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Dal Lago: voto inutile, partiti immaginari e crisi cronica Ue
I 5 Stelle? Un gruppo di “puri” destinato a fallire. Renzi? La sintesi perfetta di Berlusconi e Grillo. Per Alessandro Dal Lago, filosofo e sociologo, i partiti hanno orientamenti “immaginari”, Berlusconi e Renzi sono perfettamente intercambiabili, i grillini non sono il partito della protesta ma del rifiuto della società e del ritiro nel privato. Intellettuale di sinistra, autore di saggi come “Populismo digitale”, Dal Lago vede nel paese un aumento radicale della diseguaglianza: «Chi resta indietro non avrà speranze». Il voto del 4 marzo?«Ininfluente, perché la riforma elettorale ha introdotto un proporzionale corretto che non permette a nessuna forza di avere il vantaggio che serve per governare». Ci governa l’Unione Europea, «sostenuta da dinamiche economiche di tipo ordoliberista i cui centri decisionali hanno imbrigliato il continente in una serie di vincoli determinati dai trattati». Detto in modo brutale: «Anche se l’Italia avesse rappresentanti massicciamente contrari all’Unione, non potrebbe fare nulla: l’esempio più lampante viene proprio dal Regno Unito, che non sa come uscirne». Pessimismo cosmico: «L’evoluzione di queste dinamiche economico-politiche potrebbe durare anche una trentina d’anni. E potrebbe alimentarsi di una o più crisi di cui non conosciamo la portata».Intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”, Dal Lago vede un’Italia politica che guida a fari spenti nella notte. «In campo ci sono tre grandi soggetti, di cui due in crisi di legittimazione, Pd ed M5S, e il terzo, il centrodestra, già delegittimato 5-6 anni fa, rinato come un’araba fenice ma pronto a dividersi dopo la probabile vittoria». Partiti che «ritraggono orientamenti in larga parte immaginari». Ovvero: «A destra c’è una sorta di Democrazia Cristiana fuori tempo, ma senza essere un partito di massa: Forza Italia, da sempre virtuale, ha avuto in passato il 30 per cento dei voti, oggi è al 17. Si è alleata con un partito ex “catalano”, oggi di destra, e con un partitino di ex fascisti». Poi viene il Pd: «E’ il partito di un uomo solo al comando, che mira a una formazione piccola ma di cui controlla tutte le leve». Infine, il Movimento 5 Stelle: «Un ircocervo né di destra né di sinistra, che fa finta di essere democratico quando è gestito da una società di consulenza aziendale e che oltretutto si sta annacquando giorno dopo giorno».Orientamenti “immaginari”, appunto, «perché il centrosinistra non ha fatto più spesa pubblica e cacciato meno immigrati di quando avrebbe potuto fare il centrodestra al governo. Sono differenze più immaginarie e simboliche che non legate a interessi o politiche materiali». I sondaggisti dicono che l’astensione è intorno al 34% per cento. Un giovane su due potrebbe disertare le urne. Non è una novità: a Ostia (80.000 persone) è andato a votare solo il 33%. «Siamo in una fase di transizione», sostiene Alessandro Dal Lago. «I modelli politici tradizionali sono morti, quelli nuovi ancora non ci sono ma si affacciano nuove dimensioni: la politica non passa più per la televisione e i comizi ma per i social media». Proprio sui social si registra «un distacco crescente dalle azioni e dalle scelte condivise». Vale a dire: «I soggetti interagiscono con l’ambito pubblico rimanendo confinati in una sfera totalmente privata, quella del loro schermo. Fare politica si è ridotto ad assistere alle polemiche su Twitter e Facebook». La politica frana, ovunque: «Negli Stati Uniti c’è un presidente che si vanta di avere il bottone nucleare più grande di quello degli altri. In Francia non c’è più il partito che per quarant’anni si è alternato con la destra alla guida del paese. In tutta Europa crescono i partiti xenofobi. In Italia i giovani del Sud sono destinati a rimanere esclusi o ai margini dei processi produttivi».Si sta scivolando pericolosamente verso un aumento disastroso delle diseguaglianze: «C’è un distacco sempre più netto tra la società digitale post-industriale e quelli che restano indietro, e che non hanno speranze. Un 60enne che faceva l’operaio e perde il lavoro dove va? A lavorare in un call center? Da questo punto di vista il Jobs Act è stato fatto apposta per espellere le persone dal mercato del lavoro. Si dà loro qualche indennità e stop». Processi complicati: troppo, per partiti “immaginari”. «Il centrodestra italiano ha un senso solo nella società degli integrati, di quelli che non vogliono perdere il loro status. Il Pd è ancorato a un sistema di notabilato e di gestione degli interessi radicato in due-tre Regioni, senza le quali non esisterebbe. Il monopolio del voto meridionale da parte del centrodestra non c’è più». Saranno i 5 Stelle a fare il pieno al Sud, ma non sarà un voto di protesta bensì “di distacco”: «Segnala la nuova estraneità al mondo politico. Nelle regioni del Sud gli elettori vedono – a torto – il M5S come l’alternativa elettorale, legale, a una società che non amano, a un sistema di potere che rifiutano».I 5 Stelle? Un gruppo di “puri” destinato a fallire. Renzi? La sintesi perfetta di Berlusconi e Grillo. Per Alessandro Dal Lago, filosofo e sociologo, i partiti hanno orientamenti “immaginari”, Berlusconi e Renzi sono perfettamente intercambiabili, i grillini non sono il partito della protesta ma del rifiuto della società e del ritiro nel privato. Intellettuale di sinistra, autore di saggi come “Populismo digitale”, Dal Lago vede nel paese un aumento radicale della diseguaglianza: «Chi resta indietro non avrà speranze». Il voto del 4 marzo? «Ininfluente, perché la riforma elettorale ha introdotto un proporzionale corretto che non permette a nessuna forza di avere il vantaggio che serve per governare». Ci governa l’Unione Europea, «sostenuta da dinamiche economiche di tipo ordoliberista i cui centri decisionali hanno imbrigliato il continente in una serie di vincoli determinati dai trattati». Detto in modo brutale: «Anche se l’Italia avesse rappresentanti massicciamente contrari all’Unione, non potrebbe fare nulla: l’esempio più lampante viene proprio dal Regno Unito, che non sa come uscirne». Pessimismo cosmico: «L’evoluzione di queste dinamiche economico-politiche potrebbe durare anche una trentina d’anni. E potrebbe alimentarsi di una o più crisi di cui non conosciamo la portata».
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Cox: ancora 20 anni e saremo al sicuro, popolando lo spazio
Se superiamo i prossimi 10-20 anni e non ci distruggiamo, credo che diventeremo una civiltà multiplanetaria. Sarà inevitabile. Mi piacerebbe che si scoprisse la vita su Marte o sulle lune di Giove o Saturno. La vita è inevitabile, quando ci sono le condizioni. In fisica, invece, vogliamo capire cosa sia l’energia oscura: si tratta di un problema teorico immenso. Dobbiamo renderci conto che luoghi come il nostro, come la Terra, potrebbero essere rari. E che perciò hanno grande valore. Eppure questa prospettiva non è tenuta in forte considerazione. Prevalgono gli interessi nazionali, invece della collaborazione internazionale. Ecco perché, per me, è un disastro che la Gran Bretagna abbia votato la Brexit. Ed è il motivo per cui abbiamo bisogno di qualcosa – uno shock, appunto – che ci costringa a pensare con più attenzione al nostro posto nell’universo e alla nostra singola civiltà. Il cosmo è il nostro destino? Sono convinto che siamo destinati a esplorarlo e colonizzarlo: penso al Falcon Heavy di Elon Musk, alla sua società Space X e alla Blue Origin di Jeff Bezos e alle loro future collaborazioni con Nasa ed Esa. Una volta che saremo nello spazio, con una base su Marte, allora saremo al sicuro.Il ritorno sulla scena di una possibile guerra nucleare? Mi vengono in mente le lezioni alla “Bbc” di Richard Oppenheimer, nel 1953, e il discorso di Richard Feynman “Il valore della scienza” del 1955: entrambi sostenevano che eravamo stati fortunati a scampare all’atomica, nonostante le scarse capacità dei politici. Questo istinto a non fare cose stupide dura da oltre 70 anni. Abbiamo bisogno di più scienziati in politica, dato che in questo momento viviamo un rapporto difficile con i fatti. Gli scienziati, infatti, rappresentano un modo di pensare che ci ha dato di tutto, dalla medicina alle comunicazioni digitali: non c’è nessuno, in ogni singolo minuto, che non usi un prodotto della scienza. E tuttavia questa logica – che è nata in Italia con il Rinascimento – non è rappresentata in modo abbastanza forte. Ecco perché penso alla politica: ogni scienziato dovrebbe pensarci. Che cosa ci insegna questa logica che trascuriamo? Due aspetti. Il primo è legato al famoso motto della Royal Society, di cui sono “fellow”: “Nullius, in verba”, vale a dire “non prendere per buone le parole di nessuno”.Newton è stato uno dei suoi presidenti, in un’epoca di poco successiva a Galileo, e il principio era di non fidarsi di nessun testo antico, che fosse Aristotele, Platone o la Bibbia. Il secondo aspetto è connesso al presente: non è possibile per un singolo individuo capire tutta la scienza, dato che non si può passare la vita a leggere testi scientifici. Ci sono anche altre cose da fare! E allora si deve avere la giusta percezione di chi fidarsi: se gli scienziati sostengono che è una buona idea tagliare le emissioni di anidride carbonica, da chi altri, se non loro, dovrei accettare quell’informazione? Nelle democrazie si prendono spesso decisioni sul futuro e, se le persone non capiscono come nasce un’argomentazione scientifica, siamo nei guai.(Brian Cox, dichiarazioni rilasciate a Gabriele Beccaria per l’intervista “Resistiamo per 20 anni, poi popoleremo lo spazio e saremo al sicuro”, pubblicata da “La Stampa” il 12 febbraio 2018. Scienziato e divulgatore, autore del saggio “Universal. Una guida al cosmo”, Hoepli, e del bestseller “Forces of Nature” in cui ammonisce che l’umanità ha bisogno di uno shock collettivo, l’inglese Brian Cox è fisico delle particelle all’università di Manchester e professore alla Royal Society di Londra).Se superiamo i prossimi 10-20 anni e non ci distruggiamo, credo che diventeremo una civiltà multiplanetaria. Sarà inevitabile. Mi piacerebbe che si scoprisse la vita su Marte o sulle lune di Giove o Saturno. La vita è inevitabile, quando ci sono le condizioni. In fisica, invece, vogliamo capire cosa sia l’energia oscura: si tratta di un problema teorico immenso. Dobbiamo renderci conto che luoghi come il nostro, come la Terra, potrebbero essere rari. E che perciò hanno grande valore. Eppure questa prospettiva non è tenuta in forte considerazione. Prevalgono gli interessi nazionali, invece della collaborazione internazionale. Ecco perché, per me, è un disastro che la Gran Bretagna abbia votato la Brexit. Ed è il motivo per cui abbiamo bisogno di qualcosa – uno shock, appunto – che ci costringa a pensare con più attenzione al nostro posto nell’universo e alla nostra singola civiltà. Il cosmo è il nostro destino? Sono convinto che siamo destinati a esplorarlo e colonizzarlo: penso al Falcon Heavy di Elon Musk, alla sua società Space X e alla Blue Origin di Jeff Bezos e alle loro future collaborazioni con Nasa ed Esa. Una volta che saremo nello spazio, con una base su Marte, allora saremo al sicuro.
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Barnard: siamo in crisi perché l’antica élite si è ripresa tutto
Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».Questa è la mentalità di coloro che ci considerato «degli outsider rompicoglioni», «una massa ignorante» da mettere ai margini. E hanno vinto, su di noi. Questo progetto di Unione Europea messo nelle mani di burocrati dell’estrema destra finanziaria, completamente svincolato dal controllo dei cittadini, prende piede formalmente in Italia negli anni ‘90, quando improvvisamente crolla la Prima Repubblica. Crolla un sistema di partiti: arriva Tangentopoli e spazza via una classe politica che la finanza internazionale (specie americana) considerava incontrollabile, non dedita a sufficienza al mantra delle privatizzazioni e dei tappeti rossi stesi davanti alla grande finanza speculativa. In Italia c’erano ancora leggi che impedivano grandemente l’esportazione dei capitali (il famoso “capital flight”, che è un fenomeno devastante, che distrugge interi paesi nell’arco di un attimo). L’Italia era un paese con partiti corrotti, ladri, bugiardi e mafiosi. Ma non erano nella Serie A. Erano nella Serie C, non facevano il gioco che contava. E con il crollo dell’Unione Sovietica, scrive un importante economista come Marcello De Cecco, questi partiti perdono ulteriormente il loro valore, per gli Stati Uniti: non servivano più a niente. E chi serviva veramente, in quel momento, alla grande finanza internazionale? Chi poteva essere il grande interlocutore per gli anni ‘90 e Duemila, per la grande finanza speculativa internazionale? Il candidato ovvio: il partito comunista.Era dagli anni ‘60 che il Pci faceva riunioni a Bellagio, sul Lago di Como, con la Fondazione Rockefeller: Sergio Segre, Amendola e soprattutto Giorgio Napolitano, che è stato il grande accoglitore del grande capitale finanziario internazionale dentro il Pci, in Italia, garantendo tappeti rossi stesi davanti a loro. Era dagli anni ‘60 che il Pci, mentre in piazza faceva la retorica dei lavoratori, della sinistra, sotto sotto dialogava. Al Mulino, a Bologna, facevano le riunioni con la Fondazione Agnelli. Veniva Brzezinski, a parlare col Pci: si stavano già mettendo d’accordo negli anni ‘60. E quindi, a maggior ragione, negli anni ‘90 questo partito diventa l’interlocutore privilegiato. Gli americani lo dicono molto chiaro, in un rapporto del Council on Foreign Relations, che incarna la politica estera statunitense: è un partito che ci è utile, scrivono, perché è l’unico in Italia a essere strutturato come una grande azienda, sa come fare business. E infatti lo facevano, il business: facevano chiudere le fabbriche in Italia e assicuravano i soldi per la Fiat in Russia, eccetera. Tangentopoli distrugge la Dc e il Psi ma risparmia il Pci (poi Pds, Ds e Pd). Ne chiesi conto a Gherardo Colombo, giudice di Mani Pulite (io sono di Bologna, città dove si pagavano mazzette per qualsiasi servizio), e Colombo rispose: gli imprenditori denunciavano solo la Dc e il Psi.Di fatto, dopo il ‘92-93 crolla questa classe politica, in Europa si sta consolidando l’Unione Europea, e in Italia arrivano i cosiddetti governi tecnici: Ciampi, poi il grande periodo del centrosinistra fino al 2000. In Italia, questa pianificazione orrenda che ha distrutto Stati, leggi e cittadini è stata portata su un vassoio d’argento unicamente dal centrosinistra. I nomi sono quelli di Andreatta, Prodi, Visco, Bassanini, Draghi, Amato, D’Alema. Le privatizzazioni selvagge dell’Italia avvengono tutte sotto i governi di centrosinistra, che stabiliscono il record europeo delle privatizzazioni, dal 1997 al 2000. Record europeo: riusciamo a battere addirittura l’Inghilterra del partito laburista di destra di Toby Blair. Oggi come allora, pubblicamente il centrosinistra fa la retorica del mondo del lavoro e della solidarietà sociale: tutte balle, questa gente è veramente bieca. L’Italia in quel periodo comincia a vendere i suoi beni pubblici, fa delle scelte sempre condizionate dal fantasma dell’inflazione. Scelte importanti: decide di internazionalizzare il proprio debito. Anziché fare quello che avrebbe dovuto fare una vera coalizione di centrosinistra, cioè trovare le risorse nazionali per gestire il proprio debito (perfettamente gestibile), l’Italia di Prodi e D’Alema internazionalizza il debito, mettendolo nelle mani delle grandi fondazioni economiche estere. Così, grazie a questa bella gente, negli anni ‘90 l’Italia è l’unico paese europeo a consegnarsi totalmente nelle mani della finanza internazionale.Marcello De Cecco (Normale di Pisa, La Sapienza) è considerato il più autorevole economista italiano, in assoluto. Scrive: il permanere di un debito pubblico internazionalizzato costituisce una zavorra permanente per l’economia italiana. Non le permette di correre, e le impedisce di seguire una politica in contrasto con le opinioni dei mercati finanziari internzionali, dai quali può discostarsi solo per pochi mesi. Cioè: se si sgarra per pochi mesi, si è finiti. E aggiunge, citando la caduta del governo Berlusconi nel ‘94: è la prova lampante del fatto che una maggioranza parlamentare che si metta in contrasto con i mercati internazionali si decompone, e il governo cade. Aprite gli occhi: Berlusconi ha avuto guai continui – non per via del fatto che è un pessimo politico, ma perché ha disobbedito a questa gente. Mentre gli altri, quelli che dovrebbero fare i nostri interessi, ci stanno rovinando: la nostra sinistra, quelli di “Repubblica”, Scalfari e De Benedetti (a cui D’Alema ha regalato miliardi, come la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato venduta a De Benedetti per niente, e che De Bedenetti ha rivenduto facendo profitti di oltre il 300%). Questa sinistra sta rovinando gli operai, i lavoratori, i cassintegrati, i precari, i giovani che non trovano lavoro.Questo centrosinistra che, internazionalizzando il debito, ha consegnato l’Italia nelle mani della finanza internazionale, che cosa ci ha fatto perdere? Sapete qual è la cifra finale (dati del 2011) che l’Italia ha perduto, per la crisi finanziaria del 2007-2008 causata da questa gente? E ci siamo dentro fino al collo, nelle privatizzazioni e nella svendita del bene pubblico, a beneficio delle grandi banche d’investimento grazie a Prodi e D’Alema. Abbiamo perso 457 miliardi di euro: ricchezza sparita dall’Italia in soli tre anni. Una cifra che vale 33 finanziarie. Il conflitto d’interessi di Berlusconi sono 6 miliardi di euro, la casta di Beppe Grillo sono 4 miliardi di euro, tutte le mafie italiane messe assieme contano per 90-100 miliardi di euro. Questi signori ce ne hanno portati via 457. Questo paese non ha più alcuna possibilità di riscattarsi in nessun modo: con l’arrivo dell’euro, siamo veramente rovinati. In una situazione di questo genere, uno Stato avrebbe una sola possibilità di scampo, che è quello che fanno gli Stati Uniti: spendere a deficit. Stampare denaro, continuare a indebitarsi, svalutare la propria moneta – cioè, tutto quello che si può fare quando uno Stato ha una moneta propria (come il dollaro e la sterlina, com’erano il marco in Germania e la lira in Italia). Noi una moneta propria non l’abbiamo più, abbiamo l’euro.Di chi è l’euro? Di nessuno, nemmeno delle banche. La sua emissione viene decisa dai 16 governatori delle banche centrali dell’Eurozona, la Bce formalmente prende la decisione e le banche centrali nazionali stampano questa moneta. Sapete, quando viene stampato, a chi va in mano l’euro? Al ministero del Tesoro? No: va alle banche private, e da queste ai mercati dei capitali. Il ministro del Tesoro deve costruire un ospedale, aprire una strada, pagare gli stipendi agli insegnanti? Va a bussare ai mercati dei capitali privati e dice: per favore, mi date degli euro? Vi rendete conto di cosa sta succedendo? Uno Stato (teoricamente sovrano, ma non più sovrano) per comprare un cancellino di una lavagna di scuola deve andare al mercato dei capitali privati a prendere in prestito gli euro. I mercati dicono: certo che te li prestiamo, gli euro, ma i tassi di interesse li decidiamo noi. Sapete cosa vuol dire, questo? Sapete cos’è la variazione percentuale di un punto sui tassi d’interesse su miliardi di euro? L’Italia è ridotta come il cittadino strangolato dalla banca a cui ricorre per un prestito, se deve comprarsi l’auto. Ecco perché siamo costretti a tagliare le spese pubbliche. Al contrario di uno Stato a moneta sovrana (Usa, Inghilterra, Giappone) oggi l’Italia ha un debito che è veramente un debito – prima non lo era: era un fantasma, era inventato che fosse un problema, perché lo Stato era indebitato solo con se stesso, non doveva soldi a nessuno.Il debito dello Stato era la ricchezza dei cittadini. Oggi, con l’euro, è cambiato tutto. Oggi siamo veramente indebitati, dobbiamo veramente fare i tagli ai servizi pubblici e dobbiamo veramente tassare per tirar su dei soldi, perché dobbiamo bussare alla porta dei capitali privati per spendere ogni singolo euro destinato alla nazione. A questo pensava l’economista francese François Perroux nel 1943, quando disse: togliendogli la moneta, si toglie agli Stati la ragione di esistere e li si distrugge. Questo ci hanno fatto, e chi ha portato in Italia questa roba su un tappeto rosso è Romano Prodi, con tutta la sua cricca di delinquenti. E’ un disastro: non possiamo neanche più dire che è sbagliato tagliare i fondi alla sanità o alla scuola. I soldi dove andiamo a prenderli? Prima sì, si poteva dire: è sbagliato fare quei tagli, è una scelta politica, ideologica. Oggi non più: ci hanno tolto la funzione primaria dello Stato, e hanno vinto definitivamente. Prima ci impedivano di fare la piena occupazione, il welfare e il benessere per tutti, terrorizzandoci con dei fantasmi ideologici per impedire allo Stato di spendere. Adesso ce lo hanno impedito con uno strumento che è addirittura irreversibile. Adesso, anche un primo ministro si svegliasse una mattina e dicesse “io sono uno Stato sovrano e posso spendere a deficit e creare la piena occupazione”, non può più farlo neanche se vuole, perché non ha più la moneta per farlo.Vuol dire posti di lavoro perduti, aziende chiuse, ricchezza evaporata, povertà. La disoccupazione galoppa, i fallimenti delle aziende sono aumentati del 40% nel solo 2009. Il 30% degli italiani è costretto al prestito, il 38% è in difficoltà economiche, il 76% è costretto alla flessibilità. Il lavoro a chiamata è aumentato del 75%. Un milione e 650.000 italiani sono senza coperture di alcun tipo, se licenziati: non percepiscono nulla. Il 50% delle pensioni italiane sono sotto i mille euro: non ci vivi, non ce la fai. Un italiano su cinque rimanda le visite specialistiche, l’11% degli italiani non si riscalda, l’11% non ha soldi per le spese mediche ordinarie. Il 31% degli italiani non può permettersi di spendere 750 euro per un’emergenza in famiglia. E la grande finanza internazionale ci ha rubato 457 miliardi di euro in tre anni. Qui dobbiamo spalancare la mente. Che cosa succederà? Da qui in avanti, succederà esattamente quello che era pianificato dagli anni ‘30: il ritorno al potere assoluto dell’élite finanziaria, con la marginalizzazione delle leggi e dei cittadini. In particolare, pianificavano che in Europa si creassero delle sacche di povertà talmente ampie da poter poi fare del blocco industriale franco-tedesco una grande potenza dell’export, in competizione con gli Stati Uniti, con la Cina e con l’India.Mantenendo un euro estremamente sopravvalutato, hanno introdotto tutte queste misure di precarizzazione del lavoro e di erosione dei diritti. Stiamo privatizzando a man bassa, stiamo alienando beni pubblici per due lire al capitale privato. Con un euro molto forte, l’Europa non è competitiva sui mercati: ne soffrono le aziende, che devono tagliare il costo del lavoro. Significa che lo Stato deve sborsare cassa integrazione e sborsare un sacco di soldi che non si può più permettere, con l’euro. Questo mette in crisi gli Stati, e la crisi degli Stati crea ancora più incertezza economica, ancora più deflazione e disoccupazione. Il costo del lavoro cala ancora di più: oggi è normale accettare un posto di lavoro al supermercato per 700 euro, coi turni spezzati. In Germania è lo stesso: nel 2009 i lavoratori hanno registrato la più alta produttività europea coi più bassi stipendi. Quindi in Europa si sta creando questa situazione dove c’è un impoverimento drastico, una disoccupazione che sta schizzando alle stelle: stiamo a 23 milioni di disoccupati. Incertezza, povertà crescente, sacche di lavoro sottopagato per competere con la Cina, con l’India e con gli Stati Uniti sul mercato delle esportazioni. E qui il vero potere fa la prima, grande tornata di profitti: diventerà competitivo esportare dall’Europa pagando una miseria il lavoratore europeo.La deflazione e l’incertezza finanziaria fanno sì che i mercati perdano di valore, e se perdono di valore gli Stati sono costretti ai tagli. Devono alienare i beni pubblici, e quindi al primo che arriva a comprare vendono a due lire una Telecom, l’acqua, il sistema sanitario o le ferrovie, cosa che succede dagli anni ‘90 e che succederà ancora di più. Loro comprano a due lire, e quindi fanno la seconda tornata di profitti. Poi l’euro crollerà: crolleranno i tassi di interesse, e gli speculatori internazionali faranno profitti immensi, con i “credit default swaps” e le altre scommesse che si fanno sui crolli delle monete. E alla fine di tutto questo, quando l’Europa sarà un buco nero di economia, ridotta quasi a un territorio da Secondo Mondo balcanico, il vero potere farà la quarta tornata di profitti: le scommesse, coi derivati, sul crollo del mercato europeo. Che è quello che hanno fatto in Grecia: hanno scommesso sul crollo della Grecia, che loro stessi stavano causando. Questo è il futuro che si prospetta, per noi, grazie a questa pianificazione di 70 anni. Guardate che il Fondo Monetario Internazionale (che è uno degli attori principali di questo piano scellerato) ha capito di aver troppo calcato la mano, arrivando a pubblicare un rapporto che prevede per l’Europa lo spettro della disoccupazione di massa. Dobbiamo correre ai ripari, dice il Fmi, che chiede agli Stati di cominciare a spendere a deficit e aumentare la spesa pubblica (ma non lo possiamo più fare, non abbiamo più la moneta).Se il Fondo Monetario arriva a questo, vuol dire che la situazione è più che drammatica. Ci sono uomini – ne cito uno, Carlo De Benedetti – che fin dagli anni ‘90, in combutta coi politici del centrosinistra, avevano già capito perfettamente che cosa stava succedendo, e come fare queste quattro tornate di profitti. Cosa ha fatto? Si è tolto dall’Olivetti, che aveva una competizione sui mercati che non poteva reggere, e si è messo nell’industria dei servizi. E così hanno fatto tanti industriali, anche Benetton: ha lasciato le magliette ai competitor cinesi e indiani e si è buttato nell’acquisizione di questi servizi essenziali. Perché lo fanno? Ok, stanno creando questo buco nero, in Europa. Ci stanno distruggendo completamente. Ma quando saremo tutti più poveri, come faremo a fargli fare dei profitti? La risposta è questa, e loro la conoscono da tanto tempo: in termini tecnico-economici si chiama “captive demand”. Che cosa fanno? Ti impoveriscono, ti precarizzano e guadagnano sulle esportazioni, intanto però si comprano i servizi essenziali per la cittadinanza: la sanità, l’acqua, la luce, i trasporti – tutto, anche l’anagrafe e i servizi funerari. Tutto già previsto dai negoziati internazionali, verrà venduto tutto. Il Pd è il partito italiano più avanzato nella privatizzazione della sanità: ci lavora nelle lobby europee.Quando avranno acquisito questi servizi essenziali, e noi saremo tutti più poveri, loro faranno profitti spaventosi: perché senza l’acqua non possiamo vivere, non possiamo stare senza i treni o senza la sanità. Siamo prigionieri: “captive demand” vuol dire “richiesta prigioniera”, il cittadino diventa prigioniero di una richiesta che deve soddisfare. Per cui starà senza mangiare, rinuncerà alle vacanze e non comprerà più le lenti a contatto, ma l’acqua la pagherà, il gas lo pagherà, la nonna la seppellerirà, l’operazione al fegato la dovrà fare. Chi è l’uomo più ricco del mondo? Non più Bill Gates, ma Carlos Slim: è un messicano, e ha nelle sue mani tutte le telecomunicazioni del Messico. Ha fatto quello che ha fatto De Benedetti, che ha fatto Benetton in Italia. Si è comprato un servizio essenziale: i messicani devono telefonare, non possono non farlo. Saranno dei poveracci, il Messico è un paese di poveri. Ma lui è l’uomo più ricco del mondo, guardacaso. Questo ci stanno facendo, questo ci aspetta.Sbalordisce l’ampiezza di questo disegno criminale, che è il più grande crimine della storia occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi. Perché non solo hanno distrutto gli Stati, le leggi e i cittadini , ma hanno anche tenuto milioni di persone in condizioni di povertà, di bisogno, di indigenza. E oggi tengono i nostri ragazzi precari, le donne che non possono fare figli perché non possono mantenerli, le coppie che non si sposano perché non possono comprare casa. Tuttto questa sofferenza, che è stata immensa per milioni di persone in tutte le nazioni cosiddette ricche, è stato deciso a tavolino. E’ veramente il più grande crimine. E quello che ci aspetta è proprio la conclusione degna di questo crimine immenso, che hanno commesso. Non esito a dire che, di fronte a una pianificazione di questo tipo, occorrerebbe una nuova Norimberga. Bisognerebbe portare questi personaggi (molti sono ancora vivi) a un processo internazionale per crimini contro l’umanità.(Paolo Barnard, estratto della conferenza “Il più grande crimine”, video caricato su YouTube nel 2011. I dati citati, relativi al 2009, disegnano un quadro che poi si è aggravato in modo ulteriormente drammatico, con il governo Monti. Già nel 2010 Barnard aveva pubblicato online il suo saggio “Il più grande crimine”, che ricostruisce la riconquista del potere da parte dell’élite, a spese della democrazia, con un piano concepito a partire dagli anni ‘20 del ‘900, giunto a compimento in Europa con la creazione dell’Unione Europea e dell’Eurozona).Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».
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Stregoni e partiti all’opera: rassegnarsi a questa agonia Ue
«Finito il tempo degli anestesisti, è ormai arrivato quello degli stregoni». L’esito degli “anestesisti”, scrive Leonardo Mazzei, fa registrare un contestuale avvicinamento delle posizioni di tutte le diverse forze politiche in campo, sulla “questione delle questioni”, cioè «la gabbia dell’euro e dell’Unione Europea».Ovvero: «Tutti a criticare l’Europa così com’è, ma tutti a vendere nel mercato elettorale l’unica soluzione totalmente impossibile, cioè quella della “ridiscussione”, “riforma”, “revisione” dei trattati che è del tutto irrealizzabile, altro non fosse che per la necessità di un voto unanime di 27 paesi con i loro diversi (e spesso contrapposti) interessi in campo». Da qui la conclusione: le elezioni 2018 passeranno e l’euro resterà, dato che nessuno gli torcerà un capello. Ora, «tutte le persone informate dei fatti sanno che, senza affrontare il nodo europeo, non può esserci spazio alcuno: non solo per combattere la disoccupazione e uscire davvero dalla crisi, ma neppure per misure parziali volte quantomeno ad alleviare le sofferenze sociali che la crisi ha portato con sé. Ne consegue che tutti i programmi elettorali, per lo più basati su promesse e obiettivi mirabolanti, sono quanto di più falso la storia elettorale italiana abbia mai registrato fino ad oggi». L’azione degli “anestesisti del sistema” è riuscita: «Il che, dopo 10 anni di crisi tutt’altro che risolta, dopo 5 anni della più indecente delle legislature, è sinceramente sconfortante».E ora? Dopo gli “anestesisti”, scrive Mazzei su “Antimperialista”, avranno successo anche gli “stregoni”? Sono quelli che «lavorano alle future alchimie parlamentari e governative affinché nulla cambi in questo disgraziato paese». Se così non fosse, «non ci proporrebbero ancora il volto di pesce lesso Gentiloni: un volto conservatore come pochi, tanto nella mimica quanto in quel cognome aristocratico che porta». La generale omologazione al credo eurista, però, ancora non basta a disegnare una maggioranza in grado di reggersi in piedi. «O meglio, questa omologazione, proprio perché rende possibili diverse soluzioni variamente gradite a lorsignori, sembra non determinare ancora una chiara gerarchia nelle loro preferenze». Eppure, continua Mazzei, questa gerarchia esiste: «I dominanti son sempre previdenti, e – almeno quando possono permetterselo – oltre al piano A cercano sempre di avere un piano B». Da qui una certa apparente confusione, che adesso inizia però a diradarsi. Il piano A è rimasto quello che avevano pensato in autunno, le cosiddette “larghe intese”, «formula alquanto vaga che voleva nascondere quel patto Renzi-Berlusconi che ha consentito la forzatura del Rosatellum». Questo piano ha oggi però una variante, quella che prevede a Palazzo Chigi un “terzo uomo”: non più il ritorno del Bomba, «ma un personaggio più grigio e addomesticabile: se non Gentiloni, magari Padoan».Ecco a cosa è servita la pressione su Renzi: a fargli accettare il passo indietro sulla presidenza del Consiglio, sostiene Mazzei. «Certo, se il Pd dovesse recuperare rispetto ai sondaggi il fiorentino rispolvererebbe all’istante le sue ambizioni. Ma non pare proprio che sia questa l’aria che tira». C’è però un piano B, quello del “governo del presidente” evocato da D’Alema. «A seconda dei risultati, il piano B potrà essere una scelta o una necessità». Una scelta, qualora i numeri del piano A risultassero troppo risicati. Una necessità, se quei numeri proprio non vi fossero. «La differenza tra questi due piani è ovvia: il primo esclude i Cinque Stelle, il secondo li ricomprende». Nel primo caso, al M5S verrebbe assegnato «il classico ruolo dell’opposizione di Sua Maestà», mentre nel secondo «quello di ruota di scorta governativa delle più collaudate forze sistemiche». La prima soluzione, assicura Mazzei, è quella per cui lavorano gli “stregoni” dell’informazione. La seconda è una possibile necessità «non più esclusa per principio dall’oligarchia, ma solo considerata un po’ meno vantaggiosa della prima».Se oggi Renzi sta tornando buono per il mainstream, argomenta l’analista, è perché un Pd in caduta libera finirebbe per determinare nei collegi uninominali una polarizzazione M5S-destra, assai più che Pd-destra. «Con il risultato, ben colto dai sondaggisti, di danneggiare non solo il partito di Renzi al centro-nord, ma pure la destra al sud e nelle isole». Ecco allora il duro lavoro degli “stregoni della comunicazione” per riportare su le quotazioni del Bomba. «In cambio Renzi, ha dovuto platealmente dismettere il suo refrain preferito, quello del vincitore delle primarie come unico candidato alla guida del governo da parte del Pd. Oggi per Palazzo Chigi gli va bene un Pd-purchessia, domani accetterà forse anche un non-Pd-purchessia pur di non tornare nell’anonimato della sua Rignano». Certo, quello degli “stregoni” è un lavoro duro, «specie con questi chiari di luna». Lavoro che «sarebbe quasi impossibile, se solo vi fosse un’alternativa politica credibile. Ma questa non c’è. C’è anzi la sua negazione fatta persona nel volto neodemocristiano di Luigi Di Maio». Italia senza speranze: mala tempora currunt, sintetizza Mazzei.«Finito il tempo degli anestesisti, è ormai arrivato quello degli stregoni». L’esito degli “anestesisti”, scrive Leonardo Mazzei, fa registrare un contestuale avvicinamento delle posizioni di tutte le diverse forze politiche in campo, sulla “questione delle questioni”, cioè «la gabbia dell’euro e dell’Unione Europea».Ovvero: «Tutti a criticare l’Europa così com’è, ma tutti a vendere nel mercato elettorale l’unica soluzione totalmente impossibile, cioè quella della “ridiscussione”, “riforma”, “revisione” dei trattati che è del tutto irrealizzabile, altro non fosse che per la necessità di un voto unanime di 27 paesi con i loro diversi (e spesso contrapposti) interessi in campo». Da qui la conclusione: le elezioni 2018 passeranno e l’euro resterà, dato che nessuno gli torcerà un capello. Ora, «tutte le persone informate dei fatti sanno che, senza affrontare il nodo europeo, non può esserci spazio alcuno: non solo per combattere la disoccupazione e uscire davvero dalla crisi, ma neppure per misure parziali volte quantomeno ad alleviare le sofferenze sociali che la crisi ha portato con sé. Ne consegue che tutti i programmi elettorali, per lo più basati su promesse e obiettivi mirabolanti, sono quanto di più falso la storia elettorale italiana abbia mai registrato fino ad oggi». L’azione degli “anestesisti del sistema” è riuscita: «Il che, dopo 10 anni di crisi tutt’altro che risolta, dopo 5 anni della più indecente delle legislature, è sinceramente sconfortante».
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“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
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Non conta chi vince: il sistema politico italiano è morto
Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?All’interno di questo quadro generale, sostiene Giannuli, occorrerà vedere come si articoleranno i rapporti di forza fra le attuali formazioni. Ad esempio: «E’ possibile che il centrodestra possa vincere, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi, ma non è affatto irrilevante sapere quale sarà lo stacco fra Lega e Forza Italia». E, se i rapporti di forza non cambiassero, quindi con una sostanziale parità tra forzisti e leghisti, «è probabile che il governo durerebbe poco». Quanto ai 5 Stelle: è ben diverso se il partito di Grillo e Di Maio raggiungesse il 35, il 30 o il 25% dei suffragi. Il 35%, dice Giannuli, significherebbe che l’obiettivo di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi da solo resterebbe praticabile. Se invece il M5S si attestasse attorno al 30% significherebbe che «ha toccato il suo tetto e dovrebbe aprire la discussione sulle alleanze possibili, a meno di voler restare in eterno all’opposizione». Ma se scendesse tra il 20 e il 25% «è probabile che questo possa avere un contraccolpo psicologico molto pesante, che aprirebbe un regolamento di conti al suo interno e forse porrebbe le premesse per un suo ulteriore arretramento, seppellendo l’idea di un possibile governo a trazione 5 Stelle».Quanto al Pd, «se superasse il 25 % potrebbe anche pensare di restare in gara fra i partiti di serie A», mentre se scendesse verso il 20% «vedrebbe profilarsi la serie B: un ruolo di comprimario da cespuglio (d’accordo, un grosso cespuglio, ma pur sempre un cespuglio)». Attenzione: se il partito di Renzi precipitasse sotto il 20% darebbe il via a «una reazione a catena di scissioni e riunificazioni che significherebbe la fine del Pd in quanto tale». Dunque, insiste Giannuli, «non si tratta solo del governo di questa legislatura, forse brevissima, ma dell’inizio di un processo di ristrutturazione del sistema politico, nel quale quello che conta è la direzione di marcia che prendono gli avvenimenti». Ovviamente, «la partita non si deciderà solo in questa tornata elettorale, ma occorrerà vedere che succede nelle europee del prossimo anno», per capire se le linee di tendenza si confermano, si invertono o si mescolano con altre ancora. «E poi bisognerà vedere le amministrative del 2020, sempre che nel frattempo non ci siano altre elezioni politiche». Giannuli lo ripete dal 2016: «Si è aperta la crisi del sistema politico e si profila un periodo di turbolenze come fu il 1992-1996 quando votammo per tre elezioni politiche in 5 anni. Quel che colpisce è l’inadeguatezza di tutte le forze politiche alla situazione della quale non hanno affatto la percezione».Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?
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Il segreto di Renaissance, misteriosi matematici miliardari
Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».Grazie alle conoscenze di matematici e informatici di alto livello, Renaissance Technologies è diventato un colosso finanziario senza uguali al mondo: fa molto meglio di personaggi come Ray Dalio e George Soros, con un patrimonio (nel 2015) di oltre 60 miliardi di dollari. L’importanza della Renaissance è confermata dalla giornalista Katherine Burton, di “Bloomberg”, tra le pochissime voci a far luce sulla realtà di questo hedge fund. Il funzionamento dei loro sistemi dipenderebbe da un algoritmo che sarebbe «tra i segreti meglio celati al mondo». Una setta esoterica di matematici pitagorici, hanno definito i misteriosi “uomini d’oro” della Renaissance: «Nessuno lascia quel posto di lavoro: per tenersi stretti i dipendenti è stato creato un fondo ad hoc a loro riservato». Da quando è nato, il fondo Medallion ha guadagnato in media il 40% l’anno. «Chi all’inizio ha investito 1.000 dollari, ora si ritrova in tasca circa 14 milioni». Il famoso “algoritmo misterioso” sfrutterebbe il “machine learning”, «una branca dell’intelligenza artificiale che affida ai computer la capacità di imparare da soli, senza il bisogno che siano programmati esplicitamente».Robert Mercer, che ha sostituito Simons alla guida del fondo, è un noto esponente dell’estrema destra americana. «Ha investito 11 milioni di dollari nel giornale online “Breitbart” ed è il fautore dell’applicazione del machine learning all’interno delle campagne elettorali», scrive “Money.it”. «Il banco di prova sono state le elezioni Usa nel 2016: non riusciamo ad immaginare quanti soldi abbia guadagnato Renaissance Technologies con l’“inaspettata” vittoria di Donald Trump». Senz’altro c’è di mezzo la fisica quantistica, il cui lontano antenato è probabilmente la proto-scienza alchemica, arte di cui era un maestro lo stesso Isaac Newton. Lo stesso nome, “Tecnologie del Rinascimento”, sembra amiccare al periodo di massima fioritura dell’esoterismo rosacrociano, ipotizza una ricercatrice indipendente come Lara Pavanetto. «La cosa che più di ogni altra sbalordisce, della Renaissance, è che non ne parla mai nessuno: è ricchissima e potentissima, ma sostanzialmente invisibile, inaccesibile ai media, lontanissima dal mondo dell’informazione finanziaria che invece, ogni giorno, dà conto delle imprese di Dalio, Soros e colleghi».Il fondo Medallion, scrive Pavanetto nel suo blog, è uno dei grandi misteri della finanza: secondo la leggenda, sarebbe nato da un investimento iniziale di appena 1000 dollari. «Gli investitori sono i dipendenti stessi della società, che gestisce altri tre fondi aperti a investitori istituzionali per un totale di 25 miliardi di dollari». La Renaissance Technologies è stata fondata dal matematico Jim Simons nel 1982. Simons è stato a capo del dipartimento di matematica dell’università di Stony Brook e professore anche al Mit e ad Harvard. Un’inchiesta di “Bloomberg” ha cercato di far luce su questa misteriosa entità, scoprendo che la società «è un avanzatissimo laboratorio di matematica, con computer, complesse basi statistiche e un esercito di laureati votati alla sistematica ricerca di anomalie sui vari mercati». Molti uomini della società “invisibile” sono acquartierati a sessanta miglia da Wall Street, vicino a Long Island. Palazzi da milioni di dollari, in un villaggio chiamato Old Field. «Gli abitanti del posto hanno però dato un altro nome a questo territorio: la Riviera del Rinascimento. Questo perché i più ricchi residenti della zona sono scienziati, e lavorano per Renaissance Technologies, con sede nella vicina East Setauket».Questi scienziati, per lo più matematici, «sono i creatori e sorveglianti del fondo più grande del mondo: Medallion», che ha circa 300 dipendenti, il 90% dei quali laureati in matematica. «Renaissance è la versione commerciale del Progetto Manhattan», spiega Andrew Lo, professore di finanza alla Sloan School of Management del Mit e presidente di AlphaSimplex, una società di “ricerca quantitativa”. Andrew Lo lavora per Jim Simons, per riunire tanti scienziati a caccia di profitti economici: «Questi matematici sono l’apice dell’investimento “Quant”. Nessun altro vi è nemmeno lontanamente vicino». Tutti hanno sentito parlare della Renaissance, ma quasi nessuno sa ciò che accade all’interno: «Ricordano i pitagorici, cioè una setta filosofica di matematici». Quasi nulla si sa di questo piccolo gruppo di scienziati, «il cui vasto patrimonio influenza sempre di più la politica degli Stati Uniti», scrive Pavanetto. Proprietari e dirigenti evitano le interviste. Il loro sembra un sistema unico al mondo, «per il genio e l’eccentricità della sua dirigenza». Esempio: «Peter Brown, uno dei boss, di solito dorme su un letto nel suo ufficio. Il suo omologo, Robert Mercer, raramente parla. I due sono laureati in matematica e teorici della famosa “teoria delle stringhe”».Il mistero dei misteri? «E’ il modo in cui Medallion è riuscito a garantire rendimenti annuali di quasi l’80 per cento in un anno, al lordo delle commissioni». La spiegazione? I computer di Renaissance “pensano”, oltre a fare calcoli. Gli uomini Renaissance hanno più dati e meglio organizzati. Dispongono di più indizi su cui basare le loro previsioni e vantano modelli migliori per l’allocazione del capitale. Prestano molta attenzione al costo dei vari trade e di come il trading si muova sui mercati. «Molti di questi scienziati sono partiti dalla Ibm nel lontano 1980, dove hanno usato l’analisi statistica per affrontare le sfide più scoraggianti all’epoca pionieristica dei computer». Tuttavia, aggiunge Pavanetto, non è chiaro come sia possibile che nessuna informazione sia mai trapelata, in un mondo come quello dell’alta finanza, dove molti modelli sono simili e i dipendenti migrano da un hedge fund all’altro, dalla Goldman Sachs alla Jp Morgan. Invece da Renaissence non se ne è andato mai nessuno, o se qualcuno l’ha fatto è rimasto muto come una tomba. Non c’è fuga di segreti perché, davvero, a guadagnarci sono solo i dipendenti?Se così fosse, secondo Lara Pavanetto si paleserebbe un mistero ancora più grande: «Il modello avrebbe forti dosi di componenti deterministiche e le ottimizzazioni stocastiche interverrebbero solo nella parte residuale di un ipotetico “decision tree”, il che violerebbe il principio della aleatorietà dei mercati». Come dire che alla Reinassence sarebbero in possesso della legge deterministica dei mercati. «Un cosa che somiglierebbe molto alla “pietra filosofale”, tenendo conto che tale modello sarebbe stato concepito in un’epoca in cui le capacita computazionali erano un’infinitesimo di quanto lo sono oggi». Pochi sanno che James Simons, il fondatore di Reinassence, all’inizio della sua carriera fu un crittografo, sottolinea Pavanetto. Simons lavorò per la difesa degli Stati Uniti prima di essere licenziato, apparentemente, per il suo dissenso (a mezzo stampa) sulla Guerra del Vietnam. «Fece i suoi soldi inizialmente tramite un investimento in Colombia, e poi con il fondo Limroy, un precursore del fondo Medallion. Ha sempre reclutato personale che non ha mai lavorato a Wall Street. I suoi investitori inizialmente furono gente come Jimmy Meyer, uno dei più vecchi amici di Simons, e Edmundo Esquenazi, uomo d’affari di origine ebraica che fondò società emblematiche come Pavco, Mexichem Resinas Colombia (ex Petco) e Propilco».Ma il nome di Simons, continua Pavanetto, sarebbe anche legato all’affare Madoff, la truffa dello schema Ponzi (il cui nome viene da quello di un immigrato italiano che, agli inizi del Novecento, per primo lo mise in atto su grande scala). Il gioco: promettere agli investitori alti guadagni ma in modo fraudolendo, cioè pagando coi soldi dei nuovi investitori gli interessi maturati dai vecchi investitori. «La truffa consisteva nel fatto che Madoff versava l’ammontare degli interessi pagandoli con il capitale dei nuovi clienti. Il sistema saltò nel momento in cui i rimborsi richiesti superarono i nuovi investimenti». Nell’ultimo periodo le richieste di disinvestimento avevano raggiunto i 7 miliardi di dollari, al punto che Madoff non fu più in grado di onorare la remunerazione degli interessi promessi. Attenzione: «La dimensione della truffa messa in piedi da Madoff è almeno tre volte più grande dell’ammanco causato dal crac Parmalat». Dopo averli ascoltati, la Sec (autorità di vigilanza finanziaria) ha poi deciso di non procedere contro molti “senior partners” della Reinassence come Paul Broder, Henry Laufer, Nat Simons (figlio di Jim), Jimmy Meyer e vari “portfolio managers” del Meritage Fund, “gemello” di RenTech, uno dei fondi Reinassence.«Ciò che sorprende di più – scrive Pavanetto – è che la Renaissance Technologies non ha mai fatto cenno alla Sec», anche se Jimmy Meyer era «uno dei più vecchi amici di Jim Simons». Altra stranezza, infine: le strane morti attorno al mondo Reinassance. Due dei quattro figli dello stesso Jim Simons perdono la vita prematuramente Paul Simons muore nel 1996 investito da un’auto e suo fratello Nicholas annega nel 2003 nelle acque di Bali. Tre anni dopo, nel 2006, Alexander Astashkevich, impiegato (russo) di RenTech, uccide se stesso e sua moglie. Nel 2014 viene trovato impiccato William Broeksmit, un dipendente della Deutsche Bank che gestiva le opzioni di paniere di RenTech oggetto dell’investigazione americana Irs. «Le e-mail di Broeskmits che spiegavano l’uso del commercio da parte di RenTech sono state fornite agli investigatori statunitensi prima della sua morte», scrive Pavanetto, che cita anche l’ultima delle “strane morti”, quella di Scott Christianson, avvocato e giornalista, deceduto il 14 maggio 2017 “cadendo dalla scala di casa” doppo aver pubblicato, con il collega Greg Gordon, «un’indagine approfondita sui legami tra il presidente Donald Trump e il magnate dell’hedge fund Medallion Robert Mercer».Renaissance Technologies, uno dei più prestigiosi hedge fund del mondo, ha guadagnato (e continua a farlo) montagne di soldi in Borsa grazie ad un algoritmo. La Renaissance è considerata la più grande macchina da soldi nella storia della finanza. Il segreto del successo del suo fondo, Medallion, risiederebbe in un codice di programmazione, «accompagnato da tanta omertà e da un serrato isolamento dei suoi impiegati dal mondo esterno», scrive “Money.it”. A nord di New York, in una cittadina isolata che prende il nome di East Setauket, la sede di Renaissance Technologies è completamente blindata e le telecamere sono ovunque. Dirigenti e dipendenti dell’hedge fund abitano tutti nei dintorni, in ville lussuose circondate da parchi così grandi da impedirne completamente la visione dalla strada. «Si tratta di una sorta di club privato: vivono tutti vicini e custodiscono insieme un segreto che li rende sempre più ricchi, giorno dopo giorno». La Renaissance è stata fondata negli anni ‘80 da James Simons, matematico di fama mondiale, già analista strategico della Nsa, cuore dell’intelligence Usa. «Fin dall’inizio, invece di preferire collaboratori che provenissero dal mondo della finanza, Simons ha optato per colleghi appartenenti al settore scientifico, tra cui 6/7 informatici che stavano lavorando al progetto Watsons, il programma di intelligenza artificiale di Ibm».
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Scalea: Italia in Niger per servire la Francia, che ci tradirà
L’Italia in Niger con i suoi soldati solo per tentare di ingraziarsi la Francia, vera padrona dell’Africa sub-sahariana e delle sue immense risorse naturali, nella vana speranza che Parigi pacifichi il territorio libico. Errore: «La Francia che vorremmo ingraziarci affinché assuma l’onere di stabilizzare la Libia al posto nostro, è la stessa Francia che nel 2011 ha sprofondato la Libia nel caos, per giunta nel tentativo premuroso di soffiare il petrolio all’Eni». Lo afferma l’analista geopolitico Daniele Scalea, direttore dell’Isag di Roma, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, nonché e condirettore della rivista scientifica “Geopolitica”. Scalea ricorda che i militari italiani schierati in Africa non potranno fare altro che proteggere gli interessi transalpini: «Nel solo Niger, le compagnie francesi hanno in mano uranio, carbone, ferro, fosfato e petrolio». Il vero senso della missione richiesta da Macron, a cui Gentiloni ha detto sì, non è il contrasto del traffico di migranti ma «il controllo francese sul Sahel».Gli uomini del contingente italiano, scrive Scalea su Facebook in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, non potranno debellare i jihadisti: la missione è formalmente “no combat”, con regole d’ingaggio iper-restrittive. Non potranno neppure bloccare i trafficanti di esseri umani: «Manca un accordo col Niger per arrestarli e consegnarli alla giustizia». Inoltre, i militari italiani «non potranno pattugliare efficacemente il tratto di confine ipotizzato: per le deficienze giuridiche di cui sopra e per quelle materiali di un contingente troppo leggero». I nostri soldati avranno al massimo la possibilità di addestrare le forze armate nigerine, «ma in tal caso il contingente è sovra-dimensionato». In realtà, sostiene Scalea, i militari italiani in Niger saranno subordinati al servizio della missione francese “Barkhane” nel Sahel, per la quale Macron cerca coperture: «Servono quasi 450 milioni, e la buona volontà di Arabia Saudita, Eau, Ue e altri finanziatori non è ancora sufficiente».L’Operazione Barkhane, tra le altre cose, «combatte le insorgenze islamiste», ma «il pesce grosso da pescare è un altro», cioè il pieno controllo di Parigi sull’intera fascia sub-sahariana, ricchissima di materie prime strategiche come l’uranio, fondamentale per l’energia nucleare francese. «La strategia del governo italiano è dunque quella usuale, che i nostri politici e la nostra “comunità degli affari esteri” tanto amano: rispondere di sì a chiunque ci richieda militari, nella speranza che poi si ricordi di noi quando abbiamo bisogno di interventi in qualche area critica», scrive Scalea. Questa strategia (fallimentare) «la si è seguita a lungo con Usa e Ue», e adesso «Gentiloni l’ha estesa pure alla Francia, per porsi sotto l’egida di Macron». Inutile farsi illusioni: «E’ purtroppo una strategia che dà scarse garanzie di successo: è dalla Guerra di Crimea (1853-56) che non funziona più». Secondo Scalea, «bisognerebbe ricordare, a chi di dovere, che il proverbio recita: “Non mordere la mano che ti nutre”, e non: “Lecca la mano che ti bastona”».L’Italia in Niger con i suoi soldati solo per tentare di ingraziarsi la Francia, vera padrona dell’Africa sub-sahariana e delle sue immense risorse naturali, nella vana speranza che Parigi pacifichi il territorio libico. Errore: «La Francia che vorremmo ingraziarci affinché assuma l’onere di stabilizzare la Libia al posto nostro, è la stessa Francia che nel 2011 ha sprofondato la Libia nel caos, per giunta nel tentativo premuroso di soffiare il petrolio all’Eni». Lo afferma l’analista geopolitico Daniele Scalea, direttore dell’Isag di Roma, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, nonché e condirettore della rivista scientifica “Geopolitica”. Scalea ricorda che i militari italiani schierati in Africa non potranno fare altro che proteggere gli interessi transalpini: «Nel solo Niger, le compagnie francesi hanno in mano uranio, carbone, ferro, fosfato e petrolio». Il vero senso della missione richiesta da Macron, a cui Gentiloni ha detto sì, non è il contrasto del traffico di migranti ma «il controllo francese sul Sahel».
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Il fiuto di nonno Berlusconi: una farsa che prepara l’inciucio
In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.Nel corso dell’ospitata nella trasmissione di Barbara D’Urso, l’intramontabile Silvio ha spiegato – con la consueta franchezza – qual è la posta in gioco. Ha detto cioè che scende in campo contro i grillini, come aveva fatto contro i comunisti negli anni Novanta, perché oggi il pericolo è ancora maggiore. E dal suo punto di vista ha ragione: non perché i grillini siano sovversivi, ma perché la massa inferocita che ribolle negli strati più bassi della società (e che spera di trovare espressione votando M5S) è fatta di persone «che portano invidia e odio verso chi è ricco», di incompetenti che non capiscono la complessità dei problemi su cui sono chiamati a esprimersi (la democrazia sembra essere oggi più indigesta che mai, anche se è stata ridotta ai minimi termini da decenni di guerra di classe dall’alto) e che esprimono leader «ai quali si dovrebbe domandare cosa hanno fatto prima di fare politica e se sono laureati». Infine enuncia un programma che, nel migliore stile trumpista, mette insieme veri regali ai ricchi (la “flat tax”) e finti regali (che, vedi Trump, verranno immediatamente smentiti dopo l’eventuale vittoria) ai poveri (aumenti delle pensioni minime, reddito di dignità, ecc.). Insomma: qui, come ormai quasi ovunque in Occidente, si scontrano due populismi nati sulle rovine delle forze politiche tradizionali, di sinistra come di destra.Due populismi che negli Stati Uniti, come ha scritto Nancy Fraser seguendo la lezione di Gramsci in un lungo articolo su “American Affairs”, incarnano gli interessi di due blocchi sociali contrapposti che lottano per l’egemonia. Con la differenza che, nel caso italiano, non si confrontano un Donald Trump e un Bernie Sanders ma, da un lato una vecchia volpe (anche lui un tycoon reazionario al pari di Trump, ma che la lunga esperienza ha reso meno rozzo nell’uso di espressioni razziste e sessuofobe, mentre ne ha affinato la verve comunicativa), dall’altro lato un progetto abortito di populismo progressivo che (diversamente da “Podemos” e Mélenchon) non ha la minima chance di aggregare un blocco sociale capace di andare oltre qualche effimero successo elettorale. Ma l’astuzia berlusconiana si rivela anche nel suo enfatizzare il “pericolo” grillino per preparare il terreno – nel più che probabile caso che nessuno ottenga la maggioranza assoluta – a una “grosse koalition” in salsa italiana (sarà per caso che Renzi sostiene a sua volta che la vera sfida è fra Pd e M5S?). Una soluzione che gli consentirebbe di svincolarsi della imbarazzante alleanza con Salvini, il quale è la vera controfigura italiana di Trump, almeno per quanto riguarda la scorrettezza politica e le velleità antiglobaliste e antieuropeiste. Perché il populismo di Berlusconi è soprattutto una tecnica elettorale, ma il nostro non coltiva alcuna intenzione di sfidare i diktat dell’Europa a trazione tedesca.(Carlo Formenti, “Il fiuto politico dell’intramontabile Silvio”, da “Micromega” del 15 gennaio 2018).In una serie di esternazioni che hanno inaugurato la campagna elettorale del centrodestra, Silvio Berlusconi ha esibito il suo fiuto di animale politico. In primo luogo, da qualche settimana batte il tasto sul fatto che le prossime elezioni si configurano come uno scontro frontale fra centrodestra e M5S, ignorando il Pd, e più in generale la sinistra, liquidati come relitti del passato. È una visione che rispecchia l’insegnamento delle elezioni americane, che hanno visto il trionfo di Trump – un populista di destra – contro un Partito Democratico che si è suicidato sbarrando con ogni mezzo la strada all’unico candidato – il populista di sinistra Bernie Sanders – che avrebbe potuto battere Trump. Berlusconi snobba il Pd perché ha capito che la sinistra tradizionale, una volta convertitasi da alternativa a “ruota di scorta” delle politiche liberiste, ha perso appeal nei confronti delle classi popolari, mentre fatica a competere con la destra per la conquista delle classi medio-alte. Teme invece il M5S, non solo perché vola nei sondaggi, ma anche e soprattutto perché, ad onta dei passi indietro compiuti sui punti più radicali del programma originario, e della progressiva “normalizzazione” della sua immagine da forza antisistema a forza di governo, appare tuttora in grado di attrarre il voto di protesta di milioni di elettori incazzati nei confronti delle élite che ne ignorano bisogni e interessi.
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Povera Europa, plaude alle “lezioni” del suo killer: la Merkel
Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremo a memo (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha visto crollare il suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra teologica al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.Una vera festa, la spettacolare crisi italiana, per l’industria tedesca che ha fatto shopping a prezzi di saldo accaparrandosi quote rilevanti dell’eccellenza del “made in Italy”, altro classico esempio di “cooperazione” ordoliberista di stampo teutonico. «La Germania è un problema cronico e fisiologico per l’Europa», sostiene Paolo Barnard, «proprio a causa del suo tipo di economia sbilanciato verso l’export». Il che significa compressione dei salari in patria (gli scandalosi mini-job da 450 euro mensili) e aggressività competitiva verso i paesi confinanti, trattati come colonie a cui rubare fatturato e sottrarre la miglior forza lavoro di formazione universitaria avanzata, dando vita al flagello della “fuga dei cervelli”. «I personaggi come la “sorella” Angela Merkel, esponente della Ur-Lodge reazionaria Golden Eurasia, sono i veri nemici dell’Europa unita, i veri e irriducibili antieuropeisti», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela i retroscena supermassonici del vero potere neoliberista. «Quelli che vengono spacciati per statisti sono in realtà pedine di interessi esclusivamente privati, che traggono i massimi profitti proprio dalla distruzione dell’unità europea: assistiamo infatti a una spietata concorrenza fra Stati, di cui il neo-mercantilismo tedesco è l’espressione più tristemente significativa».Sempre la Germania, racconta l’economista Nino Galloni (vicepresidente del Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi) ottenne – dalla Francia di Mitterrand, in cambio della rinuncia al marco – il via libera per la deindustrializzazione progressiva dell’Italia, cioè del massimo antagonista del sistema manifatturiero tedesco. E’ questa la motivazione di fondo – squisitamente industriale e concorrenziale – dietro alle politiche di austerity dell’Ue a trazione tedesca, che hanno tentato ininterrottamente di demolire il sistema economico italiano. E’ il Belpaese il vero bersaglio degli eurocrati tedeschi come Angela Merkel, ai piedi dei quali si sono genuflessi i vari Letta, Renzi e Gentiloni, dopo il “ko tecnico” procurato a Monti e Napolitano, commissari italiani del super-potere che tiene in scacco l’Europa utilizzando Berlino come cane da guardia. Per questo, le affermazioni della cancelleria a Davos suonano sincere quanto le parole del killer al funerale della propria vittima: «Nel mondo c’è tr6oppo egoismo nazionale», scandisce la professoressa. «Fin dai tempi dell’Impero Romano e della Grande Muraglia sappiamo che limitarci a rinchiuderci non aiuta». Viste dalla Grecia ridotta alla fame, queste parole – in una ipotetica, seconda Norimberga – assicurerebbero ad Angela Merkel una fucilazione di prima classe, con tutti gli onori che spettano ai grandi traditori.Nell’immane declino europeo non si capisce cosa sia più sinistro, le “lezioni” di un’insegnante di cui tutti faremmo a meno (Angela Merkel) o il tappeto rosso che la stampa le stende ai piedi, nel momento in cui l’oligarca di Berlino, donna simbolo delle sofferenze imposte dalla crisi, si mette a bacchettare Donald Trump dal forum di Davos, santuario continentale della globalizzazione più feroce. «Noi crediamo che l’isolazionismo non ci faccia andare avanti», dice la Merkel: «Il protezionismo non è la risposta giusta, dobbiamo cooperare». Il tipo di “cooperazione” di cui è capace il regime finanziario incarnato dalla Merkel lo si è visto in Grecia, con le famiglie sul lastrico e gli ospedali senza più medicine per curare i bambini. Tutto il Sud Europa ha assistito al crollo epocale del suo tenore di vita, in una spirale sistematicamente devastante: guerra “teologica” al debito pubblico, e quindi tagli ai salari e alle pensioni, precarizzazione del lavoro, esplosione della tassazione, licenziamenti, aziende fallite a decine di migliaia, disoccupazione alle stelle, crollo del mercato immobiliare, erosione dei risparmi. Il fantasma della povertà minaccia l’Europa: nella sola Italia, dove la crisi indotta dal rigore tedesco è costata 450 miliardi di euro in appena tre anni, sono oltre 10 milioni le persone che secondo Eurostat faticano a consumare un pasto proteico ogni due giorni, a sostenere spese impreviste, a pagare l’affitto e a riscaldare a sufficienza la casa.
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Bagnai: Moscovici mente sul deficit, Parigi spende più di noi
C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.Portare il deficit oltre il 3% del Pil «sarebbe un controsenso», questo perché il tetto del 3% avrebbe un significato preciso, quello di evitare che il debito slitti ulteriormente, e quindi le elezioni italiane provocherebbero un «rischio politico» dato che da noi alcuni partiti si stanno interrogando sulla fondatezza di queste regole? Le dichiarazioni di Moscovici «sono non solo inopportune politicamente (come perfino Tajani è stato costretto ad ammettere, dando prova di buon senso e di un minimo di orgoglio nazionale), ma del tutto infondate sotto il profilo economico e anche storico», scrive Bagnai su “Goofynomics”. Tanto per cominciare, «prima di fare lezioncine, bisognerebbe verificare di essere stati coerenti con i principi che si sbandierano a beneficio degli altri paesi (ma che in patria ci si è guardati bene dall’applicare)». Bagnai esibisce un grafico eloquente, che mostra numeri impietosi: «Numeri che la nostra stampa, molto sensibile e accondiscendente verso interessi esterni al nostro paese, naturalmente non vi dà». Nel 2009 la spesa pubblica italiana rappresentava il 5% del Pil nazionale, mentre quella francese superava il 7%.Parigi è stabilmente sopra Roma, nel volume di spesa: anche in regime di austerity, a partire dal 2012, il deficit pubblico francese è sopra il 4%, mentre quello italiano è inchiodato al 3%. Di più: grazie alla “cura” dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, l’Italia della disoccupazione-record (milioni di persone senza più un lavoro) dal 2015 è scesa al di sotto del 3% (dati ufficiali Fmi), mentre la Francia resterà al di sopra di quella soglia anche nel 2019. Un grafico esauriente, quello mostrato da Bagnai: «Potrete inciderlo su una lastra di piombo, da arrotolare e sbattere sul musetto dei botoli ringhiosi dell’austerità». I francesi «sono sempre stati sopra a noi, e sempre oltre il parametro di Maastricht, con in più il fatto che il divario fra loro e noi è destinato ad aumentare». Secondo il Fondo Monetario Internazionale «saremo sempre più “virtuosi” di loro, oltre che in regola con Maastricht già da sei anni». Attenzione: «Sei anni di sacrifici che l’Europa ci riconosce così, sberteggiandoci». L’Italia, conclude Bagnai, «sarà un paese libero quando un giornalista vi darà i numeri che trovate qui».C’è ancora qualche pazzo che può credere alle farneticazioni di Pierre Moscovici, secondo cui tagliare la spesa e contenere il debito significa favorire la crescita? La barzelletta dell’austerità “espansiva” è stata coniata da pseudo-guru neoliberisti come Kenneth Rogoff e poi rottamata persino dal Fmi. Eppure tiene ancora banco: perlomeno, i governanti fingono di crederci. Lo stesso Gentiloni avverte: una follia tagliare le tasse e fare investimenti a deficit, meglio continuare a tirare la cinghia. Dunque funziona ancora, la super-menzogna del rigore spacciata per legge economica. A rilanciarla, pensando alla campagna elettorale italiana è lo stesso commissario Ue all’economia. Moscovici non è un malato di mente: sa benissimo che i tagli producono solo crisi. Oltre a mentire sapendo di mentire, il super-tecnocrate di Bruxelles sta anche barando in modo spudorato: mentre chiede all’Italia di contenere la spesa pubblica entro il 3% del Pil, finge di non sapere che Roma è da anni in regola con Maastrich, mentre il suo paese – la Francia – quella linea rossa l’ha oltrepassata alla grande, spendendo ben più dell’Italia. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino», sintetizza l’econimista Alberto Bagnai.
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Magaldi: cara Bonino, più Europa? Non questa, degli zombie
Cosa c’è sotto il turbante di Emma Bonino? Possibile che, nel 2018, ci sia ancora qualcuno – radicale, per giunta – che crede alle favole del più decrepito neoliberismo thatcheriano? «Pensate ad una famiglia già super-indebitata, che continua a indebitarsi sempre più, pagando interessi sempre più onerosi alle banche: arriverà un giorno la bancarotta, che si lascerà ai figli», recita la campagna elettorale di “+Europa”. Parole che sembrano arrivare dall’oltretomba della politica, dalla notte dei morti viventi ravvivata dal fantasma di Mario Monti. «Il vero problema italiano è il debito pubblico al suo massimo storico», nientemeno. E certo: il debito, la famiglia. «Come se la famiglia fosse dotata di sovranità monetaria: per lei, come per l’azienda, il debito è certamente un problema», dice Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt, in chat su YouTube con Gioele Magaldi. Incredulo, di fronte all’uscita della Bonino: com’è possibile, dopo il disastro dell’austerity europea, “bersi” ancora il dogma del neoliberismo che finge di non sapere che lo Stato, dotato di sovranità monetaria, ha una capacità di spesa (e di indebitamento) virtualemente illimitata? «Non è da radicali, appiattirsi su un dogmatismo così desolante, allineato all’ignoranza economica e all’insipienza generale del mainstream, politico e mediatico, affollato di presunti esperti del calibro di Alberto Alesina, in realtà un comico, che insieme a Francesco Giavazzi non ne ha azzeccata una, in tutti questi anni».