Archivio del Tag ‘industria’
-
Operai licenziati, meglio i robot: la Foxconn fa da apripista
La Foxconn, azienda taiwanese che produce la metà delle componenti dei dispositivi elettronici di consumo venduti nel mondo, ha ridotto la propria forza lavoro, grazie all’introduzione dei robot che sostituiscono gli operai. Un taglio drammatico: da 110.000 ad appena 50.000 operatori. Niente da dire: «Un successo nella riduzione del costo del lavoro». Fino a dieci anni fa, scrive “Contropiano”, per capire dove stava andando il capitalismo occorreva guardare agli Stati Uniti. Ora invece fa testo la Cina, divenuta “la manifattura del mondo” grazie a un costo del lavoro che 40 anni fa era ai minimi mondiali. Altri punti di forza: la concentrazione politica del potere (il sindacato assorbito dal partito unico) e l’apertura agli investimenti stranieri, in cambio della condivisione del know how. Centinaia di milioni di persone avevano così «smesso di essere contadini in esubero per trasformarsi in operai industriali, assicurando un tasso di crescita del Pil superiore al 10% per oltre venti anni e facendo conquistare al paese il ruolo di seconda potenza industriale del pianeta». Ma la musica sta cambiando: «Ogni favola ha una fine, anche e soprattutto quelle capitalistiche».La Foxconn, aggiunge “Contropiano”, era anche conosciuta per l’alto tasso di suicidi tra i suoi lavoratori, schiacciati da ritmi infernali. «Ma i robot fanno meglio, più velocemente, senza soste fisiologiche, 24 ore su 24. Non si lamentano, non pretendono adeguamenti salariali, non si ammalano, non scioperano mai e non rischiano di farlo in futuro. Al massimo si rompono e vanno aggiustati». Ed è solo l’inizio: «Decine di altre aziende operanti in Cina stanno per fare lo stesso, magari su scala dimensionale anche superiore al 50% del personale». L’automazione sta conquistando tutte le fabbriche del pianeta. E i “futurologi” «stanno già sfornando elenchi di mansioni lavorative a rischio scomparsa», con «percentuali da capogiro nella sostituzione di uomini e donne con macchine». Attenzione: tutto ciò che è seriale può esser fatto meglio, «non c’è impiegato “di concetto” che possa sentirsi al sicuro: solo le professioni “creative” possono – entro certi limiti, comunque – essere risparmiate da questa corsa alla robotizzazione».La “quarta rivoluzione industriale”, aggiunge “Contropiano”, ha per orizzonte la produzione senza lavoro umano, o quasi: «Resteranno, seppur molto più limitate, solo le attività di installazione, manutenzione e programmazione dei robot». E quindi, «miliardi di esseri umani non avranno più un’occupazione, né potranno riciclarsi in altre attività in espansione, perché non avranno le cognizioni di base per fare il salto da una all’altra». Facile da capire: «Un tecnico, per quanto bravissimo, non può diventare un ingegnere informatico o elettromeccanico. Se perde il lavoro, mettiamo, intorno a 40 anni, con famiglia e figli a carico, non può tornare all’università per i cinque sei anni necessari a fare l’upgrade delle sue conoscenze. In ogni caso, serviranno assai meno ingegneri di quanti tecnici si troveranno a spasso». Idem per la sicurezza: «I poliziotti “indispensabili” saranno solo quelli necessari per le scorte e il controllo delle manifestazioni di piazza, oltre a informatici e analisti video». Conclusione: «La domanda, epocale, è persino disperatamente semplice. Che fine faranno quei miliardi di esseri umani senza possibilità di guadagnarsi da vivere vendendo la propria forza lavoro?».La Foxconn, azienda taiwanese che produce la metà delle componenti dei dispositivi elettronici di consumo venduti nel mondo, ha ridotto la propria forza lavoro, grazie all’introduzione dei robot che sostituiscono gli operai. Un taglio drammatico: da 110.000 ad appena 50.000 operatori. Niente da dire: «Un successo nella riduzione del costo del lavoro». Fino a dieci anni fa, scrive “Contropiano”, per capire dove stava andando il capitalismo occorreva guardare agli Stati Uniti. Ora invece fa testo la Cina, divenuta “la manifattura del mondo” grazie a un costo del lavoro che 40 anni fa era ai minimi mondiali. Altri punti di forza: la concentrazione politica del potere (il sindacato assorbito dal partito unico) e l’apertura agli investimenti stranieri, in cambio della condivisione del know how. Centinaia di milioni di persone avevano così «smesso di essere contadini in esubero per trasformarsi in operai industriali, assicurando un tasso di crescita del Pil superiore al 10% per oltre venti anni e facendo conquistare al paese il ruolo di seconda potenza industriale del pianeta». Ma la musica sta cambiando: «Ogni favola ha una fine, anche e soprattutto quelle capitalistiche».
-
Renzi senza vergogna, le mance come metodo di governo
Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).Mutatis mutandis, siamo in pieno laurismo. Per i più giovani che non l’hanno mai conosciuto, ricordo il “Comandante Achille Lauro”, leader monarchico napoletano, che distribuiva pacchi di pasta e scarpe agli elettori, ma solo scarpe sinistre e mezzi biglietti da mille lire prima del voto, quelle destre e l’altra metà dei biglietti da mille sarebbero stati dati solo dopo, se fosse riuscito eletto. Peccato che non abbiano ancora inventato i mezzi bonus o i mezzi voucher. In secondo luogo, ci fa capire la concezione economica renziana: c’è poca domanda interna? E lui distribuisce bonus, guardandosi bene da una politica fiscale organicamente diversa o di garanzie salariali. I ragazzi fanno lavoro nero? Lui non cerca di eliminarlo, ma di renderlo un po’ più sopportabile, distribuendo voucher. Ci sono problemi per l’industria libraria e culturale? Ecco il buono da 500 euro per l’acquisto di libri e film. Insomma, le mance come metodo di governo: provvedimenti temporanei e ad hoc, mai interventi strutturali.E questo ci informa anche sulle sue concezioni sociali. Infatti, gli interventi strutturali poi generano diritti e garanzie, ma questo non produce consensi o forse lo fa per un momento e poi, acquisito il diritto, la gente vota come vuole. E questo non va bene, è meglio che la gente resti legata al bisogno. E dunque, niente diritti ma mance volta per volta. Mi chiedo come facciano gli ex militanti del Pci a non vergognarsi di stare in un partito che fa questa politica. La mossa di Renzi, però ci dice anche cose più contingenti. Ad esempio il segnale “familista” ai cattolici significa “vi ho fatti soffrire lo so, ma ora vi dimostro che abbiamo il valore comune della famiglia. Il che contiene un sotto-messaggio in codice: facciamo un accordo, voi votate Sì e del problema delle adozioni non se ne parla sino a fine legislatura”. E ci dice anche un’altra cosa: che la minaccia di votare No dei cattolici ha molto spaventato il fiorentino. Dunque, anche lui non è convinto di vincere il referendum con tanta facilità. E ha ragione, ma ne riparleremo.(Aldo Giannuli, “Renzi: le mance come metodo di governo”, dal blog di Giannuli del 16 maggio 2016).Renzi ha deciso di portare a 160 i bonus per le famiglie sotto reddito e a 240 per quelle che hanno ameno due figli. Chiunque capisce che si tratta di una manovra per riconquistare i consensi nel mondo cattolico-tradizionalista dopo il trauma per le unioni civili, a seguito del quale i gruppi del Family Day hanno minacciato il No al referendum di settembre. Un modo per dire “sì, ho votato le unioni civili, ma l’ho dovuto fare perché me lo ha chiesto l’Europa, poi avevo pressioni nel partito, però, guardate, sono l’unico governo che pensa alla famiglia e incoraggia a far figli”. Manca solo il “premio di prolificità”. La manovra sembra troppo scoperta per poter funzionare. I cattolici, poi, non sono facili da prendere in giro. Il commento alla cosa in sé potrebbe finire qui, ma l’episodio ci dice più cose di quanto non sembri a primo colpo d’occhio e che meritano qualche riflessione sul “Renzi-pensiero”. In primo luogo ciò è molto illuminante sulla concezione renziana della democrazia: questo è il governo delle mance (bonus, voucher ecc., che pensa così di raccogliere il consenso).
-
Uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael
L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La trama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna, Henry Kissinger.I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”. Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non ci siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, spesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
-
L’ambigua grandezza di Pannella, rottamatore neoliberista
Più ombre che luci nella grandezza politica di Marco Pannella, protagonista indiscutibile del settantennio repubblicano. «Il personaggio ha meriti, e non piccoli», premette Aldo Giannuli, «come le battaglia per il divorzio, per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica, di cui gli va dato atto lealmente». Ma attenzione: Pannella «ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neoliberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader (di cui fu il primo assertore) e a virtuosismo comunicativo privo di reali contenuti». E poi «l’allineamento servile agli Usa, le disgustose giravolte fra centrosinistra e centrodestra, sempre alla ricerca di spazi istituzionali», senza contare «le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia, dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para-fiancheggiamento». Secondo il politologo dell’ateneo milanese, Pannella «ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites, sostenute da branchi di acritici attivisti».Nel leader radicale, Giannuli vede «un sostanziale rifiuto della dimensione strategica della politica, surrogata dalla totale delega all’estro momentaneo del leader (massima negazione del principio di democrazia, tanto diretta quanto rappresentativa) e dalla sua abilità nel manipolare le folle». Soprattutto, Pannella «ha colpe imperdonabili sul piano dell’involuzione costituzionale del paese: a lui (e a Occhetto e Segni) dobbiamo il colpo di Stato del 1993, quando la fine del sistema elettorale proporzionale ha aperto la strada allo sventramento della Costituzione e, paradossalmente alla definitiva deriva oligarchica del regime: il Parlamento dei nominati ha la sua premessa logica nella battaglia pannelliana per il maggioritario uninominale». Con questo, Pannella «è stato l’alfiere di un ceto politico senza qualità, l’élite senza merito». E la “questione morale”? «Fu un gran fustigatore dei costumi, durissimo accusatore delle greppie di regime, ma la sua battaglia contro i fondi neri dell’Eni, a metà anni Sessanta, ebbe come sbocco la costituzione della Radoil, titolare di due pompe di benzina generosamente concesse da Cefis e che a lungo provvidero alla sopravvivenza del Pr e sua personale».Quale sia il giudizio che se ne voglia dare, continua Giannuli sul suo blog, Pannella ha attraversato gran parte della storia della Repubblica, con una stagione di notevole fortuna fra gli ultimissimi anni ‘60 e i primi ‘90. «Un ventennio in cui esercitò un ruolo politico il cui peso fu sempre superiore alle magre percentuali elettorali che raccoglieva: e che mai raggiunsero il 4%, con l’eccezione unica ed effimera delle europee 1999». Secondo Giannuli, «molto di quel che è diventato questo paese oggi, nel bene, ma più ancora nella degenerazione e nella decadenza, è dovuto a Pannella: l’Italia è diventata, in parte per la sua opera, un paese più laico, più moderno, ma anche più cinico, più “americanizzato”, più oligarchico, meno industriale e più povero, diciamolo: più squallido». Gli eredi? Personaggi della statura di Rutelli, Giachetti, Della Vedova, Elio Vito. «Un esame storico puntuale e documentato richiederebbe molte pagine», conclude Giannuli. «Si impone un giudizio equilibrato, che rimandiamo a meno frettolosa occasione. Qui ci basta un giudizio breve e sintetico che vede le ombre prevalere sulle luci».Più ombre che luci nella grandezza politica di Marco Pannella, protagonista indiscutibile del settantennio repubblicano. «Il personaggio ha meriti, e non piccoli», premette Aldo Giannuli, «come le battaglia per il divorzio, per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare, e più in generale per i diritti civili, per la legalizzazione della cannabis, la denuncia della degenerazione partitocratica, di cui gli va dato atto lealmente». Ma attenzione: Pannella «ha avuto anche colpe somme come il sostegno all’ondata neoliberista, la banalizzazione della politica ridotta a celebrazione del leader (di cui fu il primo assertore) e a virtuosismo comunicativo privo di reali contenuti». E poi «l’allineamento servile agli Usa, le disgustose giravolte fra centrosinistra e centrodestra, sempre alla ricerca di spazi istituzionali», senza contare «le ambiguità sul terreno della lotta alla mafia, dove spesso il garantismo sfociava in una sorta di para-fiancheggiamento». Secondo il politologo dell’ateneo milanese, Pannella «ha espresso una visione della democrazia come competizione fra ristrette élites, sostenute da branchi di acritici attivisti».
-
Il capo è nervoso: sa che ormai tutti cercano un sostituto
Attenti, il “capo” è nervoso: sa perfettamente che, se è ancora al suo posto, è solo perché nessun altro è ancora pronto a sostituirlo. Ma la voglia di rottamarlo sta crescendo velocemente. Lo scrive Sergio Cararo su “Contropiano”: che Matteo Renzi sia diventato molto nervoso lo testimoniano «la quantità di contestazioni (e di manganellate della polizia) che lo inseguono ovunque vada». E’ nervoso, il boss del Pd, «perché sa di aver fatto parecchio del lavoro sporco che gli era stato richiesto contro lavoratori, pensionati, risparmiatori». La famigerata lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011? E’ stata applicata, appunto, “alla lettera”. Eppure, i suoi “mandanti” non sono ancora contenti. Non lo è l’Unione Europea, «che mal sopporta le sue rodomontate così come non sopportava le stramberie di Berlusconi». E non lo è Confindustria, «oggi pesantemente ipotecata dalle aziende di cui il governo è azionista». Gli industriali vogliono «rendere strutturali e non congiunturali gli sgravi contributivi», con «mano libera alle imprese nel licenziare o assumere con salari da fame».Non è contento di Renzi neppure un potere forte come la magistratura, che «mostra forti segni di fastidio verso un premier che, come Berlusconi, ritiene che la legalità vada bene per tutti tranne che per i suoi uomini e donne ripetutamente beccati con le mani nella marmellata». Renzi è contrariato: «Gli indicatori economici sull’andamento della recessione smentiscono ogni sua fanfaronata sulla disoccupazione, i redditi, i consumi, il risparmio, la fiducia sul futuro», continua Cararo. L’unica carta su cui può ancora contare il capo del Pd? Non ci sono alternative, al momento: «Le classi dominanti non hanno ancora trovato un “leader” di ricambio con cui sostituirlo senza ricorrere alle elezioni», esattamente come venne fatto con Berlusconi (piazzando Monti a Palazzo Chigi) o con «il povero Letta», messo alla porta dall’ambizioso fiorentino. Renzi può anche mascherare il suo nervosismo «ricorrendo a Tweet sferzanti e a interviste televisive con giornalisti in ginocchio», ma è talmente inquieto che «ha anticipato di mesi le nomine ai vertici di polizia, servizi segreti, guardia di finanza, per cercare di legare a sé gli apparati coercitivi dello Stato che gli stanno salvando il culo dalle contestazioni nella strade e nelle città italiane». Come contropartita, aggiunge “Contropiano”, hanno però preteso che Carrai, l’amico di Renzi, venisse tenuto fuori dai servizi di sicurezza.La verità è sotto gli occhi di tutti: un cittadino su tre è andato a votare al referendum contro le trivelle, anche se il premier gli aveva “consigliato” di stare a casa. E l’aria che tira per le elezioni comunali nella grandi città vede i suoi candidati in serissima difficoltà. In più, «ogni volta che annuncia che andrà a casa, se perde», come nel caso del prossimo referendum sulle controriforme costituzionali, «non c’è nessuno che cerchi di dissuaderlo». Bella occasione, quella di ottobre, per mandarlo a casa davvero: «Le tensioni con Confindustria, magistratura e Unione Europea si stanno accumulando pericolosamente», ma un’altra “deposizione” come quella di Berlusconi non passerebbe facilmente. Quello di ottobre, insiste Cararo, sarà un referendum decisivo: non solo per impedire che la Costituzione diventi carta straccia, «ma per dare una spallata ad un capo nervoso e pericoloso». Chi auspica di “spacchettare” i quesiti, per votare in modo differenziato, non comprende la portata epocale della sfida: «Lo scontro sul referendum di ottobre è uno spartiacque: o con Renzi (e la Troika) o con la democrazia».Attenti, il “capo” è nervoso: sa perfettamente che, se è ancora al suo posto, è solo perché nessun altro è ancora pronto a sostituirlo. Ma la voglia di rottamarlo sta crescendo velocemente. Lo scrive Sergio Cararo su “Contropiano”: che Matteo Renzi sia diventato molto nervoso lo testimoniano «la quantità di contestazioni (e di manganellate della polizia) che lo inseguono ovunque vada». E’ nervoso, il boss del Pd, «perché sa di aver fatto parecchio del lavoro sporco che gli era stato richiesto contro lavoratori, pensionati, risparmiatori». La famigerata lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011? E’ stata applicata, appunto, “alla lettera”. Eppure, i suoi “mandanti” non sono ancora contenti. Non lo è l’Unione Europea, «che mal sopporta le sue rodomontate così come non sopportava le stramberie di Berlusconi». E non lo è Confindustria, «oggi pesantemente ipotecata dalle aziende di cui il governo è azionista». Gli industriali vogliono «rendere strutturali e non congiunturali gli sgravi contributivi», con «mano libera alle imprese nel licenziare o assumere con salari da fame».
-
Auto elettrica, il boom Tesla beffa il “profeta” Marchionne
Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».Nel 2010, ricorda Cambi su “Crisis, what crisis”, in Italia sono sono state vendute le prime 50 Tesla “Roadster”. Marchionne: «Gli esperti internazionali concordano sul fatto che la quota di vetture elettriche non potrà superare il 5% del totale neppure tra dieci anni». Motivo: prezzi ancora troppo alti, per via dei bassi numeri di produzione e del costo della batteria. E 12 mesi dopo: «L’anno prossimo lanceremo la 500 elettrica sul mercato americano e perderemo 10.000 dollari ogni auto prodotta e venduta lì. Figuratevi se dovessimo esportarla verso l’Europa», dove – a differenza degli Usa – non esistono incentivi per lo sviluppo di veicoli a emissioni zero. E ancora: «Il costo della tecnologia è altissimo, è inutile illuderci che salvi il mercato dell’auto». Sempre nel 2012: «Si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi».Intanto, nel gennaio 2013, sbarca anche in Italia la Tesla “Model S”. Marchionne: «Non sto dicendo che l’auto elettrica sia un progetto da non considerare, in Fiat ci stiamo lavorando seriamente con Chrysler che ha sviluppato grandi competenze. Ma è bene sapere che per ogni 500 elettrica venduta perderemo circa 10.000 dollari, un affare al limite del masochismo». Un anno dopo, nel gennaio 2014, le Tesla vendute in Italia salgono a quota 22.000. In un convegno negli Usa, Marchionne insiste sulla sua tesi. E aggiorna il costo dell’operazione per la 500 elettrica: non ci rimette più solo 10.000 dollari a veicolo, ma 14.000. Poi, finalmente, nel 2015 la diga comincia a vacillare: «Sono rimasto incredibilmente impressionato da quello che è riuscito a fare quel ragazzo», ammette Marchionne, parlando di Elon Musk e della sua Tesla. La frana, intanto, diventa un cataclisma: nel gennaio 2016, le Tesla vendute sono ormai oltre 55.000. Eppure, sull’auto elettrica Marchionne frena ancora: «Dateci tempo di dimostrare il nostro valore, ma quando sarà prodotta e sul mercato, non prima. La verità è che nessuno guadagna con le auto a zero emissioni. Nemmeno Elon Musk, che pure considero il guru del settore».Poi, nell’aprile 2016: «Non mi vergogno di dirlo: se Musk mi dimostrerà che l’auto può essere redditizia a quel prezzo», cioè 35.000 dollari, «copierò la formula, aggiungerò il design italiano e la porterò sul mercato entro un anno». Aggiunge Marchionne: «Le numerose prenotazioni non mi sorprendono, ma poi bisogna vendere le auto e guadagnare:meglio arrivare tardi che essere dispiaciuti». Davvero? Nello stesso mese – aprile 2016 – la nuovissima “Tesla 3” è accolta da qualcosa come 400.000 ordini. E’ un caso senza precedenti nella storia del marketing, osserva Cambi. Oggi, maggio 2016, finalmente Marchionne fa sapere che Fiat-Fca sta cercando un accordo con Google per sviluppare sistemi di guida autonoma, come i dispositivi anti-incidente già montati sulle auto di Elon Musk, che sono in grado di parcheggiare da sole, evitare ostacoli improvvisi, dribblare veicoli. «Non è il futuro. E’ presente. I proprietari di Tesla stanno utilizzando questa tecnologia ORA».Sintesi: «L’auto elettrica ha vinto, il suo Napoleone si chiama Tesla (perché i meriti vanno allargati all’azienda e non solo al suo fondatore)». E gli altri? Fiat, Bmw, Audi, Volkswagen, Volvo e General Motors «inseguono, senza grandi speranze». Attenzione: «La “guerra” continua e continuerà, vedrete, in modi sempre più feroci». Per intanto, vediamo di capirci, conclude Cambi: «Caro Marchionne: sono almeno sette anni che ci spieghi, con molta pazienza e altrettanta ottusa ostinazione, che le auto elettriche non hanno un futuro. Poi ti tocca ammettere, di fronte all’evidenza dei fatti, che questo futuro è qui, è qui per restare. E tu sei stato volutamente fermo, perdendo sette anni. Poi, senza alcun sprezzo del pericolo, immemore delle “proiezioni” sesquipedali di cui hai infarcito i tuoi comunicati per anni, mancandole tutte, dichiari che IN UN ANNO potresti fare una auto in grado di competere con una Tesla? In un anno? Quando da alcuni anni non riesci ad azzeccare un modello che è uno, nemmeno per sbaglio? Senso del pudore, mi pare evidente, non l’hai mai avuto. Senso del ridicolo? No, eh?».Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».
-
Stupid-economy, non ci salveranno neppure le rinnovabili
Che si producano milioni di prodotti inutili con le fonti fossili o con il solare, sempre prodotti inutili saranno e quello che si guadagna ambientalmente o energeticamente da una parte, lo si perde dall’altra. Per quanto sia certamente meglio utilizzare il solare piuttosto che il petrolio, comunque si sprecano preziose risorse non rinnovabili per produrre qualcosa di inutile. Pensiamo alle automobili; si fa un gran parlare dell’auto elettrica come se fosse la soluzione magica. Ma ve le immaginate centinaia di milioni di auto elettriche di quante risorse ed energia hanno bisogno per essere prodotte? Risorse che non sono di certo rinnovabili, perché quello che c’è dentro ad un’auto ha poco di rinnovabile. A meno che non la si voglia fare tutta di legno, ma allora non è più un’automobile ma un carretto e serve il cavallo, difatti è lì che andremo a finire se non fermiamo la follia della crescita. Inutile poi diminuire il consumo di carburante per automobile se poi ogni anno le vetture aumentano sempre di più e vanificano il risultato ottenuto dal minor consumo.Per sostenere con la green economy la crescita che fa felici industriali e governanti, dovremmo lastricare l’intero pianeta di pannelli solari e nemmeno basterebbe; pannelli solari che a loro volta hanno bisogno di materiali ed energia per essere prodotti, materiali che spesso non sono rinnovabili. Per quante fandonie si possano raccontare per poter continuare a vendere qualsiasi cosa, fortunatamente dai limiti terrestri non si scappa. La vera green economy e l’uso delle energie rinnovabili hanno senso solo se si mette in discussione la crescita e se per ogni prodotto ci si chiede se veramente è utile e quale è il suo grado di rinnovabilità. A certi nuovi convertiti, a cui non è mai interessato nulla dell’ambiente, importa maggiormente il portafoglio; lo dimostra in Italia il boom del fotovoltaico che spesso è stato solo speculazione. Il fotovoltaico fra le energie rinnovabili è quella che ha il rendimento minore ed è la meno interessante da un punto di vista ambientale. Ha molto più senso coibentare la casa con materiali naturali, quelli sì rinnovabili; e con quelli si abbassano drasticamente i consumi di riscaldamento e raffrescamento fino quasi a eliminarli del tutto, come per le case passive.Sono tanti coloro che hanno installato pannelli fotovoltaici nella propria casa o azienda e hanno continuato a consumare come e più di prima; in questo caso più che green economy si tratta di stupid economy. Agire così non ha senso e ha solo arricchito imprenditori senza scrupoli che si sono buttati sul fotovoltaico esclusivamente perché rendeva; poi gli stessi li vedi andare in giro in mega Suv, Maserati o Ferrari, che in quanto a protezione ambientale e risparmio energetico sappiamo bene essere il top. Per quanto ci si possa illudere o mettersi adesso questa copertina trasparente della green economy, non si scappa: è la crescita il problema e finchè quella non sarà messa in discussione e accantonata, non ci saranno rinnovabili o green economy che tengano. Anche le multinazionali dell’energia, dopo aver inquinato tutto l’inquinabile, si stanno buttando sulle rinnovabili ma dal punto di vista centralizzato, cioè l’energia ce la devono comunque vendere loro, mica ci dicono di renderci autonomi, che è invece la peculiarità principale delle energie rinnovabili stesse.Le risorse sono finite, inutile prenderci in giro; tutto quello che si produce deve essere attentamente vagliato per fare in modo che sia rinnovabile o comunque, se si utilizzano risorse finite, occorre fare in modo che i prodotti si possano riparare, riciclare, rendendone la vita più lunga possibile: l’esatto contrario di quello che dice il dogma del PIL, che per crescere ha assolutamente bisogno di usa e getta a ritmo continuo e più le discariche aumentano e più il Pil gioisce. Ma verrà un giorno, non molto lontano, che malediremo i sacerdoti del Pil mentre ci ritroveremo a scavare nelle discariche per trovare materiali preziosi che nel tempo della follia consumistica avevamo così stupidamente buttato per fare ingrassare industriali e politici senza scrupoli.(Paolo Ermani, “Le energie rinnovabili e la green economy non basteranno a salvarci”, da “Il Cambiamento” del 29 aprile 2016).Che si producano milioni di prodotti inutili con le fonti fossili o con il solare, sempre prodotti inutili saranno e quello che si guadagna ambientalmente o energeticamente da una parte, lo si perde dall’altra. Per quanto sia certamente meglio utilizzare il solare piuttosto che il petrolio, comunque si sprecano preziose risorse non rinnovabili per produrre qualcosa di inutile. Pensiamo alle automobili; si fa un gran parlare dell’auto elettrica come se fosse la soluzione magica. Ma ve le immaginate centinaia di milioni di auto elettriche di quante risorse ed energia hanno bisogno per essere prodotte? Risorse che non sono di certo rinnovabili, perché quello che c’è dentro ad un’auto ha poco di rinnovabile. A meno che non la si voglia fare tutta di legno, ma allora non è più un’automobile ma un carretto e serve il cavallo, difatti è lì che andremo a finire se non fermiamo la follia della crescita. Inutile poi diminuire il consumo di carburante per automobile se poi ogni anno le vetture aumentano sempre di più e vanificano il risultato ottenuto dal minor consumo.
-
Mervyn King: uscite dall’euro, è l’Ue che ha fabbricato la crisi
Il profondo malessere economico dell’Europa è il risultato di scelte politiche “deliberate” fatte dalle élite europee, secondo l’ex governatore della Banca d’Inghilterra. Lord Mervyn King ha continuato il suo caustico attacco all’Unione economica e monetaria dell’Europa, dopo aver predetto che l’Eurozona afflitta dai problemi dovrà essere smantellata per liberare i suoi membri più deboli da austerità incessante e livelli record di disoccupazione. Parlando in occasione del lancio del suo nuovo libro, Lord King ha detto che non avrebbe mai potuto immaginare che un collasso economico dell’intensità degli anni ’30 sarebbe ritornato sui lidi europei in età moderna. Ma il destino della Grecia – che ha subito una contrazione che eclissa la depressione degli Stati Uniti negli anni tra le due guerre – dal 2009 è stato un esempio “spaventoso” del fallimento della politica economica, ha detto al pubblico presso la London School of Economics. «Nell’area dell’euro, i paesi della periferia non possono fare assolutamente nulla per compensare l’austerità. E’ stato semplicemente chiesto loro di tagliare la spesa totale, senza alcuna forma di compensazione per la domanda. Credo che sia un problema serio».«Non avrei mai immaginato che avremmo di nuovo avuto una depressione più profonda di quella che gli Stati Uniti hanno sperimentato negli anni ’30 in un paese industrializzato e questo è quello che è successo in Grecia. E ‘spaventoso ed è successo quasi come fosse un atto deliberato di politica, cosa che lo rende ancora peggiore». Lord King – che ha trascorso un decennio nella Banca d’Inghilterra a combattere la peggiore crisi finanziaria della storia – ha detto che i membri più deboli della zona euro non hanno altra scelta che tornare alle loro monete nazionali come «l’unico modo per tracciare un percorso di ritorno alla crescita economica e alla piena occupazione». “I benefici a lungo termine contano più dei costi a breve termine”, scrive in “The End of Alchemy”, il suo ultimo libro. L’ex governatore della banca ha detto che è probabile che la disillusione popolare sulle politiche economiche dell’Ue porti alla disintegrazione della moneta unica, piuttosto che ad un altro passo per “completare” l’unione monetaria.Due delle nazioni debitrici della zona euro – Irlanda e Spagna – sono attualmente bloccate in una fase di stallo elettorale dopo che i loro governi pro-salvataggi non sono riusciti ad ottenere l’appoggio degli elettori. Ma la Commissione Europea si è difesa dalle accuse secondo le quali le punitive misure di austerità hanno reso ineleggibili i governi europei in carica, sostenendo che la politica economica di Bruxelles rappresenta un “triangolo virtuoso” di austerità, riforme strutturali e investimenti. Al di fuori dell’Eurozona, Lord King ha messo in guardia contro l’eccessivo pessimismo sulle prospettive a lungo termine per l’economia mondiale, respingendo la tesi della “stagnazione secolare” resa popolare negli ultimi anni da economisti del calibro del segretario al Tesoro degli Usa Larry Summers. Ha detto che è stato un “grave errore” credere che la produttività – che è rimasta piatta in tutto il mondo sviluppato dall’inizio della crisi – non tornerà a crescere perché lo sviluppo tecnologico si è esaurito: al contrario, l’attuale ondata di nuove ricerche e di innovazione significa che il 21° secolo sarà il «secolo d’oro della scoperta scientifica».«Non vedo assolutamente alcuna ragione per supporre che poiché abbiamo avuto una crisi bancaria e una recessione [le idee, l’innovazione e l’imprenditorialità] sono definitivamente scomparse. Non lo sono e sono in attesa di riprendersi. Il pensiero che tutte queste idee non riusciranno ad avere influssi pratici nel migliorare i nostri standard di vita sembra straordinariamente pessimista, qualcosa che non ha di fatto alcun fondamento nel corso degli ultimi 250 anni di crescita economica». Il libro di Lord King delinea una critica degli squilibri endemici che hanno afflitto l’economia globale negli ultimi decenni. Il fallimento nell’affrontare le disparità tra alti tassi di risparmio e alti tassi di spesa in parti diverse del mondo potrebbe portare i decisori politici a camminare come sonnambuli verso un’altra crisi, ha avvertito. Nel frattempo, le politiche delle banche centrali tese ad aumentare i livelli di domanda e ad incoraggiare la spesa sono state risposte necessarie ma non sufficienti al malessere della crescita del mondo, «guadagnando soltanto tempo» per i decisori politici. «Dobbiamo usare questo tempo per muovere le economie dal loro attuale disequilibrio in un nuovo equilibrio in cui vi è un giusto bilanciamento tra spesa e risparmio, esportazioni e consumo», ha detto. «Solo allora potremo raggiungere una rapida crescita, e l’inflazione stabile. Questo è il premio. Credo che ce la possiamo fare».(Mehreen Khan, “L’euro-depressione è una scelta intenzionale della Ue, secondo l’ex governatore della Bank of England”, dal “Telegraph” del 1° marzo 2016, ripreso da “Voci dall’Estero”).Il profondo malessere economico dell’Europa è il risultato di scelte politiche “deliberate” fatte dalle élite europee, secondo l’ex governatore della Banca d’Inghilterra. Lord Mervyn King ha continuato il suo caustico attacco all’Unione economica e monetaria dell’Europa, dopo aver predetto che l’Eurozona afflitta dai problemi dovrà essere smantellata per liberare i suoi membri più deboli da austerità incessante e livelli record di disoccupazione. Parlando in occasione del lancio del suo nuovo libro, Lord King ha detto che non avrebbe mai potuto immaginare che un collasso economico dell’intensità degli anni ’30 sarebbe ritornato sui lidi europei in età moderna. Ma il destino della Grecia – che ha subito una contrazione che eclissa la depressione degli Stati Uniti negli anni tra le due guerre – dal 2009 è stato un esempio “spaventoso” del fallimento della politica economica, ha detto al pubblico presso la London School of Economics. «Nell’area dell’euro, i paesi della periferia non possono fare assolutamente nulla per compensare l’austerità. E’ stato semplicemente chiesto loro di tagliare la spesa totale, senza alcuna forma di compensazione per la domanda. Credo che sia un problema serio».
-
Se cade Renzi, i poteri forti punteranno sul grillino Di Maio
A quanto pare il cerchio si chiude attorno a Renzi. L’idillio tra il premier e i poteri forti sembra giunto al termine, e ora gli stessi che deridevano l’attacco dei poteri forti contro il governo Berlusconi nel 2011, gridano al complotto dell’élite transnazionale contro il governo. Si evoca spesso l’intervento di questi poteri, ma non se ne ricordano altrettanto le origini. Tradizionalmente le sorti dello stivale in politica estera ed economica ruotano attorno all’asse trilaterale Washington-Londra-Berlino. All’interno di questo asse ci sono i grandi gruppi industriali tedeschi, la finanza speculativa anglosassone e le corporation statunitensi. Ognuno di questi gruppi ha un peso specifico, e un ruolo determinante nell’influenzare i destini degli esecutivi nazionali. Chiunque si candidi a fare il premier viene sottoposto a un esame preventivo, che se superato, porterà all’esecuzione dell’agenda di questi poteri. Qualora si violino queste prescrizioni, si viene prontamente sostituiti, non prima però di essere stato oggetto di una feroce campagna stampa oppure di inchieste giudiziarie.Renzi aveva accettato questa convenzione, aveva accettato cioè di sottoporsi alle indicazioni dell’élite transazionale fino a quando non ha iniziato a mostrare dei segnali di ribellione. Il suo compito era quello di accompagnare l’Italia sul patibolo dell’Europa, avvicinandola a un destino molto simile a quello della Grecia di Tsipras, umiliata e nelle mani della Germania che ora controlla gli asset strategici della penisola ellenica. Sorge una controindicazione in tutto questo: applicare questo tipo di politiche, non aumenta di certo i consensi presso l’opinione pubblica. Persino i media, con il loro fiume di informazioni omologate e preconfezionate, non riescono a sorreggere il politico che si incarica di portare avanti l’eutanasia economica e culturale del proprio Paese. Se si fa come dice l’Europa e la Germania, si crolla nei sondaggi e addio ad un secondo mandato politico; se ci si ribella, si mette in moto la macchina della magistratura e dell’informazione, che prima o poi raggiunge sempre il suo obbiettivo. L’ambizione e la spregiudicatezza di Renzi non sono disposte a rinunciare a tanto, che ora è costretto a giocarsi fino in fondo la sua partita.Il caso del ministro Guidi è solo l’ultimo esempio di come questa macchina si sia messa in moto, e abbia deciso di stritolare il governo. Non rileva tanto la condotta certamente disdicevole della Guidi o i conflitti d’interessi del ministro Boschi, ma il fatto che a nessun organo di stampa, prima, era passato per la mente di segnalare delle macroscopiche situazioni di incompatibilità istituzionale che questi membri del governo hanno con gli interessi pubblici. La famiglia del ministro Boschi aveva già da tempo stretti legami con il mondo bancario e il ministro Guidi, è membro della Commissione Trilaterale, un’organizzazione sovranazionale formata da esponenti governativi, rappresentanti del mondo finanziario e industriale che si propone nei suoi scopi quello di affermare, come ha ricordato il suo fondatore David Rockefeller, ‘la sovranità sovranazionale di un’élite intellettuale e di banchieri mondiali, sicuramente preferibile alle autodeterminazioni nazionali dei secoli scorsi’.Non è forse questa circostanza altrettanto e forse ben più grave, dell’interessamento manifestato dal ministro Guidi per l’azienda del suo compagno? La Trilaterale viola palesemente il dettato costituzionale ma nessun media ha mai pensato di mettere in discussione l’appartenenza della Guidi a questa organizzazione, fautrice di un governo di un’élite priva della sovranità popolare e che agisce per fini propri, spesso in aperto contrasto con i principi democratici. Solo ora si denunciano degli scandali visibili da tempo, e tutto questo non può non suscitare una riflessione sulla tempistica e sulle motivazioni di questa improvvisa attenzione. Solo l’ingenuità o la malafede possono far credere all’ ipotesi di un improvviso ravvedimento dei media.Mentre Renzi cade in disgrazia, il M5S inizia a raccogliere le attenzioni di quei poteri un tempo amici del rottamatore. Luigi Di Maio, l’uomo che nel movimento grillino rivestirebbe le funzioni di premier, ha iniziato una serie di colloqui con gli ambasciatori dei 28 paesi Ue. Oggetto dei colloqui sono state le posizioni del Movimento sull’Europa e sull’Unione Monetaria, molto critiche in passato e che ora sembrano decisamente più concilianti. Lo stesso Di Maio ha stupito i diplomatici europei, tanto da giudicare “troppo dure” le vecchie posizioni del Movimento sull’Europa, in quello che è sembrato un atto di contrizione in piena regola del politico napoletano. Un’attitudine che ha rassicurato le grandi cancellerie europee, che adesso sembrano aumentare la loro concessione di credito al Movimento, un tempo considerato impresentabile. Lo stesso esame al quale si era sottoposto Renzi prima del 2014, adesso viene affrontato e superato da Di Maio nel 2016. Se il governo Renzi soccomberà, il M5S è già pronto a raccoglierne il testimone.(Cesare Sacchetti, “Matteo Renzi, i poteri forti lo scaricano e iniziano a interessarsi al M5S”, da “Il Fatto Quotidiano” del 5 aprile 2016).A quanto pare il cerchio si chiude attorno a Renzi. L’idillio tra il premier e i poteri forti sembra giunto al termine, e ora gli stessi che deridevano l’attacco dei poteri forti contro il governo Berlusconi nel 2011, gridano al complotto dell’élite transnazionale contro il governo. Si evoca spesso l’intervento di questi poteri, ma non se ne ricordano altrettanto le origini. Tradizionalmente le sorti dello stivale in politica estera ed economica ruotano attorno all’asse trilaterale Washington-Londra-Berlino. All’interno di questo asse ci sono i grandi gruppi industriali tedeschi, la finanza speculativa anglosassone e le corporation statunitensi. Ognuno di questi gruppi ha un peso specifico, e un ruolo determinante nell’influenzare i destini degli esecutivi nazionali. Chiunque si candidi a fare il premier viene sottoposto a un esame preventivo, che se superato, porterà all’esecuzione dell’agenda di questi poteri. Qualora si violino queste prescrizioni, si viene prontamente sostituiti, non prima però di essere stato oggetto di una feroce campagna stampa oppure di inchieste giudiziarie.
-
Soros e i Putin-Papers, quando il pesce puzza dalla testa
«Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva – ho pensato – ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato». Così Massimo Mazzucco liquida immediatamente la super-sparata giornalistica destinata a screditare il leader russo. Ed è in buona compagnia: la stessa Wikileaks, scrive la “Stampa”, accusa gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere dietro i “Panama Papers”, e in particolare dietro all’attacco sferrato contro il presidente russo. Lo twitta l’organizzazione di Julian Assange, secondo cui tutto sarebbe passato attraverso l’Occrp (Organized Crime and Corruption Project), finanziato da Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo. La struttura che fa capo a Soros, si legge sul sito di Wikileaks, oltre che da Usaid è appoggiata dalle Open Society Foundations, nonché da organizzazioni giornalistiche come l’International Consortium of Investigative Journalists, da “Scoop” e dal Cpi, Center for Public Integrity.«La notizia dei Panama Papers, infatti, non avrebbe nulla di sconvolgente, se non fosse per il risalto esagerato che si è voluto dare alla figura del leader russo all’interno di questo presunto nuovo scandalo», scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. «Ma quando vedi che tutte le testate occidentali – dal New York Times alla Bbc, dall’Espresso alla Cnn – mettono l’accento su Vladimir Putin, allora ti viene da sorridere: è chiaro che si tratta di una operazione di discredito progettata a tavolino». La cosa più “divertente”? «Tutte queste testate si danno un gran da fare per riempire la prima pagina con le foto dei vari personaggi coinvolti nello scandalo – da Cameron a Montezemolo, da Messi a Jackie Chan – ma il primo in alto a sinistra è quasi sempre lui: Vladimir Putin». Un’altra cosa che salta all’occhio, in una rosa così forbita di grossi personaggi mondiali, è «la totale assenza di un qualunque nome americano di rilievo». È come se il Dipartimento di Stato avesse chiesto alla Cia: avete qualcosa da poter utilizzare contro Putin? Sì, certo. Un bel mazzo di grossi nomi, che nascondono i loro soldi a Panama. Basta aggiungerci quello di Putin e far circolare lo “scoop” sui soliti canali, avendo però cura si “sbianchettare” gli americani.«La predominanza totale della figura di Putin da un lato, e la totale assenza di grossi nomi americani dall’altro, porta automaticamente a sospettare che questa sia la classica operazione telecomandata da Washington, per portare avanti la campagna di discredito contro il leader russo», conclude Mazzucco. «La tragedia è che ora, pur di stare al gioco, i giornalisti di mezzo mondo fanno finta di credere che se davvero un uomo come Putin volesse nascondere i soldi dalle tasse, sarebbe costretto a mettersi nelle mani di una qualunque holding di offshore panamense (pronta a ricattarlo in qualunque momento)». Non è credibile, secondo l’analista italiano, che il capo del Cremlino abbia dovuto far ricorso a simili sistemi di elusione fiscale: «Queste cose le fanno gli industriali e i personaggi pubblici di mezzo mondo, non le fanno gli ex-capi del Kgb».«Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva – ho pensato – ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato». Così Massimo Mazzucco liquida immediatamente la super-sparata giornalistica destinata a screditare il leader russo. Ed è in buona compagnia: la stessa Wikileaks, scrive la “Stampa”, accusa gli Stati Uniti e il miliardario americano d’origine ungherese George Soros di essere dietro i “Panama Papers”, e in particolare dietro all’attacco sferrato contro il presidente russo. Lo twitta l’organizzazione di Julian Assange, secondo cui tutto sarebbe passato attraverso l’Occrp (Organized Crime and Corruption Project), finanziato da Usaid, l’agenzia Usa per lo sviluppo. La struttura che fa capo a Soros, si legge sul sito di Wikileaks, oltre che da Usaid è appoggiata dalle Open Society Foundations, nonché da organizzazioni giornalistiche come l’International Consortium of Investigative Journalists, da “Scoop” e dal Cpi, Center for Public Integrity.
-
Cremaschi: l’euro-trappola sgonfia le bolle di Draghi e Renzi
Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.Poi anche i contratti nazionali furono un po’ alla volta smantellati. Infine dilagarono disoccupazione di massa e precarietà, per spinte del mercato e per volontà delle leggi. Leggi che un po’ alla volta distrussero le tutele dei lavoratori di fronte all’impresa, fino alla libertà di licenziamento garantita dal Jobs Act. Ora Draghi presta danaro a costo zero, perché spera che così ci sia un po’ di aumento dei prezzi, ma i prezzi non crescono. Perché nessuno compra visto che i salari continuano a sprofondare. Se non facesse rabbia ci sarebbe da sorridere nel verificare che i signori del liberismo raccolgono ciò che hanno seminato. Volevano distruggere i salari per accrescere i profitti, ora che avrebbero bisogno di più salari per far ripartire l’economia e gli stessi profitti, devono constatare che la loro distruzione ha creato il deserto. Così continuano a dare soldi alle banche sperando che queste le trasformino in chissà quale sviluppo. Ridicolo.Draghi presta i soldi al sistema bancario ad interesse zero, ma se io voglio un prestito devo pagare interessi del sette per cento. E se ho uno salario, ed è già una fortuna, questo è sostanzialmente bloccato. Come l’economia. Così i soldi che Draghi regala alle banche restano lì e contribuiscono a gonfiare una bolla finanziaria che prima o poi esploderà su una economia reale sempre più in crisi. Le Borse sanno perfettamente tutto questo e così, dopo aver incamerato qualche guadagno, hanno ricominciato a franare verso il basso. Anche Renzi ha costruito la sua bolla. Ha speso undici miliardi di euro per finanziare assunzioni. Le aziende si sono buttate sopra questo improvviso Bengodi, e hanno così concentrato in pochi mesi le assunzioni che intendevano fare in tempi più lunghi. Anche perché gran parte di esse non erano nuovi posti di lavoro, ma trasformazione di contratti già esistenti. E soprattutto perché il Jobs Act garantisce che questi nuovi assunti possano essere licenziati in qualsiasi momento. Così, appena son calati gli incentivi, il mercato del lavoro è crollato a livelli inferiori a quelli del 2014.Era già successo con la rottamazione delle auto. Finiti gli incentivi degli anni 90 del secolo scorso il mercato automobilistico è piombato in una depressione decennale. Anche la rottamazione dei diritti del lavoro ora segue lo stesso ciclo, e la bolla occupazionale voluta da Renzi comincia già a sgonfiarsi. Prendersela con le misure costose e sostanzialmente inutili di Draghi e Renzi è giusto, ma non sufficiente. Le loro bolle sono la conseguenze di scelte che sono scritte nei trattati europei e nella politica economica di tutti i governi del continente. La lotta all’inflazione è nel trattato di Maastricht, mentre quella alla disoccupazione lì non è prevista. Il taglio dei salari e la distruzione dello stato sociale sono prescritti dalla riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che impone il pareggio di bilancio. Al resto ci pensa poi il Fiscal Compact. Se non si mettono in discussione l’euro e i trattati europei che impongono le politica di austerità, se si continua con distruzione dei salari e dei diritti del lavoro, tutti soldi immessi nell’economia finiranno in bolle speculative. Renzi e Draghi sono come due amministratori di condominio che di fronte al crollo progressivo della casa continuino a spender soldi per riverniciarla. Sono sicuramente colpevoli, ma non perché usano poca vernice.(Giorgio Cremaschi, “Si sgonfiano le bolle di Renzi e Draghi”, da “Micromega” del 18 marzo 2016).Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.
-
Daily Mail: troppe medicine inutili e letali, migliaia i morti
L’ex medico personale della Regina ha chiesto che si faccia con urgenza un’inchiesta pubblica sulle “oscure” pratiche delle aziende farmaceutiche. Sir Richard Thompson, ex presidente del Royal College of Physicians, nonché medico personale della Regina per 21 anni, ha avvertito che molti farmaci potrebbero essere meno efficaci di quanto si pensi. Thompson è membro di un gruppo di sei noti medici che oggi hanno messo in guardia sull’influenza che le case farmaceutiche hanno nella prescrizione dei medicinali. Gli esperti, guidati dal cardiologo Aseem Malhotra, del sistema sanitario nazionale, sostengono che troppo spesso ai pazienti vengono date medicine inutili – e talvolta dannose – di cui possono fare a meno. Affermano che le case farmaceutiche sviluppano medicinali da cui trarre profitto più che medicinali che abbiano effettivamente il maggiore beneficio per i pazienti. I sei medici accusano inoltre il sistema sanitario nazionale per la sua incapacità di opporsi ai giganti dell’industria farmaceutica.«È venuto il tempo di fare un’inchiesta pubblica che sia ampia e trasparente sul modo in cui viene rilevata la reale efficacia dei medicinali», ha detto Thompson. «C’è il concreto pericolo che alcuni trattamenti farmaceutici siano molto meno efficaci di quanto si pensasse finora». Il medico ha aggiunto che questa campagna mette in luce «la base debole, e talvolta oscura, del modo in cui si valuta l’efficacia e l’uso dei medicinali, specialmente nel caso degli anziani». Scrivendo al “MailOnLine”, il dottor Malhotra ha detto che il conflitto d’interessi commerciale sta contribuendo a «un’epidemia di medici e pazienti disinformati e fuorviati, nel Regno Unito e non solo». Ha aggiunto anche che il sistema sanitario nazionale nel suo complesso sta somministrando un’eccessiva quantità di farmaci ai suoi pazienti, e che gli effetti collaterali dell’eccesso di medicine stiano causando una quantità innumerevole di morti.Malhotra sostiene inoltre che studi empirici sulle statine – farmaci contro il colesterolo somministrati a milioni di persone – non sono mai stati pubblicati, e che simili dubbi sorgono anche sul Tamiflu, un farmaco che è costato al sistema sanitario nazionale quasi 500 milioni di sterline. Il gruppo dei sei medici ha chiesto di essere convocato presso la Commissione parlamentare per l’audizione pubblica al fine di svolgere un’inchiesta indipendente sulla sicurezza delle medicine. Affermano che i finanziamenti pubblici vengono spesso forniti alla ricerca medica sulla base del fatto che questa potrà essere redditizia, non sul fatto che sarà utile ai pazienti. «Non c’è dubbio che alla base dell’assistenza sanitaria ci sia una cultura del tipo ‘più medicine è meglio’, il che è esacerbato dagli incentivi finanziari all’interno del sistema stesso, che portano a prescrivere sempre più farmaci e a mettere in atto sempre più procedure mediche», afferma il dottor Malhotra. «Ma c’è anche un altro inquietante ostacolo alla crescita di consapevolezza su – e dunque alla risoluzione di – questi problemi, ed è qualcosa di cui tutti dovremmo essere preoccupati. Si tratta dell’informazione che viene fornita ai medici e ai pazienti al fine di guidare le decisioni sul trattamento».Malhotra ha accusato le aziende farmaceutiche di «ingannare il sistema» spendendo in pubblicità e marketing il doppio di quanto spendano in ricerca medica. Ha dichiarato inoltre che la prescrizione di farmaci fa spesso più male che bene, e i rischi maggiori li sopportano gli anziani. Un ricovero ospedaliero su tre negli over-75 è dovuto alla reazione avversa a un farmaco, ha detto. Oltre che da Richard Thompson, il dottor Malhotra è sostenuto anche dal professor John Ashton, presidente della Facoltà di Scienze della Salute, dallo psichiatra J.S. Bamrah, presidente della British Association of Psysicians of Indian Origin, dal cardiologo Rita Redberg, editore della rivista medica “Jama Internal Medicine”, e infine dal professor James McCormack, scienziato farmaceutico. Il dottor Malhotra, che ha lanciato la campagna a titolo personale, è capo del think-tank per la salute del King’s Fund, membro dell’Academy of Medical Royal Colleges, e consigliere del Forum Nazionale sull’Obesità. Le sue critiche si rivolgono in particolare alla recente drammatica crescita delle prescrizioni di statine. Nice – l’ente del sistema sanitario nazionale deputato al razionamento dei farmaci – nel 2014 ha deciso di abbassare la soglia per la prescrizione di statine in modo da incoraggiare i medici a prescriverle a più persone.È poi emerso che sei dei dodici membri della commissione ricevevano finanziamenti da case farmaceutiche – in parte tramite pagamenti diretti in cambio di “consulenze” o seminari, e in parte tramite fondi di ricerca. Il dottor Malhotra sostiene che uno studio completo e definitivo sull’efficacia delle statine e sui loro effetti collaterali non è mai stato pubblicato. Lo stesso dice dell’efficacia del Tamiflu, un farmaco contro l’influenza per il quale il sistema sanitario ha già pagato 473 milioni di sterline. Un resoconto del 2014 di un gruppo di noti ricercatori ha concluso che il Tamiflu non risultava maggiormente efficace del comune paracetamolo [anche noto come Tachipirina, NdT].Il dottor Malhotra cita anche un’indagine della rivista medica “Bmj”, che all’inizio del mese ha suggerito che Rivaroxaban, importante farmaco anticoagulante, non è così sicuro e privo di rischi come gli studi pubblicati suggerivano, per quanto le autorità difendano l’uso del farmaco. Scrive: «Per amore della nostra futura salute e della sostenibilità del sistema sanitario nazionale, è tempo che si metta in campo una vera azione collettiva contro l’eccesso di medicine, iniziando dalla Commissione parlamentare per l’audizione pubblica, affinché lanci un’inchiesta indipendente sull’efficacia e la sicurezza dei farmaci». Aggiunge il professor Ashton: «La salute pubblica dipende da un’ampia e accurata base di evidenza empirica che tenga conto anche della convenienza, al fine di garantire che vengano prese decisioni in base alla migliore ricerca disponibile, decisioni finalizzate a migliorare e proteggere la salute delle persone, nonché a stabilire nel modo migliore quale sia la priorità della cura per ciascun paziente».(Anna Hodgekiss e Ben Spencer, articolo apparso sul “Daily Mail” del 23 febbraio 2016, tradotto e ripreso da “Luogo Comune”: “Big Pharma sta uccidendo decide di migliaia di persone nel mondo”).L’ex medico personale della Regina ha chiesto che si faccia con urgenza un’inchiesta pubblica sulle “oscure” pratiche delle aziende farmaceutiche. Sir Richard Thompson, ex presidente del Royal College of Physicians, nonché medico personale della Regina per 21 anni, ha avvertito che molti farmaci potrebbero essere meno efficaci di quanto si pensi. Thompson è membro di un gruppo di sei noti medici che oggi hanno messo in guardia sull’influenza che le case farmaceutiche hanno nella prescrizione dei medicinali. Gli esperti, guidati dal cardiologo Aseem Malhotra, del sistema sanitario nazionale, sostengono che troppo spesso ai pazienti vengono date medicine inutili – e talvolta dannose – di cui possono fare a meno. Affermano che le case farmaceutiche sviluppano medicinali da cui trarre profitto più che medicinali che abbiano effettivamente il maggiore beneficio per i pazienti. I sei medici accusano inoltre il sistema sanitario nazionale per la sua incapacità di opporsi ai giganti dell’industria farmaceutica.