupazione o rischiano di perdere il posto di lavoro». L’altissimo tasso di disoccupazione giovanile (41%) sta portando verso un pericoloso stato di alienazione. «La recessione sta ancora mordendo duro, e c’è la sensazione diffusa che sarà difficile sfuggirle, e trovare il modo per tornare alla crescita». Soluzioni? Napolitano non ne indica, scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Niente soluzioni, anche perché dal Quirinale non proviene nessuna analisi sulla cause della catastrofe socio-economica. E cioè: l’Italia «ha una moneta sopravvalutata del 20% o più», ed è «intrappolata in un sistema di cambi fissi stile anni ‘30, gestito da una banca centrale anni ‘30, che sta lì a guardare (per motivi politici)», mentre l’aggregato monetario ristagna, il credito si contrae e la deflazione incombe.«Napolitano non offre alcuna risposta», sottolinea Pritchard. «Ex stalinista, che ha applaudito all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 (un peccato giovanile), Napolitano da tempo ha manifestato il suo fervore ideologico a favore del progetto Ue. Egli è per natura incapace di mettere in discussione le premesse dell’unione monetaria, quindi non aspettatevi nessuno spunto utile dal Quirinale su come uscire da questa impasse». Vero, l’uomo del Colle «ammette che la crisi della zona euro “ha messo a dura prova la coesione sociale”, ma lascia la questione in sospeso, e la sua argomentazione incompiuta, più sul descrittivo che sull’analitico». Così, «senza arrivare al punto di lanciare l’allarme sul rischio che corre lo Stato italiano stesso, ha detto che la crescente minaccia delle forze insurrezionali deve essere affrontata». Come? «La legge deve essere rigorosamente rispettata, il paese deve andare avanti con disciplina». Napolitano è allarmato dalla rivolta dei “Forconi”, che ha preso una piega «inquietante» per le élite italiane, tra poliziotti che si tolgono i caschi – simpatizzando coi dimostranti – e militanti di CasaPound che strappano la bandiera blu-oro dagli uffici dell’Ue a Roma.«Dove porti tutto questo nessuno lo sa», continua Pritchard. «Per ora l’Italia ha evitato un ritorno agli “anni di piombo”, il terrorismo tra gli anni ‘70 e i primi anni ‘80, quando la stazione ferroviaria di Bologna fu fatta saltare dai fascisti e l’ex premier Aldo Moro fu sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse». Per il giornalista inglese, tuttavia, «questo tipo di violenza non è poi così lontano come la gente pensa». Nel 2011 il capo dell’agenzia fiscale Equitalia è stato quasi accecato da una lettera-bomba di matrice anarchica. «Da allora ci sono stati ripetuti casi di attacchi dinamitardi». C’è il rischio di un incidente, secondo Pritchard, che inneschi reazioni esplosive. «A coloro che continuano a insistere che l’Italia deve stringere la cinghia e recuperare competitività tagliando i salari, vorrei obiettare che questo è matematicamente impossibile, in un clima di ampia deflazione o quasi deflazione in tutta l’unione monetaria europea». Secondo il giornalista economico del “Telegraph”, la politica di austerità fiscale condanna l’Italia a veder crescere in modo esponenziale il proprio debito pubblico, che negli ultimi tre anni è passato dal 119% al 133% del Pil. Sotto le attuali politiche della Troika, «questo rapporto presto sfonderà il 140%, nonostante l’avanzo primario del bilancio Italiano – un livello oltre il punto di non ritorno per un paese senza moneta sovrana o senza una propria banca centrale».Prima ancora di uscire dall’euro, sostiene Pritchard, l’Italia potrebbe cambiare completamente la sua strategia diplomatica, «spingendo per un cartello degli stati debitori del Club Med a leadership francese che prenda il controllo della Bce e della macchina politica dell’Uem. Hanno i voti, e la piena autorità legale basata sui trattati, per forzare una strategia di reflazione che potrebbe cambiato tutto, se solo osassero». Questo, continua l’analista inglese, è più o meno «il nuovo piano di Romano Prodi, ex premier italiano e “Mr. Euro”, che ora sta sollecitando l’Italia, la Spagna e la Francia a unirsi, piuttosto che illudersi di poter fare da soli, e “sbattere i pugni sul tavolo”». L’economista premio Nobel Joseph Stiglitz riprende il tema su “Project Syndicate”, dicendo: «Se la Germania e gli altri non sono disposti a fare il necessario – se non c’è abbastanza solidarietà per far funzionare la politica – allora l’euro potrebbe dover essere abbandonato per salvare il progetto europeo».Di fronte al Parlamento Europeo, Mario Draghi ha appena rinnovato le sue minacce: secondo il presidente della Bce, l’uscita dall’euro comporterebbe una svalutazione catastrofica del 40%, che metterebbe in ginocchio qualsiasi paese. «Questo – lo smentisce Pritchard – è sempre lo stesso argomento che viene portato avanti in difesa dei regimi di cambio fissi, sia del Gold Standard nel 1931, che dello Sme nel 1992, o dell’ancoraggio argentino al dollaro nel 2001. E’ stato dimostrato falso, anche nel caso dell’Italia negli anni ‘90, quando la svalutazione ha funzionato benissimo». Draghi si sofferma sul trauma immediato, «ma ignora gli effetti molto più corrosivi di una crisi permanente». I paesi, infatti, «possono recuperare molto velocemente se il tasso di cambio si sblocca: si potrebbe ugualmente sostenere che ci sarebbe una marea di investimenti, in Italia, nel momento in cui il paese prendesse risolutamente il toro dell’euro per le corna e ristabilisse l’equilibrio valutario».Inoltre, la tesi di Draghi non tiene conto che «le potenze del nord hanno un forte interesse ad assicurare un’uscita ordinata dell’Italia», e che la stessa Bce potrebbe tranquillamente «stabilizzare la lira per un paio di mesi, fino a quando la situazione si calmasse: questo eviterebbe gli eccessi, eviterebbe delle perdite rovinose per il blocco dei creditori e degli esportatori tedeschi, ed eviterebbe una crisi da deflazione in Germania, Olanda, Finlandia e Francia». Quello che Draghi sta implicitamente affermando è che la Bce si comporterebbe in maniera spericolata, “punendo” l’Italia per il gusto di farlo, anche mettendo a repentaglio l’intera stabilità europea. «Sarebbe stato bello se un deputato gli avesse chiesto perché mai la Bce dovrebbe fare una cosa del genere», ma evidentemente i parlamentari europei non sono in grado di interagire alla pari col super-banchiere. «Quello che sembra certo – conclude Pritchard – è che nessun paese democratico sopporterà uno stato perdurante di semi-recessione e disoccupazione di massa, quando esistono delle alternative plausibili».Secondo Citigroup, l’Italia resterà bloccata in depressione: crescita dello 0,1% nel 2014, crescita zero nel 2015 e limitata allo 0,2% nel 2016. Se è così, prende nota Ambrose Evans-Pritchard, dopo otto anni di crisi ininterrotta e la produzione crollata del 10%, quella del nostro paese sarà «una performance di gran lunga peggiore di quella avuta durante la Grande Depressione». Se anche l’Eurozona dovesse riprendersi nei prossimi tre anni, «il meglio che l’Italia possa sperare è la stabilizzazione su livelli di disoccupazione di massa – al 20% se si considera l’altissimo livello di lavoratori italiani scoraggiati (numero tre volte superiore alla media Ue) che sono usciti fuori dalle statistiche». La domanda è: quanto tempo la società potrà tollerare tutto questo? «Nessuno di noi sa la risposta», ammette Pritchard, che registra – e critica – l’allarme rosso lanciato da Napolitano: il presidente denuncia il pericolo di rivolte violente, ma evita di indicare le cause del disastro italiano, cioè l’euro e i vincoli imposti da Bruxelles.
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Vandana Shiva: perché la crescita è nemica della vita
La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.I contadini di tutto il mondo, che forniscono il 72% del cibo, non producono; le donne che coltivano o fanno la maggior parte dei lavori domestici non rispettano questo paradigma di crescita. Una foresta vivente non contribuisce alla crescita, ma quando gli alberi vengono tagliati e venduti come legname, abbiamo la crescita. Le società e le comunità sane non contribuiscono alla crescita, ma la malattia crea crescita attraverso, ad esempio, la vendita di medicine brevettate. L’acqua disponibile come bene comune condiviso liberamente e protetto da tutti viene fornita a tutti. Tuttavia, essa non crea crescita. Ma quando la Coca-Cola impone una pianta, estrae l’acqua e con essa riempie le bottiglie di plastica, l’economia cresce. Ma questa crescita è basata sulla creazione di povertà – sia per la natura sia per le comunità locali. L’acqua estratta al di là della capacità della natura di rigenerarsi crea una penuria d’acqua. Le donne sono costrette a percorrere lunghe distanze in cerca di acqua potabile. Nel villaggio di Plachimada nel Kerala, quando la passeggiata per l’acqua è diventata 10 chilometri, la tribale donna locale Mayilamma ha detto che il troppo è troppo. Non possiamo camminare ulteriormente, l’impianto della Coca-Cola deve chiudere. Il movimento che le donne incominciarono ha portato infine alla chiusura dello stabilimento.Nella stessa ottica, l’evoluzione ci ha regalato il seme. Gli agricoltori lo hanno selezionato, allevato e lo hanno diversificato – esso è la base della produzione alimentare. Un seme che si rinnova e si moltiplica produce semi per la prossima stagione, così come il cibo. Tuttavia, il contadino di razza e il contadino che salva i semi non sono visti come un contributo alla crescita. Ciò crea e rinnova la vita, ma non porta a profitti. La crescita inizia quando i semi vengono modificati, brevettati e geneticamente resi sterili, portando gli agricoltori ad essere costretti a comprarne di più ad ogni stagione. La natura si impoverisce, la biodiversità è erosa e una risorsa aperta libera si trasforma in una merce brevettata. L’acquisto di semi ogni anno è una ricetta per l’indebitamento dei poveri contadini dell’India. E da quando è stato istituito il monopolio dei semi, l’indebitamento degli agricoltori è aumentato. Dal 1995, oltre 270.000 agricoltori in India sono stati presi nella trappola del debito e si sono suicidati.La povertà è anche ulteriore spreco quando i sistemi pubblici vengono privatizzati. La privatizzazione di acqua, elettricità, sanità e istruzione genera crescita attraverso i profitti. Ma genera anche povertà, costringendo la gente a spendere grandi quantità di denaro per ciò che era disponibile a costi accessibili come bene comune. Quando ogni aspetto della vita è commercializzato e mercificato, vivere diventa più costoso e la gente diventa più povera. Sia l’ecologia che l’economia sono nate dalla stessa radice – “oikos”, la parola greca per “casa”. Fino a quando l’economia è stata incentrata sulla famiglia, riconosceva e rispettava le sue basi nelle risorse naturali e i limiti del rinnovamento ecologico. Era focalizzata a provvedere ai bisogni umani di base all’interno di questi limiti. L’economia basata sulla famiglia era anche incentrata sulle donne. Oggi l’economia è separata sia dai processi ecologici che dai bisogni fondamentali e si oppone ad ambedue. Mentre la distruzione della natura veniva motivata da ragioni di creazione della crescita, la povertà e l’espropriazione aumentavano. Oltre ad essere insostenibile, è anche economicamente ingiusta.Il modello dominante di sviluppo economico è infatti diventato contrario alla vita. Quando le economie sono misurate solo in termini di flusso di denaro, i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. E i ricchi possono essere ricchi in termini monetari – ma anche loro sono poveri nel contesto più ampio di ciò che significa essere umani. Nel frattempo, le richieste del modello attuale dell’economia stanno portando a guerre per le risorse come quelle per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre alimentari. Ci sono tre livelli di violenza implicati nello sviluppo non sostenibile. Il primo è la violenza contro la terra, che si esprime come crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro l’uomo, che si esprime come povertà, miseria e migrazioni. Il terzo è la violenza della guerra e del conflitto, come potente caccia alle risorse che si trovano in altre comunità e paesi per i propri appetiti illimitati.L’aumento del flusso di denaro attraverso il Pil si è dissociato dal valore reale, ma coloro che accumulano risorse finanziarie possono poi reclamare pretese sulle risorse reali delle persone – la loro terra e l’acqua, le foreste e i semi. Questa sete li conduce all’ultima goccia d’acqua e all’ultimo centimetro di terra del pianeta. Questa non è la fine della povertà. É la fine dei diritti umani e della giustizia. Gli economisti e premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen hanno riconosciuto che il Pil non coglie la condizione umana e hanno sollecitato la creazione di altri strumenti per misurare il benessere delle nazioni. Questo è il motivo per cui paesi come Bhutan hanno adottato la “felicità nazionale lorda” al posto del prodotto interno lordo per calcolare il progresso. Abbiamo bisogno di creare misure che vadano oltre il Pil, ed economie che vadano al di là del supermercato globale, per ringiovanire la ricchezza reale. Dobbiamo tener presente che la vera valuta della vita è la vita stessa.(Vandana Shiva, “Come la crescita economica è diventata nemica della vita”, intervento pubblicato dal “Guardian” e ripreso il 4 novembre 2013 da “Come Don Chisciotte”).La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.
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Amoroso: niente ripresa, prima devono ridurci alla fame
La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni Settanta con la globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo, che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
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La voce del padrone, da Bava Beccaris a Bini Smaghi
Galileo? Un cretino: in effetti non è la Terra a orbitare nello spazio, ma il Sole. Ergo, «l’austerità non è una scelta dettata dalla Banca Centrale Europea». Del resto, lo sanno tutti: Bruxelles e Francoforte sono istituzioni umanitarie. Se ora si è passati alla frusta, la responsabilità è tutta dei governi e della loro incapacità di «introdurre le riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita delle loro economie». A sostenenerlo non è un umorista, ma il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, banchiere centrale europeo fino al 2011 e ora “visiting scholar” ad Harvard e presidente di Snam Rete Gas, nel libro “Morire d’austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”. Come dire: Tolomeo rivisitato nel 2013 e doppiato dalla voce del mitico generale Fiorenzo Bava Beccaris, l’uomo che a Milano nel 1898 non esitò a sparare sulla folla degli affamati, facendo a pezzi più di 500 persone. Colpa loro, probabilmente, anche in quel caso.
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Barnard: ci stanno portando in Kosovo, schiavi sottopagati
Il peggio dell’economia a senso unico noi ancora non l’abbiamo subito, anche se siamo sul punto di. Il grande esperimento delle “riforme”, del “rigore”, delle Austerità, fu inflitto come “laboratorio”, a partire dal crollo del muro di Berlino, a tutto l’Est europeo. Quando l’impero sovietico crollò nell’arco di pochi mesi, le porte dell’Est europeo si spalancarono ai falchi del Libero Mercato e dietro di esse c’erano masse di miserabili sbandati disposti a lavorare per pochi centesimi, assieme a intere economie da spolpare. Le élite d’Europa e degli Usa non avevano mai sognato nulla del genere. E’ ovvio che non sto dicendo che le dittature comuniste erano in alcun modo raccomandabili, ma lo sfruttamento di quelle genti che seguì il loro crollo è stato moralmente rivoltante. Qui di seguito alcuni dati scientifici, ma poi anche un dato aneddotico che, a mio parere, vale più di qualsiasi librone.
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Barnard: altro che Liberazione, ci vogliono sterminare
Siamo in guerra, ma ufficialmente nessuno ce l’ha detto. Al processo di Norimberga contro la gerarchia nazista, il procuratore generale Benjamin Ferencz sancì che la guerra d’aggressione contro una nazione sovrana sarebbe stato da quel momento considerato «il crimine supremo». Bene, ci risiamo: quello che ci sta accadendo, dice Paolo Barnard, non è altro che «la pianificazione e l’esecuzione di una guerra d’aggressione guidata da Germania e Francia per distruggere nazioni, popoli, economie, e per depredare risorse, esattamente come fu la Seconda Guerra Mondiale». Amaro 25 Aprile: dov’è finita la libertà conquistata col sangue dei partigiani? Se il fiore della Resistenza fu la Costituzione democratica, ora quel documento sta diventando carta straccia. Il nemico si chiama Eurozona: è micidiale, perché priva la repubblica del potere vitale di spesa pubblica a favore dei cittadini. Norme brutali, quelle di Bruxelles, figlie dell’ideologia neoclassica: lo Stato non serve, anzi ostacola il business perché tutela il popolo. Va neutralizzato, svuotato, paralizzato. E amputato del suo potere sovrano fondamentale: la libera creazione di denaro.
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Colombo: crescita o decrescita? Pagano solo i poveri
Abbiamo aspettato la crescita come un Messia salvatore sotto forma di prodotti, di vendite, di profitti, di lavoro che torna, una terra promessa per la quale bastano alcune leggi, alcune sagge mosse di governo, alcuni sacrifici, magari duri ma necessari, che ti traghettano sulla parte salva del mondo. Su una sponda la corsa della civiltà lascerà indietro i neghittosi di un mondo antico e obsoleto che vogliono garanzie prima di dare. Sull’altra il mondo orgoglioso del nuovo profitto e del nuovo reddito, dove ognuno è protettore di se stesso, dunque affidabile. Chiaro? C’è qualche dubbio. «In tutti i casi la ricetta economica che ne discende è brutale: per avere crescita occorre più disuguaglianza, perché solo più disuguaglianza è in grado di imprimere il necessario dinamismo alla società. Tutto ciò spiega perché la parola eguaglianza – che pure figura, insieme a libertà e a fraternità tra le categorie chiave della modernità – sia caduta così in disuso nel lessico contemporaneo, compreso quello della sinistra».
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Crisi: ride solo la Germania, che sta sfasciando l’Europa
Così forte, così fragile. Corsi e ricorsi storici: la Germania è tanto aggressiva e intransigente perché basa la sua potenza sul più incerto e rischioso dei mercati, quello dell’export, che secondo gli economisti democratici della Modern Money Theory produce ricchezza volatile al prezzo di fortissime compressioni salariali. Un regime in bilico, dominato dall’ansia commerciale? Non solo. Secondo Aldo Giannuli, la vastità dell’area germanica, estensibile all’Est, contribuisce a rafforzare la percezione di stabilità del paese, in proiezione pluriennale, anche qualora le economie del Mediterraneo – i “compratori” che hanno favorito il recente boom industriale tedesco – dovessero collassare sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore voluto dalla Merkel. In ogni caso, annota Gad Lerner, dalla grande crisi la Germania continua a guadagnare: i suoi “bund” costano sempre meno. Ma attenzione, c’è il trucco: è rimasto pubblico il controllo del capitale delle grandi banche di Berlino, che accedono all’euro a costi agevolati e, per prima cosa, acquistano titoli di Stato tedeschi.
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Stiglitz: basta trucchi, dobbiamo nazionalizzare le banche
«La notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione sia disperata: come è evidente da tempo, l’unica soluzione è che il nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni ‘90». Parola di Joseph Stiglitz, docente della Columbia University e Premio Nobel per l’economia. Nazionalizzare le banche: «Bisogna farlo, e farlo in fretta, prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio», dopo la catastrofe planetaria provocata da «anni di comportamenti sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l’avere giocato d’azzardo con i derivati». Teoricamente, siamo già alla bancarotta: se il governo rispettasse le regole del gioco, sono moltissime le banche che uscirebbero dal mercato. Nessuno sa con certezza quanto sia grande il buco: almeno due-tremila miliardi di dollari, se non di più.
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Fiscal Compact, Guarino: il pareggio di bilancio è illegale
Il pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact? Da gettare nella spazzatura della storia. Azzerare il debito pubblico non è solo insostenibile, è anche illegale: perché viola il Trattato di Lisbona, che il debito pubblico lo ammette eccome, anche se limitato al 3% del Pil secondo una teoria “cabalistica” che si vuole risalente a una semplice boutade dell’allora presidente francese Mitterrand: «Il numero 3 suonava bene, ed era perfetto per togliermi di torno i ministri che mi assediavano con le loro continue richieste di soldi». Fondato sul contenimento ossessivo della spesa pubblica, il regime finanziario europeo non deriva da alcuna scienza economica, ma solo dall’ideologia dominante che prescrive di colpire lo Stato per favorire i grandi monopoli economici privati. E persino nella sua applicazione formale le autorità europee stanno violando la legge. Lo sostiene un giurista di peso internazionale come il professor Giuseppe Guarino, già docente di Cossiga ed esaminatore di Napolitano e Draghi, nonché ministro democristiano (finanze e industria) dall’87 al ’93. “Il teorico dell’euro-caos”, lo ribattezza la versione tedesca del “Financial Times”.
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Münchau: bravo Grillo, scuoterà l’Europa contro la Merkel
Karl Marx con le elezioni italiane si sarebbe molto divertito. Il suo saggio “Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” inizia con una frase: «Hegel da qualche parte scrive che tutti i personaggi e i fatti del mondo tornano sempre una seconda volta. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come una misera farsa». Marx si riferiva al colpo di stato di Luigi Napoleone del 1851 e al paragone con il putsch del suo ben più cattivo zio nel 1799. Si può fare un parallelismo simile fra la Germania di inizio anni ’30 e l’Italia di oggi. In entrambi i casi c’era un sistema di cambi fissi, allora il Gold Standard, oggi l’euro. Ci fu anche allora una politica prociclica guidata dalla follia dell’establishment: l’austerità durante la recessione. Finì con una disoccupazione di massa e la trappola del debito. In Germania la grande depressione terminò con una tragedia. L’Italia ha eletto un comico.
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Appelli a Grillo su Repubblica, il coraggio del giorno dopo
«Caro Beppe Grillo, cari amici del Movimento 5 Stelle». Ebbene sì: c’è voluto lo “tsunami” elettorale di febbraio, ed ecco che i teppisti dell’antipolitica di ieri sono diventati nientemeno che “cari amici”, perlomeno per Barbara Spinelli, il filosofo cagliaritano Remo Bodei, l’accademica Roberta De Monticelli, gli storici dell’arte Tomaso Montanari e Salvatore Settis nonché il giurista Antonio Padoa-Schioppa, fratello di Tommaso, super-tecnocrate tra i massimi sostenitori dell’euro e dell’indecente regime di Bruxelles. Lui, lo spietato fustigatore dei “bamboccioni” italiani. «Pagare le tasse è bellissimo», disse, mentre Barbara Spinelli, co-fondatrice di “Repubblica”, tesseva le lodi dell’Unione Europea come frontiera di pace e civiltà, individuando un unico supremo ostacolo all’affermazione del paradiso europeo in terra: Silvio Berlusconi. Incredibile ma vero, il 9 marzo 2013 Spinelli e colleghi sostengono che, col trionfo elettorale di Grillo, si apre «una grande occasione» per «cambiare dalle fondamenta il sistema politico in Italia e anche in Europa».