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Italia, clima sabotato? Magaldi: possibile, ma improbabile
Qualcuno ha deciso di “bombardare” l’Italia scatenando tempeste e alluvioni? Le tecnologie di manipolazione del clima esistono, ammette Gioele Magaldi, che però aggiunge: chi mai potrebbe essere così irresponsabile da utilizzare deliberatamente, e in modo doloso, strumenti così pericolosi? La storia degli ultimi decenni, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dimostra che finora, anche nei momenti peggiori, è sempre prevalsa una sorta di saggezza di fondo: la stessa che, durante la Guerra Fredda, ha impedito a Usa e Urss di impiegare i rispettivi, devastanti arsenali nucleari. Certo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la catastrofe meteorologica che sta flagellando l’Italia impone un drastico ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente. Abusi e devastazioni possono presentare un conto salatissimo, anche se stavolta l’apocalisse delle Dolomiti – valli sventrate e intere foreste secolari cancellate – disegna un orizzonte inedito. Il panorama è più inquietante del consueto, drammatico bollettino di guerra stagionale fatto di strade interrotte, ponti crollati e paesi isolati, acquedotti lesionati e infrastrutture distrutte. La minaccia si chiama surriscaldamento climatico, e sembra inarrestabile. Gli alberi crollano, seminando morti e feriti, sotto trombe d’aria mai viste a queste latitudini. E potrebbe essere solo l’inizio.I paesi del Mediterraneo sono quelli più a rischio, dicono recenti studi universitari: ci siamo surriscaldati più del resto del mondo (+1,4 gradi centrigradi) e siamo stati bersagliati da un maggior numero di eventi estremi. Peggio: nei prossimi anni, per la nostra area si prevede un riscaldamento del 25% in più rispetto alla media mondiale. I dati emergono da una ricerca internazionale condotta da svariati atenei dell’area (Marsiglia e Barcellona, Salento e Nicosia, Haifa e Rabat), pubblicata sulla “Nature Climate Change”. Il riscaldamento nel Mediterraneo è più elevato che nel resto del mondo per una serie di motivi combinati tra loro: «La regione si trova in una zona di transizione fra i regimi di circolazione atmosferica delle medie latitudini e della fascia subtropicale. È caratterizzata da una complessa morfologia di catene montuose e forti contrasti terra-mare, una popolazione umana densa e in crescita, e varie pressioni ambientali». Secondo 13 agenzie Usa, è colpa dell’uomo se si registrano temperature da record. Quelle degli Stati Uniti sono aumentate drammaticamente negli ultimi decenni, toccando il loro livello più alto da 1.500 anni. A dirlo è un rapporto federale: per gli scienziati, dal 1880 al 2015 le temperature sono aumentate di 1,6 gradi Fahrenheit (0,9 gradi centigradi) e le cause sono da considerarsi legate al comportamento degli esseri umani.Dal 1980 la situazione è addirittura precipitata, secondo il rapporto Usa, con un drammatico aumento delle temperature che ha portato al clima più caldo degli ultimi 1.500 anni: «Ci sono evidenze che dimostrano come le attività umane, specialmente le emissioni di gas serra, sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici rilevati nell’era industriale. Non ci sono altre spiegazioni alternative, non si tratta di cicli naturali che possano spiegare questi cambiamenti climatici». Secondo un rapporto dell’istituto europeo Climate Analytics, non sarà possibile contenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi centigradi se l’Unione Europea non avvierà da subito la chiusura di oltre 300 centrali a carbone. In Italia, l’impatto delle violentissime perturbazioni “tropicali” è reso ancora peggiore a causa dello stato di abbandono e di degrado di troppe aree: deforestazione e cementificazione selvaggia. Non è il caso però delle Dolomiti, dove sono stati rasi al suolo – in modo inaudito – migliaia di ettari di bosco in perfetta salute. A chi si interroga sull’anomalo infittirsi di scie rilasciate dagli aerei (paesi come Israele e la Cina ammettono di utilizzare l’aviodispersione per modificare il clima) si risponde che mancano riscontri certi sulle vere cause del disastro che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Certo è la Terra a presentarci il conto dei troppi abusi subiti, mentre il rialzo termico non accenna ad arrestarsi e le temperature restano pericolosamente molto al di sopra delle medie stagionali.A un quadro già così fosco è possibile aggiungere l’impatto di un’ipotetica modifica climatica segreta? Nel suo bestseller “Massoni”, Magaldi ha svelato i peggiori retroscena del potere mondiale. Sabotatori del clima a scopo anti-italiano? «Se qualcuno suppone che vi siano degli interventi proditori, questi sono tecnicamente possibili, in certi casi», ammette Magaldi: «Siamo nell’ambito del possibile, non sono tesi assurde o strampalate. Poi però – aggiunge – bisogna verificare i fatti, in termini scientifici, avendo la capacità di ricostruire una narrativa coerente e congruente». Innanzitutto: cui prodest? «A chi giova mettere in atto, da apprendista stregone, delle dinamiche tragiche e che possono diventare incontrollabili?». Si tratterebbe di «strumentazioni potentissime e pericolosissime», alla portata del Deep State e del back-office del potere? Se ad allarmarsi sono i comuni cittadini, che magari «seguono siti o pubblicazioni più o meno complottarde», figuriamoci se la situazione potrebbe mai cogliere di sorpresa «tutti i segmenti delle agenzie di intelligence». In altre parole: «Non è facile, fare delle cose del genere», ribadisce Magaldi. «Tenderei a ritenere poco plausibile, anche se possibile, che qualcuno voglia operare in questi termini, cioè scatenare proditoriamente e consapevolmente delle situazioni di questo tipo. Però – ripete – siamo nel campo delle ipotesi: in termini scientifici, se qualcuno ha gli strumenti (e le fonti) per approfondire in modo adeguato, lo faccia e lo racconti».Qualcuno ha deciso di “bombardare” l’Italia scatenando tempeste e alluvioni? Le tecnologie di manipolazione del clima esistono, ammette Gioele Magaldi, che però aggiunge: chi mai potrebbe essere così irresponsabile da utilizzare deliberatamente, e in modo doloso, strumenti così pericolosi? La storia degli ultimi decenni, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dimostra che finora, anche nei momenti peggiori, è sempre prevalsa una sorta di saggezza di fondo: la stessa che, durante la Guerra Fredda, ha impedito a Usa e Urss di impiegare i rispettivi, devastanti arsenali nucleari. Certo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la catastrofe meteorologica che sta flagellando l’Italia impone un drastico ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente. Abusi e devastazioni possono presentare un conto salatissimo, anche se stavolta l’apocalisse delle Dolomiti – valli sventrate e intere foreste secolari cancellate – disegna un orizzonte inedito. Il panorama è più inquietante del consueto, drammatico bollettino di guerra stagionale fatto di strade interrotte, ponti crollati e paesi isolati, acquedotti lesionati e infrastrutture distrutte. La minaccia si chiama surriscaldamento climatico, e sembra inarrestabile. Gli alberi crollano, seminando morti e feriti, sotto trombe d’aria mai viste a queste latitudini. E potrebbe essere solo l’inizio.
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Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?
Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.«La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.«Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».«Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?«La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.
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Nazi-Bolsonaro (e da noi Salvini) grazie alla post-sinistra
Jair Bolsonaro ha vinto in Brasile come Salvini ha vinto in Italia. Il primo è parecchio differente dal secondo. Salvini è uno stampino del Populismo di Bannon, di Le Pen, gente piuttosto puzzolente e ignorante. Bolsonaro non ha nulla a che vedere col Populismo, è un neo-nazista della vecchia scuola dei generali neo-nazisti che Jf Kennedy e suo fratello Bob impiantarono in America Latina dal 1962 in poi, con le conseguenze che sappiamo in tutto il continente. Da militare Bolsonaro disse senza problemi che «ci vuole una strage di almeno 30.000 brasiliani, e nessuno in galera, proprio ammazzati, poi se ci vanno di mezzo gli innocenti, pazienza, capita». E’ dichiaratamente a favore della tortura e degli omicidi extra-giudiziali. Quindi se i Salvini-types sono grezzi fascistoidi, questo è un neo-nazista dichiarato. La domanda che ci poniamo tutti è: ma è possibile che un elettorato, quello brasiliano, che fu moderato o addirittura di sinistra faccia capriole di questa portata? La risposta non la do io, perché ho l’umiltà di ammettere quando qualcuno ne ha formulata una più sinteticamente brillante di quella che pensavo.Eccola: «Dov’erano i centro-sinistra (i liberals in inglese, nda) quando la Wall Street che Barack Obama ha salvato strangolava il popolo del Brasile affinché ripagasse debiti accumulati dai suoi oligarchi? Il centro-sinistra è la linea diretta fra il capitalismo e il fascismo, non la sua antitesi» (Rob Urie, “Counterpunch”). Nel caso di Salvini e del becerismo che oggi trionfa con lui si può dire esattamente la stessa cosa, con minimi ritocchi: «Dov’erano i centro-sinistra (il Pd in primis, nda) quando la Ue che essi hanno voluto strangolava famiglie e aziende italiane affinché ripagassero debiti resi velenosi dalla moneta euro? Il centro-sinistra è la linea diretta fra il capitalismo e il populismo, non la sua antitesi». Ps: a quelli che mi attaccano perché bastono sia guelfi che ghibellini, rispondo: faccio il giornalista, non il politico, meno che meno il cheerleader.(Paolo Barnard, “La sinistra di Obama e del Pd, poi Bolsonaro e Salvini”, dal blog di Barnard del 30 ottobre 2018. Giornalista, già collaboratore dei maggiori quotidiani – “La Stampa”, “Il Manifesto”, “Corriere della Sera”, “Il Mattino”, “Il Secolo XIX” e “La Repubblica” – Barnard ha lavorato alla Rai con Michele Santoro in “Samarcanda”, prima di fondare “Report”, su Rai Tre, con Milena Gabanelli. Ha collaborato con Gianluigi Paragone a “L’ultima parola” su Rai Due e poi a “La Gabbia”, su La7. Fra i suoi libri, “Due pesi e due misure, riconoscere il terrorismo dello Stato d’Israele”, Andromeda, e “Perché ci odiano”, Bur, sullo scontro con l’Islam. Nel saggio “Il più grande crimine”, del 2011, ricostruisce la genesi oligarchica e antidemocratica delle istituzioni comunitarie europee).Jair Bolsonaro ha vinto in Brasile come Salvini ha vinto in Italia. Il primo è parecchio differente dal secondo. Salvini è uno stampino del Populismo di Bannon, di Le Pen, gente piuttosto puzzolente e ignorante. Bolsonaro non ha nulla a che vedere col Populismo, è un neo-nazista della vecchia scuola dei generali neo-nazisti che Jf Kennedy e suo fratello Bob impiantarono in America Latina dal 1962 in poi, con le conseguenze che sappiamo in tutto il continente. Da militare Bolsonaro disse senza problemi che «ci vuole una strage di almeno 30.000 brasiliani, e nessuno in galera, proprio ammazzati, poi se ci vanno di mezzo gli innocenti, pazienza, capita». E’ dichiaratamente a favore della tortura e degli omicidi extra-giudiziali. Quindi se i Salvini-types sono grezzi fascistoidi, questo è un neo-nazista dichiarato. La domanda che ci poniamo tutti è: ma è possibile che un elettorato, quello brasiliano, che fu moderato o addirittura di sinistra faccia capriole di questa portata? La risposta non la do io, perché ho l’umiltà di ammettere quando qualcuno ne ha formulata una più sinteticamente brillante di quella che pensavo.
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Se Trump ha bisogno di Roma per far guerra a Bruxelles
A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.«Il tema dell’immigrazione è stato fondamentale anche in America per la campagna elettorale di Trump», ricorda la Bocchi. La popolazione americana sta cambiando rapidamente, e quella di origine europea rappresenta il 62% delle persone, mentre qualche anno fa l’85%. E Trump ha un particolare interesse a quello che sta accadendo in Europa. C’è un’affinità culturale tra l’America e l’Europa perché Trump è di origine europea, ma c’è anche un interesse strategico per via del fatto che la sicurezza in Europa è a repentaglio per colpa del terrorismo «importato dagli immigrati», dice Daniel McCarthy, uno scrittore americano ed ex-direttore del “The American Conservative”, un giornale intellettuale alternativo. Un altro tema sulla quale i due paesi condividono interessi è quello dell’Unione Europea, in particolare verso il controllo che la Germania ha su di essa. «Trump non è contro l’Unione Europea in sé, ma lo è per come viene governata al giorno d’oggi dalla Germania», dice ancora Enjeti. «Il rapporto tra questa Casa Bianca e la cancelliera tedesca Angela Merkel è molto conflittuale». Trump era a favore della Brexit durante la sua campagna elettorale e ha cercato di imporre dei dazi sull’Unione Europea in modo tale da danneggiare soprattutto l’industria tedesca.Anche l’Italia ha dei conflitti economici con Bruxelles all’interno della moneta unica, che si sono manifestati particolarmente con il nuovo governo gialloverde. Non a caso, l’America potrebbe comprare i bond (titoli di Stato) italiani per aiutare a tenere in piedi il nostro sistema bancario. Ma non sono tutte rose e fiori, ammette Alessandra Bocchi: Usa e Italia infatti faticano ad allinearsi sulla politica estera, anche se questo non sembra avere alterato i rapporti tra i due Stati, anche perché sarebbe l’establishment repubblicano, e non Trump, a volere continuare la politica americana in Medio Oriente degli ultimi vent’anni. «Fino ad oggi, infatti, un ruolo fondamentale nella politica estera americana è stato ricoperto dai neoconservatori, che hanno spinto per fare guerra in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria. Durante la sua campagna elettorale, Trump aveva promesso la fine di queste guerre, rimettendo al centro gli Stati Uniti: “America first”». Una promessa simile a quella del leader della Lega Matteo Salvini, con lo slogan “Prima gli Italiani”. Entrambi si sono opposti agli interventi militari in Iraq, in Libia e in Siria, nonché all’ostilità verso la Russia che aveva caratterizzato la gestione Obama.Detto questo, da quando è diventato presidente, Trump ha bombardato la Siria sotto il controllo del presidente Bashar al Assad due volte, e ha preso una posizione ancora più dura con le sanzioni contro l’Iran. «Non è un segreto che c’è una guerra interna tra l’establishment repubblicano e la linea del presidente», conferma Curt Mills, reporter di politica estera per “The National Interest”, un giornale di relazioni internazionali americano. «L’establishment è fortemente contro la Russia, e non vedo una possibilità di avvicinamento verso quel paese in questo momento», ammette Mills. Da una parte Trump condivide la linea del nuovo governo italiano, che vuole che ci sia una fine all’ostilità verso il presidente russo Vladimir Putin, dall’altro è estremamente ostile all’alleato russo più importante in Medio Oriente: l’Iran. Proprio Teheran è il nemico principale di Israele, che a sua volta è l’alleato più importante dell’America in Medio Oriente, ragiona Alessandra Bocchi.Gli Usa? Dopo l’omicidio di John Kennedy, che aveva contestato a Tel Aviv la costruzione clandestina della centrale nucleare di Dimona, con tecnologia francese, Washington ha sempre «appoggiato Israele quasi incondizionatamente, anche a discapito dei propri interessi». Benché Trump sia riuscito a ottenere un rapporto meno conflittuale in Medio Oriente rispetto ai suoi predecessori Obama e Bush, è ancora da vedere quanto riuscirà a resistere ai neoconservatori del partito repubblicano, sottolinea Alessandra Bocchi. E anche se restano irrisolti i maggiori interrogativi sull’intesa italoamericana per il Medio Oriente e soprattutto per il rapporto problematico con la Russia di Putin, che difendendo la Siria dall’aggressione dei jihadisti armati dalla Nato ha riproposto il ruolo geopolitico di Mosca nel cuore del Mediterraneo, si sta comunque sviluppando «un asse americano e italiano, che insieme ad altre forze populiste in Europa collabora sui temi come la lotta all’immigrazione di massa e l’egemonia di Bruxelles in Occidente». Musica, in altre parole, per il governo gialloverde assediato ogni giorno dal fantasma dello spread, sapientemente pilotato dagli oligarchi Ue d’intesa con Draghi, che non schiera la Bce a difesa dell’Italia.A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.
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Carpeoro: se il governo tiene duro, l’Ue subirà una lezione
Se non hanno scheletri negli armadi, Salvini e Di Maio possono tenere testa a Bruxelles. E se resistono, alla fine possono vincere. Letteralmente: «Se il governo tiene duro, l’Europa subirà una dura lezione». Parola di Gianfranco Carpeoro, scrittore e saggista, solitamente prudente sul governo gialloverde: un’alleanza anomala e provvisoria, costruita per fare di necessità virtù dopo lo spiazzante risultato elettorale del 4 marzo, che ha rottamato Pd e Forza Italia. Ora però le cose sono cambiate: il braccio di ferro con l’Unione Europea sul deficit al 2,4% nella previsione 2019 del Def potrebbe rappresentare una sfida estremamente seria. La prima vera crepa nel cosiddetto Muro di Bruxelles, finora intoccabile. Strano, che Di Maio litighi con Salvini proprio mentre la Commissione Ue spara contro l’Italia? Un’abile manovra per distrarre l’opinione pubblica dall’attacco dell’Ue sul deficit? «No, quello tra Salvini e Di Maio è uno scontro su una cosa importante», sostiene Carpeoro: «I 5 Stelle sono giustizialisti, mentre Salvini vuole salvare il suo elettorato – che è fatto di imprenditori, in una buona quota evasori». Carpeoro crede si sia trattato di un incidente di percorso: «Per tutelare il suo elettorato, Salvini ha deciso di dare alla “pace fiscale” una certa veste, e Di Maio non voleva. Ma la ricomporranno, questa lite».Semplicemente, aggiunge Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, i due azionisti del governo «non si sono chiariti», soprattutto perché «in questo periodo non si sono parlati, dato che Salvini è sempre in Trentino», impegnato nella campagna per le elezioni regionali. «Alla fine, grazie a Giorgetti, il decreto sulla parte fiscale è uscito come lo voleva Salvini (e come non lo voleva Di Maio)». “Elementare”, quindi, il risentimento del leader grillino. Che però, secondo Carpeoro, è destinato a rientrare, visto che «i due ormai hanno maturato un rapporto abbastanza forte», capace di tenerli insieme. Al punto che, sempre secondo Carpeoro, i due alfieri gialloverdi sono a un passo dall’incassare un successo clamoroso: se il governo Conte non si piega al diktat di Bruxelles, potrebbe vincere: davanti a tutta l’Europa, l’Italia dimostrerebbe che gli oligarchi della Commissione non sono imbattibilli. «Avranno la forza di tenere duro? Se non hanno scheletri negli armadi e non vengono ricattati adeguatamente, sì. E se così fosse – aggiunge Carpeoro – paradossalmente, quello che voleva fare Bettino Craxi prima di essete “archiviato” lo farebbero questi personaggi. La loro è una linea craxista, e io ne sono soddisfatto».Da sempre convinto socialista, Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt e autore di saggi illuminanti sulle tante manipolazioni del potere – insiste sul pericolo (teorico) degli “scheletri negli armadi” dei gialloverdi: «Se ne non ne hanno, possono resistere. Se ne hanno, faranno marcia indietro». Non scordiamoci che siamo in Italia: «Da noi i dossier e gli archivi funzionano. Ricordo che, anni fa, una legge finanziaria molto importante fu cambiata perché l’allora presidente del Consiglio (non dico il nome, per evitare querele) aveva avuto la disaccortezza di non evitare che certe sue foto con una minorenne – anzi, con un congruo numero di minorenni – finissero nelle mani sbagliate». Beninteso: «Io dei fatti privati degli attuali politici non so nulla», sottolinea Carpeoro, che ribadisce: «Se non sono ricattabili, per qualunque motivo, e se tengono duro, alla fine questa battaglia la vincono, i signori Conte, Salvini e Di Maio». Nonostante gli altri possibili inciampi interni? Due nomi: il potente Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio (l’ipotetica “manina” evocata da Di Maio sul condono fiscale) e il presidente della Camera, il grillino Roberto Fico, che critica la linea dura di Salvini sui migranti. «Fico è un idealista e come tale si comporta», secondo Carpeoro. E Giorgetti? «Fa parte di un establishment sicuramente lontano da Di Maio e dallo stesso Salvini, anche se poi Salvini l’ha comunque utilizzato».Ostacoli interni e, soprattutto, nemici esterni: come George Soros. Intervistato da un giornale israeliano, Marcello Foa avrebbe accusato Soros di “pagare” europarlamentari del Pd, salvo poi correggersi: ci sono parlamentari europei del Pd “che sostengono Soros”. «Ha fatto bene a correggersi – dice Carpeoro – perché da anni Soros non ha più bisogno di pagare, per avere favori (che infatti riceve). E vorrei precisare – aggiunge – che Foa ha detto la verità: ancora una volta, il neo-presidente della Rai l’ho trovato condivisibile e coerente». Il magnate Soros, principe della peggiore speculazione finanziaria, è notoriamente il patron di Open Society, fondazione che finanzia le Ong incaricate di trasferire in Europa i migranti africani. Buonismo ipocrita: si predica l’accoglienza di profughi che provengono da paesi che l’Europa stessa depreda. La Francia di Macron sottrae ogni anno 500 miliardi di euro a 14 sue ex colonie, ma ovviamente il cattivo è Salvini, secondo i media mainstream che “sostengono” la dottrina Soros. Quanto incide, davvero, il supermassone Soros? «Tanto», ammette Carpeoro, «ma – aggiunge – la battaglia si può vincere». Nessuno è imbattibile, neppure Soros: «E’ un figlio del potere, del dominio. Ma, a prescindere dai suoi interessi, è comunque anche lui manovrato».Se non hanno scheletri negli armadi, Salvini e Di Maio possono tenere testa a Bruxelles. E se resistono, alla fine possono vincere. Letteralmente: «Se il governo tiene duro, l’Europa subirà una dura lezione». Parola di Gianfranco Carpeoro, scrittore e saggista, solitamente prudente sul governo gialloverde: un’alleanza anomala e provvisoria, costruita per fare di necessità virtù dopo lo spiazzante risultato elettorale del 4 marzo, che ha rottamato Pd e Forza Italia. Ora però le cose sono cambiate: il braccio di ferro con l’Unione Europea sul deficit al 2,4% nella previsione 2019 del Def potrebbe rappresentare una sfida estremamente seria. La prima vera crepa nel cosiddetto Muro di Bruxelles, finora intoccabile. Strano, che Di Maio litighi con Salvini proprio mentre la Commissione Ue spara contro l’Italia? Un’abile manovra per distrarre l’opinione pubblica dall’attacco dell’Ue sul deficit? «No, quello tra Salvini e Di Maio è uno scontro su una cosa importante», sostiene Carpeoro: «I 5 Stelle sono giustizialisti, mentre Salvini vuole salvare il suo elettorato – che è fatto di imprenditori, in una buona quota evasori». Carpeoro crede si sia trattato di un incidente di percorso: «Per tutelare il suo elettorato, Salvini ha deciso di dare alla “pace fiscale” una certa veste, e Di Maio non voleva. Ma la ricomporranno, questa lite».
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Magaldi: New Deal, grande Savona. Ma alzi il deficit al 10%
Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».Tutt’altra musica, per fortuna, è stata quella suonata – in Senato – da quel Paolo Savona al quale, per via del veto imposto da Draghi, il presidente della Repubblica ha impedito di rivestire il ruolo di ministro dell’economia. Nonostante ciò, dopo aver lui stesso indicato Giovanni Tria per quel dicastero, Savona (oggi agli affari europei) appare il vero regista della manovra finanziaria gialloverde. Per ben due volte, sottolinea Magaldi (in web-streaming su YouTube con Marco Moiso e poi con Fabio Frabetti di “Border Nights”), Savona ha citato «l’archetipo rooseveltiano del New Deal», nominando sia il presidente americano Franklin Delano Roosevelt che il suo economista di riferimento, il britannico John Maynard Keynes (per inciso, massoni progressisti entrambi). La formula? Espandere la spesa pubblica, a deficit, per creare piena occupazione. Storia: l’America uscì dalla Grande Depressione e divenne la prima superpotenza del pianeta. Un modello tradotto in Europa, successivamente, prima con il Piano Marshall – che cambiò volto al continente, guidandone la resurrezione nel dopoguerra – e poi con il welfare più avanzato al mondo, di fatto “inventato” dal teorico inglese William Beveridge, massone progressista come lo stesso George Marshall.Autore del bestseller “Massoni”, che rivela le trame delle Ur-Lodges neo-aristocratiche che hanno progettato l’attuale globalizzazione, non è per fare il “gioco delle figurine” che Magaldi cita spesso – in modo puntiglioso – l’identità massonica di tanti grandi del Novecento (da Nelson Mandela a Martin Luther King, da Olof Palme a Yitzhak Rabin). Quel che gli preme è denunciare pubblicamente la «ignobile campagna massonofobica strisciante», reiterata oggi dall’inaudita iniziativa di Claudio Fava, che ha imposto ai massoni dell’assemblea regionale siciliana di svelare pubblicamente la loro appartenenza, come se solo gli aderenti alle logge (e non ad altre associazioni) fossero in dovere di rinunciare alla privacy garantita dalla Costituzione. Una volta di più, il presidente del Movimento Roosevelt sottolinea il ruolo avanguardistico svolto dalla massoneria che contribuì ad abbattere l’Ancien Régime “fabbricando” lo Stato democratico e la democrazia fondata sul suffragio universale. Se poi un’altra massoneria (apolide, mercenaria e rinnegata) ha agito in modo reazionario e neo-feudale, il primo a denunciarla, nero su bianco, è stato proprio Magaldi, nel silenzio imbarazzato dei politici italiani – compreso Renzi, «che bussò invano a quella supermassoneria e oggi ripiega su una seconda vita, rassegnandosi al ruolo di conferenziere a gettone».E’ lo stesso Renzi che critica il reddito di cittadinanza dopo aver sparso a pioggia i suoi famosi 80 euro alla vigilia delle elezioni. E’ il Renzi incorreggibile, dice Magaldi, che probabilmente non sarebbe neppure “morto”, al referendum del 2016, se solo avesse inserito – tra i quesiti – anche l’abrogazione del pareggio di bilancio. Un gesto indispensabile, a maggior ragione oggi, nel momento in cui Paolo Savona – da economista e da statista – evoca apertamente il New Deal, cioè il coraggio del “deficit spending” per rimettere in piedi l’economia, tenendo conto che la spesa pubblica fa crescere il Pil, alleggerendo il peso del debito pubblico. Sono i “fondamentali” di Keynes, che nessun Cottarelli è mai riuscito a smentire. Ripartire da quelli, insiste Magaldi, è la via maestra: non solo per restituire dignità all’Italia, anche per estendere la sovranità democratica al resto d’Europa e del mondo, tutelando anche i diritti altrui, onde evitare un replay “sovranista” della Pace di Westfalia del 1648 (che pose fine alla Guerra dei Trent’anni, senza però impegnare minimanente i contraenti a lavorare per il benessere dei sudditi). E in attesa che il Pd esca dal coma, magari riconoscendo come “di sinistra” la politica gialloverde («meglio di niente, il reddito di cittadinanza, per chi non ha ancora un lavoro»), il messaggio per il governo Conte è esplicito: «Perché limitarsi al 2,4% di deficit, quando con più coraggio – per esempio, un 10% di spesa pubblica – l’economia italiana potrebbe volare?».Ma la sinistra non era quella parte politica che un tempo si batteva per far avere più soldi alle fasce deboli della popolazione? Da che pulpito predicano, oggi, gli smarriti replicanti post-renziani alla Martina, che sparano sul governo gialloverde per il misero 2,4% di deficit inserito nel Def per il 2019? C’è posto per un qualche pensiero politico, nel cervello piatto di costoro? Rischia di ripetersi, Gioele Magaldi, come chiunque provi a demistificare la desolante narrazione del mainstream, di fronte allo strano spettacolo di un governo che ha contro il potere che conta. Non tutto, certo: ma se Jp Morgan non si unisce allo strepito allarmistico dell’establishment euro-italiano (giornali, Quirinale, Bankitalia, Ue e Bce), sostenendo che la manovra gialloverde non è poi da buttare (anche noi stiamo facendo “deficit spending”, conferma Steve Mnuchin, segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump) non significa che “l’America” o “la massoneria internazionale finanziaria” giochino nella stessa squadra del governo Conte. Semmai, avverte Magaldi, la sfida – più che mai attuale – è un’altra: spetta a noi, ai cittadini e alla politica, tornare a “mettere in riga” quella finanza neoliberista che ha smesso di servire l’economia facendo solo speculazione a spese di interi paesi, potendo contare in Europa su «potenti supermassoni come Draghi e servizievoli paramassoni come Mattarella».
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Laghi della morte: il Camerun “spiega” le Piaghe d’Egitto
«Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto», fa dire a Yahvè il libro biblico dell’Esodo. «Il faraone non vi ascolterà e io porrò la mano contro l’Egitto con grandi castighi e farò così uscire dal paese d’Egitto le mie schiere, il mio popolo Israel». Allora, aggiunge l’Elohim con cui è in contatto Mosè, «gli egiziani sapranno che io sono il signore quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli israeliti». Detto fatto. Seguono, nell’ordine: la “tramutazione dell’acqua in sangue”, l’invasione di rane dai corsi d’acqua, la comparsa di nubi di zanzare e mosche. Eventi catastrofici per l’agricoltura, cui segue una disastrosa morìa del bestiame, mentre gravi ulcerazioni piagano il corpo di animali ed esseri umani. Il cielo è spaventosamente minaccioso, per via della “pioggia di fuoco e ghiaccio”, mentre il terreno viene invaso da un’altra specie infestante – le locuste – e la Terra precipita nelle tenebre. Infine, la tragedia: la morte dei primogeniti maschi. Fantasie apocalittiche? Linguaggio simbolico “da contestualizzare”, come spesso sostiene chi dice che la Bibbia – qua e là – vada interpretata in chiave allegorica? Non è detto. Ben tre laghi africani, infatti, danno vita a fenomeni pressoché identici a quelli descritti nell’Esodo.
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Corbyn e Mélenchon, prove tecniche di socialismo europeo
Nazionalizzare le ferrovie privatizzate, restituire allo Stato il settore energetico e le Poste. Patrimoniale selettiva: tasse sugli “immobili secondari” per finanziare gli alloggi per i senza-casa. E inoltre, l’obbligo per le imprese con più di 250 impiegati di riservare ai dipendenti un terzo dei seggi nei consigli di amministrazione. Sono i caposaldi del nuovo, possibile “socialismo europeo” secondo l’inglese Jeremy Corbyn e il francese Jean-Luc Mélenchon, accorso a Liverpool per il grande festival politico “The World Transformed”, con migliaia di partecipanti. «In Gran Bretagna c’è sete di un diverso tipo di politica e di una nuova società, che strappi il potere all’establishment e lo metta nelle mani dei più», dice uno degli organizzatori, Fergal O’Dwyer. Per Angus Satow, il leader laburista e quello di “France Insoumise” rappresentano «la sinistra che si impadronisce del futuro». Un dirigente laburista come David Broder immagina la creazione di un vasto think-tank con partiti e movimenti della sinistra di tutto il mondo. Certo, annota Giacomo Marchetti su “Contropiano”, Corbyn e Mélenchon non sono esattamente giovanotti: ma, pur veleggiando verso i settanta, hanno entrambi hanno avuto un discreto successo tra i giovani, proprio il loro omologo statunitense Bernie Sanders, rendendo i “millenials” nuovamente protagonisti della politica.Aditya Chakrabortty, sul “Guardian”, domanda se qualcuno ha notato che il Labour ha appena dichiarato la “guerra di classe”, dopo che per decenni si è consentito al neoliberismo di fare quello che voleva. Nel 2015, il capo-economista della Bank of England, Andy Haldane, ha tracciato ciò che è accaduto al reddito nazionale dei lavoratori nel lungo periodo. E ha scoperto che il lavoro ha avuto fette sempre più piccole della torta: dal 70% negli anni ’70 al 55% di oggi. Secondo i suoi calcoli, «gli impiegati ottengono proporzionalmente meno ora di quanto ottenevano all’inizio della rivoluzione industriale, negli anni ‘70 del Settecento». Ovvero: «Se i salari degli operai fossero stati mantenuti in linea con l’aumento della loro produttività dal 1990, il lavoratore medio sarebbe oggi più ricco del 20%». Osserva Marchetti su “Contropiano”: «Non stupisce che, nel paese che in Europa, per primo, ha conosciuto l’applicazione delle ricette liberiste grazie alla Thatcher, e lo svuotamento tra le file laburiste di ogni istanza progressista con la parabola del “New Labour” di Tony Blair, abbia votato prima per uscire dalla Ue e poi per il Labour di Corbyn, che ora è “testa a testa” nei sondaggi con il 35% delle preferenze di voto e una non escludibile ipotesi di elezione anticipata a novembre».Tornando alla “strana coppia” formata da Corbyn e Mélenchon, continua Marchetti, «entrambi sono due “pellacce” che vengono da esperienze “di minoranza” nei propri ranghi, ma non hanno smesso di perseguire una politica “radicale” divenuta sempre più mainstream nei rispettivi paesi». Tra loro si parlano in spagnolo, data la comune passione per le lotte dei popoli latino-americani. «Entrambi sono stati oggetto, e lo sono tuttora, del linciaggio mediatico da parte dei media internazionali, cioè dei grandi gruppi della comunicazione che dominano il mercato: il partito unico dell’informazione e le sue propaggini nella sinistra “liberal”». Le solite trappole: «Le critiche alla politica israeliana da parte di Corbyn gli sono costate le accuse di antisemitismo, piattamente riprese anche dalla stampa nostrana». E al di là della Manica, un’identica “macchina del fango” si è attivata nella campagna elettorale per le ultime presidenziali francesi, man mano che Mélenchon cresceva nei sondaggi: più aumentava il numero di seguaci, specie giovani, e più crescevano «il “bashing” mediatico e le narrazioni tossiche», cosa che peraltro è avvenuta anche con Corbyn, «le cui copertine dedicategli in fase elettorale da alcuni tabloid rimangono un capolavoro di “fake news” da ammannire al popolo». Ora tutto è cambiato: Corbyn è quotato alla pari con i conservatori, mentre Mélenchon è il leader più popolare in Francia, dove Macron è crollato sotto il 20%.Nazionalizzare le ferrovie privatizzate, restituire allo Stato il settore energetico e le Poste. Patrimoniale selettiva: tasse sugli “immobili secondari” per finanziare gli alloggi per i senza-casa. E inoltre, l’obbligo per le imprese con più di 250 impiegati di riservare ai dipendenti un terzo dei seggi nei consigli di amministrazione. Sono i caposaldi del nuovo, possibile “socialismo europeo” secondo l’inglese Jeremy Corbyn e il francese Jean-Luc Mélenchon, accorso a Liverpool per il grande festival politico “The World Transformed”, con migliaia di partecipanti. «In Gran Bretagna c’è sete di un diverso tipo di politica e di una nuova società, che strappi il potere all’establishment e lo metta nelle mani dei più», dice uno degli organizzatori, Fergal O’Dwyer. Per Angus Satow, il leader laburista e quello de “La France Insoumise” rappresentano «la sinistra che si impadronisce del futuro». Un dirigente laburista come David Broder immagina la creazione di un vasto think-tank con partiti e movimenti della sinistra di tutto il mondo. Certo, annota Giacomo Marchetti su “Contropiano”, Corbyn e Mélenchon non sono esattamente giovanotti: ma, pur veleggiando verso i settanta, hanno entrambi hanno avuto un discreto successo tra i giovani, proprio il loro omologo statunitense Bernie Sanders, rendendo i “millenials” nuovamente protagonisti della politica.
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Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?
Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.C’è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, per decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l’imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell’ipotesi democratica chiamata “governo gialloverde” – non è un conflitto come quelli che l’hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall’anonimato. Non c’è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l’attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.Ascoltando solo e sempre un’unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori “top gun” – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un’immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell’inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l’Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l’Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le fosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.All’epoca in cui Marcello Foa lavorava al “Giornale” di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l’Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell’economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c’era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l’Occidente, da un’oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all’antico dispotismo zarista. L’eroico sacrificio dell’Unione Sovietica, decisivo nell’abbattere il nazifascismo, non poteva cancellare né i Gulag di Stalin né l’esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d’impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d’impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell’Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall’élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell’allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell’euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l’ingresso nell’Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l’umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l’ex caporedattore del “Giornale”, nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell’Italia corporativa delle caste, ha osato “sparare” contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli “stregoni della notizia”, bugiardi e omertosi spacciatori di “fake news” di regime. E non c’è niente di peggio, per i servi, che l’ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.Chi l’avrebbe detto? Oggi l’Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo “casereccio” targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell’apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a dire un protagonista della vita pubblica italiana come Giuliano Ferrara. Qualcuno – sincero o meno – obietterà che questa regola non vale necessariamente per tutti. Ma è sicuro che, una volta entrati in cabina di regia, le proprie virtù possono trasformarsi in problemi: in un ambiente non esattamente cristallino, le qualità naturali dell’eretico diventano un’enorme seccatura, se non un ostacolo da rimuovere prima che possa mettere in pericolo la sopravvivenza del sistema stesso.Questa è la sfida di Marcello Foa, nella quale è in gioco l’Italia intera: restare fedeli alla propria coscienza significa contribuire a riaccendere la luce sulle notizie. Senza un’informazione trasparente, lo sappiamo, non c’è neppure vera democrazia. Lo sostiene con vigore, Marcello Foa, che resta innanzitutto un uomo leale e garbato – anche quando si permette di dissentire in modo netto sull’operato del presidente della Repubblica: chi oggi lo accusa di aver addirittura insolentito Sergio Mattarella, dopo la bocciatura di Paolo Savona al ministero dell’economia, più che il prestigio del capo dello Stato sembra aver a cuore la disciplina sociale dell’ossequio, da imporre al popolo nei confronti di chiunque rivesta funzioni di potere. Non è questa la democrazia per la quale il giovane liberale Foa tifava, quando polemizzava con quel comunismo da cui provengono moltissimi dei suoi attuali, smemorati detrattori. Non sappiamo come si svilupperà, la sua avventura negli uffici della Rai. Ma sappiamo che – contro ogni previsione – è tornata sotto i riflettori, in Italia, un’antropologia che si credeva estinta. Quella delle persone per bene, a cui il governo in carica affida addirittura la guida della televisione.(Giorgio Cattaneo, “Marcello Foa alla guida della Rai: che succede quando un eretico sale al potere?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 settembre 201).Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
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Macron bombarda la Siria, dove sarebbe la “pace” dell’Ue?
Il principale motivo per cui è nata l’Unione Europea è quello di evitare e non ripetere le guerre che nella sola prima metà del Novecento hanno fatto più di 50 milioni di morti. Quanto volte avete sentito recitare questa frase a difesa dell’esistenza di un organismo sovranazionale come la Ue? Mentre la preghierina veniva ripetuta ogni qualvolta qualcuno osava porre dei dubbi sui trattati europei e sull’intero progetto dell’Eurozona, i bravi “europei” – bombe a mano e pugnale tra i denti – continuavano imperterriti a provocare conflitti armati ed a mietere vittime innocenti. Ciò avveniva spesso entro i propri confini naturali, come nel caso della Jugoslavia e dell’Ucraina; altre volte ai danni di nazioni extraeuropee come la Libia e nel recentissimo caso siriano. E’ notizia di queste ore, infatti, che la Francia abbia attaccato alcune città siriane come il porto di Latakia, fornendo supporto ad Israele, regista indiscussa del raid con aerei F-16. Alcuni missili sarebbero partiti dalla fregata francese Auvergne di stanza nel Mediterraneo al largo delle coste siriane. Ovviamente, la nostra stampa in queste ore parla solo di un veivolo russo “abbattuto per errore dalla contraerea siriana”.La notizia di un fuoco amico, sparata dalla stampa con titoli roboanti, nasconde e squalifica l’aspetto più rilevante dell’episodio, e cioè che un paese dell’Unione Europea ha lanciato dei missili contro un altro paese, senza avvisare le altre nazioni dell’Unione, senza alcuna formale dichiarazione di guerra, senza motivazioni politiche palesate all’opinione pubblica francese, e, a quanto pare, senza nemmeno centrare i bersagli. E non è nemmeno la prima volta che succede. La verità è che nei 28 anni di Unione Europea i morti in conflitti armati (6 in tutto) svoltisi nel continente sono stati 38.589 contro i 18.409 dei 25 anni di Cee prima che l’Ue nascesse nel 1992. Tutto il resto è fuffa mediatica, spruzzata di buonismo falsamente pacifista. Dunque, non solo in queste ore un paese europeo come la Francia bombarda un paese straniero, mettendo a repentaglio l’incolumità di cittadini siriani innocenti e inconsapevoli di un attacco vigliacco, ma basta leggere pochi dati, anche della storia più recente, per scoprire che gli Stati membri della Ue sono stati responsabili di stragi e disastri umanitari, o direttamente, come nel caso libico, oppure indirettamente, come quando l’Italia sotto la presidenza D’Alema fornì la logistica per bombardare le città della Serbia (nazione europea).I più noti conflitti armati scoppiati in Europa dopo la nascita della Ue sono: ex Jugoslavia (1993-1997) costata quasi 10mila morti; la guerra in Kosovo (1998-1999), costata oltre 8mila vite; le varie guerre locali in Georgia, Ucraina e Donbass, appoggiate da paesi targati Ue come la Germania per una cifra che sfiora le 20mila vittime. (fonte: statista.com). Rimane inteso che il numero di queste vittime non è per nulla paragonabile all’immane tragedia delle due guerre mondiali. Tuttavia, un terzo conflitto di quella portata è stato sinora evitato perchè esiste il deterrente atomico e non certo perché esistono i burocrati di Bruxelles e Strasburgo. Anzi, i dati succitati mostrano chiaramente come ci siano stati meno morti per guerra in Europa con la Ceka e la Cee – dal 1952 al 1992 – che poi, con la Ue.(Massimo Bordin, «L’Unione Europea garantisce la pace» è il nuovo «enlarge your penis», dal blog “Micidial” del 18 settembre 2018).Il principale motivo per cui è nata l’Unione Europea è quello di evitare e non ripetere le guerre che nella sola prima metà del Novecento hanno fatto più di 50 milioni di morti. Quanto volte avete sentito recitare questa frase a difesa dell’esistenza di un organismo sovranazionale come la Ue? Mentre la preghierina veniva ripetuta ogni qualvolta qualcuno osava porre dei dubbi sui trattati europei e sull’intero progetto dell’Eurozona, i bravi “europei” – bombe a mano e pugnale tra i denti – continuavano imperterriti a provocare conflitti armati ed a mietere vittime innocenti. Ciò avveniva spesso entro i propri confini naturali, come nel caso della Jugoslavia e dell’Ucraina; altre volte ai danni di nazioni extraeuropee come la Libia e nel recentissimo caso siriano. E’ notizia di queste ore, infatti, che la Francia abbia attaccato alcune città siriane come il porto di Latakia, fornendo supporto ad Israele, regista indiscussa del raid con aerei F-16. Alcuni missili sarebbero partiti dalla fregata francese Auvergne di stanza nel Mediterraneo al largo delle coste siriane. Ovviamente, la nostra stampa in queste ore parla solo di un velivolo russo “abbattuto per errore dalla contraerea siriana”.
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Il Fenicio: quelli non erano Dei, i sacerdoti ci hanno mentito
L’inganno di cui siamo vittime non è una cosa moderna. Eusebio di Cesarea, padre della Chiesa, vissuto nel III secolo dopo Cristo, ha scritto la sua “Praeparatio Evangelica”. Lui riprende gli studi di Filone di Biblos, il quale a sua volta aveva ripreso gli studi di un certo Sanchuniathon, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Siamo più o meno all’epoca della Guerra di Troia, cioè nel periodo in cui Israele, uscito dall’Egitto, stava conquistando la cosiddetta Terra Promessa, “promessa” da “Dio”. Ovvero: Dio l’onnisciente, l’onnipotente, promette la terra alla sua famiglia (non al popolo, perché non l’ha promessa agli ebrei: l’ha promessa alla famiglia di Giacobbe-Israele, che era una delle centinana di famiglie di ebrei). Sono passati 4.000 anni, dal momento della promessa, e se vogliono quella terra se la devono conquistare e mantenere con i carri armati, i missili, i muri, il filo spinato, le trincee. Quattromila anni: “promessa” di “Dio”. Che cavolo di dio è? Ma chi può pensare, anche solo per un attimo, che quella sia una promessa di Dio? Soltanto una ideologia che è basata sulla falsità. Attenzione: questo non vuol dire “antisemitismo”, vuol dire “anti-sionismo”, che sono due cose diverse (sono moltissimi gli ebrei anti-sionisti).Ma torniamo a Eusebio di Cesarea. Allora, Filone di Biblo, a cavallo tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo, riprende gli studi questo Sanchuniathon, e sentite che cosa dice: «Nel corso dell’opera, Sanchunathon riconosce che le “divinità” non sono degli dèi celesti, bensì dei semplici mortali, maschi e femmine; non di costumi talmente incorrotti da dover essere accolti per la loro virtù o imitati per la loro saggezza, ma ricolmi di malvagità e di perversioni di ogni genere». Questa è una bella descrizione dello Yahvè biblico, per esempio. Ma poi, dice Eusebio di Cesarea: dopo avere fatto queste osservazioni, egli (Sanchuniathon) critica aspramente «gli scrittori vissuti nelle epoche successive a quando quei fatti avvenivano», per il fatto che – ascoltate bene – «in modo falso e arbitrario hanno interpretato in maniera allegorica, e fondandosi su spiegazioni e teorie fisiche, e perciò snaturandoli, i racconti riguardanti gli dèi». E aggiunge: «Ma i più recenti scrittori che si sono occupati di storia sacra hanno ripudiato i fatti avvenuti in principio. E dopo aver inventato allegorie e miti, che combinarono in modo tale da ricondurli a fenomeni cosmici, istituirono dei misteri e li avvolsero in una oscurità così densa che non era possibile vedere facilmente i fatti realmente avvenuti».Cioè, Filone di Biblo, tra primo e secondo secolo dopo Cristo, diceva che nel 1200 avanti Cristo c’era già chi aveva denunciato l’inganno, perpetrato dalle classi sacerdotali: che hanno preso dei racconti reali e li hanno trasformati in allegorie e miti – che è quello che ancora oggi continuano a volerci far credere. E ci sono appunto quelli che, ancora oggi, a sostegno di questo, ci raccontano: “No, ma questi sono miti, queste sono allegorie”. E non è mica finita: Filone scrive che Sanchunathon, «imbattutosi in certi libri» (che sono quelli, è scritto prima, di Toth), che erano stati fino ad allora «nascosti nei penetrali del tempio di Amon», si dedicò loro studio «per comprendere tutte quelle cose che non a tutti era dato conoscere». Alla fine, Sanchunathon «riuscì a realizzare il suo progetto e tolse di mezzo i miti e le allegorie in cui erano stati avvolti i tempi primitivi». In seguito, aggiunge Filone, «i sacerdoti che vissero dopo di lui vollero nascondere nuovamente la verità e ritornare al mito». Ed è quello che si sta facendo da millenni, continuamente. Quando c’è qualcuno che dice: “Guardate che forse quei racconti lì sono delle cronache vere, c’è sempre chi interviene e fa in modo di coprirli, trasformandoli in allegorie e miti, perché le cronache vere non si devono conoscere. Ci sono sempre quelli che continuano a “coprire”, perché non si conosca la reale concretezza di ciò che veniva detto all’inizio.In seguito – aggiunge sempre Eusebio, citando Filone – i sacerdoti che vissero dopo Sanchuniathon «vollero nascondere nuovamente la verità e ritornare al mito: da allora ebbero origine i Misteri, che ancora non erano stati introdotti» (e qui sta parlando dei culti misterici greci, eccetera). Poi aggiunge: «Traendo spunto da queste narrazioni, Esiodo e gli altri poeti composero le loro teogonie, gigantomachie e titanomachie, eccetera; portando in giro in ogni luogo queste narrazioni, riuscirono a soffocare la verità». Sembra che parli di noi: «I nostri orecchi, abituati fin dall’infanzia alle loro invenzioni e martellati ormai da tanti secoli da queste fantasie, custodiscono quasi come un deposito la materia favolosa trasmessa da queste favole, che essi hanno appreso così come ho già detto all’inizio». Ancora: «Rafforzate dal tempo, queste invenzioni fantastiche sono diventate un patrimonio di cui assai difficilmente ci si può disfare, tanto che la verità sembra una fantasticheria, mentre i racconti contraffatti sembrano avere tutti i caratteri della verità».Non è stupendo? E’ quello che viviamo noi, tutti i santi giorni. E’ stato scritto nel III secolo dopo Cristo sulla base di un testo del I-II secolo dopo Cristo, che a sua volta riprende un testo del 1200 avanti Cristo. Sembra scritto per noi: le fantasticherie hanno preso il posto della verità. E quando c’è qualcuno che vuole farla emergere, la verità, bisogna “segarlo”: la verità non deve essere conosciuta, perché la verità è quella che farebbe cadere i sistemi di potere. Perché la verità è molto semplice: ed è talmente semplice da essere immensamente più affascinante delle favole che ci hanno ricamato sopra. Uno studioso contemporaneo, il filologo Giovanni Semerano – molto importante ma scomodo, e quindi un po’ ostracizzato – citando sempre Eusebio di Cesarea, dice: «Abbiamo notizia dell’albero genealogico degli dèi. Primo fra tutti sarebbe stato Elyòn», che è quello citato nella Bibbia, «da cui sarebbe nato Baal Shemìn. Da Baal nasce El, che nel secondo millennio sarebbe divenuto il capo del Pantheon fenicio. Ai suoi figli, tra i quali Yahvè, El affida la cura di un popolo». E’ esattamente ciò che ci racconta la Bibbia, nel Deuteronomio. Cioè: ce lo raccontano tutti. Non dobbiamo far altro che fare finta che sia vero, ben sapendo che gli autori biblici non avevano certo tempo da perdere: perché avrebbero dovuto inventare fiabe? E se facciamo finta che sia vero, capiamo tutto. Ma è proprio questo che non deve avvenire.(Mauro Biglino, estratto della conferenza tenuta a Reggio Emilia il 30 giugno 2018, ripresa su YouTube. Già traduttore della Bibbia per le Edizioni San Paolo, Biglino ha reso popolare la traduzione letterale dell’Antico Testamento firmando saggi divulagativi di grande successo, pubblicati da UnoEditori e da Mondadori, nei quali presenta Yahvè e i suoi “colleghi” Elohim non come dèi, ma come misteriosi e potenti dominatori, improvvisamente giunti sulla Terra. Biglino rivela che nella Bibbia – presa alla lettera, nell’ebraico antico rimaneggiato dai Masoreti fino all’epoca di Carlomagno – non esiste traccia di alcun dio: non c’è metafisica né spiritualità. Non esistono neppure i concetti di creazione, eternità, onnipotenza. Gli “dèi” della Bibbia – tanti, corporei e non certo immortali – sarebbero la fotocopia dei futuri “theòi” greci, degli “dèi” romani e di tutte le “divinità” delle civiltà precedenti, a partire da quella sumera. Singolare la denuncia formulata, in questo senso, dall’antico sacerdote fenicio Sanchunathon già nel 1200 avanti Cristo, poi ripresa dallo storico greco Filone Erennio di Biblos e quindi da un autorevole “padre della Chiesa” come, appunto, Eusebio di Cesarea).L’inganno di cui siamo vittime non è una cosa moderna. Eusebio di Cesarea, padre della Chiesa, vissuto nel III secolo dopo Cristo, ha scritto la sua “Praeparatio Evangelica”. Lui riprende gli studi di Filone di Biblos, il quale a sua volta aveva ripreso gli studi di un certo Sanchuniathon, sacerdote fenicio del 1200 avanti Cristo. Siamo più o meno all’epoca della Guerra di Troia, cioè nel periodo in cui Israele, uscito dall’Egitto, stava conquistando la cosiddetta Terra Promessa, “promessa” da “Dio”. Ovvero: Dio l’onnisciente, l’onnipotente, promette la terra alla sua famiglia (non al popolo, perché non l’ha promessa agli ebrei: l’ha promessa alla famiglia di Giacobbe-Israele, che era una delle centinana di famiglie di ebrei). Sono passati 4.000 anni, dal momento della promessa, e se vogliono quella terra se la devono conquistare e mantenere con i carri armati, i missili, i muri, il filo spinato, le trincee. Quattromila anni: “promessa” di “Dio”. Che cavolo di dio è? Ma chi può pensare, anche solo per un attimo, che quella sia una promessa di Dio? Soltanto una ideologia che è basata sulla falsità. Attenzione: questo non vuol dire “antisemitismo”, vuol dire “anti-sionismo”, che sono due cose diverse (sono moltissimi gli ebrei anti-sionisti).
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Se Foa viene eletto, Vietnam in Rai. Ma i 5 Stelle lo votano?
Nel caso venga eletto presidente della Rai, Marcello Foa dovrà affrontare una guerriglia interna permanente, un vero e proprio Vietnam. Parola di Gianfranco Carpeoro, protagonista all’inizio di agosto di una clamorosa rivelazione: il giornalista, candidato da Salvini, fu stoppato da Berlusconi, che pure aveva già dato il suo ok al leader della Lega. Cos’era accaduto? Un giro di telefonate, innescate da Parigi: il supermassone reazionario Jacques Attali, vicinissimo a Macron, aveva interpellato nientemeno che Giorgio Napolitano, il quale avrebbe consigliato ad Attali – per bloccare l’elezione di Foa – di chiamare il massone Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo e in grado di premere sul Cavaliere, poi chiamato direttamente dallo stesso Attali. Sia Attali che Napolitano, secondo Gioele Magaldi, militano nella stessa potentissima Ur-Lodge, la “Three Eyes”, a lungo dominata da oligarchi come Kissinger, Brzezinski e Rockefeller. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro – avvocato, nonché autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” – aveva sparato la “bomba” in tono semiserio, attribuendo la notizia a “un sogno”, provocato da una “peperonata indigesta”. «Mi risulta che l’effetto l’abbia avuto, quel “sogno”», dice ora Carpeoro, visto che si riparla di Foa come presidente della Rai.La vera fonte del “sogno”? La prestigiosa loggia rosacrociana “Tre Globi” di Berlino, alla quale Carpeoro – a sua volta massone, già a capo del Rito Scozzese italiano – è rimasto legato. La sconcertante esternazione d’inizio estate, osserva Frabetti, è stata taciuta dai media mainstream (con la sola eccezione del quotidiano “La Verità” diretto da Maurizio Belpietro), ma non è certo passata inosservata ai piani alti del potere. Ex caporedattore del “Giornale” e allievo di Indro Montanelli, Marcello Foa è l’autore del dirompente saggio “Gli stregoni della notizia”, che mette alla berlina il sistema-media, accusato di fabbricare “fake news”. Ora Foa potrebbe dunque salire finalmente sul gradino più alto della nomenklatura Rai? Nel caso, dice Carpeoro sempre in streaming web con Frabetti, non avrà vita facile: se la “Three Eyes”, foss’anche per colpa dell’imbarazzante “sogno della peperonata”, si vedesse costretta a non ostacolare più l’ascesa di Foa, il neo-presidente sarebbe comunque “assediato”, da subito, dall’ostilità accanita dello stesso establishment che sta “braccando” Salvini, tallonato da vasti settori della magistratura. Ma non è detto che Foa riesca davvero a diventare presidente: tecnicamente, secondo Carpeoro, potrebbe addirittura sbattere contro l’ipotetico veto dei 5 Stelle, in sede di commissione parlamentare di vigilanza.«Chi ha ritenuto che il mio non fosse un sogno ma la verità – dice oggi Carpeoro – può aver pensato che forse, in quel momento, qualcuno lo stesse “sputtanando”». Insomma, la trama della “Three Eyes” era ormai venuta allo scoperto. « Bisogna capire però se l’effetto-sputtanamento è stato solo un modo per guadagnare tempo, per poi vedere di “vendere” in un altro modo il siluramento di Foa, o se invece abbiano proprio deciso di “mollare il colpo”, per poi gestire la faccenda diversamente». Oggi, aggiunge Carperoro, «l’unico modo per silurare ugualmente Foa è premere sui 5 Stelle affinché siano loro a farlo fuori: e quel tipo di potere, questa possibilità ce l’ha». Gli unici che possono affondare la candidatura di Foa, insiste Carpeoro, sono proprio i pentastellati: «Non può più farlo Forza Italia, perché sarebbe una conferma della “peperonata”. Non può farlo Salvini, perché sarebbe una sconfitta troppo grossa, per lui. E non hanno la forza di farlo i vari residui di opposizione». I 5 Stelle, dunque? «Sono gli unici che hanno la possibilità di silurare Foa, ma non so se ne abbiamo la motivazione». Tuttavia potrebbero piegarsi «di fronte a una coercizione grande, da parte di un soggetto come una Ur-Lodge».Attenzione, precisa Carpeoro: «Non dico che lo vogliano fare o che lo faranno, dico solo che – ex ante – gli unici che hanno questa possibilità sono loro: una possibilità concreta, politica, non necessariamente una volontà o un’inclinazione». Morale, il destino di Foa sembra a un bivio: «O viene silurato dai 5 Stelle adesso, o viene eletto. Ma ovviamente, un secondo dopo l’eventuale elezione, entrerebbe in una specie di Vietnam, di Cambogia, dove qualcuno punterà la clessidra e preparerà un conto alla rovescia». Quanto all’affidabilità dei 5 Stelle, non da oggi lo stesso Carpeoro esprime perplessità – soprattutto sul conto di Luigi Di Maio, che considera esser stato ampiamente “sovragestito” proprio da quel genere di poteri forti evocati dal famoso “sogno della peperonata”. Prima ancora delle elezioni, Carpeoro dichiarò ripetutamente che Di Maio entrava e usciva dall’ambasciata Usa di via Veneto a Roma, e che ad accompagnarlo a Washington nei santuari delle Ur-Lodges neo-aristocratiche fosse il politologo Michael Ledeen. Esponente di vertice della supermassoneria sionista, Ledeen è citato da Carpeoro nel suo saggio sui legami fra massoneria e terrorismo islamico targato Isis: lo mette addirittura in relazione all’omicidio del premier svedese Olof Palme, nell’ambito di un opaco circuito di cui facevano parte Licio Gelli e l’allora parlamentare statunitense Philip Guarino.A evocare nuovamente l’ombra delle Ur-Lodges è anche Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un autorevole esponente. Magaldi ha attaccato direttamente il ministro dell’economia, Giovanni Tria: «Un massone non dichiarato ma presentatosi come progressista, eppure oggi allineato al rigore europeo promosso dal supermassone Draghi, che infatti lo ha apertamente elogiato». Carpeoro invita a fare un passo indietro: «I 5 Stelle – ricorda – hanno subito il siluramento del precedente candidato al ministero dell’economia». Si tratta di Paolo Savona, bloccato dal “niet” di Mattarella. «Quindi – prosegue Carpeoro – Tria è la conseguenza di una scelta di campo che i 5 Stelle hanno condiviso, o sbaglio?». In altre parole: l’accettazione di una linea più morbida con Bruxelles, imposta tramite il Quirinale. «A questo punto – conclude Carpeoro – o cambiano idea, o si tengono Tria. Bisogna capire perché dovrebbero cambiare idea (perché si potrebbero tenere Tria, invece, lo sappiamo già)». Quello di Tria è ovviamente un ruolo di garante: tramite minacce, come l’impennarsi dello spread, «il potere che “sovragestisce” l’Europa ha fatto sapere ai 5 Stelle che, senza la presenza di un suo garante, sarebbe cominciata una specie di guerra totale, contro l’Italia, e quindi è passato Tria». Ora, bisogna vedere se è cambiata la situazione: «I 5 Stelle rivendicheranno una maggiore indipendenza? Io ne dubito». Sarebbe quindi possibile mettere sotto pressione Di Maio e soci, al punto da indurli a boicottare Foa?Nel caso venga eletto presidente della Rai, Marcello Foa dovrà affrontare una guerriglia interna permanente, un vero e proprio Vietnam. Parola di Gianfranco Carpeoro, protagonista all’inizio di agosto di una clamorosa rivelazione: il giornalista, candidato da Salvini, fu stoppato da Berlusconi, che pure aveva già dato il suo ok al leader della Lega. Cos’era accaduto? Un giro di telefonate, innescate da Parigi: il supermassone reazionario Jacques Attali, vicinissimo a Macron, aveva interpellato nientemeno che Giorgio Napolitano, il quale avrebbe consigliato ad Attali – per bloccare l’elezione di Foa – di chiamare il massone Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo e in grado di premere sul Cavaliere, poi chiamato direttamente dallo stesso Attali. Sia Attali che Napolitano, secondo Gioele Magaldi, militano nella stessa potentissima Ur-Lodge, la “Three Eyes”, a lungo dominata da oligarchi come Kissinger, Brzezinski e Rockefeller. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro – avvocato, nonché autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” – aveva sparato la “bomba” in tono semiserio, attribuendo la notizia a “un sogno”, provocato da una “peperonata indigesta”. «Mi risulta che l’effetto l’abbia avuto, quel “sogno”», dice ora Carpeoro, visto che si riparla di Foa come presidente della Rai.