Archivio del Tag ‘Israele’
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Il Web da solo non basta: lo usano anche le dittature
Gheddafi ha spento Internet, ha chiuso la finestra attraverso cui il mondo giudicava i suoi crimini. S’illude così di trovare vendetta nel tempo senza tempo del deserto. In una lettera al direttore della rivista americana “Science” del 19 gennaio 1968, un lettore scriveva: «Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia». Spegnendo Internet, Gheddafi deve aver pensato di liquidare una specie di sortilegio che la modernità ha pronunciato contro la sua tirannia tribale. La Libia isolata può ora dedicarsi a girare le lancette dell’orologio al contrario, nell’illusione che tutto possa tornare come prima. Così anche il sangue versato resterà un segreto domestico.
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Giovani arabi: rivoluzione Al Jazeera, l’Occidente balbetta
Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Impero. E’ uno dei sintomi della crisi globale del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un figlio di molti fattori, che non possono essere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto.
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Gaza, martirio infinito: condannati a morire di cancro
Dopo il terrore e la strage, con le bombe al fosforo bianco lanciate in mezzo alle case fino a sterminare 1.300 persone, come ammesso dal Rapporto Goldstone delle Nazioni Unite, verrà l’ora della morte lenta: quella provocata dai tumori che minacciano la popolazione costretta a bere acqua inquinata dagli agenti tossici, eredità velenosa dell’Operazione Piombo Fuso scatenata dalle forze israeliane a cavallo tra 2008 e 2009. Una vera emergenza sanitaria incombe ora sul milione e 400.000 abitanti che vivono in condizioni quasi disperate nei 360 chilometri quadrati della Striscia di Gaza, stretta fra Israele, Egitto e Mediterraneo. La denuncia parte da Roma: a parlare sono le analisi inquietanti effettuate dal Cnr e dall’università La Sapienza.
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Via Mubarak, incognita Mediterraneo: l’ora della Turchia
Dopo la Tunisia, l’Egitto: e adesso trema l’Algeria insieme allo Yemen, mentre anche il Marocco scende in piazza a festeggiare la caduta di Mubarak insieme alle folle libanesi, giordane e palestinesi. Si sgretola la geografia post-coloniale di Nord Africa e Medio Oriente, congelata per cinquant’anni: da una parte le autocrazie petrolifere arabe commissariate dagli Usa, dall’altra la supremazia militare di Israele nella regione. Unica forza estranea al composito quadro che ora va disgregandosi, la potenza iraniana dell’Islam sciita: a sua volta destabilizzata dalle recenti pulsioni democratiche represse nel sangue, la Persia di Ahmadinejad tenta di attribuirsi meriti per la svolta egiziana, festeggiandola con Hamas a Gaza ed Hezbollah in Libano, mentre sale il prestigio del possibile stato-guida di domani, la Turchia.
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Contro Mubarak e gli altri dittatori che abbiamo allevato
Mubarak lascia sparare la sua polizia sulla folla e l’Onu avvia il ritiro dei suoi funzionari. Non è più tempo di esitare fra le incertezze di Obama e l’«avanti con il popolo egiziano» di Slavoj Zizek. Sto con Zizek. Non siamo di fronte a scelte tranquille e felici. Da un pezzo una cosiddetta laicità nel Maghreb e nel Medio Oriente è garantita soltanto da regimi dittatoriali. Da un pezzo lasciare libertà di voto può condurre a un’affermazione non solo islamica, ma islamista. Una democrazia in senso proprio, che non è soltanto fare le elezioni ma stabilire un’effettiva divisione dei poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – cioè una sicurezza di uguali diritti di fronte alla legge, non è garantita da nessuno.
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Rivoluzione Maghreb, un respiro del mondo
Chi si aspettava una rivolta popolare in Tunisia, in Algeria, in Egitto? Nessuno. Non la Francia, persuasa di detenere idealmente il controllo su un paese che era stato sua colonia e ha fatto una gaffe clamorosa proponendo a un Ben Ali, già in fuga, di mandargli a sostegno le sue forze più esperte in tema di repressione. Non gli Stati Uniti, che avevano nel vacillante Hosni Mubarak il più forte alleato in Medioriente, l’Egitto essendo uno dei due paesi ad aver riconosciuto formalmente lo stato di Israele e speciale nel dare un colpo al cerchio e uno alla botte nel conflitto fra Israele e Palestina.
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Israele vuol salvare Mubarak: appello a Usa ed Europa
Il presidente egiziano assediato dalla protesta, commissariato dai militari e scaricato dalla Casa Bianca scopre di avere un nuovo alleato: Israele. Il governo di Tel Aviv ha fatto pervenire un messaggio confidenziale agli Stati Uniti e ad alcuni paesi europei, chiedendo loro di sostenere Mubarak e il suo governo. Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz”, il governo Netanyahu sottolinea che è «interesse dell’Occidente», e di tutto il Medio Oriente, «mantenere la stabilità del regime in Egitto». Secondo Israele, «occorre di conseguenza mettere un freno alle critiche pubbliche contro il presidente Hosni Mubarak», il cui autoritarismo è stato clamorosamente smascherato a furor di popolo.
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L’Egitto dopo Mubarak: la svolta nelle mani dell’esercito
Dopo 150 morti, una settimana di scontri e tre notti di manifestazioni in aperta violazione del coprifuoco, coi carri armati nelle strade, il presidente Hosni Mubarak è prossimo alla resa: secondo il “Sunday Times” gliel’avrebbero intimata direttamente i militari, dopo che i soldati – invitati in piazza a sostituirsi alla polizia, responsabile della sanguinosa repressione – hanno fraternizzato coi dimostranti, decisi a protestare a oltranza fino alla caduta del “faraone”. A trattare ormai direttamente con l’esercito, unico potere rimasto in piedi in Egitto, sono il leader dell’opposizione democratica Mohammed El Baradei e l’uomo forte del regime di Mubarak, il generale Omar Suleiman, nominato vicepresidente. La stessa Casa Bianca chiede una transizione rapida, “scaricando” di fatto l’anziano dittatore sostenuto per decenni.
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Obama, l’Egitto e la dura legge imposta da Israele
Hosni Mubarak è un signore di 82 anni. Le manifestazioni di questi giorni hanno dimostrato, poi, quanto il popolo egiziano lo ama. Facendo queste due semplici considerazioni, ieri sera il presidente degli Stati Uniti ha fatto un discorso in cui ingiunge, con fare piuttosto autoritario, a Hosni Mubarak a fare delle “riforme” e a “dialogare” con il popolo. Questo non vuol dire mandare via Hosni Mubarak dopo 30 anni di fedele servizio; ma è una bella bacchettata a un impiegato che non ha saputo fare il suo mestiere. Così, quando Hosni Mubarak se ne andrà, o in Arabia Saudita o direttamente in Paradiso, la colpa non sarà data agli Stati Uniti.
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El Baradei: Usa-Israele, nuova era per il Medio Oriente
«È ora che anche il mondo arabo entri nel XXI secolo e l’Occidente deve aiutarci a farlo. Non è possibile continuare a controllare la regione con la violenza, la negazione dei diritti e la fame». Così Mohammed El Baradei, l’ex direttore dell’Aiea, Premio Nobel per la Pace e candidato democratico alla guida del futuro dell’Egitto. La clamorosa rivolta di Tunisi contro Ben Alì e quella tuttora in corso al Cairo contro Mubarak sono l’inizio di una nuova era per il Medio Oriente. L’insurrezione popolare? «È un fenomeno straordinario e spontaneo, che rappresenta davvero tutta la società egiziana». Il fantasma del fondamentalismo islamico? Solo un alibi, per puntellare la repressione del regime. Che ora però ha i giorni contati, nonostante il cambio di governo imposto dal “raìs”.
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La battaglia del Nilo assedia le dittature filo-occidentali
Decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti, i palazzi del potere assediati e presi d’assalto, i carri armati per le vie del Cairo sotto il coprifuoco, il presidente Mubarak che nella notte destituisce il governo provando così a restare in sella, nonostante la marea popolare che il 28 gennaio ha scosso dalle fondamenta il suo regime, da cui ormai prende le distanze anche Barack Obama. «Se cade Mubarak cade il Nord Africa»: questo lo spirito con cui l’Occidente assiste sgomento all’inatteso spettacolo rivoluzionario di decine di migliaia di egiziani, coordinati da Internet e social network, scesi in piazza per reclamare pane e libertà contro il regime che da trent’anni governa con pugno di ferro il paese dei Faraoni schiacciando i diritti democratici del popolo.
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Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.