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Il potere è guerra. E pretende il nostro Sì al referendum
Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.In un lungo intervento su “Repubblica” ripreso da “Micromega”, La Valle parte dall’Italia, dove «succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa». Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni. «E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato». L’ex parlamentare della Sinistra Indipendente non usa giri di parole: «E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra». In Africa, in Medio Oriente e anche in Europa «si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio. E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori». Nel resto del mondo, peraltro, lo spettacolo non è migliore: è appena fallito il G20 ad Hangzhou, in Cina. I “grandi della terra”, «che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo», non sanno che fare «per i profughi, per le guerre», non vogliono «evitare la catastrofe ambientale», né tantomeno «promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra».L’unica cosa che decidono «è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania». E in tutto questo l’Italia che fa? «Fa eleggere i senatori dai consigli regionali». Ed è l’Italia a crescita zero, col 39% di giovani disoccupati, il lavoro precario, i licenziamenti in aumento: «I poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone». Il governo Renzi «fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona». Si dice: ce lo chiede l’Europa, cioè il fantasma di un sogno lontano e completamente abortito. «Se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così».La verità è rivoluzionaria, certo, ma bisogna conoscerla per tempo: «Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato». Esempio: «Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco». Idem: «Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo». E ancora: «Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata».Dunque, insiste La Valle, la verità del referendum anti-Renzi va conosciuta “finché si è in tempo”. Il vantato risparmio sui costi della politica? Ridicolo: per la Ragioneria Generale dello Stato, il taglio della paga dei senatori vale appena 58 milioni, mentre il costo del Senato resta. Il risparmio sui tempi della politica? Illusione: il bicameralismo rimane, perché «si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere», creando «un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze». Non è la legge Boschi il vero oggetto della consultazione: la verità è nascosta dietro le urne. Il referendum è «un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è: è uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco». Il voto è rivelatore dello stato del mondo. Bisogna trovare la sua verità nascosta, il suo vero “movente”, la sua vera premeditazione, partendo proprio da Renzi: ha ammesso che la riforma gli è stata “suggerita” da Napolitano. E prima ancora dalla Jp Morgan, che già nel 2013 accusava la nostra Costituzione di tutelare eccessivamente i diritti del lavoro e «la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere».E’ il diktat storico della Commissione Trilaterale fondata da Rockefeller: limitare la democrazia. «La stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il “Financial Times” e il “Wall Street Journal”, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese». Ci si è messo anche l’ambasciatore americano a Roma: se in Italia vincesse il No, gli “investitori” scapperebbero. I diritti del lavoro Renzi li ha già “sistemati” col Jobs Act. “Spegnendo” il Senato diverrebbe padrone dell’agenda parlamentare. E con l’Italicum – 340 deputati su 615 al partito di maggioranza, a prescindere dal numero di voti ottenuti – ne farebbe “un uomo solo al comando”: sfiduciare il governo, se pessimo, sarebbe prerogativa esclusiva del partito stesso, non più degli eletti. In più le nuove procedure introdotte «renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare». Risultato: «Ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere». Si accorgeranno, “i cittadini”, che sono stati proprio loro a spingere Renzi fin lassù?Tra gli “indizi” che svelano la vera natura della sfida, Raniero La Valle cita la risposta di Romano Prodi, interrogato sul voto: non mi pronuncio, ha detto, perché altrimenti turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. «Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo». Mondo che, continua La Valle, era già cambiato – in modo drastico – ben prima dell’11 settembre 2001. Per lo storico britannico Eric Hobsbawm, il “secolo breve” finì già nel 1991: lì fu dato inizio «a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo», tant’è vero che l’economista Francis Fukuyama, beniamino della Trilaterale, lo definì come la “fine della storia”: il capitalismo senza più freni, che si finanziarizza e impone in tutto il mondo la legge del più forte. Un potere totalitario che abbatte diritti, conquiste sociali e sovranità democratiche. E attenzione: secondo La Valle «c’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore».Ed ecco il punto: il sacrificio simbolico. Secondo l’antropololo francese René Girard, fin dall’inizio della storia della civiltà, il “delitto fondatore” è l’uccisione della vittima innocente. «Ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali». Per un padre dell’Illuminismo come il filosofo inglese Thomas Hobbes, lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza, ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà. Anche secondo Freud, all’origine della società civile c’è un “delitto fondatore”: quello dell’uccisione del padre. «Se poi si va a guardare la storia – continua La Valle – si trovano molti “delitti fondatori”. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”». Da noi, «l’uccisione di Moro è il “delitto fondatore” dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari».E qual è il “delitto fondatore” dell’attuale regime del capitalismo globale? Qual è il crimine sacrificale che “battezza” il nuovo regime planetario basato sul governo del denaro? Quale grande evento sdogana questa “economia che uccide”, istituzionalizzando un sistema in base al quale, perché qualcuno stia meglio, altri “devono” stare peggio? E’ la guerra, naturalmente: per la precisione la prima Guerra del Golfo, quella del 1991. «È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale», scrive Raniero La Valle, che cita una data precisa: il 26 novembre 1991. Quel giorno, il nuovo “regime” si presentò in Italia. Il ministro della difesa Rognoni illustrò in commissione, alla Camera, il Nuovo Modello di Difesa. La “nuova” guerra, quella di oggi. Svanito il nemico sovietico, la vecchia Nato non serviva più: tramontata la guerra fredda, veniva meno anche la deterrenza nucleare. Opportunità storica: investire nella pace e nello sviluppo i miliardi fino ad allora destinati ad armamenti ormai inutili. «Ma l’Occidente fa un’altra scelta: si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima Guerra del Golfo del 1991».Ci siamo: cambia la natura della Nato, il nemico non è pià l’Est ma il Sud. L’Occidente «cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’Onu». Tramontano anche «gli ideali della comunità internazionale, che erano la sicurezza e la pace». Meglio la guerra, per assicurarsi in modo permanente l’accesso privilegiato alle materie prime, come il petrolio. Riflesso italiano: via l’esercito di leva, serve una milizia di professionisti. Da impiegare non più in Italia ma all’estero, nelle missioni “umanitarie”. Mediterraneo, Somalia, Medio Oriente, Golfo Persico: «La nuova contrapposizione è con l’Islam», a partire dal conflitto israelo-palestinese. «Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991». Col Nuovo Modello di Difesa imposto all’Italia «non cambia solo la politica militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’Onu: viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico». In Parlamento «non si dovrebbe parlare d’altro», e invece «nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula».Un modello-fantasma, sotterraneo ma pienamente operativo da subito: «Tutto quello che è avvenuto in seguito – dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il Papa, è in corso – ne è stato la conseguenza e lo svolgimento». E allora, meglio si capisce, oggi, la verità del referendum renziano: «La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio», avverte La Valle. «Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente: chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano». La politica? Si faccia da parte: «Non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale».Si scrive referendum, ma si legge: ultimo appello. Per Raniero La Valle, votare No «è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale». Perché «sia la società selvaggia che, con il No, sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto». E’ toccato a Renzi indossare quella maschera, ma al suo posto poteva esseci chiunque altro. Certo, l’attuale premier si è dimostrato l’uomo giusto al posto giusto: «Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi», per sgombrare il campo dagli ultimi inciampi rappresentati dalle Costituzioni che “ripudiano la guerra”. Tutto è guerra, ormai. Questa economia è guerra. Pefettamente mondializzata, a partire dal fatidico 1991, l’anno del “sacrificio” dell’Iraq che spalancò le porte alla nuova epoca fondata sulla violenza internazionale. Da allora, «la guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato».Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.
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Trump spaventa l’élite della guerra: deve morire, come Jfk
«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.«È ovvio che il potere costituito di Washington ha deciso di fare della rivale democratica Hillary Clinton la scelta da preferire per proteggere i loro interessi privilegiati», scrive Cunningham su “Sputnik News”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Diffamando l’antagonista Trump, i media mainstream divengono «complici dell’assassinio del suo personaggio agli occhi dell’opinione pubblica» Ed è il colmo, aggiunge Cunningham, «dato che ci sono storie molte più sordide sul conto della Clinton», coinvolta fino al collo nella strategia della tensione varata a livello internazionale dall’oligarchia neo-aristocratica statunitense: propaganda di guerra, operazioni clandestine volte ad un cambio di regime, nonché abuso del segreto di Stato per accrescere il proprio prestigio grazie a risorse finanziarie di provenienza estera. Secondo Cunningham, il punto è che la campagna di discredito per annientare Trump dimostra una volontà di «liquidazione politica», specialità «in cui la plutocrazia statunitense eccelle», fino a ieri anche con il ricorso sistematico all’omicidio, «l’effettiva uccisione del bersaglio».Il caso più noto è quello di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. In quel periodo, ricorda Cunningham, diversi altri leader politici stranieri vennero assassinati da agenti di Stato americani, inclusi Patrice Lumumba in Congo, Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana e Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. «L’assassinio politico era e continua ad essere la norma, in America». L’allora procuratore di New Orleans, Jim Garrison, che indagò sull’assassinio di Jfk, «sostenne che la ragione primaria per il suo assassinio era che il presidente stava lavorando per portare a conclusione la Guerra Fredda con la Russia: Kennedy stava utilizzando in sordina un canale riservato con la controparte russa Nikita Krushev per implementare piani ambiziosi per il disarmo nucleare». In più, aggiunge Cunningham, Jfk aveva nettamente bocciato le proposte segrete presentate dal Pentagono per un’azione nucleare preventiva ai danni dell’Unione Sovietica. E stava anche chiudendo con le operazioni terroristiche finanziate dalla Cia contro Cuba, preparando il ritiro delle truppe americane dalla nascente guerra in Vietnam.«In questo modo Kennedy era entrato nella “kill zone” politica per quel che riguardava il potente e non-eletto Stato Profondo. Le sue politiche stavano minacciando gli enormi interessi delle imprese degli armamenti militari, le grandi compagnie petrolifere e l’alta finanza di Wall Street. Quindi la Cia e i suoi killer a contratto vennero schierati per eliminare il problema». Oggi tocca a Trump? “The Donald” ha due aspetti in comune con Jfk, scrive Cunningham: «Come Kennedy, il magnate ha grosse disponibilità economiche, il che lo mette in condizione di parlare apertamente, senza il bisogno di doversi ingraziare potenti finanziatori». Il secondo e più importante aspetto è la politica estera: Trump si è ripetutamente scagliato contro l’inarrestabile consolidamento della Nato nell’Europa dell’Est, contro lo schieramento delle truppe americane oltremare e in particolare contro l’ostilità di Washington nei confronti di Mosca. Al contrario, Trump vorrebbe la normalizzazione delle relazioni con la Russia. E così, la sua posizione divenra «un anatema per l’establishment di Washington» che invece richiede, come assoluta necessità, «la demonizzazione delle nazioni straniere come minacce alla sicurezza nazionale, al fine di mantenere la gargantuesca economia militarizzata degli Stati Uniti».In sostanza, insiste Cunningham, lo “Stato Profondo” americano «prospera grazie al perpetuo ricrearsi delle guerre», dove la guerra «è una funzione permanente del fallito capitalismo americano». E questa “disfunzione sistemica” consiste in ciò che era e continua ad essere la Guerra Fredda con la Russia, ovvero «il pompaggio di milioni di dollari nelle casse dell’élite finanziaria e istituzionale, che continua a farla franca nonostante l’imbroglio, grazie ai suoi lacchè che serpeggiano nei canali politici e mediatici». Per questo, «chiunque osi sfidare i potenti interessi americani è esposto all’eliminazione: si entra nella zona di tiro». In passato, i metodi di eliminazione con effetto immediato prevedevano abitualmente l’eliminazione fisica. Cinque decadi dopo il governo Kennedy, continua Cunningham, i metodi di assassinio politico degli Stati Uniti si sono evoluti, divenendo più sofisticati: «Il più delle volte, la diffamazione può dirsi sufficiente. Nessun bisogno di assoldare sicari o invischiarsi in inchieste pubbliche. Saranno i killer mediatici ad occuparsene. Basterà piazzare il bersaglio al centro di un fuoco incrociato di un incessante bombardamento mediatico che non gli lasci scampo». Trump come Putin, un “problema” da eliminare. «Mettere fuori gioco i nemici politici “con effetto immediato” è il metodo americano».«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.
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Isis Air Force, i caccia di Obama fan strage di soldati siriani
Siamo di fronte a una svolta drammatica della guerra siriana. Nel pieno dell’incerta tregua negoziata da Russia e Usa, un attacco aereo a sorpresa, condotto dalle forze aeree della “coalizione” a guida statunitense, ha colpito con bombe al fosforo le posizioni dell’esercito siriano nei pressi della città orientale di Deir ez-Zor, intorno alle ore 17 di sabato 16 settembre, uccidendo oltre un’ottantina di soldati. Per singolare e perfetta coincidenza, dopo il bombardamento è scattata immediatamente un’offensiva delle forze di Daesh (Isis), tese a riconquistare posizioni strategiche in una delle aree chiave per la tenuta territoriale dello pseudo-Califfato. L’offensiva jihadista è stata bloccata con un ulteriore costo in termini di vite umane pagato dall’esercito di Damasco. Altra “coincidenza”: si intensificano nel Sud della Siria gli attacchi israeliani all’esercito siriano impegnato in operazioni militari contro milizie jihadiste legate ad Al-Qa’ida.Per capire la gravità della situazione, si consideri che la Russia ha convocato una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere del bombardamento di Deir Ez-Zor, che – a quanto conferma il portavoce del ministero russo della difesa, Igor Konachenkov – è stato condotto da due caccia F-16, due aerei di attacco al suolo A-10 e un drone, tutti entrati dalla frontiera irachena. Da parte americana, il CentCom (il Comando Centrale degli Stati Uniti) ha dichiarato che si è trattato di un errore perché «la Siria ha una situazione sul terreno complessa con varie forze militari e milizie che combattono in prossimità». I militari siriani dichiarano che non se la bevono, e accusano gli Usa di essere l’aviazione di Daesh. Mosca inizia dapprima con una dichiarazione circospetta e fa notare che – come minimo – gli Usa agiscono con irresponsabilità: «Se l’attacco aereo è stato causato da dalle coordinate errate di obiettivi, allora si tratta di una diretta conseguenza della ostinata mancanza di volontà della parte americana di coordinarsi con la Russia nelle sue azioni contro i gruppi terroristici in Siria», ha sottolineato Konashenkov, lasciando uno spiraglio all’interpretazione dell’aggressione come un errore, seppure criminalmente colposo.Tuttavia, con il passare delle ore, le accuse russe diventano molto esplicite e dirette.La portavoce del ministero degli esteri, Maria Zakharova, ha dichiarato all’emittente “Rossiya 24”: «Se già precedentemente potevamo dubitare che la Casa Bianca proteggesse il Fronte Al-Nusra, ora, dopo l’attacco aereo contro l’esercito siriano, possiamo trarre una conclusione inquietante per il mondo intero: la Casa Bianca protegge Daesh». Mosca – nell’osservare una serie infinita di doppiogiochismi sulla vicenda siriana – ha sempre presenti le prime reazioni di due grandi vecchi dell’imperialismo Usa, Zbigniew Brzezinski e John McCain: entrambi, non appena era iniziato l’intervento russo in Siria, nell’autunno del 2015, imputavano a Mosca di “distruggere i nostri asset”. Dove gli asset, le risorse, erano i jihadisti che venivano armati in mille modi, direttamente o indirettamente, dagli Usa e i loro alleati.Una parte delle classi dirigenti washingtoniane non vuole rinunciare a usare l’Isis e le altre formazioni jihadiste come propria risorsa strategica. O il presidente Barack Obama è complice diretto di questa scelta o non controlla i suoi falchi. In entrambi i casi Washington ci porta sull’orlo della catastrofe. Può bastare l’abbattimento legittimo di altri aerei coinvolti in simili provocazioni per scatenare uno scontro diretto con conseguenze terribili. Altro che tregua. Nel frattempo l’ambasciatrice Usa all’Onu, il super falco Samantha Power, scrive una dichiarazione direttamente col mitra. Dice che la richiesta di convocare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è un trucco e che l’Isis è colpa di Assad e di Mosca. Siamo in buone mani!(Pino Cabras, “Isis Air Force, gli aerei di Obama fanno strage di soldati siriani”, da “Megachip” del 18 settembre 2016).Siamo di fronte a una svolta drammatica della guerra siriana. Nel pieno dell’incerta tregua negoziata da Russia e Usa, un attacco aereo a sorpresa, condotto dalle forze aeree della “coalizione” a guida statunitense, ha colpito con bombe al fosforo le posizioni dell’esercito siriano nei pressi della città orientale di Deir ez-Zor, intorno alle ore 17 di sabato 16 settembre, uccidendo oltre un’ottantina di soldati. Per singolare e perfetta coincidenza, dopo il bombardamento è scattata immediatamente un’offensiva delle forze di Daesh (Isis), tese a riconquistare posizioni strategiche in una delle aree chiave per la tenuta territoriale dello pseudo-Califfato. L’offensiva jihadista è stata bloccata con un ulteriore costo in termini di vite umane pagato dall’esercito di Damasco. Altra “coincidenza”: si intensificano nel Sud della Siria gli attacchi israeliani all’esercito siriano impegnato in operazioni militari contro milizie jihadiste legate ad Al-Qa’ida.
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Dal ‘45, Usa e Occidente hanno ucciso 55 milioni di persone
Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».La prima Guerra del Golfo ebbe inizio grazie ad un inganno: Saddam venne portato a credere che l’occupazione del Kuwait, che era stato un protettorato inglese ma che era rivendicato dall’Iraq fin dal 1961 come appartenente al suo territorio, sarebbe avvenuta senza l’interessamento degli Usa. «Fu una trappola tesa da April Gaspie, ambasciatrice Usa a Baghdad dell’epoca, che fece intendere che gli Usa non avrebbero interferito». Poi, l’11 settembre 2001, «l’abbattimento delle Torri Gemelle fornì il pretesto per terminare il lavoro». Dei 19 presunti attentatori nessuno era iracheno e nessuno era afghano: ben 15 di loro erano sauditi. Ma ad essere colpita non fu l’Arabia Saudita, bensì l’Afghanistan. «La sfortuna degli afghani – dice Ferrara – fu che in quel territorio doveva transitare un oleodotto, che i Talebani non volevano». Una condotta lunga 1.680 chilometri per portare il gas turkmeno di Dauletabad fino in Pakistan attraverso l’Afghanistan occidentale, cioè le province di Herat e Kandahar.Il progetto venne avviato nel 1996 dalla compagnia petrolifera statunitense Unocal, per la quale lavoravano sia Hamid Karzai che Zalmay Khalizad, in cooperazione con il regime talebano. Nel 1996, la Unocal apre una sede a Kandahar. E l’anno dopo, esponenti del governo talebano vengono ricevuti negli Usa. Ma il piano viene poi accantonato per le difficoltà politiche imputabili ai Talebani. «La seconda sfortuna era che gli anni ’70 avevano visto il boom della produzione di oppio e di eroina in Afghanistan. Era il cosiddetto triangolo d’oro», formato da Laos, Birmania e Cambogia. Triangolo «controllato dalla Cia, che in questo modo finanziava le operazioni anticomuniste nel sud-est dell’Asia». I Talebani negli anni ’90 «continuarono il business della droga con la Cia, ma nel 2000 il Mullah Omar lo mise al bando, allo scopo di guadagnarsi un consenso internazionale». L’anno dopo, la produzione di oppio crollò a valori prossimi allo zero. «Grazie alla conquista dell’Afghanistan, la produzione di eroina afghana (che gli Usa si rifiutarono di combattere, sostenendo che non era compito loro) tornò presto a soddisfare il 93% del fabbisogno mondiale».Gli Stati Uniti non combattono mai una guerra inseguendo un solo obiettivo, continua Ferrara: secondo l’Unicef, i 10 anni di embargo all’Iraq hanno causato la morte di un milione e mezzo di persone, tra cui cinquecentomila bambini. Il segretario di Stato Usa Madeleine Albright, quando le fu chiesto di commentare la morte di questi 500 mila bambini, rispose che la scelta era stata difficile, ma che ne era valsa la pena. «La balla sesquipedale delle armi di distruzione di massa, che sarebbero state in mano a Saddam, fu la scusa per impadronirsi definitivamente dell’Iraq, nel quadro della strategia economico-commerciale “Pivot to Asia”, che mirava a cinturare la Cina per impedirle un’espansione a ovest». Ma le uniche armi di distruzione di massa in mano a Saddam «erano quelle che proprio gli Stati Uniti gli avevano venduto, perché fossero usate per lo sterminio dei curdi».Un genocidio, quello del Kurdistan iracheno, al quale abbiamo contribuito anche noi italiani, con la vendita a Saddam di ben 9 milioni di mine antiuomo: «Del resto ancora adesso Matteo Renzi ritiene doveroso fare affari con chi finanzia l’Isis». Ma anche supponendo che l’Iraq avesse posseduto quelle armi, aggiunge Ferrara, i 7.000 ordigni nucleari di cui gli Stati Uniti d’America sono dotati non sono forse “armi di distruzione di massa”? Bisognerebbe chiederlo all’allora vice di Bush, Dick Cheney, che «per pura coincidenza era anche a capo della grande azienda petrolifera Halliburton, che si avvantaggiò successivamente dell’occupazione dei pozzi petroliferi iracheni». Ma, chiusa la partita con l’Iraq, il processo di colonizzazione prevedeva l’invasione della Siria. «Senza dimostrare molta fantasia, gli Stati Uniti cercarono di convincere il mondo che Assad usava armi chimiche contro i suoi cittadini». Solo la ferma opposizione di Putin riuscì a bloccare Obama, che nel 2013 era a un passo dall’attacco.Serviva allora un’altra strategia: così si inventarono la guerra per procura. «Bisognava finanziare i gruppi che si opponevano ad Assad: Al Nusra e l’Isis. Così, arrivarono piogge di dollari statunitensi sugli jihadisti, come rivelarono in tanti, tra cui ex dipendenti della Cia, ex ufficiali». Michael Flynn: «Sostenere Isis fu una nostra decisione deliberata». Tra le ammissioni persino quelle di un senatore, Rand Paul, e di una deputata, Tulsi Gabbard. Per non parlare del vicepresidente Joe Biden, che nell’ottobre del 2014 rivelò che sugli jihadisti impegnati in Siria erano arrivate piogge di dollari statunitensi. «La vera ragione per cui Assad è stato attaccato – afferma Ferrara – è che nel 2009 si era rifiutato di far transitare sul proprio territorio un gasdotto, proposto dal Qatar e dall’Arabia Saudita, che doveva passare per la Turchia e avere come destinazione l’Europa, per togliere alla Russia di Putin il monopolio». Non solo: «Assad si era accordato con l’Iraq per accogliere un gasdotto alternativo, ed era dalla parte dei palestinesi contro le aggressioni dello Stato di Israele».Poco prima, il “trattamento” era toccato alla Libia, che possiede le riserve di petrolio africane più importanti: 48.000 miliardi di barili, più 1.500 miliardi di metri cubi di gas. «Ma in realtà Gheddafi fu fatto fuori anche per un’altra ragione: proprio come Saddam, aveva deciso di non vendere più il petrolio in dollari, bensì attraverso un’altra moneta sovrana che stava creando: il dinaro libico». Dalla Libia alla Siria, fino all’attuale terrorismo internazionale: i recenti attentati in Francia, Belgio e Germania «hanno delle analogie con quello che accadde in Italia negli anni ’90, dopo la rottura del patto Stato-mafia, quando Roma e Milano furono duramente colpite dalle ritorsioni di Cosa Nostra». Dietro ai kamikaze ci sono «veri professionisti del terrore, che da sempre hanno usato mercenari, criminali, fondamentalisti e perfino squilibrati per seminare la paura e instaurare, sotto la copertura di una finta democrazia, una dittatura economico-militare». I jihadisti, poi, svolgono anche un altro ruolo importante: «Sono un eccellente concime per far germogliare il seme della paura in Occidente: più abbiamo paura, più cerchiamo protezione». Con buona pace del grande Tiziano Terzani, secondo cui «il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».Gli Stati Uniti sono l’impero più sanguinario, il maggior “terrorista” del mondo: dal dopoguerra hanno ucciso 55 milioni di persone. Lo afferma Gianluca Ferrara, saggista e blogger del “Fatto Quotidiano”. Su “ByoBlu”, il video-blog di Claudio Messora, offre una spietata cronologia della strage. A cominciare dal 6 agosto 1945: Hiroshima, 200.000 civili sterminati. «Oggi gli Usa possiedono 7.000 ordigni atomici, 2.000 già dispiegati: ognuno di questi ha un potenziale esplosivo fino a tremila volte superiore a quello di Hiroshima». Come l’Impero Romano e quello napoleonico, gli Usa sono trainati da un’economia di guerra: «Per sopravvivere, hanno bisogno di trovare costantemente un nuovo nemico da combattere». Solo nel 2015 hanno investiti 1.800 miliardi di dollari in armamenti, al servizio di una politica estera «stabilita da un élite» che ci narcotizza, utilizzando i media mainstream. Di fatto, gli Usa «sono l’impero terrorista più brutale della storia: dal 1945 ad oggi, la politica estera dell’Occidente ha determinato l’uccisione di 55 milioni di esseri umani. E nel 1990 l’obiettivo degli Stati Uniti è diventato la conquista del Medio Oriente».
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Charroux: islamici colpiranno le Torri con aerei. Era il 1969
“Arriverà un giorno in cui degli islamici, tramite aerei dirottati, abbatteranno i due monumenti speculari più importanti per la cultura americana”. E’ scritto, nero su bianco, in un libro di cui nessuno parla mai, men che meno in relazione all’11 Settembre. Lo scrisse il francese Robert Joseph Grugeau, in arte Robert Charroux. Titolo del volume, nell’edizione italiana: “Il libro dei segreti traditi”. Attenzione: fu pubblicato nel 1969, mentre le Twin Towers erano ancora in costruzione. Una sconcertante, precisissima profezia? No, peggio: «Probabilmente quella era un’istruzione. Come dire: guardate, quando dovrete fare quella cosa, contro l’America, la dovrete fare così». Lo afferma Gianfranco Carpeoro, esoterista e studioso di simbologia, ospite di “Border Nights” insieme al regista Massimo Mazzucco, all’indomani della strage parigina del Bataclan, 13 novembre 2015. Stessa matrice: super-massoneria deviata. «Essendo l’11 Settembre nato in ambito massonico o paramassonico, l’attentato alle Torri lo hanno fatto esattamente così, perché così funziona. Il Batalclan richiama la fuga dei Templari braccati da Filippo il Bello, che lasciarono Parigi riparando in Scozia dove fondarono la massoneria moderna. E l’11 Settembre richiama la “predizione” di Robert Charroux». Non sono coincidenze, ma “firme”: «Consentono, a chi deve decodificare l’attentato, di capire perfettamente da dove è partito».
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Francia in tumulto: si prepara a minacciare l’uscita dall’Ue
Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.La lunga crisi economica in cui è sprofondata la Francia sta per riscuotere il suo tributo, politicamente parlando: «Ha mandato in pezzi prima il centrodestra e poi il centrosinistra francese, e ora minaccia la stessa Quinta Repubblica», scrive Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. L’ex presidente gollista Nicolas Sarkozy è tornato alla ribalta mediatica «lanciando la scommessa del proprio ritorno sulla scena con la proposta di un pacchetto di politiche di ultra-destra mai viste in tempi recenti nelle democrazie europee occidentali». Ma il tumulto nella sinistra è altrettanto rivelatore: Arnaud Montebourg, l’enfant terrible del partito socialista, ha lanciato la propria sfida contro il governo Hollande, definito «regime politico da destra tedesca». Nel mirino, Bruxelles: «Penso che l’Unione Europea sia arrivata a fine corsa, e la Francia non ha più alcun interesse a farvi parte. L’Unione Europea ci ha lasciati impantanati in una crisi anche molto tempo dopo che il resto del mondo ne era uscito». Montebourg chiede una sospensione unilaterale delle leggi europee sul lavoro: «Per quanto mi riguarda, gli attuali trattati sono scaduti». E annuncia uno “sciopero” contro l’Ue: «Non possiamo più accettare questa Europa».In altre parole, spiega Evans-Pritchard, Montebourg «se ne vuole andare da dentro – come stanno già facendo la Polonia e l’Ungheria – cioè senza sollevare nessuna clausola tecnica o legale». E la sua accusa contro Hollande è devastante: le politiche di rigore hanno inevitabilmente portato a milioni di persone disoccupate. «Non si sono mai smossi dal loro catechismo e dalle loro false certezze», dice Montebourg. I socialisti hanno pagato un prezzo salato per la loro cieca arroganza: hanno ottenuto solo il 15% dei voti dalla classe lavoratrice nelle recenti elezioni, mentre il Front National di Marine Le Pen ha mietuto il 55%. La doppia contrazione – fiscale e monetaria – ha gettato la già prostrata economia dell’Eurozona in una seconda recessione, osserva Evans-Pritchard. «Tutto ciò è stato aggravato da una stretta fiscale che è andata ben oltre qualsiasi possibile dose terapeutica, ed è stata imposta da un ministro delle finanze tedesco accecato da un’ideologia pre-moderna», il terribile Wolfgang Shaeuble, «e seguita servilmente da tutti gli altri». Ed ecco il punto: «La Francia avrebbe forse potuto mobilitare una maggioranza di paesi europei per bloccare questa follia, ma né Sarkozy né Hollande sono stati disposti ad affrontare Berlino».Entrambi i presidenti francesi «sono rimasti legati religiosamente all’accordo franco-tedesco, o almeno alla sua illusione totemica». Il risultato? «Un decennio perduto, e una retrocessione del lavoro che ridurrà le prospettive di crescita dell’Eurozona per molti anni ancora». Osserva ancora il giornalista economico inglese: «Non sapremo mai se la disoccupazione giovanile di massa nei quartieri nordafricani delle città francesi ha avuto un ruolo nella diffusione della metastasi jihadista lo scorso anno, ma certamente è stato uno degli ingredienti». Per contro, la tendenza anti-Ue che ormai investe trasversalmente la Francia dimostra che, se la “regia occulta” del terrorismo mirava a ottenere la rassegnazione dei francesi anche rispetto alle misure più impopolari dettate dall’élite finanziaria, come la Loi Travail, il Jobs Act transalpino, i francesi non ci stanno. Anche perché l’analisi della situazione è deprimente: «L’austerità fiscale è terminata, ma l’economia francese non è ancora abbastanza forte da risolvere le patologie sociali che tormentano il paese. Nel secondo trimestre la crescita è ritornata a zero».Per Evans-Pritchard, «il grande danno politico, comunque, si è già consumato: non serve aggiungere che la Francia ha anche una serie di problemi economici che non c’entrano con l’Ue. Il modello sociale è basato su tasse punitive sull’occupazione e crea uno dei peggiori cunei fiscali al mondo. Appena un quarto dei francesi tra i 60 e i 64 anni lavorano, rispetto al 40% della media Ocse. Questo è dovuto a incentivi per il pensionamento precoce. Lo Stato spende il 56% del Pil, cioè l’equivalente dei paesi nordici, senza però avere la flessibilità del lavoro che c’è nei paesi nordici». E ancora: «Ci sono 360 diverse tasse, alcune delle quali in vigore da prima della Rivoluzione Francese. I sindacati hanno per legge un presidio in tutte le aziende oltre i 50 dipendenti, eppure hanno un tasso di partecipazione di appena il 7%». Per Brigitte Granville, economista alla Queen Mary University di Londra, «è un inferno che purtroppo non ha nemmeno la poesia di Dante». Di fatto, «si è tergiversato per tutti gli anni del boom dell’euro e ora è troppo tardi. Ora la Francia è intrappolata nella camicia di forza dell’unione monetaria». Secondo il Fmi, il tasso di cambio reale è sopravvalutato del 9% (e rispetto alla Germania del 16%). «L’unico modo pratico con cui la Francia può riguadagnare competitività è tramite una profonda deflazione rispetto al resto dell’Eurozona, ma questo prolungherebbe la crisi e sarebbe devastante per il Pil e la dinamica del debito. Sarebbe autolesionista».Per Evans-Pritchard, Montebourg ha ragione a concludere che la Francia sarà paralizzata fino a che non riprenderà gli strumenti della propria sovranità. Quanto a Sarkozy, sta «aggirando questo elemento essenziale». Il suo manifesto-shock «chiede la fine del primato legale Ue rispetto alla legge francese e chiede l’abrogazione del Trattato di Lisbona, quello stesso trattato che lui, Sarkozy, aveva introdotto con prepotenza al Parlamento francese dopo che era stato respinto dagli elettori francesi in un referendum sotto la guisa di “Costituzione Europea”». Ma il suo maggior ardore, continua Evans-Pritchard, è riservato alla guerra culturale e alla “riduzione drastica” del numero degli stranieri. «Sarkozy promette di porre sotto controllo l’Islam in Francia, con gli imam che dovrebbero riferire le proprie attività al ministero degli interni». L’appello di Sarkozy alla “identità francese” punta direttamente al Front National, «e questo dice molto sulla devastazione dello scenario politico dopo anni di depressione».Marine Le Pen è davanti a Sarkozy nei sondaggi, con un sostegno dell’elettorato vicino al 30% grazie a un impetuoso mix di ricette economiche di sinistra e nazionalismo di destra, con un richiamo diretto agli anni ’30. Ha promesso di «far finire l’incubo dell’Unione Europea». Un sondaggio Pew risalente a giugno svela il 61% degli elettori francesi ha un’opinione “sfavorevole” dell’Ue, un dato addirittura più alto che in Gran Bretagna. Il professor Thomas Guénolé della “Sciences Po” di Parigi avverte: «Per quanto possa sembrare incredibile, un referendum sul ‘Frexit’ verrebbe probabilmente perso dalla fazione europea. Come nel Regno Unito, il ‘leave’ vincerebbe». Per “Le Figaro”, il Brexit ha cambiato profondamente la situazione: «I sostenitori della costruzione europea avevano preso l’abitudine di difendere l’Europa con argomenti catastrofisti, con l’idea che l’uscita avrebbe provocato nuove guerre o collassi economici. Ma ora la Gran Bretagna sta uscendo ed è evidente che non avverrà nessun cataclisma economico e nessuna grossa crisi geopolitica».Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.
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Perso l’Isis, gli Usa puntano sui curdi per restare in Siria
Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».E’ l’ennesima prova del vero volto della guerra siriana, dove l’Occidente ha sfruttato le prime proteste contro Assad, sul modello della “primavera araba”, per incunearsi in Siria – cioè a ridosso dell’Iran – con feroci milizie islamiste, finanziate e protette da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nonché Arabia Saudita e Qatar, con il supporto occulto di Israele e lo sfrontato appoggio logistico della Turchia. Il modello operativo: lo stesso della Libia, da cui sono stati fatti affluire molti reparti impiegati contro Gheddafi. Variante: in Siria, dopo la prima versione della guerriglia, targata “Esercito Siriano Libero”, si è passati direttamente al regime terroristico dell’Isis, fino all’impiego di armi di distruzione di massa come il gas Sarin impiegato nella strage di civili alla periferia di Damasco nel settembre 2013. Sviluppi che hanno consentito a Putin di intervenire direttamente, coi bombardieri installati sul suolo siriano. Da qui l’abbattimento del Sukhoi-24 ad opera di un F-16 turco e, pochi mesi dopo, il fallito golpe ad Ankara che ha ribaltato i giochi: oggi, infatti, lo stesso Erdogan stringe la mano a Putin e annuncia che la Turchia si farà garante dell’integrità territoriale della Siria, cioè il paese che proprio i turchi – più di ogni altro – hanno contribuito a devastare, attraverso le armate dell’Isis.Il punto-chiave della svolta, riassume Blondet, sono i combattimenti ora in corso nel nord, ad Hasakah, tra le truppe siriane e la milizia curda dell’Ypg, spalleggiata da centinaia di commandos americani. Una situazione come quella di Aleppo, ma rovesciata: l’esercito siriano occupa la città, ma è circondato dalle milizie curde. Lo Ypg ha intimato ai “regolari” di abbandonare Hasakah, dove l’esercito di Assad è il solo protettore della grossa minoranza cristiana (assira), che teme di dover subire una pulizia etnica se i curdi avessero la meglio. Secondo Blondet, Hasakah potrebbe diventare una delle città del futuro Stato curdo, secondo un programma ben collaudato: “sfratto” delle minoranze e «plebiscito per l’appartenenza allo Stato curdo prossimo venturo, garantito da Usa e Sion». La milizia curda «è assistita dagli americani con la scusa che “combatte lo Stato Islamico” – che nella zona non c’è: combatte invece l’armata legittima di Damasco». I giochi si sono fatti pericolosi quando l’aviazione siriana – intervenuta per aprire vie di rifornimento al suo esercito assediato – ha quasi colpito i militari americani che sostengono l’assedio curdo.Gli aerei di Assad, scrive Blondet, hanno bombardato le posizioni Ypg: nel corso della missione aerea – accusa il Pentagono – poco è mancato che le truppe americane venissero colpite. Reazione immediata: caccia F-22 sono stati lanciati all’inseguimento dei bombardieri siriani. «Il Pentagono ha accusato Mosca, che ha risposto di non entrarci nel bombardamento di Hasakah». Ma, invece di appianare la situazione, «gli americani si sono impegnati in una gravissima escalation, di fatto minacciando di abbattere gli aerei che sorvolano Hasakah, russi o siriani che siano». In base al diritto internazionale, continua Blondet, non c’è alcuna base legale alla presenza di forze armate Usa in Siria. «Per questo, quando l’Air Force (dice) di aver cercato di contattare le forze siriane che stavano colpendo i militari americani sul terreno, Damasco ha ignorato il richiamo – altrimenti sarebbe stato ammettere che gli Usa sono un nemico occupante. Per tutta risposta, il Pentagono – invece di sloggiare le sue truppe da Hasakah, ne ha rafforzato il contingente».L’enormità della situazione, aggiunge Blondet, è stata rilevata dal giornalista tedesco Thomas Wiegold, che ha twittato: “Come? Ora gli Usa praticano il divieto di operare alle forze di un paese sul suo territorio?”. «Il punto è che il voltafaccia di Erdoğan ha messo in grave pericolo la promessa fatta da Usa e Israele ai curdi, di ritagliare per loro uno Stato indipendente (e loro satellite) nella zona tra Turchia, Siria, Iraq e Iran», osserva ancora Blondet. «Erdoğan si è recentemente pronunciato, in inaudita coordinazione con Teheran per “il mantenimento dell’integrità territoriale della Siria”, di cui quindi Turchia e Iran si fanno garanti (insieme ai russi e a Pechino): quindi nessuno smembramento della Siria per linee etniche e religiose; capendo finalmente che la Turchia, dal progetto, ha solo da perdere – un terzo del suo territorio, abitato dai curdi». Lo ha ripetuto qualche giorno fa il nuovo primo ministro turco Yildirim: «Nei prossimi sei mesi giocheremo un ruolo più attivo in Siria, voglio dire non permetteremo che la Siria sia divisa secondo linee etniche: ci assicureremo che il suo governo non sia basato su etnie».Il fatto è che l’anno scorso, i rappresentanti della regione curda (già autonoma sotto la Costituzione siriana) hanno elevato un annuncio di federalizzazione: annuncio unilaterale, non concordato e incostituzionale – su aperta istigazione statunitense. Gli Usa hanno fornito ai secessionisti «addestramento, armi, munizioni e 350 milioni di dollari “per combattere l’Isis”». La traduzione di Blondet: «Ormai è chiaro che, per i neocon che hanno occupato la politica estera Usa, i trattati internazionali sono stracci di carta: la forza è la sola “ragione”», inlcusa la pulizia etnica. «Oltretutto, i folli sentono l’urgenza frenetica di contrastare i successi di Mosca nell’area, di “far pagare un prezzo a Putin e ad Assad”; recuperare il danno inferto ai loro progetti da Erdoğan e vendicarsi di lui». A questo servirebbe la promessa fatta ai curdi, che lottano da decenni – soprattutto in Iraq e in Turchia – per il loro diritto a esistere, come popolo. Washington oggi ne impugna la causa, in modo evidentemente strumentale. E pericoloso: dietro alla Siria ci sono Mosca, Teheran e Pechino. «L’orribile attentato di Gaziantep, che ha sterminato più di cinquanta curdi partecipanti al matrimonio di un capoccia locale, capo del partito curdo rappresentato ad Ankara, si deve situare in questo quadro», conclude Blondet. «Naturalmente Erdoğan ha accusato l’Isis (ha imparato dagli americani); i curdi presenti hanno accusato Erdoğan. Non senza ragione, credo. Nella gara all’escalation irresponsabile, i neocon non sono i soli».Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».
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Hitlery Clinton, dalla guerra fredda all’ecatombe atomica
La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino. La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.I fratelli Dulles avevano degli interessi personali nella Guerra Fredda. Usarono la Guerra Fredda per difendere gli interessi dei clienti del loro studio legale e per aumentare il potere e il bilancio legato alle loro posizioni all’interno del governo. È decisamente interessante essere gli incaricati della politica estera e delle attività segrete durante periodi pericolosi. Ogni volta che un governo democratico riformista appariva in America Latina, i fratelli Dulles lo vedevano come una minaccia alle partecipazioni azionarie che i clienti del loro studio legale avevano in quel dato paese. Queste partecipazioni, talvolta acquisite tramite tangenti versate a governi non democratici, dirottavano le ricchezze e le risorse dei diversi paesi verso mani americane, e l’obiettivo dei fratelli Dulles era proprio di continuare a fare in modo che fosse così. Il governo riformista veniva a quel punto definito marxista o comunista, e la Cia e il Dipartimento di Stato collaboravano per rovesciarlo e riportare al potere qualche dittatore compiacente a Washington. La Guerra Fredda era insensata, eccetto che per gli interessi dei Dulles e del complesso militare.Il governo sovietico, al contrario del governo americano di oggi, non aveva aspirazioni all’egemonia globale. Stalin aveva dichiarato la dottrina del “socialismo in un solo paese” e si era liberato dei trotskysti, che volevano una rivoluzione a livello mondiale. Il comunismo in Cina e nell’Europa dell’est non erano prodotti dal comunismo internazionale sovietico. Mao era il padrone di se stesso, e l’Unione Sovietica mantenne l’Europa dell’est, che l’Armata Rossa aveva liberato dai nazisti, come zona cuscinetto contro un Occidente ostile. A quei tempi il termine “red scare” [“paura rossa”] era usata un po’ come la “paura del terrorismo musulmano” oggi – per spingere l’opinione pubblica ad allinearsi a un certo programma che non capisce, e senza che ci sia un dibattito. Considerate la costosa guerra in Vietnam, per esempio. Ho Chi Minh era un anticolonialista che guidava un movimento nazionalista. Non era un agente del comunismo internazionale, ma John Foster Dulles lo rese tale e disse che Ho Chi Minh doveva essere fermato o ci sarebbe stato un “effetto domino” che avrebbe portato alla caduta di tutto il sud-est asiatico verso il comunismo. Il Vietnam vinse la guerra e non lanciò affatto l’aggressione al sud-est asiatico che Dulles aveva previsto.Ho Chi Minh aveva implorato sostegno dal governo Usa contro il potere coloniale francese che dominava l’Indocina. Di fronte ad un rifiuto, Ho Chi Minh si rivolse alla Russia. Se Washington avesse semplicemente fatto presente al governo francese che il tempo del colonialismo era finito e la Francia doveva andarsene dall’Indocina, si sarebbe evitato il disastro della guerra in Vietnam. Ma gli spauracchi delle minacce inventate servivano ai gruppi d’interesse ieri come oggi, e Washington, come molti altri, fu succube dei propri mostri immaginari. La Nato non serviva perché non c’era nessun pericolo di un’invasione dell’Armata Rossa verso l’Europa occidentale. Il governo sovietico aveva già abbastanza problemi ad occuparsi dell’Europa dell’est e delle sue popolazioni ribelli. L’Unione Sovietica si trovò alle prese con una sollevazione nella Germania dell’Est nel 1953, poi in Polonia e Ungheria nel 1956, e poi da parte dello stesso partito comunista in Cecoslovacchia nel 1968. L’Unione Sovietica aveva sofferto un’enorme perdita demografica nella Seconda Guerra Mondiale e aveva bisogno di tutta la forza lavoro che le restava per la ricostruzione post-bellica. Era ben oltre le capacità sovietiche occupare l’Europa occidentale dopo avere occupato quella orientale.I partiti comunisti in Francia e in Italia erano forti nel periodo post-bellico, e Stalin poteva sperare che un governo comunista in Francia o in Italia spezzasse l’impero europeo stabilito da Washington. Questa speranza fu cancellata dalla Operazione Gladio. La Guerra Fredda ci fu perché serviva agli interessi dei fratelli Dulles e al potere e ai profitti del complesso militare. Non c’erano altre ragioni per la Guerra Fredda. La nuova Guerra Fredda è ancora più insensata della precedente. La Russia stava cooperando con l’Occidente, l’economia russa è integrata con quella occidentale come fornitore di materie prime. La politica economica neoliberale che Washington è riuscita a far implementare al governo russo era orientata a mantenere l’economia russa nel ruolo di fornitore di materie prime verso l’Occidente. La Russia non aveva espresso alcuna ambizione di ampliamento territoriale e aveva investito molto poco in spese militari. La nuova Guerra Fredda è il prodotto di una manciata di fanatici neoconservatori che credono che la storia abbia scelto gli Stati Uniti come potere egemone sul mondo intero. Alcuni di questi neocon sono figli di ex-trotskysti che hanno la stessa idea romantica di rivoluzione mondiale, solo che questa volta sarebbe una rivoluzione “democratico-capitalista” e non comunista.La nuova Guerra Fredda è ben più pericolosa della precedente, perché le rispettive dottrine di guerra delle potenze nucleari sono cambiate. La funzione delle armi nucleari non è più quella di rappresaglia. La certezza di una distruzione reciproca era la garanzia che quelle armi non sarebbero state usate. Nella nuova dottriva di guerra, le armi nucleari sono state elevate a strumento di attacco preventivo. Washington ha fatto questo passo per prima, costringendo la Russia e la Cina a seguirla. La nuova Guerra Fredda è ancora più pericolosa per un altro motivo. Durante la prima Guerra Fredda, i presidenti americani si concentravano sulla riduzione delle tensioni tra le potenze nucleari. Ma oggi Clinton, George W. Bush e Obama hanno fatto aumentare drammaticamente le tensioni. William Perry, segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton, ha parlato recentemente di pericoli di guerre nucleari lanciate per errore a causa di difetti nei circuiti dei computer.Per fortuna, quando situazioni di questo genere si sono verificate in passato, l’assenza di tensioni nelle relazioni tra potenze nucleari ha fatto in modo che le autorità delle due parti riconoscessero i falsi allarmi. Oggi però, con le continue accuse di imminenti invasioni russe, la demonizzazione di Putin come “nuovo Hitler”, e l’incremento delle forze militari Usa e Nato attorno ai confini russi, i falsi allarmi rischiano di essere creduti. La Nato ha cessato il suo scopo quando è crollata l’Unione Sovietica. Però ormai troppe carriere, troppi soldi a bilancio e troppi profitti sugli armamenti dipendenvano dalla Nato. I neoconservatori allora presero la Nato come un pretesto politico e un ausilio militare per le proprie ambizioni egemoniche. Lo scopo della Nato oggi è di coinvolgere tutta l’Europa nei crimini di guerra statunitensi. Dato che sono tutti colpevoli, i governi europei non possono più rivoltarsi contro Washington e accusare gli americani di crimini di guerra.Le altre voci in campo sono troppo deboli per avere delle conseguenze. Nonostante i suoi tanti crimini contro l’umanità, l’Occidente è ancora nella posizione di “luce del mondo”, difensore della verità, della giustizia, dei diritti umani, della democrazia e delle libertà individuali. Questa reputazione resiste nonostante la distruzione della Dichiarazione dei Diritti Usa e la repressione dello stato di polizia. L’Occidente non rappresenta affatto i valori che il mondo è stato forzato (col lavaggio del cervello) a credere che siano associati all’Occidente. Per dirne una, non c’era alcun motivo di attaccare con le armi atomiche i civili nelle città giapponesi, nel 1945. Il Giappone stava cercando di arrendersi e stava solo resistendo alla richiesta Usa di una resa incondizionata al fine di salvare il proprio imperatore dall’esecuzione per crimini di guerra, sui quali egli non aveva controllo. Come i sovrani britannici oggi, l’imperatore del Giappone non aveva potere politico ed era solo simbolo di unità nazionale. I condottieri giapponesi avevano paura che l’unità giapponese si sarebbe dissolta se l’imperatore, simbolo di quell’unità, fosse stato deposto.Certo, gli americani erano troppo ignoranti per capire la situazione, e così il piccolo Truman, che per tutta la vita era stato canzonato come una nullità, si glorificò del proprio potere e fece sganciare le bombe. Le bombe atomiche gettate sul Giappone erano potenti. Ma le bombe all’idrogeno che sono venute dopo sono ancora più potenti. L’uso di tali armi potrebbe distruggere la vita sulla Terra. Donald Trump ha detto ha detto l’unica cosa su cui sperare in tutta la campagna presidenziale. Ha messo in discussione la Nato e il conflitto orchestrato con la Russia. Non sappiamo se possiamo credergli e se un suo eventuale governo seguirebbe questa direzione. Ma sappiamo che “Hitlery” [neologismo che unisce il nome di Hillary Clinton a Hitler, NdT] è una guerrafondaia, un agente dei neoconservatori, del complesso militare, della lobby israeliana, delle banche “troppo grandi per fallire”, di Wall Street, e di qualsiasi interesse estero che dà mega-milioni di dollari di donazioni alla fondazione Clinton o un quarto di milione di dollari per un suo discorso.“Hitlery” ha dichiarato che il presidente russo è la più grande minaccia – il “nuovo Hitler”. Si potrebbe essere più chiari di così? Un voto a “Hitlery” è un voto per la guerra. Nonostante questo sia più che ovvio, i media statunitensi, a reti unificate, stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per abbattere Trump e far eleggere “Hitlery”. Tutto ciò cosa ci dice sull’intelligenza del “Unipower”, “l’unica superpotenza del mondo”, il “popolo indispensabile”, la “nazione eccezionale”? Ci dice che sono scemi come la m**da. Gli americani, creature della “Matrix” creata dai loro propagandisti, vedono minacce immaginarie e non vedono quelle reali. Ciò che i russi e i cinesi vedono è un popolo troppo indottrinato e ignorante per essere di alcun aiuto nella pace. Vedono la guerra che arriva e si stanno preparando.(Paul Craig Roberts, “Ripensare la guerra fredda”, dal blog di Craig Roberts dell’11 agosto 2016, tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Economista e autorevole editorialista statunitense, Roberts è stato sottosegretario al Tesoro di Ronald Reagan).La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino. La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.
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Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.
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Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte». Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar». E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria». Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza». E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva? E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007. Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico». Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles». Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”». I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate. «Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti. Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”. «E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni. «I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze». Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei. Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi. Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga? Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
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Carpeoro: massoneria e terrorismo, attenti al 10 agosto
Dalla massoneria al terrorismo: per capire davvero cos’è accaduto in seno al massimo vertice mondiale nel corso degli ultimi decenni, con il “golpe” dell’élite finanziaria neo-feudale, fino al ricorso – ormai sistematico – alla strategia della tensione su scala internazionale, con le guerre asimmetriche e gli attentati stragistici, ufficialmente ricondotti a sigle come l’Isis. Eventi catastrofici e molto sanguinosi, tra i cui risvolti gli osservatori di formazione massonica possono facilmente riconoscere delle “firme” inequivocabili, ricavandole dai nomi dei luoghi, le date, i numeri collegati, i riferimenti simbolici e i richiami diretti a fatti storici collegabili. E’ un linguaggio di segni cifrati quello che permette di intuire che, dietro a molto terrorismo di oggi, operano “menti raffinatissime”, di formazione esoterica, che dispongono di interi settori dei servizi segreti, a valle dei quali agisce una docile manovalanza, inconsapevole e manipolata, oggi per lo più di matrice islamista-radicale. E’ la testi attorno alla quale si sviluppa il prossimo libro dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che avverte: proprio grazie alla profonda conoscenza del “modus operandi” altamente simbolico dei veri mandanti delle stragi, nel mirino potrebbero esserci Roma o Palermo, già il prossimo 10 agosto.«I terreni ipotizzabili di una azione neoterroristica, anche sotto il profilo simbolico proprio della “sovragestione”, oggi sono due: Roma, ovviamente, e la Sicilia, Palermo per esempio», scrive Carpeoro il 6 agosto sulla sua pagina Facebook. «E la data del 10 agosto, magari proprio collocata nella città di Palemo e forse già a partire da questo sinistro 2016, ma anche in seguito, potrebbe rivelarsi caratterizzata dal segno sanguinoso di Ecate», cioè della “dea della magia” nella tradizione religiosa greco-romana, ritenuta capace di viaggiare liberamente tra il mondo degli uomini, quello degli dei e il regno dei morti. Massone e profondo conoscitore dei sistemi simbologici, autore di romanzi come “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) che ripercorre la ricerca mistico-simbologica dei Rosacroce, con la loro misteriosa “conoscenza parallela” e sempre velata (da Dante a Giorgione, da Cartesio a Newton) per tenerla al riparo degli abusi del potere, Carpeoro è uno degli alti esponenti della massoneria italiana – già gran maestro, 33esimo grado del rito scozzese – che di recente hanno intrapreso “esternazioni” a catena, per squarciare il velo su molti aspetti, ben poco edificanti, del milieu libero-muratorio degradatosi in struttura di potere.«Per la quinta volta – ha annunciato un paio di anni fa, nel corso di un incontro pubblico – ho rifiutato un incarico di consulenza propostomi dai servizi segreti italiani». Un altro autorevole osservatore privilegiato, Fausto Carotenuto, ha operato per decenni in qualità di analista strategico dell’intelligence, e oggi – attraverso il network “Coscienze in Rete” – fornisce un prezioso contributo nel chiarire il ruolo attuale di molti servizi, in funzione della “piramide di potere” di stampo mondialista. Un’opera pienamente consonante con quella di un altro esponente della massoneria, Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere), che ha apertamente denunciato l’esistenza di una galassia di 36 Ur-Lodges, cioè superlogge internazionali, pronte a fare uso di svariati sistemi di intelligence, come si evincerebbe dal “fatale” successo di tutte le operazioni terroristiche recentemente attuate sul suolo europeo, grazie alle “strane” inefficienze degli apparati di sicurezza. A questo quadro si aggiungerà ora il saggio di Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, in uscita il prossimo ottobre per “rEvoluzioni Edizioni”, del gruppo Uno Editori, lo stesso di Mauro Biglino.«Oltre a qualche inedita chiarificazione storica e concettuale sulla Libera Muratoria – anticipa l’autore – spiegherò come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come, con i servizi segreti, vogliono controllare il mondo». Carpeoro aggiungerà «qualche spiegazione sulla P2, ma anche sulla P1», e quindi «i collegamenti tra massoneria autocratica e terrorismo». In altre parole, aggiunge: «spiegherò cosa sia la “sovragestione”». L’editore stesso conferma che, in 220 pagine, il libro offrirà «uno sguardo dall’interno nel mondo della massoneria, così pieno attualmente di contraddizioni». Dalla antica sacralizzazione del lavoro (la ritualizzazione del costruire) alla nascita della dei riti massonici, ovvero «quello che pochi sanno della dottrina massonica, fin dalle sue radici mitiche e filosofiche». Poi i veleni, cioè «l’incesto col potere, fin dalle ambiguità dei Neoilluminati, invano combattuto da George Washington». Il libro ripercorre «l’incubo del Nwo», il nuovo ordine mondiale, nonché «la definitiva mutazione genetica del sogno e delle utopie dei Rosa+Croce».Ed eccoci precipitati nel fosco scenario recente, con il primo piano «il fenomeno della massoneria reazionaria, che trasforma le logge in focolai di eversione per inaugurare una storia di sangue e di distruzione», di cui Carpeoro individua con precisione «la radice massonica e le firme occulte del terrorismo islamico». Spesso, in Italia, la parola massoneria richiama alla mente la loggia P2. Ma quella, sostiene l’autore, era solo uno «specchietto per le allodole», affidato alla «marionetta Gelli», senza che nessuno si sia mai chiesto: se c’è stata una P2, esiste dunque una P1 mai venuta allo scoperto? Si suppone di sì, ovviamente: nei mesi scorsi, lo stesso Carpeoro ne ha fatto esplicito riferimento, nel corso di trasmissioni web-radio come “Border Nights”, facendo nomi come quello di Eugenio Cefis, già patron dell’Eni dopo l’attentato di Bascapè costato la vita a Enrico Mattei. Esiste dunque una struttura-ombra deputata alla “sovragestione” degli eventi, pilotando servizi e tagliagole per allestire il “terrore permanente” destinato, in ultima analisi, a radere al suolo i diritti democratici? L’allarme è serio, dichiara Gioele Magaldi, sostenendo che la strage di Nizza contenga una minaccia esplicita rivolta all’Italia. Carpeoro restringe il campo a Roma o Palermo, e anticipa la data del 10 agosto. Forse già di quest’anno.Dalla massoneria al terrorismo: per capire davvero cos’è accaduto in seno al massimo vertice mondiale nel corso degli ultimi decenni, con il “golpe” dell’élite finanziaria neo-feudale, fino al ricorso – ormai sistematico – alla strategia della tensione su scala internazionale, con le guerre asimmetriche e gli attentati stragistici, ufficialmente ricondotti a sigle come l’Isis. Eventi catastrofici e molto sanguinosi, tra i cui risvolti gli osservatori di formazione massonica possono facilmente riconoscere delle “firme” inequivocabili, ricavandole dai nomi dei luoghi, le date, i numeri collegati, i riferimenti simbolici e i richiami diretti a fatti storici collegabili. E’ un linguaggio di segni cifrati quello che permette di intuire che, dietro a molto terrorismo di oggi, operano “menti raffinatissime”, di formazione esoterica, che dispongono di interi settori dei servizi segreti, a valle dei quali agisce una docile manovalanza, inconsapevole e manipolata, oggi per lo più di matrice islamista-radicale. E’ la testi attorno alla quale si sviluppa il prossimo libro dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che avverte: proprio grazie alla profonda conoscenza del “modus operandi” altamente simbolico dei veri mandanti delle stragi, nel mirino potrebbero esserci Roma o Palermo, già il prossimo 10 agosto.
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Terrore e media: è nato il nuovo business della strage
«E’ nata una formidabile alleanza tra due conglomerati, quello della morte e quello dei media, che porta enormi profitti a entrambi». Lo sostiene Mauro Baldrati su “Carmilla online”, dopo la proliferazione di “terroristi fai-da-te” e presunti “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. Pagine intere sui giornali, sterminate dirette televisive. E immagini-fiume: guerriglieri che agitano Kalashnikov e coltelli «forse sognando di decapitare qualcuno perché, ci informano i soliti media, le liste d’attesa dell’Isis sono piene di aspiranti tagliatori di teste». Frasi a effetto e video virali sui social, «come quel ragazzo di 17 anni che voleva “scannare” tutti i tedeschi, o l’omicida-suicida di Monaco, 18 anni, in cerca, pare, di riscatto e di gloria». L’episodio di Nizza, scrive Baldrati, ha scatenato «le menti febbricitanti dei giornalisti, dei ragazzi solitari che sognano la catarsi finale, in un bagno di sangue, e dei manager della multinazionale della morte». Secondo l’analista, «quella del terrore è un’impresa efficiente, un conglomerato che possiede tutti i moderni requisiti aziendali».Un network che dispone di finanziatori, sponsor, «un’organizzazione che si decentra a seconda della necessità», contando anche su reclutatori e corsi di formazione debitamente finanziati. «Se a qualcuno, sentendo parlare di “azienda” che produce terrore e morte, viene un sorriso amaro pensando a un macabro scherzo – scrive Baldrati – invitiamo a considerare la seguente, semplice riflessione: la morte – l’omicidio – non è un semplice incidente, ma è prevista nelle strategie aziendali. Spesso come effetto collaterale, ma anche come elemento strutturale della produzione». I manager di molte imprese «erano perfettamente a conoscenza, da decenni, degli effetti cancerogeni dell’amianto, eppure hanno continuato a sottoporre i lavoratori alle polveri, con premeditazione». Risultato: «Ogni anno in Italia muoiono dalle 3 alle 4.000 persone per l’amianto». E la giustizia? «Qualcuno, dopo lunghissimi processi, subisce una specie di condanna, che tuttavia non sconterà mai». A questo si aggiunge la delocalizzazione di molte imprese italiane, che ha creato povertà e disperazione e inoltre «genera sfruttamento nei paesi ospiti, e morti: sul lavoro, per la prevenzione inesistente, per le condizioni, le malattie».Tutti ricordiamo come a Dacca il crollo di un capannone ha causato la morte di 380 operai tessili, aggiunge Baldrati. Poi ci sono i morti per incidenti sul lavoro, che in Italia sono circa tre al giorno. «Ma il conglomerato della morte, come tutte le grandi aziende, ha un altro importante requisito: la pubblicità e il marketing». Sfruttando Internet, veicola filmati autoprodotti che rappresentano decapitazioni, torture e «omelie deliranti dei predicatori della strage». Tutte immagini che fanno il giro del mondo, «suscitando orrore, ma anche voyeurismo macabro, nonché una preziosa esaltazione di menti disturbate, giovani sparsi per il pianeta che accumulano rabbia, frustrazione, odio, per la loro condizione di emarginati in un mondo che considerano ostile». Giovani che «cercano di raggiungere i centri di addestramento, per combattere come “soldati” di una guerra senza fine, alcuni diventando kamikaze ansiosi di assassinare decine di persone prima di farsi saltare in aria o di essere abbattuti». Baldrati parla di una “sindrome di imitazione” che si traduce in una sorta di riscatto finale preparato con cura, con l’ausilio di psicologi-predicatori che usano la religione per introdurre nelle loro menti un pensiero unico che prevede lo sterminio di tutti gli “impuri”.Secondo l’analista, è forse questo l’aspetto più interessante dell’attività del “conglomerato della morte”: la natura e l’intensità del marketing, che non ha eguali in nessuna parte del mondo. «Ha una straordinaria potenza dirompente, e una diffusione capillare che tutti gli altri operatori ammirano. E invidiano, perché ha una caratteristica unica: è completamente gratuito. I titolari delle aziende – di qualsiasi produzione si occupino – spendono milioni di euro o di dollari per pagine pubblicitarie, o spot di pochi secondi. Invece questi assassini specializzati hanno sei pagine di giornale e servizi di ore e ore sulle maggiori televisioni. Gratis. Sempre». Così, gli aggressori proliferano. «E i manager della strage sono pronti a farne “cosa loro”, capitalizzandone l’operato, anche se non li hanno mai sentiti nominare. Generano comunque senso di minaccia, ansia, terrore, che è la materia prima della produzione aziendale. Soprattutto è manovalanza gratuita, che deriva da un marketing gigantesco, persuasivo, altrettanto gratuito». Il problema ovviamente non è la produzione di notizie, ma l’ossessiva spettacolarizzazione, «indugiando su dettagli che si giustificano solo con la propagazione di un gossip mortifero che ha l’unico fine di stimolare le menti già scosse dei lettori/spettatori». Terrore e media: il nuovo business del “conglomerato della morte”.«E’ nata una formidabile alleanza tra due conglomerati, quello della morte e quello dei media, che porta enormi profitti a entrambi». Lo sostiene Mauro Baldrati su “Carmilla online”, dopo la proliferazione di “terroristi fai-da-te” e presunti “lupi solitari”, che uccidono in varie parti del mondo prima di essere uccisi o di farsi saltare in aria. Pagine intere sui giornali, sterminate dirette televisive. E immagini-fiume: guerriglieri che agitano Kalashnikov e coltelli «forse sognando di decapitare qualcuno perché, ci informano i soliti media, le liste d’attesa dell’Isis sono piene di aspiranti tagliatori di teste». Frasi a effetto e video virali sui social, «come quel ragazzo di 17 anni che voleva “scannare” tutti i tedeschi, o l’omicida-suicida di Monaco, 18 anni, in cerca, pare, di riscatto e di gloria». L’episodio di Nizza, scrive Baldrati, ha scatenato «le menti febbricitanti dei giornalisti, dei ragazzi solitari che sognano la catarsi finale, in un bagno di sangue, e dei manager della multinazionale della morte». Secondo l’analista, «quella del terrore è un’impresa efficiente, un conglomerato che possiede tutti i moderni requisiti aziendali».