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Vota il nazista che è in te: gli americani la sanno lunga
Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.In una singolare panoramica storica proprosta da “Mickey Z” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, il blog “InfoShop” racconta di Fritz Kuhn, un veterano che nella Prima Guerra Mondiale combattè nell’esercito tedesco e il 20 febbraio 1939 arringò al Madison Square Garden 22.000 membri ferventi dell’associazione tedesco-americana «di fianco a un ritratto di George Washington alto 30 piedi, adornato di svastiche nere», e con 1.300 agenti di guardia all’esterno dell’edificio newyorkese. «Kuhn si assicurò un gran numero di fedeli seguaci “spiegando” come sia Lenin che J.P. Morgan fossero ebrei e che il vero nome di Franklin Delano Roosevelt fosse in realtà “Rosenfeld” (altre voci divulgate da Kuhn riguardavano la first lady: si vociferava, per esempio, che Eleanor passò al presidente la gonorrea “contratta da un negro” e che visitò Mosca per imparare “innominabili pratiche sessuali”)». Il proselitismo di Kuhn non passò inosservato al Terzo Reich, che lo aveva invitato alle Olimpiadi del 1936, dove potè incontrare il Führer. Ma non fu il solo filonazista: durante la Grande Depressione, padre Charles Coughlin pregava tutti i giorni per le paure degli americani, e ne parlava a 40 milioni di ascoltatori sintonizzati su 47 stazioni radio. Chiamava “comunista” il leader del partito laburista David Dubinsky, ricorda lo storico Robert Herzstein. «Quando un giornalista del “Boston Globe” chiese a Coughlin di provare questa accusa, venne preso a cinghiate in faccia».Anche se i suoi attacchi xenofobi gli fecero perdere parte dei suoi sostenitori, Coughlin rimase popolare e continuò ad inveire indisturbato contro “gli assassini e gli oppositori di Cristo”, continua “InfoShop”. Nel 1938 ristampò sul suo giornale “Social Justice” il noto trattato antisemita “I protocolli dei savi anziani di Sion”. Per i suoi sforzi, la stampa nazista lo nominò Coughlin “il commentatore radiofonico più potente d’America”. Nel frattempo, l’eroe dell’aria Charles Lindbergh avvicinò moltissimo gli Usa alla Germania nazista: «Quando godeva ancora del prestigio internazionale grazie al suo “Spirit of St. Louis”, Lucky Lindy venne invitato a visitare la Germania nel 1936 “a nome del generale Goering e del ministro dell’aviazione tedesca”. Dopo aver ampiamente pubblicizzato la potenza aerea tedesca, l’aquila solitaria Lindbergh fu onorata da Goering e invitata a partecipare alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Berlino, dove definì Hitler “un uomo di indubbia grandezza” che “aveva fatto molto per i tedeschi” e che rese la Germania “la nazione più interessante del mondo”». Lo storico Kenneth Davis ricorda che Lindbergh divenne un leader del movimento isolazionista “America First”, finanziato da Ford, il cui intento era quello di tenere gli Stati Uniti fuori dal conflitto mondiale. «In uno dei suoi discorsi Lindbergh disse agli ebrei americani di “chiudere il becco” e accusò “la stampa in mano agli ebrei” di spingere gli Stati Uniti verso la guerra».Nei suoi diari, Goebbels ne elogiava le gesta. «L’opinione pubblica negli Usa inizia a vacillare», scriveva il “profeta” di Hitler il 19 aprile 1941. «Gli isolazionisti sono molto attivi. Il colonnello Lindbergh rimane fedele ai suoi ideali con tenacia e coraggio. Un uomo d’onore!». E il 30 aprile 1941: «Lindbergh ha scritto a Roosevelt una lettera molto animata. E’ indubbiamente il più tenace oppositore del presidente». E ancora, l’8 giugno dello stesso anno: «Questi ebrei americani vogliono la guerra. E quando arriverà il tempo, con la guerra ci si strozzeranno. Ho letto una brillante lettera di Lindbergh a tutti gli americani. Spiega agli interventisti come se la caveranno. Stilisticamente magnificente. Quell’uomo ha qualcosa». Dopo che l’America entrò nella Seconda Guerra Mondiale, annota “InfoShop”, Lindbergh cominciò a venire deriso perché si era schierato con i nemici dell’America e l’opinione pubblica gli si rivoltò contro. «L’insegna pubblicitaria luminosa di Lindbergh in cima a un grattacielo di Chicago venne presto rinominata “l’insegna Palmolive”, e la montagna rocciosa del Colorado soprannominata “Picco Lindbergh” venne immediatamente ribattezzata “Picco dell’Aquila Solitaria”. Tuttavia il danno recato alla sua immagine fu contenuto grazie alle sue innumerevoli missioni come pilota nella guerra nel Pacifico. Alla fine la sua reputazione rimase intatta».«Parte della mia bellezza sta nel fatto che sono molto ricco», dice oggi Trump. In realtà, scrove il blog, «i “ricconi” mandavano avanti i loro loschi affari fascisti molto prima che Donald ricevesse il suo primo “piccolo prestito”». Nei decenni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, «fare affari con la Germania di Hitler o l’Italia di Mussolini (o, per delega, con la Spagna di Franco) non creava scalpore ai dirigenti dell’industria, così come al giorno d’oggi non stupisce la vendita di hardware militare all’Arabia Saudita». Il giornalista investigativo Christopher Simpson afferma che «dagli anni Venti, svariati leader di Wall Street e dell’establishment della politica estera Usa mantennero stretti legami con la loro controparte tedesca, attraverso matrimoni combinati o condividendo gli investimenti», che in Germania aumentarono rapidamente dopo l’ascesa al potere di Hitler, incrementando addirittura del 48,5 % tra il 1929 e il 1940. «Alcune delle corporations statunitensi che investirono in Germania durante gli anni Venti furono la Ford, la General Motors, la General Electric, la Standard Oil, la Texaco, la Itt e la Ibm, e tutte miravano al crollo della manodopera e del partito della classe operaia. Numerose di queste aziende continuarono le loro operazioni in Germania durante la guerra, usando a volte la forza lavoro degli schiavi dei campi di concentramento, con pieno appoggio del governo americano».«Ai piloti veniva dato l’ordine di non colpire in Germania le fabbriche di proprietà americana», scrive Michael Parenti. «Così, Colonia venne quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti alleati ma lo stabilimento della Ford, che forniva equipaggiamento militare all’armata nazista, rimase indenne, così i civili tedeschi cominciarono ad usare lo stabilimento come riparo antiaereo». Sullivan e Cromwell, due tra le più potenti imprese legali di Wall Street dagli anni Trenta, «sostennero il fascismo globale». Allen e John Foster Dulles, i due fratelli che erano a capo dell’azienda, «boicottarono nel 1932 il matrimonio della sorella perché lo sposo era ebreo». I fratelli Dulles «fungevano da contatto con la Ig Farben, la ditta che forniva il gas letale usato nelle camere a gas naziste». Prima della guerra, «il fratello maggiore John Foster mandava telegrammi ai suoi clienti tedeschi che cominciavano con il saluto “Heil Hitler” e, nel 1935, negò con superficialità l’idea di una minaccia nazista in un articolo scritto per l’“Atlantic Monthly”». E nel 1939 dichiarò all’Economic Club di New York: «Dobbiamo accogliere e coltivare il desiderio della Nuova Germania di trovare nuove possibilità per le sue iniziative».Il fratello minore, Allen, che nel frattempo aveva incontrato il dittatore tedesco, promosse il concetto post-bellico che le multinazionali erano uno strumento della politica estera americana e, che per questo, dovevano essere immuni dalle legislazioni dei singoli Stati. «Questo concetto venne poi applicato a istituzioni quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio». Nel 1946 i fratelli Dulles ebbero un ruolo di spicco nella fondazione dell’intelligence americana e nel conseguente reclutamento dei criminali di guerra nazisti. Secondo “InfoShop”, però, «il sostenitore del Terzo Reich più simile a Trump fu Henry Ford, il magnate autocratico che disprezzava i sindacati, schiavizzava i suoi lavoratori e licenziava i dipendenti beccati a guidare macchine di altre case automobilistiche». Un antisemita dichiarato, convinto che gli ebrei corrompessero i “gentili” con «sifilide, Hollywood, gioco d’azzardo e jazz». Nel 1918, Ford comprò e diresse la testata “The Dearborn Independent”, «che diventò presto un forum antisemita». Nel loro libro “Chi finanziò Hitler”, James e Suzanne Pool citano il “New York Times”, che nel 1922 sostenne che «a Berlino vi erano voci ampiamente diffuse circa il finanziamento da parte di Henry Ford al movimento nazionalista antisemita di Adolf Hitler a Monaco».Nel suo romanzo su Ford “Il re macinino”, Upton Sinclair afferma che i nazisti ricevettero 40.000 dollari dal magnate per ristampare volantini antisemiti tradotti in tedesco, mentre altri 300.000 dollari vennero inviati a Hitler attraverso un nipote del Kaiser. «Adolf Hitler gli fu sempre grato, tanto da tenere una foto di grandi dimensioni del pioniere dell’automobile sulla sua scrivania». Il Kaiser sosteneva: «Consideriamo Heinrich (sic) Ford il leader del crescente movimento fascista in America». Hitler sperava un giorno di «importare truppe d’assalto negli Stati Uniti per aiutarlo a diventare presidente». Nel 1938, il giorno del suo settantacinquesimo compleanno, a Henry Ford venne conferita la Gran Croce dell’ordine supremo dell’ Aquila Tedesca dal Führer in persona. Fu il primo americano (il secondo fu James Mooney della Gm) e la quarta persona al mondo (tra queste, Mussolini) a ricevere il più grande riconoscimento concesso a cittadini non tedeschi. Conclude “Mickey Z”: «Spero non ci sia bisogno di dimostrare ulteriormente che il fascismo, la xenofobia e la demagogia sono americani quanto una torta di mele geneticamente modificata». Non fa accezione Trump, che «demonizza chi è già stato demonizzato» (i messicani, gli attivisti neri), e vede aumentare i consensi grazie a quel tipo di retorica.Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.
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Armi e droga all’Isis, dai boss mafiosi al governo in Bulgaria
All’Isis sono finite armi di fabbricazione sovietica, per farle sembrare provenienti dalla dotazione storica dell’esercito siriano. Il fornitore occulto? La Bulgaria, paese Nato e membro dell’Ue. O meglio: la dirigenza bulgara guidata da un personaggio che è considerato un gangster. Boyko Borisov, già campione di karate, poi ministro, quindi premier. «Legato ai cartelli della droga». Per Jürgen Roth, specialista tedesco di criminalità organizzata, Borisov è «l’Al Capone bulgaro». Armi e droga, carichi proibiti e finiti prima ai jihadisti in Libia e poi all’Isis in Siria, su ordine della Cia. Una vicenda inquietante, ricostruita da Thierry Meyssan su “Rete Voltaire”, newsmagazine di geopolitica. All’origine del business, una sostanza dopante: la fenetillina, utilizzata negli ambienti sportivi e poi opportunamente tagliata con hashish. «Dei trafficanti bulgari videro in ciò un’opportunità. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica sino all’ingresso nell’Unione Europea, cominciarono a produrla e a esportarla illegalmente in Germania con il nome di Captagon». E qui, secondo Meyssan, entra in gioco Borisov.«Due gruppi mafiosi si fecero una forte concorrenza, Vasil Iliev Security (Vis) e Security Insurance Company (Sic), da cui dipendeva il karateka Boyko Borisov». Questo sportivo di alto livello, professore all’Accademia di polizia, creò una società di protezione delle persone altolocate. Borisov, scrive Meyssan, divenne la guardia del corpo di entrambi gli ex presidenti, sia il filosovietico Todor Zhivkov sia il filo-Usa Simeone II di Saxe-Cobourg-Gotha. Quando questi divenne primo ministro, Borisov fu nominato direttore centrale del ministero degli interni, e poi venne eletto sindaco di Sofia. Nel 2006, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Bulgaria (e futuro ambasciatore in Russia) John Beyrle, ne fa un ritratto in un dispaccio confidenziale rivelato da Wikileaks: «Lo presenta come legato a due grandi boss mafiosi, Mladen Mihalev (detto “Madzho”) e Rumen Nikolov (detto “Il Pascià”), i fondatori della Sic». Nel 2007, “Us Congressional Quarterly” cita una compagnia svizzera, secondo la quale Borisov avrebbe «insabbiato parecchie indagini presso il ministero degli interni», trovandosi «lui stesso coinvolto in 28 delitti di mafia».Borisov, continua Meyssan, sarebbe diventato uno stretto collaboratore di John McLaughlin, il vicedirettore della Cia. «Avrebbe installato in Bulgaria una prigione segreta dell’Agenzia e avrebbe contribuito a fornire una base militare nel quadro del progetto d’attacco contro l’Iran». Divenuto lui stesso primo ministro, mentre il suo paese era già membro della Nato e dell’Ue, venne sollecitato dalla Cia affinché desse un aiuto nella guerra segreta contro Muhammar Gheddafi. «Boyko Borisov fornì il Captagon prodotto dalla Sic ai jihadisti di Al-Qaeda in Libia», scrive Meyssan. «La Cia rese questa droga sintetica più attraente e più efficiente mescolandola con una droga naturale, l’hashish, consentendo così di manipolare più facilmente i combattenti e di renderli più terrificanti». In seguito, «Borisov ha esteso il suo mercato alla Siria». Ma la cosa più importante, sempre secondo Meyssan, si è avuta «quando la Cia, utilizzando le peculiarità di un ex Stato membro del Patto di Varsavia che aveva aderito alla Nato, acquistò da esso armamenti di tipo sovietico per un valore di 500 milioni di dollari e li trasportò in Siria».Si trattava principalmente di 18.800 lanciagranate anticarro portatili e di 700 sistemi di missili anti-carro Konkurs, precisa Meyssan. Armi perfette, per sembrare “siriane”, cioè sottratte dai “ribelli” all’esercito regolare di Damasco. Non manca un giallo: la struttura segreta colpì immediatamente la milizia sciita libanese di Hezbollah, scesa in campo per difendere Assad, non appena cercò di far luce sullo strano traffico di armi. «Quando Hezbollah inviò una squadra in Bulgaria per informarsi su questo traffico, un bus di turisti israeliani fu oggetto di un attentato a Burgas, che causò 32 feriti. Immediatamente – scrive Meyssan – Benjamin Netanyahu e Boyko Borisov accusarono la resistenza libanese, mentre i media atlantisti diffusero numerose accuse contro il presunto attentatore suicida di Hezbollah. In ultima analisi, il medico legale, la dottoressa Galina Mileva, si accorse che la sua salma non corrispondeva alle descrizioni dei testimoni; un responsabile del controspionaggio, il colonnello Lubomir Dimitrov, notò che non si trattava di un attentatore suicida, ma di un semplice corriere, e che la bomba era stata attivata a distanza, probabilmente a sua insaputa; mentre la stampa accusava due arabi che avevano cittadinanza canadese e australiana, la “Sofia News Agency” citò un complice statunitense conosciuto con lo pseudonimo di David Jefferson».Così, quando l’Unione Europea «approfittò del caso per classificare Hezbollah come “organizzazione terroristica”», il ministro degli esteri in carica durante il breve periodo in cui Borisov è stato escluso dal potere esecutivo, Kristian Vigenine, ha sottolineato che, in realtà, non ci sono prove per collegare l’attacco alla resistenza libanese. Poi, a partire dalla fine del 2014, la Cia cessò di dare ordini alla Bulgaria e la sostituì con l’Arabia Saudita. L’Isis ha quindi smesso di ottenere armi di tipo sovietico, ricevendo direttamente materiale della Nato, come i missili anticarro Tow. «Ben presto, Riad fu sostenuta dagli Emirati Arabi Uniti». I due Stati del Golfo, continua Meyssan, assicurarono essi stessi la consegna degli armamenti ad Al-Qaeda e a Daesh tramite la “Saudi Arabian Cargo” e la “Etihad Cargo”, presso Tabuk lungo la frontiera saudita-giordana e anche presso la base comune degli Emirati, della Francia e degli Usa che si trova a Dhafra. Ultimo colpo della Cia, nel giugno 2014: proibire alla Bulgaria di autorizzare il transito del gasdotto russo South Stream, nel quandro delle sanzioni contro Mosca dopo la crisi in Ucraina. Un danno per le casse bulgare, un freno all’Ue. Ma anche un pretesto per sviluppare il gas di scisto in Europa orientale e «mantenere l’interesse a rovesciare la Repubblica araba siriana, possibile grande esportatore di gas».All’Isis sono finite armi di fabbricazione sovietica, per farle sembrare provenienti dalla dotazione storica dell’esercito siriano. Il fornitore occulto? La Bulgaria, paese Nato e membro dell’Ue. O meglio: la dirigenza bulgara guidata da un personaggio che è considerato un gangster. Boyko Borisov, già campione di karate, poi ministro, quindi premier. «Legato ai cartelli della droga». Per Jürgen Roth, specialista tedesco di criminalità organizzata, Borisov è «l’Al Capone bulgaro». Armi e droga, carichi proibiti e finiti prima ai jihadisti in Libia e poi all’Isis in Siria, su ordine della Cia. Una vicenda inquietante, ricostruita da Thierry Meyssan su “Rete Voltaire”, newsmagazine di geopolitica. All’origine del business, una sostanza dopante: la fenetillina, utilizzata negli ambienti sportivi e poi opportunamente tagliata con hashish. «Dei trafficanti bulgari videro in ciò un’opportunità. Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica sino all’ingresso nell’Unione Europea, cominciarono a produrla e a esportarla illegalmente in Germania con il nome di Captagon». E qui, secondo Meyssan, entra in gioco Borisov.
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Münchau: buone notizie, questa orribile Ue sta per rompersi
Mentre entriamo nella seconda metà del secondo decennio di questo secolo, l’Unione Europea si sta spezzando lungo tre linee di faglia. Una divide il prospero Nord dall’indebitato Sud. La seconda divide una periferia euroscettica da un centro eurofilo. La terza divide un Ovest liberale da un Est sempre più autocratico. Questa è la scena della disintegrazione e della frattura dell’Ue. È difficile fare delle previsioni specifiche per il 2016. Ci sono certamente molti rischi noti: il referendum britannico sull’appartenenza all’Ue; il costante flusso dei profughi; l’ampliarsi degli squilibri economici; il tracollo della Grecia; il sistema bancario italiano sull’orlo dell’insolvenza e le incombenti tensioni tra la Germania e i paesi periferici sulla politica fiscale; la crescita del terrorismo jihadista; l’incertezza politica in Spagna e in Portogallo; la crisi in Ucraina, lungi dall’essere risolta; lo scandalo Volkswagen sulle emissioni, che è passato in secondo piano ma minaccia di sconquassare uno degli ultimi pilastri della forza industriale del continente.Con tutte queste crisi che si svolgono nello stesso momento, mi pare più utile guardare alla figura d’insieme – al rischio sistemico che non viene da una singola crisi in particolare, ma dal fatto di doverne affrontare così tante nello stesso momento. Se fate un passo indietro, vi accorgete che la molteplicità delle crisi non è poi così accidentale. Se create un’unione monetaria senza delle istituzioni economiche, delle politiche fiscali e dei sistemi giudiziari condivisi, alla fine siete condannati a schiantarvi contro un muro. Allo stesso modo, una zona dove le persone possono circolare liberamente senza passaporto, ma priva di un controllo condiviso delle frontiere esterne, non può durare a lungo. C’è uno schema comune sottostante a tutto questo. L’Ue ha una tendenza innata ai cattivi compromessi e alle costruzioni adatte solo al bel tempo. Nell’ultimo anno non è cambiato sostanzialmente niente, eccetto il fatto che il problema è diventato evidente a un maggior numero di persone.La rottura, quando verrà, potrebbe ancora scioccarci. Ma offre anche delle opportunità. Penso che la cosa peggiore che l’Ue possa fare sia quella di continuare a procedere nella stessa direzione in cui è andata finora. I grandi cambiamenti è più facile che siano forzati direttamente dagli elettori – tramite un referendum, come quello che presto si terrà nel Regno Unito – che dai politici e dai diplomatici. Il processo dell’Ue ha la tendenza ad evitare disconinuità improvvise. Le cose andranno in frantumi solo quando le pressioni provenienti dai singoli paesi saranno diventate troppo forti. C’è il rischio che ciò spinga verso una disintegrazione incontrollata. Ma c’è anche una buona possibilità che i leader politici europei siano abbastanza avveduti da muoversi in avanti con spirito costruttivo. L’eventuale scelta del Regno Unito di abbadonare l’Ue potrebbe, alla fine, portare ad una più ampia trasformazione dell’Ue stessa, con un gruppo di paesi più interni che perseguono una maggiore integrazione, e un gruppo di paesi più esterni, come il Regno Unito, che potrebbero trovarsi tranquillamente a proprio agio.Una rottura dell’Eurozona, che tuttora mi aspetto presto o tardi di vedere, offrirebbe anch’essa l’opportunità per un più ampio riaggiustamento. Una volta che vedete l’euro come un sistema di tassi di cambio fissi con una moneta condivisa, anziché come un’unione monetaria irreversibile, la nebbia mentale si dipana. Un tale sistema può funzionare solo tra un piccolo gruppi di paesi con economie fortemente convergenti. L’Austria e la Germania mantengono un tasso di cambio quasi fisso fin dagli anni ’70. Perché non potrebbero continuare a farlo per altri 50 anni? La Francia e la Germania hanno mantenuto un tasso di cambio essenzialmente stabile fin dagli anni ’80. Perché dovrebbero finire sui lati opposti di un sistema di tassi di cambio proprio adesso?L’argomento a favore di una maggiore integrazione economica e politica tra Germania e Francia rimane ancora forte – certamente molto più forte dell’argomento a favore di un’integrazione economica e politica in una Ue dove alcuni paesi sono parte dell’Eurozona, e altri non hanno nessuna intenzione di entrarci. Ma non c’è mai stata una base logica convincente nell’argomento secondo il quale un mercato unico avrebbe bisogno di una moneta unica. Piuttosto è vero l’inverso. I paesi con una moneta unica devono avere un’integrazione dei mercati molto più profonda dei paesi che mantengono la propria moneta. Se accettiamo che l’Ue sia un’unione che contiene diverse monete, e lo dobbiamo fare, dobbiamo anche accettare che essa non sia un unico mercato, ma un insieme di mercati.Al di là della frammentazione economica, per l’Europa c’è la divisione politica tra Est e Ovest. Ungheria e Polonia hanno eletto governi euroscettici di destra. Hanno entrambi ridotto l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. Da tempo ritengo che l’allargamento dell’unione non sia stata una grande opportunità storica, come si dice di solito, ma invece un errore storico. L’allargamento ha solo aggiunto divisione all’interno dell’Europa, e ha reso l’Ue più disfunzionale. Vedo quindi frammentazioni e rotture non come delle minacce da evitare, ma come delle opportunità da cogliere. La mia previsione per il 2016 è che si vedranno ancora più rotture. La mia speranza è che siano gestite bene.(Walter Munchau, “Una rottura dell’Eurozona sarebbe un’opportunità da cogliere”, dal “Financial Times” del 3 gennaio 2016, tradotto da “Voci dall’estero”).Mentre entriamo nella seconda metà del secondo decennio di questo secolo, l’Unione Europea si sta spezzando lungo tre linee di faglia. Una divide il prospero Nord dall’indebitato Sud. La seconda divide una periferia euroscettica da un centro eurofilo. La terza divide un Ovest liberale da un Est sempre più autocratico. Questa è la scena della disintegrazione e della frattura dell’Ue. È difficile fare delle previsioni specifiche per il 2016. Ci sono certamente molti rischi noti: il referendum britannico sull’appartenenza all’Ue; il costante flusso dei profughi; l’ampliarsi degli squilibri economici; il tracollo della Grecia; il sistema bancario italiano sull’orlo dell’insolvenza e le incombenti tensioni tra la Germania e i paesi periferici sulla politica fiscale; la crescita del terrorismo jihadista; l’incertezza politica in Spagna e in Portogallo; la crisi in Ucraina, lungi dall’essere risolta; lo scandalo Volkswagen sulle emissioni, che è passato in secondo piano ma minaccia di sconquassare uno degli ultimi pilastri della forza industriale del continente.
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Craig Roberts: sono pazzi, vogliono una guerra atomica
Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato vita ad una pericolosa ideologia statunitense chiamata neoconservatorismo. L’Unione Sovietica era servita fino ad allora come vincolo alle azioni unilaterali da parte degli Usa. Con la rimozione di questo vincolo su Washington, i neoconservatori hanno intrapreso il loro piano di egemonia statunitense sul mondo. Gli Usa erano improvvisamente diventati “l’unica superpotenza”, “l’unico potere”, che avrebbe potuto agire “senza limiti, ovunque nel mondo”. Il giornalista neoconservatore del “Wahington Post” Charles Krauthammer ha riassunto la “nuova realtà” come segue: «Abbiamo uno schiacciante potere a livello mondiale. Siamo i custodi designati dalla storia del sistema internazionale. Quando l’Unione Sovietica è caduta, è nato qualcosa di nuovo, qualcosa di totalmente nuovo – un mondo unipolare dominato da una sola superpotenza scevra dal controllo di rivali e con possibilità di raggiungere ogni angolo del globo. Questo è uno sconvolgente sviluppo nella storia, mai visto dai tempi della caduta di Roma. Persino Roma non può essere presa a modello di quello che rappresentano gli Usa oggi».L’incredibile potere unipolare che la storia ha dato a Washington deve essere protetto ad ogni costo. Nel 1992 uno dei massimi ufficiali del Pentagono, il sottosegretario Paul Wolfowitz, ha scritto la Dottrina Wolfowitz, la quale è diventata la base della politica estera degli Usa. La Dottrina Wolfowitz sentenzia che il “primo obiettivo” della politica estera e militare degli Stati Uniti è «prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica o da qualche altra parte, che possa creare minaccia [alle azioni unilaterali degli Stati Uniti] nell’ordine di quella creata precedentemente dall’Unione Sovietica. Questa considerazione è fondamentale per sottolineare la nuova strategia di difesa regionale e richiede uno sforzo atto a prevenire che qualsivoglia potenza ostile possa controllare una regione, le cui risorse potrebbero, se sfruttate a dovere, essere sufficienti a generare un potere globale». (Una “potenza ostile” è una nazione abbastanza forte da avere una politica estera indipendente dai dettami di Washington).La dichiarazione unilaterale del potere statunitense è iniziata seriamente durante l’amministrazione Clinton, con l’intervento in Yugoslavia, Serbia, Kosovo e la “no-fly zone” imposta sull’Iraq. Nel 1997 i neoconservatori hanno stilato il “Progetto per un nuovo secolo statunitense”. Nel 1998, tre anni prima dell’11 Settembre, i neocon hanno inviato una lettera al presidente Clinton chiedendo un cambio di regime in Iraq e «la rimozione di Saddam Hussein dal potere». I neoconservatori hanno preparato un programma per rimuovere sette governi in cinque anni. Gli eventi dell’11 Settembre 2001 sono considerati dalla gente informata come “la nuova Pearl Harbor”, che i neocon hanno definito come necessari per iniziare le loro guerre di conquista in Medio Oriente. Paul O’Neil, il primo segretario del Tesoro del presidente George W. Bush, ha dichiarato pubblicamente che il programma del primo meeting con il suo gabinetto riguardava l’invasione dell’Iraq. Questa invasione era stata pianificata prima dell’11 Settembre. Dall’11 Settembre Washington ha distrutto in toto o in parte 8 nazioni e ora si oppone alla Russia sia in Siria sia in Ucraina.La Russia non può permettere che un Califfato jihadista si stabilisca nell’area tra Siria e Iraq, perché sarebbe la base per esportare le destabilizzazioni nella parte musulmana della Federazione Russa. Henry Kissinger stesso lo ha detto ed è abbastanza chiaro ad ogni persona dotata di buon senso. Comunque i neocon, fanatici e impazziti per il potere, che hanno controllato le amministrazioni Clinton, Bush e ora controllano l’amministrazione Obama, sono così presi dalla loro stessa arroganza che per pungolare la Russa sono stati disposti a far abbattere un aereo russo da un loro burattino, la Turchia, e a rovesciare un governo eletto democraticamente in Ucraina, il quale era in buoni rapporti con la Russia, sostituendolo con un governo fantoccio, controllato dagli Usa. Con questo background, possiamo capire che la situazione pericolosa a cui si affaccia il mondo è il prodotto delle arroganti politiche dei neoconservatori di egemonia statunitense sul mondo. La mancanza di giudizio e i pericoli nei conflitti siriano e ucraino sono conseguenze stesse dell’ideologia neoconservatrice.Per perpetuare l’egemonia, i neocon hanno gettato al vento le garanzie che Washington aveva dato a Gorbachev che la Nato non si sarebbe spinta nemmeno di un centimetro verso est. Questi hanno fatto in modo che gli Usa si tirassero fuori dal Trattato anti-missili balistici (Abm), il quale specificava che né Usa né Russia avrebbero sviluppato o dispiegato missili anti-balistici. I neocon hanno riscritto la dottrina militare statunitense e innalzato le armi nucleari dal loro ruolo di minaccia a forza di attacco preventiva. Hanno iniziato a posizionare basi Abm ai confini russi, sostenendo che le basi servivano per difendere l’Europa da inesistenti missili balistici intercontinentali (Icbm) iraniani. La Russia e il suo presidente Putin sono stati demonizzati dai neocon e dai loro burattini del governo e dei media. Per esempio, Hillary Clinton, un candidato presidente del Partito Democratico, ha definito Putin “il nuovo Hitler”. Un ex ufficiale della Cia ha inneggiato all’omicidio di Putin. I candidati alle presidenziali di entrambi gli schieramenti litigano per chi sarebbe più aggressivo nei confronti della Russia e il più scurrile contro il presidente russo.L’effetto è stato la distruzione della fiducia tra potenze nucleari. Il governo russo ha imparato che Washington non rispetta le proprie stesse leggi, men che meno il diritto internazionale, e che non può essere considerata affidabile nel rispettare gli accordi. Questa mancanza di fiducia, unita alle aggressioni contro la Russia vomitate da Washington e dai media prostituiti, ripetuti a pappagallo nelle capitali europee, hanno preparato il terreno per una guerra nucleare. Dato che la Nato (di base gli Usa) non ha la possibilità di sconfiggere la Russia in una guerra convenzionale, ancor meno in caso di alleanza Russia-Cina, la guerra sarebbe nucleare. Per evitare la guerra, Putin evita le rappresaglie e mantiene un basso livello quando risponde alle provocazioni occidentali. Il comportamento responsabile di Putin, comunque, è mal interpretato dai neocon come segno di debolezza e paura. Questi suggeriscono al presidente Obama di mantenere la pressione sulla Russia, per farla arrendere. Putin, tuttavia, ha dichiarato chiaramente che non intende mollare.Il messaggio è stato mandato in più occasioni. Per esempio il 28 settembre 2015, al settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, Putin ha affermato che la Russia non può più tollerare la situazione a livello mondiale. Due giorni dopo Putin ha preso il comando della guerra contro l’Isis in Siria. I governi europei, specialmente Germania e Regno Unito, sono complici del declino verso una guerra nucleare. Questi due stati vassalli degli Usa spingono l’aggressione senza sosta da parte di Washington contro la Russia, ripetendone la propaganda e supportandone le sanzioni e gli interventi militari contro altri paesi. Fino a che l’Europa non sarà altro che un’appendice di Washington, la prospettiva dell’Apocalisse sarà sempre più concreta. A questo punto della storia una guerra nucleare può essere evitata solo in due modi. Uno è che Russia e Cina si arrendano ed accettino l’egemonia di Washington. L’altro è che un leader indipendente in Germania, Regno Unito o Francia decida di abbandonare la Nato. Ciò scatenerebbe un fuggi-fuggi dalla Nato, la quale è il primo mezzo che Washington possiede per creare conflitto con la Russia e, dunque, è la forza più pericolosa sulla faccia della Terra per qualsiasi nazione europea e per l’intero globo. Se la Nato continuerà ad esistere, questa e l’ideologia neoconservatrice di egemonia statunitense renderanno la guerra nucleare inevitabile.(Paul Craig Roberts, “Perché la Terza Guerra Mondiale si profila all’orizzonte”, da “Information Clearing House” del 29 dicembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato vita ad una pericolosa ideologia statunitense chiamata neoconservatorismo. L’Unione Sovietica era servita fino ad allora come vincolo alle azioni unilaterali da parte degli Usa. Con la rimozione di questo vincolo su Washington, i neoconservatori hanno intrapreso il loro piano di egemonia statunitense sul mondo. Gli Usa erano improvvisamente diventati “l’unica superpotenza”, “l’unico potere”, che avrebbe potuto agire “senza limiti, ovunque nel mondo”. Il giornalista neoconservatore del “Wahington Post” Charles Krauthammer ha riassunto la “nuova realtà” come segue: «Abbiamo uno schiacciante potere a livello mondiale. Siamo i custodi designati dalla storia del sistema internazionale. Quando l’Unione Sovietica è caduta, è nato qualcosa di nuovo, qualcosa di totalmente nuovo – un mondo unipolare dominato da una sola superpotenza scevra dal controllo di rivali e con possibilità di raggiungere ogni angolo del globo. Questo è uno sconvolgente sviluppo nella storia, mai visto dai tempi della caduta di Roma. Persino Roma non può essere presa a modello di quello che rappresentano gli Usa oggi».
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Euro, Nato, Senato: zitti su tutto. E Becchi lascia i 5 Stelle
Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».Il leader, secondo Becchi, è stato sconfessato dal vicepresidente della Camera addirittura sul “Financial Times”, al quale Luigi Di Maio ha detto che loro «non sono favorevoli all’uscita dell’Italia dalla Nato, come invece ha sostenuto Grillo». Il fondatore sembra in ritirata, ma pronto a restare in campo come garante delle regole? «Peccato però che qui non venga rispettata nessuna regola, come sull’espulsione della senatrice Serenella Fucksia: non c’è stata nessuna assemblea dei parlamentari con voto poi ratificato dalla rete. Ormai regna l’arbitrio». Dietro l’angolo ci sono le comunali, e i sondaggi danno i grillini in forte crescita. «Sì, ma ritengo che ai vertici queste elezioni interessino poco», dice Becchi: «Ciò che conta per loro è andare al governo, ma non si sa bene per fare cosa, tranne le politiche anti-casta». Scomparse dai radar le battaglie che contano. L’euro, per esempio: «Grillo aveva promesso agli italiani che entro il dicembre 2015 o al massimo nel gennaio 2016 ci sarebbe stato il referendum sull’euro. Ora più nessuno ne parla, salvo per i banchetti fatti in estate quando il tema appassionava di più e c’era da soffiare qualche voto alla Lega. Ma cosa pensa il Movimento sull’euro? Perché non si porta avanti con convinzione in Parlamento la legge di iniziativa popolare per il referendum?».Buio anche sulla politica estera, altra trincea cruciale. Isis, guerre, Siria. Il Movimento 5 Stelle tace su tutto. «In particolare sul tema della Nato, qual è la posizione? Grillo o Di Maio?». E poi le “riforme” di Renzi, la “rottamazione” della Costituzione: «Perché non si lancia una forte campagna di opposizione alla riforma costituzionale in vista del referendum sul quale Renzi punta tutto quest’anno?». Paolo Bcechi se n’è accorto: «Si pensa troppo a fare opposizione di facciata, come nel caso della mozione di sfiducia alla Boschi su Banca Etruria». Nel frattempo, la tanto decantata democrazia diretta «è stata da tempo accantonata e sostituita dalla democrazia eterodiretta da Casaleggio». Becchi è deluso? «Sì, tanto che il 31 dicembre ho cancellato la mia iscrizione al Movimento, al quale avevo aderito con grande convinzione e entusiamo; l’ho fatto perché non corrisponde più a quella speranza dell’inizio. Non sono nella testa di Beppe, e non so se questo suo progressivo farsi da parte sia sintomatico di un po’ di delusione anche da parte sua, ma è sempre più politicamente assente. Forse era inevitabile che il Movimento si istituzionalizzasse, ma il sogno è finito».Credevo fosse amore, invece era un calesse. E’ l’amara scoperta del professor Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto all’università di Genova, fino a ieri considerato co-ideologo del Movimento 5 Stelle. Fine del sogno: non una parola su euro e Nato, cioè le due grandi emergenze, economia a pezzi e politica estera che sta esplodendo di giorno in giorno, a suon di bombe. Grillo? «Ha fatto un discorso di fine anno che era uno spot pubblicitario al suo spettacolo, un intervento teatrale nel quale dice che tutti siamo ologrammi ma, ahimé, è diventato un ologramma pure lui», dice Becchi, intervistato da “Formiche.net”. Strano ma vero, il “Movimento” delle elezioni in rete, dei diktat e delle espulsioni in massa «si sta trasformando in un partito ibrido». A Roma «si può vincere ma si ha paura di farlo e magari non lo si vuole proprio», Dove invece si vuole vincere, «il candidato e la lista vengono blindati e imposti dall’alto come accaduto con Massimo Bugani a Bologna». E, nel frattempo, si puntella Renzi. Come per l’elezione dei giudici costituzionali, dove i 5 Stelle hanno abbandonato la linea dell’opposizione alle nomine renziane. «Il prossimo sarà quello sulle unioni civili», poi verrà «la legge sullo ius soli, anche qui sconfessando Grillo».
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Isis, Cia, Mossad e gli altri gangster al potere con Obama
Perché il mondo dovrebbe preoccuparsi della politica estera americana? La risposta è piuttosto semplice: se morirete mentre siete a casa vostra, se sarete fatti a pezzi insieme alla vostra famiglia, probabilmente sarà stata l’America ad uccidervi. Gli americani sono consapevoli di tutto questo. La maggioranza della popolazione non approva la folle politica estera americana, ma l’“opposizione” costituita dalla destra repubblicana non solo la sostiene, ma crede che Obama non stia ammazzando a sufficienza – e certamente non ovunque sia necessario. Il mondo, di conseguenza, è costretto a vivere e a morire all’ombra della politica di Washington, minacciato dalle spaventose politiche di Obama (che rappresenta, oltretutto, il punto di vista ‘moderato’) e da una dozzina di pazzi che, dietro le quinte, è in attesa sia degli eserciti promessi dagli americani in Africa e in Medio Oriente che dell’imposizione dell’egemonia statunitense in tutta l’Asia – oltre che dell’annientamento nucleare di tutti coloro che osassero disapprovare. E’ davvero questa la situazione? La risposta è un sonoro ‘sì’. E’ un pezzo di storia che si sta ripetendo.Le migliori informazioni che potete trovare là fuori, i dettagliati rapporti investigativi trapelati dal governo degli Stati Uniti, indicano tutti che le vicende del 9/11 furono una congiura internazionale e che, sì, l’Arabia Saudita era pienamente coinvolta. Nel maggio del 2014, quando i documenti prodotti dalla Russia furono pubblicati (peraltro solo da “Veterans Today”, dopo essere stati rifiutati dalla Cnn), nessuno prestò attenzione a quello che non voleva sentirsi dire. Quei documenti facevano riferimento non solo all’Arabia Saudita, ma anche ad una ‘cabala’ costituita da leader politici e finanziari americani, canadesi, israeliani e sudafricani – sostenuta dai gruppi-canaglia presenti nella Cia e nel Pentagono, ma anche dai servizi segreti sauditi e israeliani. In quei documenti non si parlava degli ‘Stati estremisti islamici’ (e nemmeno di Osama Bin Laden), ma si faceva il nome di alcuni personaggi riservati e potenti, come ad esempio ‘Bronfman’ o ‘Netanyahu’. Nessuno si nascondeva nelle caverne, non i veri colpevoli, gli stessi che oggi sostengono l’Isis. Questo gruppo terroristico proviene dalle sale di rappresentanza di Zurigo e Londra, non dai tunnel sotto Mosul.La ragione per cui ancora una volta torniamo su questa vicenda [9/11] è che ‘l’era di Bush’ potrebbe ripetersi. Suo fratello Jeb è uno dei capofila nelle elezioni presidenziali statunitensi. Anche Donald Trump potrebbe essere eletto e, insieme a lui, anche degli altri … ma lavorano tutti per la ‘Koch Brothers’ e per il losco padrone israeliano del gioco d’azzardo, Sheldon Adelson. Sono tutti alla ricerca di una nuova guerra mondiale. Hanno tutti questa cosa in comune, vogliono dichiarare guerra alla Russia. Vogliono che il mondo diventi uno Stato di polizia caratterizzato dalla sorveglianza universale ed auspicano (fatto che si capisce ancor meno) il collasso ambientale che, a sua volta, porterebbe inesorabilmente allo spopolamento del mondo. La ragione per cui sto citando gli eventi del 9/11 ed alcuni fatti largamente provati (l’esplosivo posto sulle ‘tre torri’, l’arresto in tutta New York di personaggi appartenenti al Mossad, il disturbo ed il blocco delle trasmissioni-radio, la ‘fuga’ dal paese delle persone ‘sospette’, i due aerei carichi di sauditi e israeliani etc.), è che quelle vicende si stanno ripetendo.Vengono raggruppate sotto il nome di ‘Isis’, ma si tratta della stessa ‘unione’ fra i servizi segreti israeliani e sauditi che abbiamo visto all’opera il 9/11 – che questa volta coinvolge anche Erdogan. Lavorando a stretto contatto con la Cia ed il Pentagono, ‘l’unione’ comanda le unità dell’Isis, le rifornisce di armi e paga il petrolio in contanti, nell’ambito di ‘quell’enorme commercio’ che è stato provato dalla Russia, ma di cui tutti sapevano da molto tempo. I protagonisti sono sempre gli stessi, che si parli di Isis, di Ucraina, di Boko Haram o di al-Shebab in Kenya e in Africa Orientale, di ‘guerra allargata’ in Afghanistan o di ‘guerra al terrore’ in Europa e negli Stati Uniti. E allora, cos’è che tutto questo ha a che fare con la politica americana e con Barak Obama? Sette anni fa il presidente americano, entrando sulla scena politica, si rivolse al mondo offrendo ai musulmani la ‘pace’ e agli americani una migliore ‘giustizia sociale’ ed una ‘nuova direzione’. In America, la sua politica interna ha portato a dei relativi successi economici – Obama ed il Partito Democratico hanno lottato per i diritti dei lavoratori, per la salute, per l’istruzione e, in generale, per un ritorno dei ‘diritti degli elettori’.Sotto la sua presidenza, tuttavia, gli omicidi commessi dalla polizia sono notevolmente aumentati (o hanno cominciato ad essere denunciati, dopo anni di silenzio. Non sappiamo quale delle due sia l’affermazione giusta), le ‘Primavere Arabe’ hanno portato centinaia di milioni di persone verso il disastro politico (un chiaro ‘disegno’ della Cia) ed infine una nuova ‘Guerra Fredda’, basata sull’ennesimo complotto fra Mossad e Cia, questa volta in Ucraina, incombe spaventosa su di noi. Quelle che sono delle cose un po’ da pazzi (o che almeno sembrano esserlo), sono le mosse che il presidente Obama sta facendo in direzione opposta: l’accordo nucleare con l’Iran e il recente accordo in Siria con la Russia, tanto per citarne due. E così, se da un lato Obama e Kerry sputano le bugie più goffe ed evidenti perseguendo delle palesi politiche genocide (in particolare verso Iran, Siria, Russia e Cina), dobbiamo prendere atto che, poco tempo dopo, si presentano al tavolo delle trattative con iniziative competenti e razionali! Questa è schizofrenia allo stato puro.Ad esempio, non c’è dubbio che la Russia sia stata letteralmente spinta a tracciare una linea di demarcazione in Siria, contro l’aggressione americana. Ma, qualunque cosa si possa dire al riguardo (in particolare sul fatto che Obama non sia riuscito a combattere l’Isis), coloro che sono maggiormente preoccupati per lo Stato Islamico sono gli stessi che hanno contribuito a fondarlo e che continuano a sostenerlo! Chiaramente, non stiamo parlando solo di Israele, Arabia Saudita e Turchia, ma anche della ‘destra’ degli Stati Uniti, di quelle stesse persone che hanno contribuito agli eventi del 9/11 per creare un clima di paura. Infine, come piccola ‘questione a parte’, poniamoci una semplice domanda: qual’é la differenza fra la Nsa (National Security Agency), che intercetta le comunicazioni mondiali, e la ‘Google Corporation’?. La risposta è molto semplice: nessuna. Il presidente Obama, in sette anni, non è riuscito a portare l’America al di fuori del ‘cono d’ombra’. Al contrario, ha spinto il mondo verso una nuova ‘Guerra Fredda’ e precipitato l’Europa in un periodo di follia politica, come non si vedeva dall’agosto del 1914.Ancora oggi sono gli stanchi protagonisti di allora ad esercitare il potere reale: i gangster politici americani, il ‘cartello’ McCain-Romney legato alla famiglia messicana dei Salinas, l’impero Adelson di Macao ed infine i Rothschild-Rockefeller che guidano il ‘Cartello della Federal Reserve’, che a sua volta controlla le valute mondiali e le banche. Questo è ciò a cui oggi stiamo assistendo. Un’America governata dai criminali e dagli scamster [coloro che ingannano gli altri per prendere i loro soldi, ma non solo], dagli interessi dell’industria del petrolio, della difesa, delle assicurazioni, dell’energia nucleare e del carbone, dei cartelli della droga e di alcune potenti famiglie, come quella del gruppo Walton-Walmart. E dietro a tutto questo non c’è l’America in quanto tale, ma un ‘fronte’ sottile che vuol porre la potenza militare [americana] nelle mani della criminalità organizzata globale, più in senso ‘millenario’ che ‘multi-generazionale’.(Gordon Duff, “Il mondo sopravviverà all’ultimo anno di Obama?”, intervento pubblicato da “Neo”, New Eastern Outlook, e “Veterans Today” il 27 dicembre 2015, tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Perché il mondo dovrebbe preoccuparsi della politica estera americana? La risposta è piuttosto semplice: se morirete mentre siete a casa vostra, se sarete fatti a pezzi insieme alla vostra famiglia, probabilmente sarà stata l’America ad uccidervi. Gli americani sono consapevoli di tutto questo. La maggioranza della popolazione non approva la folle politica estera americana, ma l’“opposizione” costituita dalla destra repubblicana non solo la sostiene, ma crede che Obama non stia ammazzando a sufficienza – e certamente non ovunque sia necessario. Il mondo, di conseguenza, è costretto a vivere e a morire all’ombra della politica di Washington, minacciato dalle spaventose politiche di Obama (che rappresenta, oltretutto, il punto di vista ‘moderato’) e da una dozzina di pazzi che, dietro le quinte, è in attesa sia degli eserciti promessi dagli americani in Africa e in Medio Oriente che dell’imposizione dell’egemonia statunitense in tutta l’Asia – oltre che dell’annientamento nucleare di tutti coloro che osassero disapprovare. E’ davvero questa la situazione? La risposta è un sonoro ‘sì’. E’ un pezzo di storia che si sta ripetendo.
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I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra
E’ fuor di dubbio che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran. Quando si annuncia l’esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di protesta quando aveva 19 anni, non sono necessarie analisi sofisticate per capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini? Facciamo un passo indietro. L’Arabia saudita è da sempre in cima alla lista nera dei paesi che violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che valida per indurre Washington a chiudere per quarant’anni entrambi gli occhi. Negli ultimi due anni, però, il quadro è cambiato. Lo sfruttamento del cosiddetto shale oil, l’olio di scisto, di cui l’America è ricca, ha reso meno importante il regime saudita.I prezzi del greggio hanno iniziato a scendere e Riad ha reagito tentando il tutto per tutto: siccome i giacimenti di shale oil sono redditizi solo oltre un certo prezzo al barile, il regime saudita anziché tentare di contrastare la caduta dei prezzi con il taglio della produzione, come sarebbe stato logico, ha percorso la via inversa: l’ha aumentata nella speranza di far fallire i produttori americani. Scommessa in buona parte persa per ragioni mai esplicitate ufficialmente ma che sono facilmente intuibili: quello dell’olio di scisto, sebbene molto inquinante, ha un valore strategico per il governo degli Stati Uniti che ha fatto e farà di tutto per non vanificarlo. A tremare finanziariamente, invece, ora è proprio Riad, dove quest’anno è esploso il deficit pubblico e che vede compromessa a medio termine la propria stabilità economica. Un gigante che appariva incrollabile ora scopre di essere strutturalmente fragile e teme per il proprio avvenire.L’Iran cosa c’entra? C’entra, c’entra. Perché i sauditi sono sunniti e loro sciiti in un dissenso paragonabile, per intenderci, a quello che a lungo ha opposto cattolici e protestanti in Europa. Ma soprattutto perché l’Iran proprio quest’anno è stato sdoganato dagli Stati Uniti, grazie allo storico accordo sul nucleare. Quegli Usa che, però, assieme ai sauditi, ai turchi e agli Emirati fino a ieri hanno armato e finanziato l’Isis nel tentativo di rovesciare Assad, ovvero il leader di un paese da sempre amico proprio di Teheran. La fine delle sanzioni ha peraltro spinto ulteriormente al ribasso il prezzo del petrolio, accentuando le difficoltà dell’Arabia Saudita. Aggiungete il fatto che Riad ha speso cifre enormi in armamenti e la criticità della situazione apparirà evidente.Riad sta fallendo su tutti i fronti. L’offensiva lanciata nello Yemen contro gruppi sciiti vicini a Teheran e che ha provocato una guerra terribile ignorata dall’Occidente, non ha dato i risultati sperati. Da quando Putin ha cominciato a bombardare massicciamente, l’Isis ha perso terreno e tutti hanno capito che Assad resterà al potere ancora a lungo. E’ così svanito il sogno dei sauditi di creare uno Stato Islamico a nord (nell’area tra Siria e Iraq), che avrebbe dovuto chiudere a tenaglia l’Iran. La Russia appare più forte, l’America, in un anno elettorale, più debole mentre il prezzo del petrolio continua calare. I governanti della Casa Regnante non brillano certo per acume strategico: per quanto ricchi restano dai capi tribali imbevuti di fanatismo religioso. Il timore è che abbiano scelto la via peggiore per tentare di uscire dai guai: quella di approfittare della propria supremazia militare per provocare una guerra con l’Iran che faccia salire il prezzo del petrolio e che si concluda con il dominio sunnita anche a Teheran e, di conseguenza, a Baghdad. Un delirio, che pone l’Occidente di fronte alle proprie responsabilità storiche. Un delirio da fermare ad ogni costo.(Marcello Foa, “I sauditi rischiano di fallire, per questo cercano la guerra”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 5 gennaio 2016).E’ fuor di dubbio che sia di Riad la responsabilità della gravissima crisi con l’Iran. Quando si annuncia l’esecuzione in un sol giorno di 47 persone, diverse delle quali sciite, tra cui un imam reo soltanto di aver promosso una manifestazione di protesta quando aveva 19 anni, non sono necessarie analisi sofisticate per capire che si tratta di una provocazione deliberata. Ma a quali fini? Facciamo un passo indietro. L’Arabia saudita è da sempre in cima alla lista nera dei paesi che violano i diritti umani, ma ha sempre beneficiato di uno statuto speciale da parte degli Stati Uniti e di conseguenza dei loro alleati. La ragione la conosciamo tutti: è il principale produttore di petrolio al mondo. Ed è più che valida per indurre Washington a chiudere per quarant’anni entrambi gli occhi. Negli ultimi due anni, però, il quadro è cambiato. Lo sfruttamento del cosiddetto shale oil, l’olio di scisto, di cui l’America è ricca, ha reso meno importante il regime saudita.
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Anonymous contro l’Isis (e King Kong contro Godzilla)
“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».Respiriamo di sollievo, Firenze è salva. La minaccia era concretissima, “tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando”. Sulla identità di questi “soggetti”, Anonymous resta sulle sue, e il grande giornalismo del grande giornale italiano non ha la minima curiosità. Sarebbe un’indiscrezione pretendere nomi e cognomi, una mancanza di rispetto: la parola di Anonymous, al “Corriere”, basta. Benché anche Anonymus, a voler sottilizzare, mica sia noto con nomi e cognomi. Non si sa cosa sia, per chi lavori e perché. Ma non sarebbe da giornalisti, poniamo, sospettare che Anonymous non sia altro che un qualche apparato di propaganda, allarmismo e disinformazione – magari emanato dalle stesse centrali che hanno armato, finanziato e addestrato l’Isis o, magari, da una qualunque Rita Katz. No, questi sospetti non sono degni del grande giornalismo del “Corriere”. Li lascia ai complottisti di mezza tacca, perché gli basta la nobile battaglia che Anonymous ha sferrato contro Daesh.Lotta che è lo stesso Anonymous a documentare, e che il “Corriere” riporta come oro colato: «Attacco globale di Anonymous a Isis – A livello globale, l’operazione anti-Isis ha portato, sino ad oggi, all’oscuramento di 15.500 obiettivi, tra account sui social network e siti web legati direttamente alle operazioni o alla propaganda dell’Isis. Ma altri 4.000 account sono nati nelle ore successive: “Il nostro scopo è rallentarli”, sottolinea Anonymous». Sottolinea Anonymous. Sostiene Pereira. La polizia italiana non conferma… Del resto, il vero giornalismo di questi tempi non si stupisce di tanta vaghezza della fonte: Anonymous è vago e sfuggente perché combatte un nemico ancor più vago e sfuggente: l’Isis. No, non l’Isis che ripiega sotto i bombardamenti russi in Siria, e i cui capi a Ramadi vengono evacuati dagli elicotteri Usa. L’Isis che fa chiudere due stazioni ferroviarie a Monaco di Baviera, per un allarme terrorismo che poi è passato; che ha fatto cancellare tutti i festeggiamenti di Capodanno a Bruxelles e a Parigi.Eccome no: a Liegi e nel Brabante la polizia belga ha fatto degli arresti, «pianificavano attentati»; anche se (si rincrescono i media) «non sono stati rinvenuti armi o esplosivi durante le perquisizioni, ma materiale informatico, uniformi di tipo militare e materiale di propaganda dello Stato Islamico sono stati sequestrati e vengono attualmente esaminati». E a Vienna? «500 poliziotti hanno vigilato nel centro storico. A Berlino 900 agenti e 600 vigilantes “a guardia” dello show alla Porta di Brandeburgo»: l’Isis può colpire dovunque. «Negli Stati Uniti l’Fbi ha informato il presidente Barack Obama del rischio di attentati a New York, Washington e Los Angeles durante il veglione di Capodanno». L’Isis ha come campo il mondo. E non solo domina lo spazio, ma può viaggiare nel tempo, all’indietro. A Londra (leggo dai giornali) «cinque estremisti islamici legati ad Al-Qaeda sono stati condannati ieri all’ergastolo per aver organizzato, tra il gennaio 2003 e il marzo 2004, una serie di assalti (fortunatamente sventati) contro un centro commerciale nel Kent, il popolare night club londinese Ministry of Sound e alcune linee elettriche e del gas». Fortunatamente sventati.Ma l’Isis era già lì nel 2003, si chiamava Al-Qaeda, e aveva già la stessa ampiezza globale di azione, già la Terra intera era il suo campo di battaglia. Ha colpito a Londra, a Madrid, a New York, a Bali, a Giacarta, in Somalia… sempre imprendibile ed onnipresente. Adesso è l’Isis. E non avete ancora visto niente: «Per il 2016, l’Isis annuncia decine di migliaia di morti in decine di paesi; attiverà decine di cellule dormienti in vista della battaglia finale»: chi lo dice? Non l’Isis in persona; lo ha rivelato il dottor Theodore Karasik, un ebreo americano che lavora per la tv del Golfo “Al Arabyia” come “analista di geopolitica”, ed «ha molto studiato il comportamento dello Stato Islamico»: quasi quanto Anonymous, se non di più. Cosa aspetta il “Corriere” ad intervistarlo? Anzi, a farne un collaboratore pagato e fisso?Meglio riportare i comunicati di Anonymous che queste notizie dell’Interpol: che uno dei fucili M29 utilizzati da jihadisti massacratori di Parigi proveniva da una ditta situata in Florida, e facente capo a un Ori Zoller, indicato come «un ex membro delle forze speciali israeliane», già noto alle cronache nere per avere, con un mercante di diamanti ebreo di nome Shimon Yelinek, «trafficato in diamanti con Al-Qaeda» (ohibò) nel 2003, nel quadro di una fornitura di armi in Nicaragua: armi contro diamanti. Un classico, documentato da un rapporto della Organizzazione degli Stati Americani (Osa). Nel rapporto, Zoller è citato anche come rappresentante in Guatemala della Israel Military Industries, una compagnia controllata dal governo israeliano. Vero è che l’ex agente del Mossad adesso ha cambiato genere: vende “cyber sorveglianza” ai governi. Un’attività non lontana da quella di Anonymous?Non siamo in grado di rispondere alla domanda. Siamo invece in grado di sapere chi ha scoperto e diffuso il messaggio di Al Baghdadi, il Califfo, un audio di 24 minuti in cui il Califfo minacciava Roma e il Papa, il 26. Il messaggio è stato scoperto ed autenticato dal “Site”, come ha reso noto “Le Monde”. Senza dire che cosa è il “Site” chi è la sua fondatrice, Rita Katz. Certe volte a scavare troppo si scopre che i jihadisti di Parigi sono armati da ebrei, e che erano già noti e stranoti ai servizi di Parigi stessi. E’ meglio invece fare da grancassa all’allarmismo pubblico voluto dai governi: abbiate paura, l’Isis vi sta sul collo! Vi può colpire ovunque! Per fortuna Anonymous sventa gli attentati, la polizia vi protegge, l’esercito fa la guardia, Hollande emana leggi speciali. Vi siete chiesti perché questo megafono? Questo allarmismo pubblico?Se l’è chiesto il filosofo Giorgio Agamben, che intervistato in Francia ha detto: «Il rischio è la deriva verso la creazione di una relazione sistemica verso il terrorismo e lo Stato di emergenza: se lo Stato ha bisogno della paura per legittimarsi, bisogna allora, al limite, produrre il terrore, o almeno non impedire che si produca. Si vedono così paesi perseguire una politica estera che alimenta il terrorismo che bisogna combattere all’interno». Ma naturalmente tutte queste sono speculazioni. Che non interessano al “Corriere”. Perché questa scuola suprema di giornalismo si occupa solo della realtà concreta: Anonymous ha sventato l’ attentato dell’Isis a Firenze. Mattarella, la disoccupazione è causata dall’evasione fiscale. Maciste abbatterà a mani nude il Riscaldamento Globale. Il Pentagono ha comunicato di aver ucciso Charaffe al Moudan, noto pianificatore degli attentati di Parigi, a colpi di missili in Siria. Godzilla s’è risvegliato, ma per fortuna King Kong lo combatte. Quindi l’immancabile vittoria ci appartiene.(Maurizio Blondet, “Anonymous contro Isis, e Godzilla contro King Kong”, dal blog di Blondet del 2 gennaio 2016).“Isis, annuncio video di Anonymous: l’attentato sventato era a Firenze”. Impareggiabile, il “Corriere della Sera”. Un esempio di giornalismo autentico, un modello per tutti quelli del mestiere. Non solo crede all’esistenza di qualcosa che si fa chiamare Anonymous, ma lo adotta seriamente come fonte d’informazione. Ne riporta infatti un comunicato, come fosse vero: «Il 25 dicembre 2015 abbiamo ricevuto una segnalazione relativa ad un profilo Twitter collegato ai vertici dell’Isis dove era in corso una prima comunicazione su un possibile obiettivo italiano, già stabilito e apparentemente pronto per essere colpito. Quel breve messaggio, in quel momento, indicava che Firenze sarebbe stato un obiettivo entro capodanno», dice Anonymous, aggiungendo di «essersi subito attivato per tentare di sventare questo attacco che, comunque, risultato reale o falso, non può essere sottovalutato tenendo conto dei soggetti che ne stavano parlando». Poi la spiegazione di come il gruppo di hacker si sarebbe mosso: «Abbiamo inscenato una “talpa” all’interno dello Stato Islamico sfruttando lo stesso account accreditato e facendo credere che qualche fratello infedele ad Allah avrebbe comunicato agli italiani il “giorno del giudizio di Dio”, così impedendo che questo attacco venisse attuato».
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Lo straordinario coraggio del popolo siriano parla a tutti noi
Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.Più di due anni fa, la mia ex-videoredattrice indonesiana pretese una risposta in tono alterato: «Così tante persone muoiono in Siria! Ne vale davvero la pena? Non sarebbe più semplice e migliore per i siriani mollare e lasciare che gli Stati Uniti abbiano ciò che esigono?». Cronicamente pietrificata, questa giovane donna era sempre alla ricerca di soluzioni facili per mantenersi al sicuro, e con significativi vantaggi personali. Come tanti altri oggi, di questi tempi, per sopravvivere e andare aventi, hanno sviluppato un sistema contorto che poggia su tradimenti, autodifese e inganni. Come rispondere a una domanda del genere? Era legittima, dopo tutto. Eduardo Galeano mi disse: «La gente sa quando è il momento di combattere. Non abbiamo il diritto di dirglielo… e quando lo decide, è nostro obbligo sostenerla, anche guidandola se ci avvicina». In questo caso, il popolo siriano ha deciso. Alcun governo o forza politica potrebbe imporre a un’intera nazione tale enorme eroismo e sacrificio.I russi l’hanno fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, e i siriani lo fanno ora. Due anni fa risposi così: «Ho assistito al crollo totale del Medio Oriente. Non c’era più niente in piedi. I paesi che hanno optato per la propria strada sono stati letteralmente rasi al suolo. I paesi che hanno ceduto ai dettami occidentali hanno perso anima, cultura ed essenza, trasformandosi alcuni nei luoghi più miseri della terra. E i siriani lo sapevano: se si arrendevano, sarebbero divenuti un altro Iraq, Yemen o Libia, perfino Afghanistan». E così la Siria si oppose. Decise di combattere, per sé e per la sua parte nel mondo. Ancora una volta, elesse il suo governo e si appoggiò al suo esercito. Qualunque cosa gli occidentali dicessero, qualsiasi tradimento le Ong scrivessero, la semplice logica lo dimostrava. Questa nazione modesta non ha media così potenti da condividere i propri coraggio e agonia col mondo. Sono sempre gli altri che ne commentano la lotta, spesso in modo del tutto dannoso. Ma è innegabile che, mentre le forze sovietiche fermarono l’avanzata dei nazisti a Stalingrado, i siriani sono riusciti a fermare le forze fasciste alleate degli occidentali nella sua parte del mondo.Naturalmente la Russia ne è direttamente coinvolta. Naturalmente la Cina osserva, anche se spesso nell’ombra. E l’Iran ha dato aiuto. Ed Hezbollah del Libano ha fatto ciò che descrivo spesso, una lotta epica assieme a Damasco contro i mostri estremisti inventati e armati da Occidente, Turchia e Arabia Saudita. Ma il merito principale deve andare al popolo siriano. Sì, ora non c’è più nulla del Medio Oriente. Ora sono più le lacrime che le gocce di pioggia a scendere su questa terra antica. Ma la Siria è in piedi. Bruciata, ferita, ma in piedi. E come è stato ampiamente riportato, dopo che le forze armate russe sono giunte in soccorso della nazione siriana, oltre 1 milione di siriani è potuto reintrare a casa… spesso trovando solo cenere e devastazione, ma a casa. Come le persone tornarono a Stalingrado, oltre 70 anni fa.Quindi quale sarebbe la mia risposta a tale domanda ora: “sarebbe più facile il contrario”, arrendersi all’Impero? Credo qualcosa del genere: «La vita ha un senso, è degna di essere vissuta solo se possono essere soddisfatte certe condizioni di base. Non si tradisce un grande amore, sia esso per un’altra persona o per un paese, l’umanità o gli ideali. Se non lo si fa, sarebbe meglio non nascere affatto. Allora dico: la sopravvivenza del genere umano è l’obiettivo più sacro. Non qualche effimero vantaggio o ‘sicurezza’ personale, ma la sopravvivenza di tutti noi, persone, nonché della sicurezza di tutti noi, esseri umani». Quando la vita stessa è minacciata, la gente tende a opporsi e a combattere, istintivamente. In quei momenti, alcuni dei capitoli più monumentali della storia umana sono stati scritti. Purtroppo, in quei momenti, milioni morirono. Ma la devastazione non è a causata da coloro che difendono la nostra razza umana. E’ causata dai mostri imperialisti e dai loro succubi.La maggior parte di noi sogna un mondo senza guerre, senza violenza. Vogliamo che la vera bontà prevalga sulla Terra. Molti di noi lavorano senza sosta per tale società. Ma fino a quando non sarà costruita, fino a quando ogni egoismo estremo, avidità e brutalità sarà sconfitto, dobbiamo lottare per qualcosa di molto più “modesto”, per la sopravvivenza dei popoli e dell’umanesimo. Il prezzo è spesso orribile. Ma l’alternativa è un grande vuoto. Semplicemente il nulla, alla fine, e nient’altro! A Stalingrado, milioni morirono per farci vivere. Nulla rimase della città, tranne che acciaio fuso, mattoni sparsi e un oceano di cadaveri. Il nazismo fu fermato. L’espansionismo occidentale iniziava la ritirata, all’epoca verso Berlino. Ora la Siria, con calma ma stoicamente ed eroicamente, si oppone ai piani sauditi, qatarioti, israeliani, turchi e occidentali per distruggere il Medio Oriente. E il popolo siriano ha vinto. Per quanto tempo, non lo so. Ma ha dimostrato che un paese arabo può ancora sconfiggere potenti orde assassine.(Andre Vltchek, “La Siria è la Stalingrado del Medio Oriente”, dalla rivista oline “New Eastern Outlook” del 2 gennaio 2016, ripreso dal newsmagazine “Aurora”. Andre Vltchek è un filosofo e scrittore russo, anche regista e giornalista investigativo, ideatore di “World Vltchek”, applicazione per Twitter).Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.
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Donald Trump: l’Isis deve tutto a Obama e a Hillary Clinton
«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».Grande imbarazzo, da parte dellintervistatore della Fox News, di fronte alle affermazioni di Trump «che contrastano e smentiscono tutta la falsa propaganda del Pentagono delle “guerre civili” causate dai “tiranni sanguinari” (Gheddafi ed Assad)», scrive “Sponda Sud”. Alla fine, osserva Luciano Lago sul magazine di geopolitica, «alcune verità vengono fuori anche nel marasma della disinformazione e della becera propaganda condotta dai grandi media», persino grazie a un “mostro” politico come Trump. «La guerra in Siria, realizzata mediante l’appoggio di alcuni paesi occidentali e di alcuni paesi arabi ai terroristi sostenuti ed armati dall’estero, ha causato la morte di oltre 250.000 persone fino al momento attuale», ricorda Lago su “Sponda Sud”. «La narrazione dei media occidentali aveva cercato di presentare il conflitto siriano come una “guerra civile”, ignorando il fatto che in Siria erano stati infiltrati decine di migliaia di mercenari jihadisti, di varie nazionalità, armati dagli Usa e finanziati dalle monarchie del Golfo (Arabia Saudita, Qatar e Kuwait), sulla base di un progetto concepito dal Pentagono di rovesciare il regime di Assad».Obiettivo occulto degli Usa, «arrivare ad uno smembramento del paese arabo per facilitare il controllo delle risorse e creare uno stato sunnita sotto la “protezione” saudita e occidentale, isolando la parte sciita e filo-iraniana del paese». I terroristi dei vari gruppi jihadisti «erano stati inizialmente addestrati in appositi campi creati dalla Cia nel 2012 in Giordania, successivamente in Turchia, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Bashar al-Assad, giudicato ostile agli interessi degli Usa e delle potenze regionali come (fra gli altri) l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia», continua Lago. «I servizi di intelligence Usa già da anni avevano finanziato i gruppi radicali sunniti della Siria per sobillare un conflitto inter-confessionale e provocare una rivolta popolare all’interno del paese». A questo scopo «avevano fatto infiltrare, nel 2011, diversi loro agenti con il compito di creare scontri a fuoco ed episodi di rivolta, in modo da screditare il governo di Assad e provocare una rivolta popolare».Le cose però non sono filate lisce: il piano ha trovato un forte ostacolo nella resistenza della popolazione siriana e nella dura reazione dell’esercito di Damasco «contro i gruppi terroristi inviati dall’estero, veri e propri tagliagole al servizio dei monarchi sauditi». Anche la creazione dello Stato Islamico e del suo esercito jihadista, sembra certo che abbia trovato la collaborazione della Cia, della Dia e dei servizi israeliani, prosegue Lago. Il tutto sotto la copertura degli Usa, «interessati a creare il pretesto per l’intervento militare della Nato e per attuare il piano di divisione dei due paesi-chiave della regione, Siria e Iraq, entrambi collegati con l’Iran». Poi è arrivato l’intervento militare russo, iniziato il 30 settembre. La mossa di Putin «ha guastato i piani del Pentagono, oltre a quelli dell’Arabia Saudita e della Turchia che già contavano di spartirsi il territorio e le risorse della Siria». L’intervento russo «ha impedito il crollo del regime siriano e ha imposto un alt all’avanzata dello Stato Islamico che, in teoria, le potenze occidentali dichiaravano di voler combattere ma che contava su forti complicità e sul patrocinio delle monarchie del Golfo».«Lei era il segretario di Stato e Obama il presidente: due autentici geni». Intervistato da “Fox News”, il candidato repubblicano Donald Trump, ovvero il politico “impresentabile” che sta crescendo nei sondaggi con la sua violentissima polemica anti-Islam, ha incolpato Hillary Clinton e Barack Obama come primi responsabili del disastro in Medio Oriente, regione devastata dal terrorismo direttamente promosso dagli Usa. Trump accusa l’ex segretario di Stato e l’attuale presidente, indicandoli come responsabili del conflitto in Siria e della carneficina in Libia. Obama e la Clinton,«responsabili della morte di centinaia di migliaia di siriani e di libici». Colpa loro l’ascesa dell’Isis. Ed è stata la Clinton «a causare questo problema, con le sue stupide politiche», ha dichiarato testualmente Trump a “Fox News Sunday”. «Guardate quello che ha fatto in Libia e quello che ha fatto con la Siria: è stata veramente uno dei peggiori segretari di Stato della storia del nostro paese. Sostiene che io sarei pericoloso, ma è stata lei a far uccidere centinaia di migliaia di persone con la sua stupidità».
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Deputato turco: Ankara ha dato all’Isis il gas letale Sarin
Putin che evoca il ricorso all’atomica? Notizia accolta dal mainstream occidentale nel solito modo: pericolose follie dell’Orso russo, nostalgico dell’Urss. Sennonché, emerge che Ankara – con cui la tensione è altissima, dopo la provocazione dell’abbattimento del bombardiere russo Sukhoi-24 impegnato a contrastare i collegamenti fra Isis e Turchia – avrebbe fornito ai jihadisti il materiale per produrre il gas letale Sarin. «Lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un’intervista a “Russia Today”, emittente vicina al Cremlino», scrive “Sponda Sud”. Il Sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in Parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti. Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato turco assicura che le intercettazioni confermano che un militante di Al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del Sarin.Tutto sarebbe contenuto nel faldone “2013/120”, l’indagine che venne poi archiviata. «Ci sono dati sostanziali in quelle carte», dice Erdem a “Rt”. «Si capisce che il materiale usato per le armi chimiche passa attraverso la Turchia e viene assemblato nei campi dell’Isis, che allora era conosciuto come “Al-Qaeda irachena”. È tutto registrato. Ci sono intercettazioni che dicono “non ti preoccupare per la frontiera, ci pensiamo noi”, e si comprende chiaramente come vengono usati i burocrati». A questo punto, aggiunge “Sponda Sud”, il procuratore di Adana Mehmet ArOkan ordina un blitz e 13 persone vengono arrestate. Poi, secondo Erdem, avviene “l’inspiegabile”: una settimana dopo, il caso viene chiuso. E i sospettati passano immediatamente la frontiera turco-siriana. «Le intercettazioni chiarivano come sarebbe avvenuta la consegna, quali camion sarebbero stato usati». Tutto «documentato dalla A alla Z: nonostante gli indizi, i sospettati sono stati rilasciati. E la consegna del carico è avvenuta, perchè nessuno li ha fermati. Forse l’uso del Sarin in Siria dipende da questo».Sempre secondo Erdem, i turchi coinvolti nel traffico sarebbero poi legati alla “Makina ve Kimya Endustrisi Kurumu” (Mkek), ovvero la principale holding governativa di industrie per la difesa. Gli indizi porterebbero verso un intervento delle autorità per insabbiare il caso, con il possibile coinvolgimento del ministro della giustizia turco Bekir Bozdag. «Il procuratore ArOkan – continua Erdem – non era, per quanto ho capito, uno potente; così una settimana dopo gli arresti un altro pm è stato assegnato al caso e il caso è stato chiuso. Per l’attacco coi gas di Ghouta sono state incolpate le truppe governative siriane», conclude Erdem. «Ma c’è un’alta probabilità che quell’attacco sia stato compiuto con questi materiali transitati dalla Turchia. Con queste prove sappiamo chi ha usato il Sarin e lo sa anche il nostro governo». Forse si capisce meglio, dunque, perché oggi Putin – che ha almeno duemila uomini sul terreno siriano – esprime la “speranza” che non si debba ricorrere all’arma estrema, quella nucleare.Putin che evoca il ricorso all’atomica? Notizia accolta dal mainstream occidentale nel solito modo: pericolose follie dell’Orso russo, nostalgico dell’Urss. Sennonché, emerge che Ankara – con cui la tensione è altissima, dopo la provocazione dell’abbattimento del bombardiere russo Sukhoi-24 impegnato a contrastare i collegamenti fra Isis e Turchia – avrebbe fornito ai jihadisti il materiale per produrre il gas letale Sarin. «Lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un’intervista a “Russia Today”, emittente vicina al Cremlino», scrive “Sponda Sud”. Il Sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in Parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti. Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato turco assicura che le intercettazioni confermano che un militante di Al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del Sarin.
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Craig Roberts: gangster Nato e Isis, tutti uniti contro Putin
Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto. Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis. La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.Washington è stata colta di sorpresa dalla fermezza della Russia. Temendo che il rapido successo di tale decisiva azione russa avrebbe scoraggiato i vassalli Nato di Washington dal continuare a sostenere la sua guerra contro Assad e dall’usare il suo governo fantoccio a Kiev per tenere sotto pressione la Russia, Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e Nato che non ci sarebbero stati scontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria.Anche se nega ogni responsabilità, Washington ha usato la bassa intensità della risposta russa all’attacco, per il quale la Turchia non si è scusata, per rassicurare l’Europa che la Russia è una tigre di carta. Le “presstitute” occidentali hanno strombazzato: la Russia è una tigre di carta.La bassa intensità nella risposta del governo russo alla provocazione è stata usata da Washington per rassicurare l’Europa che non vi è alcun rischio nel continuare la pressione sulla Russia in Medio Oriente, Ucraina, Georgia, Montenegro e altrove. L’attacco di Washington ai soldati di Assad viene utilizzato per rafforzare la convinzione che si sta inculcato nei governi europei che il comportamento responsabile della Russia per evitare la guerra è invece un segno di paura e di debolezza. Non è chiaro fino a che punto i governi russo e cinese capiscano che le loro politiche indipendenti, ribadite dai presidenti di Russia e Cina il 28 settembre, siano considerate da Washington come “minacce esistenziali” per l’egemonia statunitense. La base della politica estera degli Stati Uniti è l’impegno ad evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare l’azione unilaterale di Washington. La capacità di Russia e Cina di fare proprio questo li rende entrambi un obbiettivo.Washington non si oppone al terrorismo. Ha creato appositamente il terrorismo per molti anni. Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina. Washington sta usando la Siria, come una volta l’Ucraina, per dimostrare l’impotenza della Russia all’Europa – e anche alla Cina, essendo una Russia impotente un alleato meno attraente per la Cina. Per la Russia, la risposta responsabile alle provocazioni è diventata una forma di passività, perché incoraggia ulteriori provocazioni. In altre parole, Washington e la sprovvedutezza dei suoi vassalli europei hanno messo l’umanità in una situazione molto pericolosa, in quanto le uniche scelte rimaste a Russia e Cina sono quelle di accettare il vassallaggio americano o di prepararsi per la guerra.Putin deve essere rispettato per aver riservato più valore alla vita umana di quanto non facciano Washington e i suoi vassalli europei, e per aver evitato risposte militari alle provocazioni. Tuttavia, la Russia deve fare qualcosa per rendere i paesi della Nato consapevoli che ci sono gravi costi nel loro essere così accomodanti verso l’aggressione di Washington contro la Russia. Ad esempio, il governo russo potrebbe decidere che non ha senso vendere energia ai paesi europei che si trovano in uno stato di guerra di fatto contro la Russia. Con l’inverno alle porte, il governo russo potrebbe annunciare che la Russia non vende energia ai paesi membri della Nato. La Russia avrebbe perso i suoi soldi, ma è più conveniente che perdere la propria sovranità o una guerra. Per porre fine al conflitto in Ucraina, o per aumentarne l’intensità oltre la volontà dell’Europa a parteciparvi, la Russia potrebbe accettare le richieste delle province separatiste di ricongiungersi con la Russia. Per Kiev, continuare il conflitto significherebbe che l’Ucraina dovrebbe attaccare la stessa Russia.Il governo russo ha fatto affidamento su risposte responsabili e non provocatorie. La Russia ha adottato un approccio diplomatico, confidando su governi europei realisti, capaci di rendersi conto che i loro interessi nazionali divergono da quelli di Washington e in grado di cessare di consentire la politica egemonica di Washington. La politica della Russia non ha avuto successo. Le risposte responsabili della Russia sono state utilizzate da Washington per dipingere la Russia come una tigre di carta che nessuno deve temere. Ci ritroviamo con il paradosso che la determinazione della Russia ad evitare la guerra ci sta portando direttamente in guerra. Che i media russi, il popolo russo e la totalità del governo russo lo capiscano o meno, questo deve essere evidente per i militari russi. Tutto ciò che i capi militari russi devono fare è guardare la composizione delle forze inviate dalla Nato per “combattere l’Isis”.Come fa notare George Abert, gli aerei americani, francesi e britannici che sono stati dispiegati sono aerei da combattimento il cui scopo è il combattimento aereo, non l’attacco al suolo. I caccia non sono stati dispiegati per attaccare l’Isis a terra, ma per minacciare i cacciabombardieri russi che stanno attaccando i bersagli dell’Isis al suolo. Non vi è dubbio che Washington stia spingendo il mondo verso l’Armageddon e l’Europa ne sia l’attivatore. I pupazzi “acquistati-e-pagati-come-marionette” di Washington in Germania, Francia e Regno Unito sono stupidi, indifferenti o impotenti a sfuggire alla morsa di Washington. A meno che la Russia non svegli l’Europa, la guerra è inevitabile. I guerrafondai neocon totalmente malvagi e stronzi hanno insegnato a Putin che la guerra è inevitabile? Guardate questo video, in cui Putin dice: «Cinquant’anni fa anni fa le strade di Leningrado mi hanno insegnato una lezione: se la lotta è inevitabile, colpisci per primo!».(Paul Craig Roberts, “La guerra è all’orizzonte: è troppo tardi per fermarla?”, intervento pubblicato sul blog di Craig Roberts, tradotto da “Spondasud” e ripreso da “Megachip” il 14 dicembre 2015. Eminente economista e analista geopolitico, Craig Roberts è stato membro del governo di Ronald Reagan).Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile. Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto. Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo. Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis. La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi. La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.