Archivio del Tag ‘istituzioni’
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Alternativa: fermiamo i golpisti di quest’Europa mostruosa
Un club planetario a vocazione totalitaria sta distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia, la nostra libertà. Il nostro futuro è in grave pericolo. Gradualmente, senza che ce ne rendessimo conto, siamo stati consegnati nelle mani di un’oligarchia senza patria e senz’anima, il cui unico collante è il delirio di onnipotenza derivante dal possesso del denaro infinito che essa crea. Coloro che ci hanno condotto a questo guado sono i maggiordomi dei “proprietari universali”: i proprietari finali delle azioni di banche, fondi e corporations internazionali, persone che nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma che determinano le nostre vite. Essi, sostenuti da parlamenti formalmente eletti, ma in realtà nominati dall’alto, hanno consegnato il potere politico ed economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture prive di ogni legittimazione democratica. Queste strutture sono le impalcature di un nuovo ordine mondiale in via di costruzione.
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Amoroso: niente ripresa, prima devono ridurci alla fame
La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni Settanta con la globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo, che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
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L’Istat annuncia la fine del mondo: 80 anni di austerità
Non è uno scherzo o un tentativo maldestro di mettere in piedi una trama di fantapolitica. Sapevamo che la tragica approvazione, tramite Pd-Pdl, del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio in Costituzione avrebbe provocato danni permanenti a questo paese. Danni dei quali non si ha ancora chiara l’effettiva portata. Pensando magari che “la crescita” arriva davvero “risanando” parte dello stato del paese. L’Istat, che non è una casa editrice di fantascienza ma l’istituto nazionale di statistica, mette invece in guardia su quanto sta realmente accadendo in questo paese. Ha infatti pubblicato una simulazione su quanti anni occorrono a due paesi dell’Eurozona, praticando l’austerità, per raggiungere i parametri fissati dal Fiscal Compact e dal pareggio di bilancio in Costituzione, grazie alla guida del Six Pack e del Two Pack, gli accordi tra stati dell’Eurozona che prevedono rigidità di bilancio e sorveglianza ferrea di Bruxelles.
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Gawronski: la casta del rigore sbaglia tutto e non paga mai
In democrazia – e non solo in democrazia – un’élite che presentasse risultati così devastanti sarebbe derisa, dileggiata e cacciata via su due piedi, e non certo per essere sostituita dal primo che passa. Da noi, invece, «l’élite non si critica, se non con il dovuto garbo e una cortina fumogena davanti». Così, può continuare impunemente a «celare la sua incompetenza», per dirla con Piergiorgio Gawronski, che preferisce evitare di parlare di piani egemonici oligarchici programmati a tavolino per produrre l’attuale economicidio scientifico dell’Eurozona. A parlare sono le cifre: i “sudditi” dell’euro sono gli unici al mondo a non poter utilizzare l’arma regina contro la crisi, cioè la moneta sovrana. Vi ricorrono tutti gli altri, e con risultati apprezzabili, facendo esattamente il contrario dell’Unione Europea: meno rigore, più spesa pubblica, più deficit positivo. Come per incanto, riprendono a crescere il Pil, i fatturati, l’occupazione e, ovviamente, anche la “fiducia” dei mercati: che non ha bisogno di “conti in ordine”, ma di prospettive positive.
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Krugman: l’élite ci odia e teme chi può salvarci dalla crisi
Noah Smith ha recentemente espresso un interessante punto di vista sui reali motivi per cui le élites sostengono così tanto l’austerità, anche se in pratica non funziona. Le élites, egli sostiene, vedono le difficoltà economiche come un’opportunità per costringere a delle “riforme” – cioè in sostanza i cambiamenti da loro desiderati, che possano servire o meno a promuovere la crescita economica – e si oppongono a tutte le politiche che potrebbero attenuare la crisi senza rendere necessari questi cambiamenti: «Penso che gli “austerians” siano preoccupati che delle macro-politiche anti-recessione consentirebbero a un paese di “cavarsela” nella crisi senza migliorare le sue istituzioni. In altre parole, temono che uno stimolo di successo potrebbe sprecare le possibilità offerte da una buona crisi».
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Allarme rosso: stanno per mangiarsi tutte le nostre banche
Allarme rosso: stanno per “mangiarsi” le nostre banche, prosciugando i conti correnti a tutto vantaggio dei colossi della finanzia mondiale. Ossigeno e denaro vero – il nostro – per tamponare la maxi-falla di Wall Street. Lo lascia intendere il nuovo piano di “salvataggio” messo a punto dal Canada, che prevede che in caso di crisi ai risparmiatori sia prelevato il denaro sul conto, lasciando loro solo un pugno di azioni-spazzatura. Lo afferma il professor Michel Chossudovsky, professore emerito di economia all’università di Ottawa e direttore del centro ricerche sulla mondializzazione “Global Research”. La ricapitalizzazione delle banche cipriote? Solo un prova generale di quello che ci attende. E’ possibile prevedere un “furto dei risparmi” in seno alla Comunità Europea e in Nord America in grado di portare alla confisca completa dei depositi bancari? E’ quello che starebbe per succedere a livello planetario, grazie a una manovra che coinvolge la banca centrale del Canada, Wall Street, la Goldman Sachs, il Fmi e la Bce.
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Ripresa solo nel 2020, quando mendicheremo un lavoro
«Il disastro sociale e civile della Grecia sta diventando una opportunità economica per la finanza internazionale, come la ricostruzione di un paese distrutto dalla guerra. Questa è la ripresa». Vogliamo accelerarla? «Dobbiamo smetterla di frenare il rigore: prima ci autodistruggiamo, prima arriva il momento di ripartire». Parola di Giorgio Cremaschi, che condanna innanzitutto l’atteggiamento della sinistra: «Giorgio Napolitano – afferma l’ex leader della Fiom – rappresenta con il massimo dell’onestà e del rigore una sinistra che ha rinunciato ad essere se stessa». Una sinistra «che ha accettato i dogmi dell’economia liberale e che ora condivide le follie dei trattati e delle istituzioni europee che impongono l’austerità». E’ una sinistra “complice”, in tutto il continente, perché «contribuisce alla distruzione dello stato sociale e dei diritti del lavoro». E soprattutto «si è assunta il compito di spiegare che a tutto questo non c è alternativa», proprio come diceva Margaret Thatcher.
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La voce del padrone, da Bava Beccaris a Bini Smaghi
Galileo? Un cretino: in effetti non è la Terra a orbitare nello spazio, ma il Sole. Ergo, «l’austerità non è una scelta dettata dalla Banca Centrale Europea». Del resto, lo sanno tutti: Bruxelles e Francoforte sono istituzioni umanitarie. Se ora si è passati alla frusta, la responsabilità è tutta dei governi e della loro incapacità di «introdurre le riforme strutturali capaci di aumentare il potenziale di crescita delle loro economie». A sostenenerlo non è un umorista, ma il fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, banchiere centrale europeo fino al 2011 e ora “visiting scholar” ad Harvard e presidente di Snam Rete Gas, nel libro “Morire d’austerità. Democrazie europee con le spalle al muro”. Come dire: Tolomeo rivisitato nel 2013 e doppiato dalla voce del mitico generale Fiorenzo Bava Beccaris, l’uomo che a Milano nel 1898 non esitò a sparare sulla folla degli affamati, facendo a pezzi più di 500 persone. Colpa loro, probabilmente, anche in quel caso.
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Il sapere ci può salvare, per questo tagliano la cultura
Apprendo con il grande senso di nausea che accompagna, ormai, la lettura dei giornali mattutini, che l’Italia perderà lo spazio espositivo, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz, già chiuso da due anni perché mal curato, vecchio, illeggibile e fuori contesto. Il giorno dopo il 25 Aprile, la notizia appare ancor più nauseabonda, ma in fondo, davvero ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da questo paese votato all’autodistruzione? Il non attendersi altro è forse già il segno della fine, ma come non essere intellettualmente onesti? Il presidente dell’Aned, ex deportato, fa sapere che nulla potrà essere fatto in mancanza delle sovvenzioni dello Stato italiano. E questa ormai sembra la risposta preconfezionata a qualunque domanda, un po’ come quelle che ricevi dal risponditore automatico di e-mail.
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Cremaschi: si è arresa anche la Fiom, fine del sindacato?
«Se in un contratto nazionale o aziendale si aumenta l’orario di lavoro, si abbassano le qualifiche, si toglie ai lavoratori il diritto ad ammalarsi, e se la maggioranza dei rappresentanti sindacali e dei lavoratori accetta, la minoranza non può più opporsi. Non può fare sciopero, non può andare in tribunale, non può neanche tutelare quei lavoratori che non ci stanno. Altrimenti è fuori». In puro “sindacalese” questo si chiama “esigibilità”: ed è esattamente la clausola-capestro che ora ha accettato anche la Cgil, con la sola opposizione della componente “Rete 28 aprile”, alla stipula del nuovo patto sulla rappresentanza. Risultato: insieme a Cisl e Uil, anche la Camusso firma con Confindustria. D’ora in avanti, lo stesso Landini può scordarsi una “resistenza” come quella ingaggiata a Pomigliano, quando la Fiom trascinò la Fiat di Marchionne in tribunale. Fine dell’ultimo brandello di radicalismo sindacale: per Giorgio Cremaschi, è una capitolazione storica. Addio sindacato.
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La tela atlantica: Obama e Letta, governissimo di guerra
L’approdo al governo di Enrico Letta ha molti punti di contatto con il viaggio nel potere di Barack Obama. A molti questo potrebbe apparire come un complimento rivolto a due campioni progressisti. Per chi obamiano non è, come chi scrive, è invece la critica a due conservatori impegnati a salvaguardare creativamente gli interessi dell’Impero, Obama al centro e Letta in periferia. Tralasciamo per ora le scontate differenze fra Usa e Italia, il divario in termini di loro ruolo e peso internazionale, la diversità dei sistemi politici ed elettorali. Quel che interessa qui sottolineare è il fatto che un sistema in profonda crisi di legittimità ha trovato una soluzione “creativa” all’interno delle proprie classi dirigenti. Gli Stati Uniti erano segnati da un “impresentabile” come il presidente Bush. In Italia venivamo da un livello di fiducia nei partiti politici ormai prossimo allo zero.
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Krugman: fine della farsa, solo il deficit ci salva dall’incubo
Sarebbe davvero tanto facile mettere fine alla piaga della disoccupazione? Ebbene sì. Basta aumentare la spesa pubblica a deficit per creare subito posti di lavoro. Problema: «Chi ha il potere in mano non ci vuole credere». Qualcuno di quei potenti, scandisce il Premio Nobel americano per l’economia, Paul Krugman, «ha una sensazione viscerale che la sofferenza sia un bene». Lo dicevano anche alcuni “padri” dell’Eurozona, come l’ex ministro prodiano Tommaso Padoa Schioppa, che auspicava «riforme che vi facciano soffrire». La mania delle élites? Far pagare (a noi) un prezzo per i “peccati” del passato, «anche se i peccatori di allora e chi soffre oggi sono dei gruppi sociali di persone completamente diverse». Qualcuno di quei potenti, accusa Krugman, vede nella crisi una magnifica opportunità per smantellare tutta la rete di sicurezza sociale. «E quasi tutti, nelle élites politiche, prendono le parti di una minoranza benestante che in realtà non sta sentendo molto dolore».