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Trump ha una pistola alla tempia, soccomberà anche lui?
«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?«Vedremo quanto Trump saprà resistere a questi “avvertimenti” nemmeno troppo velati», dichiara il regista Massimo Mazzucco, autore di importanti documentari sul maxi-attentato del 2001 che ha cambiato la storia del pianeta, proiettando le guerre americane in ogni continente. Intervenendo a “Border Nights”, trasmissione web-radio condotta da Fabio Frabetti, Mazzucco sostiene che l’elevata vocazione “criminale” di Hillary Clinton rivela la vera natura dei poteri che l’hanno sostenuta, gli stessi che oggi già assediano Trump. La vera colpa della Clinton, agli occhi degli elettori che alla fine si sono rassegnati a votare Trump? «Non solo ha usato il server di casa anziché quello del ministero degli esteri, ma ha anche cancellato 30.000 email per sottrarle all’Fbi, salvo poi andare in televisione a dire, mentendo, di aver messo tutte le email a disposizione delle indagini». Da quelle email, hackerate da Wikileaks, emergono retroscena imbarazzanti: milioni di dollari incamerati dalla Fondazione Clinton in cambio di favori a paesi arabi filo-Isis, concessi da Hillary quando era Segretario di Stato, e in più lo scandalo di Bengasi, con l’uccisione dell’ambasciatore americano, cioè dell’uomo che avrebbe potuto provare il traffico di armi che dalla Libia venivano fatte affluire in Siria, sotto copertura Usa, per rovesciare Assad.Bene per noi europei, se ha vinto Trump: in teoria, avremo meno tensioni e meno guerre. A favore del neoeletto depongono alcuni aspetti rilevanti: «E’ l’unico presidente americano, almeno negli ultimi 50 anni, ad aver vinto una campagna elettorale solamente con i suoi soldi», sottolinea Mazzucco. «Ha speso un centesimo, credo, di quello che ha speso la Clinton, e quindi ha vinto meritatamente, per quello che ha detto». Da qui in poi, però, è possibile che accada di tutto: «Temo che Trump sia talmente inesperto da circordarsi di gente dell’establishment». Sta già accadendo: come capo di gabinetto, posizione fondamentale nel governo americano, Trump ha scelto Reince Priebus, cioè il segretario nazionale del partito repubblicano, «lo stesso partito repubblicano che ha cercato in tutti i modi di far fuori Trump e che adesso cerca di controllarlo attraverso la scelta del suo capo di gabinetto». Altra scelta fondamentale, «passata inosservata ma che si dimosterà molto significativa nel corso del tempo», è il vicepresidente che «gli hanno messo di fianco», Mike Pence: «Non è affatto un governatorino di campagna come sembra, tranquillo e tradizionalista». Al contrario: «E’ un forsennato, feroce, fetente neocon della prima ora».Mike Pence, continua Mazzucco, è l’uomo che nel 2001, subito dopo l’11 Settembre, si occupò di inondare i media con la propaganda del caso-antrace, appena due mesi dopo l’attentato alle Torri. Con “lettere all’antrace” venivano minacciati diversi senatori, «stranamente tutti democratici, e stranamente tutti quelli che chiedevano di fare una commissione senatoriale sull’11 Settembre, che poi infatti non si fece». Fu proprio Pence ad alimentare la teoria che quell’antrace venisse da Saddam Hussein, «perché lui era mandato avanti da neocon come Cheney e Rumsfeld, che avevano bisogno di una scusa per portare la guerra in Iraq». E quando l’Fbi, «in uno strano gesto di onestà», dichiarò che l’antrace non veniva dall’Iraq ma era “scappato” da un laboratorio Usa, lo stesso Pence scrisse una lettera aprerta al ministro giustizia di allora, John Ashcroft, dicendo: “Lo sappiamo tutti che l’antrace è di Saddam”. «Questo – dice Mazzucco – dimostra che Mike Pence non è affatto un tranquillo governatore di campagna, è un mastino da guerra dei neocon. E sono convinto che l’abbiamo messo accanto a Trump proprio per cercare di condizionare la sua politica estera».Donald Trump è davvero isolazionista, «ha capito benissimo che il mondo sta in piedi fin che c’è un equilibrio e ognuno si fa gli affari suoi: Russia, Cina e Stati Uniti. Non si può continuare a andare a invadere dappertutto». Ma se Trump si rivelasse “troppo” isolazionista, cioè non-guerrafondaio, «Mike Pence cercherà sicuramente di condizionare la sua politica estera verso una strategia più aggressiva». Mazzucco è convinto che per Trump sarà durissima: «Se si dimostra sordo nel continuare le strategie imperialistiche in Medio Oriente, o gli sucede qualcosa (e diventa presidente Mike Pence), o comunque in qualche modo riusciranno a convincerlo. Un po’ come convinsero Bush nel 2000, che in campagna elettorale – prima dell’11 Settembre – diceva le stesse cose diTrump: smettere di fare “nation building”, cioè conquistare paesi». Oggi, a preoccupare il Deep State sono i rapporti con Putin: la distensione in programma con Mosca è nelle corde di Trump, a partire dalla Siria: la priorità «non è più abbattere Assad, come voleva Obama, ma abbattere l’Isis, in collaborazione con Putin». Glielo lasceranno fare?Quasi a rassicurare una parte di quei poteri-ombra, Trump lascia capire che – in cambio – abbandonerà i palestinesi al loro destino: ha dichiarato che Gerusalemme sarà proprietà esclusiva di Israele e che gli insediamenti nei Territori Occupati non sono un ostacolo per la pace in Medio Oriente. Un’evidente concessione tattica alla lobby israeliana, che è uno dei poteri schierati con Hillary. Trump sta provando a destreggiarsi, ben sapendo che «difficilmente i veri poteri Usa si rassegneranno a perdere l’egemonia completa sul mondo». Se così fosse, c’è già Bolton a ricordargli che dovrà guardarsi anche dal “terrorismo interno”. La questione è della massima serietà e pericolosità, insiste Mazzucco: «Anche Obama, appena eletto, pensava davvero di potersi ritirare dall’Afghanistan». Forse non sapeva ancora che «le decisioni non le prende il presidente». Ogni mattina, alla Casa Bianca, riceve il briefing del capo dell’Fbi, che lo informa di quello che succede all’interno del paese, e quello del capo della Cia, che gli racconta quello che succede nel resto del mondo. «Quindi è chi controlla quei briefing che, in realtà, fa fare le scelte al presidente».«Se vai da Obama e gli dici: guarda che qui, a meno di mettere 30.000 soldati in più, ci portano via tutto, gli oleodotti, le basi che li controllano e anche le coltivazioni di oppio da cui dipende il traffico mondiale di eroina, che avviene sotto il controllo statunitense, è chiaro che ti trovi un Obama che, dopo aver vinto il Premio Nobel, manda 30.000 soldati in più in Afghanistan a combattere». Ma, appunto, «dipende da quello che gli raccontano i veri poteri», cioè il complesso militare-industriale, il Pentagono, la Cia: «Sono loro che cercheranno di condizionare anche Trump». Aggiunge Mazzucco: «Io al posto di Obama avrei preteso le prove di quanto mi veniva detto, ma è anche vero che le prove si fabbricano in fretta: è facile condizionare un presidente». Non ci riuscirono solo in un caso: quello di Kennedy. Fu «l’ultimo, vero presidente della storia americana». E cercò di smantellare la Cia, «proprio perché aveva capito che era diventato un centro di potere molto più forte della presidenza». Kennedy aveva già avviato lo smantellamento dell’intelligence: «Ha iniziato licenziando il capo della Cia, Allen Dulles, per la storia della Baia dei Porci», lo sgangherato piano per rovesciare Fidel Castro con il disastroso tentativo di invasione di Cuba, affidato a mercenari.Come sappiamo, però, Kennedy «non ha fatto in tempo a finire il lavoro: è stato fatto fuori da un’alleanza tra la Cia e la mafia», ovvero: «La Cia l’ha deciso e la mafia ha fatto l’esecuzione». Curiosamente, aggiunge Mazzucco, nel ruolo più importante della Commissione Warren, incaricata delle indagini ufficiali, il nuovo presidente Lyndon Johnson «ha messo proprio Allen Dulles, cioè l’ex direttore della Cia licenziato da Kennedy». A giudicare chi è fosse stato a uccidere Kennedy misero proprio la principale vittima politica di Kennedy, il “pezzo da novanta” che Jfk era riuscito a far fuori durante la sua presidenza. «I due Kennedy sapevano che sarebbero morti, ma decisero di andare fino in fondo». Due casi più unici che rari: «Non credo ci siano state altre persone così testarde, di fronte agli “avvisi” ricevuti». Bush abbandonò il suo isolazionismo, Obama il suo pacifismo. Di che stoffa è fatto Donald Trump lo vedremo solo adesso. «Visti i precedenti, c’è da temere davvero un attentato “false flag”, un grande “avvertimento” al neopresidente che vorrebbe archiviare la guerra». Ottimismo? In una battuta: forse si può davvero “tifare” per Trump, «se non altro perché non gli hanno ancora dato il Nobel per la Pace».«Qualunque cosa farà Trump sarà sempre un decimo dei danni che avrebbe potuto fare la Clinton», ma il problema ormai è un altro: riuscirà a resistere alle micidiali pressioni cui è già sottoposto dal super-potere che aveva puntato su Hillary? Il neoeletto deve vedersela con il complesso militare-industriale, i neocon, la Cia, il Pentagono: gente che ha liquidato i Kennedy, che ha messo al guinzaglio Obama, che riportò all’ordine persino Bush, lui pure – all’inizio – isolazionalista quanto Trump. Lo scrisse un neocon di razza come Michael Ledeen: «Quando Bush fu eletto, nel 2000, pensava all’America; poi venne l’11 Settembre e da quel momento capì che doveva continuare a occuparsi del mondo intero». Ledeen lo dice chiaramente, facendo capire che furono loro a fargli cambiare idea. «Oggi non serve neppure più eliminare fisicamente un presidente», spiega Massimo Mazzucco: «In genere bastano gli avvertimenti». Come quello, inequivocabile, che un altro neocon come John Bolton, già ambasciatore Usa all’Onu, ha appena rivolto a Trump: il neopresidente, secondo Bolton, dovrà stare in guardia «contro il terrorismo internazionale e anche il terrorismo interno». Nuovo 11 Settembre in arrivo? O basta la semplice minaccia?
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Biometria facciale, già foto-schedato un americano su due
Oggi, Facebook vanta oltre un miliardo e mezzo di utenti. Le loro facce sono pubbliche. Una colossale auto-schedatura planetaria. Non è uno scherzo: c’è chi sta lavorando per “classificare” ogni inviduo, magari utilizzando telecamere di sorveglianza nelle strade. Oggi, un americano adulto su due – cioè 117 milioni di persone – ha già avuto le sue foto sottoposte a questo genere di ricerche. In pratica, scrive la “Stampa”, si impiegano «algoritmi utilizzati dalle polizie di una trentina di Stati come fossero un semplice motore di ricerca». All’occorrenza, «si immette l’immagine del presunto criminale e si cerca un possibile collegamento con una foto tratta dalle banche dati delle patenti di guida o delle carte d’identità». O magari da Facebook, che è così comodo – ora, scrive Gianfranco Carpeoro proprio nella sua pagina Fb, meglio si capisce il nome, “faccia-libro”, del mega-network creato da Mark Zuckerberg all’indomani dell’11 Settembre, quando la Cia scoprì la necessità di dover controllare l’identità, l’orientamento e i movimenti di milioni di individui.A svelare che il 50% della popolazione statunitense è già stata sottoposta a schedatura digitale, con l’impiego di sofisticate tecnologie per il riconoscimento facciale, è un autorevole istituto, il “Center on Privacy & Technology” della Georgetown University. La tesi della ricerca, scrive Carola Frediani sul quotidiano torinese, è che l’adozione del riconoscimento facciale sia inevitabile, anche ai fini di sicurezza, e non possa o debba essere fermato, benché attualmente non sia ancora regolamentato. «Tra le criticità, dice lo studio, c’è il modo in cui sono usati questi sistemi: un conto è fare una ricerca per identificare qualcuno che è stato fermato o arrestato, un altro paio di maniche è avere l’immagine di un sospetto presa da una videocamera e cercarla in un database composto dalle patenti di comuni cittadini o da immagini riprese da videocamere mentre sono per strada». Nel primo caso si tratta di una ricerca mirata e al contempo pubblica, palese; nel secondo è invece tanto generica quanto invisibile. «Oggi, ogni dipartimento o agenzia locale americana fa quello che vuole».Andando a pescare dagli archivi delle patenti, però, l’Fbi sta costruendo una risorsa di dati biometrici che include cittadini rispettosi della legge, continua la “Stampa”. Storicamente, invece, le impronte digitali e il Dna erano sempre stati raccolti solo in relazione ad arresti o indagini criminali. Tutto ciò, dice lo studio, non ha precedenti ed è problematico. Così come lo è l’impiego di video in tempo reale, registrati dalle telecamere di sorveglianza: sono almeno cinque i dipartimenti di polizia che utilizzano funzioni di riconoscimento facciale di questo tipo su videocamere in strada. Inoltre, continua la Frediani, su 52 agenzie che adottano questa tecnologia, solo una proibisce espressamente il suo utilizzo per monitorare individui coinvolti in attività politiche o religiose. «Il rischio di utilizzi impropri, discriminatori ad esempio verso afroamericani o minoranze, è alto». Senza contare l’affidabilità (relativa) del sistema: solo due agenzie hanno subordinato l’acquisto a test di efficacia. E una delle maggiori aziende del settore, FaceFirst, che sostiene di avere un tasso di accuratezza del 95%, declina ogni responsabilità nel caso in cui non raggiunga la soglia prevista. «A ciò, va aggiunta l’assenza di controlli e meccanismi per rilevare eventuali abusi: solo nove agenzie su 52 registrano le ricerche effettuate nei database dai loro agenti».E l’Italia? Per ora lancia un bando: “Strumento utile per l’antiterrorismo”. L’industria del riconoscimento facciale, aggiunge Carola Frediani, è spinta anche dalle richieste di sicurezza degli Stati. Tra gli utilizzi più diffusi finora – ad esempio in Turchia – c’è la ricerca del volto di qualcuno fermato a una frontiera, dopo averlo fotografato con lo smartphone, e avendone poi collocata l’immagine su un database di sospettati o criminali. «Più complessa, ma molto ambita dalle forze di sicurezza, la ricerca fatta su immagini registrate da telecamere a circuito chiuso o riprese in tempo reale da videocamere di sorveglianza». Ambizione espressa anche del governo italiano, che con il ministro dell’interno Angelino Alfano aveva annunciato un potenziamento del sistema di sicurezza del nostro paese, che includeva anche questo genere di tecnologia. «Lo scorso novembre è stata indetta una gara pubblica da 56 milioni di euro per la fornitura di sistemi di videosorveglianza (per edifici pubblici e per il territorio) con funzioni di analisi video in tempo reale e riconoscimento facciale».In mano a uno stalker, però, questo dispositivo può diventare un’arma pericolosa, avverte la “Stampa”: «Una delle applicazioni commerciali più inquietanti del riconoscimento facciale è quella già adottata da alcune piattaforme di appuntamenti, come la russa FindFace», che utilizza una tecnologia avanzata «per abbinare foto scattate a sconosciuti per strada, per esempio attraverso lo smartphone, con i volti dei profili di iscritti a Vkontakte, una sorta di Facebook russo». Secondo i suoi creatori avrebbe un tasso di successo del 70%. Alcuni utenti che lo hanno testato sono riusciti a identificare donne fotografate in altri contesti. «È chiaro che il potenziale per stalking e abusi di ogni tipo è altissimo», ammette Frediani. Tutt’altro utilizzo è invece quello pensato dalla app di dating Heystax, che lavora sullo studio delle espressioni facciali dei suoi utenti mentre sono impegnati in una videochiamata con un potenziale partner. La pretesa qui è solo di «valutare la compatibilità emozionale della coppia».Infine, il sistema può permettere l’ingresso in alcuni edifici solo a determinate persone. «L’efficacia maggiore delle tecnologie di riconoscimento facciale avviene nei cosiddetti contesti cooperativi, laddove cioè le persone si fermano e si fanno volutamente inquadrare da videocamere», spiega la giornalista. «Un utilizzo che funziona per dare l’accesso a luoghi riservati: per esempio edifici o cantieri con esigenze particolari di sicurezza». L’azienda israeliana Fst Biometrics pubblicizza da qualche anno un sistema che dovrebbe funzionare da pass di ingresso negli edifici, al posto di chiavi, badge e password. Basta dare inizialmente una propria foto al sistema e poi, al momento dell’accesso, farsi inquadrare dalla videocamera. Tra le aziende in Italia c’è Eurotech a lavorare proprio su questo genere di applicazioni, promettendo un tasso medio di identificazione del 95%. Può monitorare il transito di un visitatore in un edificio o abbinare il suo volto a un documento precedentemente registrato per identificarlo.Oggi, Facebook vanta oltre un miliardo e mezzo di utenti. Le loro facce sono pubbliche. Una colossale auto-schedatura planetaria. Non è uno scherzo: c’è chi sta lavorando per “classificare” ogni inviduo, magari utilizzando telecamere di sorveglianza nelle strade. Oggi, un americano adulto su due – cioè 117 milioni di persone – ha già avuto le sue foto sottoposte a questo genere di ricerche. In pratica, scrive la “Stampa”, si impiegano «algoritmi utilizzati dalle polizie di una trentina di Stati come fossero un semplice motore di ricerca». All’occorrenza, «si immette l’immagine del presunto criminale e si cerca un possibile collegamento con una foto tratta dalle banche dati delle patenti di guida o delle carte d’identità». O magari da Facebook, che è così comodo – ora, scrive Gianfranco Carpeoro proprio nella sua pagina Fb, meglio si capisce il nome, “faccia-libro”, del mega-network creato da Mark Zuckerberg all’indomani dell’11 Settembre, quando la Cia scoprì la necessità di dover controllare l’identità, l’orientamento e i movimenti di milioni di individui.
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Luttwak: la Clinton non ha scampo, dovrà dimettersi
Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.«Di fronte alle nuove evidenze, Comey ha ritenuto di non poter più sorvolare su ipotesi di reato, come aveva fatto in luglio». Dal direttore dell’Fbi, una sfida senza precedenti rivolta al Dipartimento della Giustizia, che avrebbe coperto Hillary, spiega Luttwak in un’intervista a Cesare De Carlo per “Il Giorno”, ripresa da “Dagospia”. E se la Clinton comunque vincesse? «Avrebbe poca importanza», secondo Luttwak. «Allo stato dei fatti la nomina di uno Special Prosecutor sarebbe probabile, se – come pare – la Camera rimanesse repubblicana. E altrettanto probabilmente uno Special Prosecutor sarebbe l’inizio di un procedimento di impeachment». Uno “special prosecutor”: lo stesso Obama, come commissario provvisorio degli Stati Uniti? Il deputato Jason Chaffetz, presidente della Commissione per la sorveglianza delle attività governative, parla apertamente del problema Clinton: abbiamo tanto di quel materiale, ha detto, da tenerci occupati per due anni. «Voi in Europa non avete idea del grado di corruzione imputato ai Clinton», dice Luttwak. «Quando Hillary era segretario di Stato, avrebbe usato la carica pubblica per promuovere gli interessi della Fondazione e quelli della sua stessa famiglia».Un esempio: un principe del Qatar le avrebbe chiesto udienza per concludere un certo affare per il quale il Dipartimento di Stato avrebbe dovuto dare luce verde. Nessuna risposta. Allora il principe avrebbe fatto una ricca donazione. Le porte del Dipartimento si spalancano e l’affare viene concluso». Questi “affari” figuravano nelle e-mail private cancellate dopo l’ingiunzione da parte della polizia federale: in teoria, si tratta di “sottrazione di prove”. «Sì. È un reato. E lo è anche la notizia di questi giorni», cioè la comparsa di e-mail ufficiali, del Dipartimento di Stato, sul computer privato dell’ex marito di Huma Abedin: «Non ne conosco la sostanza. Ma già il fatto in sé è stato sufficiente in casi analoghi a spedire i colpevoli in prigione». Certo, lo stesso Comey in luglio non era arrivato a questa conclusione: aveva definito “imprudenza” la negligenza di avere usato server privati per la posta elettronica dell’ex segretario di Stato. «Differenza terminologica importante. Se avesse parlato di negligenza, l’incriminazione sarebbe stata inevitabile». Ora, Hillary teme lo tsunami-Fbi, e Trump risorge persino nei sondaggi ufficiali, “accomodati” dallo staff dei democratici. Lassù, più in alto della Casa Bianca, qualcuno sembra aver abbandonato la Clinton, incaricando l’Fbi di colpirla proprio adesso.Anche se dovesse vincere, Hillary Clinton sarebbe inchiodata dalle indagini riaperte dall’Fbi, che il Dipartimento di Giustizia avrebbe voluto insabbiare: non uscirebbe viva dalla procedura di impeachment. Lo afferma Edward Luttwak, politologo di fama e repubblicano di ferro: «Mettiamo che Hillary vinca. L’inchiesta dell’Fbi non per questo si bloccherà. Nemmeno se il direttore James Comey dovesse essere sostituito. Il che non sarà facile, anche perché in quel posto Comey è stato messo dall’amministrazione democratica». Conseguenza? «Dal vaso di Pandora, appena scoperchiato, verranno fuori altri scandali. Scandali per l’intera famiglia. Non solo Hillary e Bill, non solo la Fondazione, ma anche la figlia Chelsea», che viaggia su jet privati, «invitata come speaker a pagamento a conferenze dedicate al global warming». Anche se i media mainstream, giornali e televisioni, «fanno a gara a coprire, ridurre, nascondere il caso», parlando di “complotto”, Hillary non se la potrebbe cavare. Ed ecco spiegata, probabilmente, la mossa di Comey alla vigilia del voto: azzoppare la Clinton, accusata dall’Fbi, per evitare che finisca alla Casa Bianca un presidente “impresentabile”.
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Carpeoro: come gli Illuminati hanno infiltrato l’America
Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.«Ma attenzione: gli Illuminati di oggi non hanno nulla a che vedere con i fondatori, tedeschi, di un’ideologia che era l’opposto del Nuovo Ordine Mondiale». Erano idee libertarie, su cui si fondò il primo socialismo utopistico, pre-marxista, di Saint-Simon, Blanc, Prudhomme. La parola “illuminati” richiama direttamente il ‘700, il clima culturale del secolo dei Lumi, racconta Carpeoro in una conversazione con Benedetto Sette, pubblicata su YouTube. Tramite i suoi esponenti di punta, come Diderot e d’Alembert, fondatori dell’“Encyclopédie”, l’Illuminismo «voleva restituire, a una civiltà dominata da poteri assoluti, autocratici e autoritari, l’equilibrio consentito dai “lumi” della ragione». Nella Francia del ‘700, la ragione viene posta al di sopra di ogni altra cosa: «D’altro canto, una cinquantina di anni prima, Cartesio sosteneva il “cogito ergo sum”, cioè che l’essere è dato dal pensare». E quindi: «Poter mettere in discussione qualunque cosa è giusto. L’importante, però, è non sostituire vecchi dogmi con nuovi dogmi, sul piedestallo di una finta razionalità: questo crea nuove ingiustizie».Ed è esattamente quello che è accaduto agli Illuminati, nella loro parabola: se gli ideologi tedeschi erano partiti dall’idealismo egualitario e proto-socialista, i loro epigoni americani (auto-proclamatisi “eredi” degli Illuminati di Baviera) sono diventati i massimi guardiani dello status quo, del potere oligarchico in mano a pochissimi. Tutto nasce il 1° maggio del 1776 a Ingolstadt, nel sud della Germania, dove il professor Johann Adam Weishaupt, docente di giurisprudenza, fonda la confraternita degli Illuminati di Baviera. Obiettivo: una società più giusta, liberata dall’arbitrio di un potere fondato sul dominio. Una prospettiva rivoluzionaria, a partire dall’abolizione del tabù assoluto, la proprietà privata. «Weishaupt era un massone tedesco che aveva nel suo progetto la creazione di un livello superiore alla massoneria», racconta Carpeoro. L’ideologo degli Illuminati di Baviera si muove come un altro massone libertario, il francese Louis Claude de Saint-Martin, che aveva creato quello che chiamava Ordine dei Perfettibili. Matrice comune: i Rosacroce, la leggendaria “fratellanza” che accomunò Dante Alighieri e Giordano Bruno, fino a Goethe, Victor Hugo e oltre, verso la prospettiva di un’umanità liberata dal bisogno e dalla paura.Lo statuto elaborato da Weishaupt «ha come presupposti l’abolizione della proprietà privata e l’allargamento progressivo della scala di interessi: individui e popoli devono sempre porsi al di sotto di un ordine superiore, cioè l’interesse di tutti, dell’umanità, del mondo». Il principio mistico-religioso è di origine gnostica, continua Carpeoro. E Weishaupt parte dall’opera di Comenius, che era anch’esso un Rosacroce, al secolo Jan Amos Komenský. «Fu l’ultimo di quei Rosacroce che avevano teorizzato la costruzione della società perfetta: Francesco Bacone con la “Nuova Atlantide”, Tommaso Campanella con “La città del sole”, Tommaso Moro con “Utopia”; lo stesso rifondatore dei Rosacroce, Johann Valentin Andreae, scrisse un’opera che si chiamava “Christianopolis” o “Viaggio all’isola di Caphar Salama”». Stesso tema: un mondo di cittadini liberi e consapevoli, con pari diritti. «Ben presto, però, Weishaupt si accorge che un ideale di questo tipo deve fare i conti col potere: deve cioè diventare un’organizzazione di potere». All’inizio, i primi Illuminati hanno un enorme successo: partono dalla Baviera, ma le loro idee finiscono per conquistare tutta la Germania. «Weishaupt diventa un interlocutore privilegiato dei malgravi tedeschi, dei potenti. E all’ombra di questo progetto abbastanza idealista nasce quindi una struttura dalle forti connotazioni pratiche».Così, inevitabilmente, affiorano i primi problemi: alla fine del ‘700, al movimento aderisce il barone Adolf von Knigge, «colui che dà la svolta vera alla società degli Illuminati come struttura», creando «una struttura di potere, di gestione e direzione unica della società». Fatale lo scontro con Weishaupt, «un idealista con la mania dei rituali magico-esoterici». Quei rituali gli varranno l’accusa di “gesuitismo” e autoritarismo. La realtà è un’altra: i baroni, che pure hanno aderito allo slancio ideolgico iniziale, capiscono che l’egualitarismo di Weischaupt mette in pericolo i loro privilegi. Sarà Federico II di Prussia a sciogliere ufficialmente la società, per legge. E Weishaupt morirà povero solo, in esilio, abbandonato da tutti, nel 1830. «La storia degli Illuminati di Baviera finisce qui», sottolinea Carpeoro: «Non è mai andata oltre la dimensione territoriale della Germania». Come dire: gli Illuminati successivi, che giureranno di ispirarsi a Weischaupt, non hanno mai avuto alcuna relazione diretta con il movimento tedesco. Non solo: se i primi neo-Illuminati americani avevano ancora, in parte, qualche germe idealistico nella loro ideologia, i successori hanno fatto piazza pulita di qualsiasi istinto democratico, divenendo la punta di lancia dell’élite finanziaria che oggi domina il pianeta.Il passaggio cruciale è la nascita degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776. Siamo ancora nel secolo dei Lumi, ma dall’altra parte dell’Oceano. Le idee viaggiano: il fondatore, George Washington, massone, è anch’egli un iniziato Rosacroce. «Succede che quando Washington giura come presidente – racconta Carpeoro – alcuni americani dichiarano di ispirarsi al modello degli Illuminati tedeschi, pur senza aver mai avuto alcun rapporto con essi. Ma è lo stesso Washington a sconfessarsi totalmente. In una lettera aperta a un giornale, avverte: mai e mai poi mai le idee dei nuovi Illuminati avrebbero dovuto prendere possesso dell’America». Bel problema: «Siccome Washington era anche il capo della massoneria americana – continua Carpeoro – questi signori capirono che dovevano inquinare la massoneria, per riuscire ad arrivare al potere negli Stati Uniti. E lo fecero utilizzando tutti coloro che avevano perso la guerra civile americana, quindi una serie di personaggi sudisti, cioè schiavisti, che vennero infiltrati nella massoneria, resero gran parte della massoneria americana conservatrice e reazionaria, e poi elaborarono le teorie dei Nuovi Illuminati».I Nuovi Illuminati nascono infatti all’inizio del XX secolo, tra l’Inghilterra e l’America. «Riferendosi – per l’etichetta e per il marchio – a quello che aveva fatto Weischaupt in Germania, in realtà teorizzano il cosiddetto mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale. Teorizzano cioè il fatto che, traversalmente agli Stati, possa nascere non “una” società perfetta in un determinato paese, ma “la” società perfetta». Nasce quindi «una struttura che deve necessariamente cospirare». Una super-struttura, «trasversale a tutti gli Stati». E questo accade attraverso uomini d’affari come Cecil Rhodes, secondo cui Usa e Gran Bretagna devono dare vita a un unico governo federale della Terra. A questo scopo, Rhodes crea una confraternita, la Rhodes Scholarship, che in America esiste tuttora. E così Lionel Curtis, che fonda vari gruppi, tra cui la Tavola Rotonda di Rohdes-Milner, presupposto dell’attuale Round Table. «In pratica, questi personaggi infiltrano soprattutto il governo americano, fin dalla sua nascita». Nonostante l’altolà di Washington, i Nuovi Illuminati riusciranno ad avere intensi rapporti con diversi presidenti americani: Edward Mandell House sarà il segretario di Woodrow Wilson, il presidente che costruirà la Società delle Nazioni, progenitrice dell’Onu. Altra eminente personalità dei neo-Illuminati americani, lo scrittore Herbert George Wells, autore nel 1897 del fortunato romanzo “La guerra dei mondi”.«Quindi – prosegue Carpeoro – fin dall’inizio si diffonde questo progetto di costruire il Nuovo Ordine Mondiale nel nome degli Stati Uniti d’America. Successivamente, come tutte le strutture di potere, questa diventa una struttura che affianca il potere in realtà senza cambiare niente». Il New World Order, che in origine doveva avere un’ispirazione rivoluzionaria, «in realtà si riduce alla pura gestione dell’esistente: una gestione trasversale, mondialista e di assoluto potere dello status quo». Evidente: «Per questi signori, meno cambia e meglio è: perché così fa comodo a loro». Ma il processo di “degenerazione” non è improvviso, avviene per gradi. Quando gli Illuminati devono aggirare Washington e quindi si alleano con le componenti più conservatrici del paese, il Sud schiavista, intuendo che saranno riassorbite nel vertice di potere in vista della riconciliazione nazionale postbellica, il loro capo è Albert Pike, «un eminente massone del neo-rito scozzese, che fece una politica di infiltrazione culturale molto capillare». Nonostante ciò, dice Carpeoro, «il suo modo di essere “illuminato” non è lo stesso di Rotschild: Pike è ancora fortemente ideologico».Il discorso degli attuali Illuminati diventa esclusivamente pragmatico successivamente, «con le associazioni tra banchieri, i trust, i vari Bilderberg». Così, «con un’ulteriore mutazione, diventa una struttura di conservazione; ma all’inizio gli Illuminati erano una struttura di rivoluzione». Il sionismo bellicista? «E’ una conseguenza, non una causa». E i motivi sono anch’essi evidenti: «Poiché una parte dei grandi banchieri mondiali sono di provenienza ebraica, ai tempi di Yalta hanno forzato la situazione e utilizzato anche la struttura trasversale degli Illuminati per arrivare alla costituzione dello Stato di Israele, e soprattutto per escludere che si facesse lo Stato di Palestina». E’ tristemente noto: «Una delle posizioni più reazionarie e meno sostenibili, pubblicamente, di un certo sionismo, è la negazione dell’esistenza del popolo palestinese, così come tra gli arabi esiste chi nega l’esistenza del popolo ebreo». Falsi storici: «I Filistei biblici sono gli attuali palestinesi, e già facevano le guerre per la terra, in quell’epoca». Il conflitto israelo-palestinese, “cristallizzato” nel retrobottega di Yalta nel 1945, è ancora oggi il focolaio di odio da cui la manipolazione culturale fa derivare lo “scontro di civiltà” tanto caro al complesso militare-industriale, a Wall Street, al Pentagono.Autore del romanzo “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) sulla “storia di una leggenda realmente accaduta”, quella dei Rosacroce, lo stesso Carpeoro sta per pubblicare un saggio, presso Uno Editori, intitolato “Dalla massoneria al terrorismo”. Focus: la strategia della tensione internazionale, affidata a manovalanza magari islamista ma accuratamente coperta dalla “sovragestione”, il network di potere che vede al lavoro interi settori dei servizi segreti occidentali impegnati in missioni “false flag”, attentati compiuti “sotto falsa bandiera”, per esempio quella dell’Isis, in Francia, e progettati da “menti raffinatissime”, appartenenti alla massoneria deviata, di potere, il cui vertice è costituito proprio dai neo-Illuminati. «La loro influenza principale, con la teorizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, è il condizionamento economico degli Stati: i banchieri si sono organizzati tramite questa struttura per condizionare le scelte economiche degli Stati». I risvolti di cronaca – le strane incongruenze nelle indagini, i messaggi simbolici di cui sono disseminate le stragi – suggeriscono l’idea che, dai diktat finanziari, si possa anche passare, all’occorrenza, alle bombe e ai Kalashnikov. Per contro, ripete Carpeoro, «l’intensificarsi di quella violenza indica che il vertice del massimo potere non è più così compatto: qualcuno si sta sfilando, chi resta al comando teme di perdere terreno e per questo spinge sul terrorismo». Mai stati del tutto granitici, i poteri forti: «Litigano spesso fra loro, e questo apre spazi per tutti noi». Del resto «il potere è uno schema, non una piramide monolitica», anche se si tratta di piramidi “illuminate”.Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta gli affiliati furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.
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Trump spaventa l’élite della guerra: deve morire, come Jfk
«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.«È ovvio che il potere costituito di Washington ha deciso di fare della rivale democratica Hillary Clinton la scelta da preferire per proteggere i loro interessi privilegiati», scrive Cunningham su “Sputnik News”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Diffamando l’antagonista Trump, i media mainstream divengono «complici dell’assassinio del suo personaggio agli occhi dell’opinione pubblica» Ed è il colmo, aggiunge Cunningham, «dato che ci sono storie molte più sordide sul conto della Clinton», coinvolta fino al collo nella strategia della tensione varata a livello internazionale dall’oligarchia neo-aristocratica statunitense: propaganda di guerra, operazioni clandestine volte ad un cambio di regime, nonché abuso del segreto di Stato per accrescere il proprio prestigio grazie a risorse finanziarie di provenienza estera. Secondo Cunningham, il punto è che la campagna di discredito per annientare Trump dimostra una volontà di «liquidazione politica», specialità «in cui la plutocrazia statunitense eccelle», fino a ieri anche con il ricorso sistematico all’omicidio, «l’effettiva uccisione del bersaglio».Il caso più noto è quello di Kennedy, assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. In quel periodo, ricorda Cunningham, diversi altri leader politici stranieri vennero assassinati da agenti di Stato americani, inclusi Patrice Lumumba in Congo, Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana e Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud. «L’assassinio politico era e continua ad essere la norma, in America». L’allora procuratore di New Orleans, Jim Garrison, che indagò sull’assassinio di Jfk, «sostenne che la ragione primaria per il suo assassinio era che il presidente stava lavorando per portare a conclusione la Guerra Fredda con la Russia: Kennedy stava utilizzando in sordina un canale riservato con la controparte russa Nikita Krushev per implementare piani ambiziosi per il disarmo nucleare». In più, aggiunge Cunningham, Jfk aveva nettamente bocciato le proposte segrete presentate dal Pentagono per un’azione nucleare preventiva ai danni dell’Unione Sovietica. E stava anche chiudendo con le operazioni terroristiche finanziate dalla Cia contro Cuba, preparando il ritiro delle truppe americane dalla nascente guerra in Vietnam.«In questo modo Kennedy era entrato nella “kill zone” politica per quel che riguardava il potente e non-eletto Stato Profondo. Le sue politiche stavano minacciando gli enormi interessi delle imprese degli armamenti militari, le grandi compagnie petrolifere e l’alta finanza di Wall Street. Quindi la Cia e i suoi killer a contratto vennero schierati per eliminare il problema». Oggi tocca a Trump? “The Donald” ha due aspetti in comune con Jfk, scrive Cunningham: «Come Kennedy, il magnate ha grosse disponibilità economiche, il che lo mette in condizione di parlare apertamente, senza il bisogno di doversi ingraziare potenti finanziatori». Il secondo e più importante aspetto è la politica estera: Trump si è ripetutamente scagliato contro l’inarrestabile consolidamento della Nato nell’Europa dell’Est, contro lo schieramento delle truppe americane oltremare e in particolare contro l’ostilità di Washington nei confronti di Mosca. Al contrario, Trump vorrebbe la normalizzazione delle relazioni con la Russia. E così, la sua posizione divenra «un anatema per l’establishment di Washington» che invece richiede, come assoluta necessità, «la demonizzazione delle nazioni straniere come minacce alla sicurezza nazionale, al fine di mantenere la gargantuesca economia militarizzata degli Stati Uniti».In sostanza, insiste Cunningham, lo “Stato Profondo” americano «prospera grazie al perpetuo ricrearsi delle guerre», dove la guerra «è una funzione permanente del fallito capitalismo americano». E questa “disfunzione sistemica” consiste in ciò che era e continua ad essere la Guerra Fredda con la Russia, ovvero «il pompaggio di milioni di dollari nelle casse dell’élite finanziaria e istituzionale, che continua a farla franca nonostante l’imbroglio, grazie ai suoi lacchè che serpeggiano nei canali politici e mediatici». Per questo, «chiunque osi sfidare i potenti interessi americani è esposto all’eliminazione: si entra nella zona di tiro». In passato, i metodi di eliminazione con effetto immediato prevedevano abitualmente l’eliminazione fisica. Cinque decadi dopo il governo Kennedy, continua Cunningham, i metodi di assassinio politico degli Stati Uniti si sono evoluti, divenendo più sofisticati: «Il più delle volte, la diffamazione può dirsi sufficiente. Nessun bisogno di assoldare sicari o invischiarsi in inchieste pubbliche. Saranno i killer mediatici ad occuparsene. Basterà piazzare il bersaglio al centro di un fuoco incrociato di un incessante bombardamento mediatico che non gli lasci scampo». Trump come Putin, un “problema” da eliminare. «Mettere fuori gioco i nemici politici “con effetto immediato” è il metodo americano».«Donald Trump è entrato in una “kill zone” politica: l’establishment statunitense si sta allineando per eliminarlo». Trump farà la fine di John Fitzgerald Kennedy. Solo che, stavolta, non serviranno pallottole vere: basteranno quelle, virtuali, “sparate” dai media, che rispondono agli ordini dello “Stato Profondo”, cioè il vertice finanziario, l’élite di Wall Street, il Pentagono e i suoi terminali di intelligence, Fbi e Cia. Lo sostiene il britannico Finian Cunningham, osservatore indipendente, già autore di editoriali per il “Mirror”, l’“Irish Times” e l’“Independent”. «Al giorno d’oggi, l’assassinio politico ad opera dell’autorità costituita non comporta necessariamente la liquidazione fisica di un individuo ritenuto un nemico dello Stato», specie se «la diffamazione di un personaggio pubblico raggiunge lo stesso risultato desiderato, vale a dire l’eliminazione del bersaglio dalla scena pubblica». Ma a impressionate Cunningham è l’inquietante parallelismo con Kennedy: anche Trump, infatti (sia pure a suo modo) si candida a interpretare un cambio di rotta radicale, all’insegna della “fine delle ostilità”: smobilitazione dell’Isis e pace con la Russia.
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Il segreto del Pellicano: tutta la verità è qui, ma in incognito
Può accadere che, di colpo, tutto quello che credevamo di sapere non valga più. Vacillano certezze in ogni campo della conoscenza, protette dalla scuola e dalla scienza ufficiale, al riparo della grande cornice culturale del materialismo. La prima crepa può aprirsi davanti al Cenacolo di Leonardo, se un anziano professore ti tira per la giacca, ansioso – chissà perché – di confidarti qualcosa. Comincia allora un viaggio avventuroso e anche pericoloso, che assomiglia al volo del Pellicano: la tua vita finisce in pezzi, poi all’improvviso risorge. E tu, nel frattempo, sei diventato un’altra persona: rinata dalle tue ceneri, come la Fenice. E’ quanto accade al grafico Giulio Cortesi, in crisi con il lavoro e con la moglie, nelle retrovie della Milano del 2005. Finirà ipnotizzato da grandi pittori: un misterioso quadro del Caravaggio ma, soprattutto, le opere del Giorgione. Segreti da decifrare, con l’aiuto di inattesi personaggi spuntati dal nulla, tra Milano e Torino, attorno a una ragazza affascinante. Chiave di volta, alla fine, un anziano monaco dell’abbazia di Chiaravalle, custode di un labirinto. Si dipana allora il filo di un sapere “altro”, condiviso dai padri della scienza moderna ma tenuto risolutamente nascosto: la verità è tra noi, ma in incognito.E’ la convinzione a cui approda lo stesso Cortesi al termine del romanzo a cui Gianfranco Carpeoro affida la «storia realmente accaduta di una leggenda», quella dei Rosacroce, gli uomini che proprio nel Pellicano – uccello che, simbolicamente, si trafigge il petto per resuscitare i suoi pulcini, nutrendoli col suo sangue – videro l’emblema e il messaggio del Cristo, la necessità del sacrificio per conquistare l’immortalità. Un allievo di Carpeoro, il saggista Michele Proclamato, in questi anni sta fornendo brillanti ricostruzioni dei valori simbolici che ci circondano, tutti ispirati al “sapere segreto” simboleggiato dal Tempio di Salomone, da cui il genio di Isaac Newton, padre della fisica moderna ma innanzitutto alchimista, trasse le sue intuizioni cardinali, sulla via già percorsa da uomini come Ruggero Bacone, che forse inventò i primi occhiali già nel ‘200. Da Dante a Mozart, da Tommaso Moro a Cartesio: quali conoscenze li accomunavano? Le stesse dei massimi pittori del Rinascimento, a partire da Giorgione: che, a quanto pare, era al corrente della teoria eliocentrica già mezzo secolo prima delle tesi di Copernico.La fonte di questa “conoscenza segreta” è antichissima: ve n’è traccia nell’incontro biblico tra Abramo e il misterioso Melchisedek, nell’adorazione dei Magi (l’ombra del mazdeismo di Zoroastro, poi dei Sufi), e quindi nella storica missione di San Giacomo e Giuseppe d’Arimatea, impegnati a esportaere il cristianesimo in Europa. Sono i misteri nei quali – partendo dal rebus in forma in puzzle costituito dall’opera pittorica di Giorgione – Giulio Cortesi finisce per inoltrarsi, nella scomoda posizione di indiziato di omicidio. Tra un menù e l’altro – Cortesi è un inguaribile gourmet – dovrà innanzitutto convincere della sua innocenza il ruvido commissario di polizia che indaga su di lui. E finirà col collaborare in modo imprevedibile alle indagini, fornendo intuizioni ricavate proprio dal mondo esoterico che il grafico milanese va scoprendo, aiutato dai consiglieri-ombra che gli procurano indizi nascosti in libri rari, dove il messaggio che conta è sempre mimetizzato, da cogliere tra le righe, seguendo meccanismi analogici e significati annidati tra i numeri.Una doppia ricerca, quindi, scandita dal ritmo incalzante del thriller, non senza pagine di autentica, spassosa comicità come quelle che narrano un divertente ferragosto trascorso nelle discoteche di Ibiza (oltre alla cucina, la musica è l’altra traccia parallela del romanzo). Ma, anziché intrecciare fantasie alla maniera di Dan Brown, Carpeoro utilizza lo stesso spunto il partenza – l’Ultima Cena – per andare alla scoperta di una storia vera, una “leggenda realmente accaduta”, lungo itinerari dove si incrociano Paracelso e Giordano Bruno, Salvador Dalì e Gabriele D’Annunzio, Hugo e Goethe, fino a Steiner e oltre. Uomini di fede, alchimisti, matematici, astronomi e astrologi, filosofi, proto-scienziati, artisti. Tutti esoteristi, impegnati, attraverso i secoli, a prolungare il “volo del Pellicano”: velando sempre, come Giorgione, la suprema verità sulla “matrice dell’universo”, la stessa su cui oggi la fisica quantistica si starebbe affacciando. La legge sacra, la genesi della vita. E’ il cielo senza tempo, attraversato dal volo del Pellicano.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il volo del Pellicano”, Melchisedek, 500 pagine, 26 euro).Può accadere che, di colpo, tutto quello che credevamo di sapere non valga più. Vacillano certezze in ogni campo della conoscenza, fino a ieri protette dalla scuola e dalla scienza ufficiale, al riparo della grande cornice culturale del materialismo. La prima crepa può aprirsi davanti al Cenacolo di Leonardo, se un anziano professore ti tira per la giacca, ansioso – chissà perché – di confidare qualcosa proprio a te. Comincia allora un viaggio avventuroso e anche pericoloso, che assomiglia al volo del Pellicano: la tua vita finisce in pezzi, poi all’improvviso risorge. E tu, nel frattempo, sei diventato un’altra persona: rinata dalle sue ceneri, come la Fenice. E’ quanto accade al grafico Giulio Cortesi, in crisi con il lavoro e con la moglie, nelle retrovie della Milano del 2005. Finirà ipnotizzato dal segno dei grandi pittori: un misterioso quadro del Caravaggio ma, soprattutto, le opere del Giorgione. Segreti da decifrare, con l’aiuto di inattesi personaggi spuntati dal nulla, tra Milano e Torino, attorno a una ragazza affascinante. Chiave di volta, alla fine, un anziano monaco dell’abbazia di Chiaravalle, custode di un labirinto. Si dipana allora il filo di un sapere “altro”, condiviso dai padri della scienza moderna ma tenuto risolutamente nascosto: la verità è tra noi, da sempre, ma in incognito.
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Quelle strane morti nella campagna elettorale della Clinton
La campagna della Clinton è lastricata di morti sospette: gente che avrebbe potuto parlare contro di lei? In più, Hillary è regolarmente accompagnata da un uomo obeso che sembra il suo assistente medico. In una foto, l’obeso tiene in mano un auto-iniettore di Diazepam: nome commerciale “Valium”, è un farmaco indicato nel trattamento di ansia, insonnia, paranoie, persino allucinazioni e spasmi muscolari di varia gravità, fino alla sclerosi multipla. La candidata democratica, scrive Maurizio Blondet, ha subito un ictus nel 2013, per il quale sembra venga trattata con anticoagulanti. Il web s’è scatenato in diagnosi ipotetiche, che vanno dall’epilessia ad altre malattie neurologiche o cardiovascolari (fino alla sifilide, che avrebbe contratto dal marito). «Spesso la signora è confusa e si abbandona a movimenti spastici del capo; fa fatica a salire una piccola rampa di scale e inciampa spesso; ha talora una tosse convulsa o nervosa: che la candidata abbia problemi di salute che si aggravano, non pare dubbio», anche se i media fingono di non accorgersene. La cosa però non è sfuggita a Donald Trump, che ripete: “low energy”, Hillary è troppo debole per reggere una semplice conferenza stampa. Non ne tiene più da ben 7 mesi, infatti.Letteralmente, continua Blondet nel suo blog, Hillary non fa che dormire. E ha un dottore che la segue continuamente. Si chiama Oladotun Okunola, è un afroamericano corpulento. L’hanno ripreso mentre le mette una mano sulla spalla e le dice: “keep talking”, inizia pure a parlare. Un uomo dei servizi? Quella volta, «la Clinton si è ripresa e ha detto in tono semi-isterico, a voce molto alta, “here we are, I keep talking”, eccoci, ora parlo. Una candidata solo in parte padrona di sé? Ma il peggio, scrive Blondet, è quella che definisce la «inquietante lista di morti attorno alla campagna di Hillary: persone che per qualche motivo potevano rovinargliela». Il primo era l’avvocato Shawn Lucas, incaricato dai sostenitori di Bernie Sanders di querelare Debbie Wasserman Schultz, presidente della Convention democratica, dopo la fuga delle email in cui costei mostrava di favorire Hillary sul candidato Sanders – ragion per cui la Wasserman Schultz ha dovuto dimettersi. Il 2 agosto, l’avvocato Lucas è stato trovato morto nel bagno di casa dalla sua fidanzata. Sulle cause della morte le autorità non hanno dichiarato nulla.Il secondo uomo si chiama Seth Rich. Era direttore del Voter Expansion Data dei democratici. E’ stato ucciso da vari colpi di pistola alla schiena a due passi da casa. L’omicidio, annota Blondet, è avvenuto dopo che Wikileaks aveva spifferato le 20.000 email che provano che il Dnc, la struttura elettorale democratica, stava favorendo Hillary contro Sanders: e Seth Rich, per le sue mansioni, poteva essere lo spifferatore. Per la polizia è stato un tentativo di rapina finito tragicamente. Ma sul corpo della vittima c’erano ancora portafoglio e orologio. C’è poi il caso di Victor Thorn, giornalista, che sulla “American Free Press” (un periodico di destra estremamente ben informato) ha firmato decine di articoli-inchiesta contro il clan Clinton e i suoi segreti più oscuri; tre suoi saggi – una trilogia, “Crowning Clinton: Why Hillary Shouldn’t Be in the White House” – stavano per essere tradotti all’estero. Ma il 1° agosto Thorn è stato trovato morto, anche lui ucciso da un colpo di pistola presso casa. Suicidio, ha decretato la polizia.E poi Joe Montano, presidente del Dnc prima di Debbie Wasserman Schultz. Dopo che Wikileaks a diffuso le 20.000 email dello scandalo – scrive Blondet – Montano è morto improvvisamente il 25 luglio scorso. «Attacco cardiaco, è stato decretato: a 47 anni e nessuna storia di malattie». Infine la lista delle strani morti si completa con John Ashe, già presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: stava per essere sottoposto a un processo per aver accettato mazzette da un ricco cinese, Ng Lap Seng, nel 1996. «Seng aveva fatto donazioni illegali per la rielezione di Bill Clinton; Ashe avrebbe certamente dovuto testimoniare sui legami tra il cinese e i Clinton». E’ morto il 23 giugno scorso, il giorno stesso in cui avrebbe testimoniato. Secondo la polizia, stava sollevando un pesante bilancere da ginnastica ma se l’è fatto cadere addosso, e – sfortuna – l’attrezzo gli ha schiacciato la gola. «Cose che succedono», commenta Blondet, sarcastico. Che aggiunge: ad un comizio di Hillary vicino a Orlando, è apparso al suo fianco Seddique Mateen, il padre di Omar Mateen, protagonista della strage del 12 giugno in quella città. Ai giornalisti che gli hanno domandato come mai fosse al comizio, a soli due mesi dalla tragedia, papà Mateen ha risposto: «Hillary Clinton è buona per gli Stati Uniti, al contrario di Trump che non offre soluzioni».La campagna della Clinton è lastricata di morti sospette: gente che avrebbe potuto parlare contro di lei? In più, Hillary è regolarmente accompagnata da un uomo obeso che sembra il suo assistente medico. In una foto, l’obeso tiene in mano un auto-iniettore di Diazepam: nome commerciale “Valium”, è un farmaco indicato nel trattamento di ansia, insonnia, paranoie, persino allucinazioni e spasmi muscolari di varia gravità, fino alla sclerosi multipla. La candidata democratica, scrive Maurizio Blondet, ha subito un ictus nel 2013, per il quale sembra venga trattata con anticoagulanti. Il web s’è scatenato in diagnosi ipotetiche, che vanno dall’epilessia ad altre malattie neurologiche o cardiovascolari (fino alla sifilide, che avrebbe contratto dal marito). «Spesso la signora è confusa e si abbandona a movimenti spastici del capo; fa fatica a salire una piccola rampa di scale e inciampa spesso; ha talora una tosse convulsa o nervosa: che la candidata abbia problemi di salute che si aggravano, non pare dubbio», anche se i media fingono di non accorgersene. La cosa però non è sfuggita a Donald Trump, che ripete: “low energy”, Hillary è troppo debole per reggere una semplice conferenza stampa. Non ne tiene più da ben 7 mesi, infatti.
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Magaldi: Nizza, minaccia cifrata. Prossimo attentato, Italia
Dopo Nizza, ormai è chiaro: nelle intenzioni dei killer, le prossime vittime saremo noi italiani. Sempre che le “menti raffinatissime” che progettano le stragi (non chiamiamole Isis, a meno che non si voglia fare dell’umorismo nero) riescano a superare il formidabile muro di sicurezza, finora invalicabile, che ha protetto il nostro paese in questo interminabile, sanguinoso frangente. Una stagione di violenza cieca, inaugurata dal primo massacro francese, quello della redazione di “Charlie Hebdo” il 7 gennaio 2015, le cui indagini sono state bloccate – con l’imposizione del segreto militare – dopo che la magistratura parigina aveva scoperto il ruolo della Dgse, il servizio di intelligence, nella triangolazione delle armi, di provenienza slovacca, fornite al commando stragista attraverso un trafficante belga. A tradurre la cronaca in analisi è un illustre massone come Gioele Magaldi, uomo di vasti studi, protagonista di clamorose rivelazioni attraverso il dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, vero e proprio caso editoriale, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Oggi, mentre in tutta Europa si scatenano kamikaze presentati come “lupi solitari”, Magaldi avverte: il prossimo maxi-attentato, in stile “francese”, potrebbe colpire proprio l’Italia. Ma c’è chi si sta impegnando a fondo per scongiurarlo.«Se finora nulla di grave è accaduto nel nostro paese», dice Magaldi ai microfoni di “Colors Radio” in una trasmissione su web seguita in diretta da centinaia di migliaia di ascoltatori, «è solo per merito dei servizi segreti italiani, che stanno operando un controllo assoluto del territorio in termini di sicurezza, grazie anche alla strettissima sinergia con l’intelligence Usa, che non vuole assolutamente che l’Italia venga colpita». La lettura che Magaldi fornisce degli eventi è interamente massonica: «Sono in azione elementi dei servizi di sicurezza americani che provengono dai settori più progressisti della massoneria», e sanno perfettamente di doversi impegnare contro “colleghi” ascrivibili alla massoneria “reazionaria”, al servizio dell’élite neo-aristocratica, che sarebbe il vero “cervello” di tutte le operazioni di strategia della tensione messe in atto, a livello internazionale, negli ultimi anni. Fino alle più recenti stragi: da quella del Bataclan, compiuta nell’autunno 2016 (il 13 novembre, data-simbolo per la massoneria di ispirazione “templare”) a quello di Bruxelles del 22 marzo, in cui furono colpiti aeroporto e metropolitana (“come in cielo, così in terra”, sempre in chiave simbolica). Da Nizza, poi un “avvertimento” ancora più esplicito. Rivolto palesemente all’Italia.«Nizza un tempo era italiana, e in più è la città natale di Garibaldi – massone anche lui e, per inciso, storicamente, primo “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia». E’ dunque perfettamente plausibile, dice Magaldi, ragionare in termini simbolico-esoterici, se si vuole tentare di interpretare i fatti: il vero movente, i veri mandanti (non certo l’Islam “radicale” del jihadismo, che semmai si limita a fornire sciagurata manodopera, largamente inconsapevole del ruolo dei burattinai occulti). Nizza, cioè quasi-Italia, e per giunta il 14 luglio: data-simbolo della “Révolution”, progettata e celebrata dalla massoneria progressista europea non solo francese: furono in paricolare i massoni italiani – Garibaldi in primis, e con lui Mazzini e Cavour – a ispirarsi al 14 luglio per puntare all’unità d’Italia. «Letta in questa chiave la strage di Nizza, il responso è ultra-palese: una minaccia chiarissima al nostro paese». L’Italia “sigillata”, finora, dalla super-efficienza dei suoi servizi? Cioè gli stessi che negli anni di piombo si distinsero per il loro ruolo opaco nelle “stragi impunite”? «Nessuno nega la stagione dei depistaggi e delle infiltrazioni», precisa Magaldi. Che però aggiunge: «Oggi la situazione è completamente cambiata. E la collaborazione virtuosa tra i nostri servizi e quelli americani, per la protezione delle nostre città, ha raggiunto un livello senza precedenti nella storia».Non siamo al riparo al 100%, naturalmente. «Se però un grave attentato dovesse verificarsi, ne capiremo il motivo: vorrà dire che questa straordinaria barriera di sicurezza sarà stata violata dall’interno». Quella, suggerisce Magaldi, è la vera “battaglia” in corso, che si gioca interamente nell’ombra. Perché una cosa è certa: senza “coperture”, oggi, in Europa, è praticamente impossibile compiere stragi. «Lo dimostra, una volta di più, l’incredibile superficialità dell’apparato di sicurezza dispiegato a Nizza, che faceva acqua da tutte le parti». Corollario invariabile: i killer vengono sempre uccisi prima che possano parlare, raccontare la loro storia, motivare il loro gesto. «Sarebbe interessante poterli ascoltare, ma finora non è stato mai possibile», ricorda Magaldi, che dichiara di attingere a fonti riservate ma documentabili, come quelle che alimentano il suo poderoso libro sui “misfatti” della massoneria di potere nel ‘900, tra rivoluzioni e golpe, evoluzioni democratiche e svolte autoritarie, fino alla globalizzazione forzata e all’imposizione del dominio della finanza sull’economia, attraverso lo strapotere di 36 Ur-Lodges, superlogge segrete e internazionali davvero “a responsabilità illimitata”.La peggiore di tutte, sempre secondo Magaldi, fu fondata nel 1980 da George Herbert Bush, per rispondere alla bruciante sconfitta subita da Reagan alle primarie repubblicane. Evento che provocò due attentati “simmetrici”, a breve distanza l’uno dall’altro: l’attentato al presidente Reagan e, poco dopo, quello a Papa Wojtyla, che era stato sostenuto nella corsa al soglio pontificio dal super-massone Zbigniew Brzezinski, polacco come Giovanni Paolo II e primo “reclutatore” di Osama Bin Laden in Afghanistan (sono di pubblico dominio le foto che documentano quell’incontro). Poi, come sappiamo, Bin Laden fu trasformato in “uomo nero” e accusato – in modo assolutamente infondato – della strage dell’11 Settembre. La cui regia, sostiene sempre Magaldi, coinvolge invece la superloggia “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush coinvolgendo poi politici come Blair, l’uomo delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam usate per radere al suolo l’Iraq. Ma anche Sarkozy, cioè l’artefice della liquidazione di Gheddafi che ha trasformato la Libia in un inferno terroristico, anticamera della guerra civile in Siria. E poi un tipetto come Erdogan, grande regista occulto della macelleria siriana targata Isis, prima ancora che para-golpista.La Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, è definita “loggia del sangue e della vendetta”. Attenzione, come sempre, ai simboli: Hathor è l’altro nome di Iside, la dea egizia cara ai massoni. Pertanto, «non è un caso che l’armata dei tagliatori di teste sia stata battezzata proprio Isis». Una “firma”, appunto. Come quelle, sempre cifrate, di chi si nasconde dietro i killer jihadisti che oggi colpiscono Parigi, Bruxelles, Nizza. E domani anche Roma? Non resta che sperare nella super-intelligence evocata da Magaldi, cui spesso viene contestata la mancata esibizione delle fonti. Se si parla di servizi segreti, va da sé, le citazioni dirette sono tecnicamente impossibili. Ma in realtà, a partire dall’introduzione presente già nella prima edizione nel suo libro, Magaldi chiarisce: «Ogni fatto menzionato è documentabile, ho con me 6.000 pagine di documenti. Se qualcuno desidera chiarimenti, sarò lieto di esibire il materiale». Finora, però, nessuno si è azzardato a farne richiesta, nonostante i personaggi citati siano centinaia, di ieri e di oggi, fino a soggetti tuttora in piena attività come la Merkel e Obama, oppure Draghi, Monti, Napolitano. Silenzio su tutta la linea: strano, vero?Dopo Nizza, ormai è chiaro: nelle intenzioni dei killer, le prossime vittime saremo noi italiani. Sempre che le “menti raffinatissime” che progettano le stragi (non chiamiamole Isis, a meno che non si voglia fare dell’umorismo nero) riescano a superare il formidabile muro di sicurezza, finora invalicabile, che ha protetto il nostro paese in questo interminabile, sanguinoso frangente. Una stagione di violenza cieca, inaugurata dal primo massacro francese, quello della redazione di “Charlie Hebdo” il 7 gennaio 2015, le cui indagini sono state bloccate – con l’imposizione del segreto militare – dopo che la magistratura parigina aveva scoperto il ruolo della Dgse, il servizio di intelligence, nella triangolazione delle armi, di provenienza slovacca, fornite al commando stragista attraverso un trafficante belga. A tradurre la cronaca in analisi è un illustre massone come Gioele Magaldi, uomo di vasti studi, protagonista di clamorose rivelazioni attraverso il dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, vero e proprio caso editoriale, pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Oggi, mentre in tutta Europa si scatenano kamikaze presentati come “lupi solitari”, Magaldi avverte: il prossimo maxi-attentato, in stile “francese”, potrebbe colpire proprio l’Italia. Ma c’è chi si sta impegnando a fondo per scongiurarlo.
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Craig Roberts: Nizza, una strage in perfetto stile Gladio
La strage di Nizza? Un “lavoretto” in perfetto stile Gladio. Altro che jihadista “impazzito”. Lo sostiene Paul Craig Roberts, eminente analista americano, già viceministro del Tesoro sotto Reagan. I commentatori che hanno imparato a diffidare delle spiegazioni ufficiali, come Peter Koenig e Stephen Lendman, scrive Craig Roberts nel suo blog, hanno sollevato interrogativi circa l’attacco di Nizza. Strano che un “folle” solitario alla guida di un grosso camion possa entrare nelle aree interdette a far strage di francesi assiepati per assistere ai fuochi d’artificio della festa nazionale, l’anniversario della Presa della Bastiglia. «Ancora una volta il presunto autore è morto e convenientemente ci ha lasciato la sua carta d’identità». Come da copione: «Sembra che la conseguenza di tutto ciò in Francia sarà un permanente stato di legge marziale. Questo spegnimento della società potrà inoltre venir applicato alle proteste contro l’abrogazione delle protezioni del lavoro in Francia da parte del burattino capitalistico Hollande. Coloro che protestano per il ritiro dei loro sudati diritti verranno schiacciati sotto il peso della legge marziale».Incredibile notare «quanto conveniente sia stato quell’attacco era per il capitalismo globale, il principale beneficiario della nuova “riforma del lavoro” di Hollande», scrive Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, ricordando che le questioni sollevate da Koenig e Lendman richiamano alla mente l’Operazione Stay Behind, in Italia semplicemente Gladio, cioè la “firma” per eccellenza della strategia della tensione prodotta dai servizi segreti a suon di attentati. Gladio, aggiunge Roberts, è il nome in codice di un’operazione segreta della Nato, istituita da Washington dopo la Seconda Guerra Mondiale per paura che l’Armata Rossa potesse invadere l’Europa occidentale. Originariamente, doveva essere un network di guerriglieri da attivare in caso di invasione sovietica. La minaccia che emerse fu invece «la popolarità del partito comunista, in Francia e in particolare in Italia». Washington temeva che i comunisti, alleati di Mosca, avrebbero ottenuto abbastanza voti per andare al governo. « Di conseguenza, Gladio venne rivolta contro i partiti comunisti europei».Craig Roberts attribuisce a Gladio alcune stragi che insanguinarono il Belpaese: «Il servizio di intelligence italiano insieme alla Cia iniziò a far esplodere luoghi pubblici in Italia, come la stazione di Bologna, in cui 285 persone furono uccise, mutilate o ferite». Un operativo di Gladio, Vincenzo Vinciguerra, rivelò per primo l’esistenza di Gladio durante il processo del 1984 per la strage alla stazione di Bologna del 1980. Interrogato, disse: «Esiste in Italia una forza segreta parallela alle forze armate, composta da civili e militari, in chiave anti-sovietica, con il compito di organizzare la resistenza contro l’esercito russo sul suolo italiano. Un’organizzazione segreta, una super-organizzazione con una rete di comunicazione, armi ed esplosivi, e uomini addestrati ad usarle.Una super-organizzazione che, in mancanza di una invasione militare sovietica, che potrebbe non accadere, si è assunta il compito, per conto della Nato, di impedire uno spostamento a sinistra dell’equilibrio politico del paese. Hanno fatto questo, con l’aiuto dei servizi segreti ufficiali e delle forze politiche e militari».Sei anni dopo, nel 1990, l’allora primo ministro Giulio Andreotti ammise ufficialmente l’esistenza di Gladio. Sarebbe stata coordinata dal generale italiano Gerardo Serravalle nella prima metà degli anni ‘70. Secondo “Wikipedia”, testimononi riferiscono che i responsabili della pianificazione e del coordinamento «sono stati i funzionari responsabili delle strutture segrete di Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Italia. Tali rappresentanti delle strutture segrete si sono incontrati ogni anno in una delle capitali. Agli incontri “Stay Behind” i rappresentanti della Cia erano sempre presenti». Anni di piombo, in Italia: «Dovevi attaccare i civili, donne, bambini, persone innocenti al di fuori della scena politica, per una semplice ragione: costringere la popolazione italiana a rivolgersi allo Stato, ad essere ricondotta al regime e chiedere maggiore sicurezza. Questa è la logica politica dietro tutti gli attentati: rimangono impuniti perché lo Stato non può condannare se stesso».Gli attentati dell’epoca furono attribuiti a gruppi terroristici comunisti, come le Brigate Rosse in Italia e la banda Baader-Meinhof in Germania, «gruppi che potevano essere reali o coperture inventate ad arte per facilitare il discredito nei confronti dei partiti comunisti europei», scrive Craig Roberts, ricordando che nel 1984 il giudice Felice Casson riaprì un caso vecchio di 12 anni riguardante un’autobomba esplosa a Peteano, in Italia, in cui morirono alcuni carabinieri. «Il giudice ha scoperto che il caso era stato falsificato e che la colpa era stata attribuita alle Brigate Rosse, nonostante si fosse effettivamente trattato del lavoro dei servizi segreti militari, del Servizio Informazioni Difesa (Sid) in collaborazione con Ordine Nuovo, un’organizzazione di destra creata o cooptata da Gladio». Casson fa risalire a Gladio la stessa strage di piazza Fontana a Milano, la “madre” di tutte le “stragi impunite”.« Sulla base delle rivelazioni italiane, i governi di Belgio e Svizzera hanno intrapreso indagini sulle operazioni di Gladio avvenute nella loro giurisdizione. Il governo degli Stati Uniti ha negato ogni partecipazione alle stragi. Tuttavia, le ricerche effettuate del giudice Casson negli archivi del servizio segreto militare italiano hanno portato alla luce le prove dell’esistenza della rete Gladio, e collegamenti con la Nato e gli Stati Uniti». I popoli occidentali, le cui democrazie secondo Craig Roberts «sono degenerate in plutocrazie», vengono convinti che il loro governo «non possa essere capace di uccidere i propri cittadini». E dunque «hanno chiaramente bisogno di conoscere l’Operazione Gladio». Domanda: la struttura Stay Behind è ancora oggi viva e vegeta? «Gli eventi terroristici di oggi vengono attribuiti ai musulmani invece che ai comunisti. E’ possibile che gli attacchi terroristici in Francia e Belgio siano operazioni Gladio?».La strage di Nizza? Un “lavoretto” in perfetto stile Gladio. Altro che jihadista “impazzito”. Lo sostiene Paul Craig Roberts, eminente analista americano, già viceministro del Tesoro sotto Reagan. I commentatori che hanno imparato a diffidare delle spiegazioni ufficiali, come Peter Koenig e Stephen Lendman, scrive Craig Roberts nel suo blog, hanno sollevato interrogativi circa l’attacco di Nizza. Strano che un “folle” solitario alla guida di un grosso camion possa entrare nelle aree interdette a far strage di francesi assiepati per assistere ai fuochi d’artificio della festa nazionale, l’anniversario della Presa della Bastiglia. «Ancora una volta il presunto autore è morto e convenientemente ci ha lasciato la sua carta d’identità». Come da copione: «Sembra che la conseguenza di tutto ciò in Francia sarà un permanente stato di legge marziale. Questo spegnimento della società potrà inoltre venir applicato alle proteste contro l’abrogazione delle protezioni del lavoro in Francia da parte del burattino capitalistico Hollande. Coloro che protestano per il ritiro dei loro sudati diritti verranno schiacciati sotto il peso della legge marziale».
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Pazzesco, a Nizza si ordina di cancellare le prove della strage
La magistratura francese ha ordinato al Comune di Nizza di distruggere tutte le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza la notte dell’attentato. Come? Non è possibile… E’ stata la mia prima reazione. Ma è tutto vero. Parola del “Figaro”, che ne dà notizia e pubblicando un documento che è autentico è stato confermato dalla magistratura, che ha giustificato il provvedimento sostenendo che si devono evitare diffusioni incontrollate di immagini che possano ledere la dignità delle vittime o che possano essere usate a fini propagandistici dai terroristi. Una giustificazione risibile: quelle immagini non sono pubbliche. Da notare che subito dopo l’attentato la direzione dell’antiterrorismo Sdat aveva inviato inviato dei server supplementari per archiviare le 30mila ore di filmati registrati quel giorno. E’ lo stesso Sdat che però ora ne sollecita la distruzione.Il Figaro scrive che «il giorno dopo il dramma sulla Promenade des Anglais alcuni ufficiali della polizia giudiziaria erano venuti per identificare la posizione delle telecamere. Un primo rapporto era stato inviato al ministero dell’interno. Curiosamente proprio queste telecamere sono oggetto della richiesta dello Sdat». Gli inquirenti sono sconcertati. Cito ancora il “Figaro”: «E’ la prima volta che ci chiedono di distruggere delle prove, precisa una fonte vicina all’inchiesta». Già, stanno distruggendo delle prove. Perché? L’ottimo Pino Cabras su “Gli Occhi della Guerra” ne parla evidenziando anomalie anche riguardo l’inchiesta del Bataclan. Ma rimaniamo a Nizza. Mettete in fila le ultime rivelazioni di stampa: “Paris Match” rivela che in quella zona il divieto di circolazione è assoluto e permanente ma il camion ha potuto girare liberamemte, compiendo anche manovre strane tali da attirare l’attenzione. Nessuno lo ha fermato né multato.“Libèration”, come scritto ieri ha dimostrato le bugie del governo sui posti di controllo all’inizio della zona pedonale. Ora la rivelazione del “Figaro”, la più clamorosa e incomprensibile. Davvero incomprensibile. Troppo incomprensibile. Aggiornamento importante: il quotidiano “Nice Matin” scrive che il Comune di Nizza si rifiuta di cancellare le immagini. L’avvocato del Comune, Philippe Blanchetier, annuncia che il Comune non solo denuncerà il decreto ingiuntivo che ha ricevuto, ma che si appresta anche a chiedere al procuratore di Nizza di sequestrare queste immagini “al fine di non compromettere eventuali altre procedure che possano emergere al di là delle indagini anti-terrorismo attuali”. Una città si rivolta contro lo Stato centrale. Dice no a un’ingiustizia. Senza precedenti!(Marcello Foa, “Sconcertante: a Nizza si distruggono le prove. Su ordine della magistratura”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 22 luglio 2016).La magistratura francese ha ordinato al Comune di Nizza di distruggere tutte le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza la notte dell’attentato. Come? Non è possibile… E’ stata la mia prima reazione. Ma è tutto vero. Parola del “Figaro”, che ne dà notizia e pubblicando un documento che è autentico è stato confermato dalla magistratura, che ha giustificato il provvedimento sostenendo che si devono evitare diffusioni incontrollate di immagini che possano ledere la dignità delle vittime o che possano essere usate a fini propagandistici dai terroristi. Una giustificazione risibile: quelle immagini non sono pubbliche. Da notare che subito dopo l’attentato la direzione dell’antiterrorismo Sdat aveva inviato inviato dei server supplementari per archiviare le 30mila ore di filmati registrati quel giorno. E’ lo stesso Sdat che però ora ne sollecita la distruzione.
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L’altra verità sui Panama Papers (e non fa onore alla stampa)
I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.Lo schema mediatico di allora è identico a quello che emerge ora: una fonte passa al Consorzio di giornalismo una quantità enorme di documenti segreti, talmente colossale da indurlo a coinvolgere un certo numero di testate giornalistiche nella lettura e nella selezione di migliaia di documenti, la cui autenticità, però, è assicurata. Da chi? Ma dalla fonte stessa, che però non viene rivelata alle testate. Garantisce il direttore dell’International Consortium of Investigative Journalism. E questo è il punto: giornalismo di inchiesta presuppone un lavoro faticoso, duro, talvolta rischioso, in cui i giornalisti seguono una prima traccia, trovano riscontri, cercano più testimoni incrociando le prove. E’ un esercizio ben diverso sia dall’Offshore leaks che dai Panama Papers, in cui ai giornalisti è stato semplicemente chiesto di setacciare montagne di carte, senza indagare, senza approfondire, senza incrociare, svolgendo una mansione più che da reporter da reporter investigativo, da speleologo dell’informazione.Pochi commentatori, sia allora sia oggi, si sono posti la domanda fondamentale: com’è possibile che una sola fonte abbia potuto avere accesso a segreti custoditi gelosamente da studi professionali iperprotetti, trafugando dossier di dimensioni tali da non poter essere sottratti da un solo impiegato infedele? Parliamo di 11 milioni di documenti, che riguardano 200mila società in un arco di tempo lunghissimo, 40 anni! Chi e per quale ragione ha potuto compiere un’operazione così ampia, così sofisticata e così strumentale nei bersagli finali Non abbiamo una risposta certa ma sappiamo che le guerre moderne si combattono non solo con la forza militare, bensì anche – e talvolta soprattutto – con strumenti asimmetrici come la pirateria informatica, dunque con il trafugamento di informazioni sensibili. E avendo letto attentamente e con angoscia le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex analista dei servizi segreti americani, non ci stupiamo più di nulla. Nessun archivio è davvero al sicuro, nulla di quanto scriviamo su un computer è davvero soltanto nostro. C’è chi ha accesso alla vita digitale di ogni uomo e di ogni società, in qualunque parte del mondo e può disporne a piacimento. Anche a Panama, un tranquillo lunedì di aprile, usando i media come straordinario, compiacente e compiaciuto detonatore.(Marcello Foa, “L’altra verità sui Panama Papers, e non fa onore alla stampa”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 4 aprile 2016).I Panama Papers di clamore ne hanno suscitato. Indignazione, anche, com’è inevitabile quando vengono rivelati i conti milionari di centinaia di personalità di caratura mondiale. Ma siamo sicuri che si tratti di giornalismo? La risposta non è affatto scontata. Certo, sarebbe molto facile e comodo unirsi al coro di indignazione e di condanna per le rivelazioni. La stampa internazionale tende ad essere conformista e se un pool di prestigiose testate pubblica i risultati di quella che viene presentata come una straordinaria inchiesta giornalistica la “verità” trasmessa al mondo diventa univoca e incontestabile. I dubbi, in realtà, sono doverosi: ciò a cui assistiamo in queste ore non ha per nulla le stigmate del giornalismo di inchiesta, semmai di qualcos’altro ben più ambiguo e poco onorevole. Di certo rappresenta il bis di un altro scandalo esploso esattamente tre anni fa. Ricordate? Nell’aprile del 2013 l’International Consortium of Investigative Journalism – lo stesso che oggi propizia i Panama Papers – diffuse i nomi di 130.000 conti nei paradisi fiscali e delle fiduciarie di tutto il mondo che avevano aiutato i loro prestigiosi clienti ad aprirli; uno scandalo che lambì anche la Svizzera e naturalmente anche il Ticino con la diffusione dei nomi di alcuni studi.
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Bombe a Bruxelles, ma noi italiani non possiamo più cascarci
Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?Queste bombe sono la prosecuzione di quelle di Parigi del 2015: Charlie Hebdo e il Bataclan. Di Ankara, contro i turisti tedeschi. Sono la prosecuzione della messinscena di Colonia. Sono lo strascico del fiume di profughi. Andiamo con ordine: sono contro di noi. Contro “i popoli d’Europa”. Per ridurre le loro libertà residue e le loro capacità di risposta ai soprusi dei poteri. Infatti il primo risultato, scontato, sarà la sospensione di tutte le garanzie democratiche. È già in corso in Francia, ora sarà la volta del Belgio. Poi, dopo qualche altro attentato, magari in Italia, se per caso non volesse entrare in guerra in Libia, allora sarà la volta del nostro paese. Noi italiani siamo gli ultimi a poter essere ingannati, poiché abbiamo già vissuto la stessa cosa con la strategia della tensione. Questo ci dice che non dobbiamo cadere nella trappola di guardare il dito invece della Luna. Se ci dicono che è Daesh, diffidiamo. Probabilmente è “anche” Daesh. Ma Daesh è lo strumento, e la mano (in parte), ma non la mente.Sono bombe contro “l’Europa dei popoli”, per renderla uno straccio subalterno al potere dell’Impero, per trascinarla in guerra tutta intera, terrorizzata, per mettere la museruola a tutti, anche ai recalcitranti. L’avviso è per tutti non solo per Bruxelles.Chi è la mente non lo possiamo sapere. Ma una cosa che sappiamo è che i servizi segreti europei, tutti, chi più chi meno, sono filiali inquinate e di altri servizi segreti. Più probabilmente di settori, pezzi, frammenti incontrollabili di servizi segreti altrui. Ricordiamo il bellissimo e profetico film di Sydney Pollack, “I tre giorni del Condor”. Per questo non scoprono niente. E non scopriranno niente: perché non sono in condizioni di indagare. Per questo dobbiamo riprendere in mano la nostra sovranità, e cambiarli. Cambiando chi ci governa, e che sgoverna l’Europa, con altro personale, meno vile e più lungimirante. Altrimenti ci faranno arrostire, prima di renderci schiavi.(Giulietto Chiesa, “Bruxelles, al centro della strategia del terrore”, da “Megachip” del 22 marzo 2016).Il nuovo massacro di Bruxelles, con azioni terroristiche tanto ben coordinate quanto sanguinose, cioè con bombe ad alto potenziale non con kamikaze suicidi, ha tutta l’aria di una “prosecuzione” di un piano. Di chi? Contro chi è diretto? Il sancta santorum che guida questa sarabanda non lo conosce nessuno, e dunque tutte le ipotesi sono ugualmente inattendibili. Quelle che subito vaneggiano di “risposta” di Daesh alla cattura dell’ultimo sopravvissuto del 13/11 a Parigi sono però palesemente ridicole. Un piccolo pregiudicato da tempo sotto controllo dei servizi segreti, ex tenutario di un centro di spaccio di droga e di prostitute come la bettola intitolata “La Beguine” nel quartiere di Molenbeek, che riesce a passare indenne attraverso quattro controlli di polizia (francese) prima di rifugiarsi nello stesso quartiere in cui ha sempre vissuto, restandoci per quattro mesi, non poteva essere il “cervello” di niente. Questi attentati erano predisposti da tempo, da qualche centrale di provocazioni in grande stile. Contro chi?