Archivio del Tag ‘inciucio’
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Travaglio: viva Napolitano, e la stampa si copre di ridicolo
Il “Foglio” e “Libero” – il primo in modo spiritoso, il secondo con le mèches – smentiscono quel che abbiamo scritto negli ultimi giorni e di cui facciamo ammenda: cioè che tutti i media siano genuflessi ai piedi di Sua Castità e del suo governissimo. Essi anzi manifestano una sbarazzina tendenza alla critica che rasenta il vilipendio. Per esempio il “Corriere”, che assume la guida dell’opposizione con il commento al vetriolo di Antonio Polito: «Discorso breve, severo ma intriso di commozione: una lezione di virtù repubblicana». E di Paolo Valentino: «Ci sono discorsi che cambiano la storia di un Paese. Come quello di Abraham Lincoln nel 1863 a Gettysburg… O come Lyndon Johnson, che nel 1964 pronuncia il celebre we shall over come e chiude la segregazione razziale… Il discorso di Giorgio Napolitano ha la forza retorica, l’altezza d’ispirazione e la dirompenza politica che lo rendono già un’opera prima… ha aperto una nuova pagina, restituendo dignità alla parola e regalandoci un testo di etica pubblica senza precedenti nella storia repubblicana. In un altro Paese, lo farebbero studiare nelle scuole».
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Italia kaputt, a Palazzo Chigi il super-piazzista dell’euro
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Era il 1997 ed Enrico Letta annunciava, nel suo saggio pubblicato da Laterza, che sarebbe valsa la pena di morire per l’euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia”. «Non c’è un paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di una moneta unica», disse al “Corriere della Sera”, al termine del suo primo incarico importante, la partecipazione alla commissione per l’introduzione dell’euro. «Abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che, quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna: è impossibile che non abbiano successo, il mercato della moneta unica sarà una buona scuola, ci troveremo bene». Questo è l’uomo a cui l’appena rieletto Napolitano affida il “governissimo”.
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Alto rischio: il bunker dei partiti e lo spettro della violenza
Che la situazione sia ormai esplosiva – sul piano civile, istituzionale, economico e ambientale – l’hanno compreso un po’ tutti, ad eccezione dei soliti noti che, in queste ore, si preparano con il sostegno attivo di Napolitano a formare un governo di larghe intese. Insomma, la rabbia cresce un po’ ovunque e Grillo, in varie occasioni, ha fatto bene a ricordare che l’entrata in politica del “Movimento 5 Stelle” ha permesso di canalizzare questa energia potenzialmente distruttiva in un progetto pacifico rispettoso della Costituzione. Il fatto stesso di aver indirizzato il malcontento e il malessere popolare verso il Parlamento a qualcuno non sembra così utile. Un articolo di Valerio Lo Monaco esprime bene la difficoltà dei critici del sistema ad integrare emozioni e prospettive di cambiamento conservando un minimo di buon senso.
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Della Luna: temo il peggio, ora massacreranno chi protesta
«Tutto ciò che fa il Parlamento è democratico», rassicura Stefano Rodotà, dall’alto delle sue rendite pubbliche. «Soprattutto se quel Parlamento è un Parlamento di nominati, nominati da non più di venti persone delle segreterie / cda dei partiti», ha dimenticato di aggiungere. Napolitano, già sottoscrittore, con Prodi, della privatizzazione di Bankitalia nel 2006 e corresponsabile politico del governo Monti, si conferma garante, all’interno, della coesione della partitocrazia necessaria alla tutela degli interessi della partitocrazia stessa; e all’esterno, garante della obbedienza dell’Italia a una politica economico-finanziaria che avvantaggia il capitalismo bancario straniero a danno degli italiani. E’ a questo che deve il suo successo e la sua rielezione, a questa capacità di duplice e congiunta garanzia, che gli assicura il sostegno delle “cancellerie che contano”. Ci manca solo che ora anche Bersani faccia il sacrificio di rimanere in carica e che Berlusconi accetti un Amato a Palazzo Chigi.
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Rottamato il Pd, da D’Alema a Renzi: fine dell’equivoco
Di Bersani, Prodi e Marini non è neppure il caso di dire. Ne esce male tutto il Pd che ormai è solo la sigla di Psico Dramma. Non esiste più come soggetto politico, probabilmente si scinderà e forse neppure in due soli pezzi, ha dissipato un consenso che non rivedrà mai più neppure con il cannocchiale, ha la base in rivolta ed ha perso ogni contatto con il paese. Ma quello che è più singolare è che perdono tutte le sue correnti (o meglio, le sue tribù). Ovviamente ne esce disintegrato il gruppo bersaniano che perde il suo punto di riferimento e che non sa a che santo votarsi. Ma perde anche Dalema: è riuscito ad ammazzare la candidatura di Prodi, ma si è suicidato, perché questa è la premessa del suo vero pensionamento (finalmente!). Non è riuscito ad andare al colle, non è più parlamentare, il suo gruppo è individuato come quello dei “traditori” ed è odiatissimo da tutti.
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Il Palazzo dei morti si è arreso al diktat contro l’Italia
«Vilipendio al popolo italiano», tuona Giulietto Chiesa: l’inaudita rielezione di Napolitano al Quirinale, maturata con la resa del Pd ormai “suicidato” da Bersani, è un oltraggio per i milioni di italiani che invocavano, con Grillo, il nome di Stefano Rodotà come garante di una Costituzione calpestata dalla casta dei partiti e demolita giorno per giorno dall’oligarchia tecnocratica europea, che mira a cancellare lo Stato e il suo sistema di protezioni sociali, sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore. «Come avrete capito – protesta “Megachip” – riavremo un governo molto peggiore del terribile governo Monti. E si va allo scontro, politico e sociale». Drammatici gli appelli alla mobilitazione popolare: dal leader del “Movimento 5 Stelle”, che parla di “golpe”, a Paolo Flores d’Arcais che su “Micromega” esorta gli italiani che hanno assediato Montecitorio a restare in piazza, «contro la vergogna di un presidente dell’inciucio, e del salvacondotto per il Caimano».
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Marini e l’inciucio degli zombie, il suicidio finale del Pd
La parabola del Partito Democratico precipita nel baratro nella tarda serata del 17 aprile 2013. La candidatura di Marini alla presidenza della Repubblica, avanzata da Bersani nel plenum del Pd, spacca il partito in una decina di frammenti, che non saranno più ricomponibili in nessun modo duraturo. E trova il consenso entusiastico della destra. Un vero torrente di zombi fumanti invade le fognature televisive di un paese alla deriva in una palude stagnante. E’ l’inciucio più inverosimile della storia degl’inciuci: quello che ammazza uno degl’inciucianti. L’Italia, quella che ancora riesce a sopravvivere, osserva attonita. Che la casta fosse putrescente non c’erano dubbi, per i viventi. Ma che si giungesse a tanto, a un vaudeville così frastornante, pochi riuscivano a immaginare.
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La Bonino che non t’aspetti e la carica degli impresentabili
Salvare Berlusconi dai processi e garantire a Bersani un vero incarico per un governicchio: è questa la missione delle trattative per il Quirinale? Peccato che i candidati dei partiti «sono da fare accapponare la pelle», protesta Marco Travaglio, che passa in rassegna la nomenklatura quirinalizia come una galleria degli orrori. A cominciare dall’ex “dottor sottile” di Craxi, Giuliano Amato, il premier che fece pestare a sangue i disoccupati a Napoli un anno prima del G8 di Genova, dopo essersi fatto detestare nel fatidico ’92 con il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti degli italiani, un bottino da 93.000 miliardi di lire. Un uomo d’oro, da 31.000 euro al mese, presidente dell’Antitrust ignaro del super-trust Mediaset, consulente della Deutsche Bank, membro della Treccani e della scuola San’Anna di Pisa, nonché consigliere di Monti per i tagli ai costi della politica (mai tagliati). Berlusconi lo candidò al Quirinale, il centrosinistra l’ha riempito di cariche: «Nella speciale classifica degli impresentabili è uno dei vincitori di diritto».
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Quirinale pulito: Guariniello contro la Bonino (e l’inciucio)
Guariniello for president. Aldo Giannuli l’aveva proposto già all’indomani delle elezioni. E ora il nome del magistrato torinese sta “girando” parecchio, sui giornali e anche nel “Movimento 5 Stelle”. Un’ottima notizia, conclude Giannuli, anche perché il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello – in prima linea contro lo spionaggio aziendale in Fiat e contro gli abusi sul posto di lavoro, dalla Thyssen all’Eternit – sarebbe un candidato in grado di piacere ai grillini, al Pd e a Sel, conquistando una quota di voti ben superiore alla soglia delle 504 schede richieste al quarto scrutinio. Soprattutto, Guarinello taglierebbe la strada al concorrente più accreditato da tutti i sondaggi, l’ultraliberista Emma Bonino, possibile regina del “grande inciucio” che, dal Quirinale, si estenderebbe poi al governo e all’intero paese.
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Assalto alle banche, vogliono un altro governo Bilderberg
Per imporre in Italia un governo compiacente alla linea che molti oggi chiamerebbero “Linea Bilderberg”, o “Linea Monti-Merkel-Goldman Sachs”, nonostante l’esito elettorale dell’ultimo voto politico, potrebbe essere a breve orchestrata una crisi bancaria italiana che terrorizzi la popolazione e crei il consenso per un governo di quel tipo in cambio di soccorsi monetari di Bce, Fed e altri. I recenti spostamenti di capitali dello Ior da banche italiane a banche tedesche (compresa parte del nostro 8 per mille) corrobora questa congettura, assieme alla nomina di un tedesco alla presidenza dello Ior. Il voto politico del 25 febbraio esprime disinganno e rifiuto della maggioranza degli italiani verso la dittatura dei mercati, l’egemonia della Germania, il modello economico mercatista e neoliberista snaturato in Europa col socialismo tributario dei cosiddetti Illuminati, le ricette rigoriste e fiscaliste di tecnici e accademici balordi o traditori
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Congelare il cambiamento: l’ultimo diktat di Napolitano
«Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con tante scuse per il ritardo». Marco Travaglio rimprovera ai grillini di voler «perdere un treno che potrebbe non ripassare più», avendo rinunciato a proporre «una rosa di personalità che potessero incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re». Immediata la contromossa del “sovrano”, Giorgio Napolitano: la strana nomina di due commissioni, costituite da “personalità diverse”, per uscire dello stallo dei veti incrociati. «Una decisione che lascia sbigottiti per l’improntitudine costituzionale e politica che la informa», protesta Paolo Flores d’Arcais: «E’ difficile dire se i nomi proposti da Napolitano per le due “commissioni” costituiscano una indecenza o una esplicita provocazione contro milioni di cittadini che chiedono che si volti pagina».
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Travaglio: Grasso evitò di indagare Schifani, difeso dal Pd
«I 5 Stelle che han votato Grasso contro Schifani sapevano bene chi è Schifani e hanno scelto il meno peggio, cioè Grasso, ma non avevano la più pallida idea di chi è Grasso». E questo è un bel problema, dice Marco Travaglio, specie per chi dice di informarsi sul web per sfuggire alla propaganda di regime: «Se l’avessero fatto davvero, avrebbero scoperto che il dualismo Schifani-Grasso era finto». Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti cinque anni fa «non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia». Quando poi lo stesso Travaglio raccontò in televisione «chi è Schifani», i primi ad attaccarlo furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di “Rai3” Ruffini e “Repubblica”. «Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini».