Archivio del Tag ‘Iraq’
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Scordatevi lo Stato palestinese: il Dio di Israele non lo vuole
Mentre esplode il panico mondiale per il coronavirus e la Turchia (Nato) protegge 30.000 terroristi e li usa come arma contro i curdi e la Siria, che sta tentando con l’aiuto della Russia di finire di riprendersi il suo territorio nazionale attorno alla città di Idlib, “Russia Today” annuncia che Netanyahu intende procedere con il progetto per costruire 3.500 abitazioni per i coloni israeliani nel West Bank, cioè in Cisgiordania. Quando ha presentato il suo piano di pace alla Casa Bianca, insieme a Trump, subito dopo Netanyahu ha detto: se i palestinesi accettano la nostra proposta, bene; se non la accettano, noi procediamo comunque. E dato che la proposta (inaccettabile) è stata respinta seccamente, lui procede. Ogni volta che si avvicina una possibile soluzione al conflitto israelo-palestinese, esplode puntualmente una crisi. I governi israeliani si sono sempre detti pronti a discutere: a Oslo l’accordo sembrava vicinissimo. Ogni volta che si arriva a un passo dalla soluzione, poi l’accordo viene fatto saltare. Dopodichè, un pezzo di Palestina viene portato via.Il territorio palestinese è diventato sempre più piccolo e frazionato: per passare da un appezzamento palestinese a un altro bisogna passare attraverso i posti di blocco dell’esercito israeliano. Se guardate la cartina, vi accorgere che l’idea stessa di uno Stato palestinese, oggi, fisicamente, ormai non è più praticabile. Di fatto, uno Stato palestinese non c’è più: la riva occidentale del Giordano se la sono già presa tutta, a pezzettini. E il sistema degli insediamenti dei coloni è fatto in modo scientifico, per continuare a tagliare fuori pezzi di territorio palestinese, in modo che i palestinesi (in gran parte agricoltori) non possano più muoversi per vendere i loro prodotti, né usare le sorgenti d’acqua. Persino per andare a scuola, i bambini palestinesi devono superare posti di blocco. Nel cosiddetto progetto di pace Trump-Netanyahu, come regalo americano, era addirittura previsto un ponte: dalla Striscia di Gaza avrebbe collegato alcuni territori palestinesi. Per non disturbare il possesso israeliano dei Territori Occupati, il ponte li avrebbe scavalcati.Fantastico, no? Noi vi prendiamo la terra, e in cambio vi facciamo il ponte. E dato che l’accordo poi non c’è stato (non poteva esserci), loro adesso si pigliano un altro pezzo di territorio e ci mettono altre 3.500 abitazioni, altre migliaia di persone. Così fanno: creano una nuova località abitata, e poi la militarizzano per evitare controffensive palestinesi di qualunque genere. Questo è il modo con cui Israele si prende tutta la Palestina, e con si troverà a dominare tutto il territorio – per una generazione: poi, quando i palestinesi crsceranno di numero, le cose cambieranno, visto che i campi profughi palestinesi stanno per esplodere, sul piano demografico. Gli israeliani, comunque, pensano ugualmente di estendersi. Ma attenzione: dietro al loro comportamento (prima trattiamo, ma poi rompiamo e prendiamo), c’è sempre l’idea del Grande Israele, cioè la terra che Dio ha dato ad Abramo. Quindi non c’è niente da fare: è quello, che vogliono.Loro vogliono il Libano, vogliono un pezzo di Iraq, un pezzo di Siria. Vogliono farsi il loro territorio “biblico”. Muovendoti su questo terreno, non potrai mai trovare un accordo: dietro a questo ragionamento, che sembra politico ma invece è religioso (di fanatismo religioso), non c’è la possibilità di nessun accordo. Cioè: se Dio ci ha dato questa terra, nessuno può entrare in discussione con Dio, perché è Dio che ce l’ha data, questa terra. Quindi, tutti quelli che ce lo impediscono, non sono contro di noi: sono contro Dio. E quindi non c’è modo di discutere. L’unica possibilità è quella di un’imposizione che la comunità occidentale dovrebbe prima o poi decidere di attuare. Ma ora è tardi, perché non c’è più la possibilità materiale di uno Stato palestinese. Io credo quindi che non ci si possa attendere altro che un peggioramento sistematico, continuo: sangue. Ci sarà ancora tanto sangue, purtroppo.(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate nel colloquio con Massimo Mazzucco durante la trasmissione di “Contro Tv” del 28 febbraio 2020, ripresa su YouTube e sul sito “Luogo Comune”).Mentre esplode il panico mondiale per il coronavirus e la Turchia (Nato) protegge 30.000 terroristi e li usa come arma contro i curdi e la Siria, che sta tentando con l’aiuto della Russia di finire di riprendersi il suo territorio nazionale attorno alla città di Idlib, “Russia Today” annuncia che Netanyahu intende procedere con il progetto per costruire 3.500 abitazioni per i coloni israeliani nel West Bank, cioè in Cisgiordania. Quando ha presentato il suo piano di pace alla Casa Bianca, insieme a Trump, subito dopo Netanyahu ha detto: se i palestinesi accettano la nostra proposta, bene; se non la accettano, noi procediamo comunque. E dato che la proposta (inaccettabile) è stata respinta seccamente, lui procede. Ogni volta che si avvicina una possibile soluzione al conflitto israelo-palestinese, esplode puntualmente una crisi. I governi israeliani si sono sempre detti pronti a discutere: a Oslo l’accordo sembrava vicinissimo. Ogni volta che si arriva a un passo dalla soluzione, poi l’accordo viene fatto saltare. Dopodichè, un pezzo di Palestina viene portato via.
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Paura e morte, la dittatura della superpotenza democratica
Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi tentacoli, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco continua, imperterrito, a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultimo residuo del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in questo caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.Nel 2020, tecnicamente, in molte regioni del mondo la parola democrazia non significa niente, nella migliore delle ipotesi (nella peggiore, equivale al rituale ricorrente di bombardamenti, guerre, milioni di esuli e rifugiati, tra inconfessabili calcoli economici e reciproche convenienze, tacitamente stipulate da oligarchie formalmente nemiche ma in realtà alleate, sottobanco). Il capolavoro della superpotenza democratica, in Medio Oriente, negli ultimi anni è stata la sua micidiale doppiezza: massimo appoggio alla peggiore di tutte le dittature dell’area, l’Arabia Saudita, e guerra sporca contro ogni altro attore della regione, destabilizzato dalle rivoluzioni colorate o brutalmente devastato attraverso bande armate di tagliagole. Lo spettacolo della democrazia atlantica in versione mediorientale lo hanno lungamente scontato, sulla loro pelle, prima gli iracheni e poi i siriani. Questi ultimi, in particolare, sono stati letteralmente assaliti dalle milizie terroristiche organizzate, protette, armate e finanziate dalla superpotenza democratica e dai suoi camerieri regionali. I tagliagole hanno seminato orrore, terrore e morte, fino a quando non è intervenuta la Russia. Liberata la Siria e restituito il territorio ai siriani, il turco Erdogan – uno dei manovali terroristici reclutati dalla superpotenza democratica – ora non accetta il verdetto militare, e prova a negare ai siriani il diritto a una vittoria compiutamente definitiva.Un vero e proprio eroe del riscatto nazionale siriano, il generale Qasem Soleimani – numero due del regime teocratico di Teheran, fiero avversario dell’Isis prima in Iraq e poi in Siria – è stato assassinato in modo brutale, a tradimento, con un raid terroristico a suon di missili ordinato dalla superpotenza democratica. La colpa di Soleimani? Una: era abile, stimato, autorevole. Legato all’oligarchia medievale dell’Iran, credeva nell’espansione della Mezzaluna Sciita come contrappeso geopolitico alla legge del taglione imposta dalla superpotenza democratica. Soleimani ha fatto la fine di Saddam, di Gheddafi, e di chiunque altro si opponesse – a vario titolo – alla spietata dittatura della superpotenza democratica. La cosiddetta opinione pubblica, nella patria mondiale della democrazia, è dominata da quattro famiglie, cui fanno capo centinaia di reti televisive. Un unico telegiornale, declinato in più modi, trasmette – 24 ore su 24 – le stesse notizie, distillate dalle medesime fonti. Ogni quattro anni, naturalmente, si vota. George Walker Bush divenne presidente a tavolino, per decreto, grazie a clamorosi brogli in Florida. Il suo successore, Barack Obama, aveva promesso – mentendo – di cambiare le regole del gioco: è stato il presidente che ha fatto assassinare più persone, nel mondo, attraverso gli omicidi mirati affidati ai droni.Obama, che ha dichiarato di aver ucciso anche Osama Bin Laden (spegnendo così il clamore sulle indiscrizioni riguardanti la sua vera origine – si sospettava che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, cosa gli avrebbe impedito di candidarsi alla Casa Bianca) è stato anche il presidente che, dopo aver amnistiato i bari di Wall Street, si è inventato i Russiagate contro Putin, ha spintonato l’Europa per imporre le sanzioni alla Russia, ha fatto spiare anche il telefono privato di Angela Merkel. Poi la superpotenza democratica ha voltato pagina, con una nuova entusiasmante sfida elettorale: da una parte la cannibale Hillary Clinton, dall’altra il rozzo Donald Trump. Ora sono tutti d’accordo, ai piani alti, nel tagliare le unghie alla Cina: erano stati loro a delocalizzare in Asia (in paesi senza democrazia) la grande industria americana, ma adesso – visto che la Cina ha superato il maestro – pensano sia giunta l’ora di fare retromarcia, e intanto si godono le delizie del coronavirus. Nel frattempo, tra poco si rivota. Un candidato, Bernie Sanders, spara a zero sugli abusi razzisti del governo israeliano e si schiera con i palestinesi. Secondo tutti i bookmaker, non ha nemmeno una possibilità su mille di diventare il nuovo presidente della superpotenza democratica. Ecco il gioco: post-democrazia contro non-democrazia. Trovare la differenza.(Giorgio Cattaneo, 1° marzo 2020).Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi terminali, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco, imperterrito, continuava (e continua) a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultima residua incarnazione del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in quel caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.
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Usa-Cina, la guerra sporca del coronavirus. Le vittime: noi
Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina non è democratica.Per inciso: Pechino detiene una fetta rilevante del mostruoso debito estero statunitense, il maggiore del mondo (gli Usa consumano, ma il costo lo scaricano sui cinesi). Comodo, oggi, per il debitore insolvente, dichiarare guerra proprio alla Cina, il creditore: guerra ufficiale, con i dazi, e guerra segreta a colpi di virus? L’ipotetica “guerra batteriologica Usa” è il primo dei tre scenari esplorati da Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”. La cronistoria è precisa. Nel 2017, proprio a Wuhan (l’avanzatissima Silicon Valley cinese) viene aggiornato un importante centro di ricerca di livello 4: oltre al personale cinese operano l’Oms, scienziati inglesi e americani. Obiettivo delle ricerche: un progetto condiviso per la salute pubblica mondiale. Il laboratorio esiste dal 2014, e nel 2015 viene brevettato un vaccino per un nuovo ceppo di coronavirus, molto più pericoloso dell’attuale, grazie anche agli ingenti fondi della Commissione Europea e della Fondazione Gates. A marzo 2019, il Canada invia un pacchetto di virus letale da studiare in caso di contagio a Wuhan. Operazione inizialmente segreta, poi desecretata dallo stesso governo cinese, preoccupato per la pericolosità della circolazione di tali agenti patogeni nel suo territorio.Il 18 ottobre del 2019, il Global Security Studies della John Hopkins University, di concerto con la Fondazione Gates, Bloomberg e il World Economic Forum, riunisce 15 leader mondiali (politici, economisti, filantropi, scienziati e militari) per simulare una pandemia partita ipoteticamente dal Brasile. Lo studio, chiamato Evento 201, riproduce virtualmente un’emergenza di 18 mesi per una pandemia globale, con 65 milioni di morti. Precisamente, l’Evento 201 simula lo scoppio di un coronavirus “zoonotico” che si trasmette da pipistrelli e maiali all’uomo, esattamente come nella spiegazione “scientifica” che ci hanno raccontato i media dopo i primi casi di contagio. Sempre a Wuhan, il 15 ottobre scorso, in occasione dell’evento Military World Games si registra una presenza massiccia di militari occidentali e funzionari del Pentagono, oltre che apparati di intelligence. «Ed è curioso – scrive Galgano – che due settimane dopo, proprio nella stessa città e dopo tutti i precedenti studi virologici e le simulazioni effettuate, sia nata la pandemia: il tempo di incubazione può variare entro un range di 15 giorni e, guarda caso, i primi casi ufficiali sono venuti fuori lo scorso inverno».Secondo la rivista “The Lancet”, il primo caso di infezione risale ipoteticamente al 1° dicembre, e la persona contagiata non si sarebbe mai recata al famoso mercato ittico di Wuhan. Il primo decesso ufficiale è invece dell’11 gennaio 2020. L’emergenza massima cade proprio durante il capodanno cinese, il 25 gennaio, con flussi migratori di centinaia di milioni di persone in viaggio dalle campagne alle città, a bordo di treni e aerei: quale migliore occasione per estendere il contagio? Negli Usa, il super-esperto Francis Boyle lo afferma candidamente, evitando di ricordare che nei laboratori militari di Wuhan non ci sono solo scienziati cinesi. «Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», afferma Boyle in un’intervista video rilasciata al sito “Geopolitics and Empire”. Il professor Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois, nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge antiterrorismo per le armi biologiche. Boyle sostiene che il coronavirus, «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale», sarebbe «fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan.Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso, mentre ora sta adottando misure drastiche per contenere l’epidemia. E visto che il laboratorio Bsl-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Oms, secondo Boyle la stessa organizzazione sanitaria mondiale «non poteva non sapere». Galgano ricorda gli avvertimenti del genarale Fabio Mini, già dirigente Nato: la guerra batteriologica sarà una delle più insidiose, nel futuro. In un mondo fino a ieri traumatizzato dall’Isis, creatura terroristica “fabbricata” in provetta da settori dell’intelligence occidentale, perché escludere che gli stessi poteri occulti che hanno scatenato l’Isis possano ricorrere anche ad agenti patogeni per provocare epidemie letali? «Ci sono troppi investimenti e studi in joinventure con l’apparato militare, per non solleticare certe idee e per non testare e utilizzare tali strumenti», riflette Galgano. «Perché mai gli Usa e altri paesi del blocco occidentale non dovrebbero utilizzare, come armi, eventuali virus da tempo studiati», visto che «il Pentagono, la Nato, l’Oms e tutte le Fondazioni occidentali hanno speso migliaia di miliardi di dollari e fatto ingenti investimenti ovunque in questo settore strategico?».Nella peggiore delle ipotesi, il Covid-19 potrebbe rappresentare «la prima di una lunga serie di pandemie non casuali, un primo vero test di massa per studiare gli effetti su larga scala, non più solamente relegati alle simulazioni teoriche, comprendendo il grado di sostenibilità delle popolazioni e dei diversi governi colpiti dalla “cattiva sorte”». Servirebbe a «verificare sul campo il funzionamento delle quarantene, la reazione delle persone e di eventuali isterie di massa», e in più – fatto non secondario – favorirebbe «una vaccinazione di massa sempre più accettata», oltre a provocare, nel frattempo, ingenti danni collaterali, e cioè «diverse conseguenze negative dal punto di vista finanziario, militare e geopolitico». Una “piccola pandemia” sembra tragicamente funzionale: può destabilizzare l’economia del “rivale”, «senza innescare necessariamente una guerra militare, che forse non converrebbe a nessuno». Per i suoi ipotetici ideatori sarebbe addirittura «un male minore», secondo “Maestro di Dietrologia”, «proprio ora che la Cina stava primeggiando economicamente, proprio durante il capodanno cinese, proprio nella stessa città dove la Fondazione Gates e la “sovragestione” hanno investito e operato nei laboratori di ricerca di Wuhan».Attenzione, sono solo ipotesi: «Non ci sono prove documentabili, ad oggi, che possa essere una strategia voluta». Ci sono semmai «ottimi indizi», sicuramente più numerosi di quelli che depongono a favore della pura casualità, a cui sembrano invece credere i media. Sono gli stessi media che, peraltro – lo ricordano vari medici italiani intervistati da Claudio Messora su “ByoBlu” – stanno trattando il coronavirus come fosse la peste, scatenando il panico tra la popolazione in modo criminale e irresponsabile, data anche la bassissima pericolosità del virus in Italia, che a quanto pare minaccia seriamente solo gli individui anziani e già molto malati. Ma guai a fare ipotesi complottistiche: in televsione, Diego Fusaro è stato zittito (e insultato, come se fosse pazzo) per il solo fatto di aver ipotizzato, a rigor di logica, la possibilità di includere, tra le altre, anche l’eventuale origine dolosa. Su Twitter, Paolo Barbard mette a fuoco un altro indizio preoccupante: a svelare la correlazione tra uomo e pipistrelli, nella propagazione del virus, è stata l’università californiana di Berkeley, e l’ha fatto con uno studio finanziato – con largo anticipo sull’epidemia – proprio dalla Darpa, l’agenzia del Pentagono specializzata in armi sperimentali, biologiche e batteriologiche. Interpellati i diretti interessati, Barnard registra le risposte: «Duemila righe di email firmate da Jared Adams, responsabile della comunicazione della Darpa, e silenzio assoluto invece da parte di Cara Brook, la biologa responsabile della ricerca».Tutta colpa dei soliti “amerikani”, cioè del famigerato Deep State che, dopo aver assassinato i Kennedy e Martin Luther King, avrebbe organizzato l’auto-attentato dell’11 Settembre? Non è detto, osserva “Maestro di Dietrologia”: per Simone Galgano, c’è pure la possibilità che la Cina, ormai messa in stato di assedio dalla superpotenza atlantica, possa aver esibito «la prova di forza del Drago», auto-sabotandosi per dimostrare la sua capacità di resistenza, nel caso qualcuno pensasse davvero di sterminare i cinesi, altrimenti inarrestabili. Galgano la definisce un’eventualità non troppo remota: «La Cina mostrerebbe i muscoli, mettendo in campo una copertura sanitaria su larga scala difficilmente replicabile in altri paesi». Un paese che si presenta «più forte e unito che mai, dinnanzi a sciagure di qualsiasi natura». In pratica: «Sacrificando solo sul breve termine la sua economia», Pechino colpirebbe il business occidentale «puntando su un’economia autarchica, nazionalista, in netto contrasto con la globalizzazione vigente». Un avvertimento alla comunità internazionale: la Cina si salverebbe comunque, mentre a sprofondare saremmo noi. Beninteso: a partire dall’Africa, è in corso una guerra segreta, anche per il controllo delle materie prime.Da parte sua, Pechino non tollera il dissenso e non esita a schiacciare la protesta di Hong Kong. Sarebbe capace di attuare una simile strategia della tensione, tra lacrimogeni e virus, per cristallizzare il potere centrale? In questo – ed è il terzo scenario contemplato da Galgano – è impossibile non tenere conto delle Ur-Lodges, le potenti superlogge internazionali di cui parla Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: si tratta di «un network di poteri transnazionali, composto da multinazionali di ogni settore strategico “senza patria”, da eserciti senza appartenenza nazionale, da poteri massonici, “magici” ed economici globalisti, che lavorano al di sopra delle entità statuali». Anche la Cina è coinvolta nelle sovragestioni supermassoniche. Reti elusive, che non agiscono per schemi rigidi: «Sono infinitamente più elastiche, non ideologiche. Mutano forma come camaleonti e la loro trasversalità determina la loro forza». In questa piramide di poteri, «ogni livello mette in atto le proprie strategie per soddisfare i suoi bisogni, e le due possibilità descritte precedentemente (una guerra batteriologica Usa e una prova di forza della Cina) possono in questo mondo essere valide entrambe e convivere come opzioni, senza contraddizioni sostanziali».Manipolazioni a catena: «Noi ingenuamente pensiamo che il potere si realizzi e finisca all’interno di Stati sovrani, ma quello è solo un nostro limite culturale e uno dei motivi per i quali viviamo ai piedi dell’oracolo», scrive Galgano. Questa, aggiunge, è «una sovragestione che necessita di abbeverarsi al capitalismo occidentale e di implementare nuove visioni orwelliane distopiche e dispotiche, che si nutre della medicalizzazione di massa e delle tecnologie pervasive di controllo strutturale, per governare i tempi della modernità dall’alto dei cieli, ad libitum». Dacci oggi il nostro virus quotidiano: «Perché dare limiti al potere quando, per definizione, esso non ha forma?». Lo stesso Magaldi ricorda che, nel 1981, le superlogge – soprattutto reazionarie, ma anche progressiste – firmarono lo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Alla Cina di Deng Xiaoping – segretamente affiliato al club delle Ur-Lodges neoaristocratiche – fu permesso di entrare nel Wto, senza pretendere che il colosso asiatico si democratizzasse. Oggi, l’ala progressista della supermassoneria sovranazionale contesta questa scelta e pretende che Pechino cambi passo, aprendo alla democrazia. Simmetricamente, il fronte reazionario (rappresentato, al di là delle etichette, da politici “dem” come i Clinton) si intendeva benissimo, fino a ieri, con l’oligarchia cinese.Un equilibrio infranto ora dal protezionismo di Trump, che negli ultimissimi anni ha coagulato attorno a sé l’intera classe dirigente degli Usa, divenuta ostile alla Cina, come conferma un osservatore del calibro di Edward Luttwak. E’ la stessa Nancy Pelosi, boss del partito democratico e acerrima rivale di Trump, a sparare a man salva su Huawei, anche incorrendo in una gaffe clamorosa come quella segnalata da Massimo Mazzucco a “Contro Tv”, in collegamento con Giulietto Chiesa: la Pelosi ha ammesso di temere la tecnologia 5G made in China, proprio perché sa che il digitale (quando è di marca Usa) serve a controllare direttamente gli utenti, attraverso un poderoso spionaggio di massa. «C’è un grande conflitto in atto da diversi anni tra Usa e Cina, e uno dei tanti motivi oggi è rappresentato dal colosso Huawei per il controllo dell’etere globale», ribadisce Galgano. La conferenza sulla sicurezza di Monaco – aggiunge – è diventata l’arena di un nuovo scontro fra gli Usa di Trump e la Cina, che in questa occasione si è difesa sfoderando l’orgoglio socialista, all’insegna dello slogan “non ci fermerà nessuno”.Cuore del confronto, il veto americano su Huawei: «Un cavallo di Troia dei servizi cinesi», secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, l’uomo che ha brindato all’uccisione in Iraq del leader iraniano Qasem Soleimani, alleato della Cina, assassinato dagli Usa in modo terroristico, con un missile. L’impero non scherza, se vede minacciati i suoi privilegi feudali: consentire a Huawei di installare la rete 5G in Europa «potrebbe arrivare a mettere a rischio la Nato», secondo il ministro della difesa Usa, Mark Esper. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi replica senza mezzi termini: «Le accuse sulla Cina sono bugie. Negli Usa non si accetta l’idea del successo in uno Stato socialista, ma questo è ingiusto, i cinesi meritano una vita migliore». Aggiunge: «Nessuno potrà fermarci, la Cina uscirà più forte di prima dall’emergenza del coronavirus», che quindi – secondo Pechino – non comprometterà la crescita del gigante asiatico. «Non vogliamo conflitti con la Cina», dichiara Pompeo, che però avverte: Pechino deve smettere di esercitare pressioni «palesi e nascoste» su nazioni come Italia, Corea del Sud e Iran. «Tutti paesi – chiosa Galgano – curiosamentre tra i più colpiti da questo virus».Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina, non è democratica.
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Mai sprecare un’arma: virus, la guerra ibrida contro la Cina
La politica delle nuove Vie della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), era iniziata con il presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa. La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni. Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinazia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025. La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati Stem [scienze, tecnologia, ingegneria e matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
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Magaldi: se gli Usa concedessero la grazia a Julian Assange
«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».Tutto questo, ribadisce Magaldi, «nulla toglie alla grandezza dell’opera di Assange, che ha disvelato, all’opinione pubblica occidentale, l’incorenza di chi si ammanta della retorica democratica». Meglio ancora sarebbe stato se Assange avesse prodotto analoghe rivelazioni «su chi non tenta neppure di apparire rispettoso dei diritti e dei valori della democrazia». Tra i più accesi difensori di Assange, un reporter di razza come Paolo Barnard, un anno fa sistematosi sotto le finestre dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per reclamarne la liberazione. Al momento del primo arresto, anche Barnard aveva manifestato riserve: mettere in piazza nomi e cognomi, inclusi quelli di tanti 007, può mettere in serio pericolo operatori “coperti”, impegnati sul terreno e non per forza coinvolti in operazioni inaccettabili. Poi però, di fronte alla clamorosa persecuzione riservata ad Assange – con casi giudiziari costruiti a tavolino – Barnard ha cambiato posizione: picchiare duro su Assange, ormai è chiaro, serve a minacciare indirettamente tutti i giornalisti che fossero intenzionati a fare il loro mestiere onestamente.«Colpirne uno per educarne cento», sintetizza Massimo Mazzucco, in web-streaming con Giulietto Chiesa su “Contro Tv”. «Il messaggio è chiaro: guai a chi prova a mettersi di traverso». Mazzucco e Chiesa prendono nota: gli Usa non esitano ad assassinare il numero due dell’Iran, Qasem Soleimani, poi tacciono sui raid arei di Israele in Siria (che hanno costretto un volo civile a un atterraggio d’emergenza) e applaudono – a Camere riunite – il presidente Trump che presenta come «unico e vero presidente legittimo del Venezuela» l’oscuro Juan Guaidò. «E’ stato il loro “uomo di paglia” scelto per rovesciare Maduro. Non ha funzionato, ma insistono ugualmente: tutti devono sapere che Washington ci riproverà, non tollerando che il suo potere venga sfidato». Quanto ad Assange, la sua sorte sembra segnata. «Un giornalista del “Guardian” – scrisse Barnard, un anno fa – mi ha confidato che l’ordine, in redazione, era di dimenticare Assange e abbandonarlo al suo destino». Oggi, Magaldi (che pure contesta al fondatore di WikiLeaks di non esser stato impeccabile) insiste: meglio sarebbe se si intavolasse un dialogo chiarificatore onesto. E sarebbe un gran gesto, da parte di Trump, concedere la grazia a Julian Assange.«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».
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Trump in Medio Oriente: lo status quo, con il minimo sforzo
Prima l’uccisione di Soleimani in Iraq, poi la strana proposta unilaterale di pace per chiudere il conflitto israelo-palestinese. «Al centro delle preoccupazioni statunitensi rimane l’Iran, Stato-civiltà, nascente potenza nucleare che con la sua carica rivoluzionaria è in grado di sovvertire gli equilibri dal Mare Arabico al Mediterraneo, dallo Yemen al Libano». Lo afferma Leonardo Tirabassi, autore di un’articolata analisi sugli sviluppi mediorientali proposta dal “Sussidiario”. Dopo che nel 2011 gli americani avevano lasciato Baghdad, premette Tirabassi, insieme ai soldati di altri 22 nazioni erano tornati in Iraq nel 2014, richiamati dal governo iracheno per contrastare l’Isis. «Ma a combattere la sunnita Daesh in Iraq e in Siria era arrivato fin da subito anche Soleimani, con i propri uomini e fornendo addestramento, finanziamenti e armi alle milizie sciite irachene: tutte forze che operavano in modo indipendente dalla coalizione internazionale a guida Usa». L’Iran, sottolinea l’analista, agisce con un disegno preciso: assumere l’egemonia regionale e realizzare sul terreno il sogno della Mezzaluna Sciita, unendo sotto un’unica bandiera le province sciite e “farsi” (persiane), dall’Afghanistan al Libano, con l’ambizione di veder rinascere l’Impero Persiano al di là dei confini stabiliti con il Trattato di Zuhab concluso il 17 maggio 1639 tra la Persia e l’Impero Ottomano.Difficilmente difendibile la responsabilità di Trump nella violenta eliminazione di Soleimani: ha ucciso un soldato con importanti ruoli politici, e l’ha fatto di un paese non in guerra. Un omicidio mirato in uno Stato terzo, senza chiederne l’autorizzazione né informarne le autorità, oltretutto uccidendo anche cittadini iracheni. E comunque: si può giudicare razionale l’azione americana di eliminazione del generale iraniano? Inoltre: quali sono gli obiettivi di lungo periodo che gli Usa vogliono raggiungere, in Medio Oriente? Infine: quali mezzi militari sono adatti a raggiungere questi obiettivi strategici? L’uccisione di Soleimani, scrive Tirabassi, conferma la storica ostilità americana verso Teheran: l’Iran non deve avere armi nucleari e deve cessare la ricerca di un’egemonia regionale, dall’Iraq allo Yemen, alla Siria e al Libano (con gli alleati Hezbollah e Hamas), smettendo di minacciare Israele e l’Arabia Saudita. Massima pressione contro il regime degli ayatollah, confermata anche dall’uscita dall’accordo sul nucleare e dall’inasprimento delle sanzioni economiche. Obiettivo: interrompere il flusso di finanziamenti da parte iraniana ai vari partner stranieri (Hezbollah e Hamas, gli Huthi in Yemen), «con la conseguenza di dissanguare le casse dello Stato, ormai ridotte allo stremo, incrinando il consenso, e quindi la forza degli ayatollah».Mentre la tecnologia estrattiva del fracking ha assicurato agli Stati Uniti un’autosufficienza energetica che li mette al riparo dal ricatto petrolifero, le conseguenze delle sanzioni sull’economia iraniana non si sono fatte attendere: nel 2019 il Pil di Teheran si è contratto del 9,5%. Se le cose non cambiamo, nel 2020 l’economia iraniana «calerà più del doppio, mentre l’inflazione viaggia al 30%». La deterrenza militare esibita da Trump nell’operazione-Soleimani «dimostra il predominio militare americano», e sopratutto «manda in frantumi la percezione di impunità che avevano a Teheran». Secondo Tirabassi, gli ayatollah avevano scambiato per debolezza l’indecisione degli Usa, che aveva disorientato gli alleati americani in Medio Oriente, «sorpresi e impauriti dalla mancanza di reazione di Trump e dalle sue parole concilianti dopo l’abbattimento da parte iraniana di un drone americano il 20 giugno dello scorso anno e l’attacco ai pozzi di petrolio sauditi del settembre 2019». Ben 20 droni e 11 missili, partiti da una base iraniana al confine con l’Iraq, avevano colpito i siti di Abqaiq e Khurais. «Azioni culminate con l’uccisione del contractor americano a Kirkuq e l’assalto all’ambasciata americana di Baghdad, orchestrato secondo gli Usa dagli iraniani, in conseguenza del bombardamento di una base della milizia irachena».Azioni però destinate a far cambiare idea al presidente americano – spiega Tirabassi – perché colpivano immediatamente l’autorevolezza Usa avendo anche un’enorme potenza mediatica, facendo ricordare i giorni bui del sequestro di 52 membri dell’ambasciata statunitense a Teheran, dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981. Il lancio del missile su Soleimani? «Risponde alla logica del colpo su colpo, affinché il nemico capisca in modo inequivocabile che non può agire impunemente». Ed è anche un messaggio chiaro per il governo di Baghdad, o meglio di quella parte che flirta con l’Iran. Ma, a parte questo, la Casa Bianca ha una visione per il Medio Oriente? Nonostante la raggiunta indipendenza energetica, spiega sempre Tirabassi, gli Usa puntano comunque alla stabilità della produzione petrolifera, fondamentale per far l’economia del mondo. Questo comporta l’impegno automatico al fianco dell’Arabia Saudita. Altro caposaldo: lo strettissimo rapporto di Trump con Israele, al punto da proporre un piano di pace che però impedisca ai profughi palestinesi di tornare alle loro case. Se Bush voleva ridisegnare la mappa del Medio Oriente, e Obama tentava accordi “impossibili” «con regimi e nemici che tutto vogliono meno che la pace», Trump si muove in modo diverso: vorrebbe «mettere fine ai “regime change” sia in veste neocon che democratica, lezione rafforzata dal caso venezuelano».Quello che emerge, secondo Tirabassi, è un disegno americano del Medio Oriente dai tratti negativi: «Trump non fa altro che fissare di nuovo gli interessi in purezza degli Stati Uniti, al di là dei desideri, volontà e ideologie. E da questa considerazione traccia una conseguente strategia militare, del massimo risultato con le minime perdite, ottenuto sfruttando appieno il “vantaggio competitivo” Usa della sua strabiliante forza militare che a sua volta riposa su un predominio economico, tecnologico e logistico senza pari nel mondo». Tradizione anglosassone declinata in epoca postmoderna: una «visione isolazionista-imperiale», fatta di «controllo assoluto dei mari, dell’aria, dello spazio e del cyberspace: flotte che solcano i mari, aerei continuamente in volo, satelliti nello spazio, basi Usa dislocate in tutto il mondo». In sostanza: «Obiettivi politici limitati», ottenuti grazie alla superiorità militare, e senza puntare a cambi di regime (neppure in Siria, dove la Russia ha potuto esercitrare un ruolo decisivo, concordato con la Casa Bianca). «Rimane tutto da vedere – conclude Tirabassi – se questo tipo di strategia è capace di produrre qualche tipo di ordine, e se permetta di sganciarsi dal caos mondano, consentendo agli Stati Uniti di rompere solo saltuariamente e per il tempo strettamente necessario il loro nuovo isolamento». Fosse per Trump, aggiunge l’analista, il compito di stare sul terreno sarebbe demandato di volta in volta agli altri Stati, dalla Russia ai partner della Nato. Basterà?Prima l’uccisione di Soleimani in Iraq, poi la strana proposta unilaterale di pace per chiudere il conflitto israelo-palestinese. «Al centro delle preoccupazioni statunitensi rimane l’Iran, Stato-civiltà, nascente potenza nucleare che con la sua carica rivoluzionaria è in grado di sovvertire gli equilibri dal Mare Arabico al Mediterraneo, dallo Yemen al Libano». Lo afferma Leonardo Tirabassi, autore di un’articolata analisi sugli sviluppi mediorientali proposta dal “Sussidiario“. Dopo che nel 2011 gli americani avevano lasciato Baghdad, premette Tirabassi, insieme ai soldati di altri 22 nazioni erano tornati in Iraq nel 2014, richiamati dal governo iracheno per contrastare l’Isis. «Ma a combattere la sunnita Daesh in Iraq e in Siria era arrivato fin da subito anche Soleimani, con i propri uomini e fornendo addestramento, finanziamenti e armi alle milizie sciite irachene: tutte forze che operavano in modo indipendente dalla coalizione internazionale a guida Usa». L’Iran, sottolinea l’analista, agisce con un disegno preciso: assumere l’egemonia regionale e realizzare sul terreno il sogno della Mezzaluna Sciita, unendo sotto un’unica bandiera le province sciite e “farsi” (persiane), dall’Afghanistan al Libano, con l’ambizione di veder rinascere l’Impero Persiano al di là dei confini stabiliti con il Trattato di Zuhab concluso il 17 maggio 1639 tra la Persia e l’Impero Ottomano.
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L’Iran: perché noi sciiti detestiamo l’Occidente, che ci odia
L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.Personalmente, ho percorso questa strada della conoscenza fin dalla fine degli anni ’90 e sono ancora solo uno umile studente. Nello spirito di un primo approccio, per iniziare un dibattito informato Est-Ovest su un importante problema culturale, in Occidente totalmente accantonato o affogato in uno tsunami di propaganda, ho chiesto a tre validissimi studiosi quali fossero le loro prime impressioni. Questi sono: il professor Mohammad Marandi, dell’Università di Teheran, esperto di orientalismo; Arash Najaf-Zadeh, che scrive sotto lo pseudonimo di Blake Archer Williams ed è esperto di teologia sciita, e la coltissima principessa Vittoria Alliata, siciliana, tra le migliori islamiste italiane e autrice, tra le altre cose, di libri come l’incantevole “Harem”, che descrive in dettaglio i suoi viaggi in terra araba. Due settimane fa sono stato ospite della principessa Vittoria a Villa Valguarnera in Sicilia. C’eravamo immersi in una lunga ed avvincente discussione geopolitica, in cui uno dei temi chiave era stato lo scontro Usa-Iran, solo poche ore prima che un attacco di droni all’aeroporto di Baghdad uccidesse i due principali combattenti sciiti nella vera guerra al terrorismo dell’Isis/Daesh e di al-Qaeda/al-Nusra: il maggiore generale iraniano Qāsem Soleymānī e l’iracheno Hashd al-Shaabi, il braccio destro di Abu Mahdi al-Muhandis.Il professor Marandi fornisce una spiegazione sintetica: «L’odio irrazionale americano nei confronti dello Sciismo deriva dalla sua forte propensione a resistere all’ingiustizia: la storia di Karbala e Imam Hussein e lo sforzo sciita nel proteggere e difendere gli oppressi e lottare contro l’oppressore. Questo è qualcosa che gli Stati Uniti e le potenze egemoniche occidentali non riescono assolutamente a tollerare». Blake Archer Williams mi ha inviato una risposta che ho pubblicato come pezzo originale. Questo passaggio, che sviluppa il concetto di sacralità, sottolinea chiaramente l’abisso che separa il concetto sciita di martirio dal relativismo culturale occidentale: «Non c’è niente di più glorioso, per un musulmano, che raggiungere il martirio mentre combatte nel nome di Dio. Il generale Qāsem Soleymānī ha combattuto per molti anni con l’obiettivo di risvegliare il popolo iracheno e indurlo a riprendere nelle proprie mani il timone del destino del paese. Il voto del Parlamento iracheno ha dimostrato che il suo obiettivo è stato raggiunto. Il suo corpo ci è stato portato via, ma il suo spirito è stato amplificato mille volte e il suo martirio ha fatto sì che i frammenti della sua luce benedetta arrivassero ai cuori e alle menti di ogni uomo, donna e bambino mussulmano, immunizzandoli dal mortifero cancro dei relativisti culturali del diabolico Novus Ordo Seclorum».Un punto da chiarire: Novus Ordo Seclorum, o Saeculorum, significa “nuovo ordine dei secoli” e deriva da un famoso poema di Virgilio che, nel medioevo, era considerato dai cristiani la profezia della venuta di Cristo. Su questo punto, Williams ha risposto che «mentre questo significato etimologico della frase è vero e rimane valido, la frase era stata usata da George Bush figlio per caratterizzare la cabala globalista del Nuovo Ordine Mondiale, ed è questo il senso che è attualmente predominante». La principessa Vittoria preferirebbe centrare il dibattito sull’indiscutibile atteggiamento americano nei confronti del Wahhabismo: «Non credo che tutto ciò abbia a che fare con l’odiare o l’ignorare lo Sciismo. Dopotutto, l’Aga Khan è molto ben integrato nella sicurezza degli Stati Uniti, una sorta di Dalai Lama del mondo islamico. Credo che l’influenza satanica derivi dal Wahhabismo e dai reali sauditi, che, per tutti i Sunniti del mondo, sono molto più eretici degli Sciiti, ma che, per i governanti statunitensi, sono l’unico contatto con l’Islam. I sauditi hanno dapprima finanziato la maggior parte degli omicidi e delle guerre della Fratellanza Islamica, poi le altre forme di Salafismo, tutte incentrate su una base wahhabita».Quindi, continua la principessa Vittoria, «non proverei tanto a spiegare lo Sciismo, quanto il Wahhabismo e le sue devastanti conseguenze: ha dato origine a tutte le forme di estremismo, al revisionismo, all’ateismo, alla distruzione dei santuari e dei leader Sufi in tutto il mondo islamico. E ovviamente, il Wahhabismo è molto vicino al Sionismo. Ci sono anche ricercatori che hanno prodotto documenti secondo cui Casa Saud sarebbe una tribù Dunmeh di ebrei convertiti e scacciati da Medina dal Profeta, dopo che avevano tentato di ucciderlo, nonostante avessero firmato un trattato di pace». La principessa Vittoria sottolinea anche il fatto che «la Rivoluzione Iraniana e i gruppi sciiti in Medio Oriente sono oggi l’unica forza di successo in grado di resistere agli Stati Uniti, e questo li fa odiare più degli altri. Ma solo dopo che tutti gli altri avversari sunniti sono stati eliminati, uccisi, terrorizzati (basti pensare all’Algeria, ma ci sono dozzine di altri esempi) o corrotti. Questa ovviamente non è solo la mia opinione, ma quella della maggior parte degli islamologi di oggi».Essendo al corrente delle ampie conoscenze di Williams sulla teologia sciita e della sua padronanza della filosofia occidentale, l’ho spinto, letteralmente, a “cercare la giugulare”. E mi ha risposto: «La domanda sul perché i politici americani non siano in grado di comprendere l’Islam sciita (o l’Islam in generale) è semplice: lo sfrenato capitalismo neoliberista ingenera l’oligarchia, e gli oligarchi ‘selezionano’ i candidati che rappresentano i loro interessi prima ancora che vengano ‘eletti’ dalle masse ignoranti. Eccezioni populiste come Trump, di tanto in tanto, filtrano tra le maglie della rete (o non ci riescono, come nel caso di Ross Perot, che si era ritirato sotto coercizione), ma anche Trump è stato poi messo sotto controllo dagli oligarchi attraverso minacce di impeachment, ecc. Quindi, il ruolo dei politici nelle democrazie non sembra essere quello di cercare di capirci qualcosa, ma, semplicemente, quello di portare a termine l’agenda delle élite che li controllano». “L’attacco alla giugulare” di Williams è un saggio lungo e complesso che mi piacerebbe pubblicare per intero solo quando il nostro dibattito si sarà approfondito, insieme a possibili confutazioni.Per riassumerlo, Williams delinea e discute le due principali tendenze della filosofia occidentale: i dogmatici contrapposti agli scettici. Spiega come «la santa trinità del mondo antico fosse, in effetti, la seconda ondata dei dogmatici che cercavano di salvare le città-Stato della Grecia e, più in generale, il mondo greco dalla decadenza dei sofisti», approfondisce il concetto di “terza ondata di scetticismo” che era iniziata con il Rinascimento e aveva raggiunto il culmine nel 17° secolo con Montaigne e Cartesio, e poi traccia connessioni «con l’Islam sciita e l’incapacità dell’Occidente di comprenderlo». E questo lo porta al “nocciolo della questione”: «Una terza opzione e un terzo flusso intellettuale su e al di sopra dei dogmatici e degli scettici: questa è la posizione degli studiosi di religione sciiti tradizionali (non quelli di indirizzo filosofico)». Ora confrontatelo con l’ultimo sforzo degli scettici, «come ammette lo stesso Cartesio quando parla del ’demone’ che gli era apparso in sogno e che lo aveva indotto a scrivere il “Discorso sul metodo” (1637) e “Meditazioni sulla prima filosofia” (1641).L’Occidente si sta ancora riprendendo dal colpo, e sembra che abbia deciso di mettere da parte i trampoli della ragione e dei sensi (che Kant aveva cercato invano di conciliare, rendendo le cose mille volte peggiori, più contorte e circonvolute) e voglia sguazzare in quella forma auto-congratulativa di irrazionalismo nota come postmodernismo, che dovrebbe essere giustamente chiamato ultra-modernismo o iper-modernismo, dal momento che non è meno radicato nella ‘svolta soggettiva’ cartesiana e nella ‘rivoluzione copernicana’ kantiana di quanto non lo fossero i primi moderni e i moderni veri e propri». Per riassumere un accostamento piuttosto complesso, «tutto ciò significa che le due civiltà hanno due visioni completamente diverse di quello che dovrebbe essere l’ordine mondiale. L’Iran crede che l’ordine del mondo dovrebbe essere quello che è sempre stato e che attualmente è nella realtà, che ci piaccia o no o che crediamo, o meno, nella realtà (come alcuni in Occidente non fanno). E l’Occidente secolarizzato crede in un nuovo ordine mondiale (contrapposto ad un ordine mondiale o divino). E quindi non è tanto uno scontro di civiltà quanto uno scontro di sacro contro profano, con gli elementi profani di entrambe le civiltà schierati contro le forze sacre di entrambe le civiltà. È lo scontro del sacro ordine di giustizia con l’ordine profano dello sfruttamento dell’uomo da parte dei suoi simili; [è lo scontro] della profanazione della giustizia di Dio per il beneficio (a breve termine o di questo mondo) dei ribelli rispetto alla giustizia di Dio».Williams fornisce un esempio concreto per illustrare questi concetti astratti: «Il problema è che anche se tutti sanno che lo sfruttamento del Terzo Mondo nel 19° e nel 20° secolo da parte delle potenze occidentali era stato ingiusto e immorale, questo stesso sfruttamento continua ancora oggi. Il persistere di questa vergognosa ingiustizia è la ragione principale delle differenze esistenti tra Iran e Stati Uniti, che continueranno inevitabilmente finché gli Stati Uniti insisteranno nelle loro politiche di sfruttamento e fintanto che continueranno a proteggere i loro governi di occupazione, che riescono a sopravvivere contro la schiacciante volontà dei loro cittadini solo grazie alla ingombrante presenza delle forze statunitensi che li sostengono affinché possano continuare a servire gli interessi americani piuttosto che quelli delle loro popolazioni. È una guerra spirituale per il trionfo della giustizia e dell’autonomia nel Terzo Mondo. L’Occidente può continuare ad apparire bello ai propri occhi perché controlla tutta la messa in scena (del discorso mondiale), ma la sua immagine reale è evidente a tutti, anche se l’Occidente continua a vedersi come il Dorian Gray del romanzo di Oscar Wilde: una persona giovane e bella i cui peccati si riflettevano solo nel suo ritratto. Così, il ritratto riflette la realtà che il Terzo Mondo vede ogni giorno, mentre il Dorian Gray occidentale si vede come viene rappresentato dalla Cnn, dalla Bbc e dal “New York Times”».«L’imperialismo dell’Occidente in Asia occidentale è di solito simboleggiato dalla guerra di Napoleone Bonaparte contro gli Ottomani in Egitto e in Siria (1798-1801). Sin dall’inizio del 19° secolo, l’Occidente ha succhiato la vena giugulare del corpo politico musulmano come un vero vampiro, mai sazio di sangue musulmano, che si rifiuta di lasciare il corpo. Dal 1979, l’Iran, che ha sempre avuto il ruolo di leader intellettuale del mondo islamico, si è ribellato per porre fine a questo oltraggio contro la legge e la volontà di Dio e contro ogni decenza. Si tratta quindi del processo di revisione di una visione falsa e distorta della realtà per ritornare a ciò che la realtà è e dovrebbe effettivamente essere: un ordine giusto. Ma questa revisione è ostacolata sia dal fatto che i vampiri controllano la rappresentazione della realtà, sia dall’inettitudine degli intellettuali musulmani e dalla loro incapacità di comprendere anche solo i rudimenti della storia del pensiero occidentale, nel suo periodo antico, medievale e moderno».C’è una possibilità di distruggere tutta questa messa in scena? Forse: «Quello che deve succedere è il passaggio dell’autocoscienza mondiale dal paradigma in cui le persone credono che un pazzo come Pompeo e un buffone come Trump rappresentino l’essenza della normalità, ad un paradigma in cui le persone vedano Pompeo e Trump solo come un paio di gangster che fanno tutto ciò che vogliono, non importa quanto disgustoso e depravato, in completa e totale impunità. E questo è un processo di revisione ed un processo di risveglio verso un nuovo e più alto stato di coscienza politica. È un processo di rigetto del paradigma dominante e di unione all’Asse della Resistenza, il cui leader militare era il generale martire Qāsem Soleymānī. Non da ultimo, [questo processo] comporta il rifiuto dell’assurdo concetto di verità relativa (ed anche della relatività del tempo e dello spazio, scusaci Einstein), l’abbandono dell’assurda e nichilista filosofia dell’umanesimo, e il risveglio alla realtà dell’esistenza di un Creatore e del suo ruolo di comando. Ma, ovviamente, questo è troppo per la mentalità moderna, così illuminata da sapere tutto». Eccoci qua. E questo è solo l’inizio. Commenti pro e contro sono i benvenuti. Date una voce a tutte le anime bene informate: il dibattito è aperto.(Pepe Escobar, “Le radici della demonizzazione dell’Islam sciita da parte dell’America”, da “Unz.com” del 17 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.
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Carotenuto: nel potere mondiale, buoni e cattivi sono soci
Libia e Medio Oriente bruciano, ma il racconto dei media non ci parla dei veri obiettivi: non ci dice dove nascono le crisi, dove vogliono arrivare e perché si fanno. Di questi scenari ho un’esperienza personale e profonda, vissuta spesso dietro le quinte. Le motivazioni delle guerre e dei conflitti non sono quelle apparenti. Nel mondo è in corso una lotta tra forze del bene, che stanno facendo crescere le coscienze, e forze che ostacolano questa crescita per cercare di assopire il risveglio coscienziale che è in corso da anni. Per tentare di frenare questo risveglio si creano problemi nell’anima, scoraggiando la voglia fare cose buone per sé e per gli altri. Per fare il bene non bisogna essere pieni di paure, di rabbia e di ansia. Niente di meglio della guerra, per rovinare i nostri sentimenti: le guerre sono grandi vortici di odio, di paura e di rabbia. Subito internazionalizzate e mostrate a tutti attraverso i media, le guerre intervengono direttamente nelle nostre anime: alterano il nostro modo di sentire, ci distolgono dalla nostra voglia di bene, ci abbattono e ci impauriscono, ci fanno arrabbiare e ci inquietano. Guerre e crisi vengono combattute soprattutto nelle nostre anime.
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Usa e Israele ricattano l’Italia, pavida e disonesta con l’Iran
Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.L’Italia che aveva 30 miliardi di euro di commesse con l’Iran dovette rinegoziare con il governo iraniano arrivando a un accordo per una linea di credito da 5 miliardi di euro, che doveva coprire le nostre esportazioni. Il governo Gentiloni aspettò la vigilia delle elezioni nel 2018 e non fece mai il decreto attuativo perché messo sotto pressione di Usa e Israele. Così abbiamo perso altri soldi e posti di lavoro. Nel 2018 Trump straccia l’accordo sul nucleare ma per un anno l’Iran non vìola nessuna delle regole del trattato e non arricchisce l’uranio. Il governo del moderato Hassan Rohani, tenendo a freno i falchi del regime, aspettava che l’Europa mettesse a punto un sistema, definito Instex, per l’aggiramento delle sanzioni. A questo sistema, voluto da Gran Bretagna, Francia e Germania, aderiscono oggi sei nazioni europee ma l’Italia non vi partecipa ancora. Ufficialmente perché lo sta studiando, in realtà in quanto ha subito nuove pressioni americane e israeliane, anche da parte dei sovranisti della Lega che al governo con i Cinquestelle sostenevano soprattutto Israele e non gli interessi nazionali. I Cinquestelle, prima ancora della rottura con la Lega, hanno adottato le stesse posizioni con Conte e Di Maio nonostante una parte del movimento fosse contrario.Il sistema Instex comunque non ha ancora funzionato e il governo iraniano si è così trovato strangolato da continue sanzioni: ecco perché Teheran, sotto attacco di Trump, ha ripreso l’arricchimento dell’uranio. Il presidente americano continua falsamente a dire di essere pronto a negoziare una nuova intesa con Teheran che comprenda anche i missili balistici, non solo il nucleare. Ma invece di incoraggiare il negoziato prima fa assassinare il vero numero 2 del regime poi impone altre sanzioni giugulatorie. Trump non vuole negoziare con Teheran ma strangolarla, e spingere se possibile verso un cambio di regime sfruttando le piazze e le laceranti divisioni interne. Senza naturalmente sapere bene chi mettere al posto degli ayatollah, magari aprendo altre voragini come è accaduto in Iraq o in Libia o come stava per accadere in Siria. È parso evidente che Trump in Medio Oriente ha a cuore soltanto le sorti di Israele e quelle dell’Arabia Saudita, il suo maggiore cliente di armi. Il prossimo G-20 a Riad sancirà la piena assoluzione del principe ereditario Mohammed bin Salman, mandante, anche secondo la Cia, dell’assassinio del giornalista Jamaal Kashoggi.In questo ultimo anno Trump ha riconosciuto l’annessione israeliana di Gerusalemme e del Golan e sarebbe pronto a farlo anche per la Cisgiordania: contro tutte le risoluzioni Onu. Trump odia i trattati multilaterali e la legalità internazionale: li considera un impedimento all’uso della forza. Gli europei devono stare bene attenti. Ora Trump bastona arabi e iraniani, poi toccherà anche a noi europei. Anzi ha già iniziato, praticamente sciogliendo la vecchia Nato e consentendo a un suo membro, la Turchia, di acquistare armi dalla Russia, di fare una strage di curdi siriani, i nostri maggiori alleati contro il terrorismo e l’Isis, e di tentare l’avventura libica con soldati e mercenari jihadisti. La Nato gli serve soltanto per mettere i soldati italiani ed europei al posto dei marines in Iraq se gli americani se ne dovessero andare o ridurre le truppe: carne da cannone per avere mano libera nei raid con i droni. Ma la cieca propaganda dei media italiani e in parte europei fa sì che andremo al macello senza lamentarci. Non come agnelli sacrificali di biblica memoria ma come asini felici di essere bastonati. Anzi, meno ancora degli asini, perché ogni tanto pure loro si ribellano e mollano quale calcione. E i media dietro, a tirare il carro della propaganda. Che stampa, bellezza!(Alberto Negri, “Sull’Iran dilaga la disonestà intellettuale”, dal “Manifesto” del 17 gennaio 2020; articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).Dilaga la disonestà intellettuale. Per avventura ho partecipato a una trasmissione televisiva dove un invitato e la conduttrice non sapevano niente di Iran e delle sanzioni imposte dagli Usa alla Repubblica islamica, distorcendo i fatti e la realtà. In onda si perde tempo a correggere errori marchiani di gente che per ignoranza o evidenti motivi ideologici – demonizzare l’Iran e sostenere Usa e Israele – non sa neppure la sequenza degli eventi. È la propaganda del nostro regime mediatico, asservito a Washington e a Israele, sostenuto dai cosiddetti sovranisti con la complicità di una sinistra ufficiale inesistente. Soprattutto adesso che l’Europa – con Gran Bretagna, Francia e Germania – contesta agli iraniani la violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 in seguito alla ripresa dell’arricchimento dell’uranio che è seguita all’uccisione da parte di Trump del generale Qassem Soleimani. Riepiloghiamo i fatti. L’accordo, un trattato internazionale supervisionato dall’Onu, entra in vigore alla fine del 2015 e con molte difficoltà l’Iran rientra nel circuito degli scambi internazionali. In realtà neppure con Obama era facile: le banche occidentali erano costantemente bersaglio del Tesoro americano se aprivano linee di credito con Teheran.
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Koenig: vergogna, Soleimani invitato a Baghdad da Trump
Immagina, il cosiddetto leader mondiale ti invita in un paese straniero per aiutarti a mediare tra diverse fazioni; tu accetti, e quando arrivi all’aeroporto lui ti uccide. Quindi sorride e si vanta, con assoluta soddisfazione, di aver dato l’ordine di uccidere – uccidere con il telecomando, con il drone. Molto peggio dell’omicidio extragiudiziale, perché in quel caso non c’erano mai state accuse contro di te, tranne che per le bugie. È esattamente quello che è successo con l’amato, geniale e carismatico generale iraniano Qassem Soleimani. Ed è quello che i miseri servi di Trump, come il segretario agli esteri Mike Pompeo e il ministro della guerra, Mark Esper, negano spudoratamente: vale a dire che lo avevano invitato, per intermediazione del primo ministro iracheno. Davanti a una conferenza stampa della Casa Bianca, ridendo cinicamente, Pompeo ha chiesto ai giornalisti: credereste a queste sciocchezze? E ovviamente, nessuno dei giornalisti del sistema mediatico mainstream oserebbe dire di sì, anche se ci credessero. Invece ridono convenientemente, per esprimere il loro accordo con l’orribile assassino, in piena complicità con l’uomo che hanno di fronte, per così dire il più alto diplomatico degli Stati barbari.I giornalisti del sistema mainstream media sono troppo codardi per temere di rischiare il lavoro o di perdere l’accesso alla sala stampa della Casa Bianca. Tuttavia, questo è esattamente ciò che il primo ministro iracheno, Adil Abdul-Mahdi, ha detto, incredulo per l’accaduto: «Trump prima mi chiede di mediare con l’Iran, e poi uccide il mio invitato». Abdul-Mahdi ha sicuramente più credibilità di Trump o di uno dei suoi compari, dello stesso Pompeo che, non molto tempo fa, disse a “Rt”: «Quando ero il direttore della Cia, mentivamo, tradivamo, rubavamo. Abbiamo avuto interi corsi di formazione. Ti ricorda la gloria dell’esperimento americano». Il generale Soleimani è stato prelevato all’aeroporto di Baghdad da Abu Mahdi al-Muhandis, comandante militare iracheno e leader delle forze di mobilitazione popolare. Sono partiti con un Suv, quando i missili-drone statunitensi li hanno colpiti e polverizzati, insieme ad altri 10 militari di alto rango di entrambi i paesi. Soleimani aveva l’immunità diplomatica – e gli Stati Uniti lo sapevano. Ma nessuna regola, nessuna legge e nessuno standard etico è rispettato da Washington. Un comportamento molto simile a quello dei barbari.Il generale Soleimani, che era molto più che un generale, era anche un grande diplomatico, fu richiesto dal primo ministro Abdul-Mahdi per conto di Trump di venire a Bagdad per far parte di un processo di mediazione che Trump aveva chiesto a Mahdi di guidare, per allentare le tensioni tra Iran e Arabia Saudita, nonché tra Stati Uniti e Iran. Era uno stratagemma vile e codardo per assassinare Qassem Soleimani. Quanto in profondità puoi affondare? Non ci sono parole per descrivere un crimine così orribile. Pompeo, rotto a ogni menzogna, ha trovato immediatamente una formula di copertura: Soleimani era un terrorista e un pericolo per la sicurezza nazionale Usa. Attenzione, caro lettore: nessun iraniano, né il generale Soleimani né nessun altro, ha mai minacciato gli Stati Uniti, né con le parole, né con le armi. Invece, il capo-barbaro ha avuto l’audacia di minacciare l’Iran di colpire 52 siti del suo patrimonio culturale, nel caso in cui l’Iran avesse osato vendicarsi. Come ulteriore atto immediato contro la legge, Trump ha vietato al ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, di andare alle Nazioni Unite a New York per rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, semplicemente rifiutando il visto d’ingresso negli Stati Uniti.Ciò è contrario alla Carta delle Nazioni Unite firmata dagli Stati Uniti nel 1947, in base alla quale ai rappresentanti stranieri deve essere sempre consentito l’accesso al territorio delle Nazioni Unite a New York (lo stesso vale per le Nazioni Unite a Ginevra). E dov’è il signor António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, quando ne hai bisogno? Che cosa ha da dire? Nulla, un grande nulla. Non ha nemmeno condannato l’omicidio del generale Soleimani. Ecco cos’è diventato l’Onu: un corpo senza denti e senza valore, pronto a eseguire le disposizioni dell’Impero Barbarico. Che triste eredità. Quand’è che la maggioranza degli Stati membri chiederanno l’espulsione degli Stati Uniti dall’Onu? Ci sono 120 Stati non allineati che si trovano dietro paesi che sono molestati, oppressi e sanzionati dagli Stati Uniti, come Venezuela, Cuba, Iran, Afghanistan, Siria, Corea del Nord. Perché non alzarsi all’unisono e fare dell’Onu – senza più il tiranno barbarico – ciò che la sua carta dice di essere?(Peter Koenig, estratto dal post “L’Occidente è gestito da barbari”, pubblicato su “Global Research” il 13 gennaio 2020. Economista e analista geopolitico, specialista in ecologia e risorse idriche, Koenig ha lavorato per oltre 30 anni con la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale della Sanità in tutto il mondo).Immagina, il cosiddetto leader mondiale ti invita in un paese straniero per aiutarti a mediare tra diverse fazioni; tu accetti, e quando arrivi all’aeroporto lui ti uccide. Quindi sorride e si vanta, con assoluta soddisfazione, di aver dato l’ordine di uccidere – uccidere con il telecomando, con il drone. Molto peggio dell’omicidio extragiudiziale, perché in quel caso non c’erano mai state accuse contro di te, tranne che per le bugie. È esattamente quello che è successo con l’amato, geniale e carismatico generale iraniano Qassem Soleimani. Ed è quello che i miseri servi di Trump, come il segretario agli esteri Mike Pompeo e il ministro della guerra, Mark Esper, negano spudoratamente: vale a dire che lo avevano invitato, per intermediazione del primo ministro iracheno. Davanti a una conferenza stampa della Casa Bianca, ridendo cinicamente, Pompeo ha chiesto ai giornalisti: credereste a queste sciocchezze? E ovviamente, nessuno dei giornalisti del sistema mediatico mainstream oserebbe dire di sì, anche se ci credessero. Invece ridono convenientemente, per esprimere il loro accordo con l’orribile assassino, in piena complicità con l’uomo che hanno di fronte, per così dire il più alto diplomatico degli Stati barbari.
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Iran, la crisi ha un vincitore: la Germania, lontana dagli Usa
La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.Sorprendente, e contro tutte le norme del diritto internazionale, la risposta degli Stati Uniti, che per bocca di Mike Pompeo hanno incredibilmente riaffermato la “partnership” strategica con l’Iraq. Altra dichiarazione di guerra, che rischia di provocarne una vera, peraltro nel paese che gli Usa hanno invaso nel 2003 con false motivazioni (vedi armi di distruzione di massa). Ecco che a questo punto si segnala la decisione della Germania, che per prima ha ritirato le sue truppe dall’Iraq, dando il “la” al ritiro-dispiegamento dei militari inviati dagli altri paesi europei. Decisione secca e irreversibile, a sorpresa. Alla quale segue l’annuncio che la Germania costruirà nuove navi da guerra per 6 miliardi di euro (”Reuters”), cosa che prospetta un paese più assertivo sulla scena internazionale. Nello stesso giorno, la notizia della creazione di un “networking d’élite” per “rafforzare i legami tra Germania e Cina” (”Reuters”), che suona come una ribellione aperta all’approccio aggressivo di Washington nei confronti di Pechino. Tutto questo segnala un distacco dagli Usa, che sta allontanando la Germania dalla tutela americana, che grava su di essa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Non è cosa di adesso, ma adesso è palese. Un distacco che nasce con Trump e il suo approccio aggressivo al mondo e alla globalizzazione. Il presidente Usa ha più volte ipotizzato e imposto sanzioni contro le industrie tedesche, in particolare quelle automobilistiche (identificate come una “minaccia alla sicurezza nazionale”), e la sua amministrazione ha minacciato sfracelli contro il Nord Stream 2, che porterà il gas russo direttamente in Germania. Una pressione insistente che però non ha spaventato i tedeschi, che nel recente incontro Merkel-Putin hanno ribadito la loro determinazione a portare a termine il contestato gasdotto. Peraltro, in questo incontro, si è delineato il summit di Berlino, che il 19 ospiterà un incontro sulla Libia, alla quale sembrano disposti a partecipare sia Serraj che Haftar, che si contendono il governo del paese, cosa che sottende un interesse anche mediterraneo della Germania. Il fatto che l’annuncio ufficiale di tale vertice sia stato dato subito dopo quello analogo di Mosca (fallito a metà: comunque Putin è riuscito a convocare i due irriducibili duellanti), indica che la collaborazione con la Russia va ben oltre il Nord Stream 2.Berlino va avanti, dunque, nonostante il contrasto americano. E forse la criticità iraniana, che ha rischiato la Terza Guerra Mondiale, spaventando tanti, ha contribuito ad accelerare tale processo. Nel mondo non più globalizzato – la globalizzazione sopravviverà, ma in altra forma – la Germania si sta attrezzando alla corsa in solitaria. Allentati, anche se non rotti, i vincoli che la costringevano nella ristretta sfera occidentale, si sta predisponendo a competere con gli altri Stati-nazione, America compresa, dispiegando una libertà d’azione nuova. Resta da capire come ciò inciderà sull’Unione Europea, ma è prematuro fare analisi prima dell’ormai prossima Brexit, che peraltro potrebbe rilanciare il vecchio e innato antagonismo tra l’insulare Britannia e il continente a trazione teutonica. In attesa degli sviluppi europei, va registrata come novità questa nuova proiezione tedesca, che da gigante economico e nano politico vuole acquisire un peso geopolitico mai rincorso finora. Nuovo e importante tassello verso la de-globalizzazione del mondo.(Davide Malacaria, “La crisi iraniana accelera la corsa in solitaria della Germania”, dall’inserto “Piccole Note” sul “Giornale” del 13 gennaio 2020).La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.
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Chossudovsky: terrorismo Usa, mini-atomiche contro l’Iran
Trump ha fatto ammazzare il generale Qasem Soleimani, che aveva cacciato l’Isis prima dall’Iraq e poi dalla Siria. E come c’era arrivato, lo Stato Islamico, in Iraq e in Siria? In carrozza, grazie a Barack Obama. Lo ricorda il professor Michel Chossudowsky, economista canadese e analista geopolitico, direttore del newsmagazine “Global Research”. Nel giugno del 2014, una interminabile processione di pick-up Toyota attraversò 200 chilometri di deserto tra Iraq e Siria, senza che si alzasse in volo un solo jet americano: azzerare la colonna sarebbe stato un gioco da ragazzi. Obama, al contrario, s’inventò la farsa dell’operazione “Responsabilità di proteggere”: una coalizione di 19 paesi, che in tre anni non ha liberato proprio niente. A sgominare l’Isis ha provveduto l’aviazione della Russia, con l’aiuto sul terreno delle forze iraniane del generale Soleimani e gli Hezbollah libanesi in appoggio all’esercito siriano. Che i media occidentali non ne parlino, è motivo di ulteriore vergogna. Ma ormai, ricorda Chossudowsky, tutto il Medio Oriente sa benissimo che sono stati gli Usa e la Nato a creare l’Isis. Per questo Trump scherza col fuoco, mentre l’Iraq intima lo sfratto ai militari americani. E se proprio la Casa Bianca volesse colpire Teheran in modo efficace, secondo Chossudowsky dovrebbe ricorrere alla bomba atomica.Sempre secondo l’analista canadese, peraltro, il Pentagono non è in una posizione ottimale: continua a considerare super-sicura la sua principale base operativa nell’area, quella di Al-Udeid vicino a Doha in Qatar, ignorando che nel frattempo «il Qatar ha normalizzato le sue relazioni con l’Iran, avviando persino una cooperazione militare estesa ad Hezbollah e addirittura ad Hamas». Mentre i bombardamenti e gli attacchi missilistici possono essere lanciati da altre basi in Medio Oriente e da Diego Garcia nell’Oceano Indiano, gli 11.000 soldati più vicini all’Iran sono proprio quelli stanziati in Qatar, cioè in un paese arabo che ha preso le distanze dal terrorisimo sunnita finanziato dall’Occidente, schierandosi apertamente con le forze sciite. Né dovrebbe rassicurare particolarmente il fatto che l’altra grande base della regione, quella di Incirlik, finora strategica in tutte le operazioni a guida Usa-Nato in Medio Oriente, sia sotto il controllo di un partner problematico come la Turchia, che sta trattando l’acquisto con Mosca dei missili anti-missile S-400, che neutralizzano razzi, droni e caccia della Nato. Mentre una guerra contro l’Iran resta sul tavolo del Pentagono, in queste condizioni – secondo “Global Research” – è impensabile una guerra-lampo di tipo convenzionale, con l’impiego simultaneo di forze terrestri e aeronavali.Proprio per questo, aggiunge Chossudowsky, i falchi di Trump pensano ad attacchi missilistici mirati, le cosiddette “operazioni da naso sanguinante”. Tra queste, purtroppo, l’opzione nucleare: cosa che porterebbe inevitabilmente all’escalation “mondiale”, da tutti temuta. Follia? «I pazzi fanno cose pazze», avverte un analista come Edward Curtin, puntando il dito contro gli oligarchi che circondano Trump: il segretario di Stato Mike Pompeo, il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien e lo stesso Brian Hook, rappresentante speciale per l’Iran e consigliere di Pompeo. «Potrebbero “consigliare” al presidente Trump di autorizzare una “operazione da naso sanguinante” contro l’Iran usando armi nucleari tattiche (B61 bunker-buster), che il Pentagono ha classificato come “innocue per i civili perché l’esplosione è sotterranea”. Ma è una bugia, protesta Chossudowsky: «L’arma nucleare tattica ha una capacità esplosiva tra un terzo e 12 volte una bomba di Hiroshima, secondo il “Bulletin of Atomic Scientists”». Proprio le incertezze degli Usa riguardo alla loro supremazia assoluta, sul piano concenzionale, poterebbero spingere i “pazzi” della Casa Bianca a usare le micidiali “bunker-buster”, definite “tattiche”?«Le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Iran stanno salendo a spirale verso uno scontro militare che ha una reale possibilità che veda gli Stati Uniti usare armi nucleari», scrive Chossudowsky. «L’assortimento di capacità asimmetriche dell’Iran – tutte costruite per essere efficaci contro gli Stati Uniti – quasi assicura uno scontro del genere. E l’attuale posizione nucleare degli Usa lascia l’amministrazione Trump almeno aperta all’uso di armi nucleari “tattiche” nei teatri convenzionali». Alcuni, nell’attuale amministrazione, potrebbero pensare che la bomba-bunker possa assicurare «una vittoria rapida e decisiva nel centro petrolifero del Golfo Persico». Nel rappoprto del 2029 del “Bulletin of Atomic Scientists”, Hans Kristensen e Matt Korda spiegano che gli Usa dispongono di circa 230 ordigni nucleari tattici. Di queste bombe-bunker, circa 50 sono in Turchia nella base di Incirlik, mentre 180 atomiche “tattiche” sono dislocate nei quattro paesi europei non nucleari: Germania, Belgio, Paesi Bassi e, naturalmente, Italia. Secondo Chossudowsky, il pericolo è reale: «L’uso di armi nucleari “tattiche” non richiede l’autorizzazione del “comandante in capo”, che riguarda esclusivamente le cosiddette armi nucleari strategiche».Trump ha fatto ammazzare il generale Qasem Soleimani, che aveva cacciato l’Isis prima dall’Iraq e poi dalla Siria. E come c’era arrivato, lo Stato Islamico, in Iraq e in Siria? In carrozza, grazie a Barack Obama. Lo ricorda il professor Michel Chossudovsky, economista canadese e analista geopolitico, direttore del newsmagazine “Global Research“. Nel giugno del 2014, una interminabile processione di pick-up Toyota attraversò 200 chilometri di deserto tra Iraq e Siria, senza che si alzasse in volo un solo jet americano: azzerare la colonna sarebbe stato un gioco da ragazzi. Obama, al contrario, s’inventò la farsa dell’operazione “Responsabilità di proteggere”: una coalizione di 19 paesi, che in tre anni non ha liberato proprio niente. A sgominare l’Isis ha provveduto l’aviazione della Russia, con l’aiuto sul terreno delle forze iraniane del generale Soleimani e gli Hezbollah libanesi in appoggio all’esercito siriano. Che i media occidentali non ne parlino, è motivo di ulteriore vergogna. Ma ormai, ricorda Chossudovsky, tutto il Medio Oriente sa benissimo che sono stati gli Usa e la Nato a creare l’Isis. Per questo Trump scherza col fuoco, mentre l’Iraq intima lo sfratto ai militari americani. E se proprio la Casa Bianca volesse colpire Teheran in modo efficace, secondo Chossudovsky dovrebbe ricorrere alla bomba atomica.