Archivio del Tag ‘illusioni’
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Euro Macht Frei, l’Europa è solo un’espressione germanica
L’Italia è solo un’espressione geografica e l’Europa è solo un’espressione germanica: euro macht frei. L’Unione Europea e l’euro vennero spacciati come strumento per unificare i paesi europei. L’effetto è opposto. I paesi mediterranei, pieni di debiti e di disoccupati, dopo aver ceduto gli asset migliori, vengono spinti verso il Terzo Mondo, mentre il Terzo Mondo, sui barconi, viene spinto dentro di essi. La separazione tra nord e sud d’Europa viene resa sempre più dura e insuperabile. Zero solidarietà e zero veduta d’insieme. Menefreghismo totale e compiaciuto: i paesi nordeuropei si stanno costruendo il loro subcontinente coloniale per trarne mano d’opera e lavorazioni a buon mercato. L’idea di unificazione europea era assurda sin dall’inizio: bastava guardare alle costanti storiche delle principali nazioni europee che dovevano unificarsi, per predire che questo progetto era irrealizzabile. E che, se realizzato, avrebbe portato a un incrocio tra una polveriera come la Jugoslavia unita e una palude malata come l’Italia unita.Superiore efficienza, solidarietà interna, conformismo, sopraffazione degli altri popoli, soprattutto se mediterranei, assenza di scrupoli: queste sono le caratteristiche politiche e culturali del popolo tedesco oggi, esattamente come ai tempi del Terzo Reich, ai tempi del Secondo Reich e anche prima. Le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, le invasioni di paese neutrale, le stragi di civili, anche di bambini, le compivano anche nella prima, non avevano bisogno di aspettare Hitler e il nazismo. Hitler e il nazismo sono un’espressione dell’animo tedesco profondo (accanto ad altri, ben diversi), una sua costante, non un fattore esogeno e transitorio di disturbo, separabile dalla nazione. Nella consapevolezza di ciò, dopo la Prima Guerra Mondiale, i vincitori le imposero dure condizioni economiche, studiate per impedire che risorgesse come potenza militare. Visto che ciò non era bastato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la si si ridusse molto di dimensioni e la si divise in quattro zone di controllo; ma esistevano piani più radicali per renderla inoffensiva, facendone un paese puramente agricolo.Quasi dimenticavo: durante e dopo la guerra, sovietici e statunitensi sterminarono deliberatamente diversi milioni di civili e di prigionieri tedeschi, trucidandoli o facendoli morire di fame e di stenti. Effetto di queste misure e di queste stragi, è stato di consolidare l’atteggiamento morale condiviso da quel popolo, ossia considerare gli altri popoli come avversari da sottomettere non appena possibile. Con mezzi economici, se non con mezzi militari. Passiamo al Regno Unito. Anche i britannici di oggi continuano i caratteri storici del loro atteggiamento verso l’Europa continentale: Né dentro né fuori, ma meglio fuori che dentro, possibilmente alla distanza giusta per controllare. Nel 2017, faranno un referendum per l’uscita dall’Unione Europea. È però ben possibile che minaccino di farlo allo scopo di ottenere, come già hanno fatto in passato, più vantaggi economici e privilegi dall’Unione Europea, disposta a pagare pur di evitare l’uscita di un membro così insigne, la quale sarebbe una dimostrazione di fallimento dell’Unione Europea stessa, forse l’inizio della sua scomposizione.Ossia, è probabile che da Londra stiano dicendo: Voi, eurocrati predoni e parassiti di Bruxelles e Strasburgo, se volete continuare a fare i vostri comodi, se volete che non rompiamo il vostro giocattolo, la vostra macchina da soldi, pagateci. La Francia mantiene costante la sua identità e fierezza nazionale, la sua forza militare e nucleare indipendente, la sua politica razionalmente egoista anche se spesso ingenua, come dimostrato dagli esiti del suo asse con la Germania, con cui i suoi nani politici si illudevano, e illudevano la gente, che la Francia potesse condividere con questa il dominio sull’Europa, anziché restare al guinzaglio finanziario delle sue banche. Dell’Italia, paese senza peso internazionale, anzi ormai sostanzialmente governato dall’esterno, con oltre vent’anni di ininterrotta decadenza funzionale alle spalle e la mafia come mentalità e metodo della sua politica e della sua burocrazia, non serve dire molto: per un paese appena efficiente, l’unirsi ad essa sarebbe autolesionismo. Quanto puerile idealismo necessita, quanto bisogna… spinellarsi, per credere oggi che da questi presupposti di fatto possa nascere un’Europa unita, se non attraverso la violenza, la coercizione e la sopraffazione? Ma se questo è il progetto degli illuminati architetti che hanno congegnato e calato dall’alto questo ordinamento europeo e questa moneta unica con le sue regole di bilancio, allora proprio la Germania, la patria dei Lager e dei campi di lavoro forzato, è il suo vero e immancabile strumento di realizzazione. Euro macht frei.(Marco Della Luna, “L’Europa è solo un’espressione germanica”, dal blog di Della Luna del 30 maggio 2015).L’Italia è solo un’espressione geografica e l’Europa è solo un’espressione germanica: euro macht frei. L’Unione Europea e l’euro vennero spacciati come strumento per unificare i paesi europei. L’effetto è opposto. I paesi mediterranei, pieni di debiti e di disoccupati, dopo aver ceduto gli asset migliori, vengono spinti verso il Terzo Mondo, mentre il Terzo Mondo, sui barconi, viene spinto dentro di essi. La separazione tra nord e sud d’Europa viene resa sempre più dura e insuperabile. Zero solidarietà e zero veduta d’insieme. Menefreghismo totale e compiaciuto: i paesi nordeuropei si stanno costruendo il loro subcontinente coloniale per trarne mano d’opera e lavorazioni a buon mercato. L’idea di unificazione europea era assurda sin dall’inizio: bastava guardare alle costanti storiche delle principali nazioni europee che dovevano unificarsi, per predire che questo progetto era irrealizzabile. E che, se realizzato, avrebbe portato a un incrocio tra una polveriera come la Jugoslavia unita e una palude malata come l’Italia unita.
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Calcio, la religione perfetta di questo capitalismo spietato
La nascita del calcio moderno è strettamente legato alla nascita dello Stato parlamentare borghese ed ai primi passi del sistema economico capitalista alla fine del XVII secolo e inizi del XVIII in Inghilterra. In questo modo, la configurazione delle regole di questo sport ed il consenso che ne deriva, sono il risultato della filosofia propria del sistema appena creato, dove si incontrano diversi gruppi politici per competere al potere parlamentare sottoscrivendo delle regole concrete sotto la supervisione di un giudice. Gli artefici di questa trasposizione di valori sono stati gli studiosi degli elitisti della ‘public shcools’ britannici, che diedero all’attuale “re degli sport” la forma che ha oggi all’adottare regole comuni per poter competere a livello nazionale tra le squadre legate ai propri centri educativi. Ma fu solo grazie alla classe operaia britannica che il calcio si professionalizzò e si estese, arrivando a tutte le colonie e porti con presenza britannica nel XIX secolo. La rapida espansione si deve, tra le altre cose, a la scarsità di mezzi che richiedeva la dinamica del gioco, dove solo serviva un pallone (o qualcosa che possa sembrare sferico) e alcune delimitazioni che facessero le veci della porta.Una religione mediatizzata. Attualmente questo fenomeno genera potenti comunità vertebrate da sentimenti identitari collettivi che gestano intorno a diversi clubs del mondo, riaffermandosi in ogni partita attraverso una serie di azioni di massa che possono essere ben classificati come riti sociali. Diversi autori fanno notare il parallelismo dei luoghi comuni che condividono il calcio e i riti religiosi. Partendo dagli studi realizzati da Émile Durkheim sulle religioni primitive agli inizi del XX secolo, si intende che la ragion d’essere delle diverse religioni, presenti in tutte le civiltà conosciute, è quella di giustificare la forma sociale della quale a sua volta ne è il risultato. Tutti i riti religiosi compiono in questo modo una funzione unificante della comunità che li praticano. Questi riti solitamente consistono in atti di comunione congiunta dei suoi membri con entità sovra-terrene., che costituiscono in fine una specie di omaggio e riaffermazione della propria comunità e della propria struttura sociale.In coincidenza con le rivoluzioni liberali, dove si elimina la grazia di Dio come giustificazione principale del potere, cominciò in occidente una progressiva, anche se limitata, perdita di autorità politica del cristianesimo, sostituita da diverse forme di culto “laico” della società. Uno di questi è il fenomeno sociale del calcio. Durante il rito calcistico, le tifoserie realizzano un atto di comunione quasi religioso, esprimendo devozione nei confronti del proprio club durante la stagione di calcio ordinaria e alla propria nazione quando gioca la formazione dei rispettivi paesi. Sia in un caso che nell’altro, gli individui approcciano con l’ideale che li unisce affidandosi in questo modo alla comunità alla quale appartengono. Sono diversi gli elementi condivisi dai riti religiosi e calcistici, dove la comunità rafforza e riafferma il sentimento che si ha della stessa. In ogni culto religioso è necessario, in primo luogo, separare gli atti sacri dai profani, configurando un calendario liturgico per la quotidianità dei fedeli. I fine settimana sono i giorni eletti sia per andare a messa che generalmente per andare allo stadio.In secondo luogo, la rottura con la vita profana deve estendersi anche nella sua dimensione spaziale. Una cerimonia religiosa può essere svolta solo in spazi sacri e appositamente preparati per questa. Attualmente, i tempi del calcio emergono solenni nelle città simbolizzandone l’importanza politica ed economica, così come la grandezza dello stesso club. Al loro interno, il terreno di gioco, così come il presbiterio cattolico, si investe come spazio sacro che può essere calpestato unicamente dagli ufficianti del rito, in questo caso i giocatori e l’arbitro. Questo spazio viene sottomesso a particolari attenzioni che lo rendono degno dell’importanza dell’atto: prato curato, pulito e adeguatamente annaffiato.In terzo luogo, in tutti gli atti religiosi hanno luogo una serie di di azioni più o meno collettive e ripetitive, dove i fedeli esprimono la propria devozione verso l’istanza adorata. Alzare le braccia, agitare le sciarpe, alzarsi dalle sedie o intonare canti sono espressioni collettive di venerazione verso il club e che rispecchiano una significativa somiglianza da quelle realizzate dai e dalle fedeli verso le rispettive divinità nei loro rispettivi templi.Tutte le comunità religiose devono avere dei riferimenti storici che servano da esempio ai suoi integranti. La leggenda e il mito attorno a determinati giocatori per un club assomigliano alla tradizionale santificazione cristiana di personaggi storici. I santi costituiscono in questo modo autentici esempi di attuazione e di servizio verso la comunità religiosa, essendo stati canonizzati dalla realizzazione di determinati atti o gesta che contribuirono all’espansione del cristianesimo nel mondo. Nel caso del calcio, i tifosi delle squadre ricordano giocatori emblematici le cui gesta sul terreno di gioco sono state determinanti nel conseguimento di titoli e glorie che ingrandirono il club. Il caso di Diego Armando Maradona è un chiaro esempio del vincolo esistente tra idolatria religiosa e calcistica: intorno a lui si formò la Chiesa maradoniana in Argentina, un culto di stampo parodico ma che comprende sentimenti reali verso la figura del calciatore. A Napoli fu santificato extra-ufficialmente dai tifosi del club.Competitività, consumo e successo sociale. Come si può vedere, i legami tra rito religioso e rito sportivo sono noti. Durante la stagione di calcio prende inizio un culto dedicato alla competizione per il successo professionale (legato al successo sociale) che governa la società contemporanea basata sull’economia di mercato. Ma il calcio nella società attuale non è l’unico spazio di aggregazione collettiva che risponde a queste funzioni di coesione. Il modo in cui le persone consumano quasi tutti gli altri tipi di spettacoli, come il cinema, la musica e la televisione, si avvicinano in gran misura al culto religioso. Un esempio sono le diverse comunità di appassionati (fanatici) creati attorno a prodotti culturali generati dalle industrie dello spettacolo, dove gli integranti mostrano simboli identificativi incorporate in oggetti di merchandising di uso quotidiano o realizzano autentiche mostre di devozione accudendo a cerimonie collettive come concerti , film, o il consumo simultaneo di capitoli di serie televisive.In ognuno di questi campi è un luogo comune l’opera di santificazione delle figure più importanti, condotta dai mass media. Anche se gli antichi santi erano usati come esempi di comportamento ascetico, le celebrità moderne sono santificati esattamente per l’opposto, essendo esempi di opulenza e di comportamenti sociali legati al consumo, che costituiscono il carburante di un sistema sociale basato sulla sovrapproduzione. In questo aspetto, sono disposte intorno al calcio autentici modelli di uomo per la classe operaia, soprattutto perché la maggior parte dei calciatori provengono dai settori più umili della società e hanno raggiunto la fama e il successo solitamente per competenze sul campo e per la dedizione. E ‘ particolarmente significativo che l’ industria mediatica dedichi tale privilegio all’unico posto che il sistema economico capitalista offre in cui la classe sociale non determina il successo nella carriera. I mass media portano a termine questo lavoro di glorificazione di campioni, che investiti come modelli autentici della vita nella società dei consumi, come esempi di virilità, di auto-superamento e lavoro.Dal settore della pubblicità ai telegiornali, ci vengono continuamente mostrate le gesta di questi superuomini in campo e, ogni volta di più, le telecamere si introducono nella loro vita quotidiana per mostrare l’opulenza in cui vivono, le donne bellissime che hanno o la nuova auto che hanno acquisito. Il telespettatore medio della classe operaia vedrà così che un suo simile è arrivato alla cima del successo sociale con i propri mezzi, essendo egli stesso l’unico responsabile delle loro condizioni socioeconomiche. Il mito attualmente generato da giornalisti sportivi e aziende pubblicitarie intorno al calciatore Cristiano Ronaldo è il miglior esempio di questa strategia mediatica. Il marchio sportivo Nike sfrutta da anni la sua immagine come modello di mascolinità e professionalità. “Le mie aspettative sono meglio delle tue” è stato lo slogan lanciato dal brand nel 2009. Una gigantesca immagine del giocatore esultando per un gol con il torso nudo appariva praticamente in ogni fermata metropolitana di Madrid, ricordando ai milioni di lavoratori che usano i mezzi pubblici come siano ancora lontani dal successo sociale e professionale. Il consumo diventa quindi l’unico modo possibile per emulare il superuomo che non sono stati in grado di essere.Il prato politicizzato. Ma quello di cui abbiamo parlato è solo uno degli aspetti attraverso i quali il calcio diviene uno spazio per la disputa politica per il potere e il controllo sociale. È necessario ricordare che il calcio costituisce un’allegoria del combattimento in cui due comunità perfettamente identificate si affrontano attraverso il gioco, che permette di svolgersi senza rischiare l’integrità fisica dei partecipanti. Nella dimensione di fenomeno di massa, questo sport canalizza impulsi aggressivi della società attraverso l’elemento mimetico che costituisce il gioco competitivo su prato, essendo un luogo ideale per soddisfare le pretese di accrescere il potere così come riaffermazioni dell’autorità stabilita. Il fascista Benito Mussolini è stato tra i primi leader politici a vedere nel calcio un importante strumento di propaganda. Dedicò grandi sforzi per costruire stadi monumentali e organizzare grandi eventi sportivi, al fine di dimostrare la potenza della nuova Italia.Attualmente, questa strategia è un modello di base della politica globale, che si reggono su simili pretese imperialiste. Basta notare il modo in cui gli stati nazionali scaricano sul prato il loro orgoglio nazionale, o il modo in cui competono in precedenza per ospitare i mondiali, mostrando il loro livello organizzativo e il loro potenziale di sviluppo per gli investimenti stranieri. Si producono violenti sgomberi di gente povera nei centri delle città, o ingenti investimenti di capitale pubblico nella costruzione di infrastrutture che daranno enormi profitti alle élite economiche locali e straniere. In questi campionati, il calcio funziona come un elemento di coesione. Nel caso della Spagna, dopo l’esito della Coppa del Mondo in Sud Africa 2010 non passò molto tempo prima di sentire dai mass media allegorie riguardo il gran potere che potrebbe avere una Spagna unita nel campo della politica globale, essendo l’unione un requisito vincolante per uscire il prima possibile dalla crisi economica.Il complesso da impero smarrito che costituisce il nazionalismo spagnolo viene riflesso dai media col trionfo della selezione, rafforzando il senso di identità nazionale calmando a sua volta il clima socio-politico”. Si nota un gran contrasto dalla saturazione mediatica dei mondiali del 2010 con il relativo silenzio dei media dopo che gli spagnoli vennero eliminati nel 2014 in Brasile. Attraverso l’armamentario multimediale creato intorno ai trionfi della squadra nazionale, viene generato nella classe operaia una sorta di illusione collettiva di partecipazione allo stato-nazione, come sostituto. In ogni canale televisivo si creano talk show e programmi sportivi condotti da “esperti” che esaltano gli eroi del paese, plasmando uno spirito nazionale che integra i lavoratori, i datori di lavoro, e le istituzioni politiche. Grazie alla facilità che offre nel generare identità collettive, il calcio è un richiamo di massa senza eguali riproducendo le strutture di potere sociali e le diverse tensioni insite in loro.Il calcio e la sessualità. Il calcio rappresenta uno dei grandi bastioni intoccabili di dominio maschile nella sua dimensione più tradizionale. Le glorie calcistiche sono sistematicamente negate alle donne anche se hanno sempre maggiore presenza negli stadi. Esse sono una minoranza, come gli omosessuali, condannate al silenzio più completo. L’associazione tra la virilità e la competizione attraverso il contatto fisico, che è la spina dorsale del culto di calcio, è logica conseguenza del contesto filosofico morale-borghese in cui è stato sviluppato questo sport. Come in ogni altro sport, viene eseguita la discriminazione delle donne a praticare insieme agli uomini, alludendo a ragioni di stampo biologistico. Senza entrare nel merito di una discussione di questo tipo, è sufficiente ricordare che il calcio è uno sport in cui le capacità fisiche si compensano con le capacità tecniche, l’intelligenza del giocatore o la giocatrice, la strategia e la coesione della squadra.Altrimenti sarebbe stato impensabile, per esempio, che una squadra come la squadra spagnola, composta per lo più di giocatori più bassi e relativamente sottili, conquistasse il titolo mondiale nel 2010, rispetto a squadre in gara come il Camerun o la Costa d’Avorio che non hanno nanche raggiunto la seconda fase del torneo. Argomenti di stampo evoluzionista prevalgono rispetto le teorie sociali nello spiegare perché le donne giocano a calcio peggio degli uomini e non sono degne di competere con loro. Sicuramente pensare al fatto che le donne fin dalla nascita partano da una posizione chiaramente svantaggiosa per questo sport (e praticamente qualsiasi altro) rispetto agli uomini a causa della costruzione sociale rigida che coinvolge ruoli di genere nei quali socializzano è più assurdo che pensare che le donne giocano a calcio perché Madre Natura (paradossalmente) così volle. D’altra parte, il culto all’ideale maschile su cui regge lo spettacolo calcistico comporta una sorta di divieto tacito sulla pratica a quegli individui la cui identità sessuale è percepita come una minaccia per i fondamenti della mascolinità tradizionale venerati in questo sport.Non è un caso che ci siano attualmente solo due giocatori professionisti attivi apertamente gay, Anton Hysén svedese e l’americano Robbie Rogers, entrambi giocano attualmente in Usa. I casi più noti sono diventati pubblici dopo il loro ritiro, evidenziando l’incompatibilità della loro identità sessuale con la loro carriera. Interpretando così, ogni partita di calcio professionale come una cerimonia quasi religiosa in cui la società realizza un culto abitudinario dei valori di competitività e mascolinità che governano il sistema socio-politico dominante, si capisce la difficoltà di un calciatore gay di affermarsi come elemento dissonante in un ambiente così mediatico, in cui sarà sottoposto ad un inevitabile giudizio dalla massa. Eppure, a poco a poco cresce il divario della Fifa grazie al coraggio dei giocatori stessi, che silenziosamente lottano per la loro libertà sessuale auspicando lo sviluppo di ulteriori iniziative che promuovono la normalizzazione dell’omosessualità nello sport. Tuttavia, questo è solo l’inizio di un percorso faticoso che comporta la necessità di ripensare i pilastri culturali su cui questo fenomeno di massa si basa.(Manuel González Ayestarán, “Calcio, media e controllo sociale”, da “Rebelion” del 16 dicembre 2014, tradotto da Torito per “Come Don Chisciotte”).La nascita del calcio moderno è strettamente legato alla nascita dello Stato parlamentare borghese ed ai primi passi del sistema economico capitalista alla fine del XVII secolo e inizi del XVIII in Inghilterra. In questo modo, la configurazione delle regole di questo sport ed il consenso che ne deriva, sono il risultato della filosofia propria del sistema appena creato, dove si incontrano diversi gruppi politici per competere al potere parlamentare sottoscrivendo delle regole concrete sotto la supervisione di un giudice. Gli artefici di questa trasposizione di valori sono stati gli studiosi degli elitisti della ‘public shcools’ britannici, che diedero all’attuale “re degli sport” la forma che ha oggi all’adottare regole comuni per poter competere a livello nazionale tra le squadre legate ai propri centri educativi. Ma fu solo grazie alla classe operaia britannica che il calcio si professionalizzò e si estese, arrivando a tutte le colonie e porti con presenza britannica nel XIX secolo. La rapida espansione si deve, tra le altre cose, a la scarsità di mezzi che richiedeva la dinamica del gioco, dove solo serviva un pallone (o qualcosa che possa sembrare sferico) e alcune delimitazioni che facessero le veci della porta.
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Craxi: via noi, il regime violento della finanza vi farà a pezzi
Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione. La privatizzazione è presentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca. Una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale. La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza.I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico, sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente individuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico. Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le Commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”. Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra, e adottato da tutti anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio.La montagna ha partorito il topolino. Anzi il topaccio. Se la Prima Repubblica era una fogna, è in questa fogna che, come amministratore pubblico, il signor Prodi si è fatto le ossa. I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti. I criteri con i quali si è oggi alle prese furono adottati in una situazione data, con calcoli e previsioni date. L’andamento di questi anni non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori. La situazione odierna è diversa da quella sperata. Più complessa, più spinosa, più difficile da inquadrare se si vogliono evitare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Poiché si tratta di un Trattato, la cui applicazione e portata è di grande importanza per il futuro dell’Europa Comunitaria, come tutti i Trattati può essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali ed alle nuove esigenze di un gran numero ormai di paesi aderenti.Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà. Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione. Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro. La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.(Bettino Craxi, estratti dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, ripresi da “Il Blog di Lameduck” il 19 maggio 2015. Il libro, edito da Mondadori nel 2014, cioè 14 anni dopo la morte di Craxi, raccoglie scritti del leader socialista risalenti alla seconda metà degli anni ‘90. Scritti che oggi appaiono assolutamente profetici).Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.
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Latouche: l’economia, una religione che distrugge la felicità
Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali. E’ evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo Stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.Dalla concorrenza, i consumatori possono trarre benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori. Come si fa la pace? Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista, è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro.Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre-economica, ci vorranno secoli per tornare indietro. Preferisco definirmi filosofo, anche se nasco come economista, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna. L’ho capito in Laos, dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serve solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici. Ai vertici della politica gli economisti sono molti. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna si avvicinano alla strada. L’Expo? Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come CocaCola. Mi sarebbe piaciuto se l’avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E’ il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa, e di cattiva qualità.(Serge Latouche, dichiarazioni rilasciate a Giuliano Balestreri per l’intervista “L’economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza”, pubblicata da “Repubblica” il 10 maggio 2015).Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.
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Paura della storia: cancellano l’Urss che distrusse Hitler
Il 70° anniversario della vittoria sul nazismo, il 9 maggio a Mosca, è stato boicottato su pressione di Washington da tutti i governanti della Ue, salvo il presidente greco, e messo in ombra dai media occidentali, in un grottesco tentativo di cancellare la Storia. Non privo di risultati: in Germania, Francia e Gran Bretagna risulta che l’87% dei giovani ignora il ruolo dell’Urss nella liberazione dell’Europa dal nazismo. Ruolo che fu determinante per la vittoria della coalizione antinazista. Attaccata l’Urss il 22 giugno 1941 con 5,5 milioni di soldati, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, la Germania nazista concentrò in territorio sovietico 201 divisioni, cioè il 75% di tutte le sue truppe, cui si aggiungevano 37 divisioni dei satelliti (tra cui l’Italia). L’Urss chiese ripetutamente agli alleati di aprire un secondo fronte in Europa, ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo ritardarono, mirando a scaricare la potenza nazista sull’Urss per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra.Il secondo fronte fu aperto con lo sbarco anglo-statunitense in Normandia nel giugno 1944, quando ormai l’Armata Rossa e i partigiani sovietici avevano sconfitto le truppe tedesche assestando il colpo decisivo alla Germania nazista. Il prezzo pagato dall’Unione Sovietica fu altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione (in rapporto allo 0,3% degli Usa in tutta la Seconda Guerra Mondiale); circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70.000 piccoli villaggi, 30.000 fabbriche distrutte. Questa pagina fondamentale della storia europea e mondiale si tenta oggi di cancellare, mistificando anche gli eventi successivi. La guerra fredda, che divise di nuovo l’Europa subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, non fu provocata da un atteggiamento aggressivo dell’Urss, ma dal piano di Washington di imporre il dominio statunitense su un’Europa in gran parte distrutta.Anche qui parlano i fatti storici. Appena un mese dopo il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, nel settembre 1945, al Pentagono già calcolavano che occorrevano oltre 200 bombe nucleari per attaccare l’Urss. Nel 1946, quando il discorso di Churchill sulla “cortina di ferro” apriva ufficialmente la guerra fredda, gli Usa avevano 11 bombe nucleari, che nel 1949 salivano a 235, mentre l’Urss ancora non ne possedeva. Ma in quell’anno l’Urss effettuò la prima esplosione sperimentale, cominciando a costruire il proprio arsenale nucleare. In quello stesso anno venne fondata a Washington la Nato, in funzione antisovietica, sei anni prima del Patto di Varsavia costituito nel 1955.Terminata la guerra fredda, in seguito al dissolvimento nel 1991 del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, su spinta di Washington la Nato si è estesa fin dentro il territorio dell’ex Urss. E quando la Russia, ripresasi dalla crisi, ha riacquistato un ruolo internazionale stringendo crescenti rapporti economici con la Ue, il putsch in Ucraina, sotto regia Usa/Nato, ha riportato l’Europa a un clima da guerra fredda. Boicottando sulla scia degli Usa il 70° anniversario della vittoria sul nazismo, l’Europa occidentale (quella dei governi) cancella la storia della sua stessa Resistenza, che tradisce sostenendo i nazisti andati al governo a Kiev. Sottovaluta la capacità della Russia di reagire, quando viene messa alle corde. Si illude di poter continuare a dettare legge, quando la presenza a Mosca dei massimi rappresentanti dei Brics, a partire dalla Cina, e di tanti altri paesi conferma che il dominio imperiale dell’Occidente è sulla via del tramonto.(Manlio Dinucci, “La cancellazione della storia”, da “Il Manifesto” del 14 maggio 2015).Il 70° anniversario della vittoria sul nazismo, il 9 maggio a Mosca, è stato boicottato su pressione di Washington da tutti i governanti della Ue, salvo il presidente greco, e messo in ombra dai media occidentali, in un grottesco tentativo di cancellare la Storia. Non privo di risultati: in Germania, Francia e Gran Bretagna risulta che l’87% dei giovani ignora il ruolo dell’Urss nella liberazione dell’Europa dal nazismo. Ruolo che fu determinante per la vittoria della coalizione antinazista. Attaccata l’Urss il 22 giugno 1941 con 5,5 milioni di soldati, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, la Germania nazista concentrò in territorio sovietico 201 divisioni, cioè il 75% di tutte le sue truppe, cui si aggiungevano 37 divisioni dei satelliti (tra cui l’Italia). L’Urss chiese ripetutamente agli alleati di aprire un secondo fronte in Europa, ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo ritardarono, mirando a scaricare la potenza nazista sull’Urss per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra.
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Tutti bugiardi venduti allo straniero, e noi dovremmo votarli
L’Europa dovrebbe essere solidale con l’Italia nell’affrontare l’emergenza epocale dell’immigrazione di massa, ma non lo è e lascia l’Italia sola, in prima linea, a sostenere tutti i costi, non solo finanziari. In materia economica, l’Europa dovrebbe essere solidale con l’Italia e gli altri paesi più in difficoltà, ma non lo è, e serve gli interessi dei paesi più forti ai danni dei più deboli. Le politiche finanziarie europee dovrebbero tendere a sviluppo e coesione ed essere riviste e corrette alla luce dei risultati negativi e controproducenti, ma non lo sono. Ci hanno imposto tasse e tagli per entrare nell’euro, perché doveva recare stabilità, convergenza e crescita, ma ha portato l’opposto. I vincoli e i controlli europei cui ci hanno sottoposti dovevano portare efficienza e risanamento, e invece i potenti d’Europa si sono alleati con la nostra casta corrotta e inefficiente per meglio sfruttare le disfunzioni italiane, amplificandole e dominandoci.L’accoglienza ai migranti dovrebbe essere possibile e sostenibile; ma, di fronte all’immigrazione di molti milioni di persone, oggettivamente non lo è. Inoltre, l’accoglienza dovrebbe essere motivata da ragioni umanitarie, invece, come rivelato dalle intercettazioni del caso Mafia Capitale, è spinta da speculazioni criminali, dal peculato allo spaccio alla prostituzione al lavoro in nero, servite dall’azione della politica. L’integrazione anche morale e legale degli immigrati nella società che li accoglie, la loro accettazione delle nostre leggi e dei nostri principi, dovrebbero essere la norma, ma non lo sono. La politica dovrebbe lavorare sulle basi di ciò che è, non di ciò che dovrebbe essere e sistematicamente non è. Dovrebbe parlare di che cosa è fattibile con ciò che è disponibile ora (senza aspettare Godot, Bruxelles e il Messia). Non lo fa e continua a propagandare l’irreale, cioè a mentire.Mentire per fare interessi illeciti e nascosti, spesso stranieri.Mentendo, i governi rassicurano, per raccogliere voti, che faranno correggere la politica finanziaria europea, ma non la fanno correggere, anzi la impongono più rigidamente. Mentendo, per raccogliere voti, promettono che l’Europa si farà carico dei costi della gestione dell’immigrazione di massa, ma l’Europa non lo fa. Mentendo, i governi assicurano che siamo fuori dalla crisi, ma debito pubblico, disoccupazione, deindustrializzazione, emigrazione, declino competitivo continuano a peggiorare. Mentendo, i governi si fingono sorpresi, stupiti e delusi che le loro promesse non siano state realizzate dalla realtà. Poi ricominciano con nuove promesse e rassicurazioni. E funziona sempre: il popolo non ha memoria, e se si arrabbia, dopo un poco la sua stessa rabbia impotente lo fa ridesiderare nuove speranze e rassicurazioni, fino alla successiva arrabbiatura. Grillo, Renzi, Grillo… Sinist-Dest-Sinist-Dest… pendolarmente: l’alternanza democratica. Così il popolo non può sfuggire, dice “ahi” ma non si sposta mai, e lo prende e riprende sempre in quel posto. In questo senso, Renzi può ben vantarsi che c’è una “ripresa”.(Marco Della Luna, “Il pendolo democratico”, dal blog di Della Luna del 17 aprile 2015).L’Europa dovrebbe essere solidale con l’Italia nell’affrontare l’emergenza epocale dell’immigrazione di massa, ma non lo è e lascia l’Italia sola, in prima linea, a sostenere tutti i costi, non solo finanziari. In materia economica, l’Europa dovrebbe essere solidale con l’Italia e gli altri paesi più in difficoltà, ma non lo è, e serve gli interessi dei paesi più forti ai danni dei più deboli. Le politiche finanziarie europee dovrebbero tendere a sviluppo e coesione ed essere riviste e corrette alla luce dei risultati negativi e controproducenti, ma non lo sono. Ci hanno imposto tasse e tagli per entrare nell’euro, perché doveva recare stabilità, convergenza e crescita, ma ha portato l’opposto. I vincoli e i controlli europei cui ci hanno sottoposti dovevano portare efficienza e risanamento, e invece i potenti d’Europa si sono alleati con la nostra casta corrotta e inefficiente per meglio sfruttare le disfunzioni italiane, amplificandole e dominandoci.
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Mani Pulite ci ha lasciato un’Italia peggiore, mai così povera
In questi giorni si parla molto di una fiction, mandata in onda sulle reti Sky, volta a ricostruire a beneficio del grande pubblico, specie dei più giovani, la storia di Mani Pulite. Io confesso di non avere visto neppure una puntata della serie in oggetto, ricordando invece perfettamente il clima che in quegli anni si respirava. Sul finire degli anni ’80 l’Italia era ancora un paese ricco e sovrano. I problemi non mancavano, a partire dalla corruzione e dalla crescente arroganza delle mafie. Ma, come bene spiega l’economista Nino Galloni, «la corruzione di allora rappresentava la devianza patologica di un indirizzo politico comunque pensato per realizzare una idea di interesse generale». Detta in maniera più semplice. Esistevano, eccome se esistevano, “ruberie, mazzette, tangenti e malversazioni”, malsano effetto collaterale di un sistema che però nel suo complesso produceva ricchezza e posti di lavoro. L’Italia di oggi, invece, frastornata da anni di continua ed incessante caccia alle streghe, è migliore o peggiore di quella lasciataci in eredità dalla cosiddetta Prima Repubblica? Io credo peggiore. Molto peggiore.La corruzione, più raffinata nelle forme, esiste ancora, risultando illusoria e infantile la pretesa di estirpare per decreto o sentenza il vizio e l’ingordigia dal cuore degli uomini; in compenso è scomparso il benessere e sono riapparsi i poveri e i disperati, fucilati da un sistema che ha nel suo complesso perso il senso e la misura. Con la scusa di combattere sprechi e corruzione è stato in realtà posto in essere un vero e proprio Olocausto sociale, crimine immane che nessun sistema delle tangenti, per quanto ben oliato e pervasivo, potrebbe mai eguagliare. La fine dei partiti, e la morte del concetto stesso di Stato imprenditore, giustificata sul piano dialettico proprio attraverso la strumentale esasperazione di alcune deprecabili prassi, ha prodotto un immenso vuoto. Questo vuoto è stato ricoperto per intero da chi detiene su scala globale il potere economico e finanziario, ora finalmente libero di produrre i suoi effetti nefasti (e in parte perfino sanguinari) senza dover sopportare oltre il peso della intermediazione politica.Cosicché, sulla scia del nuovo equilibrio consolidatosi, i nuovi padroni hanno forgiato un modello strutturalmente fondato sulla frode e sull’abuso e l’hanno chiamato “regole”. Hanno distrutto la dignità del lavoro ribattezzandola “flessibilità”; hanno colpito il welfare spacciando una operazione immonda per semplice “razionalizzazione dei costi”; hanno consegnato la leva monetaria ai privati nel nome della “responsabilità”, e hanno messo in piedi un meccanismo che moltiplica in automatico povertà ed indigenza nel nome della sempiterna “lotta agli sprechi”. Questo hanno fatto. E l’hanno fatto grazie alla collaborazione, dolosa o colposa, di tutte quelle forze politiche che non hanno mai trovato il tempo per elaborare una piattaforma politica alternativa al neoliberismo dominante.Partiti di destra, di centro o di sinistra, tutti accumunati dalla paradossale e unanime condanna del nostro fantomatico debito pubblico. Partiti vuoti che vivono esclusivamente della capacità istrionica del satrapo di turno. Partiti ipocriti che, pur richiamandosi impunemente ad una tradizione socialista, si preoccupano solo di assecondare le pulsioni distruttive di un mercato lasciato a briglie sciolte. Mani Pulite non è servita né all’Italia né agli italiani. Mani Pulite è servita a tutti quelli che non vedevano l’ora di trovare campo libero nel mentre Mario Draghi apparecchiava le famose “privatizzazioni”. Mani Pulite è servita a screditare il ruolo della politica, aprendo così la strada al governo di molti ”tecnici illuminati” che, da Prodi a Monti, altro non sono se non amministratori delegati occulti di grandi banche d’affari e multinazionali. Non so come sarebbe oggi l’Italia se Mani Pulite non ci fosse mai stata. So però com’è e non mi piace affatto.(Francesco Maria Toscano, “Sulla scia di Mani Pulite è nata un’Italia peggiore”, dal blog “Il Moralista” del 7 aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, fondato con Gioele Magaldi).In questi giorni si parla molto di una fiction, mandata in onda sulle reti Sky, volta a ricostruire a beneficio del grande pubblico, specie dei più giovani, la storia di Mani Pulite. Io confesso di non avere visto neppure una puntata della serie in oggetto, ricordando invece perfettamente il clima che in quegli anni si respirava. Sul finire degli anni ’80 l’Italia era ancora un paese ricco e sovrano. I problemi non mancavano, a partire dalla corruzione e dalla crescente arroganza delle mafie. Ma, come bene spiega l’economista Nino Galloni, «la corruzione di allora rappresentava la devianza patologica di un indirizzo politico comunque pensato per realizzare una idea di interesse generale». Detta in maniera più semplice. Esistevano, eccome se esistevano, “ruberie, mazzette, tangenti e malversazioni”, malsano effetto collaterale di un sistema che però nel suo complesso produceva ricchezza e posti di lavoro. L’Italia di oggi, invece, frastornata da anni di continua ed incessante caccia alle streghe, è migliore o peggiore di quella lasciataci in eredità dalla cosiddetta Prima Repubblica? Io credo peggiore. Molto peggiore.
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I potenti al tempo di Matteo, fuoriclasse nel fregare tutti
“I potenti al tempo di Renzi” è il titolo di un libro venuto alla luce in questi giorni, suscitando curiosità. Scritto da Luigi Bisignani con Paolo Madron (entrambi giornalisti, anche se il primo non si è limitato a lavorare in redazione: si è occupato di molto altro), racconta i retroscena della politica e le gesta dei suoi protagonisti, quasi tutti arrampicatori, alcuni acrobati. Da quel che si legge nel volume, edito da “Chiarelettere”, si capisce che nella presente congiuntura il più abile e spericolato scalatore è l’attuale premier, il quale sin da quando frequentava la scuola materna ha sempre puntato non a essere il primo della classe, cosa di cui non gli importava e non gli importa nulla, bensì a impadronirsi del potere. Si è talmente allenato nell’esercizio di conquistarlo e amministrarlo da non avere, oggi, alcun rivale in grado di contrastarlo. Bisignani e Madron, stimolandosi a vicenda, ricostruiscono per filo e per segno i passi da gigante compiuti dal giovin fiorentino per giungere in fretta sulle più alte vette istituzionali.Contornandosi di amici di ogni tipo, specialmente democristiani, ex boy scout, progressisti all’acqua di rose e cattolici opportunisti, a 28 anni Renzi aveva già il bastone del comando in mano e l’ha utilizzato per farsi eleggere presidente della Provincia di Firenze, infinocchiando col sorriso sulle labbra i reduci del comunismo militante che avevano visto in lui un astro nascente. Nell’arte sovrana di fottere i compagni, Matteo ha la stoffa del fuoriclasse. Basti pensare alla destrezza con cui è passato da sindaco del capoluogo toscano a segretario del Pd: si è mangiato l’ottimo Pier Luigi Bersani come una merendina, poi si è divorato in un sol boccon l’ingenuo Enrico Letta e si è insediato a Palazzo Chigi, da cui medita di uscire coi piedi davanti, cioè post mortem. Le premesse affinché il suo piano – resistere a capo del governo sino al termine della vita – si compia, ci sono tutte. Le ha create egli stesso assegnando i posti chiave a pretoriani fidatissimi che lo proteggono; di più, lo adorano perché senza la sua spinta non sarebbero mai entrati nelle stanze che contano.Renzi in pratica si è dotato di un esercito di miracolati, la sopravvivenza dei quali è legata alla sua. Per cui essi si batteranno senza risparmio per salvarlo in quanto è l’unico modo per salvare sé medesimi. Così si fa per durare. Nell’estensione e nella conservazione del potere, Renzi ha fatto proprie le tecniche dei vecchi principi della Democrazia cristiana (Amintore Fanfani e Giulio Andreotti), affinandole, perfezionandole e adeguandole alla velocità che caratterizza la nostra epoca. Egli vuole tutto e subito. Se non lo ottiene, finge di averlo ottenuto e strombazza risultati illusori camuffandoli in maniera che sembrino autentici, credibili agli occhi del popolo, ovviamente bue. Il presidentino non si arrende, ma arretra, cambia idea e tattica, spacciando ogni mutamento di linea come un aggiustamento di tiro. Il suo ottimismo è persuasivo e contagioso. I suoi discorsi si bevono come acqua fresca e rigenerante, fanno digerire il politichese che gli italiani hanno ingoiato per 70 anni fino a provarne nausea.Egli è imbattibile nel prendere in giro l’uditorio e nel sedurlo inondandolo di parole che dipingono sogni irrealizzabili. “L’Italia riparte” è il suo slogan preferito e idoneo a far scattare l’applauso. Oddio, il paese in effetti è ripartito, però a marcia indietro; questo almeno si evince dall’esame dei dati macroeconomici. Pochi si accorgono dei bluff renziani. L’uomo ama sorprendere. Non calcola i propri attacchi, li azzarda, prende alla sprovvista gli avversari e li rottama. Non conosce né la coerenza né la lealtà: va dritto verso l’obiettivo e, se non lo raggiunge, si giustifica così: calma, quasi ci siamo. Non sarà facile scalzarlo. Manca chi sia attrezzato per dargli lo spintone decisivo. La destra è impegnata a riorganizzarsi e non è pronta a superarlo. La sinistra è disorientata dal proprio leader e lo subisce come una calamità naturale. Insomma, il cosiddetto “uomo solo al comando” arriva sempre primo proprio perché corre da solo, privo di antagonisti all’altezza.La vicenda dell’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella, nella ricostruzione di Bisignani e Madron, merita di essere letta. Nei giorni delle votazioni, dentro il Palazzo è successo di tutto. Nelle trattative mise il becco anche Pier Ferdinando Casini, e ciò spiega perché il centrodestra se la pigliò in saccoccia. Pagine che oscillano tra la cronaca e la barzelletta: imperdibili per chi desideri comprendere in quale paese ci tocca campare. Alla stessa stregua si gustano i brani del capitolo che affronta le fregature rifilate da Renzi al suo mentore Francesco Rutelli. Matteo gli ha sfilato i migliori collaboratori, isolandolo completamente. Invece di premiarlo per l’aiuto ricevuto, lo ha scaricato senza indugio, considerandolo probabilmente un pezzo di ferro arrugginito. Il cinismo è l’arma migliore del signorino premier. Un’arma che egli maneggia con maestria. Quanto alle donne, di cui ama circondarsi quali collaboratrici (domestiche), le usa e da esse non si fa usare. Chiamatelo fesso.(Vittorio Feltri, “Matteo fuoriclasse, a fregare gli altri”, da “Il Giornale” del 16 aprile 2015. Il libro: Luigi Bisignani e Paolo Madron, “I potenti al tempo di Renzi”, Chiarelettere, 250 pagine, 15 euro).“I potenti al tempo di Renzi” è il titolo di un libro venuto alla luce in questi giorni, suscitando curiosità. Scritto da Luigi Bisignani con Paolo Madron (entrambi giornalisti, anche se il primo non si è limitato a lavorare in redazione: si è occupato di molto altro), racconta i retroscena della politica e le gesta dei suoi protagonisti, quasi tutti arrampicatori, alcuni acrobati. Da quel che si legge nel volume, edito da “Chiarelettere”, si capisce che nella presente congiuntura il più abile e spericolato scalatore è l’attuale premier, il quale sin da quando frequentava la scuola materna ha sempre puntato non a essere il primo della classe, cosa di cui non gli importava e non gli importa nulla, bensì a impadronirsi del potere. Si è talmente allenato nell’esercizio di conquistarlo e amministrarlo da non avere, oggi, alcun rivale in grado di contrastarlo. Bisignani e Madron, stimolandosi a vicenda, ricostruiscono per filo e per segno i passi da gigante compiuti dal giovin fiorentino per giungere in fretta sulle più alte vette istituzionali.
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La Warren contro l’élite? Il mainstream la fa già a pezzi
Ricordate quel fortunato motivetto che concludeva un famoso spot pubblicitario con la frase “dove c’è Barilla, c’è casa”? Mi è tornato in mente ragionando sugli eventi che stanno scuotendo la Turchia, regno di Recep Tayyip Erdoğan, già affiliato presso la famigerata Ur-Lodge Hathor Pentalpha di George H. W. Bush e Dick Cheney. Allo stesso modo, sulla scia della strage francese riguardante l’eccidio dei giornalisti in forza al giornale satirico “Charlie Hebdo”, è tornato guarda caso prepotentemente sulla scena politica transalpina il marito di Bruni Carlà, ovvero Nicolas Sarkozy, anch’egli affiliato al pari di Erdoğan all’interno della già menzionata superloggia “del sangue e della vendetta”. L’esempio fornito dagli attentati compiuti l’11 settembre del 2001, voluti e pianificati da membri apicali della loggia fondata da Bush padre, ha fatto scuola, incoraggiando evidentemente le gesta di molti emulatori e tardi epigoni. Quindi, parafrasando la frasetta ricordata in apertura di articolo, verrebbe voglia di canticchiare adesso a reti unificate“dove c’è Hathor, c’è strage”.Lo schema, già applicato con successo anche in Italia negli anni in cui imperava la P2 (filiale della ben più potente loggia “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller), è sempre uguale: problema-reazione-soluzione. E se il problema non c’è, qualcuno dovrà pur sobbarcarsi l’ingrato compito di crearne uno alla bisogna, non vi pare? Da quando Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush, ha annunciato la sua discesa in campo in vista delle presidenziali americane del 2016 il mondo è diventato d’incanto un luogo meno sicuro. Ci penserà poi Jeb, una volta arrivato malauguratamente al potere, a rimettere le cose a posto “a modo suo”. Problema-reazione-soluzione. Quale politico democratico sfiderà il prossimo anno l’uomo della Hathor Pentalpha per contendergli la conquista della Casa Bianca? I giornali di regime, quelli che fomentano perlopiù il terrorismo economico (“oddio lo spread!”), tifano chiaramente per Hillary Clinton, moglie di Bill, ex presidente rimasto famoso per via della nota passione per il “blowjob” e la “deregulation finanziaria”.L’impoverimento del ceto medio e la conseguente crisi che attanaglia il modello di vita occidentale è diretta conseguenza delle scellerate scelte di indirizzo politico volute negli anni ’90 proprio dal consorte di Hillary, così miope da archiviare lo Steagall Act di rooseveltiana memoria e ridurre la politica ad ancella e serva di poteri ingordi, antidemocratici e plutocratici. La Clinton, non particolarmente carismatica nonché facilmente bollabile come mera emanazione degli interessi degli speculatori di Wall Street, avrebbe a mio avviso poche probabilità di sconfiggere nelle urne il candidato del partito repubblicano, favorito in partenza dal clima di disillusione e dal desiderio di discontinuità lasciato in eredità dal mediocre Barack Obama. Altra cosa è Elizabeth Warren, vero astro nascente della politica statunitense in grado di riaccendere l’entusiasmo popolare e condurre il partito democratico verso una vittoria altrimenti problematica.La Warren piace a molti, tranne naturalmente agli squali apolidi che usano ovunque lo spauracchio dei “mercati” per aumentare le disuguaglianze e schiavizzare i ceti deboli. Commentiamo ora insieme un pezzo vergato da Maria Laura Rodotà sul “Corriere della Sera”, organo semi-ufficiale dell’ O.U.O. (oligarchia universale organizzata, ndm). Già dalla lettura del solo incipit si coglie il desiderio di mistificare in capo alla giornalista esperta in problemi di cuore: «Elizabeth Warren fa sognare i repubblicani ed innervosisce i banchieri». E perché mai la Warren, in testa a tutte le classifiche di gradimento, dovrebbe far sognare gli avversari? La spiegazione, particolarmente risibile, la Rodotà la fornisce dopo poche inutili righe: «E’ la candidata presidenziale a sorpresa che i repubblicani vorrebbero: facile da accusare di bolscevismo, utile per attrarre ancora più finanziamenti elettorali da banchieri e grandi imprenditori». Ovvio, no? «Venerdì scorso», continua Rodotà trattenendo a stento l’entusiasmo, «rappresentanti di Goldman Sachs, Citigroup, Jp Morgan e Bank of America si sono riuniti per discutere su come ammorbidire Warren»La nostra giornalista-fashion omette purtroppo di indicare le possibili soluzioni individuate sul finire di simile sobrio e nobile simposio. Resta quindi sospeso il dubbio: cosa possono fare i banchieri per “ammorbidire Warren”? Possono forse farla cadere in una vasca riempita con detersivo Coccolino per poi simulare un incidente domestico? O sono addirittura solleticati dall’idea di riproporre strategie già viste ai tempi di J.F. Kennedy e Martin Luther King? Maria Laura, lei che dice? Le sembra normale che alcuni gruppi di pressione dicano chiaramente di voler “ammorbidire” un rappresentante del popolo non particolarmente gradito? La sovranità, che fa rima con Rodotà, appartiene ancora ai cittadini, o è stata già di fatto trasferita nelle mani di banchieri armati di provvidenziale “ammorbidente”? Rodotà si rassegni: il voto per censo non esiste più da un pezzo.(Francesco Maria Toscano, “Dove c’è Hathor Pentalpha, c’è strage. Chi fermerà la corsa di Jeb Bush alla Casa Bianca?”, dal blog “Il Moralista” del 1° aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, co-fondato con Gioele Magaldi).Ricordate quel fortunato motivetto che concludeva un famoso spot pubblicitario con la frase “dove c’è Barilla, c’è casa”? Mi è tornato in mente ragionando sugli eventi che stanno scuotendo la Turchia, regno di Recep Tayyip Erdoğan, già affiliato presso la famigerata Ur-Lodge Hathor Pentalpha di George H. W. Bush e Dick Cheney. Allo stesso modo, sulla scia della strage francese riguardante l’eccidio dei giornalisti in forza al giornale satirico “Charlie Hebdo”, è tornato guarda caso prepotentemente sulla scena politica transalpina il marito di Bruni Carlà, ovvero Nicolas Sarkozy, anch’egli affiliato al pari di Erdoğan all’interno della già menzionata superloggia “del sangue e della vendetta”. L’esempio fornito dagli attentati compiuti l’11 settembre del 2001, voluti e pianificati da membri apicali della loggia fondata da Bush padre, ha fatto scuola, incoraggiando evidentemente le gesta di molti emulatori e tardi epigoni. Quindi, parafrasando la frasetta ricordata in apertura di articolo, verrebbe voglia di canticchiare adesso a reti unificate“dove c’è Hathor, c’è strage”.
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Tortura per chiunque osi ribellarsi, Genova fu solo l’inizio
La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa, inclusa Al-Qaeda. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.A Genova nel 2001 accadde qualcosa di irreparabile e sinistramente profetico, scrive “Come Don Chisciotte”: «Nell’arco di una manciata di giornate ci accorgemmo di essere stati proiettati e letteralmente catapultati nel nuovo millennio». Di colpo, ci siamo scoperti «ingenui figli di un tempo già antico, quel ventesimo secolo che, nonostante l’atomica e i lager, non aveva completamente scalfito le speranze in un mondo migliore». Il funerale delle illusioni: «La nostra Italietta – così piccola e così gracile – sarà pure stata anche la Repubblica delle stragi impunite, delle molte mafie e della corruzione dilagante, ma, ai nostri occhi, rimaneva l’imperfetta democrazia che i padri costituenti ci avevano consegnato per attuare concretamente i principi di uguaglianza e libertà. Invece – scrive “HS” – quello che accadde superò la nostra immaginazione». Sepolta, a Genova, anche l’ingenuità fisiologica del movimentismo, che in fondo «non abbandona l’illusione che si possa dialogare con l’avversario per riformare il sistema in senso migliorativo». Il movimento No-Global bisognava «domarlo, criminalizzarlo e reprimerlo in nome del neoliberismo “neomercantile”», togliendo ai giovani l’arma della politica e della giustizia.Hanno vinto loro, conclude il blog: i ragazzi di oggi non hanno idea di cosa accadde davvero a Genova, perché ormai «appartengono a un altro mondo», nel senso che «sono cresciuti in un contesto in cui la digitalizzazione dei segni, dei simboli e pure dei comportamenti ha quasi oscurato il senso concreto e tangibile delle cose», con la sua spietata durezza. All’epoca della mattanza genovese, Google e YouTube «appartenevano ancora al regno del “futuribile” e del realizzabile». Ora, il paesaggio antropologico è irriconoscibile: «In un certo qual modo smartphone, blueberry, iPod, Whatsapp, Twitter, Facebook e compagnia cantante sono diventati parte integrante delle nostre vite, e per i nostri figli o nipoti non è quasi concepibile un mondo senza la tecnologie digitali. Nel nostro nuovo mondo postmoderno digitalizzato e “virtualizzato” il tempo scorre via veloce come lo scoccare di una scintilla nel buio, si scompone in fantastiliardi di millisecondi, frazionati e separati, insinuando un senso di comprensibile vuoto e di assenza di memoria».Oggi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per gli atti di tortura inflitti ai manifestanti dalle forze dell’ordine nell’Istituto Pascoli? Confinare le giornate di Genova in quelle aule, dove raggiunse il culmine l’ultimo atto di feroce violenza repressiva, «significa smarrire il senso di quelle ore». Perché nel capoluogo ligure «era accaduto qualcosa di definitivo e irreparabile, qualcosa che non avrebbe potuto essere cancellato lavando quei muri imbrattati di sangue». In realtà, continua il blog, «non abbiamo mai compreso fino in fondo quanto possano contare le parole e i consigli degli “ingegneri sociali”, degli esperti di sociologia, psicologia, antropologia, di questioni militari, geopolitiche, strategiche, di sicurezza e ordine pubblico», perché in fondo siamo rimasti «ragionevoli uomini democratici e perbene». Per questo non ci siamo accorti di essere diventati «altro che le cavie di uno dei più arditi esperimenti mai tentati fino ad allora in un paese dell’Occidente civile e avanzato». Come se in quella torrida estate del 2001 il capoluogo ligure «si fosse trasformato in un enorme laboratorio per applicare i nuovi modelli militarizzati e tecnologicamente avanzati di gestione dell’ordine pubblico». Di lì a poco, «Ground Zero avrebbe cancellato tutte le residue speranze per un “altro mondo possibile”, e dalla guerriglia e controguerriglia urbane artificiosamente costruite, si passava alla guerra permanente e globale», con tanti saluti alle belle speranze del movimento No-Global, che pretendeva pari opportunità e diritti per l’intera umanità.Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi illumina le pagine più oscure e confuse della nostra storia recente, rivelando il ruolo spesso decisivo delle “Ur-Lodges”, le superlogge latomistiche dell’élite cosmopolita che sovrintende alle grandi decisioni, anche attraverso istituzioni transnazionali e “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale, il Bilderberg, i grandi think-tank che orientano la dirigenza finanziaria, industriale, bancaria, editoriale, culturale, politica, giornalistica. Magaldi, a sua volta massone e associato alla prestigiosa superloggia “Thomas Paine”, nonché animatore del “Movimento Roosevelt” che si propone di scuotere la politica italiana ed europea liberandola dal dogma neoliberista che impone il taglio dello Stato, accusa anche l’ambiente massonico internazionale più progressista, colpevole di aver aderito a cuor leggero già nel 1981 allo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Una stretta di mano con i più pericolosi oligarchi che, di lì a poco, avrebbero precipitato il pianeta nella privatizzazione universale. Genocidio di popoli, guerre, rapina delle risorse, delocalizzazioni criminose e scomparsa del lavoro e dei diritti sindacali, fino all’agonia inconcepibile del sistema industriale più evoluto del mondo, l’Europa, messa in ginocchio dall’austerity finanziaria pianificata a tavolino dai supremi globalizzatori.Paolo Franceschetti, ex avvocato e indagatore di strani delitti rituali, riletti come cerimonie del massimo potere oligarchico, si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno: la storia dell’umanità è lastricata di abusi abominevoli, se oggi li si denuncia significa che sta crescendo una consapevolezza diffusa che, prima o poi, cambierà l’orizzonte. Inutile stupirsi della ferocia del supremo potere: lo sostengono voci diversissime tra loro, per formazione e provenienza. Per esempio Paolo Ferraro, prestigioso magistrato allontanato dalla magistratura. O un ex dirigente dei servizi segreti come Fausto Carotenuto. O Paolo Barnard, il primo a denunciare la brutale restaurazione europea, col saggio “Il più grande crimine”. O, ancora, un massone come Gianfranco Carpeoro, allievo di Francesco Saba Sardi e grande studioso del linguaggio simbolico. Dal canto suo, Magaldi esprime un’indignazione lucida e pacata: lo Stato laico, moderno e democratico, fatto di cittadini e non più di sudditi, «non è stato un regalo della cicogna», ma dall’intellighenzia massonica occidentale, impegnata in una lotta plurisecolare contro l’oscurantismo e l’assolutismo. Per questo, insiste, è necessario che insorga il vertice massonico progressista, il solo in grado di contrastare – a livello elitario – la deriva neo-feudale del nuovo potere che, col pretesto di una crisi artificiale costruita a tavolino, sta smantellando la democrazia in tutto l’Occidente.I ragazzi di Genova, che nel 2001 volevano diritti estesi a tutti i popoli del mondo, mai si sarebbero aspettati che quegli stessi diritti considerati inviolabili – a cominciare dall’accesso al lavoro – sarebbero stati presto perduti anche qui, nel cuore di un’Europa devastata dalle leggi speciali imposte dall’élite tecnocratica attraverso il braccio secolare di una moneta unica non sovrana. La scomparsa dell’orizzonte cominciò proprio nelle piazze genovesi trasformate in campo di battaglia: «Genova per noi è stato solo il primo dei tanti esperimenti di ingegneria sociale volti a spezzare qualsiasi volontà di resistenza nei confronti di un sistema iniquo e ingiusto», osserva “Come Don Chisciotte”. «Deposte l’immaginazione e la volontà di cambiamento siamo solo diventati più gretti, cinici ed egoici». Per questo, i globalizzatori dell’abuso «hanno vinto su tutta la linea». De Gennaro resta al suo posto, alla presidenza di Finmeccanica? Ovvio. Lo difende Renzi, l’uomo che in nome delle riforme strutturali dettate dalla Troika e da Wall Street abolisce Senato e Province, introduce il licenziamento facile con il Jobs Act e costruisce una legge elettorale monarchica. La differenza, rispetto al 2001, è che nessuno scende più in piazza. Pochi si accorgono di quello che sta realmente accadendo, nell’area-test chiamata Europa. Al pessimismo universale dei blogger si oppone la voce di Magaldi: insieme alla Francia, sostiene, l’Italia è il solo paese in cui è possibile far partire qualcosa che assomigli a un risveglio. Non a caso, la “punizione” dell’infame G8 del 2001 fu progettata proprio in Italia. Ed era solo l’inizio: la “tortura” continua.La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa, inclusa Al-Qaeda. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.
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Carpeoro: attenti alla magia, il potere la usa contro di noi
La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete in effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.La magia è potere. Perché i grandi Rosacroce e i grandi filosofi hanno studiato la magia ma non l’hanno praticata? Perché non erano interessati al potere, erano interessati all’essere. Quindi, l’effetto magico è una costruzione di potere: serve a far fare a qualcuno quello che voglio io, in base a un percorso che io ho disegnato. Il vero esoterismo, la vera esperienza spirituale, non è un’esperienza di attività, è un’esperienza di complementarietà. Si è complementari al corso delle cose, non le si modifica. Tommaso da Kempis, che era un grande Rosacroce e viene invece spacciato dalla Chiesa cattolica per un insegnante di catechismo nelle scuole, scrive che il vero cristiano insegna con l’esempio, non con la predica. E non è una modalità attiva: non interferisco con quello che fai tu, ti faccio solo vedere quello che faccio io. Perché uno dovrebbe studiare la magia, astenendosi però dal praticarla? La magia è intesa come storia dell’esoterismo, come formazione di un pensiero. Noi siamo abituati a studiare una certa storia, sui libri di scuola, e non ci insegnano che c’è anche una meta-storia, come c’è una fisica e una metafisica.C’è una storia fatta di avvenimenti, di date, e c’è una storia fatta di ragionamenti – di pensieri, di mutamenti all’interno del corpo sociale, del costume, della spiritualità delle persone – che porta a dei mutamenti storici. Certo, quella di Hitler è una storia di nazismo, fatta di date. Ma ci sarebbe mai stata, quella storia di nazismo, se non ci fosse stata la storia di un pensiero antecedente, magari dettato da uno scienziato che si chiamava Gobineau, che 60-70 anni prima del nazismo scrisse un libro che si chiama “L’evoluzione delle razze”? Era l’anticamera della discriminazione razziale. Quindi, in realtà, come c’è una storia, c’è anche una meta-storia: quella di chi si occupa di studiare il pensiero, che è l’unica cosa che ci sopravvive, se è valido. Quando Cartesio dice “cogito, ergo sum”, non dice “cogito, ergo sum aeternum”, non ne fa un ragionamento di immortalità, ma di “essere”: io sono, in quanto penso, e non ho bisogno di essere immortale. Perché tutti gli esoteristi che si sono dedicati alla magia – e l’hanno praticata – sono andati incontro a una negatività? Perché la pratica della magia è il perseguimento del potere.Io, con la magia, modifico la tua vita, il corso delle cose. Lo modifico. Se invece pratichi l’essere, tu “sei”. Se vogliono imitarti ti imitano, però non imponi dei modelli comportamentali. Uno dei clichè dell’ufologia è quello dei “vigilanti”, degli “osservatori”, personaggi di una cultura superiore che hanno però il divieto di interferire. Si tratta di un archetipo, piuttosto che di uno stereotipo, presente anche nei fumetti. Anche nella Bibbia troviamo dei personaggi che devono osservare ma non intervenire. Se sono veramente di origine divina, non intervengono mai. E ci sono esempi assolutamente simbolici di non-intervento. Le ultime parole di Cristo in croce: Dio, perché mi hai abbandonato? Sono parole da uomo, non da Dio: Cristo muore da uomo. E quelle parole certificano il non-intervento del Dio che fa morire suo figlio. Potrebbe intervenire e impedire questa cosa tremenda, ma non lo fa. Perché il non-intervento è il divino: se dobbiamo concepire una presenza del divino, dobbiamo concepirla in termini di non-intervento. Invece, tutta la nostra cultura religiosa magica ci ha insegnato a chiederlo, l’intervento. Madonna, fammi vincere al Superenalotto. Ci hanno insegnato a chiedere la grazia. Ma la grazia non è una cosa che ti viene data, è un tuo stato: tu sei nella grazia, se scegli l’essere. E non sei nella grazia – il contrario di grazia si chiama disgrazia – se sei nel potere.La grazia è una condizione dell’essere, non è una cosa che ti viene concessa perché la chiedi. Mi spiace deludere tutti quei napoletani che si rivolgono alla statua di San Gennaro, ma purtroppo è così. Noi abbiamo immaginato la religione in termini magici, ed è solo in termini magici che andiano a Lourdes, a Medjugorje, aspettandoci di vedere le Madonne piangere, perché quello è un effetto magico. Direte: ma allora, i miracoli? I miracoli sono nelle pieghe di questa vita, sono nascosti; quando sono evidenti non sono miracoli. Il miracolo è il nascosto, la magia è il manifesto. Il nascosto è l’essere, il manifesto è il potere. Il potere non è mai occulto. A nascondersi sono i suoi agenti, che si nascondono per non essere individuati. Ma il potere, in quanto tale, è manifesto per sua autodefinizione. Parlare di poteri occulti è un ossimoro: il solo fatto che se ne parli dimostra che non sono occulti; se fossero occulti non se ne parlerebbe.Complottismo e massoneria? Ok. Come si chiama la loggia massonica più vituperata? P2. E perché si chiama P2? E’ la secondogenita, evidentemente. Ma della prima, chi parla? Nessuno. E come mai? Elementare: se c’era una P2, ci sarà stata anche una P1. Eppure i giornali sono arrivati fino alla P5, ma della P1 non parleranno mai. Perché? Nella P2 – o meglio: in quei 500 nomi indicati da Gelli – c’erano tutti “vice”, a livello militare e ministeriale. Vicepresidenti, sottosegretari. Quindi, se nella P2 c’erano i vice, nella P1 cosa c’era? Evidente: i numeri uno. E’ così difficile scriverlo? E allora perché non lo scrive nessuno? Dunque, la manipolazione che cos’è, veramente? E’ la costruzione di un effetto magico. Dato che vi devo sopraffare, devo quindi fare l’astrazione (quindi: togliervi dalla realtà), e devo fare l’estrazione, devo fare l’ostruzione, poi devo fare l’istruzione e infine la distruzione. Sono cinque parolette simpatiche da ricordare. A seconda di come le si mette in ordine, è possibile ricostruire tutti gli eventi del mondo degli ultimi cento anni.Tutte le operazioni che sono state fatte sono fondate su queste frasi. Stiamo parlando di magia, di cultura magica. E i grandi maghi non hanno mai operato la magia. Il più grande mago rinascimentale – per definizione non mia, ma di una grande studiosa di Oxford, Frances Yates – era Giordano Bruno. Era un mago: viene chiamato “magus”, ma non operava magie. Il mago dell’epoca si chiamava Geordie, prendeva un insetto di metallo a forma di scarabeo e lo faceva volare. L’insetto volava, c’era la magia. Poi bisogna capire perché volava – la costruzione dell’effetto magico. Il primo atto di magia che ricordiamo è quando Mosè separa le acque. E’ un atto magico, certo. Ma bisogna capire quanto questo atto sia costruito per una situazione gerarchica. E’ il potere, che irrompe nella storia solo quando, nella società nomade, compare la figura dell’uomo modificatore. Chi è il modificatore per eccellenza? Il coltivatore: che ha bisogno di razionalizzare, di stare sempre nello stesso posto, di difendere il territorio o di conquistarlo, quindi nasce la guerra. E ha bisogno di stabilire una gerarchia sociale, col controllo di chi lavora per lui. Quindi nasce la religione.Potere, guerra, religione: tutte componenti magiche, perché devono modificare, in base a delle conoscenze, il corso naturale degli eventi. Ecco perché, mentre l’essere è complementarietà, il potere è magia. La magia è finalizzata al potere. I grandi maghi che hanno praticato la magia non hanno fatto un bella fine. Il satanismo promette un potere straordinario, successo, ricchezza. Perché Faust si vende l’anima? Per il potere. Poi si accorge che non se ne fa niente, di quella roba lì. Prendiamo Oscar Wilde, che era un Rosacroce prima che un massone. Wilde costruisce un’intera sua opera, sul simbolismo del potere, “Il ritratto di Dorian Gray”. Quel ritratto è costruito su uno specchio magico: l’immagine allo specchio invecchia e Dorian Gray rimane giovane. E’ il cosiddetto capovolgimento iniziatico. E’ un effetto magico, no? Oscar Wilde dice: la magia ti dà il potere, ma il frutto di questo potere è che Dorian Gray diventa un infelice maligno, che cerca di creare il male.Noi però possiamo “essere” il male, se scegliamo il potere, ma non possiamo fare in modo che ogni nostra azione sia solo male. Quindi accade che quella che rimane giovane è la parte peggiore. Così alla fine Dorian Gray rompe lo specchio, invecchia improvvisamente e muore felice, perché distrugge il meccanismo di potere che lo aveva reso prigioniero di uno schema. Che lo schema si chiami eterna bellezza, eterna giovinezza o eterna ricchezza, non importa, non cambiano i termini del discorso, perché quello è il potere: il potere di essere eternamente belli, giovani, ricchi, capaci di influire sulla vita degli altri. E’ una trappola, un “maya” che ti rende infelice. E siccome ogni essere umano ha come prima aspirazione la felicità, per essere felici bisogna ritrovare la propria complementarietà e, appunto, “essere”.Io l’ho studiata, la magia, ma come storia del pensiero. E badate, a volte la magia produce anche degli effetti. Ricordo le vecchie del mio paese, che facevano riti per allontanare le malattie. Ma questi effetti sono la costruzione di volontà di potere: non sono mai quegli effetti che noi pensiamo, perché la costruzione dell’effetto magico è sempre un artificio. Qual è il problema? E’ un artificio di cui a volte conosciamo la costruzione, perché siamo in grado di ricostruire tutte le condizioni che l’hanno creato. La natura è dominata dalle sue leggi, ma noi non le conosciamo tutte. A volte si ottengono degli effetti dovuti a leggi che noi non conosciamo, ma che in quel momentio intervengono perché – senza volerlo – ne abbiamo creato le condizioni. Poi magari rifacciamo l’esperiemento, e non riesce. E non ci rendiamo conto che magari non siamo nello stesso posto alla stessa ora, che il magnetismo non è uguale, che magari abbiamo mangiato troppo maiale nei giorni precedenti e quindi il nostro modo di sprigionare energia cambia. Il gesto di riconoscimento dei Rosacroce era un indice rivolto verso l’alto e un indice rivolto verso il basso. E’ lo stesso del Padre Nostro, “come in cielo, così in terra”.Negli ultimi secoli, nella storia del pensiero, c’è stata una deriva magica. La magia è sempre una deriva: essendo una scelta di potere, che consiste nel modificare gli altri, la natura, il prossimo, gli ambienti, non può che portare lì. E’ a monte, il problema. Quando tu scegli il potere, e magari non hai ancora fatto niente di male, devi star sicuro che lo farai, perché la conseguenza del potere è quella. Si dice di un Papa: ha fatto questo e quello. Be’, ci sta. Perché dal momento in cui, ad esempio, diventi Papa nel 1963, e rimani Papa fino all’anno 1978, come fai a non parlare con Gelli? Scusate, ci parlavano presidenti della Repubblica, presidenti degli Stati Uniti, pure i cardinali – e tu che fai, non ci parli? Ma questo è legato al fatto che diventi Papa, non al fatto che ti chiami Mario Rossi. Quando i politici fanno determinate cose, sono conseguenti alla loro scelta di vita, che è quella che ti condiziona e ti cambia. Nel momento in cui capisci come la devi gestire, la tua vita, capisci che ti devi sottrarre al gioco del potere.L’homo faber è colui che ha creato l’alchimia. La magia ne è l’aspetto deteriore. La trasmutazione dei metalli degli alchimisti veri non riguarda il potere, ma l’essere, tant’è vero che quelli che volevano ottenere l’oro venivano chiamati, volgarmente, “soffiatori”, perché soffiavano nel mantice, mentre l’alchimista spirituale era quello che doveva trasformare il proprio “piombo” in “oro”. L’alchimista vero non insegna nulla agli altri, e scrive testi così ermetici di cui, nella maggior parte dei casi, nessuno ci capisce niente. Perché scrivono, allora? Perché, nel momento in cui capisci qual è la loro chiave, loro te l’hanno trasmessa. Ci sono due modi di trasmettere la conoscenza: uno si chiama iniziazione, l’altro si chiama tradizione. Quando io ti inizio, ti spiego: ti do la scatola e la chiave. Quando invece trasmetto soltanto la scatola, ma non la chiave, ti do lo stesso contenuto, ma tu non sai cosa c’è dentro, quando a tua volta lo trasmetti. E’ come quando si diceva la messa in latino: mia nonna quelle parole le sapeva perfettamente, ma non sapeva cosa significassero.I testi alchemici conservano quella conoscenza – per chi si sa procurare le chiavi. Credo che la ricerca della chiave faccia parte di un percorso formativo che è fondamentale. C’è da fare un percorso, che fa parte della formazione iniziatica. Compiere questo percorso è la migliore garanzia per difendersi dalla tentazione della magia. Perché il potere è tentatore. Ti tenta, approfittando delle tue debolezze contestualizzate: approfittando di quando sei povero e offrendoti del denaro, di quando sei solo offrendoti compagnia, di quando hai fame offrendoti del cibo. Perché l’altra componente che il potere ha costruito, rispetto a questa società – e questo non emerge sufficientemente dagli studi sulla manipolazione fatti finora – è l’incapacità dell’accettazione: diventi incapace di accettare quello che dovresti. Mago è chi usa la conoscenza per modificare la realtà, ma noi non dobbiamo modificare la realtà: dobbiamo modificare gli occhi con cui la guardiamo. Se avessimo la percezione della realtà totale, non avremmo bisogno di nulla. Ma al potere fa comodo quel tipo di cultura, quella che aiuta la sottomissione degli altri, la soggezione, la manipolazione. Non gli fa comodo la cultura della libertà.La libertà è: non aver bisogno. Se uno ha bisogno, non è libero. Se ho bisogno di conquistare le donne, gli uomini, le macchine, il denaro, il potere, il trono, l’ermellino, lo scettro, il maglietto del massone – se ne ho bisogno, non sarò mai un uomo libero. Per eliminare il bisogno occorre avere la consapevolezza dell’essere – la consapevolezza della nostra divinità, che è nel pensiero. Tutto quello in cui abbiamo creduto ci conduce a perseguire la magia, quindi il potere, invece dell’essere. La nostra storia politica, sociale, umana, è stata danneggiata da interpretazioni magiche, sempre. Tutta la cultura cristiana del miracolo, della retribuzione paradisiaca, ha effetti deleteri perché funzionali al potere: trasformare la religione cristiana in quella di Costantino. Ma Costantino non era cristiano, è stato battezzato solo in punto di morte. Non bisogna confondere la religione con la spiritualità. Io la spiritualità la chiamo religione individuale. Quando la religione è individuale non fa danni; quando diventa collettiva bisognare stare attenti, perché lì succedono i guai. La religione collettiva serve alla società, non all’uomo. Alla nostra società sono serviti i benedettini che hanno copiato (a modo loro) le cose, hanno conservato documenti e opere d’arte. Agli individui invece sarebbe servito, per esempio, non cominciare a combattere i Mori, che ai tempi erano molto più civili di noi: nella Terza Crociata, il “feroce Saladino” firma col suo nome, mentre Riccardo Cuor di Leone ci mette la croce, perché non sa scrivere.Quello tra magia, religione e potere è un rapporto drammatico, uno schema che bisogna rompere. Non bisogna praticare la magia, non bisogna praticare la religione come prassi e come struttura. E non bisogna assoggettarsi al potere – né come soggetti passivi, né tantomeno come soggetti attivi. Non vale la regola “se comando io sono il padrone”, perché se comando io sono prigioniero di quelli che comando, senza saperlo. Ovviamente non mi fanno compassione, i potentati del mondo, ma so che sono prigionieri come posso esserlo io. Sono prigionieri di un sistema di privilegi, non importa se goduti o subiti – sempre privilegi sono. Il grande sogno dei Rosacroce del ‘600 si manifesta quando Tommaso Moro scrive “Utopia”, quando Campanella scrive “La città di Dio”, quando Bacone scrive “La nuova Atlantide”, quando Johann Valentin Andreae (che è il rifondatore dei Rosacroce con questo nome) scrive “Cristianopolis”. Di cosa parlano? Di una società che non ha le regole del potere. Ognuno è utile, perché tutti condividono. Società che sarà l’anticamera di cosa? I Rosacroce sono i padri del socialismo, l’utopia di una società giusta.Poi il potere si impadronirà del socialismo, cioè dell’abolizione della proprietà privata. E nascerà anche il comunismo: una diagnosi giusta, che però mira a costruire un potere diverso, collettivo e non più individuale, ma sempre potere. Tutti questi passaggi ruotano attorno alla magia. Quella del mago è la figura più antica che possiate immaginare. Possono chiamarlo sciamano, stregone, ma sempre mago rimane. Poi il mago antico si scinde: diventa sacerdote, diventa medico e guaritore, diventa capo del villaggio. Ma in origine è il primo riferimento vero dei primi coltivatori che stanno creando la gerarchia, stanno creando la guerra (perché tutte le guerre nasceranno per il territorio), stanno creando il potere, stanno creando la religione. E nasce tutto dalla magia: nasce dal configurare la conoscenza come potere, e non più come essere. E questo avviene per necessità: perché serve, non perché è giusto; perché è utile a quell’evoluzione sociale, in quel momento. La magia è un archetipo fortissimo, tutti quanti ne siamo affascinati, soggiogati, in qualche modo coinvolti, pur rifiutandola. Dobbiamo averne consapevolezza: gli effetti magici sono storia, sono pensiero, ma non sono fatti – e non sono neanche vita.Dobbiamo conoscerla, la magia, per imparare a evitarla. Il cerchio magico tracciato dal mago non è mai reale, ma è efficace: la costruzione dell’effetto magico funziona sulle regole che detta il mago, o che il mago conosce ma non svela. Chomsky ha codificato 10 forme di manipolazione collettiva, ma non si è mai occupato di manipolazione individuale. E sappiate che la manipolazione individuale, nonostante quello che pensano i complottisti, è infinitamente più pericolosa, perché è infinitamente meno riconoscibile. C’è un Chomsky che spiega come funziona la manipolazione collettiva, mentre la manipolazione individuale non l’ha mai codificata nessuno. Sapete quante persone sono state danneggiate seriamente da gente che le ha manipolate? Massoni, esoteristi, maghi, Golden Dawn, stregoni da strapazzo, gente che voleva fare le orge. Sapete quanta gente finisce a farsi di pasticche, o in manicomio, o a pensare di essere posseduta dal demonio? Avete idea dei danni della manipolazione individuale? Contate le casistiche, andate nei reparti psicologici degli ospedali e scoprite quante persone sono finite in terapia.(Gianfranco Carpeoro, estratti dell’intervento alla conferenza su magia e manipolazione il 23-24 agosto 2014 a Subiaco. Massone, ex avvocato, giornalista e saggista, studioso di esoterismo e già “gran maestro” del Rito Scozzese, Carpeoro è uno dei massimi esperti di simbologia ermetica).La “costruzione dell’effetto” è alla base della magia. Che cos’è la magia? Era la manipolazione antica. Era il modo di manipolare, magari dei sacerdoti egizi, che dovevano “costruire” i miracoli. La magia esiste, ma non la faccio io: la fa la mia “costruzione dell’effetto” sul soggetto passivo. E’ il soggetto passivo che attiva il mago: il mago è attivo se c’è un soggetto passivo. Chomsky lo spiega in cinque parolette. A seconda dell’ordine in cui le mettete, ottenete un effetto diverso. Lo vogliamo chiamare effetto di manipolazione? Effetto magico? Miracolo? Chiamiamolo come vogliamo. Le cinque parole sono: astrazione, estrazione, ostruzione, istruzione, distruzione. Il risultato cambia, a seconda dell’ordine in cui queste parole sono disposte. E il risultato finale è la costruzione dell’effetto magico. Chi era il mago? “Magia” viene da un termine sanscrito, “Mg”, che significa “conoscere”: così, “magia” ha la stessa radice di “magister”. Il mago poi diventa il maestro, cioè lo scienziato, perché conosce: costruisce l’effetto perché conosce i termini della produzione dell’effetto, che è l’effetto magico. Ma la magia quando nasce? Nasce quando l’uomo ha bisogno del potere.
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Sbrighiamoci a morire, l’immortalità è solo per loro
Confondere il corpo umano con la merce, oltre che un orrore, può rivelarsi una dolorosa illusione. Eppure non può passare inosservata la notizia diffusa da alcuni media statunitensi come “Newsweek” o “Bloomberg”, secondo cui i miliardari stanno mettendo fretta e milioni di dollari alla ricerca della vita semi-eterna. Per loro, ovviamente. Bill Maris, manager di Google Ventures, ha ricevuto l’incarico di investire ben 425 milioni di dollari per finanziare studi contro l’invecchiamento, mentre Larry Elison, big boss di Oracle, considera “incomprensibile” la nozione della propria fine. Peter Thiel, patron del sistema di pagamenti PayPal, ha stanziato 3,5 milioni di dollari ad una fondazione privata per un progetto di riparazione e rigenerazione delle cellule. Dalle nostre parti il pensiero corre alle note incursioni di Berlusconi sul terreno dell’intervento sulle cellule per rallentarne l’invecchiamento. Gli scopi e i contorni di questa vicenda, come noto, corrono al confine tra la politica e il pecoreccio.Eppure questa illusione di poter vivere più a lungo, ma soprattutto molto più di tanti altri, ci dà la cifra di cosa significhi la prevalenza degli interessi privati su quelli collettivi, o meglio dell’appropriazione privata della produzione sociale, direbbe il grande barbone di Treviri. Nell’epoca in cui nella produzione sociale sono entrati a pieno titolo il “vivente” e la natura, per i grandi capitalisti anche il corpo umano non può che essere merce. Incluso il loro, ma a condizione che sia meno deteriorabile di quello di tutti gli altri. Vivere più a lungo, sogno ma anche incubo di ogni essere umano, come ci ricorda Simon De Beauvoir nel suo splendido “Tutti gli uomini sono mortali”, diventa così paradigmatico di un XXI Secolo in cui la disuguaglianza è tornata ad essere un valore e l’uguaglianza un disvalore.Sul nostro giornale abbiamo spesso evocato il “Dovete morire prima” come aspirazione neanche più troppo nascosta delle classi dominanti nel loro rapporto con le classi subalterne. Meccanismi concreti come l’innalzamento dell’età pensionabile, peggioramento delle condizioni di lavoro e abbassamento degli standard sanitari, indubbiamente puntano a ridurre quelle aspettative di vita cresciute nell’ultimo secolo ma oggi ritenute un “costo inaccettabile” (vedi i recenti documenti del Fmi). Su scala mondiale, dove nonostante le disuguaglianze l’aspettativa di vita era riuscita a crescere anche nei paesi meno sviluppati, non mancano i tentativi di intervento per ridurre la popolazione ritenuta in eccesso. Il caso storico è quello della Russia dove l’instaurazione del capitalismo, dopo la dissoluzione dell’Urss, ha portato ad una brusca riduzione della popolazione, un caso unico in un paese non investito da una guerra.Il problema è serio, estremamente serio, come hanno dimostrato alcuni interventi al recente forum di Bologna dedicato al “piano inclinato” su cui gli imperialismi hanno collocato il mondo in cui viviamo. Fabbriche completamente automatizzate, in cui la presenza del lavoro umano è ridotta a poche unità, rendono infatti eccedente molta forza lavoro, quel capitale umano – decisivo comunque per l’estrazione del plusvalore – che il capitalismo vorrebbe rendere variabile irrilevante e totalmente subalterna. Ma una umanità piena di capitale umano in eccesso sarebbe piena di uomini e donne ingombranti, non più funzionali al sistema produttivo e all’estrazione di valore, gente che oggi vive più a lungo di quanto sia utile al sistema dominante e che, ovviamente , avanza richieste ed esigenze per mantenersi in vita nel modo migliore possibile in società che hanno prodotto sistemi di cura e prevenzione adeguati allo scopo.Dunque per prima cosa le classi dominanti stanno dichiarando che non esiste più un diritto universale ed egualitario alla salute. La privatizzazione de facto dei sistemi sanitari (anche in Italia ed anche nelle ex regioni “rosse”, come sottolinea Ivan Cavicchi su “Il Manifesto”) attua questo primo step verso una società brutalmente gerarchizzata. Si cura chi può e chi può di più si cura meglio.Talmente meglio che, potendoselo permettere, può alimentare l’illusione di poter vivere più a lungo degli altri. Anzi, per molti aspetti a scapito degli altri, visto che la concentrazione della ricchezza in poche mani non può che avvenire in sottrazione della ricchezza collettiva. Fino a qualche decennio fa “il sistema” aveva fatto sì che lo sviluppo allargasse e distribuisse in qualche modo la ricchezza prodotta, anche sotto forma di servizi sociali universali. Ma oggi che allo sviluppo si è sostituito solo il “demone della crescita”, questo allargamento si è sempre più ridotto, così come le risorse disponibili dentro un globo che, per sua definizione è uno spazio limitato.Da questa consapevolezza del limite e dei limiti, le classi dominanti si guardano bene dal ricavarne una logica redistributiva delle risorse e della ricchezza disponibile, al contrario accentuano la centralizzazione, a tutti i livelli. E se tra queste risorse c’è anche il vivente e il capitale umano, viene applicata la medesima logica. “Mors vostra, vita nostra”, ci dicono. Fino ad alimentare l’idea che per alcuni si possa allungare la vita media oltre il limite fisiologico finora consentito. Ma, detto fra noi, dieci, quindici anni più si potranno anche rimediare, ma non evitano l’alzheimer. Ci troviamo così di fronte ad un cambio di passo anche sul terreno del conflitto sociale e di classe. Se negli anni del “modello sociale europeo” le classi subalterne entravano in campo rivendicando ed anche ottenendo quote di redistribuzione della ricchezza, oggi che questa possibilità viene negata sul lavoro come sulla salute da misure concrete. Come ci si approccia ad una lotta di clase che per molti aspetti somiglia a quella per la sopravvivenza? Qualcuno diceva che la “rivoluzione non è un pranzo di gala”. Sarà dunque il caso di cominciare a pensare, collettivamente e non invidualmente, al come sedersi a tavola senza complessi di inferiorità e liberi dalla sensazione di dover essere ancora la cena per il Mondo di sopra. Insomma: “Mors vostra, vita nostra?”.(Sergio Cararo, “La vita e la morte al supermercato”, da “Contropiano” dell’11 marzo 2015).Confondere il corpo umano con la merce, oltre che un orrore, può rivelarsi una dolorosa illusione. Eppure non può passare inosservata la notizia diffusa da alcuni media statunitensi come “Newsweek” o “Bloomberg”, secondo cui i miliardari stanno mettendo fretta e milioni di dollari alla ricerca della vita semi-eterna. Per loro, ovviamente. Bill Maris, manager di Google Ventures, ha ricevuto l’incarico di investire ben 425 milioni di dollari per finanziare studi contro l’invecchiamento, mentre Larry Ellison, big boss di Oracle, considera “incomprensibile” la nozione della propria fine. Peter Thiel, patron del sistema di pagamenti PayPal, ha stanziato 3,5 milioni di dollari ad una fondazione privata per un progetto di riparazione e rigenerazione delle cellule. Dalle nostre parti il pensiero corre alle note incursioni di Berlusconi sul terreno dell’intervento sulle cellule per rallentarne l’invecchiamento. Gli scopi e i contorni di questa vicenda, come noto, corrono al confine tra la politica e il pecoreccio.