Archivio del Tag ‘istituzioni’
-
L’Italia è sovragestita dalla P1, massoni traditori e terroristi
Dietro la nascita del 5 Stelle ci sono degli equivoci, e dei personaggi equivoci. Chi sta dietro Grillo si è abbastanza impegnato, coinvolgendo i livelli più alti dei 5 Stelle, in una frequentazione abituale di luoghi, ambasciate e consolati americani dove ricevono indicazioni che purtroppo poi mettono in pratica. Quindi il problema è che noi in Italia siamo sovragestiti. Non mi riferisco a tutto il mondo americano, ma a delle massonerie reazionarie che sono specializzate nel controllo delle rivoluzioni: praticano le contro-rivoluzioni controllando le rivoluzioni. E’ una vecchia pratica, è un’operazione riuscita a grandissimi livelli. Se pensate che in questo momento, tramite ambienti americani piuttosto precisi, figure come Michael Ledeen e compagnia cantante sponsorizzano tanto Renzi che Di Maio, ho l’impressione che il voto del referendum per certi aspetti sia inutile. Perché se Renzi vince (Renzi, non la riforma) diventa forte e ce lo dobbiamo tenere. Se Renzi perde, e diventa debole, ce lo teniamo lo stesso. Non cambia niente: perché un Renzi debole viene gestito in un modo, un Renzi forte viene gestito in un altro.Tra l’altro, vorrei smentire che Renzi sia a tutt’oggi massone. Ha fatto più volte domanda, e non l’hanno mai fatto entrare: perché questa sua graziosa abitudine di “fottere” il prossimo e di non mantenere mai un impegno politico spinge tutti quanti a tenerlo sulla soglia. La prossima volta che Renzi vuol fare un accordo con una forza politica, deve ipotecare la casa dal notaio, perché tutti sanno che non mantiene mai nulla. E dopo aver “fregato” una pletora di persone con lo stesso metodo – Berlusconi, Enrico Letta, Bersani – capirai se qualcuno fa più accordi con lui… Il problema della nostra posizione politica attuale è che noi, in ogni caso, siamo sovragestiti – ma talmente sovragestiti che, ai suoi tempi, questo personaggio che vorrei far conoscere ai più, che si chiama Michael Ledeen, ha sponsorizzato diversi personaggi. Il primo, nell’ordine? Craxi. E siccome poi l’ha fregato in una straordinaria telefonata relativa a Sigonella, quando se ne parlava, poi a Craxi prendeva l’orticaria. Poi ha sponsorizzato Di Pietro. E poi ha sponsorizzato Grillo.Purtroppo noi siamo sovragestiti. Dobbiamo prescindere dai personaggi. Adesso tutta l’Italia è convinta che Renzi sia il male assoluto. E non sa che quello che prenderà il posto di Renzi è sovragestito. Se non smantelliamo la sovragestione, non abbiamo sovranità – non ce l’abbiamo più, da quarant’anni. E’ possibile abbatterla, la sovragestione? Se Galileo e Giordano Bruno si fossero posti il problema e avessero ragionato solo nei termini delle loro esistenze, noi saremmo ancora alla Controriforma. Anche se il gioco del potere pretende il contrario, noi dobbiamo prescindere dalla nostra esistenza: dobbiamo fare questa battaglia perché bisogna farla. Se uno non lotta per la sua libertà, per che cosa lotta? Poi non necessariamente raggiunge l’obiettivo relativamente alla sua libertà. Ma scopre, nel percorso, che la lotta è per la libertà. Ed è una lotta per gradi, perché il potere è uno schema astratto. Il potere ti compra, ti coinvolge, ti gestisce, magari a volte senza che neanche te ne accorga. Ha gestito personaggi di un’intelligenza straordinaria. Ma è una battaglia che dobbiamo fare, prescindendo dalle nostre esistenze. Guai se non la facciamo, pensando che, tanto, nell’arco della nostra vita non succede niente.Cos’è che ha smantellato il potere nel corso del XX Secolo, e c’è parzialmente riuscito? Le ideologie. Sono le ideologie che ti consentono di superare – con la speranza, la convinzione, la coerenza – l’arco breve della tua vita. Tutti coloro che iniziano una rivoluzione pensando di usufruire dei suoi effetti, in realtà sono destinati a non farla, la rivoluzione. E’ questo il problema: dobbiamo tornare ad avere progetti che prescindono anche da noi stessi. Serve un progetto nel quale si possa credere, non una tattica per la quale si possa vivere bene. La tattica prevede che tu debba magiare e star bene il giorno stesso, al massimo il giorno dopo. La strategia è quella che mira a costruire. E’ quello che la massoneria ha perso, negli anni. La catatteristica dei massoni medievali qual era? Costruivano cose che sfidavano i secoli – con un sistema, una filosofia, una dottrina di vita. Nel momento in cui la massoneria ha perso la “mission” del costruire, era inevitabilmente assoggettabile al potere, perché mancava il suo progetto. I Templari hanno perso Gerusalemme per colpa loro: e a cosa servivano, dei Templari, senza tempio? Erano destinati a morire, non potevano sopravvivere all’aver perso la loro “mission”. Poi sono stati sterminati, certo, ma era sopraggiunto anche un certo degrado presso di loro. Succede alle realtà, quando perdono il motivo per cui esistevano.La politica ha perso il suo motivo di esistere. Ieri, la politica fabbricava progetti, idee, modelli di società. Li pensava. Si scontrava, ma per quelli – non per chi si aggiudicava una maggior fetta di potere. Il potere non è una cosa negativa di per sé, ma quando diventa astratto, quando diventa un fine anziché un mezzo, dove vai? Le cose non sono mai come sembrano. In un recente studio ho provato – con ragionamenti e documenti – che c’è stato un periodo in cui Mussolini, da mangiapreti, è diventato l’uomo dei Patti Lateranensi. In quel periodo, prendeva uno stipendio dai servizi segreti inglesi – quelli che poi dicono di essere laici. La cultura anglosassone, in nome di un potere astratto, si allea con chi le conviene. E chi le conviene, in Italia? Il Vaticano, che è il suo contrario – è il contrario della massoneria illuministica. Il problema, quindi, è che il potere è diventato qualcosa di astratto. Non puoi più giudicarlo in funzione di appartenenze: non gli conviene avere appartenenze. Oggi bisogna prescindere dalle appartenenze, e valutare il potere per quello che è: non esiste più la religione, esiste la religione del potere.Il fatto che ci siano personaggi dei servizi segreti (anche esteri) che operano all’interno di istituzioni non mi meraviglia, perché noi, in realtà, servizi segreti nostri non li abbiamo mai avuti. Il Sismi ha sempre avuto una struttura sovragestita, che io ho chiamato P1, ammessa da tutti. Francesco Pazienza, attualmente ancora in carcere, è uno che si è salvato la pelle parlando a metà. C’è un suo memoriale che praticamente lo ammette: dice che c’era una struttura Super-Sismi, collegata a sovragestioni connesse con la P2 in maniera non ufficiale (quella che io chiamo P1, e di cui nessuno parla) e praticamente questo organismo era autorizzato a entrare in tutti i nostri ministeri, perché figuravano come pratiche di intelligence nazionali, e non lo erano. Chi si era indotto a smantellare questo tipo di struttura, collegata peraltro a una struttura finanziaria italiana che si chiama Banca d’Italia, era stato proprio Craxi. Il progetto di privatizzare la Banca d’Italia rispondeva a questa volontà. E difatti, l’attacco frontale a Craxi è iniziato – combinazione – quando ha mostrato ufficialmente questo progetto. Nel momento in cui Craxi ha detto “voglio smantellare, privatizzare la Banca d’Italia”, è stato organizzato l’assalto – assalto che lui si è andato anche a cercare con i suoi errori, per carità. Non voglio avviare impropriamente una mitizzazione del personaggio: lui ha favorito tutto questo. Ma è pratica costante del potere approfittare delle debolezze e degli errori altrui – se no come potrebbe, il potere, essere veramente un potere?Noi in Italia siamo tuttora gestiti tramite la P1. Il potere le cose le fa sotto gli occhi di tutti. Tutti i giornali e i media parlano tranquillamente della P2 (della P3, della P4, della P5, della P6), ma nessuno si è mai chiesto fino in fondo perché si chiamasse P2. L’avete mai letta la spiegazione della Commissione Anselmi sul perché la P2 si chiamasse così? E’ una spiegazione ridicola: la vecchia loggia “Propaganda” sarebbe stata ricostruita secondo la nuova numerazione delle logge del Goi. E’ stata accettata acriticamente una evidente bugia del Grande Oriente d’Italia sui suoi archivi. Che aspettarsi, se la situazione sta in questi termini? E’ solo con la connivenza di tante persone che il potere può realizzare progetti così ambiziosi. E noi in Italia ci teniamo tuttora la P1, esattamente come negli anni Sessanta, senza che nessuno faccia un fiato. La massoneria aveva una mission di libertà, di indipendenza, di tutela dei diritti. Da quando quella missione si è smarrita, le cose sono andate come sappiamo. Gelli? E’ stato uno strumento di poteri infinitamente più alti. Coinvolgendo rapporti internazionali e il Super-Sismi, in Italia c’era una struttura al di sopra di Gelli, che ha utilizzato la P2 solo per le “pulizie di casa”.Quando dagli archivi del Goi è emersa una ricostruzione della P2 che comincia dalla data in cui Gelli diventa “venerabile”, io francamente non ci ho creduto. E non ci credo tuttora. Anche perché nessuna documentazione è stata raccolta, dalla Commissione Anselmi, su cosa sia successo – in quella che il Goi dice essere P2 – fino al 1970. Chi era il “venerabile” della P2 prima del 1970? Quando è stata ricostituita la loggia? Dov’è la bolla che ha ricostituito la “Propaganda” come “Propaganda 2”? Tutte domande rimaste senza risposta. Non sappiamo chi era il “venerabile” prima di Gelli, non sappiamo dell’attività della P2 prima del 1970, non sappiamo nulla. E allora mi pongo questo interrogativo: non è che si comincia da Gelli perché, quando è stata costruita la vicenda P2, probabilmente bisognava nascondere qualcos’altro? Sicuramente c’era una sovragestione.Una sovragestione la vedo anche nella nascita del Movimento 5 Stelle – una sovragestione parallela all’operazione Di Pietro. Ma ho fiducia nel fatto che, con i giusti sviluppi e gli opportuni accorgimenti, il Movimento 5 Stelle possa essere un bene. Ho visto dirigenti capaci – molti li ho conosciuti anche personalmente. Hanno quello che serve nella politica: il progetto. Questo è un momento in cui la gente tende a disperarsi, a pensare che non ci siano soluzioni. E invece bisogna sempre sperare di poter cambiare le cose, perché altrimenti la vita diventa una cosa molto piccola – e rischiamo anche noi, inconsapevolmente, di essere il frutto di una sovragestione. Quindi in realtà il Movimento 5 Stelle io lo vedo come una grande speranza, anche nel senso di riuscire a portare un movimento nato in un certo modo in qualcosa di diverso. In questo c’è una visione alchimistica della massoneria: gli alchimisti veri non trasformano il piombo in oro, sanno perfettamente che nel piombo è già contenuto l’oro. Il Movimento 5 Stelle è una grande possibilità di rinnovamento del paese. E’ un grande movimento anche etico, che si sviluppa su basi etiche e progettuali.Nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” parto dalle origini leggendarie e poi storiche della massoneria, cito questa sua vocazione a essere costruttrice di civiltà, e amaramente arrivo alla condizione attuale, dove la massoneria stessa è diventata strumento di chi vuole dedicarsi alla distruzione. La caratteristica della sovragestione terroristica – che non è un’idea massonica, ma putroppo passa in questo momento storico tramite la complicità di una serie di realtà massoniche o para-massoniche – evidenzia questo paradosso: qualcosa che storicamente ha regalato all’umanità bellissime cattedrali e bellissime realtà, è diventato sostanziale strumento organizzativo della distruzione: il terrorismo è qualcosa che distrugge. Un massone come me lo sottolinea con dolore. Ma era inevitabile, vista l’evoluzione che c’è stata rispetto al tradimento delle origini della massoneria. Quando una serie di persone tradiscono le loro origini e il posto da cui vengono, le conseguenze sono queste.Poi arrivo anche a descrivere come avviene, questa sovragestione, com’è cresciuta nel tempo, quali personaggi ne sono stati protagonisti – citavo prima Michael Ledeen, ma parlo anche di Gelli, che pure accettò il ruolo ancillare della P2. Nel libro parlo delle scorribande compiute dagli anni ‘60 agli anni ‘90. Ledeen è un personaggio di cui nessuno parla, ma è stato protagonista della vita pseudo-politica non solo del suo paese, ma anche del nostro: è la riprova del fatto che siamo un paese drammaticamente eterogestito. Per gli aspetti che vedono Gelli coinvolto nel tentato golpe Borghese ho attinto al mio archivio personale, all’archivio della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, e racconto un carteggio tra Caradonna e Di Tullio (che è stato il mio precessore), che comprova che – sia pure in buona fede – la massoneria nazionale era stata fortemente coinvolta nel golpe Borghese. E questo coinvolgimento – pensate, i paradossi della storia – non si è perfezionato perché è intervenuto Giulio Andreotti.Cioè, Andreotti è intervenuto quando già erano state occupate le sedi Rai di Roma e Milano, rispettivamente da Giulio Caradonna e dallo stesso Carlo Alberto Di Tullio, e il vice di Gelli, Francesco Cosentino (un ex magistrato) era già nell’ufficio del presidente della Repubblica per convincerlo a firmare i vari decreti di sospensione dei diritti costituzionali. Così arrivò la telefonata di Andreotti, che dice a Gelli (cosa che Gelli ha riferito sia a Caradonna che a Di Tullio). Me lo confermò poi Andreotti stesso, quando lavorai per lui. Andreotti giustificò questa cosa sostenendo che lo avevano chiamato dall’America perché il colpo di Stato non avesse alcun esito.E poi racconto la sovragestione del terrorismo. La verità vera è che in Italia l’ultimo soggetto che si è opposto a questi poteri e a questa realtà è stato Craxi. Dopo di lui, non si è opposto più nessuno – Berlusconi compreso – perché ognuno aveva degli interessi da tutelare: Berlusconi aveva le aziende, Monti comunque era uno della partita. Ognuno, sul prinicipio del “tengo famiglia”, che in Italia è assolutamente dominante, ha deciso di non opporsi più a nessuna manovra di sovragestione. Mentre fino ai tempi di Craxi almeno qualche tentativo di non subire la sovragestione c’era stato – e se pensate a Sigonella capite cosa intendo – da quel momento in poi non c’è stato più nessuno che abbia deciso che l’Italia dovesse prendere decisioni indipendenti. E questa è una realtà difficilmente discutibile, sfido chiunque a dire che non è vero. Nel libro dunque faccio questa “cavalcata”, confermata da una cosa che, una volta, per i massoni, aveva un significato di sacralità, e cioè la tavola sull’architetto di Vitruvio. Era un architetto romano, prestigiosissimo e tuttora studiato nelle università. Cosa fa, Vitruvio? Scrive quali devono essere le caratteristiche dei costruttori.Questi stessi strumenti vengono oggi usati per distruggere, da questi attuali pseudo-massoni reazionari di cui fin dal 2003 avevo percepito drammaticamente l’esistenza e la potenza, prima che arrivasse il libro “Massoni” di Gioele Magaldi, col quale condivido la speranza vivificatrice che queste cose possano essee combattute. Nel mio libro, ricordo i principi di Vitruvio e dimostro come vengano applicati per distruggere, come venga messo in discussione lo stesso nascere della massoneria. Non è una difesa della massoneria, che è una dottrina e non ha bisogno di essere difesa da me. E’ solo un grave attacco a certi massoni, quello sì. Io non attacco mai il Cristianesimo, ma certi cattolici mi permetto di attaccarli: il Cristianesimo è comunque un’ideologia nobile, una filosofia di vita, una fede. Ma di alcuni personaggi del Cristianesimo, anche storici, non ho stima. Il mio è un libro di 200 pagine e contiene una postilla finale di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’odio”, fondamentale per capire certe cose.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a “Border Radio” il 4 ottobre 2016, trasmissione web-radio ripresa anche su YouTube. Il libro “Dalla massoneria al terrorismo” – Uno Editori, 189 pagine, 13 euro – denuncia la “sovragestione” di potere diretta dall’élite massonica internazionale utilizzando i servizi segreti anche per operazioni come quella che oggi porta il nome di Isis).Dietro la nascita del 5 Stelle ci sono degli equivoci, e dei personaggi equivoci. Chi sta dietro Grillo si è abbastanza impegnato, coinvolgendo i livelli più alti dei 5 Stelle, in una frequentazione abituale di luoghi, ambasciate e consolati americani dove ricevono indicazioni che purtroppo poi mettono in pratica. Quindi il problema è che noi in Italia siamo sovragestiti. Non mi riferisco a tutto il mondo americano, ma a delle massonerie reazionarie che sono specializzate nel controllo delle rivoluzioni: praticano le contro-rivoluzioni controllando le rivoluzioni. E’ una vecchia pratica, è un’operazione riuscita a grandissimi livelli. Se pensate che in questo momento, tramite ambienti americani piuttosto precisi, figure come Michael Ledeen e compagnia cantante sponsorizzano tanto Renzi che Di Maio, ho l’impressione che il voto del referendum per certi aspetti sia inutile. Perché se Renzi vince (Renzi, non la riforma) diventa forte e ce lo dobbiamo tenere. Se Renzi perde, e diventa debole, ce lo teniamo lo stesso. Non cambia niente: perché un Renzi debole viene gestito in un modo, un Renzi forte viene gestito in un altro.
-
Monica Maggioni (Rai) presidente italiana della Trilaterale?
«La notizia è di quelle da far saltare sulla sedia». Secondo quanto riportato da Lia Quilici su “L’Espresso”, la presidente della Rai Monica Maggioni il prossimo 8 ottobre sarà nominata presidente della Trilateral Italia. «Un incredibile cortocircuito di potere che metterebbe nelle stesse mani da una parte il controllo del servizio d’informazione radiotelevisivo pubblico e dall’altra la gestione della filiale italiana di una delle più importanti organizzazioni d’interessi privati nel mondo», scrive “Megachip”, che per illuminare i retroscena della Commissione Trilaterale, fondata nel 1973 negli Usa da David Rockefeller, ripropone una recente analisi di Stefania Elena Carnemolla. Il personaggio-chiave, oggi, in Italia? Itzhak Yoram Gutgeld, economista israeliano naturalizzato italiano e deputato Pd, “mente” economica del governo Renzi: «Nell’armadio di Gutgeld c’è lo scheletro della Trilaterale, centro di potere espressione dell’élite». Se Gutgeld è membro del gruppo italiano, dal 2011 il presidente europeo è Jean-Claude Trichet, ex governatore della Bce. «Star italiana della Trilaterale è Mario Monti». E al super-club «si onora di appartenere anche l’ex primo ministro e deputato Pd Enrico Letta, oggi accademico a Parigi».Insieme al Bilderberg, stra-chiacchierato “salotto” dell’élite finanziaria mondiale insieme al Forum di Davos, la Trilaterale – secondo Gioele Magaldi, autore di “Massoni, società a responsabilità illimitata” – fa parte del segmento strategico di “associazioni paramassoniche” destinare a fare da cinghia di trasmissione tra i “vertice esoterico” dell’oligarchia, rappresentato da 36 Ur-Lodges internazionali, e le classi dirigenti – banche, università, industria, politica. A differenza dei potentissimi think-tanks citati da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine” (tra questi la Ert, European Roundtable of Industrialists), la Trilaterale ospita ex capi di Stato e di governo, “dialogando” direttamente con le istituzioni del super-potere, dalla Fed alla Bce, dal Fmi alla Banca Mondiale. Fu proprio la Trilaterale, guidata da eminenze grige come Kissinger e Rockefeller, a “far applicare”, dagli anni ‘70, i micidiali dettami dello storico Memorandum che la Camera di Commercio Usa aveva commissionato all’avvocato d’affari Lewis Powell. Obiettivo: stroncare la sinistra democratica e sindacale negli Usa e in Europa, demolire il welfare, aprire il varco al neoliberismo globalizzato e al “totalitarismo finanziario”.«Chi sono gli italiani della Trilaterale?», si domanda Stefania Elena Carnemolla, su “Megachip”. «È gente che piace alla gente che piace, che passa da un incarico all’altro, che presiede fortini di potere. Ci sono renziani, banchieri, ex ministri, ex viceministri, ammiragli, ambasciatori, industriali, deputati, vertici Rai, ex presidenti del Consiglio, studiosi di politica internazionale. Nomi che s’intrecciano con il Bilderberg e con l’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Personaggi da sliding door, che se non sono in un luogo, sono in un altro». La sede del gruppo italiano della Trilaterale è al civico 5 di via Clerici, a Milano, dove c’è l’omonimo palazzo che ospita l’Ispi. Tra i membri della Trilaterale «c’è il professore Carlo Secchi, che ne è il chairman – né è una coincidenza che Secchi sia vicepresidente dell’Ispi, oltre che suo consigliere di amministrazione». Altri membri della Trilaterale con ramificazioni nell’Ispi? «Sono Paolo Magri, segretario del gruppo italiano della Trilaterale, nonché vicepresidente esecutivo, direttore e consigliere di amministrazione Ispi; Patrizia Grieco, consigliere di amministrazione Ispi, nominata da Renzi presidente Enel».Nell’elenco, continua Carnemolla, figura anche la giornalista Monica Maggioni, presidente Rai e consigliere di amministrazione Ispi, «nonché ospite, nel 2014, della conferenza Bilderberg di Copenhagen, quand’ancora dirigeva “Rai News 24”». Insieme alla Maggioni figura Lia Quartapelle, che Renzi voleva ministro degli esteri: deputato Pd, è ricercatrice Ispi per l’Africa ed è alla Trilaterale «grazie al David Rockefeller Fellowship Program». Poi c’è Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo e amministratore delegato Pirelli, senza contare le altre cariche, «da Mediobanca a Rcs, passando per la Bocconi, Confindustria, Assolombarda, l’Aspen Institute e altro ancora». E quindi Gianfelice Rocca, presidente di Techint, dell’Istituto Clinico Humanitas e di Assolombarda, oltre che consigliere di amministrazione Ispi. E Marcello Sala, vicepresidente vicario del consiglio di gestione Intesa SanPaolo e consigliere di amministrazione Ispi.Poi ci sono membri della Trilaterale non legati all’Ispi: fra i banchieri Maurizio Sella (presidente del Gruppo Banca Sella), quindi Giuseppe Vita (presidente Unicredit), Carlo Messina (ad di Intesa SanPaolo) e Andrea Moltrasio (presidente del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca). Membro della Trilaterale, continua Stefania Elena Carnemolla, è anche l’ambasciatore Ferdinando Salleo, che ne è vicepresidente (ed è anche collaboratore di politica estera per la “Repubblica”, guidata da Mario Calabresi). Con lui Giuseppe Bono (Fincantieri), John Elkann (Fiat), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (ex ministro della difesa del governo Monti, già dirigente Nato). E ancora: Marta Dassù, nominata da Renzi nel consiglio di amministrazione di Finmeccanica. La Dassù è membro dell’advisory board della dalemiana Fondazione Italianieuropei, del comitato esecutivo dell’Aspen Institute, di quello scientifico di Confindustria, della Fondazione Italia-Usa, del direttivo dell’Istituto Affari Internazionali. Ha diretto il Centro Studi Politica Internazionale e le attività internazionali di Aspen Institute Italia, è stata consigliere per la politica estera dei governi D’Alema e del secondo governo Amato, e poi viceministro degli esteri nei governi Monti e Letta.Membro della Trilaterale, continua “Megachip”, è stata pure Federica Guidi, ex leader dei giovani di Confindustria e ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. «E lo è stato Stefano Silvestri, editorialista del quotidiano di Confindustria, “Il Sole 24 Ore”, ex presidente dell’Istituto Affari Internazionali, di cui è oggi consigliere scientifico». Secondo Stefania Elena Carnemolla, il sogno di molti è comunque il Bilderberg Group: «Ci sono passati in tanti e di nuovi ne entrano – come Claudio Costamagna, presidente di Cassa Depositi e Prestiti, una carriera in Goldman Sachs; Lilli Gruber, Franco Bernabè, Fulvio Conti, Enrico Letta, Mario Monti, gli Elkann e gli Agnelli, Alberto Nagel di Mediobanca, Romano Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa». Poi ci sono «quegli italiani che al Bilderberg sono andati ospiti, come Paolo Scaroni, allora a capo di Eni, e Giulio Tremonti, che vi andò, ministro economico del governo Berlusconi, nel 2011, quando la riunione fu ospitata a St. Moritz, in Svizzera, trovandovi Mario Monti. Mesi dopo, Monti, nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano, sarebbe entrato, caduto il governo Berlusconi, a Palazzo Chigi». La Trilaterale, l’Ispi, il Gruppo Bilderberg e gli altri club esclusivi, «dove vanno e vengono i soliti: un gioco di società, dai tanti tentacoli, che non ha risparmiato l’Italia renziana». Fino all’annunciata nomina della Maggioni alla Trilaterale.«La notizia è di quelle da far saltare sulla sedia». Secondo quanto riportato da Lia Quilici su “L’Espresso”, la presidente della Rai Monica Maggioni il prossimo 8 ottobre sarà nominata presidente della Trilateral Italia. «Un incredibile cortocircuito di potere che metterebbe nelle stesse mani da una parte il controllo del servizio d’informazione radiotelevisivo pubblico e dall’altra la gestione della filiale italiana di una delle più importanti organizzazioni d’interessi privati nel mondo», scrive “Megachip”, che per illuminare i retroscena della Commissione Trilaterale, fondata nel 1973 negli Usa da David Rockefeller, ripropone una recente analisi di Stefania Elena Carnemolla. Il personaggio-chiave, oggi, in Italia? Itzhak Yoram Gutgeld, economista israeliano naturalizzato italiano e deputato Pd, “mente” economica del governo Renzi: «Nell’armadio di Gutgeld c’è lo scheletro della Trilaterale, centro di potere espressione dell’élite». Se Gutgeld è membro del gruppo italiano, dal 2011 il presidente europeo è Jean-Claude Trichet, ex governatore della Bce. «Star italiana della Trilaterale è Mario Monti». E al super-club «si onora di appartenere anche l’ex primo ministro e deputato Pd Enrico Letta, oggi accademico a Parigi».
-
Riparare l’Italia? Impossibile, se gli Usa non vogliono
Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzoni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».Un giorno anche questo “impero” crollerà, come tutti gli altri, aggiunge Della Luna nel suo blog. Ma a farlo collassare non saranno certo i ragazzi di “Occupy Wall Street” o del movimento di Grillo. «Siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti». Ma in realtà «non lo sono più da molto tempo: essi sono controllati da chi li finanzia, detiene il loro debito, gli fa il rating». Siamo portati a pensare e a promettere: prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il paese. Ma non funziona così: «I vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia». In piccolo, la falsa partenza della giunta Raggi a Roma dimostra la stessa verità: anche per cambiare le cose in una città non basta avere i voti, «bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”».Sul piano tecnico, continua Della Luna, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro sono già disponibili e più volte descritti. Ma, per introdurre riforme importanti, bisogna fare i conti con l’oste: «Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici), dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il cosiddetto “Washington consensus” (e “Berlin consensus”), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”». Non se parla mai, «perché discuterne è sgradevole, scabroso». Chi fa proposte di riforma sostanziale dovrebbe prima verificare «quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II Guerra Mondiale, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli Usa».Lo stesso vale per la Germania: «Ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la “Kanzlerakte”, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca». E un protocollo riservato del trattato di pace con gli Usa «attribuisce a questi la “Medienhoheit”, ossia la sovranità sui mass media tedeschi». Ma se la Germania è “previsto” che sia efficiente, per l’Italia le cose cambiano: Della Luna parla di «obblighi verso gli Usa che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli Usa o di loro soggetti imprenditoriali. Prelievi che si traducono in tasse e tagli». L’Italia, poi, è costretta a subire «la sistematica violazione delle regole fiscali europee» da parte della Germania, nonché «lo shopping delle sue aziende migliori». Abbiamo «subito passivamente l’attacco ai Btp per imporre il “regime change” nel 2011 con la leva dello spread». E fu il cancelliere Kohl, racconta Della Luna nel saggio “Polli da spennare” (Nexus, 2008) a frenare la riforma italiana dell’efficienza.Piatto forte, comunque, i nostri soldi da versare al sistema finanziario americano: «Negli anni ’90, i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati Irs del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso». Una pratica turpe, rinnovata «anche grazie all’“Europa”». Per non parlare degli F-35, aerei-rottame, o delle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, «contrarie agli interessi italiani». La prima vittima? Enrico Mattei: «Fu ucciso mentre, come presidente dell’Eni, disturbava il cartello petrolifero angloamericano».L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori, John Perkins, nel saggio “Confessioni di un sicario dell’economia” (Minimum Fax). Gli Usa sono il peggior “Stato-canaglia” del pianeta? Già, ma «la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie». Della Luna indica una direzione di ricerca, quella dei «protocolli riservati annessi ai trattati di pace e relativi al Piano Marshall». Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, conclude il saggista. Meglio, a quel punto, progettare «una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di contestare la loro validità e compatibilità coi diritti dell’uomo e coi principi democratici», in modo che americani (e tedeschi) scendano dal trono.Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzioni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».
-
Francia in tumulto: si prepara a minacciare l’uscita dall’Ue
Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.La lunga crisi economica in cui è sprofondata la Francia sta per riscuotere il suo tributo, politicamente parlando: «Ha mandato in pezzi prima il centrodestra e poi il centrosinistra francese, e ora minaccia la stessa Quinta Repubblica», scrive Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. L’ex presidente gollista Nicolas Sarkozy è tornato alla ribalta mediatica «lanciando la scommessa del proprio ritorno sulla scena con la proposta di un pacchetto di politiche di ultra-destra mai viste in tempi recenti nelle democrazie europee occidentali». Ma il tumulto nella sinistra è altrettanto rivelatore: Arnaud Montebourg, l’enfant terrible del partito socialista, ha lanciato la propria sfida contro il governo Hollande, definito «regime politico da destra tedesca». Nel mirino, Bruxelles: «Penso che l’Unione Europea sia arrivata a fine corsa, e la Francia non ha più alcun interesse a farvi parte. L’Unione Europea ci ha lasciati impantanati in una crisi anche molto tempo dopo che il resto del mondo ne era uscito». Montebourg chiede una sospensione unilaterale delle leggi europee sul lavoro: «Per quanto mi riguarda, gli attuali trattati sono scaduti». E annuncia uno “sciopero” contro l’Ue: «Non possiamo più accettare questa Europa».In altre parole, spiega Evans-Pritchard, Montebourg «se ne vuole andare da dentro – come stanno già facendo la Polonia e l’Ungheria – cioè senza sollevare nessuna clausola tecnica o legale». E la sua accusa contro Hollande è devastante: le politiche di rigore hanno inevitabilmente portato a milioni di persone disoccupate. «Non si sono mai smossi dal loro catechismo e dalle loro false certezze», dice Montebourg. I socialisti hanno pagato un prezzo salato per la loro cieca arroganza: hanno ottenuto solo il 15% dei voti dalla classe lavoratrice nelle recenti elezioni, mentre il Front National di Marine Le Pen ha mietuto il 55%. La doppia contrazione – fiscale e monetaria – ha gettato la già prostrata economia dell’Eurozona in una seconda recessione, osserva Evans-Pritchard. «Tutto ciò è stato aggravato da una stretta fiscale che è andata ben oltre qualsiasi possibile dose terapeutica, ed è stata imposta da un ministro delle finanze tedesco accecato da un’ideologia pre-moderna», il terribile Wolfgang Shaeuble, «e seguita servilmente da tutti gli altri». Ed ecco il punto: «La Francia avrebbe forse potuto mobilitare una maggioranza di paesi europei per bloccare questa follia, ma né Sarkozy né Hollande sono stati disposti ad affrontare Berlino».Entrambi i presidenti francesi «sono rimasti legati religiosamente all’accordo franco-tedesco, o almeno alla sua illusione totemica». Il risultato? «Un decennio perduto, e una retrocessione del lavoro che ridurrà le prospettive di crescita dell’Eurozona per molti anni ancora». Osserva ancora il giornalista economico inglese: «Non sapremo mai se la disoccupazione giovanile di massa nei quartieri nordafricani delle città francesi ha avuto un ruolo nella diffusione della metastasi jihadista lo scorso anno, ma certamente è stato uno degli ingredienti». Per contro, la tendenza anti-Ue che ormai investe trasversalmente la Francia dimostra che, se la “regia occulta” del terrorismo mirava a ottenere la rassegnazione dei francesi anche rispetto alle misure più impopolari dettate dall’élite finanziaria, come la Loi Travail, il Jobs Act transalpino, i francesi non ci stanno. Anche perché l’analisi della situazione è deprimente: «L’austerità fiscale è terminata, ma l’economia francese non è ancora abbastanza forte da risolvere le patologie sociali che tormentano il paese. Nel secondo trimestre la crescita è ritornata a zero».Per Evans-Pritchard, «il grande danno politico, comunque, si è già consumato: non serve aggiungere che la Francia ha anche una serie di problemi economici che non c’entrano con l’Ue. Il modello sociale è basato su tasse punitive sull’occupazione e crea uno dei peggiori cunei fiscali al mondo. Appena un quarto dei francesi tra i 60 e i 64 anni lavorano, rispetto al 40% della media Ocse. Questo è dovuto a incentivi per il pensionamento precoce. Lo Stato spende il 56% del Pil, cioè l’equivalente dei paesi nordici, senza però avere la flessibilità del lavoro che c’è nei paesi nordici». E ancora: «Ci sono 360 diverse tasse, alcune delle quali in vigore da prima della Rivoluzione Francese. I sindacati hanno per legge un presidio in tutte le aziende oltre i 50 dipendenti, eppure hanno un tasso di partecipazione di appena il 7%». Per Brigitte Granville, economista alla Queen Mary University di Londra, «è un inferno che purtroppo non ha nemmeno la poesia di Dante». Di fatto, «si è tergiversato per tutti gli anni del boom dell’euro e ora è troppo tardi. Ora la Francia è intrappolata nella camicia di forza dell’unione monetaria». Secondo il Fmi, il tasso di cambio reale è sopravvalutato del 9% (e rispetto alla Germania del 16%). «L’unico modo pratico con cui la Francia può riguadagnare competitività è tramite una profonda deflazione rispetto al resto dell’Eurozona, ma questo prolungherebbe la crisi e sarebbe devastante per il Pil e la dinamica del debito. Sarebbe autolesionista».Per Evans-Pritchard, Montebourg ha ragione a concludere che la Francia sarà paralizzata fino a che non riprenderà gli strumenti della propria sovranità. Quanto a Sarkozy, sta «aggirando questo elemento essenziale». Il suo manifesto-shock «chiede la fine del primato legale Ue rispetto alla legge francese e chiede l’abrogazione del Trattato di Lisbona, quello stesso trattato che lui, Sarkozy, aveva introdotto con prepotenza al Parlamento francese dopo che era stato respinto dagli elettori francesi in un referendum sotto la guisa di “Costituzione Europea”». Ma il suo maggior ardore, continua Evans-Pritchard, è riservato alla guerra culturale e alla “riduzione drastica” del numero degli stranieri. «Sarkozy promette di porre sotto controllo l’Islam in Francia, con gli imam che dovrebbero riferire le proprie attività al ministero degli interni». L’appello di Sarkozy alla “identità francese” punta direttamente al Front National, «e questo dice molto sulla devastazione dello scenario politico dopo anni di depressione».Marine Le Pen è davanti a Sarkozy nei sondaggi, con un sostegno dell’elettorato vicino al 30% grazie a un impetuoso mix di ricette economiche di sinistra e nazionalismo di destra, con un richiamo diretto agli anni ’30. Ha promesso di «far finire l’incubo dell’Unione Europea». Un sondaggio Pew risalente a giugno svela il 61% degli elettori francesi ha un’opinione “sfavorevole” dell’Ue, un dato addirittura più alto che in Gran Bretagna. Il professor Thomas Guénolé della “Sciences Po” di Parigi avverte: «Per quanto possa sembrare incredibile, un referendum sul ‘Frexit’ verrebbe probabilmente perso dalla fazione europea. Come nel Regno Unito, il ‘leave’ vincerebbe». Per “Le Figaro”, il Brexit ha cambiato profondamente la situazione: «I sostenitori della costruzione europea avevano preso l’abitudine di difendere l’Europa con argomenti catastrofisti, con l’idea che l’uscita avrebbe provocato nuove guerre o collassi economici. Ma ora la Gran Bretagna sta uscendo ed è evidente che non avverrà nessun cataclisma economico e nessuna grossa crisi geopolitica».Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.
-
Londra: Cavour assassinato, l’Italia doveva restare docile
Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.Lo scrive Fasanella nel suo nuovo libro, “Intrighi d’Italia”, scritto con Antonella Grippo. Premessa: inutile stupirsi se così spesso, nella nostra storia recente, emergono strane “trattative” tra il potere istituzionale, attraverso settori dei servizi segreti, e la criminalità mafiosa. Quello era il metodo inaugurato proprio da Cavour, che reclutò la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli per governare i nuovi terrori, largamente ostili all’unificazione e conquistati manu militari, dall’esercito piemontese. La resistenza dell’esercito meridionale (pur superiore) fu molto debole? Certo: l’intelligence di Cavour aveva “comprato” gli alti ufficiali delle Due Sicilie. A pagare il prezzo della conquista, con anni di legge marziale e stragi inaudite, fu la popolazione del Sud: mezzo milione di morti, si calcola, più 15 milioni di profughi, emigrati poco dopo, per lo più in America. «A Cavour non era piaciuta la modalità di conquista del Meridione», spiega Fasanella a Claudio Messora, in una video-intervista per il blog “ByoBlu”. «Si racconta infatti che arrivò a sollevare la scrivania, nell’ufficio del sovrano torinese, quasi volesse gettargliela addosso. Cavour non tollerava che i Savoia avessero concepito l’Unità d’Italia sul piano solo militare. Avrebbe voluto un progetto più graduale, federalista, basato sulla politica».Il sovrano non era l’unico nemico del primo ministro, racconta l’autore, brillante giornalista di “Panorama”. Cavour era in contrasto anche con Mazzini: non voleva lo scontro con il Vaticano per la conquista immediata di Roma, avrebbe preferito un accordo. Dal canto suo, con Cavour ce l’aveva anche Garibaldi, furioso per la cessione di Nizza alla Francia. E il primo ministro non piaceva neppure ai Rotschild, che miravano a lucrare sul finanziamento delle nuove infrastrutture italiane, mentre Cavour anche in quel caso avrebbe preferito giocare su più tavoli, per non dipendere da un solo potere. Abilissimo, astuto, geniale. E temuto: al punto da subire un complotto mortale? E’ quello che si evince dall’esame degli archivi inglesi, racconta Fasanella. Fonti autorevoli, finora sempre trascurate dagli storici. Una su tutte: le dettagliate relazioni dell’ambasciatore inglese a Torino, James Hudson. Un diplomatico decisivo: era stato lui ad assicurare a Cavour la protezione militare inglese per incoraggiare la spedizione di Garibaldi. Rivelazioni clamorose, da Hudson, sulle circostanze della morte dello statista italiano.Al ministro degli esteri britannico, John Russell, l’ambasciatore Hudson scrive che Cavour si è sentito male il 29 maggio 1961, poco più di due mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Era a casa della sua amante, Bianca Ronzani, «che era anche una spia». Dalla Ronzani bevve qualcosa che lo mandò in crisi: spasmi addominali, accessi di vomito. Cavour riparò nella sua casa e si mise a letto. I medici accorsi, racconta sempre la fonte inglese, «lo salassarono come un vitello», estraendogli enormi quantità di sangue e indebolendolo in modo grave. A dargli il colpo di grazia, dopo una settimana di agonia, fu il dottore di corte, medico personale del re, insigne luminare della medicina torinese dell’epoca: «Gli fece bere un infuso di “lauroceraso”, cioè cianuro: il potentissimo veleno si ottiene proprio per infusione da quella pianta». Sulla morte di Cavour – che faceva comodo a troppi poteri – si è anche favoleggiato in modo complottistico, ammette Fasanella. Ma nessuno, prima d’ora, aveva individuato tracce concrete che avvalorino – via Londra, tanto per cambiare – l’ipotesi della cospirazione a scopo di omicidio politico.Noto per l’estrema disinvoltura, il cinismo e la spregiudicatezza con cui aveva guidato la politica del minuscolo Stato sabaudo per negoziare con i potentati europei la nascita della futura Italia, Camillo Benso – racconta Fasanella – non si era mai fatto scrupoli nel ricorrere alla malavita, attraverso i servizi segreti. Se ne accorse per prima la magistratura torinese, che incastrò un piccolo criminale: stranamente, il governo lo protesse a lungo. Non a caso: era il capo di una banda di malviventi utilizzata per il “lavoro sporco” commissionato da Filippo Curletti, famigerato capo dell’intelligence di Cavour. Un uomo che, s’è scoperto, aveva organizzato brogli in mezza Italia per truccare l’esito dei plebisciti a favore dell’annessione al Piemonte: «Emerge che, spesso, il numero di voti favorevoli era superiore addirittura a quello della totalità degli aventi diritto al voto», racconta Fasanella. E se nel centro-nord gli uomini di Curletti si occuparono soprattutto di aritmetica, nel Sud terrorizzato dalle truppe di Cialdini e La Marmora si bussò direttamente alla mafia: «In Sicilia, i picciotti prepararono il terreno allo sbarco di Garibaldi e alla sua marcia trionfale. E a Napoli, quando fu smantellata la polizia borbonica, chiamarono la camorra a dirigere i commissariati».Come dire: nessuno si stupisca se l’Italia è nata così male, unificata in modo truffaldino e spietato. E concepita – fin da subito – come “dependence” dei poteri forti d’Europa, decisi a non lasciarsi scappare il controllo sulla nostra penisola così strategica, vera chiave di volta nel Mediterraneo con l’apertura del Canale. Lungi dal sottovalutare l’importanza storica dell’unificazione, perfettamente coerente con il contesto storico e geopolitico dell’epoca, chiarisce Fasanella, è bene non dimenticare però che molte tappe del Risorgimento (su cui gli storici spesso sorvolano) maturarono in modo decisamente oscuro. Un giallo riguarda la misteriosa fine dello scrittore Ippolito Nievo, il “tesoriere” dei Mille: sapeva molte cose, avrebbe potuto raccontarle ai giudici che volevano interrogarlo. «Dopo lo sbarco – racconta ancora Fasanella – a Torino giunsero voci insistenti sui traffici dei garibaldini con la mafia: contrabbando d’armi, sperperi di denaro, arricchimenti improvvisi di garibaldini. Nievo fu richiamato nel capoluogo piemontese per riferire alla magistratura. Ma il piroscafo si inabissò al largo dell’isola di Capri. Ancora oggi non si conosce la causa dell’affondamento. Si parlò anche di una bomba a orologeria collocata a bordo. Forse quella è stata la prima strage di Stato della storia italiana».All’epoca, l’astuto Cavour era ancora al comando. Sapeva perfettamente che l’Italia neonata avrebbe dovuto vedersela con vicini potentissimi, decisi a dettar legge. Sperava, probabilmente, di tenerli a bada ancora una volta con la sua machiavellica diplomazia, in bilico tra Gran Bretagna e Francia? Se davvero è stato ucciso, come dicono gli inglesi, è probabile che gli autori del complotto temessero che potesse riuscire anche nell’impresa di fare dell’Italia un paese autonomo. Uno Stato pienamente sovrano, non infiltrato e dominato da potenze straniere. I documenti, conclude Fasanella, parlano chiaro: a Londra, la morte di Cavour fu archiviata come omicidio politico. «Era entrato in conflitto con troppi soggetti, italiani e stranieri». Il suo progetto, un’Italia davvero indipendente, sembra dunque sfumato quel giorno, il 6 giugno del 1861, con la pozione letale di cianuro somministrata dal medico personale del primo Re d’Italia. In compenso, i suoi “metodi” sono rimasti. E hanno fatto scuola: nel 1943 gli americani conquistarono la Sicilia con l’aiuto di Lucky Luciano e Calogero Vizzini, mentre a Napoli fu utilizzato Vito Genovese, emanazione della “famiglia” di Carlo Gambino, il boss di Brooklyn. Una storia “sbagliata”, che arriva fino ai mandanti delle stragi impunite e all’esplosivo che disintegrò Falcone e Borsellino.Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.
-
Sovragestione: i padrini dell’Isis erano a Yalta nel 1945
Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».Perché siamo finiti tra le spire della “sovragestione”, che ultimamente ha preso di mira l’Europa con gli attentati di Parigi, Bruxelles e Nizza, regolarmente targati Isis? Per Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), non si può capire molto se non si legge tra le righe: l’origine del potere occidentale moderno è interamente massonico (democrazia, laicisimo). Ma nel dopoguerra la massoneria internazionale ha partorito 36 super-strutture segrete, chiamate Ur-Lodges (logge madri), che hanno intrapreso una gestione monopolistica della politica, dell’economia, della finanza. Alcune di queste hanno espresso una tendenza neo-conservatrice, aristocratica, neo-feudale. Fino all’eccesso: la strategia della tensione, i golpe in mezzo mondo. Avverte Magaldi: anche questo va interpretato; se sei consapevole di averla “inventata” tu, la modernità, mettendo fine all’assolutismo monarchico con la Rivoluzione Francese e all’oscurantismo vaticano con il Risorgimento italiano, può accadere che ti consideri il padrone del mondo, il nuovo mondo che hai contribuito in modo determinante a creare, abbattendo l’Ancien Régime.Il che è aberrante, ma aiuta a “vedere” come ragionano i capi supremi dell’élite mondiale reazionaria che dagli anni ‘80 ha preso il sopravvento, dichiarando guerra alla democrazia e imponendo la sua globalizzazione a mano armata, gestita dalle multinazionali finanziarie. E a questo disegno appartiene anche l’ultimissima stagione: quella del terrore, che ci sta investendo. Non a caso, nel mirino è finita anche l’Europa, terremotata dall’austerity. Se da qualche anno il terrore “islamista” si rivolge contro l’Europa, scrive Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, «non è certamente perchè il “sovragestore” vuole distruggerla». Al contrario: l’élite occidentale che organizza il terrorismo-kamikaze «ha interesse che rimanga così», questa Unione Europea interamente in mano a loro, gli oligarchi della finanza. Ergo: «Il neoterrorismo deve impedire che l’Europa si liberi dal giogo monetario delle banche e dalla soggezione al potere finanziario». Sono sempre “loro”, gli uomini al comando dietro le quinte: ieri col Trattato di Maastricht che ha rovinato l’Italia, poi con i diktat della Troika che hanno ridotto la Grecia alla fame. Gli europei cominciano a ribellarsi? Ed ecco gli attentati “islamici”. Il regno della paura serve a questo: impedire che si evada dal “lager”. La violenza terroristica è in aumento? Altro segnale, aggiunge Carpeoro: qualcuno, davanti a tanto sangue, si sta sfilando dall’élite criminale. E allora, forse, il super-vertice comincia ad avere paura, a sua volta. Per questo preme sull’acceleratore delle stragi.Secondo Carpeoro, il male viene da lontano: è figlio del sistema economico attuale. Il capitalismo finanziario mondializzato è feroce, disumano: perché qualcuno stia meglio, bisogna che qualcun altro stia peggio. Mors tua, via mea. Da lì in poi, “vale” tutto. Anche la guerra. Fino al neoterrorismo della “sovragestione”. Guai, infatti, se dovessero trionfare gli ideali proclamati all’Onu, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Erano il cardine della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fortemene voluta dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt, secondo la quale «nessun sistema, nessun regime politico, nessuna dottrina sociale può essere giusta se ogni individuo, fino all’ultimo pigmeo africano, fino al più sfruttato lavoratore cinese o coreano, non può vivere con dignità o senza poter aspirare alla sua porzione di spazio spirituale e vitale, cioè di felicità». E allora ecco il “terrorismo interno” di oggi, la nuova strategia della tensione, che «salda il rapporto tra il popolo e il potere con il collante della paura, com’era già accaduto ai tempi di Al-Qaeda e delle Torri Gemelle». Perché poi la manovalanza è islamica? Opera nostra, anche quella: a partire da Yalta, dalla scelta di non dare uno Stato ai palestinesi.Una decisione fatale, dice Carpeoro, che determinò il ritiro dalla scena della componente più ispirata del mondo esoterico occidentale, la “fratellanza” dei Rosacroce, delusa dal patto di spartizione mondiale firmato da Roosvelt, Churchill e Stalin. Attorno alla “leggenda storicamente accaduta” dei Rosacroce, di cui è un grande studioso, Carpeoro ha scritto anche un romanzo, “Il volo del Pellicano”, edito da Melchisedek. Avvocato e giornalista (all’anagrafe, Gianfranco Pecoraro), Carpeoro è stato gran maestro della massoneria più “indipendente” (33esimo grado del Rito Scozzese), a capo di una comunione massonica auto-scioltasi per scongiurare pericolose infiltrazioni di potere. Ai Rosacroce si sarebbero ispirate correnti “deviate” fino al satanismo e vicinissime alla super-élite del massimo potere, quella della “sovragestione” degli “uomini che si credono Dio”. Di ben altra caratura, invece, i veri Rosacroce, il cui ultimo “Ormùs” fu il pittore Salvador Dalì, con accanto personaggi come Picasso, Erik Satie, Jean Cocteau, il regista moldavo Emil Loteanu. Era stata proprio la “paramassoneria” di potere, scrive Carpeoro, a sabotare – a Yalta – il grande progetto rosacrociano per il dopoguerra: pace in Medio Oriente. Vinsero gli altri, i protagonisti delle future Ur-Lodges: niente pace, meglio la guerra. Opportuno, quindi, coltivare i focolai dell’odio, partendo proprio dalla Palestina, in mezzo agli emirati del petrolio.«Il tutto – scrive Carpeoro – si concluse con la istituzione del solo Stato di Israele». Sicché, «non risulta niente affatto avventato definire tale esito come la premessa del sorgere di un progenitore del neoterrorismo islamico, e cioè quello palestinese, nella prima versione dell’Olp». Dal Medio Oriente all’Italia: «Altrettanto accadde in occasione dell’omicidio del povero Enrico Mattei, reo di voler sottrarre il mondo del petrolio arabo alla gestione economica, ma anche culturale, della lobby delle Sette Sorelle, in nome della sua formazione socialista, scarsamente sensibile al perpetuarsi del potere di certi sceicchi e califfi». Tessere di un mosaico, nemico della democrazia, da sud a nord: «Il progetto europeo di caratura liberalsocialista veniva definitivamente sabotato tramite l’omicidio del suo leader politico e spirituale Olof Palme, mettendo le basi di questa disgraziata Europa attuale, burocratica e disumana, unione solo di banche e burocratica distruttrice di economie produttive a favore di una finanza ormai astratta, estranea da ogni legittima aspirazione di popoli e individui». E dopo la Svezia, la “sovragestione” colpì di nuovo in terra d’Israele con l’omicidio del leader ebreo Rabin, «protagonista di una pax massonica, stavolta nel senso autentico, in Medio Oriente, che tanto aveva preoccupato i Signori della Guerra e del Terrore».Come dire: solo gli sprovveduti possono pensare che il tragico carnevale dell’Isis nasca dal nulla. Passo su passo, di attentato in attentato, l’Occidente ha fabbricato «una polveriera che si chiama Islam», ma attenzione: «Darle questo nome è un abuso nei confronti della dottrina religiosa in questione», che infatti è stata «modificata, redatta, interpretata nell’ignoranza e nell’arretratezza, sponsorizzata dai satrapi del petrolio e dai potenti protetti dall’Occidente per incrementare odio e integralismo da utilizzare per la autoconservazione di un potere assoluto e cieco». Luoghi comuni: «Quando si dice Islam, automaticamente si pensa al mondo arabo, ma la logica delle divisioni etniche in questo caso non aiuta: il popolo turco non è arabo, quello afghano tanto meno, e neanche la quasi metà del popolo indiano islamico e di quello africano». In realtà, aggiunge Carpeoro, la grande religione islamica è stata «riadattata a strumento permanente di supporto a regimi politici integralisti e assoluti, neganti ogni diritto e ogni libertà democratica, fautori di sistemi sociali dove c’è chi ha tutto funzionalmente allo sfruttamento di chi non ha nulla». Solo così, quella religione «è diventata il collante di popolazioni quasi abbrutite dall’ignoranza e dal bisogno, tramite una rete di imam e presunti padri spirituali la cui presenza e la cui legittimazione era stata la prima cosa assolutamente proibita dal Profeta».I veri leader islamici sono stati emarginati, e la parte sana delle popolazioni travolte dal terremoto è «dormiente e passiva di fronte a questo scempio». E siamo ai giorni nostri: «Ecco che dalla disperazione del popolo palestinese, dai flagelli vari, siccità, malattie, povertà del popolo africano, dalle drammatiche divisioni tra popoli asiatici nasce e si diffonde una vera e propria figura antropologica: il terrorista». Al terrorista, per decine di anni, «viene offerta la prospettiva simbolica che gli ha consentito di accettare il rischio di sacrificare la sua vita: il riscatto sociale». E i terroristi di oggi, annidati nelle nostre città che si vantano si realizzare una vera integrazione? «Quella che noi chiamiamo “integrazione” è stata solo la trasmissione di schemi consumistici e disumanizzanti», sostiene Carpeoro. Questo processo, è vero, «ha soppiantato il potenziale esplosivo del vecchio terrorismo», ma ne ha anche fatto impallidire le motivazioni sociali e politiche, che almeno ne consentivano la comprensione, mantenendo «un minimo di possibilità di recupero umano e sociale».Ora è tardi: «Aiutata dalla sapiente diffusione di nuove droghe raffinate e di ulteriori adattamenti snaturanti della religione islamica, la mutazione antropologica del terrorista si è ulteriormente evoluta: da esseri comunque umani a macchine del terrore». L’Isis, appunto: uomini «addestrati e resi dipendenti da varie droghe in campi adeguatamente finanziati e organizzati». Questo esercito di neoterroristi «è oggi pronto a spargersi nelle nostre città come metastasi di un carcinoma, e noi siamo impotenti». Ma attenzione: «E’ un esercito “sovragestito”, anche se dubito molto che chi ne fa parte ne sia consapevole». Sono temi che lo stesso Carpeoro approfondirà in un saggio che si annuncia esplosivo, “Dalla massoneria al terrorismo”, che uscirà in autunno per i tipi di Uno Editori. Si scrive Isis, ma si legge “sovragestione”. Il problema siamo noi, il nostro sistema: che va radicalmente bonificato nella sua struttura occulta di potere. «La vera scommessa dell’Occidente è la nascita di un Neoumanesimo».Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».
-
Sesso e potere, la virilità di Cristo. E il Natale ha 5000 anni
Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutto maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.Nasce così l’attuale sistema di potere, che in un suo saggio del 2004 Saba Sardi chiama “dominio”. Temi anticipati da “Il Natale ha 5000 anni”, volume popolato di vicende e personaggi che, prendendoci per mano, ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: «Dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità», riassume Sonia Fossi nell’intervista ripresa dal blog di Gianfranco Carpeoro. Ma è nella crisi generale di 5000 anni fa che Francesco Saba Sardi individua «il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi». E così, «la speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici». Sicchè, il Cristianesimo «è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo». Ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane?“Il Natale ha 5000” anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione, precisa Sonia Fossi. Cosa accadde nel 1958? «Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”». La rivista dei gesuiti, allora diretta da padre Enrico Rosa, «dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di padre Rosa». Che cosa ha fatto e cosa può ancora fare paura del suo libro? «Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema: ma il mito non è bugia». Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente, spiega Saba Sardi. «Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità».Su quali elementi – domanda la giornalista – basò la sua confutazione padre Rosa? «La mia tesi è inconfutabile», risponde lo studioso. «Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza, perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo». Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come ad esempio la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpretare questo percorso? «E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore». Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso? «Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora».La narrazione cristica ha però avuto un’immensa fortuna: perchè? «La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio», spiega Saba Sardi. «La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno». Attenzione: «Nessun potere può affermarsi se non è incarnato; così, il potere si materializza in una parte del corpo». Al che, «sesso e potere diventano tutt’uno». Si badi: «Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo, a promettere l’Età dell’Oro». Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie – aggiunge Saba Sardi – sono sempre «al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio». Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, osserva Sonia Fossi. Ma se l’umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione? «Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza».«Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità», insiste Saba Sardi. «L’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea: non è la parola che inventa il mondo, ma sono gli oggetti che iniziano a imporre le parole». Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo? «Come abbiamo già detto la maschilità», risponde l’autore. «Il fatto che devono affrontare dei pericoli: ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto è che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo». In altre parole, attraverso l’evocazione della divinità, «il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola».Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, scrive la Fossi, anche se ognuno chiama questo tempo che ci attende con le proprie parole: cosa rappresenta questa visione? «Nostalgia e speranza», dice Saba Sardi. «Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro». Ed ecco il nostro tempo: «La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi». Tornare indietro? «E come? Tornando alla caccia? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti».Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. «Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio: il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia che è immediatezza e spontaneità, è ciò che sopravvive ancora nei bambini». Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle? «No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa». Ratzinger ha detto di continuo che il Cristianesimo è razionale. «I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova». Mentre la scienza «parte da ipotesi che debbono essere provate», la religione «al posto delle ipotesi mette delle certezze aprioristiche», cioè «dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici».La storia dell’uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Gente come Giordano Bruno, disposta a pagare con la vita. Oggi, domanda Sonia Fossi, un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe? «Incontrerebbe un padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo», risponde Saba Sardi. Ma la Chiesa «è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità». Infatti, “Il Natale ha 5000 anni” mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non viene negata, ma mostrata. Quei dipinti «sono esistiti fino al Concilio di Trento», poi sono stati occultati. «Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento», sostiene lo studioso. La copertina del libro sotto accusa, ad esempio, mostra la “Sacra Famiglia” di Hans Baldung Grien, datata 1511. «L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo, mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo».Da cattolici e protestanti «si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali», afferma Saba Sardi. «In più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”». Eppure, aggiunge lo studioso, «la virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana». Sicchè, «negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo; questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia».Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo – ragiona Sonia Fossi – come siamo arrivati alla negazione? Nel Cristianesimo, Saba Sardi distingue tre fasi: nella prima, la fase Agostiniana, «Dio è Padre, severo e unilaterale: concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno». La seconda è la fase del Rinascimento: «In questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio, che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue». Poi arriva il Concilio di Trento, che apre la terza fase del Cristianesimo, in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. «Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive». La poesis è pericolosa, conclude Saba Sardi: «Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere, quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo».Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutti maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.
-
Ma quest’Europa è da cestinare: partiti, prendetene atto
Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».Vale a dire: l’esatto opposto del “mostro tecnocratico” rappresentato oggi dall’Ue, che per Moiso – esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi – va assolutamente archiviato e superato, varando una vera federazione paritaria da realizzare a qualsiasi costo, «tramite un’evoluzione dell’attuale Unione Europea o tramite la sua dissoluzione». Nulla di simile è in vista, però, stando alle velleitarie conversazioni che hanno avuto luogo a Ventotene, dove sono emerse soltanto proposte «contingenti al contesto politico attuale e completamente incapaci di ridisegnare il progetto europeo, per ridargli senso e finalità». Se infatti «è auspicabile identificare un gruppo di nazioni disposte a proseguire verso una federazione degli Stati europei», partendo quindi dai partner di maggior peso come appunto Francia, Italia e Germania, «non è certo con i temi dell’esercito, della difesa e del rigore finanziario che si possono riaccendere gli animi per far ripartire il processo di unificazione europea».L’unione federale delle nazione europee è un progetto ambizioso, insiste Moiso, «ed è con ambizione che bisogna affrontarlo, senza cedere a particolarismi nazionali e comprendendo la necessità e l’opportunità, nel 21° secolo, di un’unione politica, economica e sociale del vecchio continente». I futuribili Stati Uniti d’Europa? «Dovranno essere capaci di restituire dignità (economica e sociale) e sovranità (politica) al popolo europeo, rimettendo l’uomo al centro del confronto politico e ridando al Parlamento continentale – eletto tramite suffragio universale – il ruolo di legislatore, di fulcro del processo integrativo e della governance complessiva dell’Europa: ruolo oggi usurpato malamente dalla Commissione Europea e sciaguratamente da una Banca Centrale Europea asservita ad interessi privati». Soltanto attraverso una completa ridefinizione del ruolo e delle finalità degli “Stati Uniti d’Europa”, conclude Moiso, «il 21° secolo potrà vedere un’ulteriore evoluzione della società in senso democratico ed egualitario, su scala globale».Organismo meta-partitico sorto per sollecitare il “risveglio” dei partiti sui temi più strategici, il Movimento Roosevelt proprone «l’apertura di un cantiere, trasversale alle identità partitiche e movimentiste, che avrà la finalità di riscrivere la Costituzione Europea per rilanciare un progetto sinceramente democratico e social-liberale». Imposta come un approdo istituzionale necessario e non negoziabile, l’attuale Ue – rivelatasi un formidabile strumento di controllo geopolitico per ingabbiare l’Europa, bloccando lo sviluppo delle relazioni con Mosca dopo la caduta del Muro – è stata in realtà progettata come una struttura autoritaria e antidemocratica: un comitato d’affari dove migliaia di lobbisti condizionano la Commissione, le cui direttive – scritte sotto dettatura – esaudiscono i voleri delle maggiori multinazionali. Il capolavoro dell’Ue consiste nell’aver demolito la sovranità democratica neutralizzando l’autonomia finanziaria degli Stati, obbligati – con l’euro – a ricorrere al mercato anche per rifornirsi di moneta, strumento indispendabile per la pianificazione strategica dell’economia. E’ la morte dell’interesse pubblico, come spiega Paolo Barnard: lo Stato è costretto a ricorrere e prestiti, esattamente come fosse una famiglia o un’azienda.E senza più la minima capacità di investire, utilizzando lo strumento-chiave del deficit positivo (il debito pubblico che ha permesso lo sviluppo del dopoguerra, del quale stiamo ancora beneficiando – infrastrutture, servizi) lo Stato è costretto a tagliare e privatizzare i settori vitali del welfare e a super-tassare il settore privato, aggravando la crisi, come più volte sottolineato da economisti indipendenti del calibro di Nino Galloni: se persino la moneta è “privatizzata”, cioè non più a disposizione del bilancio in modo teoricamente illimitato, si innesca una spirale depressiva che si traduce nel disastro economico che stiamo vivendo, di cui – in ultima analisi – è vittima anche lo Stato, che vede costantemente diminuire il gettito fiscale, nonostante l’aumento esasperante delle imposte. L’Europa sta rischiando grosso: l’allarme viene dalla catastrofe della disoccupazione, dal Brexit, dall’emergere della protesta attraverso il crescente consenso popolare di cui godono i nuovi movimenti nazionalisti, ostili alla gestione monopolitica del potere da parte di Bruxelles. Riscrivere le regole, da zero: mission impossibile? L’ostacolo enorme è rappresentato dalla super-piramide del potere finanziario, il vero padrone dell’Ue. Primo passo, per il Movimento Roosevelt: cominciare almeno a “costringere” i partiti a prendere atto che, così, non si può più andare avanti.Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».
-
Soros con Renzi: Sì al referendum, cioè al diktat della Bce
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere, iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino Craxi. Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di governabilità e decisionismo. Allora si lanciò il progetto di una “grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere di decidere del governo e del suo capo. Craxi accompagnò questo suo disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla scala mobile. Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed economico del decisionismo rivendicato. Nel mondo della globalizzazione dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di una grande impresa che al governo democratico della società.Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico. Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti. Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi. Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste. Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta? Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere. La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi. Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro? E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque. E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione? E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11? Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima. La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico. Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole. La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi. Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale. Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro. Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale. Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato. L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza. Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi? No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro. Una Costituzione classista? No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica. Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni. Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza. La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa. Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando. Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera. Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare. Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini. Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali. I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119. I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere. Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo. In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe. Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo. Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente. Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale. Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa. Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante. È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale. Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea. Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese. E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale. Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi. Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca. Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista. Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
-
Ce l’hai con Matteo? Ti spezzano le gambe, su Internet
Bene, ora lo sappiamo: Matteo Renzi e Filippo Sensi possono contare su un esercito invisibile. Che c’è per loro ma non c’è per il pubblico. Un esercito composto da un numero imprecisato di blogger incaricato di battere il web per sostenere le posizioni del premier e denigrare quelle degli oppositori. Il tutto sotto mentite spoglie. Già perché i guerrieri del web , ma sarebbe meglio chiamarli i “picchiatori del web”, mica dichiarano la propria appartenenza politica. Si presentano come normali internauti, appassionati di politica che passano ore su Facebook, su Twitter, sui blog a duellare con foga, per creare l’onda pro Renzi o spezzare quella anti Renzi. Roba da professionisti. La notizia del “Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa, in cui si narra che Filippo Sensi ha invitato a “menare Di Battista sulla Libia” non è un fatto di colore, non è un colpo di sole estivo come è stato trattato dai giornali, che hanno evidenziato come il portavoce si sia sbagliato di chat, scrivendo il messaggio su quella usata per mandare comunicati ufficiali ai giornalisti. E’ ben più grave.Benché Sensi si sia premurato di fornire una spiegazione, che peraltro non ha convinto nessuno, è evidente che pensava di scrivere su un’altra chat, molto riservata, molto verosimilmente quella in cui i finti blogger aspettano il messaggio del giorno per poi colpire sul web. Costruire ma soprattutto distruggere. Senza pietà. Idee, ma anche persone. In questo caso Di Battista. Fino a pochi mesi fa Casaleggio. Da sempre Salvini. E occasionalmente Berlusconi. In ogni caso chi si oppone alla volontà del Narciso di Rignano. Dirige il Maestro Sensi. Ma come, penserete voi, il portavoce di un primo ministro fa queste cose? Non dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, nel rispetto di un mandato che è comunque istituzionale? Certo che dovrebbe. Ma quando ci sono di mezzo gli spin doctor tutto diventa relativo e opinabile. Quel che conta è l’obiettivo, che va raggiunto ad ogni costo. Sia chiaro: lo fanno anche altrove, in Francia, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, paesi imbevuti di spin, ma dove si cerca di salvaguardare le apparenze, anche solo per tutelare il presidente o il premier.A occuparsi di queste utilissime ma poco presentabili attività non è mai direttamente il portavoce del presidente o del premier, bensì qualcuno che fa da filtro e che, nell’improbabile ipotesi che la stampa se ne accorga, possa essere sacrificato. Quel che colpisce di Renzi e del suo spin doctor Sensi è l’arroganza, è la sfacciataggine, è la certezza di non essere denunciati dai giornalisti. Altrove nessun premier si permetterebbe di minacciare direttori di giornali con frasi del tipo “ti spezzo le gambe”, di inviare sms intimidatori, di occupare la Rai per spegnere qualunque voce di dissenso e, a quanto pare, persino la libertà di satira. Nessun portavoce riuscirebbe a rimediare alla gaffe della chat con una battuta, peraltro poco riuscita e per nulla credibile. In Italia, nell’Italia di Renzi, invece è pratica corrente. Sanno, Matteuccio e il suo abile propagandista, che la maggior parte dei giornalisti, con poche lodevoli eccezioni, preferirà tacere, per convenienza, anziché battere i pugni sul tavolo. Solo dopo, solo quando Renzi, nonostante l’overdose di spin, sarà finito, tuoneranno. Dopo, quando non c’è nulla da rischiare.(Marcello Foa, “Renzi e i picchiatori del web, una verità imbarazzante”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il Giornale” dell’11 agosto 2016).Bene, ora lo sappiamo: Matteo Renzi e Filippo Sensi possono contare su un esercito invisibile. Che c’è per loro ma non c’è per il pubblico. Un esercito composto da un numero imprecisato di blogger incaricato di battere il web per sostenere le posizioni del premier e denigrare quelle degli oppositori. Il tutto sotto mentite spoglie. Già perché i guerrieri del web , ma sarebbe meglio chiamarli i “picchiatori del web”, mica dichiarano la propria appartenenza politica. Si presentano come normali internauti, appassionati di politica che passano ore su Facebook, su Twitter, sui blog a duellare con foga, per creare l’onda pro Renzi o spezzare quella anti Renzi. Roba da professionisti. La notizia del “Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa, in cui si narra che Filippo Sensi ha invitato a “menare Di Battista sulla Libia” non è un fatto di colore, non è un colpo di sole estivo come è stato trattato dai giornali, che hanno evidenziato come il portavoce si sia sbagliato di chat, scrivendo il messaggio su quella usata per mandare comunicati ufficiali ai giornalisti. E’ ben più grave.
-
L’auto-golpe del boia Erdogan, ladrone e super-terrorista
“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?E allora tutti, da Obama al “Manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto.Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di Eni, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno? Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “Manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la «centralità del Parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico» (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la Cnn turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada. Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”.Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le Cnn e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’Ue,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e Ttip, tanto per assicurarci sulla «centralità del Parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico», come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino. Cosa può essere successo?Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma, davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il «ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini». Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “Manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale. Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati «la centralità del Parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico», come temeva il “Manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’Mi6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto.(Fulvio Grimaldi, “Turchia, fanno tutto da soli e sono capaci di tutto”, da “Mondocane” del 17 luglio 2016).“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.
-
La sinistra europeista che teme il popolo e la democrazia
Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5 Stelle sull’Europa sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a qualcosa…). In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche. Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché falcidiato da precariato, redditi miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene da fuori e dal basso.Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i paesi europei – che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso, dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos), del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza. Il populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc. trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del lavoro, costruire organismi di democrazia diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma esistente di democrazia è appunto il populismo.(Carlo Formenti, “Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia”, da “Micromega” del 28 giugno 2016).Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.