Archivio del Tag ‘Isis’
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La missione di Draghi e l’inferno dell’ipocrisia pandemica
Ristoranti riaperti ma solo se hanno tavoli all’esterno: per cenare come ai vecchi tempi, come se fossimo in un paese libero, bisognerà attendere un altro mese, fino al 1° giugno. Non solo: permane una “legge di guerra” come l’infame coprifuoco, nell’Italia delle Regioni “colorate”, dove – per passare da un territorio all’altro, se di diverso “colore” – i sudditi dovranno esibire un certificato che dimostri che sono stati vaccinati o che sono appena risultati negativi al tampone. C’è qualcosa di serio, in tutto questo? No: i non-cerebrolesi ormai sanno che i tamponi non sono attendibili, e che i cosiddetti “vaccini Covid” (terapie geniche ancora sperimentali) non garantiscono affatto che il soggetto vaccinato non sia più contagioso. E nonostante questo, il governo ne ha imposto l’inoculo al personale sanitario: violando la Costituzione, oltre che il Codice di Norimberga che vieta i Tso con farmaci non collaudati. E addio diritti umani, dunque. Ma il governo Draghi non doveva dire basta, a tutto questo? Non doveva farla finita, dopo un anno di “arresti domiciliari” imposti da Conte, Speranza, D’Alema e soci, in linea con i compagni di merende del potere cinese?
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Biden: anche il genocidio armeno, per nuocere a Mosca?
«Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima Guerra Mondiale da parte dell’Impero Ottomano». Lo scrive il “New York Times”, precisando che l’annuncio è atteso per il 24 aprile, 106esimo anniversario dell’eccidio di massa. «Biden sarà il primo presidente Usa a farlo, dopo che almeno una trentina di paesi hanno fatto passi analoghi», osserva “Repubblica”. L’Olocausto armeno è stato riconosciuto soprattutto in Europa e in Sudamerica, a partire dalla presa di posizione dell’Uruguay, risalente al 1965. Il Vaticano si mosse nel 2000, l’Unione Europea solo nel 2015 (dopo una prima risoluzione del 1987). L’Italia è intervenuta nel 2019, mentre la Russia già nel 1995, nel solco della storica amicizia russo-armena risalente all’epoca sovietica. La mossa degli Usa è ora destinata a infiammare le tensioni con la Turchia, alleato Nato, scrive “Repubblica”, secondo cui il gruppo di potere che oggi gestisce la Casa Bianca avrebbe «anteposto il suo impegno verso i diritti umani». Ferite aperte: e non solo con la Turchia, visto che è recentissima la crisi del Nagorno Karabakh, a due passi dalle frontiere con la Russia.La guerra del Nagorno Karabakh era deflagrata tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nella piccola enclave armena nel sud-ovest dell’Azerbaijan, tra la maggioranza etnica armena (sostenuta dalla vicina Armenia) e la repubblica caucasica dell’Azerbaijan. Il conflitto è riesploso nell’autunno 2020, impegnando direttamente la Russia in funzione di mediatrice. Il conflitto, sottolinea l’Ispi, si è trasformato rapidamente in una crisi umanitaria di dimensioni immani: sarebbero stati 90.000 (su una popolazione totale di 140.000 persone) i civili fuggiti dal Karabakh verso l’Armenia. Un grosso problema, per la Russia di Putin: tradizionalmente vicina agli armeni, di religione cristiana, Mosca avrebbe tentato di evitare di mettersi in urto con gli azeri, musulmani. «Altro elemento di discontinuità, che ha alterato e rovesciato l’equilibrio provvisorio e fragile di questo conflitto – scrive l’Ispi – è la natura del coinvolgimento della Turchia a fianco di Baku». Già nel 1993, Ankara chiuse i confini con l’Armenia in solidarietà all’Azerbaijan, ma stavolta ha offerto un supporto militare diretto (aviazione e droni).Se è vero che Biden aveva annunciato in anticipo (in campagna elettorale) la sua intenzione di riconoscere finalmente il dramma storico armeno, finora sottaciuto per non irritare la Turchia, membro della Nato, è impossibile non contemplare le implicazioni geopolitiche del gesto, nella primavera 2021: sono in aumento le frizioni con il regime di Erdogan, sempre meno controllabile da Washington nonostante il suo impegno – sotto l’amministrazione Obama – ad assistere l’Isis in Siria, con la complicità dell’Occidente, in un fuzione anti-russa. Lo stesso Mario Draghi (vicino all’amministrazione Biden) ha appena definito “dittatore” il sultano di Ankara, che contende all’Italia il controllo energetico della Libia, in coabitazione con una Russia ormai nel mirino degli Usa dopo le continue provocazioni a cui Mosca è stata sottoposta nell’Est Europa. «Alcuni paesi hanno preso l’abitudine di prendersela con la Russia», ha detto Vladimir Putin in questi giorni. «Per loro è come una competizione sportiva, un nuovo tipo di sport: giocano a chi sarà il più forte a parlare contro la Russia».Dal capo del Cremlino, un avvertimento esplicito: «Se vogliono bruciare i ponti, o addirittura farli saltare, si pentiranno delle loro azioni, come non si sono mai pentiti prima: la risposta della Russia sarà asimmetrica, rapida e dura». Mosca ha appena espluso 20 diplomatici cechi, in risposta alla cacciata di 18 funzionari russi, allontanati da Praga dopo esser stati incolpati di un mini-attentato più che dubbio, nella Repubbica Ceca. Una mossa che, secondo alcuni osservatori, aveva lo scopo di accendere le tensioni con la Russia e, soprattutto, distogliere i media da una notizia imbarazzante: gli 007 russi avrebbero appena sventato un golpe, a Minsk, che prevedeva l’omicidio mirato del presidente Lukashenko, l’uomo che nel 2020 denunciò l’Oms e il Fmi per aver tentato di corrompere la Bielorussia con offerte miliardarie perché adottasse il lockdown contro il Covid, agendo «come in Italia», secondo le direttive auspicate da personaggi come Bill Gates e Anthony Fauci, sostenitori di Biden.Il club internazionale del “terrorismo sanitario” (utilizzato per liquidare Donald Trump, poi rottamato con i brogli elettorali) sembra ora mettere nel mirino soprattutto la Russia, che – con il vaccino Sputnik – ha trascinato con sé vari paesi, ridimensionando l’emergenza pandemica funzionale al Great Reset socio-economico e finanziario disegnato a Davos. Può sembrare strano che a riesumare i diritti umani (degli armeni di cent’anni fa) siano personalità dal curriculum poco rassicurante come Biden e il suo segretario di Stato, Blinken. Gli Usa stanno impegnando la Nato a sostenere l’Ucraina nella repressione della popolazione russofona del Donbass, separatasi da Kiev dopo il golpe “colorato” finanziato da Soros e promosso da Obama e Biden nel 2014. La Russia risponde militarizzando le frontiere e rinforzando la sua presenza in Crimea e nel Mar Nero. A due passi c’è il Nagorno Karabakh: la presa di posizione di Biden – proprio adesso – ha anche la funzione di destabilizzare ulteriormente la regione, complicando la vita alla Russia?«Joe Biden ha deciso di riconoscere come genocidio l’uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della Prima Guerra Mondiale da parte dell’Impero Ottomano». Lo scrive il “New York Times”, precisando che l’annuncio è atteso per il 24 aprile, 106esimo anniversario dell’eccidio di massa. «Biden sarà il primo presidente Usa a farlo, dopo che almeno una trentina di paesi hanno fatto passi analoghi», osserva “Repubblica”. L’Olocausto armeno è stato riconosciuto soprattutto in Europa e in Sudamerica, a partire dalla presa di posizione dell’Uruguay, risalente al 1965. Il Vaticano si mosse nel 2000, l’Unione Europea solo nel 2015 (dopo una prima risoluzione del 1987). L’Italia è intervenuta nel 2019, mentre la Russia già nel 1995, nel solco della storica amicizia russo-armena risalente all’epoca sovietica. La mossa degli Usa è ora destinata a infiammare le tensioni con la Turchia, alleato Nato, scrive “Repubblica”, secondo cui il gruppo di potere che oggi gestisce la Casa Bianca avrebbe «anteposto il suo impegno verso i diritti umani». Ferite aperte: e non solo con la Turchia, visto che è recentissima la crisi del Nagorno Karabakh, a due passi dalle frontiere con la Russia.
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Uccidere Lukashenko: Mosca sventa il golpe Usa a Minsk
Grande Satana: con questa espressione (deformando con lenti teologiche la Bibbia, dove il “demonio” in realtà non esiste) l’ayatollah Khomeini definitiva l’imperialismo Usa, che in Iran aveva abbattuto il presidente legittimo, Mohammad Mossadeq, ostile al colonialismo petrolifero inglese, per insediare il dittatore di fiducia delle democrazie occidentali, lo scià Reza Pahlevi. Il Grande Satana sembra tornato: mentre il potere euro-statunitense e cinese sostiene che il mondo sarebbe tenuto in ostaggio dal Covid, le grandi potenze mercantili mettono nel mirino il sistema-Russia, l’unico (su scala mondiale) che si sia opposto alla narrazione fobica del coronavirus, decretando la fine dell’emergenza dopo aver rinunciato ai lockdown. Le notizie sembrano rincorrersi lungo un precipizio pericoloso, tracciato dal gruppo di potere che utilizza la Casa Bianca (Joe Biden) come paravento istituzionale per la resa dei conti con Mosca, incessantemente preparata da quando Vladimir Putin ha messo fine al saccheggio occidentale del suo paese. Mentre si assediano le posizioni russe in Ucraina, si tenta di abbattere (uccidendolo) il presidente della Bielorussia, alleato di Mosca.Fonti come “Controinformazione” e “L’Antidiplomatico” forniscono dettagli non rintraccabili nella stampa mainstream occidentale, quella che ha costruito il Grande Terrore del virus di Wuhan. I servizi segreti russi, si legge, nei giorni scorsi hanno sventato un piano per assassinare Lukashenko e i suoi famigliari, onde decapitare la dirigenza di Minsk. Tra i fermati, l’attivista Yuri Leonidovich Zyankovich (uomo con doppia cittadinanza, bielorussa e statunitense) e il politologo bielorusso Alexander Feduta. L’accusa, da parte degli 007 dell’Fsb: stavano progettando un golpe militare, in Bielorussia, tramite il collaudato scenario della “rivoluzione colorata” con il coinvolgimento dei nazionalisti locali e ucraini, da innescare dopo l’eliminazione fisica del presidente Lukashenko. Nella primavera 2020, l’autocrate di Minsk era stato quasi travolto dalle proteste di piazza, orchestrate dall’Occidente. La sua grande colpa? Aver denunciato che l’Oms e il Fmi avevano avanzato offerte miliardarie, alla Bielorussia, se avesse optato per il lockdown «come in Italia».Il cattivo esempio di Lukashenko – niente lockdown, e denuncia del complotto – andava quindi punito severamente, nel 2020 con la sua deposizione e ora addirittura con il suo “omicidio mirato”. Il golpe sventato dai servizi segreti del Cremlino rientra nella drammatica partita a scacchi tra Occidente e Russia: una caccia alle streghe ufficialmente aperta dall’attuale presidente-fantoccio degli Stati Uniti, che ha definito «un assassino» il leader russo, sostenuto in patria da un vasto consenso popolare. Va ricordato che la Russia, in questi anni, non è mai venuta meno al senso dell’onore, rispettando i patti e i trattati internazionali. Al contrario, gli Usa hanno regolarmente violato tutti gli accordi, a partire da quelli risalenti all’epoca di Gorbaciov, quando l’Urss – mettendo fine alla guerra fredda – sognava orizzonti di pace e cooperazione, a beneficio dello sviluppo mondiale. Tradendo le promesse, gli Stati Uniti non hanno esitato, infatti, a spostare continuamente verso Est l’area operativa della Nato, minacciando in modo sempre più diretto la Russia.Dal canto suo, Mosca ostenta saldezza, forte della sua dichiarata potenza difensiva affidata a tecnologie avveniristiche di origine aerospaziale: nel gennaio 2021, il super-cacciatorpediniere americano Donald Cook è stato costretto a navigare alla deriva, nel Mar Nero, dopo un sorvolo radente da parte di un caccia russo Su-24 che ha letteralmente “spento a distanza” i comandi della avanzatissima nave da battaglia statunitense. Può apparire sconcertante – specie oggi, in un clima narrativo ancora dominato dalla cosiddetta pandemia – che a fare notizia siano eventi dal sapore antico, come il dislocamento di reparti corazzati alle frontiere. La Russia ha schierato oltre 1.000 carri armati e 300 aerei a difesa dei confini con l’Ucraina, dopo l’annuncio – da parte del regime di Kiev, sostenuto dalla Nato – di volersi riprendere con la forza le regioni ucraine che nel 2014 operarono la secessione dall’Ucraina, paese storicamente russo, a cui nel 1954 – con Khrushev – l’Urss “regalò” la Crimea, in segno di amicizia.Proprio la Crimea – tornata alla madrepatria russa con regolare referendum, dall’esito plebiscitario – resta la pietra dello scandalo, nonché la potenziale polveriera che potrebbe far esplodere la crisi oggi in corso. In questi giorni, la Russia sta letteralmente militarizzando la penisola del Mar Nero, per scoraggiare un’aggressione da parte della Nato, che utilizzerebbe truppe ucraine. Il ritorno alla Russia da parte della Crimea, nel 2014, si accompagnò al distacco dell’Est Ucraina (Lugansk e Donetsk): proprio il Donbass è stato bombardato, in questi giorni, dalle artiglierie di Kiev, a pochi chilometri dalla linea oltre la quale sono schierati migliaia di soldati russi, pronti anche – secondo Mosca – a penetrare in territorio ucraino, per fermare l’eventuale avanzata delle truppe appoggiate dalla Nato. All’origine del conflitto, il golpe del 2014 truccato da “rivoluzione colorata”: cecchini e mercenari Nato spararono sulla folla per far ricadere la colpa sulla polizia ucraina dell’allora presidente, il filo-russo Viktor Yanukovic. Il colpo di Stato, condotto anche con elementi neonazisti e anti-russi, gettò nel panico le componenti russofone dell’Ucraina (Crimea e Donbass), da allora passate sotto il controllo di Mosca.Di fronte alla sconfitta (in particolare, la perdita della Crimea), Barack Obama reagì imponendo sanzioni contro Mosca: ordine prontamente eseguito dall’Unione Europea, con gravissimi danni inferti al florido export italiano. Ed era solo l’antipasto: poco dopo, infatti, Vladimir Putin avrebbe schierato i suoi aerei a protezione della Siria, salvando Damasco dalle milizie dell’Isis, protette dall’intelligence occidentale sia in modo diretto (Usa, Francia, Gran Bretagna) che attraverso attori locali come Turchia, Israele e Arabia Saudita. Una disfatta, per Obama, difficilmente tollerabile: e proprio Obama è oggi il politico più determinante, nelle scelte della Casa Bianca. Già allora, i russi offrirono speciali inviti alla prudenza: senza alcuna motivazione tattica, infatti, le postazioni dell’Isis furono colpite anche da nuovissimi missili ipersonici, lanciati da corvette in navigazione nel Mar Caspio (a 1.300 chilometri di distanza) senza che i radar Nato riuscissero a “vederli” e intercettarli, prima dell’impatto.Sembrano curiosità per appassionati, ma forse sono notizie su cui può fare affidamento chi teme seriamente che Usa e Russia possano davvero venire alle mani in modo diretto, tenendo conto che (oltre al pericoloso Obama) alla Casa Bianca siede un “signore della guerra” come Biden, scandalosamente coinvolto – anche a livello di business familiare – nel grande affare del golpe in Ucraina, insieme a falchi neocon come Victoria Nuland e personaggi come l’ultra-guerrafondaio Tony Blinken, attuale segretario di Stato. Suona oltremodo sinistro l’impegno della marina militare britannica nel Mar Nero, contro la Russia, annunciato il 18 aprile dal “Sunday Times”: nessuno dimentica il ruolo svolto da Londra, con Blair, all’epoca dell’invenzione delle “armi di distruzione” di massa di Saddam, infame campagna di disinformazione per preparare l’invasione dell’Iraq. Ci risiamo? Non è rassicurante nemmeno la strana esplusione di diplomatici russi decretata dalla Repubblica Ceca in questi giorni, probabilmente per innalzare una cortina fumogena destinata a distogliere l’attenzione dei media dall’imbarazzante golpe in Bielorussia appena sventato da Mosca, capitale di un paese che ha osato sfidare i signori del Covid, anche facendo concorrenza ai loro vaccini miliardari.Grande Satana: con questa espressione (deformando con lenti teologiche la Bibbia, dove il “demonio” in realtà non esiste) l’ayatollah Khomeini definitiva l’imperialismo Usa, che in Iran aveva abbattuto il presidente legittimo, Mohammad Mossadeq, ostile al colonialismo petrolifero inglese, per insediare il “dittatore di fiducia” delle democrazie occidentali, lo scià Reza Pahlevi. Il Grande Satana sembra tornato: mentre il potere euro-statunitense e cinese sostiene che il mondo sarebbe tenuto in ostaggio dal Covid, le grandi potenze mercantili mettono nel mirino il sistema-Russia, l’unico (su scala mondiale) che si sia opposto alla narrazione fobica del coronavirus, decretando la fine dell’emergenza dopo aver rinunciato ai lockdown. Le notizie sembrano rincorrersi lungo un precipizio pericoloso, tracciato dal gruppo di potere che utilizza la Casa Bianca (Joe Biden) come paravento istituzionale per la resa dei conti con Mosca, incessantemente preparata da quando Vladimir Putin ha messo fine al saccheggio occidentale del suo paese. Mentre si assediano le posizioni russe in Ucraina, si tenta di abbattere (uccidendolo) il presidente della Bielorussia, alleato di Mosca.
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L’Egitto ’schiera’ i suoi faraoni contro i signori del Covid
Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.Una lettura visionaria? Per capire che così non è, basta osservare l’espressione dell’attuale “faraone” in carica, il generale Al-Sisi, appena colpito dall’oscuro, minaccioso blocco del Canale del Suez con l’anomalo incagliamento del cargo Ever Given, riconducibile (nella compagine azionaria degli armatori) al club di Bill Gates e Hillary Clinton. Nelle immagini televisive della “Pharaohs’ Golden Parade”, Al-Sisi ostenta un’espressione inequivocabile: ai suoi occhi, quelle mummie in viaggio sono una sorta di totem nazionale, il cuore sacro dell’Egitto. Attenzione: è un classico, il ricorso alla simbologia (esoterica) da parte del grande potere. Sul suo canale YouTube, Giorgio Di Salvo ha sottolineato le stranezze della cerimonia di insediamento dello stesso Joe Biden: «E’ stata la rappresentazione di un vero e proprio rito di iniziazione, incentrato sulla figura dell’eccentrica Lady Gaga, abbigliata in modo da riprodurre il vestiario e il corredo della Statua della Libertà: non quella famosa, al porto di New York, ma quella che per i massoni americani è la vera Statua della Libertà. Si tratta della statua che sormonta la cupola del Campidoglio, a Washington: la “libertà armata”, che richiama la dea greca Athena».Come se non bastasse, Di Salvo rievoca un’altra cerimonia di insediamento, quella di Emmanuel Macron a Parigi: «Per un attimo (in modo però attentamente studiato) le braccia levate del neo-eletto, sullo sfondo della piramide del Louvre, disegnano alla perfezione la combinazione simbolica costituita da squadra e compasso». Da Napoleone in poi, l’Egitto si è conquistato un posto d’onore, sulle rive della Senna. «Ma mentre i riti massonici di ispirazione egizia sono di origine moderna, nelle terre che vanno dal Nilo all’Eufrate sopravvivono in modo clandestino le ritualità cultuali antiche», precisa lo storico Nicola Bizzi, presente con Matt Martini e Tom Bosco nella trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, sul canale YouTube di “Border Nights”. Lo stesso Martini cita la religione egizia tuttora praticata da «importanti sceicchi del Cairo», sotto la vernice ufficiale dell’Islam. Dal canto suo, Bizzi conferma che in Iraq «si praticano culti di origine sumerica, al riparo dei circoli Sufi (in teoria, islamici) che ospitavano personalità vicinissime al potere già all’epoca del regime di Saddam Hussein».Curioso che poi lo stesso Saddam sia stato abbattuto dai Bush – padre e figlio – che Gioele Magaldi presenta come fondatori della nefasta superloggia “Hathor Pentalpha”, dedita anche al terrorismo internazionale, avendo arruolato tra le sue fila prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis. C’è chi fa notare il collegamento tra l’acronimo Isis (Islamic State of Iraq and Sirya) e il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor. Iside-Hathor è la vedova di Osiride, nonché la madre di Horus: il trio incarna la “sacra famiglia” dell’antico Egitto faraonico, la “trimurti” fondativa del Nilo. Padre, madre e figlio, a sottolineare una tripartizione “energetica” successivamente reinterpretata in modo difforme dalla Trinità cristiana, rimodellando teologicamente la Tetractis triangolare di Pitagora: figura ricomparsa – in modo clamoroso – nella coreografia della grande Parata dei Faraoni appena proposta al Cairo, nel segno del recupero dell’antica sapienza “pagana”.«La grande kermesse egiziana è stata anche un atto di magia cerimoniale», sostiene Matt Martini a “L’Orizzonte degli Eventi”. «Obiettivo: risvegliare “l’eggregore” nazionale, il genio egizio: una vera e propria evocazione, tramite il ruolo delle mummie solennemente traslate da un museo all’altro, in mezzo ad ali di folla». Le mummie regali egizie, dice Martini, vanno considerate – nelle intenzioni degli organizzatori – come «veri e propri talismani umani: quelle salme sono state preparate ritualmente e trattate come oggetti di culto: per migliaia di anni, hanno ricevuto offerte votive». Dunque, per Martini, «sul piano magico sono strumenti perfetti, per fare da ponte con altre dimensioni». Spiega il saggista: «Si crede che la mummia, se conservata, contenga ancora il Ka del defunto: un’impronta dell’anima. A sua volta, il Ka viene visitato dal Ba, cioè l’anima che sale e scende. Infine, il Ba comunica con l’Akh, lo spirito trasfigurato dell’iniziato (il faraone), che secondo l’antica religione egizia resta in contatto con la dimensione degli Aku, i principi divini, gli Splendenti». In altre parole: un ascensore per il cielo, nel nome dell’Egitto delle piramidi.Martini invita a far caso ai numeri: sono state trasferite 22 salme, precisamente quelle di 18 faraoni e di 4 regine. Tutti regnanti compresi tra la 17esima e la 20esima dinastia. «La 17esima dinastima fu l’ultima del Secondo Periodo Intermedio, quello dominato dal caos, quando l’Egitto fu invaso dagli Hyksos. La dinastia successiva, quella Ramesside, segnò invece la restaurazione del potere faraonico egizio: l’inizio del Nuovo Regno». Anche al Cairo, assicura Martini, il potere gioca con i simboli: è come se il generale Al-Sisi paragonasse se stesso ai faraoni di nome Ramses, rifondatori dell’Egitto dopo le tempeste della storia. L’ultima, in questo caso, si chiama Covid: «Si noti: la mascherina non viene indossata né dai figuranti, spesso assiepati, né dalle migliaia di spettatori che assistono al corteo, stretti l’uno all’altro». Sembra un messaggio diretto ai “signori del coronavirus” e agli stessi vicini israeliani, che hanno trasformato il loro paese in area-test per la vaccinazione di massa. Per inciso: in concomitanza con lo strano incidente di Suez, Al-Sisi ha fatto riaprire (dopo anni) il valico di Rafah, a Gaza: l’unico non controllato da Israele.Oggi l’Egitto è un paese islamico e anche cristiano, ricorda Martini, alludendo all’importante confessione copta. Ma Al-Sisi – aggiunge – come militare impegnato in politica è pur sempre erede del nazionalismo laico, incarnaato dall’ex partito Baath, socialista e panarabo, cresciuto nel mito del grande leader terzomondista Abdel Gamal Nasser, che sfidò Francia, Gran Bretagna e Israele per rivendicare la piena sovranità del suo paese. Non si scherza, con l’Egitto: nel 1956 – quando inglesi e francesi sbarcarono a Porto Said per rovesciare Nasser, che aveva bloccato il Canale di Suez perché la Banca Mondiale non voleva concedere agli egiziani il prestito per erigere la diga di Assuan – l’Unione Sovietica (con il tacito consenso degli Usa) arrivò a minacciare gli invasori anglo-francesi di ricorrere alla bomba atomica, se non avessero lasciato l’Egitto. Finì nell’ignominia – e con il trionfo politico di Nasser – l’ultimo colpo di coda del colonialismo europeo nel Mediterraneo. Poi gli uomini del pararabismo Baath sono stati perseguitati: ucciso Saddam, invasa la Siria di Assad.Abdel Fattah Al-Sisi, in qualche modo erede di Mubarak (già allievo della scuola ufficiali di Mosca) si è imposto nel 2014 incarcerando i Fratelli Musulmani, inizialmente votati dagli egiziani dopo la turbolenta “primavera araba” innescata al Cairo dallo storico discorso incendiario del massone Obama, con l’obiettivo di “resettare” le oligarchie nordafricane non-allineate al potere di Washington (preservando invece le brutali petro-monarchie del Golfo, in primis quella saudita, devotissime al superpotere statunitense). Siamo tuttora in pieno caos: Giulio Regeni, reclutato (a sua insaputa) dall’intelligence britannica tramite una Ong universitaria, è stato barbamente assassinato per ostacolare i nascenti rapporti strategici tra Italia ed Egitto, dopo la scoperta da parte dell’Eni di un immenso giacimento marittimo di gas e petrolio al largo delle coste egiziane. Regeni – scrisse il “Giornale”, citando servizi segreti italiani – fu ucciso da manovalanza del Cairo, ma su ordine inglese, proprio per mettere in imbarazzo Al-Sisi, proprio mentre l’Italia stava chiedendo la protezione militare dell’Egitto, allora influente in Cirenaica, nell’ipotesi di inviare un contingente italiano in Libia.Oggi, Bengasi è passata sotto il controllo della Russia: è avvenuto dopo che, in modo simmetrico, Tripoli è caduta nelle mani della Turchia. Altro volto del caos di oggi è l’insidioso neo-ottomanesimo di Erdogan, supermassone reazionario e illustre membro della spietata “Hathor Pentalpha”, secondo Magaldi. Con un gesto inaudito, che riporta l’Italia al centro della scena in politica estera, Mario Draghi ha definito “un dittatore” il sultano di Ankara. Si tratta di un messaggio in codice – spiega Dario Fabbri, di “Limes” – rivolto agli Usa: Draghi li invita a non sacrificare gli interessi italiani in Libia, dopo che Ergodan ha promesso di aprire il Mar Nero alle portaerei americane (in funzione anti-russa) se lo Zio Sam chiuderà un occhio, anzi due, sulle ambizioni imperiali dei turchi nel Mediterraneo. Dalla parte dell’Italia c’è sicuramente l’Egitto, nuovo Eldorado per l’Eni dopo i problemi sopraggiunti in Libia. Nonostante le proteste per il doloroso caso Regeni, infatti, l’Italia ha appena ceduto al Cairo due fregate Fremm, gioiello della marina militare che l’Egitto immagina di dover impiegare, come arma di dissuasione, anche e soprattutto contro la Turchia di Erdogan.Modernissime fregate lanciamissili, ma non solo: la vera arma di Al-Sisi, a quanto pare, potrebbero essere proprio i venerati faraoni della 18esima dinastia, omaggiati come il Graal dell’Egitto. «Nella “Pharaohs’ Golden Parade” – insiste Matt Martini – si può leggere il ritorno alle origini ancestrali della nazione». Martini è attentissimo ai dettagli: le salme traslate con tutti gli onori sono 22, «come le lettere dell’alfabeto ebraico, che potrebbe derivare dall’alfabeto geroglifico egizio». Il trait d’union, dice l’analista, potrebbe essere stato l’alfabeto proto-sinaitico, una forma linguistica di transizione tra l’egizio geroglifico e gli alfabeti semitici (fenicio e aramaico, fino poi al più recente ebraico biblico). Sempre 22 – aggiunge Martini – erano anche i Nòmoi (i distretti amministrativi) dell’Alto Egitto, che aveva per capitale Tebe, la città della dinastia Ramesside. «Sono numeri non casuali: esprimono un preciso linguaggio, simbolico e operativo: quello di un’operazione di magia cerimoniale, a scopi politici e meta-politici».Indicazioni che Martini trae dall’analisi della grande parata del Cairo. «Allì’inizio, la soprano al centro della scena canta un inno a Iside. Poi, i militari sfilano in un viale illuminato di rosso, che è il colore di Seth e anche degli Hyksos: quindi, è come se i militari egiziani stessero calpestando gli Hyksos, nemici dell’Egitto». Quindi, il cambio di scenografia: «A un certo punto, il viale diventa blu: ed entra in scena una figurante (blu, anch’essa) che incarna Nuit, o Nut, la dea egizia del cielo stellato». Si vede una moltitudine di ancelle agitare un contenitore luminoso: «Qui punti di luce simboleggiano proprio le stelle, con un’allusione precisa: i nostri antenati ancestrali – di cui i faraoni erano i rappresentanti terreni – venivano dal cielo: erano Figli delle Stelle».Al Cairo, la grande parata è conclusa dal corteo dalle mummie, racchiuse nei loro sarcofagi trasportati su carri scenografati in modo un po’ hollywoodiano, per ricordare i mezzi di trasporto di migliaia di anni fa. «Per la religione tradizionale egizia – precisa Martini – le mummie vengono dal Duat, dalla dimensione stellare degli Aku. Questi faraoni non sono comuni mortali: sono tecnicamente delle divinità, non vengono dall’oltretomba infero ma dalla dimensione stellare». Significati sottolineati dalla stessa data scelta per la grandiosa cerimonia: «Il 3 aprile è il 23esimo giorno del mese di Ermuti, dedicato a Iside. Ed è l’ultimo giorno di un ciclo di festività dedicate a Horus, che è il vendicatore di suo padre, e dunque il vendicatore dell’Egitto». Messaggio: «Il potere che ha allestito la parata ha voluto celebrare un atto magico, per il risveglio nazionale dell’Egitto». Si tratta di un’élite che «lavora anche sul piano “sottile” e pratica ancora la teurgia, cioè l’arte di comunicare con le divinità». Non pensiate – assicura Martini – che la cosa sia sfuggita, ai “signori del Covid”: «Queste sono operazioni molto temute, da chi vuole nascondere certe cose». L’oligarchia ostile è avvisata: contro i nemici, ora l’Egitto schiera i suoi faraoni.Attenti all’Egitto: ora riesuma i suoi antichi faraoni, per far rinascere lo spirito nazionale. E lo fa con una gigantesca kermesse, che rivela due intenti: scrollarsi di dosso un certo globalismo-canaglia, quello che ha imposto il “panico Covid” nella sua agenda, e al tempo stesso “resuscitare” l’antico culto egizio, quello della civiltà delle piramidi ereditata dai Figli delle Stelle, per avvertire quella élite che ancora oggi, segretamente e in modo inconfessabile, sembra devota alle divinità mesopotamiche (Moloch) declinate in modo pericolosamente anti-umano. E’ la lettura che Matt Martini fornisce della grandiosa “Pharaohs’ Golden Parade” andata in scena il 3 aprile al Cairo, per il trasferimento di 22 salme regali, trasportate dal museo egizio della capitale al museo nazionale della civiltà egizia a Giza, proprio all’ombra della Sfinge. Senza nascondere i tratti «anche un po’ kitsch» della “Parata d’oro dei faraoni”, Martini – esperto di orientalistica e co-autore del saggio “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale – avverte: siamo in presenza della volontà (esibita) di far “risorgere” l’Egitto, interpretato come erede di divinità venute dal cielo, “richiamate in servizio” per soccorrere la Terra, caduta in preda agli eccessi del mondialismo più criminale.
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Segreti da 5.000 euro: i padrini del Covid contro Mosca
Qualcuno (come Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia) può trovare quasi comico il fatto che si esibisca come super-traditore un ufficiale pronto a vendere ai russi “segreti strategici” dal valore di ben 5.000 euro, cioè pari alla multa prevista per la famiglia Rossi se violasse il lockdown di Pasqua? Crosetto non è il solo a sentire puzza di bruciato: parlando all’agenzia “Adn Kronos”, lo stesso generale Mario Mori, già a capo del Ros e del Sisde, conferma: «Di Maio ha parlato di “atto ostile”, ma gli atti ostili li fanno tutti, anche gli americani, gli inglesi, i cinesi. Si fa attività di spionaggio, la fanno i russi, la fa tutto il mondo». Piuttosto: il caso dell’arresto del capitano di fregata Walter Biot, “sorpreso” a passare documenti a un agente russo, sembra chiaramente ingigantito dai media, «perché tutto sommato quell’ufficiale, un tenente colonnello con quella collocazione – dice Mori – non è che potesse detenere grandissimi segreti militari della Nato». L’altra notizia – quella vera – parla invece della risposta russa in arrivo: Mosca ha “tirato fuori dai silos” i suoi missili nucleari, in previsione di un eventuale attacco, a guida Usa, nell’Est dell’Ucraina.
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Spie: c’è l’Italia, nella guerra contro Putin (e lo Sputnik)
Il presunto caso di spionaggio segnalato dai media, che coinvolgerebbe un ufficiale della marina italiana e un militare di Mosca (documenti top secret che l’italiano avrebbe ceduto al russo) sembra la premessa ideale per una “tempesta perfetta”, che scaverebbe un baratro tra il Cremlino e il neonato governo Draghi, già in partenza iper-atlantista. Da quando l’establihment Usa ha decretato la “vittoria” di Biden alle presidenziali 2020, è ricominciato l’assedio verso Est, interpretato da un personaggio – il segretario di Stato, Tony Blinken – che proviene (come lo stesso Biden) da una filiera bellicosa, di spietati finanziatori di guerre. Non a caso sono già stato bombardati gli alleati libanesi di Mosca, che in Siria hanno contribuito a sconfiggere l’Isis. Giustamente, i media rilevano che lo spionaggio resta un reato gravissimo. Al tempo stesso, puntualmente, dimenticano di ricordare come stanno le cose: dall’era Bush, e anche sotto Obama, la Russia di Putin è stata sottoposta a un accerchiamento continuo, violento e minaccioso, alimentato da clamorose falsità diffuse a reti unificate, tra un Russiagate e l’altro.Prima la Georgia, poi l’Ucraina, quindi la Siria. Golpe, rivoluzioni colorate, terrorismo, insulti e provocazioni. In modo fanciullesco, in Italia, c’è chi alza l’immancabile ditino contro la “democrazia imperfetta” dell’era post-gorbaciovana: come se il contesto fosse accademico, e non un feroce ring dove è l’Occidente ad aver regolarmente imbrogliato i russi, calpestando anche gli storici accordi sull’impegno a non estendere la Nato verso Est. Dopo aver sostenuto l’imbarazzante pupazzetto Navalny, tipico esemplare del nazional-razzismo post-sovietico, ora a dare lezioni di democrazia è un gruppetto di avventurieri che sostiene di aver vinto le ultime elezioni, negli Stati Uniti, senza che l’autorità giudiziaria abbia mai vagliato le prove di quello che Donald Trump ha definito un imbroglio senza precedenti, di portata storica. In modo patetico, l’Ue obbedisce a Washington infliggendo nuove sanzioni alla Russia (già costate miliardi, all’export italiano). Ciliegina sulla torta, quest’ultima spy-story: perfetta, a quanto pare, per cancellare per sempre il grande disgelo inaugurato da Berlusconi, che nel 2002 invitò Putin a Pratica di Mare.Un “incidente” davvero provvidenziale, quest’ultimo, a pochi giorni dagli inauditi insulti che il “presidente” Biden ha rivolto al suo omologo russo, definendolo «un assassino». Domanda: si può pensare che la situazione possa davvero degenerare? «Per ora mi sembra che sia avvenuto un semplice scambio di complimenti», ha detto Draghi qualche giorno fa, in una conferenza stampa, alludendo anche alla replica di Putin (sullo stato di salute, non ottimale, di Biden). E’ tutto solo fumo, dicono gli esperti in geopolitica: dal presunto avvelenamento di Navalny (”firmato” con la tossina sovietica dagli ipotetici killer di Putin, evidentemente imbranati) alle minacce roboanti pronunciate a beneficio dei media. In realtà, c’è chi attribuisce nel gruppo di potere del dopo-Trump il sogno del “regime change”: non perdonano a Putin di aver difeso la sovranità russa, ricorrendo anche alle armi per mettere fine all’incubo dell’Isis, capolavoro della più opaca strategia della tensione di marca occidentale. Né perdonano allo Zar di avere smascherato l’operazione-Covid: primatista mondiale sul fronte dei vaccini con lo Sputnik, la Russia è stato il primo grande paese a uscire dall’emergenza pandemica.Il presunto caso di spionaggio segnalato dai media, che coinvolgerebbe un ufficiale della marina italiana e un militare di Mosca (documenti top secret che l’italiano avrebbe ceduto al russo) sembra la premessa ideale per una “tempesta perfetta”, che scaverebbe un baratro tra il Cremlino e il neonato governo Draghi, già in partenza iper-atlantista. Da quando l’establishment Usa ha decretato la “vittoria” di Biden alle presidenziali 2020, è ricominciato l’assedio verso Est, interpretato da un personaggio – il segretario di Stato, Tony Blinken – che proviene (come lo stesso Biden) da una filiera bellicosa, di spietati finanziatori di guerre. Non a caso sono già stato bombardati gli alleati libanesi di Mosca, che in Siria hanno contribuito a sconfiggere l’Isis. Giustamente, i media rilevano che lo spionaggio resta un reato gravissimo. Al tempo stesso, puntualmente, dimenticano di ricordare come stanno le cose: dall’era Bush, dunque anche sotto Obama, la Russia di Putin è stata sottoposta a un accerchiamento continuo, violento e minaccioso, alimentato da clamorose falsità diffuse a reti unificate, tra un Russiagate e l’altro.
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La Bibbia Nuda: dietro la nostra storia, una regia occulta
E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.Forse è utile fare un bel passo indietro, di almeno vent’anni. Per esempio: fino al 10 settembre 2001, era diffusa la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non esattamente un pianeta-capolavoro, politicamente parlando, ma distante anni luce da quello che sarebbe venuto dopo, a cominciare dall’alba del giorno seguente: due Boeing contro le Torri Gemelle di New York, senza che un solo jet militare – dopo il primo impatto – si fosse levato a presidiare quelli che erano considerati i cieli più sorvegliati del globo, così da scongiurare almeno la seconda, devastante collisione. Un’avvisaglia poco rassicurante la si era avuta due mesi prima, a Genova, in mezzo a strade e piazze improvvisamente preda della follia di una violenza insensata. Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, disse che oltre duemila agenti avevano lavorato, per mesi, a “organizzare” la carneficina del G8 genovese, puntando sul caos scatenato dai misteriosi black bloc, in apparenza venuti dal nulla. Risultato: un temporale anomalo e capace di tramortire l’opinione pubblica, spingendo i giornali a parlare di “sospensione della democrazia”, prima ancora che la vicenda vivesse i suoi pesanti strascichi giudiziari.Solo dieci anni prima, si era aperta una stagione che aveva l’aria di essere straordinariamente promettente, per il pianeta. Mikhail Gorbaciov aveva “scongelato” l’Est Europa facendo cadere il Muro di Berlino: a colpi di spettacolari super-vertici con gli Usa, sembravano spalancarsi orizzonti impensabili. Certo, di lì a poco non erano mancati “incidenti”, anche gravissimi, dopo il golpe contro Gorbaciov e l’ascesa di Eltsin, che aprì le porte alla razzia dell’ex Urss. Esplose l’odioso bagno di sangue dell’ex Jugoslavia: la tragedia infinita della guerra civile balcanica, alle porte della civilissima Europa occidentale, finì per mettere in sordina l’opaco conflitto ceceno, mentre in Israele un estremista ebraico sparava alla schiena di Yitzhak Rabin, uccidendo l’uomo che aveva osato firmare una vera pace con i palestinesi. Pur nell’immane complessità dei focolai di morte, però, la situazione sembrava ancora affrontabile su scala regionale, con gli strumenti geopolitici della diplomazia, della politica estera, della pressione militare proporzionata. Poi, appunto, il mondo esplose: tutto insieme, e di colpo.Da allora, il pianeta non ha più smesso di esplodere: Afghanistan e Iraq, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe, la brutale esecuzione di Gheddafi, la comparsa dell’Isis e il martirio della Siria, gli attentati stragistici in Europa. Che l’orizzonte si fosse subito richiuso, dopo la finestra di speranze alimentate dalla stagione di Gorbaciov, lo si era capito anche dal peso smisurato della globalizzazione neoliberista: il via libera a Wall Street grazie a Clinton, l’ingresso della Cina nel Wto, le delocalizzazioni spericolate, la sparizione della sicurezza sociale. Tutto vertiginosamente accelerato, in pochissimi anni: la fine dei diritti del lavoro e l’avvento del precariato come condizione permanente, i tagli devastanti al welfare e la demolizione della “mid class” occidentale, in Europa crollata sotto il peso dell’iper-fiscalità imposta dall’Eurozona. Fino ad arrivare alla tempesta perfetta degli spread, agli orrori della Grecia, al commissariamento di interi paesi. Paura e incertezza: la netta percezione di avere sempre meno benessere, meno diritti, meno democrazia, meno futuro.Ora siamo nell’era universale del virus, della pandemia tendenzialmente permanente, del distanziamento sociale obbligatorio, delle campagne vaccinali come unica soluzione (in assenza di terapie domiciliari precoci, che molti medici invece ritengono efficaci). Si sprecano le narrazioni distopiche amplificate dagli strateghi visionari di Davos, che disegnano una riconversione addirittura antropologica di un’umanità che parrebbe condannata a una sorta di sottomissione tecnocratica, psico-sanitaria, quasi zootecnica secondo i più pessimisti. A questo si è arrivati per gradi, mediante l’orchestrazione planetaria di una narrazione mediatica soverchiante, inarrestabile, che è riuscita a proporre come un’esperienza inevitabile la tragedia dell’emigrazione dai paesi poveri, nonché a ridurre a problema climatico lo scempio della Terra avvelenata, e persino a presentare le evoluzioni del clima come frutto esclusivo della cattiva condotta di un’umanità colpevole e incorreggibile.Inutile sperare che i grandi media illuminino davvero la grande notte: tra giornali e televisioni, è come se parlasse una sola voce, capace di spegnere (per la prima volta, nella storia) quella dello stesso presidente degli Stati Uniti, letteralmente espulso dal sistema e silenziato, trattato come un reietto, bruscamente cancellato dall’anagrafe mondiale. Un anno davvero fatale, il 2020: che ad aprile, tra le altre cose, si è portato via anche Giulietto Chiesa. Da grande giornalista, era stato tra i primi – con Seymour Hersh, Noam Chomsky, Gore Vidal – a puntare il dito contro il nuovo mostro orwelliano oggi dilagante, l’impero della disinformazione a reti unificate. In Italia, Giulietto Chiesa (con il saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2002) era stato il primo in assoluto a dimostrare che la versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre era totalmente inattendibile. In parallelo, poco dopo, un regista come Massimo Mazzucco (trasformatosi in reporter) si vide trasmettere da Canale 5 in prima serata i suoi documentari critici sul crollo delle Twin Towers: lavori che mettevano in luce il carattere inverosimile delle spiegazioni governative.Da allora, la parola “complottismo” ha preso il volo, toccando vette impensabili fino a qualche anno prima. Brutta parola, in effetti: alla voce “complottismo” viene facilmente derubricata (e quindi liquidata, ridicolizzata) qualsiasi argomentazione che ipotizzi l’esistenza stessa di possibili complotti. Colpa anche dei cosiddetti complottisti: sicuri che ogni cospirazione abbia puntualmente successo, e che qualsiasi evento planetario sia sempre e solo frutto di macchinazioni oscure. E dunque: chi ha progettato davvero l’abbattimento delle Torri Gemelle? «Non sta a noi l’onere della prova», rispondevano prontamente Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco, certi che la loro funzione fosse quella (preziosissima) di verificare l’inconsistenza della versione ufficiale. E’ un problema di metodo, in fondo: limitarsi ad affermare solo quanto si è sicuri di poter davvero dimostrare, dati alla mano. Una questione di serietà, di trasparenza. Dire solo quello che si sa, parlare esclusivamente di ciò che si conosce: ed esibirne le prove, incontrovertibili.Grazie alla diffusione worldwide del web e dei social come fenomeno di massa, negli ultimi anni si è fatta strada un’editoria parallela, che tra mille incertezze è comunque riuscita a proporre una narrazione alternativa degli eventi, convalidata qua e là da voci sempre più autorevoli. All’orizzonte, alcuni importanti studiosi – in ogni campo, da quello storico a quello scientifico – prospettamo una sorta di riscrittura generale della storiografia, in gran parte basata su scoperte anche recenti, come quelle della geofisica (i maremoti che avrebbero ridisegnato la geografia del pianeta, 12.000 anni fa), senza contare l’ormai inarrestabile valanga di acquisizioni archeologiche: dalle città sommerse alle tracce di civiltà di gran lunga antecedenti, rispetto a quelle registrate nei libri scolastici. Il solo sito turco di Göbekli Tepe, per esempio, costringe a retrodatare di millenni la stessa introduzione dell’agricoltura.Chi siamo, davvero? Da dove veniamo? Risale ad appena qualche anno fa la scoperta, in Siberia, dell’Uomo di Denisova, altra “sorpresa” con cui la paleontogia ora si trova a fare i conti, senza avere risposte: se il darwinismo trasformato in dogma quasi religioso sta ormai franando, emergono tracce che sembrano alludere a svariati “esordi” della nostra specie, nei più disparati angoli del pianeta, senza che sia stato ancora trovato il famoso anello mancante, genetico, tra noi e le scimmie antropomorfe. Di questo, precisamente, parla la Genesi: se la si legge alla lettera, dice Mauro Biglino, si scopre che quel testo sembra esser stato scritto, non si sa neppure da chi, per raccontare l’origine di un ceppo particolarissimo dei nostri antenati. Per Biglino, il racconto biblico è chiarissimo: sono stati gli Elohim a innestare il loro Dna sugli ominidi che popolavano la Terra. Che poi l’espressione al plurale (”gli Elohim”) venga impropriamente tradotta al singolare con la parola “Dio”, in modo del tutto arbitrario, non è che la conferma di una manipolazione ricorrente, vecchia di millenni.Dall’Eden all’11 Settembre, certo, il salto è vertiginoso: ma in fondo, perché stupirsi delle manipolazioni di oggi, se la deformazione sistematica della narrazione ufficiale risale a oltre duemila anni fa? Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale accredita gli studi del greco Filone di Byblos, che a sua volta riporta le scoperte del fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo: in Egitto, il fenicio avrebbe scoperto le prove (scritte) della primissima manipolazione operata dalla casta sacerdotale egizia, che avrebbe trasformato in divinità metafisiche i personaggi che invece camminavano tra noi, proprio come gli dèi omerici, ai tempi della mitica Età dell’Oro. Si commenta da solo, il coraggio di Mauro Biglino, per dieci anni impegnato in una generosissima maratona infinita, tra centinaia di conferenze in tutta Italia. Unica bussola, la Bibbia: la fedeltà letterale a quel testo, rinuciando a fargli dire cose che non ha mai detto. Niente spiritualità, onniscienza, onnipotenza, eternità: vocaboli assenti, nozioni che nell’Antico Testamento non conosce. Sconvolgente? Sì, certo. Ma utile, oggi più che mai, per irrobustire domande importanti.Biglino – beninteso – non si nega certo la possibilità dell’esistenza del divino: si limita a registrare che nella Bibbia, semplicemente, non ve ne sia traccia. Quelle pagine, semmai, sono affollate di velivoli meccanici, oltre che di stragi efferate e di svariate “divinità” presenti in carne e ossa. Affascinante, se l’Antico Testamento lo si considera alla stregua di una sorta di libro di storia, pieno di echi provenienti da civiltà precedenti e, in molti passi, mutuato – quasi in fotocopia – dai testi dell’epopea sumerica. E’ questo, in fondo, lo sguardo che l’ultimo lavoro in uscita (”La Bibbia nuda”) offre, a chi è pronto ad affrontare un viaggio fatto di suggestioni, scoperte e interrogativi, sapendo mettere da parte per un attimo le proprie convinzioni consolidate. E non è solo un fatto culturale: in un recente saggio che Biglino ha scritto con la professoressa Lorena Forni dell’università Milano Bicocca, si scopre che sull’errata traduzione della Bibbia sono fondati alcuni presupposti-cardine del nostro patrimonio giuridico; il legislatore, cioè, si è basato su verità in apparenza presenti nell’Antico Testamento, ma in realtà smentite dalla corretta traduzione del testo.Nel panorama mondiale del 2021, con un’umanità letteralmente travolta dall’emergenza pandemica (e in parallelo, dalle soluzioni preconfezionate per un futuro non esattamente libero e felice), le pagine de “La Bibbia nuda” – in cui l’opera pluriennale di Biglino viene messa sistematicamente a confronto con gli scenari di oggi – concorrono ad arricchirre l’interessante bibliografia che si va componendo, anno dopo anno, in un periodo che sta vistosamente sfornando trasformazioni epocali, con risvolti anche molto spiazzanti. Risale all’autunno 2019 la storica ammissione della Us Navy: i nostri aerei si imbattono frequentemente in astronavi e dischi volanti. Un’affermazione confermata nella primavera 2020 dal Pentagono, e poi ulteriormente sviluppata dal generale Chaim Eshed, per decenni a capo della sicurezza areospaziale di Israele: da trent’anni, ha detto, noi terrestri collaborariamo stabilmente con entità non terrestri, raggruppate in una sorta di alleanza che chiamiamo Federazione Galattica.Fantascienza? Non più, a quanto pare. Ma in fondo è roba vecchia, dice Mauro Biglino, se sfogliamo pagine come quelle del Libro di Enoch: tra quei versetti non si parla che di decolli e atterraggi. Domanda persino ovvia: e se le pagine di Enoch, Ezechiele (e tante altre) non contenessero che resoconti, ante litteram, di incontri ravvicinatissimi con quelle che poi i sacerdoti avrebbero chiamato divinità? Tutto è possibile, parrebbe, a patto di tenere la mente aperta. Mauro Biglino peraltro non è un ufologo, né un teorico della paleoastronautica. Si mantiene rigorosamente nel perimetro del suo ruolo precipuo, quello di traduttore biblico. Dice: impariamo a rispettarla, la Bibbia, per quello che racconta davvero. E’ sincero, l’Antico Testamento? Non possiamo saperlo. Ma oggi sappiamo – grazie a Biglino, soprattutto – che quell’insieme di libri, ininterrottamente “corretti” fino all’età di Carlomagno, non dice affatto le cose che gli vengono attribuite. Ne afferma altre, e sono interessantissime: vogliamo deciderci a prenderle finalmente in considerazione? Anche perché, per inciso, sulla traduzione teologica della Bibbia (in troppi punti inesatta, quando non falsa) si è basato per secoli, o meglio per millenni, il governo di una parte considerevole del pianeta. Come dire: vietato stupirsi, se un giorno crollano torri e i media si affrettano a veicolare invenzioni e verità di comodo, che poi non reggono alla prova dei fatti.(Il libro: Giorgio Cattaneo, “Mauro Biglino. La Bibbia Nuda”, Tuthi, 342 pagine, 18 euro).E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.
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Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid
Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.
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Il gasdotto e l’assassino: ora l’America fa ridere il mondo
Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un pericoloso spartiacque, dopo l’insulto di Joe Biden a Putin. Ma notate una cosa. Subito dopo gli insulti di Biden, gli Stati Uniti hanno minacciato di sanzioni Mosca. La loro volontà è quella di “assassinare” il progetto del gasdotto Nordstream 2 tra Russia e Germania. Quindi, chi è l’assassino ora? Il mondo dovrebbe essere grato alla Russia, per la sua nobile risposta alle affermazioni puerili e diffamatorie di Biden. La crisi con la Russia, provocata dall’America, può soltanto aggravarsi. Soltanto Mosca può bloccare il progressivo deteriorarsi delle relazioni, per ora. In un’intervista ad “Abc News”, andata in onda mercoledì, è stato chiesto a Biden se per lui Putin fosse un assassino. Il presidente americano ha risposto: «Certo che lo è». Inoltre ha anche dichiarato che la Russia «pagherà caro» per aver interferito nelle elezioni americane e per altre presunte azioni riprovevoli. Si potrebbe stabilire che l’amministrazione Biden voglia a tutti i costi peggiorare le relazioni con la Russia, anche perché le agenzie di intelligence “esamineranno” nelle prossime settimane le prove della perpetrata colpevolezza russa.Dall’altra parte, il presidente russo ha risposto tranquillamente, dicendo che augura a Biden buona salute. Putin inoltre ha proposto un confronto con il presidente americano. Si potrebbe inferire che queste affermazioni ambigue si riferiscano allo stato di salute di Biden e alla sua perdita di capacità cognitive quando parla in pubblico. Un altro commento di Putin dice tutto: «Ci vuole un assassino per riconoscerne un altro». La carriera politica di Biden è lunga quasi cinquant’anni, prima come senatore, poi come vicepresidente in due amministrazioni e ora come 46esimo presidente degli Stati Uniti. In tutto questo tempo, Biden ha avuto un ruolo fondamentale nell’appoggiare innumerevoli guerre e operazioni militari oltre oceano, che hanno avuto come risultato la morte di milioni di persone e la distruzione di intere nazioni. Come senatore senior nella “commissione per le relazioni estere”, Biden ha cercato il supporto necessario nel Congresso per la guerra in Iraq nel 2003.Quella guerra – che si fondava sulla grande menzogna delle armi di distruzione di massa – ha ucciso da sola almeno un milione di persone e ha portato allo sdoganamento del terrorismo nel Medio Oriente e nel mondo intero. Più recentemente, quattro settimane dopo l’inaugurazione, Biden ha ordinato di attaccare la Siria, causando 26 vittime. È stato un atto non solo illegale, ma anche criminale. Quindi, il presidente americano sa bene cosa significhi essere un assassino. Ogni volta che si guarda allo specchio ne vede uno. L’arroganza e l’ignoranza della classe politica americana è senza pari. Putin viene accusato sulla base di pettegolezzi inconsistenti, quali il presunto avvelenamento di quel ciarlatano di Navalny. E non c’è nessuna vergogna o decenza a diffondere volgari etichette. Nel frattempo, la pila di cadaveri che si accumula sotto i piedi dei politici americani è una montagna. Non hanno vergogna.Dopo gli ultimi sfoghi del presidente americano e della sua agenzia di intelligence, che hanno accusato senza alcun fondamento la Russia di aver interferito nelle elezioni del 2020, Mosca ha temporaneamente richiamato il suo ambasciatore per riconsiderare le sue relazioni bilaterali. È la prima volta in vent’anni. Non c’è precedente diplomatico per questo evidente tentativo americano di provocare una crisi. Nemmeno durante la Guerra Fredda, i leader americani si sono abbassati a una retorica così abbietta e offensiva. Sembra esserci una generale degenerazione nella diplomazia di Washington, soprattutto nelle ultime amministrazioni. In America non ci sono più dei veri statisti. Le fila politiche di Washington sono piene di scribacchini e bifolchi e cialtroni cospiratori. Quando Biden ha vinto le elezioni, ha promesso di rinnovare la diplomazia americana attraverso un governo saggio e attraverso abili negoziatori. Un segno positivo è stato quando, all’inizio del mandato, ha contattato la Russia per estendere il trattato “New Start”, nella gestione delle armi nucleari. Ma, a parte quella mossa, l’amministrazione Biden ha tentato di minare le relazioni bilaterali con la Russia.La prospettiva per una tregua o un nuovo inizio è stata gettata a mare (la stessa cosa è stata fatta per le relazioni americane con Iran e Cina). Sembra che Biden e la sua amministrazione stiano deliberatamente provocando una crisi con la Russia per giustificare un inasprimento nei confronti di Mosca. L’obiettivo americano è quello di bloccare il progetto del “gasdotto Nord Stream 2”. Il giorno dopo che Biden ha danneggiato le relazioni con la Russia, il suo segretario di Stato, Anthony Blinken, ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero imposto delle sanzioni molto dure per «qualsiasi coinvolgimento con il ‘gasdotto Nord Stream 2’». Blinken ha annunciato l’esistenza di «un’intera commissione di governo pronta a fermare» la fornitura di gas tra la Russia e l’Europa. Non esageriamo dicendo che 11 miliardi di gasdotto non siano un enorme problema geopolitico, ma è un ostacolo gigantesco per le ambizioni globali di Washington. Gli americani vogliono bloccarlo per vendere, nei prossimi decenni, il loro gas, che è molto più caro, all’Europa.Washington vede una collaborazione energetica tra Russia ed Europa come un intralcio alla sua posizione egemonica. La Germania e gli altri Stati europei hanno tutti continuato a supportare il completamento della costruzione del Nord Stream 2. Il gasdotto, ormai finito per il 95%, è lungo quasi 1.200 chilometri e, passando sotto il Mar Baltico, va dalla Russia alle coste della Germania. Quando sarà operativo, il flusso di gas dalla Russia alla Germania raddoppierà di volume. In più, è essenziale per la crescita a lungo termine della Germania e dell’Europa. Nel disperato tentativo di ostacolare la collaborazione strategica tra Russia ed Europa, Washington sta ricorrendo ad affannose minacce di sanzioni e di altre misure disturbanti. Biden sta giocando la carta dell’insulto personale come mossa per interrompere le relazioni bilaterali con la Russia e sabotare il Nord Stream 2. È un mossa patetica, che mostra più un indebolimento dell’America che una reale pretesa di potere. La Russia farebbe bene a mantenere la calma e lasciare che l’America si renda ridicola.(”Il gasdotto Nordstream 2 è il vero motivo delle calunnie di Biden a Putin”, analisi di “Strategic Culture” ripresa da “Mitt Dolcino” il 23 marzo 2021).Le relazioni tra Stati Uniti e Russia hanno raggiunto un pericoloso spartiacque, dopo l’insulto di Joe Biden a Putin. Ma notate una cosa. Subito dopo gli insulti di Biden, gli Stati Uniti hanno minacciato di sanzioni Mosca. La loro volontà è quella di “assassinare” il progetto del gasdotto Nordstream 2 tra Russia e Germania. Quindi, chi è l’assassino ora? Il mondo dovrebbe essere grato alla Russia, per la sua nobile risposta alle affermazioni puerili e diffamatorie di Biden. La crisi con la Russia, provocata dall’America, può soltanto aggravarsi. Soltanto Mosca può bloccare il progressivo deteriorarsi delle relazioni, per ora. In un’intervista ad “Abc News”, andata in onda mercoledì, è stato chiesto a Biden se per lui Putin fosse un assassino. Il presidente americano ha risposto: «Certo che lo è». Inoltre ha anche dichiarato che la Russia «pagherà caro» per aver interferito nelle elezioni americane e per altre presunte azioni riprovevoli. Si potrebbe stabilire che l’amministrazione Biden voglia a tutti i costi peggiorare le relazioni con la Russia, anche perché le agenzie di intelligence “esamineranno” nelle prossime settimane le prove della perpetrata colpevolezza russa.
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Magaldi: liberi tutti, oppure avremo 10 anni di lockdown
«Chi oggi vorrebbe l’ennesimo lockdown, che è una falsa soluzione, usa il pretesto del Covid per assestare l’ultimo colpo alla nostra libertà: è l’ennesima battaglia, nella lunga guerra scatenata contro la democrazia dagli anni ‘60, a partire dagli omicidi dei Kennedy e di Martin Luther King». Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” e presidente del Movimento Roosevelt, è allarmato dalla possibile, nuova stretta anti-Covid. «Il lockdown è una falsa soluzione, ora lo dicono anche gli scienziati, in studi come quelli appena pubblicati sulla rivista “Science”». Un avvertimento che, tanto per cambiare, è stato sottovalutato dai media: «Oltre a non poter estinguere il virus – sottolinea Magaldi – il distanziamento è deleterio: impedisce infatti al nostro organismo di sviluppare i necessari anticorpi». La soluzione? «Semplice: fare esattamente il contrario di quanto si è fatto finora. E cioè: contagiarci tutti, dopo aver messo in sicurezza (isolandoli o vaccinandoli) i soggetti fragili, malati e anziani. Solo così si raggiunge l’immunità di gregge, cioè la soluzione definitiva al problema».
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Non è stato un incidente: avanza un’agenda inesorabile
Un temporale fa dei gesti grigi, racconta Paolo Conte in una bella canzone di qualche anno fa, quando ancora le persone circolavano libere e a viso scoperto, sapendo di non dover temere niente più di quanto gli ordinari programmi dell’universo avessero in cantiere, quanto a imprevisti e inconvenienti. Le agende dell’epoca non avevano raggiunto il grado totalitario, elettromagnetico e satellitare della cyber-zootecnia di oggi: esistevano ancora menti pensanti e dissonanti, zone-rifugio, individui non armati di smartphone e non schedati sui social. Poi crollarono imperi e torri, terrorismi e guerre sbriciolarono le ultime sicurezze insieme alle cosiddette crisi finanziarie. E infine – come da copione – arrivò la grande peste, lungamente annunciata. Irruppe al momento giusto, su uno scenario sbilanciato: la narrazione totalmente ipnotica della leggenda climatica, la santificazione dell’esodo umano sui barconi come destino inevitabile e persino desiderabile, e poi il feudo atlantico momentaneamente fuori controllo, e il marchesato cinese ansioso di servire da clava, nella guerra santa del globalismo mercantile fatto solo di numeri e obbiedenza cieca.Il grande strappo era necessario, per l’agenda dei sommi pianificatori, che a loro volta hanno l’aria di essere meri esecutori, sia pure dotati di formidabile talento per la zootecnia antropologica. Non è stato un incidente, il vortice che ha spalancato il baratro del 2020. Non è stato un incidente, si suppone, nemmeno la disavventura in cui è incorso Boris Johnson, l’uomo che si era schierato contro la follia dei lockdown. Ad avanzare sospetti è Gioele Magaldi: ne parlerà nel suo prossimo libro, in uscita a ottobre, con risvolti allucinanti sulla genesi del grande strappo. Il premier inglese sarebbe stato prima spaventato a morte e quasi ucciso, e poi blandito con sapienza, perché non si sognasse di fare del Regno Unito un cattivo esempio, cioè un paese che esce dalla peste col minimo di vittime, senza devastare l’economia e l’esistenza stessa di milioni di persone. Qualcosa del genere, in piccolo, dice sempre Magaldi, era avvenuto nella Francia sconvolta dagli attentati terroristici: si trattava di piegare François Hollande, investito come leader anti-rigore (in opposizione alla nefasta leadership della Merkel) e poi ricondotto alla ragione, tra minacce e promesse.Piccolezze, forse, di fronte alla magnitudo planetaria del grande strappo in corso, il cui copione prevede l’attesa messianica di un vaccino anomalo, un preparato genico che agisce direttamente sul Dna, senza che si conoscano gli effetti dell’innesto, per poi passare – progettandola da subito – a una sorta di riconversione universale del vivere, pensata dall’alto, sulla base di calcoli riservati e proiezioni inconfessabili, fidando come sempre nella docilità della politica, ormai ridotta a intrattenimento imbarazzante, e nella lingua biforcuta della narrazione, parole e voci a cui la maggioranza dormiente non sa ancora staccare la spina. Le acuminate analisi dei non pochi eretici si spingono tra le nubi a bassa quota, nei cieli intermedi dove i globocrati esercitano il loro imperio incontrastato, affidato a volti rassicuranti che declinano parole d’ordine soavemente decantate a reti unificate. Rasoterra c’è chi ancora guarda alle scimmiette dei partiti; qualcuno riconosce addirittura gli ordini degli invisibili manovratori, ma poi non indovina da dove vengano, a loro volta, gli ordini che anche costoro ricevono. E intanto il temporale avanza, come ricorda Paolo Conte, e fa i suoi gesti grigi.Un temporale fa dei gesti grigi, racconta Paolo Conte in una bella canzone di qualche anno fa, quando ancora le persone circolavano libere e a viso scoperto, sapendo di non dover temere niente più di quanto gli ordinari programmi dell’universo avessero in cantiere, quanto a imprevisti e inconvenienti. Le agende dell’epoca non avevano raggiunto il grado totalitario, elettromagnetico e satellitare della cyber-zootecnia di oggi: esistevano ancora menti pensanti e dissonanti, zone-rifugio, individui non armati di smartphone e non schedati sui social. Poi crollarono imperi e torri, mentre terrorismi e guerre sbriciolarono le ultime sicurezze, con l’aiuto delle cosiddette crisi finanziarie. E infine – come da copione – arrivò la grande peste, lungamente annunciata. Irruppe al momento giusto, su uno scenario sbilanciato: la narrazione totalmente ipnotica della leggenda climatica, la santificazione dell’esodo umano sui barconi come destino inevitabile e persino desiderabile. E poi il feudo atlantico momentaneamente fuori controllo, e il marchesato cinese ansioso di servire da clava, nella guerra santa del globalismo mercantile fatto solo di numeri e obbedienza cieca.
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Corsa contro il tempo: Draghi e la liberazione dell’Italia
Saranno delusi, i tanti italiani che avevano sperato – con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi – di veder sparire da subito almeno alcuni dei simboli più deteriori dell’emergenza, come l’increscioso coprifuoco alle ore 22 (misura “di guerra”, difficilmente compatibile con l’ordinamento democratico costituzionale). Meno sorprendente, invece, la proroga del divieto di spostamento tra Regioni: una concessione transitoria al “partito del rigore”, in cambio della rinuncia a imporre l’ennesimo, catastrofico lockdown, invocato a gran voce dai falchi come Walter Ricciardi, appena premiato da Papa Bergoglio con la nomina nella Pontificia Accademia della Vita. Succede in Italia, il paese sull’orlo del baratro dove la politica si è arresa al super-tecnocrate Draghi, e dove Marco Travaglio offre la seguente spiegazione, destinata all’infanzia: uno “sfasciacarrozze” con appena il 2% del consensi (Renzi) ha osato mandare a casa il governo più bello del mondo, guidato dal leader più carismatico della storia nazionale, stracarico di onori e successi, invidiatoci dal resto del pianeta.Su altri organi del mainstream, invece, la musica sta cambiando: in un solo giorno, il 23 febbraio, la “Repubblica” degli Agnelli-Elkann (ben equipaggiati da Conte con iniezioni di miliardi e persino lucrose commesse per produrre mascherine) riesce a presentare nell’edizione online ben tre titoli dissonanti, rispetto alla canzone intonata nel 2020, per un anno intero. Primo titolo: meglio 4 persone al ristorante che 24 a casa, dice il presidente della Lombardia, il leghista Attilio Fontana. Accanto a Fontana, le mascherine sotto accusa: la metà delle Ffp2 cinesi è irregolare e non protegge dal virus. Ristoranti protagonisti anche nel terzo titolo, stavolta con l’aggiunta di un video: i carabinieri si sono tolti il casco per solidarietà coi ristoratori, affluiti a piazza Montecitorio per protestare contro la perdurante chiusura serale dei locali. C’è anche un quarto titolo, che menziona un altro leghista, il ministro Giorgetti: ha convocato le aziende farmaceutiche nazionali per impostare la produzione italiana dei vaccini e quindi accelerare il piano vaccinale.Scontato anche questo, purtroppo: i vaccini vengono presentati come l’unica possibile via d’uscita, oggi, per mettere fine a un’emergenza anomala, largamente gonfiata da numeri controversi e sicuramente aggravata dalla devastante negligenza del precedente governo-meraviglia, quello rimpianto da Travaglio: se si lasciano i malati a casa senza cure per giorni, poi è inevitabile che sugli ospedali (già in affanno per i tagli degli ultimi anni) si riversi una massa ingente di pazienti ormai gravi. Mentre Travaglio dormiva, infatti, nel 2020 è accaduto esattamente questo: il ministero della sanità ha regolarmente ignorato i medici che segnalavano la scoperta di terapie efficaci, tranquillamente somministrabili a domicilio. E il ministro (anziché usare l’estate per attrezzare una adeguata risposta territoriale in autunno, sulla base dei farmaci disponibili) ha perso tempo a scrivere un libro grottesco e auto-celebrativo, che poi non ha neppure osato far distribuire nelle librerie. Una delle maggiori iatture, per gli italiani, è che il ministro di Conte sia rimasto al suo posto, almeno per ora, anche con Draghi.A parte Travaglio e la fascia più puerile dei lettori, a pochi è sfuggito il senso dell’operazione-Draghi: recuperare il Parlamento, con l’appoggio del maggior numero possibile dei partiti. Obiettivo: consentire una loro possibile riabilitazione, dopo i disastri che hanno commesso, facendo infatti registrare due record europei (quello delle vittime del Covid e quello delle vittime socio-economiche dello stato d’emergenza, abbandonate al loro destino da un governo incapace di tamponare le falle). Ora si favoleggia dei 209 miliardi del Recovery Plan, che Conte non era riuscito a presentare in modo credibile. Ma 200 miliardi di euro erano il “minimo sindacale” che serviva all’Italia, già prima del Covid, per rimettersi in piedi. Nel solo 2020, poi, Conte è riuscito a bruciare 160 miliardi (in gran parte forniti dalla Bce) per misure non risolutive, destinate a tradursi in quello che Draghi chiama “debito cattivo”, cioè pesante e improduttivo.Sempre i più sprovveduti possono immaginare che Draghi sia stato richiamato in servizio solo per non sprecare almeno i 209 miliardi in arrivo: ma si tratta di una minima parte del suo mandato. La prima riguarda la pandemia. Tema: come uscire, alla velocità della luce, dall’emergenza. Il sistema mondiale (che ha sovragestito il Covid fin dall’inizio) ha già pronta la risposta: se ne esce solo coi vaccini. Ovvio l’atteggiamento di Draghi: facciamo in modo, allora, che questi vaccini vengano finalmente forniti, in modo da poter dichiarare cessato l’allarme. E’ evidente che i vaccini possono essere una soluzione solo tattica e contingente (oggi pressoché inevitabile, per Draghi, dopo un anno vissuto a senso unico). Ma non è scritto da nessuna parte che si debba trattare col vaccino un virus super-influenzale. E se domani ne comparisse un altro? Il precedente è pericoloso: se irrompe un virus all’anno, la medicina rinuncia a curare i malati e ripiega sui soli vaccini, la cui efficacia e sicurezza è ancora da dimostrare? E’ evidente la manipolazione in atto, su scala planetaria, che mira a ridurre la nostra libertà. Se arrivano il Covid-20, poi il 21, il 22 e così via, che si fa? Ogni volta si chiude il paese per un anno, pregando che arrivi il salvifico vaccino?Solo un cieco può non vedere il gioco perverso, l’oculata regia che sovrintende alla malagestione della cosiddetta pandemia, declinata come una sorta di “golpe bianco”, su scala mondiale, da filiere di potere che in questi decenni hanno imposto le crisi finanziarie, gli opachi terrorismi domestici, le peggiori guerre imperiali e l’esplosione del business vaccinale di Big Pharma, accanto ad altri spettacolari fenomeni come l’illusionismo climatico, utilizzato per lanciare l’ultima versione della mondializzazione, in salsa “green”, sotto il ferreo controllo delle multinazionali finanziarie. Con il Covid, il super-potere neoliberista ha giocato particolarmente sporco, provando cioè ad approfittare del panico mediatico-sanitario per imporre restrizioni a carattere tendenzialmente permanente, dalla didattica alla distanza al telelavoro, trasformando il distanziamento (sanitario, sociale, antropologico) in condizione post-umana a cui rassegnarsi. E tutto questo, per via di un virus che – a detta degli scienziati – è altamente contagioso ma scarsamente letale, nella maggior parte dei casi asintomatico o curabile con facilità.Sfrattata dalla storia, negli ultimi decenni l’Italia è scivolata nelle ultimissime posizioni del G20: cacciata dalla Libia, maltrattata dall’Unione Europea. Siamo il paese a cui Emmanuel Macron (ricevuto coi massimi onori in Vaticano) scaricava migranti, dopo averli fatti manganellare dalla polizia, salvo poi definire “disgustosa” la politica del Salvini di ieri, quello “gialloverde”. Oggi, è come se le lancette del conto alla rovescia di fossero fermate. I fobici – che non capiscono perché Draghi sieda a Palazzo Chigi – temono che l’ex capo della Bce si trasformi nello spietato liquiditatore di quel che resta del paese (come se non vedessero che bastava Conte, semmai, a garantire all’Italia la rovina terminale). Sistemata l’emergenza – per ora solo con i vaccini, purtroppo – Draghi dovrà certo fornire una versione sensata del Recovery. Ma non sarà che un primissimo passo, verso la vera posta in gioco: cancellare il paradigma del rigore, giocando sul filo dell’equivoco, di fronte a un mostro come l’eurocrazia (da cui Draghi, non a caso, proviene).In altre parole: l’Italia sembra un avamposto della possibile resistenza, planetaria, contro il “golpe-fantasma”, condotto attraverso la sovragestione dell’emergenza sanitaria. Impossibile uscirne in pochi giorni. Ma, come paiono suggerire gli stessi carabinieri a Montecitorio, nel frattempo occorrono anche gesti forti, di rottura: come ad esempio la riapertura in sicurezza dei ristoranti, al più presto, prima che il collasso dell’economia diventi irreversibile. Si tratta di una corsa contro il tempo: non è possibile “convertire” in pochi giorni gli stessi partiti che, fino a ieri, fingevano di credere (insieme ai Travaglio di tutta penisola) che la crisi fosse inevitabile, così come la resa di fronte al Covid, tradotta in termini di lockdown, a costo di affondare il paese. La scommessa di Draghi, probabilmente, si giocherà nel giro di poche settimane: limitare i danni, azzerare il panico, indurre i media a raccontare un’altra storia. E prepararsi allo scontro, quello vero: contro le baronie feudali del Nord Europa, che temono il risveglio dell’Italia.Saranno delusi, i tanti italiani che avevano sperato – con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi – di veder sparire da subito almeno alcuni dei simboli più deteriori dell’emergenza, come l’increscioso coprifuoco alle ore 22 (misura “di guerra”, difficilmente compatibile con l’ordinamento democratico costituzionale). Meno sorprendente, invece, la proroga del divieto di spostamento tra Regioni: una concessione transitoria al “partito del rigore”, in cambio della rinuncia a imporre l’ennesimo, catastrofico lockdown, invocato a gran voce dai falchi come Walter Ricciardi, appena premiato da Papa Bergoglio con la nomina nella Pontificia Accademia della Vita. Succede in Italia, il paese sull’orlo del baratro dove la politica si è arresa al super-tecnocrate Draghi, e dove Marco Travaglio offre la seguente spiegazione, destinata all’infanzia: uno “sfasciacarrozze” con appena il 2% del consensi (Renzi) ha osato mandare a casa il governo più bello del mondo, guidato dal leader più carismatico della storia nazionale, stracarico di onori e successi, invidiatoci dal resto del pianeta.