Archivio del Tag ‘Italia’
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Francia e Italia fanno sbandare la coalizione anti-Gheddafi
«Sono addolorato per Gheddafi», dice Berlusconi da Torino la sera del terzo giorno di “guerra umanitaria” in Libia, mentre il ministro Frattini gela l’attivismo bellico del collega La Russa, minacciosamente criticato da Bossi: l’Italia è pronta a revocare l’uso delle proprie basi se la Francia non si rassegna a sottostare al comando unificato della Nato. In mezzo al guado Barack Obama, mentre la Norvegia diserta dalla coalizione (troppo franco-inglese) e la Turchia, fino a ieri sulla linea tedesca dell’astensione, si esprime a favore della guida atlantica, che invece secondo i francesi spaventerebbe la Lega Araba già traballante nel suo appoggio. In quattro giorni, la coalizione anti-Gheddafi rischia la crisi. E il dittatore, riferiscono le agenzie, ne approfitta per massacrare Misurata.
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Raid contro il Colonnello, forze speciali inglesi già in Libia
«Centinaia di soldati delle forze speciali britanniche Sas sarebbero in azione da almeno tre settimane in Libia al fianco dei gruppi ribelli», afferma il 20 marzo il quotidiano “Sunday Mirror”. Due unità di incursori, soprannominate “Smash” per la loro capacità distruttiva, avrebbero «dato la caccia ai sistemi di lancio di missili terra-aria di Muhammar Gheddafi», i Sam 5 di fabbricazione russa, «in grado di colpire bersagli attraverso il Mediterraneo con una gittata di quasi 400 chilometri». Affiancate da «personale sanitario, ingegneri e segnalatori», sempre secondo il “Sunday Mirror” le Sas britanniche hanno «creato posizioni sul terreno in modo da venire in aiuto in caso in cui jet della coalizione fossero stati abbattuti durante i raid».
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Oltre le bombe: quello che ci chiede la gioventù araba
Aiutare gli insorti, impedire che le milizie del raìs libico occupino Bengasi e Tobruk, soccorrere i profughi e arginare l’ondata dei migranti: tutti obiettivi largamente condivisi dalla comunità internazionale. Le divergenze investono invece il futuro di Gheddafi: arrestarlo per crimini di guerra, munirlo di un salvacondotto ed esiliarlo o larciargli una parvenza di potere in una sorta di libertà vigilata, disarmata e commissariata? Infine: bisogna mantenere l’unità della Libia o prendere atto che quell’unità è un’invenzione perché Tripolitania e Cirenaica sono realtà incompatibili e la loro fittizia unità è stata imposta dal colonialismo italiano prima e dalla dittatura di Gheddafi poi?
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Voltafaccia all’italiana, la nostra specialità storica
E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false. Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe.
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Libia, anche l’Italia firma l’ultimatum di guerra
Sette basi militari a disposizione, insieme ai velivoli tricolori in partenza per i cieli libici: intercettori Eurofighter, caccia F-16 e bombardieri Tornado. Missione: contribuire alla “no-fly zone” per impedire a Gheddafi di continuare a bombardare gli insorti e la popolazione che li sostiene. Di fatto: neutralizzare basi libiche, contraerea, radar e difesa missilistica. Sono le regole d’ingaggio della “guerra dell’Onu”, ultimatum scattato con l’ok del Consiglio di Sicurezza su pressione di Francia e Inghilterra – un passo indietro gli Usa, astenuta la Germania. Decisivo il silenzio-assenso di Russia e Cina, che hanno rinunciato al loro potere di veto aprendo la strada alla fine del regime di Gheddafi: un esito sul quale mette la propria firma anche l’Italia, “portaerei del Mediterraneo” e scomoda dirimpettaia del Colonnello, fino a ieri super-fornitore, grande amico e socio in affari.
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Nucleare italiano: la nuova mappa della paura
L’incubo nucleare giapponese porta Paesi come Germania e Stati Uniti a prendere in seria considerazione l’abbandono dell’atomo. In Italia, invece, la linea del governo «non cambia». Per il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, quella degli anti-nuclearisti italiani non è altro che uno «sciacallaggio politico a fini domestici». Per la maggioranza di governo, il ritorno all’energia atomica è una scelta non negoziabile. Fra i problemi da prendere in considerazione, però, resta quello della collocazione delle future centrali. E delle scorie radioattive da esse prodotte. Non solo perché l’Italia, come il Giappone, è un Paese a elevato rischio sismico. Ma perché 16 regioni su 20, anche governate dal centro-destra, hanno già detto che non vorranno centrali atomiche sul proprio territorio.
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Armi alla Libia: l’Italia è il primo fornitore europeo
Caccia, elicotteri, sistemi missilistici. E’ il made in Italy destinato al regime di Gheddafi: l’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma è il maggiore esportatore europeo di armamenti per il Colonnello. Secondo l’Unione Europea, nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato le proprie aziende all’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro, vale a dire più di un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Ue (quasi 600 milioni di euro). Dopo l’Italia, nella “classifica” degli esportatori di armi verso la Libia figurano la Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni), la Germania (57), il Regno Unito (53) e il Portogallo (21). Anche questo – oltre al timore per i connazionali intrappolati dalla rivolta e per il futuro dei pozzi di petrolio – spiega la lunga prudenza delle diplomazie nella crisi libica.
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Sanguinosa battaglia in Libia per rovesciare Gheddafi
Terrore in Libia: almeno 80 morti in poche ore, un bagno di sangue. Ma la violentissima repressione della rivolta non sarebbe riuscita a piegare la Cirenaica, la regione di Bengasi, dove da giorni migliaia di manifestanti – sull’onda delle rivolte di Tunisi e del Cairo – sono in piazza per chiedere la testa di Muhammar Gheddafi. Il regime ha impiegato anche mercenari per stroncare i ribelli, ma la Libia – dove Internet è oscurato e solo poche notizie riescono ad aggirare la censura – sembra essere sull’orlo di una guerra civile. Obiettivo, la destituzione di Gheddafi dopo 42 anni di dittatura. «Assordante il silenzio del governo italiano», accusa Walter Veltroni: Roma non ha ancora preso posizione.
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Il mondo discute di Mubarak, noi invece della “nipote”
«Mentre tutto il mondo si preoccupa del dopo-Mubarak, noi ci dilaniamo sulla “nipote”». Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, non ha dubbi: in Egitto, l’Italia – cruciale frontiera mediterranea – sta perdendo un’occasione storica: ricucire lo strappo con il Nord Africa post-coloniale e frenare l’esodo della disperazione mettendo in campo una nuova alleanza politica ed economica. «L’occasione è storica: spezzare nel più strategico paese arabo il circolo vizioso di miseria, frustrazione, regimi di polizia e terrorismo – spesso alimentato dai regimi stessi per ottenere soldi e status dall’Occidente – che destabilizza Nordafrica e Vicino Oriente fino al Golfo e oltre».
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Per favore, spegnete il porno-feticcio: l’Italia è in agonia
A ondate successive, anno dopo anno, si riesce a parlare del nulla per evitare di parlare del tutto. E’ una ripetizione di D’Addario, Papi, Bunga Bunga, Villa Certosa, Cognato di Fini e Topolanek con il pisello di fuori. Questo non è giornalismo e neppure politica. E’ informazione dal buco della serratura, dalla tazza del cesso, da giornalismo diventato reality show. Duale, nel silenzio sui temi importanti, della politica mafiosa degli ultimi vent’anni. Siamo seri, sono più importanti le rivolte di Tunisi e di Tirana, la disoccupazione, il debito pubblico che si avvia alla cifra folle di 2.000 miliardi o le tette al vento di alcune ragazze ospiti di Berlusconi?
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Allegri, l’Italia è in sfacelo ma gli italiani non ancora
Non spaventatevi per il domani, l’italiano non teme nulla. Il debito pubblico da 1.900 miliardi, la disoccupazione al 14 per cento reale, un debito privato di 20.000 euro per famiglia, milioni di precari, mezzo milione di cassintegrati che diventeranno disoccupati nel 2011 con l’esaurimento dei fondi per la cassa integrazione, le banche che falliscono come il Banco Emiliano Romagnolo non possono preoccuparlo. Se ci sarà un crack i mezzi per pagarlo ci sono tutti e sono i suoi. Il patrimonio degli italiani, esclusi gli immobili, che valgono sempre meno, è di 4.300 miliardi. Nel 2011 arriveremo a 2.000 miliardi di euro di debito pubblico. Possiamo pagarli senza problemi con i nostri depositi e i nostri conti correnti e in più ci rimarrà qualcosa in tasca.
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Metà della ricchezza italiana in mano al 10% delle famiglie
Metà della ricchezza italiana è in mano al 10% delle famiglie. E’ Bankitalia a scattare la fotografia della ricchezza nazionale: i dati sono fermi al 2008, quando ancora la grande crisi non aveva messo in difficoltà milioni di italiani. Le cifre mostrano un forte disequilibrio: dispone di solide risorse, l’equivalente del 45% delle ricchezze nazionali, soltanto un cittadino su dieci. Se il patrimonio netto di 8.600 miliardi (in media col resto dell’Occidente) fosse suddiviso tra i 24 milioni di famiglie, ciascun nucleo familiare avrebbe a disposizione 358.000 euro. In realtà, la differenza sta nella distribuzione: oltre un milione e mezzo di euro per una famiglia su dieci, mentre la metà delle famiglie – fra case, terreni e beni intestati – può contare soltanto su 70.000 euro.