Archivio del Tag ‘Islam’
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Amoroso: la volpe a guardia del pollaio ci trascina in guerra
Attenti, stiamo entrando in guerra: e sarà una nuova, terribile guerra fredda. Provate a pensarci: perché gli architetti dell’Eurozona vogliono indebolirci, massacrando l’Europa del Sud? Perché confina col Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente, cioè il forziere energetico del mondo. Oltre la frontiera nevralgica dell’Iran, avanza l’impero della Cina, che “ragiona” come gli altri paesi emergenti: non tollera più il monopolio privilegiato degli Stati Uniti. L’Europa meridionale? Pericolosa e “inaffidabile”, come l’Italia: meglio tenerci sotto controllo, con l’acqua alla gola, commissariati e stretti nella morsa della crisi e del debito artificiale, creato apposta dalla mafia della finanza criminale. Aprite gli occhi: è proprio per questo che hanno messo “la volpe a guardia del pollaio”. Draghi alla Bce, al servizio dello strapotere della Germania: funziona, per impedire all’Europa di smarcarsi e sviluppare una sua politica economica democratica, aperta al futuro.
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Obama premia Bob Dylan, amaro giudice dell’Occidente
Barack Obama è l’uomo che ha fatto frettolosamente inabissare “con rito islamico” la salma-fantasma di Osama Bin Laden nell’Oceano Indiano: calata in mare, si racconta, dal ponte di una portaerei. Pura narrazione, senza uno straccio di documento fotografico. Poco dopo, la Us Navy sarebbe stata impegnata nel Mediterraneo a bombardare a morte la Libia, con un unico obiettivo: l’eliminazione fisica di Muhammar Gheddafi. Sempre lui, Barack Obama, ora si è concesso il lusso di elargire la “Medaglia Presidenziale della Libertà” a diverse “grandi personalità” che hanno avuto un “incredibile impatto” sulla società. Tra queste l’israeliano Shimon Peres, che non mosse un dito quando le truppe di Tel Aviv massacrarono la popolazione civile di Gaza, e l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, braccio armato di Bill Clinton nella mattanza della guerra civile balcanica. Tra i premiati anche il mito in persona, il settantenne Bob Dylan: quello che, cinquant’anni fa, malediceva i masters of war giurando che avrebbe sputato sulla loro tomba.
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Vik, vincitore anche da morto: non ho mai smesso di sognare
«Non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera, semmai voglio essere ricordato per i miei sogni. Dovessi morire, tra cento anni, vorrei che sulla mia lapide fosse scritto ciò che diceva Nelson Mandela: un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni, un vincitore». Vittorio si accompagnava con docilità alla grandezza reale dei suoi sogni, ma alludeva inevitabilmente alla nera ombra che si abbinava al suo raro coraggio fisico, un’ombra che lo ha raggiunto prima di quei cent’anni, proprio un anno fa. Un anno dopo la morte di Vittorio Arrigoni siamo interrogati in profondità dal “vincitore”, anche quando scontiamo la sconfitta profanatrice che ha spezzato la sua vita.
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Gli Usa non lasceranno Kabul: la guerra infinita conviene
Doveva essere un’operazione di polizia internazionale per catturare Osama Bin Laden e sgominare Al Qaeda dopo l’attentato del secolo, quello dell’11 Settembre: così almeno secondo la Casa Bianca, lo stesso super-potere che due anni dopo invaderà l’Iraq col pretesto delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Inabissato “con rito islamico” il fantasma di Bin Laden nelle acque dell’oceano, il ritiro dall’Afghanistan resta un miraggio. Copione invariato: bombardamenti, stragi di civili, attentati, soldati uccisi, bare avvolte nelle bandiere e politici occidentali che ripetono che il contingente internazionale rimarrà nel paese asiatico “per difendere la pace e la sicurezza”. Una favola tragica: l’Afghanistan resta un paese in macerie perché l’abbiamo condannato a rivestire lo stesso ruolo che Israele gioca in Medio Oriente, ossia quello di fabbrica e fucina della instabilità regionale.
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Chomsky: il mondo ha paura di Israele, non dell’Iran
Nel numero di gennaio-febbraio della rivista “Foreign Affairs” un articolo di Matthew Kroenig intitolato “È il momento di attaccare l’Iran” spiega perché un attacco è l’opzione meno peggiore. Sui media si fa un gran parlare di un possibile attacco israeliano contro l’Iran, mentre gli Stati Uniti traccheggiano tenendo aperta l’opzione dell’aggressione, ciò che configura la sistematica violazione della carta delle Nazioni Unite, fondamento del diritto internazionale. Mano a mano che aumentano le tensioni, nell’aria aleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq. La febbrile retorica della campagna per le primarie negli Usa rinforza il suono dei tamburi di guerra. Si suole attribuire alla “comunità internazionale” – nome in codice per definire gli alleati degli Stati Uniti – le preoccupazioni per l’imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo, però, tendono a vedere le cose in modo diverso.
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Un testimone: le milizie anti-Assad massacrano i siriani
Sono originario di Homs. Vivevo nel quartiere di Bab Sebaa. A metà aprile del 2011, gruppi di persone hanno cominciato a riunirsi pacificamente nel centro di Homs, sulla via Al-Kowatly, per chiedere riforme. Ben presto, però, la gente ha cominciato a sospettare di queste manifestazioni, c’era qualcosa di strano, di poco chiaro: taluni avevano comportamenti provocatori, estranei al sentire comune del nostro paese, ad esempio lanciavano slogan che incitavano alla Jihad. Molto rapidamente tutte le persone che conoscevo hanno smesso di manifestare, non si sentivano più a loro agio e concordi con questo genere di proteste del venerdì, all’uscita dalle moschee.
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Bengasi contro Tripoli: la Libia sarà la nuova Somalia
Un’assemblea delle tribù e delle milizie riunita a Bengasi ha dato vita al “Consiglio provvisorio di Barqa”, Cirenaica, chiedendo la piena autonomia della regione da Tripoli. Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt fino alle prossime elezioni di giugno, ha definito l’iniziativa la «sedizione dell’est» accusando non meglio precisati «paesi arabi» di avere fomentato la «cospirazione». Poi la minaccia: «Devono sapere che gli infiltrati e i fedelissimi dell’ex regime tentano di utilizzarli e noi siamo pronti a dissuaderli, anche con la forza». Replica Hamid Al-Hassi, capo militare della Cirenaica: «Siamo pronti a dare battaglia. Siamo dunque a quel rischio di guerra civile che lo stesso Jalil paventava di fronte all’anarchia delle milizie che spadroneggiano in Libia». La Libia “liberata” dalla Nato sta per diventare la nuova Somalia?
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Anche l’Italia tra gli sconfitti della guerra contro Gheddafi
Gheddafi voleva una moneta unica africana, sostenuta dai proventi del petrolio, per uno sviluppo autonomo dell’Africa, capace di sganciare il continente nero dal controllo dell’Occidente: scommessa stroncata sul nascere, con la guerra. Un golpe, travestito da rivoluzione: non che i libici fossero felici di subire la spietata dittatura di Gheddafi, ma i leader della “nuova Libia” – tutti quanti: Jalil, Jibril, Younis – erano i più stretti collaboratori del “macellaio di Tripoli”. Qualcuno lo aveva capito fin dall’inizio: mentre le folle di Tunisi e del Cairo avevano assediato i palazzi del potere, il 17 febbraio 2011 erano stati gruppi armati ad attaccare posti di polizia e sedi governative a Bengasi. Operazione celebrata dai media come “lotta di liberazione”, in realtà pianificata da Parigi e Londra con l’appoggio di Washington, e totalmente subita da Roma: Berlusconi quella guerra non la voleva, e nel deserto libico l’Italia ha perso una quota molto rilevante della propria sovranità energetica.
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Atene e l’Europa: smascheriamo il fantasma della paura
Lo dico da anni. La fine del ventesimo secolo ha visto la nascita di un modo osceno di dominare le masse, si chiama ‘la politica della paura’. Cioè, le masse vengono costantemente distratte dall’impegno nella lotta per i loro diritti da fantasmi tanto terrifici quanto inesistenti e/o inconsistenti: il pericolo rosso (gli Usa di Nixon sapevano benissimo che l’Urss era alla bancarotta sia finanziaria che militare); l’Islam radicale, la Sars, la mucca pazza, l’Aviaria, il debito pubblico, il deficit, l’inflazione. E le masse ci cascano, ci caschiamo, perché siamo noi le masse. La “politica della paura” in queste ore sta costringendo un intero popolo, i greci, a regredire al medioevo, nei redditi, nei diritti, nella dignità.
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La Nato in Siria: guida i “ribelli” l’agente libico di Bin Laden
«Ancora non sappiamo chi ha ucciso Kennedy: come credere, dunque, all’inverosimile versione ufficiale dell’11 Settembre?». Quando uscì “La guerra infinita”, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq motivata con la favola delle “armi di distruzione di massa” di Saddam, il libro raggiunse in pochi giorni le 70.000 copie vendute, e senza una sola recensione sui grandi media, per i quali la tesi di Giulietto Chiesa era semplicemente inaccettabile. Sono gli stessi media che, dieci anni dopo, inabissato in mare “con rito islamico” l’ormai ingombrante fantasma di Bin Laden, non hanno battuto ciglio quando, in prima serata sulla Rai, Giovanni Minoli ha rilanciato i medesimi imbarazzanti interrogativi di Chiesa. Poi è stata la volta della Libia, con la bufala in mondovisione delle “fosse comuni” per coprire le “stragi di civili”. E adesso è il turno della Siria: il capo del sedicente “libero esercito siriano”, si viene ora a sapere, è nientemeno che l’ex comandante militare di Tripoli, già dirigente di Al Qaeda.
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Crisi e guerra: contro la Cina, la geopolitica del caos
«È proprio vero il detto che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Sembra d’assistere ad una riedizione degli eventi post-1929. E vogliamo dirla tutta? Il 1929 sfociò alfine nella Seconda Guerra Mondiale». Parola di Daniele Scalea, condirettore della rivista “Geopolitica”, che lancia uno sguardo ai pesanti rivolgimenti che hanno segnato il 2011: la Cina che cresce, l’Europa che vacilla, gli Usa che destabilizzano le aree-cerniera come l’Africa e il Mediterraneo, senza però un disegno chiaro: è la “geopolitica del caos” che, dalla Libia alla Siria, punta a generare conflitti regionali, per rallentare l’ascesa di Pechino e prendere tempo, in attesa che il petrolio del Medio Oriente diventi sempre meno strategico.
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La Russia: missili contro l’Europa se Israele minaccia l’Iran
Dopo la vistosa operazione di difesa preventiva della Siria, la Russia rilancia: Mosca è pronta a dislocare sistemi missilistici “Iskander” nell’enclave baltica di Kaliningrad, se la Nato insisterà nel voler dispiegare – stavolta contro l’Iran – lo scudo anti-missile che da anni preme per installare ai confini dell’ex Unione Sovietica. Complice anche la campagna elettorale moscovita, si riaccendono toni da guerra fredda attorno allo scenario sempre più instabile che minaccia il Medio Oriente, dove una potenza nucleare come Israele ha annunciato un possibile attacco a Teheran: la reazione missilistica dell’Iran potrebbe coinvolgere forze Usa nel Golfo o nel Mediterraneo, con conseguenze apocalittiche.