Archivio del Tag ‘Joe Biden’
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Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?
Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.Zapping: sul tema, Bianca Berlinguer interpella due numi pensosi, l’imperscrutabile Mieli e il sempre esecrante Cacciari, mentre l’immortale Lady Gruber si avvale del formidabile vaticinio di una leggenda del giornalismo mondiale come Beppe Severgnini. Altro giro, altro canale: il capocomico Floris scatena il suo zoo contro Matteo Salvini, obbligandolo a non-rispondere sul mitico Russiagate, lo scivolone del sciùr Savoini: la sua celebre cenetta coi petrolieri russi, con confidenze riservatissime affidate ai microfoni di non si sa esattamente quale servizio segreto. A proposito: sempre all’osteria di Floris si ciancia su come i servizi (italiani) avrebbero prima aiutato la Clinton, con Renzi, su richiesta di Obama, per ostacolare la corsa di Trump, salvo poi intervenire con Conte, in modo simmetrico e altrettanto irrituale, ancora una volta nelle lande dell’orso russo, per aiutare The Donald a inguaiare il suo avversario Biden, già braccio destro di Obama. Nel suo piccolo, l’ex rocker da strapazzo Johnny Rotten, campione di humour, non rischia forse di sembrare un gigante?Se poi – sempre per ridere – si finge di credere che esista davvero, qualcosa che assomigli all’irraggiungibile Olimpo marmoreo che i giornali continuano a chiamare L’Europa, non si può fare a meno di notare che dal bar di Bruxelles è sparito il simpatico Juncker, quello che citava Marx in segno di vicinanza politico-spirituale con le dolenti masse degli oppressi (ellenici in primis). Niente più bourbon, purtroppo, ma solo le bevande analcoliche servite dall’elegantissima barista Ursula von der Leyen, assistita da camerieri in livrea del calibro di Paolo Gentiloni, discendente dell’antica corte del Papa-Re. Nel personale di servizio figura lo stesso David Sassoli, un tempo mezzobusto del Tg1, temibile allevamento di giornalisti di razza, veri e propri “cani da guardia della democrazia”. A proposito di virtù canine: già ferocissima gregaria del mastino Angela Merkel, Frau Ursula è lì grazie all’ex comico televisivo Beppe Grillo, occasionalmente rivoluzionario (ma solo per i più piccini) prima di firmare, la scorsa primavera, il memorabile Patto per la Scienza insieme a Matteo Renzi, il suo attuale socio di governo (scopo del Patto, pietra miliare nella storia della medicina: zittire e delegittimare qualsiasi voce scientifica non allineata al nuovo affascinante dogma della Vaccinazione Universale).Come in tutti gli show, è il finale a riservare le vere sorprese. Ed è a quel punto che entrano in scena i fuoriclasse. Lui e lei, naturalmente: gran bella coppia. Mario & Christine: noti ai fan come insuperabili mattatori nei filmoni di guerra, nei thriller, nei plot più drammatici. Suspence, terrore. Severissima austerità, dolore copiosamente sparso con fermezza inflessibile. E invece adesso eccoli là, con in faccia il cerone della commedia: si scherzava, ragazzi, era tutta una burla. E’ vero, vi avevamo raccontato che non c’erano alternative: sangue, sudore e lacrime. Ci eravate cascati? Certo, siamo stati bravi. Ma adesso, sapete, cambierà tutto. E quelle maledette banconote, per le quali vi abbiamo spremuto fino al midollo, ora ve le getteremo dalla finestra: helicopter money! Che diamine, la moneta appartiene al popolo: non lo sapevate? Gli spettatori esitano, spiazzati – quasi quanto gli economisti da patibolo e il loro codazzo di coristi radiotelevisivi. Contrordine? Siamo per caso rimasti all’oscuro di decisioni epocali? Ci è sfuggito qualcosa di fatale che forse è maturato, lassù, tra le sfuggenti divinità? La produzione, caritatevole, sente che al pubblico – per il quale mostra compassione – bisogna pur concedere qualcosa di rassicurante. E allora, mentre le luci si abbassano, sul palco viene rispedito il solito usciere dall’aria dimessa, con lo storico annuncio: abbiamo tagliato i parlamentari. Tradotto in cifre, agli italiani viene offerto un caffè. Purtroppo lo steward non è Johnny Rotten, è solo Di Maio. Ma il risultato è lo stesso: avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli?(Giorgio Cattaneo, “Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?”, dal numero 12 de “La Voce Rooseveltiana”, 17 ottobre 2019).Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.
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Sarà la Warren l’anti-Trump: è manipolabile dal Deep State
Anche se lo slogan di questo blog è “tracciamo scenari, non facciamo previsioni”, ogni tanto vale la pena provarci. Le rare volte che lo abbiamo fatto è andata bene, e dunque il rischio di fare una figuraccia vale la pena rischiarlo anche stavolta. E’ mia convinzione che il prossimo candidato del Partito Democratico alle presidenziali americani non sarà Joe Biden, ma Elizabeth Warren, nota femminista dell’altà società statunitense in grado di seppellire due mariti e di insegnare legge in diverse università americane, ma anche di passare alla storia come esperta di questioni finanziarie. Il motivo per il quale credo più nella Warren che in Biden molti di voi lo avranno intuito. In queste ore Joe Biden è stato incastrato in uno scandalo che ha travolto il figlio, e che sta travolgendo anche il principale (finora) candidato democratico. La ditta Biden and son’s l’avrebbe fatta davvero grossa, e val la pena riassumere il fattaccio in poche righe per chi non si fosse ancora affaticato a leggere i giornali. Il figlio del candidato democratico Joe, il giovane Hunter Biden, entrò nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings, la principale compagnia ucraina di commercailizzazione del gas con uno stipendio di 50.000 dollari al mese (dico, 50.000 dollari).Il figlio di Biden venne scelto nonostante non parlasse la lingua e non avesse particolari esperienze nel campo energetico. Inoltre, pare che Biden senior abbia fatto pressione sugli ucraini per favorire indirettamente questo rapporto contrattuale del figlio. Insomma, con ’sto scandalo a mio avviso Biden è già fuori, e la nuova sfida a Trump verrà lanciata dalla Warren. Ma già mi fischiano le orecchie e immagino che molti diranno che la mia previsione ora la stanno facendo in tanti perchè la Warren, da outsider, è andata avanti nei sondaggi a scapito di Biden e del vecchio Sanders, e che tutti sanno oggi dell’Ucrainagate. Mi piace vincere facile? Ok, ma ad ogni buon conto, bene sarebbe capire perchè i media si stanno spostando verso la signora dell’Oklahoma. Oppure: perchè è capitata ’sta tegola sulla testa di Biden? E qui conviene tracciare uno scenario, ancora una volta, e non una previsione. Cosa sarebbe accaduto con Biden candidato ufficiale, vincitore su Trump e dunque presidente degli Stati Uniti d’America?Pochi in Italia sanno o ricordano che Biden è stato il vicepresidente sotto la presidenza Obama. In quell’occasione, Biden promosse il ritiro dall’Iraq e si oppose fermamente al blitz che portò all’uccisione di Bin Laden. Inoltre, Biden non fa parte del clan Clinton. Affermazione che non si può fare con tanta leggerezza, invece, per la Warren. La professoressa di giurisprudenza di Harvard, infatti, viene considerata molto più debole e controllabile di Biden. Dopo un primo sostegno a Sanders alle precedenti presidenziali, la Warren ha poi sostenuto Hillary Clinton in diversi comizi e per molto tempo si parlò nel 2016 di un suo possibile inserimento nel ‘ticket’ come candidata vicepresidente di Hillary. Il Deep State americano preferisce qualcuno che fa molto di testa sua, e che si è già opposto alla Cia nel caso Bin Laden, o un soggetto politico che possa replicare la linea guerrafondaia dei Clinton? Se i media si schierano massicciamente con lei, Trump potrebbe trovarsi in enormi difficoltà alle presidenziali del 2020 perchè avrà di fronte una clintoniana “presentabile” e non un simil-Trump di “centrosinistra” come Biden.(Massimo Bordin, “Sarà la Warren a sfidare Trump”, dal blog “Micidial” del 29 settembre 2019).Anche se lo slogan di questo blog è “tracciamo scenari, non facciamo previsioni”, ogni tanto vale la pena provarci. Le rare volte che lo abbiamo fatto è andata bene, e dunque il rischio di fare una figuraccia vale la pena rischiarlo anche stavolta. E’ mia convinzione che il prossimo candidato del Partito Democratico alle presidenziali americani non sarà Joe Biden, ma Elizabeth Warren, nota femminista dell’altà società statunitense in grado di seppellire due mariti e di insegnare legge in diverse università americane, ma anche di passare alla storia come esperta di questioni finanziarie. Il motivo per il quale credo più nella Warren che in Biden molti di voi lo avranno intuito. In queste ore Joe Biden è stato incastrato in uno scandalo che ha travolto il figlio, e che sta travolgendo anche il principale (finora) candidato democratico. La ditta Biden and son’s l’avrebbe fatta davvero grossa, e val la pena riassumere il fattaccio in poche righe per chi non si fosse ancora affaticato a leggere i giornali. Il figlio del candidato democratico Joe, il giovane Hunter Biden, entrò nel consiglio d’amministrazione della Burisma Holdings, la principale compagnia ucraina di commercailizzazione del gas con uno stipendio di 50.000 dollari al mese (dico, 50.000 dollari).
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Snowden a Saviano: il web ha hackerato la democrazia
«L’Europa ha perso un’occasione unica rifiutando l’asilo politico a Snowden: avrebbe potuto dimostrare il diverso approccio nel dare sicurezza ai cittadini». Lo afferma Roberto Saviano, nel presentare su “Repubblica” il suo colloquio via Skype con Edward Snowden, l’ex analista della Nsa rifugiatosi in Russia nel 2013 dopo aver rivelato il sistema di spionaggio di massa praticato dalla National Security Agency. «La cosa che rimpiango è non essermi fatto avanti prima», dice oggi Snowden, che ha 36 anni: «Rimpiango ogni anno che ho impiegato a decidere in cosa credessi, per rendermi conto di ciò che succedeva e decidere di fare qualcosa». Nel libro “Errore di sistema”, tradotto in Italia da Longanesi, l’ex operatore dell’intelligence Usa (cui è dedicato il film “Snowden” di Oliver Stone, uscito nel 2016) ripercorre la sua avventura: ha dato alla stampa le prove dei programmi XKeyscore, in grado di leggere qualsiasi email. Poi ha svelato l’esistenza di Prism, un programma di sorveglianza utilizzato per monitorare chat e videochat, comprese quelle su Skype. E infine ha tolto il velo su Tempora, programma che il governo britannico utilizzava per spiare le cancellerie europee. Se Paypal, Facebook, Apple e Microsoft nascono negli Usa – scrive Saviano – è anche perché l’Europa non ha considerato una sfida alla sua altezza il fatto di avere delle proprie piattaforme. Ma come poteva, l’Europa di cui parla Saviano, sfidare addirittura gli Usa?
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Navi e missili, e se questa guerra ora ci esplode addosso?
Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una a massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».E’ come se si stesse rapidamente scivolando verso il baratro: lo si capisce dalla successione degli eventi che affollano la stampa mainstream, e meglio ancora dal preciso monitoraggio offerto dal blog “Come Don Chisciotte”, che presenta lo stesso reportage di Fisk insieme a molti altri retroscena. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden rivela che, secondo un diplomatico Nato, la Russia sta schierando nel Mediterraneo orientale la più grande forza navale dalla fine della guerra fredda, capitanata dalla portaerei Admiral Kuznetsov: oltre ai caccia Mig-29 e Sukhoi Su-33, secondo l’agenzia Tass l’ammiraglia imbarca midiciali elicotteri d’attacco come i Ka-52 Alligator, cioè la massima dotazione dell’armamento convenzionale russo, con il quale Putin proverà a chiudere la partita con l’Isis in Siria: «Vedremo un crescendo di attacchi aerei su Aleppo come parte di una strategia della Russia che vuol dichiarare vittoria», secondo la Nato. «Intensificare una campagna aerea su Aleppo orientale, dove sono intrappolate 275 mila persone, potrebbe ulteriormente peggiorare i legami tra Mosca e l’Occidente», secondo la fonte diplomatica. «Questo assalto dovrebbe essere sufficiente per consentire una strategia di uscita della Russia, se Mosca dovesse ritenere che Assad sia ormai abbastanza stabile per sopravvivere da solo».Proprio l’andamento della guerra in Siria, paese largamente riconquistato dalle forze governative dopo la discesa in campo di Mosca, sembra preoccupare i protettori occulti dell’Isis, cioè gli Stati Uniti, che hanno appoggiato sottobanco le milizie “islamiste” soprattutto attraverso l’Arabia Saudita, il Qatar e, fino a ieri, la Turchia. La Russia è sotto pressione, a partire dal golpe in Ucraina con la destabilizzazione dei confini e la rivolta del Donbass. Quello che Obama non perdona a Putin – da qui le sanzioni autolesionistiche che l’Ue è stata costretta ad adottare – è il fatto di aver osato reagire al colpo di Stato a Kiev riappropriandosi della Crimea, strategica per il controllo del Mar Nero. Una partita a scacchi: persa la Crimea, l’Occidente ha puntato tutto sull’Isis in Siria fino a minacciare la sopravvivenza di Assad. E il nuovo intervento difensivo russo, a sostegno di Damasco, è stato ancora una volta coronato dal successo. Nei piani del Cremlino, l’attacco finale su Aleppo dovrebbe disarticolare definitivamente le milizie dell’Isis, mandando all’aria i piani dei “signori della guerra” che, a partire dalla demolizione dell’Iraq, hanno continuamente gettato benzina sul fuoco in tutta la regione, sfruttando il conflitto tra sciiti e sunniti.Il pericolo cresce, quanto più si avvicina la possibile vittoria di Putin – inaccettabile, per Obama, specie alla vigilia delle elezioni, su cui incombe la “minaccia” di Trump, l’outsider che promette di porre fine alla “guerra permanente” in Medio Oriente. Così, “Nbc News” avverte che «la Cia si prepara a un possibile attacco cibernetico contro la Russia». Interrogato in proposito da Chuck Todd a “Meet the press”, il vicepresidente Joe Biden conferma: gli Usa colpiranno. «Ne abbiamo le capacità», ha detto. E l’attacco «avverrà nel momento che riteniamo opportuno e sotto le circostanze che giudichiamo garantire il maggiore impatto», come riferisce Michael Snyder su “The Economic Collapse”. In più, la “Reuters” afferma che Obama sta contemplando l’ipotesi di «un intervento militare americano diretto» contro obiettivi militari siriani, ben sapendo che i russi hanno già messo in chiaro che reagiranno coi loro missili a qualunque aggressione diretta contro le forze di Assad. Nelle televisioni moscovite, intanto, si ricomincia a parlare apertamente di rifugi antiatomici. E il Mediterrano si va riempiendo di navi da guerra, armate con testate di ogni tipo.Giochi di guerra, sempre più pericolosi, a cui il mondo sembra assistere in modo apatico e distratto. Alla vigilia delle elezioni presidenziali, Washington non fa che alzare la posta, contro Mosca, da quando Putin ha osato opporsi alla demolizione della Siria dopo aver assistito a quella della Libia. La situazione sembra stia rapidamente precipitando, in uno scenario in cui i media russi parlano apertamente del rischio di una guerra nucleare, la Casa Bianca minaccia di colpire la Russia anche con un attacco cibernetico e il Cremlino spedisce nel Mediterraneo la più potente flotta da guerra mai uscita in missione dai tempi dell’Urss. E un grande giornalista come Robert Fisk sospetta che l’improvvisa liberazione di Mosul decisa dagli americani “serva” a trasferire in Siria i miliziani jihadisti: «L’esercito siriano, Hezbollah e gli alleati iraniani si stanno preparando a una massiccia invasione di migliaia di “Isis fighters” che saranno cacciati dall’Iraq dopo la caduta di Mosul», scrive Fisk sull’“Independent”. «Il sospetto dell’esercito siriano è che il vero scopo, dietro la tanto strombettata “liberazione” della città irachena programmata dagli Usa, sia quello di sommergere la Siria con orde di combattenti Isis che devono abbandonare le loro capitale irachena per raggiungere la loro “mini-capitale” Raqqa all’interno della Siria stessa».
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Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».
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Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
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Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
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Ucraina e Isis, il vice di Obama rivela per sbaglio la verità
Questo è un esempio di come certe informazioni non circolino sui media occidentali. Un amico che pesca molto bene online mi ha inviato la segnalazione di alcuni articoli che recavano un titolo forte: “Il vicepresidente americano Joe Biden ammette di aver obbligato i paesi europei ad adottare le sanzioni contro la Russia”. Come mio dovere, verifico le fonti. E scopro che a dare questa notizia sono “Russia Today” e altre agenzie di stampa russe. Da esperto di spin mi sorge il dubbio che si tratti di una strumentalizzazione da parte di Mosca. E verifico ulteriormente. In pochi minuti. Sì, Biden ha tenuto un lungo discorso sulla politica estera all’università di Harvard, discorso a cui i media americani hanno dato ampio spazio ma per evidenziare una battuta, anzi una gaffe su quanto sia frustrante fare il vicepresidente, espressa con un linguaggio molto colorito. Negli articoli, però, nessun riferimento alla frase sull’Europa.Allora indago ulteriormente, vado sul sito della Casa Bianca dove è pubblicata la trascrizione integrale del discorso di Biden. E, come potete verificare voi stessi, la frase riportata dai media russi è corretta e l’indifferenza con cui è stata accolta dai media occidentali, ma anche europei significativa. Praticamente nessun giornalista ha saputo valutare la portata delle dichiarazioni di Biden. Il che è grave professionalmente, ma non sorprendente: a dare il tono sono state le agenzie di stampa e le tv “all news” che si sono soffermate sull’aspetto più leggero e sensazionale ovvero la gaffe di Biden; tutto il resto è passato in secondo piano. Anche sulla stampa più autorevole. Perché Biden poteva reggere un titolo, non due. E quelle dichiarazioni formulate nell’ambito di un lungo discorso in cui Biden ha toccato molti aspetti. Gli spin doctor della Casa Bianca si sono ben guardati dall’evidenziarle e sono scivolate via assieme ad altre.Nessuna manipolazione, nessuna censura: se conosci le logiche e le debolezze dei media puoi orientarli a piacimento, Negli Stati Uniti, ma anche in Europa. In realtà le dichiarazioni di Biden sono davvero sensazionali, una gaffe in termini diplomatici: «Abbiamo dato a Putin una scelta semplice: rispetta la sovranità ucraina o avrai di fronte gravi conseguenze. E questo ci ha indotto a mobilitare i maggiori paesi più sviluppati al mondo affinché imponessero un costo reale alla Russia. E’ vero che non volevano farlo. E’ stata la leadership americana e il presidente americano a insistere, tante di quelle volte da dover mettere in imbarazzo l’Europa per reagire e decidere per le sanzioni economiche, nonostante i costi». L’ammissione è fortissima: è stata l’America a costringere l’Europa a punire Putin, contro la sua volontà.Poi un’altra strabiliante ammissione, sull’Isis, che l’America combatte con toni accorati salvo poi ammettere che il pericolo per gli stessi americani non è così rilevante: «Non stiamo affrontando un pericolo esistenziale per il nostro stile di vita o la nostra sicurezza. Hai due volte più possibilità di essere colpito da un fulmine per strada che di essere vittima di un evento terroristico negli Stati Uniti». Dunque l’Isis non è una minaccia seria, così come non lo è più il terrorismo negli Stati Uniti. Quando qualcuno dice la verità – e chi più di un vicepresidente americano? – il mondo appare molto diverso rispetto alla propaganda ufficiale. In Ucraina e sul terrorismo. Ma se i media non ne parlano, la propaganda diventa, anzi resta apparente verità. E la vera verità limitata ai pochi che la sanno davvero cogliere e trasmettere.(Marcello Foa, “Ucraina e Isis: il vice di Obama rivela (per sbaglio) la verità”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 5 ottobre 2014).Questo è un esempio di come certe informazioni non circolino sui media occidentali. Un amico che pesca molto bene online mi ha inviato la segnalazione di alcuni articoli che recavano un titolo forte: “Il vicepresidente americano Joe Biden ammette di aver obbligato i paesi europei ad adottare le sanzioni contro la Russia”. Come mio dovere, verifico le fonti. E scopro che a dare questa notizia sono “Russia Today” e altre agenzie di stampa russe. Da esperto di spin mi sorge il dubbio che si tratti di una strumentalizzazione da parte di Mosca. E verifico ulteriormente. In pochi minuti. Sì, Biden ha tenuto un lungo discorso sulla politica estera all’università di Harvard, discorso a cui i media americani hanno dato ampio spazio ma per evidenziare una battuta, anzi una gaffe su quanto sia frustrante fare il vicepresidente, espressa con un linguaggio molto colorito. Negli articoli, però, nessun riferimento alla frase sull’Europa.
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Barack Osama e i ragazzi dell’Isis, reclutati dagli Usa
La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.Negli anni ’80, durante la guerra fredda, l’Islam conservatore era l’alleato degli Usa nel contenere la diffusione del comunismo e dell’influenza dell’Urss nel mondo arabo, scrive Maggioni in un post ripreso da “Informare per Resistere”. Sotto la presidenza Reagan, gli Usa «armarono e addestrarono i Talebani in Afghanistan» per rovesciare la repubblica popolare afghana e contrastare il successivo intervento sovietico. «Al-Qaeda nasce qui, con i soldi e il supporto americano, tanto che lo stesso Bin Laden (ricordiamolo: proveniente da una famiglia di affaristi sauditi in stretti rapporti con gli Usa) combatteva in Afghanistan e veniva intervistato da quotidiani occidentali come “The Indipendent” i quali lo definivano “freedom fighter”». I Talebani, aggiunge Maggioni, «vennero addirittura glorificati in film come “Rambo 3”», mentre «vari leader islamisti afghani furono ricevuti alla Casa Bianca da Reagan, che li definì “leader con gli stessi valori dei Padri Fondatori”».La medesima strategia è proseguita negli anni novanta con Clinton, «che poté intervenire in Jugoslavia al fianco dei narcotrafficanti dell’Uck in Kosovo spacciati come difensori del proprio popolo da non meglio precisati genocidi». Con Bush la strategia cambia: complice l’11 Settembre, gli amici di ieri diventano i nemici di oggi. Scatta così una campagna propagandistica mondiale, secondo cui l’Islam ha dichiarato guerra alla civiltà occidentale e ci sono arabi dietro ogni angolo pronti a farsi esplodere. «Con questa scusa parte la cosiddetta “guerra al terrore”, grazie alla quale vengono eliminati gli ex-alleati Talebani ora sfuggiti al controllo e si invade l’Iraq». Una guerra «totalmente priva di senso anche per la logica di Bush», in teoria, considerato che il governo di Saddam Hussein «apparteneva alla corrente del baathismo laico e di tutto poteva essere tacciato tranne che di islamismo».Con Obama la strategia cambia ancora: non esiste più la minaccia islamica, ma gli Stati Uniti devono intervenire per difendere i giovani della “primavera araba” in lotta contro i “dittatori”, «termine indicante tutti i capi di Stato non graditi all’America». E Bin Laden, «tenuto in vita come spauracchio durante l’epoca Bush», viene «fatto fuori in un lampo, ovviamente prima che possa parlare dei suoi passati legami con gli Usa». Gli islamisti di oggi sono nuovamente alleati dell’America. E tutti i peggiori integralisti, dal Fronte Al-Nusra siriano ai Fratelli Musulmani, vengono trasformati dai media in giovani nonviolenti, in lotta contro la dittatura. «Con questa scusa, Obama arma delle milizie islamiste in Libia e interviene in loro supporto per eliminare Gheddafi: ora la Libia è un inferno a cielo aperto in preda a gang islamiche, mentre gli americani ne saccheggiano il petrolio».Il copione viene replicato in Siria, dove gli Usa appoggiano «animali assetati di sangue come Al-Nusra e il famigerato Isis», presentati però sempre come «studenti che manifestano per i diritti umani». Fallito l’assalto al regime di Assad, però, i “bravi ragazzi” tornano utili ugualmente, sotto forma di “cattivi ragazzi”. Vengono infatti presentati come terroristi: la vecchia propaganda sulla “minaccia islamista” viene riciclata da Obama per giustificare l’inizio di operazioni militari in Iraq. «La situazione fa quasi sorridere – sottolinea Maggioni – considerando che l’Isis sostanzialmente sono i ribelli siriani presentati come sinceri democratici e a fianco dei quali meno di un anno fa lo stesso Obama voleva intervenire militarmente. Le stesse persone, al variare degli interessi in gioco, passano da combattenti per la libertà a sanguinari terroristi, a seconda che si trovino ad ovest o ad est del confine tra Siria e Iraq».L’Isis? E’ un gruppo integralista sunnita, che si propone l’obiettivo di creare uno Stato islamico, il Califfato, che comprenda i territori di Siria e Iran per portare avanti la jihad contro lo sciitismo. Il terreno fertile per la sua espansione è stato creato dall’intervento militare americano in Iraq del 2003, continua Maggioni: il rovesciamento di Saddam ha causato la caduta di uno dei pochi Stati laici della regione e fatto saltare il delicato equilibrio interno tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Nel caos e nell’anarchia seguenti, l’islamismo politico è potuto tornare a operare alla luce del sole, con spazi di manovra di cui prima era privo. «I gruppi islamisti sono riusciti in breve tempo a raccogliere un ampio consenso all’interno delle minoranze etniche sunnite», in un Iraq a maggioranza sciita: «Il che ha portato, dalla caduta di Saddam in poi, all’affermazione di governi guidati da forze politiche sciite, quale quello del presidente Al-Maliki».A partire dal 2011, questo quadro si è incrociato con lo scenario della guerra civile siriana, con in primo piano le infami milizie dell’Isis, un “mostro” «che cresce e si sviluppa grazie al supporto economico, diplomatico e militare di Washington», espandendosi a macchia d’olio in Iraq, «dove si guadagna un consistente supporto tra la popolazione sunnita e inizia una guerriglia contro il governo del presidente Al-Maliki». L’Isis, insiste Maggioni, è funzionale agli interessi americani anche in Iraq: dopo la caduta del sunnita Saddam, il paese si è avvicinato ai correligionari dell’Iran e di conseguenza anche alla Siria, alleato storico di Teheran, «creando negli Usa il timore di perdere la propria influenza sul paese». Basta osservare una cartina geografica per capire che si verrebbe a creare in questo modo un asse sciita filo-iraniano che si estenderebbe con continuità territoriale nel cuore del Medio Oriente, da Teheran fino agli Hezbollah libanesi alle porte di Israele. «Questo scenario è ovviamente inaccettabile per la Casa Bianca».Avendo come obiettivo della sua “guerra santa” l’Iran e gli sciiti, l’Isis fa dunque il gioco degli Usa. E Washington, prosegue Maggioni, vorrebbe rendere controllabile l’Iraq balcanizzandolo in tre aree (sunnita, sciita e curda), come apertamente auspicato dal vicepresidente americano Joe Biden. «Per questo l’Isis è stato lasciato agire fino a mettere alle strette il governo di Al-Maliki». Con la scusa dell’avanzata del Califfato, gli americani hanno potuto rientrare militarmente in Iraq, rimettendo in equilibrio il governo di Baghdad e lo “Stato Islamico”. «Un intervento volutamente tardivo, che se ne ha fermato l’avanzata ha permesso al Califfato di consolidare le posizioni già conquistate». Poi, approfittando del drammatico genocidio delle minoranze da parte del Califfato, gli Usa hanno cominciato a rifornire di armi i curdi Peshmerga, alleati degli americani durante l’invasione del 2003 e animati da intenti secessionisti. «La scelta di bypassare il governo iracheno e fornire armi direttamente ai curdi non è casuale, ma ha lo scopo di creare nella regione una forza armata filoamericana e separatista nei confronti di Baghdad, indebolendo ancora di più la posizione del governo centrale iracheno».Il risultato di tutto ciò, conclude Maggioni, è un Iraq sostanzialmente diviso in tre parti: una frazione sciita, debole e alla mercé degli aiuti militari americani, una regione curda che vada a costituire una sorta di “gendarme” americano locale, e poi il Califfato islamico, «formalmente avversato da Washington ma in realtà tollerato», dal momento che «continua la sua guerra regionale contro due Stati sgraditi agli Usa», cioè Siria e Iran, «facendo il lavoro sporco al posto degli americani». I “bravi ragazzi” dell’Isis potranno funzionare da alibi per consentire agli Usa di intervenire militarmente anche in Siria, dove un anno fa furono fermati dall’opposizione russo-cinese. Intanto, per bocca del proprio leader, il califfo Al-Baghdadi, l’Isis ha già indicato la Cina come “Stato nemico dell’Islam”, promettendo in un prossimo futuro di fornire aiuto ai gruppi islamisti Uighuri dello Xinjiang. «Casualmente – chiosa Maggioni – il principale avversario geopolitico degli Usa rientra tra gli obiettivi degli islamisti», che tra parentesi «durante tutto il periodo dei bombardamenti a Gaza non hanno detto una sola parola contro Israele». Miracoli della geopolitica, sotto il regno di “Barack Osama”.La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.
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Pilger: è tutto falso e disumano, ma chi se n’è accorto?
Geopolitica, massacri e guerre promosse dall’Occidente? «Si è realizzato nel modo più soffice il totalitarismo orwelliano, dietro l’illusione dell’“era dell’informazione” e del multiculturalismo». S’impone un’unica visione del mondo, e nessuno protesta: «Figure capaci di esprimere efficacemente un’alternativa radicale» mancano del tutto, oppure «sono sommerse dal frastuono» del mainstream, rileva John Pilger. A teatro, un’opera profetica come “1984” di Orwell viene liquidata come «un pezzo storico: remoto, innocuo, quasi rassicurante». Dunque, «come se Snowden non avesse rivelato niente, se il Grande Fratello non fosse ora una spia digitale, se lo stesso Orwell non avesse mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”». Mentre le società avanzate vengono de-politicizzate, i cambiamenti sono sottili e spettacolari. «Nei discorsi di tutti i giorni il linguaggio politico viene capovolto, come profetizzato in “1984”».Lessico reinterpretato: la parola “democrazia” è ormai «una figura retorica», la pace è diventata «guerra perpetua», “globale” significa «imperiale». E il concetto di “riforma”, «un tempo foriero di speranze», nella neo-lingua del 2014 «significa aggressione, perfino distruzione», più o meno come “austerità”, che è «l’imposizione del capitalismo estremo ai poveri e il dono del socialismo ai ricchi: un sistema ingegnoso in cui la maggioranza paga il debito dei pochi». Nelle arti, scrive Pilger in un post ripreso da “Controinformazione”, l’ostilità verso la verità politica è un articolo di fede borghese, come dimostra l’“Observer” che se la prende col “periodo rosso” di Picasso. Suona strano, detto da «un giornale che ha promosso il bagno di sangue in Iraq presentandolo come una crociata liberale». Sicché, «l’opposizione di Picasso al fascismo durante tutta la sua vita è una nota a margine, così come il radicalismo di Orwell». Terry Eagleton, già professore di letteratura inglese all’università di Manchester, considerava che «per la prima volta negli ultimi 200 anni non c’è un eminente poeta, drammaturgo o romanziere britannico pronto a mettere in questione le fondamenta del modo di vita occidentale».Nessuna Mary Shelley che parli dei poveri, nessun William Blake che sforni sogni utopici, nessun Byron che condanni la corruzione della classe dominante, né un Thomas Carlyle o un John Ruskin che rivelino «il disastro morale del capitalismo». William Morris, Oscar Wilde e George Bernard Shaw «non hanno equivalenti al giorno d’oggi». Per Pilger, Harold Pinter fu l’ultimo a far sentire la sua voce. Non c’è più nessuna Virginia Woolf, che descrisse «l’arte di dominare altre persone, di governare, uccidere, acquisire terre e capitali». Sempre a teatro, lo spettacolo “Gran Bretagna” fa satira sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto alcuni giornalisti processati e condannati, compreso un ex redattore di “News of the World” di Rupert Murdoch. Descritto come «una farsa mordente che inchioda l’intera cultura dei media incestuosi e la ridicolizza senza pietà», ha come bersagli i «beatamente divertenti» personaggi della stampa scandalistica britannica. Ok, ma che dire dei media non scandalistici, «che si considerano rispettabili e credibili e invece svolgono il ruolo parallelo di braccio dello Stato e del potere aziendale, come nella promozione di guerre illegali?».L’inchiesta sulle intercettazioni telefoniche ha fornito uno scorcio su questo argomento tabù: Tony Blair si stava lamentando delle molestie dei tabloid su sua moglie, quando il regista David Lawley-Wakelin chiese che lo stesso Blair fosse arrestato e perseguito per crimini di guerra. «Ci fu una lunga pausa: lo shock della verità». Secondo copione, fu ordinato di cacciare «colui che diceva la verità», con mille scuse al «criminale di guerra». I complici di lunga data di Blair sono più rispettabili di chi intercetta le telefonate, scrive Pilger. Quando la presentatrice artistica della Bbc, Kirsty Wark, lo intervistò riguardo al decennale della sua invasione dell’Iraq, gli regalò un momento che poteva solo sognare: gli permise di angosciarsi della sua «difficile» decisione presa sull’Iraq, «anziché chiamarlo a rispondere del suo crimine epico». Nel nel 2003, la Bbc dichiarò che Blair poteva sentirsi «discolpato», e programmò l’influente serie televisiva “Gli anni di Blair”, per la quale David Aaronovitch fu scelto come scrittore, presentatore e intervistatore. «Quale valletto di Murdoch che aveva promosso gli attacchi militari in Iraq, Libia e Siria, Aaronovitch adulò da esperto». L’accusatore del Processo di Norimberga, Robert Jackson, definì l’invasione dell’Iraq «il crimine internazionale supremo»? Niente paura: «A Blair e al suo portavoce e complice principale, Alastair Campbell, è stato concesso ampio spazio sul “Guardian” per riabilitare la loro reputazione», anche se Blair manovra tuttora in Medio Oriente e lo stesso Campbell è consulente della dittatura militare egiziana.Mentre l’Iraq viene smembrato in conseguenza dell’invasione di Blair e Bush, il “Guardian” titola: “Rovesciare Saddam era giusto, ma ce ne siamo andati troppo presto”. Autore del pezzo: un ex funzionario di Blair, John McTernan, che aveva lavorato anche per il dittatore Iyad Allawi, installato dalla Cia. «Invocando una seconda invasione del paese che il suo ex padrone aveva contribuito a distruggere, non menzionava la morte di almeno 700.000 persone, la fuga di 4 milioni di rifugiati e i conflitti settari in una nazione un tempo fiera della sua tolleranza comunitaria». Per “bilanciare” politicamente il profilo del “Guardian”, Seumas Milne scrisse: «Blair rappresenta la corruzione e la guerra». Peccato che il giorno successivo lo stesso giornale abbia pubblicato a tutta pagina un maxi-annuncio sul caccia stealth F-35, prodotto dalla Lockeed Martin – la stessa azienda, ricorda Pilger, che fabbrica le bombe “di precisione” da 250 chili sganciate sulla popolazione civile in Afghanistan.A un’altra star del mainstream politico, Hillary Clinton, aspirante presidente degli Stati Uniti, il programma “Women’s Hour” della Bbc ha concesso di presentarsi come «un’icona di successo femminile», evitando accuratamente di interrogarla sulla «campagna di terrore della sua amministrazione che usava droni per uccidere donne, uomini e bambini». In effetti, ironizza Pilger, la conduttrice Jenni Murray una «domanda scottante» l’ha posta: la Clinton aveva perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una storia con suo marito? Proprio lui, Bill Clinton, che all’epoca del sexgate «stava invadendo Haiti e bombardando i Balcani, l’Africa e l’Iraq». Per inciso, «stava anche distruggendo le vite di bambini iracheni: l’Unicef riportò la morte di mezzo milione di bimbi iracheni al di sotto dei 5 anni, in conseguenza di un embargo guidato da Usa e Gran Bretagna». Tutto normale: «I bambini per i media non erano persone, così come le vittime di Hillary Clinton nelle invasioni che ha supportato e promosso: Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia».In politica, così come nel giornalismo e nelle arti, sembra che il dissenso un tempo tollerato nei media “mainstream” sia regredito a dissidenza, osserva Pilger: negli anni ‘60, era perfettamente accettabile criticare il potere occidentale. Basta leggere i celebri resoconti di James Cameron sull’esplosione della bomba H nell’atollo di Bikini, la guerra barbarica in Corea e il bombardamento americano del Vietnam del Nord. «La grandiosa illusione di oggi è di essere in un’era dell’informazione mentre, in verità, viviamo in un’era dei media in cui l’incessante propaganda delle multinazionali mediatiche è insidiosa, contagiosa, efficace e liberal». Nel suo saggio del 1859, “Sulla libertà”, a cui i moderni liberali porgono omaggio, John Stuart Mill scrisse: «Il dispotismo è una forma di governo legittima nel trattare con i barbari, purché il fine sia il loro miglioramento e i mezzi siano giustificati dall’effettivo ottenere quel fine».I “barbari” erano vaste porzioni di umanità da cui era richiesta “obbedienza implicita”. «E’ un mito simpatico e conveniente che i liberali siano pacifisti e i conservatori guerrafondai», scrisse lo storico Hywel Williams nel 2001. Forse aveva in mente un discorso di Blair in cui l’allora primo ministro prometteva di «riordinare il mondo intorno a noi» secondo i suoi «valori morali». Richard Falk, rispettata autorità in campo di diritto internazionale e inviato speciale Onu in Palestina, una volta ha parlato di «uno scudo legale-morale autoreferenziale e unilaterale, con immagini positive di valori occidentali e di innocenza presentata in pericolo, che giustifica una campagna di sfrenata violenza politica, così largamente accettata da essere praticamente incontrastabile». Su Bbc Radio 4, Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, la premio Nobel afro-americana: la Morrison si chiedeva come mai la gente fosse «così arrabbiata» con Barack Obama, che era «figo» e desiderava costruire «una forte economia e sanità». Aggiunge Pilger: «La Morrison era fiera di aver parlato al telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva invitata alla sua inaugurazione».Né lei né la sua intervistatrice, scrive Pilger, hanno menzionato le 7 guerre di Obama, compresa la sua campagna del terrore con i droni, nella quale sono state assassinate intere famiglie, i loro soccorritori e chi li piangeva. «Quello che sembrava importare era che una uomo di colore “che parlava in modo raffinato” fosse salito ai livelli massimi di potere». In “The Wretched of the Earth” (Gli abietti della Terra) Frantz Fanon scrisse che la «missione storica» dei colonizzati era di fungere da «cinghia di trasmissione» per coloro che governavano e opprimevano. «Ai nostri giorni – aggiunge Pilger – l’impiego delle differenze etniche nei sistemi di potere e propaganda occidentali è visto come essenziale. Obama ne è l’epitomo, sebbene il gabinetto di George W. Bush – la sua banda di guerrafondai – fosse il più multirazziale nella storia presidenziale». Ieri, mentre la città irachena di Mosul veniva presa dai jihadisti dell’Isis, Obama ha affermato: «Il popolo americano ha fatto investimenti e sacrifici enormi per dare agli iracheni l’opportunità di forgiare un destino migliore».Quanto è “figa” questa bugia? E com’era “raffinato” il discorso di Obama all’accademia militare di West Point il 28 maggio sullo «stato del mondo», indirizzato a quanti «assumeranno la leadership americana» in tutto il pianeta. «Gli Stati Uniti – ha detto Obama – useranno la forza militare, unilateralmente se necessario, quando lo richiedono i nostri interessi cruciali. L’opinione internazionale ha importanza, ma l’America non chiederà mai il permesso». Ripudiando il diritto internazionale e i quelli delle nazioni, il presidente americano si presenta come una divinità basata sulla superpotenza della sua nazione. Inequivocabile: «E’ un messaggio famigliare di impunità imperiale». Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ‘30, Obama ha aggiunto: «Credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra del mio essere». Lo rimbecca lo storico Norman Pollack: «A chi faceva il passo dell’oca sostituiamo l’apparentemente più innocua militarizzazione della cultura totale. E al posto del leader magniloquente abbiamo il riformatore mancato, allegramente al lavoro, che pianifica ed esegue assassinii mentre sorride tutto il tempo».A febbraio, gli Usa hanno montato uno dei loro golpe “colorati” in Ucraina, con la regia di Victoria Nuland, consigliera alla sicurezza nazionale di Obama, seguita dal vicepresidente Joe Biden e dal direttore della Cia John Brennan, giunti a Kiev per pilotare «le truppe d’assalto per il loro putsch», ovvero «fascisti ucraini». Così, «per la prima volta dal 1945, un partito neonazista apertamente antisemita controlla aree-chiave del potere statale in una capitale europea», senza che nessun leader occidentale abbia aperto bocca. «Dal collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno circondato la Russia con basi militari, bombardieri nucleari e missili come parte del loro progetto di allargamento della Nato». Rinnegando una promessa fatta a Gorbaciov nel 1990, secondo cui la Nato non si sarebbe espansa «un centimetro ad est», di fatto la Nato ha occupato militarmente l’Europa orientale, costituendo – a partire dal Caucaso – «il più grande accumulo militare dalla seconda guerra mondiale». Nel mirino l’adesione di Kiev, e sullo sfondo due operazioni, “Tridente rapido”, con truppe americane e britanniche sul confine russo dell’Ucraina, e “Brezza di mare”, con navi da guerra statunitensi a distanza di avvistamento dai porti russi. «Immaginate la reazione se questi atti di provocazione, o intimidazione, venissero compiuti ai confini americani?».Nel reclamare la russa Crimea, “regalata” all’Ucraina da Nikita Krushev nel 1954 – Mosca si è semplicemente difesa, come sempre: più del 90% della popolazione ha votato per tornare con la Russia, inoltre la Crimea è sede della flotta del Mar Nero, vitale per la marina russa. Putin ha spiazzato «i partiti guerrafondai a Washington e Kiev» esortando i russi di Ucraina ad abbandonare il separatismo? «In modo orwelliano, in Occidente ciò è stato invertito nella “minaccia russa”», e Hillary Clinton «ha paragonato Putin a Hitler». Altro problema: «Senza ironia, commentatori della destra tedesca hanno fatto altrettanto». Peggio ancora: «Nei media, i neonazisti ucraini vengono definiti eufemisticamente “nazionalisti” o “ultra-nazionalisti”». Quello che temono, continua Pilger, è che Putin stia abilmente cercando una soluzione diplomatica, che potrebbe avere successo. Il presidente russo ha chiesto al Parlamento di togliergli i poteri speciali di intervento in Ucraina? Puntuale l’ultimatum di John Kerry: la Russia doveva «agire entro le prossime ore, letteralmente» per far terminare la rivolta nell’est dell’Ucraina.«Nonostante Kerry sia ampiamente riconosciuto come un pagliaccio – sostiene Pilger – il vero scopo di questi “avvertimenti” è di attribuire alla Russia lo stato di paria e di sopprimere le notizie sulla guerra del regime di Kiev al proprio popolo». Un terzo della popolazione dell’Ucraina è russofona e bilingue. «Da tempo desiderano una federazione democratica che rifletta la diversità etnica ucraina e sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è né “separatista” né “ribelle”, ma composta da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria». Il separatismo? «E’ una reazione agli attacchi della giunta di Kiev contro di loro, che hanno causato la fuga di 110.000 rifugiati (stima Onu) verso la Russia. Generalmente, donne e bambini traumatizzati. Come i bambini iracheni vittime dell’embargo, e le donne e ragazze “liberate” dell’Afghanistan, terrorizzate dai signori della guerra della Cia, queste popolazioni dell’Ucraina per i media occidentali non sono persone: la loro sofferenza e le atrocità commesse contro di loro vengono minimizzate o taciute».I media mainstream occidentali non fanno percepire la dimensione della tragedia. L’ultimo libro di Phillip Knightley, “La prima vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e creatore di miti”, ricorda la figura di Morgan Philips Price del “Manchester Guardian”, «l’unico reporter occidentale a restare in Russia durante la rivoluzione del 1917 e a riportare la verità di una disastrosa invasione degli alleati occidentali». Imparziale e coraggioso, Price «da solo disturbò quello che Knightley chiama un “oscuro silenzio” anti-russo in Occidente». I russi restano carne da macello: come i 41 manifestanti bruciati vivi a Odessa nella sede dei sindacati, mentre la polizia ucraina stava a guardare. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella nostra storia nazionale». Ma nei media americani e britannici, l’eccidio venne riportato come «una tragedia opaca», conseguenza di «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti», cioè le persone che raccoglievano le firme per il referendum sull’Ucraina federale.Il “New York Times” lo seppellì, liquidando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi agenti di Washington, mentre il “Wall Street Journal” condannò le vittime: “Mortale incendio ucraino probabilmente innescato dai ribelli, dice il governo”. E Obama si congratulò con la giunta golpista di Kiev – i carnefici – per la «moderazione» dimostrata. Il 28 giugno, il “Guardian” dedicò quasi una pagina alle dichiarazioni del “presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. «Di nuovo venne applicata la regola dell’inversione orwelliana». Non c’era alcun colpo di Stato, nessuna guerra contro la minoranza ucraina, la colpa di tutto era dei russi. «Vogliamo modernizzare il mio paese», disse Poroshenko. «Vogliamo introdurre libertà, democrazia e valori europei. A qualcuno questo non piace. A qualcuno non piaciamo per questo». Non una parola, dal reporter del “Guardian”, Luke Harding, sulla strage di Odessa, i bombardamenti sui quartieri, l’uccisione e il rapimento di giornalisti, l’incendio di un giornale di opposizione e la minaccia di Poroshenko di «liberare l’Ucraina dalla feccia e dai parassiti».Il nemico sono i «ribelli», i «militanti», gli «insorti», i «terroristi» e gli agenti del Cremlino. «Ripensate ai fantasmi del Vietnam, del Cile, di Timor Est, dell’Africa meridionale, dell’Iraq: notate le stesse etichette», avverte Pilger. «La Palestina è la calamita di questo immutevole inganno. L’11 luglio, in seguito all’ultimo massacro israeliano a Gaza – 80 persone, compresi 6 bambini in una famiglia – equipaggiato dagli americani, un generale israeliano scrive sul “Guardian”, titolando: “Una necessaria dimostrazione di forza”». Negli anni ‘70 Pilger incontrò Leni Riefenstahl, l’autrice dei film di propaganda che glorificavano il nazismo: usando «in modo rivoluzionario» la cinepresa e le tecniche di illuminazione, la Riefenstahl aveva prodotto «una forma di documentario che aveva ipnotizzato i tedeschi». Un “trionfo della volontà” che ha presumibilmente agevolato il maleficio di Hitler. Domanda: come funziona la propaganda nelle società che si ritengono “superiori”? La replica: i «messaggi» nei suoi film non dipendevano da «ordini dall’alto», ma dal «vuoto sottomesso» della popolazione tedesca. Compresa la borghesia liberale e istruita?, Ma certo: «Chiunque, e naturalmente anche gli intellettuali».Geopolitica, massacri e guerre promosse dall’Occidente? «Si è realizzato nel modo più soffice il totalitarismo orwelliano, dietro l’illusione dell’“era dell’informazione” e del multiculturalismo». S’impone un’unica visione del mondo, e nessuno protesta: «Figure capaci di esprimere efficacemente un’alternativa radicale» mancano del tutto, oppure «sono sommerse dal frastuono» del mainstream, rileva John Pilger. A teatro, un’opera profetica come “1984” di Orwell viene liquidata come «un pezzo storico: remoto, innocuo, quasi rassicurante». Dunque, «come se Snowden non avesse rivelato niente, se il Grande Fratello non fosse ora una spia digitale, se lo stesso Orwell non avesse mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”». Mentre le società avanzate vengono de-politicizzate, i cambiamenti sono sottili e spettacolari. «Nei discorsi di tutti i giorni il linguaggio politico viene capovolto, come profetizzato in “1984”».
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Donbass: via i russi, a cannonate, per far posto alla Shell
Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.Con la Shell, ricorda la Četverikova in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, l’Ucraina ha firmato un contratto agevolato della durata di 50 anni, con obbligo di proroga. Oggi, la compagnia petrolifera che l’inizio dello sfruttamento del giacimento è previsto «dopo la de-escalation del conflitto e la stabilizzazione della situazione», cioè quando sarà stata sterminata o cacciata di casa a cannonate la popolazione che vive nell’area del giacimento. Un territorio immenso, che si espande su 7.886 chilometri quadrati, che comprende la città di Slavyansk (situata al centro del giacimento), Izyum, una grossa parte di Kramatorsk, così come centinaia di piccoli insediamenti: Krasnyj Liman, Seversk, Yasnogorka, Kamyševka. Sempre secondo l’accordo, «gli abitanti che risiedono su questo territorio, come da contratto, devono vendere la proprietà della loro terra». In caso di rifiuto, la terra «verrà loro tolta con la forza a favore di Shell». E tutte le spese della società per l’“appropriazione del territorio” verranno risarcite dallo Stato ucraino con il ricavato dell’estrazione del gas. Per questo, Kiev è tenuta a garantire il rispetto di tutte le clausole, imponendole alle autorità locali.Oltre alla Shell, a dividersi la torta ci sono la Eurogas Ucraina (di proprietà della britannica Mc Callan Oil & Gas, a sua volta acquistata dalla statunitense Euro Gas) e la Burisma Holdings, nella quale Hunter Biden, figlio del vicepresidente americano Joe Biden, è da poco diventato uno dei membri del consiglio direttivo. Vero obiettivo della “operazione antiterrorismo”, cioè la carneficina del Donbass, è «stabilire il pieno controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk», scrive Olga Četverikova. Missione: «La totale “bonifica” della sua superficie totale per avviare, senza intoppi, il lavoro di estrazione dello “shale gas”: sul territorio, “ripulito” dalla popolazione, è prevista l’installazione di 80-140 mila pozzi)». Ciò significa «la distruzione della terra seminabile, la demolizione di impianti industriali, di edifici residenziali, di luoghi di culto, per il mantenimento delle infrastrutture del gas». Altra preda di guerra, le fertilissime “terre nere”, di cui l’Ucraina possiede il 27% del patrimonio mondiale: «In tempo di pace sarebbe difficile realizzare tutto ciò, ma la guerra copre tutto».Kiev punta dunque a «ottenere una brusca riduzione del numero della popolazione locale, e lasciare sul territorio dei giacimenti solo le persone necessarie per i lavori di estrazione del gas». I sindaci insediati dal governo golpista ucraino già promettono nuovi posti di lavoro, al posto del lavoro perso in seguito alla distruzione delle industrie. Per cui, «sopprimere la resistenza degli abitanti di Donetsk e Lugansk e ristabilire il controllo sul territorio» consentirà presto di «tagliar fuori la Russia da gran parte del mercato europeo del gas». Carte scoperte dall’autunno 2014: il segretario Nato, Rasmussen, il 20 giugno a Londra ha accusato Mosca di aver complottato per interrompere la produzione di gas di scisto, mentre già il 1° maggio al Congresso Usa è stato proposto un progetto di legge “prevenzione delle aggressioni dalla Russia – 2014”. «Proprio il desiderio di mantenere il controllo da parte delle grandi corporazioni transnazionali sui giacimenti petroliferi del Dnepr-Donets ha portato alla guerra contro il popolo di Donetsk e Lugansk, una guerra di sterminio», accusa la Četverikova.«Il massacro di civili e il clima di paura che costringe le persone a lasciare la loro patria per diventare profughi sono stati i principali strumenti per attuare gli interessi delle multinazionali, per le quali il potere installatosi a Kiev dopo il colpo di Stato è solo un abbellimento per coprire la grande pulizia etnica della popolazione russa e russofona del Donbass». In un drammatico video-messaggio diffuso il 4 luglio, il presidente della regione Donetsk, Igor Strelkov, è stato chiarissimo: «Se la Russia non otterrà un cessate il fuoco, o se non inizierà un’operazione di pace, Slavyansk con la sua popolazione di oltre 30.000 abitanti sarà distrutta in una settimana, al massimo due». Come da contratto con la Shell, nel silenzio totale dell’Europa e del resto del mondo.Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.
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Pagliacci assassini, vi raccontano che il cattivo è Putin
La prima notizia è che Barack Obama scorrazza impunemente per l’Europa, senza doversela vedere con manifestazioni di protesta. Obama stringe mani di “alleati” belanti, nonostante quello che i suoi tagliagole hanno appena combinato a Kiev, a Odessa, nell’Est dell’Ucraina. L’altra notizia è che questo spettacolo non piace all’opinione pubblica europea: un sorprendende sondaggio dell’“Independent” rivela che il 90% degli inglesi stima Putin, il quale sta agendo in modo legittimo secondo l’ex cancelliere tedesco Schmidt. Lo pensano anche milioni di cittadini tedeschi: la Russia, minacciata dal golpe organizzato dagli Usa a Kiev, si è dovuta muovere tempestivamente per salvare la sua unica base navale in acque calde, sul Mar Nero, in Crimea, peraltro decisiva – meno di un anno fa – per organizzare la protezione della Siria e scongiurare l’attacco della Nato. Ma, anche in Germania, i media non stanno dalla parte dei cittadini: quelli che si attengono semplicemente ai fatti, dice Diana Johnstone, vengono definiti “Putinversteher”, cioè “persone che capiscono Putin”, individui stravaganti.«Non siamo tenuti a capire, noi dobbiamo odiare: i media esistono per questo motivo», dice la Johnstone, autrice del libro-denuncia “La crociata dei dementi” (“Fools’ Crusade: Yugoslavia, Nato, and Western Delusions”). Mentre l’Occidente si rifiuta ostinatamente di “capire” Putin, annota la saggista in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, il capo del Cremlino sembra comprendere benissimo che lui e la sua nazione «vengono sistematicamente attirati con l’inganno in una trappola mortale da un nemico che eccelle nell’arte contemporanea della “comunicazione”». In una situazione di guerra, «la comunicazione della Nato dimostra che non è importante chi fa cosa: l’unica cosa che conta è chi racconta la storia». E i media occidentali stanno recitando un copione prestabilito: Putin è il nuovo Hitler pronto all’invasione. A Odessa, dove i neonazisti anti-russi hanno organizzato un massacro raccapricciante, «i media occidentali non hanno notato atrocità, non hanno sentito di alcuna violenza, non hanno riferito di crimine alcuno. Hanno solamente condannato una “tragedia” che era appena accaduta in un qualche modo imprecisato».Odessa, aggiunge la Johnstone, è la dimostrazione che, qualunque cosa accada, la classe politica della Nato – militari, leader politici e media – punta sulla “sua” storia e si attene ad essa: «I nazionalisti che hanno preso il potere a Kiev sono i “buoni”, mentre le persone che vengono assaltate a Odessa e nell’est dell’Ucraina sono “filo-russi” e, di conseguenza, i “cattivi”». E dire che non ci va molto a “capire” Putin, a patto che si sappia distinguere tra verità e palesi menzogne. Come quelle che racconta il ministro degli esteri inglese William Hague, secondo cui la Russia sta «cercando di orchestrare conflitti e provocazioni» nel sud e nell’est dell’Ucraina, come se Putin fosse improvvisamente impazzito, felice di avere una guerra civile sulla porta di casa e, di conseguenza, i missili della Nato piazzati a 400 chilometri da Mosca. «Putin può solo desiderare di trovare una soluzione pacifica al caos ucraino», scrive la Johnstone, perché sa che il golpe di Kiev è stato una trappola ispirata da strateghi americani come Zbigniew Brzezinski, il cui sogno è la caduta di Putin e il potenziale smembramento della Russia.Per questo, Putin ha aperto un nuovo canale diplomatico con lo svizzero Didier Burkhalter, presidente dell’Ocse, e ha appena allontanato l’esercito russo dal confine ucraino, temendo una provocazione “false flag”, un falso sconfinamento organizzato tra Washington e Kiev per poi attribuirne a Mosca la responsabilità. Il ritiro delle truppe ha spaventato i russofoni, che temono di essere abbandonatio dal Cremlino sotto la pressione dell’Occidente, ma Putin si è anche speso con energia perché fossero evitati i referendum dell’est dell’Ucraina. Molto serio, peraltro, l’allarme sulla possibile violazione dei confini: i russi hanno appreso che l’Sbu, il servizio segreto ucraino, aveva segretamente inviato 200 uniformi russi e i documenti (falsi) di 70 ufficiali russi a Donetsk, una delle capitali della protesta, per mettere in scena un falso attacco contro le pattuglie di frontiera ucraine. Il piano, sostiene l’agenzia di stampa russa “Ria Nòvosti”, sarebbe stato quello di «simulare un attacco contro truppe di frontiera ucraine e filmarlo per i media». Al che, «una dozzina di combattenti dall’ultra-destra nazionalista avrebbero dovuto attraversare il confine e rapire un soldato russo, al fine di presentarlo come “prova” dell’incursione militare russa. L’operazione era prevista per l’8 o il 9 maggio».Spostando le truppe russe più lontano dal confine, aggiunge la Johnstone, Putin potrebbe sperare di rendere l’operazione “false flag” meno plausibile, e magari scongiurarla. Ma non c’è da stare tranquilli, perché «l’intera operazione ucraina, almeno in parte diretta da Victoria Nuland del Dipartimento di Stato Usa, è stata caratterizzata da operazioni “false flag”, tra cui quelle maggiormente note tramite i cecchini che hanno improvvisamente propagato i massacri e il terrore in piazza Maidan a Kiev, distruggendo di fatto l’accordo di transizione sponsorizzato a livello internazionale. I ribelli “filo-occidentali” hanno accusato il presidente Yanukovich di aver inviato gli assassini, e costretto il resto del Parlamento a dare il potere di governo al protetto della signora Nuland, Arseniy Yatsenyuk. Tuttavia, sono uscite fuori un gran numero di prove a dimostrare che i misteriosi cecchini erano mercenari filo-occidentali: prove fotografiche, seguite dalla dichiarazione telefonica di conferma del ministro degli esteri dell’Estonia, e infine dal canale televisivo tedesco “Ard”, il cui documentario del programma “Monitor” ha concluso che i cecchini provenivano dai gruppi di estrema destra anti-russi coinvolti nella rivolta di Maidan».Tutte le prove conosciute portano a un un’operazione “false flag” da parte dei fascisti inquadrati dagli americani a addestrati in Polonia, eppure i media e i politici occidentali continuano ad addossare tutte le colpe alla Russia. «Qualunque cosa faccia, Putin deve rendersi conto che sarà volutamente “frainteso” e rappresentato in maniera distorta». La verità, conclude Diana Johnstone, è che «sopra le teste del popolo americano, dei tedeschi, dei francesi e degli altri europei, un accordo privato per rianimare la guerra fredda è certamente stato raggiunto tra gli “oligarchi” occidentali, al fine di garantire all’Occidente un “nemico” abbastanza serio da salvare il complesso militare-industriale e unire la comunità transatlantica contro il resto del mondo». Naturalmente, gli oligarchi non stanno con le mani in mano neppure sul fronte degli affari: Hunter Biden, figlio del vicepresidente americano Joe Biden, ha appena avuto in dono il business del gas ucraino. Se non altro, settori sempre più vasti dell’opinione pubblica “vedono” quello che i media negano: è l’America cerca di trascinare in guerra la Russia. E se il mondo non precipiterà nella catastrofe, dovrà ringraziare innanzitutto Putin.…..Barack Obama, Europa, Kiev, Odessa, Ucraina, opinione pubblica, sondaggi, The Independent, Gran Bretagna, Vladimir Putin, Germania, Helmut Schmidt, Russia, golpe, Usa, Kiev, flotta, Mar Nero, Crimea, Siria, Nato, media, mainstream, disinformazione, cittadini, Diana Johnstone, odio, denuncia, crociate, Jugoslavia, Occidente, Come Don Chisciotte, Cremlino, inganno, trappola, comunicazione, guerra, Adolf Hitler, invasione, neonazisti, neonazismo, massacro, orrore, atrocità, violenza, crimini, tragedia, politica, militari, leader, nazionalismo, potere, verità, menzogne, William Hague, provocazioni, guerra civile, missili, Mosca, caos, Zbigniew Brzezinski, diplomazia, Svizzera, Didier Burkhalter, Ocse, esercito, false flag, referendum, allarme, violazioni, frontiere, Sbu, servizi segreti, intelligence, Donetsk, Ria Nòvosti, destra, Victoria Nuland, Dipartimento di Stato, cecchini, terrore, piazza Maidan, Viktor Yanukovich, Parlamento, Arseniy Yatsenyuk, mercenari, Estonia, televisione, Ard, documentario, Monitor, Polonia, popolo, Francia, guerra fredda, oligarchi, affari, Hunter Biden, Joe Biden, business, gas, catastrofe,La prima notizia è che Barack Obama scorrazza impunemente per l’Europa, senza doversela vedere con manifestazioni di protesta. Obama stringe mani di “alleati” belanti, nonostante quello che i suoi tagliagole hanno appena combinato a Kiev, a Odessa, nell’Est dell’Ucraina. L’altra notizia è che questo spettacolo non piace all’opinione pubblica europea: un sorprendende sondaggio dell’“Independent” rivela che il 90% degli inglesi stima Putin, il quale sta agendo in modo legittimo secondo l’ex cancelliere tedesco Schmidt. Lo pensano anche milioni di cittadini tedeschi: la Russia, minacciata dal golpe organizzato dagli Usa a Kiev, si è dovuta muovere tempestivamente per salvare la sua unica base navale in acque calde, sul Mar Nero, in Crimea, peraltro decisiva – meno di un anno fa – per organizzare la protezione della Siria e scongiurare l’attacco della Nato. Ma, anche in Germania, i media non stanno dalla parte dei cittadini: quelli che si attengono semplicemente ai fatti, dice Diana Johnstone, vengono definiti “Putinversteher”, cioè “persone che capiscono Putin”, individui stravaganti.