Archivio del Tag ‘illusioni’
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Foa: casa e risparmi, entro 5 anni ci porteranno via tutto
Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.Puoi essere di destra o di sinistra, ma questo ti colpirà in ogni caso. Puoi essere liberista o meno, liberale o socialdemocratico: ti colpisce. Il Fondo Monetario Internazionale ha appena detto: attenzione, per rilanciare l’Italia bisogna andare a tassare le proprietà immobiliari e le ricchezze. Ed è molto significativo, il fatto che l’abbia detto in questo momento. Indica una rotta: significa che queste élite non hanno capito qual è il cuore del problema, vogliono continuare a perseguire il loro programma – che è aberrante, perché ci renderà tutti molto più poveri, e ci toglierà quella libertà che abbiamo conquistato. A questo non bisogna arrendersi, e per questo noi combattiamo. Per questo è molto importante capire i meccanismi dell’informazione e del condizionamento sociale e psicologico, perché è la cosa che più di ogni altra “loro” temono. Le “fake news” sono semplicemente un pretesto per imporre la censura, tenetelo a mente: e questo messaggio non deve passare, perché – se passa – non ci saremo neppure più noi a cercare di spiegarvi come vanno le cose. Questo è quello che vogliono.La polemica su Facebook e Cambridge Analytica? E’ un puro pretesto: sapevamo tutti che Facebook usa e manipola i dati che noi gentilmente gli diamo. Quando li manipolava Obama andava benissimo, se invece li usa Trump allora scoppia il casino, perché si sono resi conto che il meccanismo che avevano creato era uscito dal loro controllo e quindi stanno cercando di riportarlo sotto quel controllo. Tutto questo bisogna denunciarlo con forza. Implica una lotta continua di informazione, anche una lotta politica, bisogna mantenere gli occhi aperti e la voglia di non arrendersi. Io continuo a credere che sia possibile che ci sia tutto sommato anche un “karma” che ci può aiutare, perché alla fine il “karma” è assolutamente dalla nostra parte. E questa è una ragione molto valida, per continuare ad andare avanti.(Marcello Foa, dichiarazioni conclusive della conferenza “Gli stregoni della notizia” promossa a Roma il 21 aprile 2018 da “L’Intellettuale Dissidente” a dall’associazione “A/Simmetrie”, ripresa da “ByoBlu” nel video “Verso una censura violenta e drammatica”. Protagonisti dell’incontro, insieme a Foa, due economisti: il marxista Vladimiro Giacché e il keynesiano Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Foa è autore del saggio “Gli stregoni della notizia, atto secondo”, ovvero “Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”, editore Guerini e Associati, 293 pagine, euro 21,50).Oggi credo che nelle nostre società ci sia questa percezione molto netta: o le cose cambiano nei prossimi cinque anni, oppure andremo a compromettere le conquiste economiche, sociali e anche private che noi – italiani ed europei in generale – abbiamo costruito negli ultimi 60-70 anni. Nel suo blog, Panagiotis Grigoriou descrive per filo e per segno le operazioni di ingegneria sociale che stanno applicando alla Grecia. In Grecia, i giornalisti della Tv pubblica erano i più accaniti sostenitori delle riforme che Bruxelles proponeva. Che fine hanno fatto? Hanno chiuso la Tv pubblica, sono tutti disoccupati. Andate a chiedere alla classe media greca: si illudeva, per il fatto di avere qualche centinaio di migliaia di euro in tasca, l’alloggio ad Atene che valeva 700.000 euro, la casetta sull’isola. “Che cosa può accadermi?”, pesava: “Ho abbastanza grasso”. Andate a chiedere a loro: è rimasto ben poco. Il punto è che le logiche della gestione del potere indicano che la rotta scelta da un certo establishment europeo sta portando verso una società neo-feudale, purtroppo, in cui c’è una piccola, vera casta, molto privilegiata, e gli altri diventano servi della gleba.
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Gregge o branco, schiavi della stessa paura: essere liberi
I modelli educativi ed estetici della società contemporanea pongono in evidenza una oscillazione comportamentale tra l’essere “gregge” e l’essere “branco”. Tale aspetto risulta molto più evidente nei giovani in quanto meno strutturati sul piano psichico. La differenza tra il gregge e il branco sembra evidente: l’uno (il gregge) è destinato ad essere ‘vittimizzato’ dall’altro (il branco); il gregge rappresenta una massa chiusa nel recinto delle convenzioni, mentre il branco mette in discussione ogni convenzione vivendo di regole proprie a volte a scapito degli altri. Il gregge è sinonimo di vigliaccheria e impotenza, mentre per il branco sembrerebbe valere il contrario. In realtà stiamo parlando di due cose molto simili ed accumunate dal medesimo sentimento: la Paura. Ci troviamo innanzi a due modalità comportamentali differenti che possiedono però lo stesso modello estetico. Quale potrebbe essere l’estetica che accomuna il gregge al branco? Utilizzando i contributi della psicologia clinica si potrebbe pensare all’estetica del gregge/branco come ad una reazione contro-fobica all’abbandono e ad una paura dell’individuazione. Essere individui implica anche la suggestione paranoide di essere individuati e diventare visibili con le proprie fragilità e difetti. Sia il gregge che il branco convergono verso la necessità di ‘mascherarsi’ in modo conformista per passare inosservati: il gregge lo farà in modo “social” il branco in modo “anti-social”.Mimetizzarsi per vivere nel gregge o nel branco implica l’abnegazione della propria soggettività e la costruzione di un Falso Sé Collettivo che può portare a delle conseguenze molto pericolose sul piano della salute fisica, mentale ed emotiva. Una buona fetta di responsabilità va di certo attribuita al contesto socio-culturale, familiare, scolastico, urbano e nazionale, che risulta essere sempre più indefinito ed astratto e la cui tendenza è quella di attribuire ai modelli etici sani una estetica noiosa, poco attraente e poco eccitante. Ne deriva quindi la legittimazione indiretta di un’etica in cui tutto è ridotto ad “oggetto di consumo”: relazioni, sentimenti, amore, ecc… tutto ciò con l’aggravante che ogni cosa possa essere comprata, venduta o rubata e diventare un possesso esclusivo dell’ego. Nell’illusione di un possesso egocentrico della realtà si arriva all’asservimento dell’Io che in una sorta di legge del contrappasso, diventa prigioniero degli oggetti stessi. In una situazione in cui la persona diventa dipendente da un oggetto, feticcio della sua libertà, l’appartenenza ad un “gregge” o ad un “branco” diventa necessaria per metabolizzare la paura della perdita simbolica delle propria autonomia, attraverso la perdita dell’oggetto.Una tale situazione finisce con l’essere intollerabile, e per questo deve essere ricacciata fuori dall’orbita della coscienza: nel preconscio o proiettata all’esterno. Nel primo caso (preconscio) possiamo avere come risultato un comportamento da gregge, nel secondo un comportamento da branco. Nel gregge l’emarginazione diventa il fattore estetico da evitare, ma così facendo si arriva anche all’esclusone di prospettive analitiche nuove e migliori; nel branco invece l’emarginazione assume il ruolo di una reazione alla paura, che si esprime nella necessità di infrangere le regole. L’estetica dell’emarginazione, come quella del degrado, presentano al loro interno un’etica invertita disumanizzante e passivizzante, legata alla tutela degli oggetti piuttosto che alle persone. Tale etica si rispecchia in una estetica dell’impersonale che si muove nel “social”, ma che tende a sconfinare nell’“anti-social” e nella necessità di annullare l’altro, credendo che sia vantaggioso per l’Io; in realtà tale atteggiamento non fa altro che danneggiare il soggetto che agisce in quel modo.Del resto è la società contemporanea che propaganda una morale del consumo acritico che favorisce i comportamenti gregari, fondati sul possesso, che determinano una libertà basata sulla dipendenza (emotiva e comportamentale) da oggetti inanimati. Tutto questo viene espresso poi in una affollata esteriorità, al di sopra di una interiorità solitaria e misera. Il destino del gregge e del branco è il medesimo, ossia è quello di essere inconsapevolmente manipolati nella costante ricerca di un brand, di un marchio, di un “come essere”, ma senza avere individuato un “perché”. Pensando al marchio, la memoria va a quel passo dell’Apocalisse in cui il marchio della Bestia era la garanzia del commercio… anche di anime. Inoltre è curioso rilevare come nel Vecchio West americano fosse in uso chiamare i fuorilegge con il soprannome di “The Brand”, ossia il marchio che faceva riferimento alle azioni predatorie contro il bestiame marchiato. Occorre rendersi conto che essere liberi è doloroso, e coloro che si rifugiano nel gregge o nel branco tentano di sfuggire, invano, a questa sofferenza e alla paura di una vera libertà fondata su aspetti etici ed estetici.(Stefano Pica, “Gregge e branco, schiavi dello stesso marchio”, dal blog del Movimento Roosevelt del 26 aprile 2018).I modelli educativi ed estetici della società contemporanea pongono in evidenza una oscillazione comportamentale tra l’essere “gregge” e l’essere “branco”. Tale aspetto risulta molto più evidente nei giovani in quanto meno strutturati sul piano psichico. La differenza tra il gregge e il branco sembra evidente: l’uno (il gregge) è destinato ad essere ‘vittimizzato’ dall’altro (il branco); il gregge rappresenta una massa chiusa nel recinto delle convenzioni, mentre il branco mette in discussione ogni convenzione vivendo di regole proprie a volte a scapito degli altri. Il gregge è sinonimo di vigliaccheria e impotenza, mentre per il branco sembrerebbe valere il contrario. In realtà stiamo parlando di due cose molto simili ed accumunate dal medesimo sentimento: la Paura. Ci troviamo innanzi a due modalità comportamentali differenti che possiedono però lo stesso modello estetico. Quale potrebbe essere l’estetica che accomuna il gregge al branco? Utilizzando i contributi della psicologia clinica si potrebbe pensare all’estetica del gregge/branco come ad una reazione contro-fobica all’abbandono e ad una paura dell’individuazione. Essere individui implica anche la suggestione paranoide di essere individuati e diventare visibili con le proprie fragilità e difetti. Sia il gregge che il branco convergono verso la necessità di ‘mascherarsi’ in modo conformista per passare inosservati: il gregge lo farà in modo “social” il branco in modo “anti-social”.
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Becchi: grazie a Di Maio, il Quirinale punta all’accordo col Pd
Sabino Cassese a Palazzo Chigi, con Di Maio come ruota di scorta e il placet di Renzi. Tradotto: come seppellire in poche settimane l’indicazione degli elettori, che il 4 marzo si sono chiaramente espressi per voltare pagina rispetto al passato. Senza contare il 27% di italiani rimasti prudentemente lontani dalle urne, il 55% ha scelto 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Ovvero: fine dei governi-ombra agli ordini di Bruxelles, inagurati da Monti e proseguiti con Letta, Renzi e Gentiloni, l’uomo “invisibile” che passerà alla storia per aver convalidato il decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori in assenza di emergenze sanitarie, terremotando le famiglie italiane. Dopo l’illusione della diarchia Salvini-Di Maio a incarnare il cambiamento invocato dagli ettori (meno tasse, reddito di cittadinanza), secondo Paolo Becchi – a causa del veto grillino su Berlusconi – si fa strada l’ipotesi peggiore: un “governo del presidente” sostenuto dai 5 Stelle ma senza più Di Maio a Palazzo Chigi. Un esecutivo pallido, sorretto anche dal Pd tuttora renziano. Filosofo del diritto, in passato vicino alla leadership grillina, Becchi ora avverte: «Di Maio non può pretendere di mettere Salvini di fronte a un ricatto. A quel punto si assume una gravissima responsabilità: quella di consegnare la volontà degli elettori o a una cattiva alleanza, quella col Pd, o alle ipotesi tecniche».Secondo Becchi, sondato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”, «il Quirinale ha un preciso disegno in testa», però «intende arrivarci gradualmente, certificando il fallimento delle ipotesi alternative». Ha conferito a Elisabetta Casellati un mandato esplorativo a stretto giro, mentre «centrodestra e M5S non hanno raggiunto un accordo in un mese e mezzo». Impensabile che accada qualcosa di decisivo prima delle elezioni regionali, in programma il 22 aprile in Molise e il 29 in Friuli. Cosa c’entrano le elezioni regionali? «L’intento di Mattarella – sostiene Becchi – è quello di mettere in difficoltà i due probabili vincitori di questo voto, amministrativo ma di grande valore politico, perché se Berlusconi perde malamente in Molise, dove si sta impegnando in prima persona, politicamente è finito. A quel punto Salvini sarebbe più autonomo e potrebbe alzare la posta». Significa che il Colle vuole impedire a Di Maio e Salvini di mettere sul piatto delle trattative di governo le rispettive vittorie elettorali in Molise e Friuli? «Significa che vuole impedire a Salvini di avere più peso politico all’interno della coalizione vincente nelle urne del 4 marzo, tagliando così le gambe alle possibilità residue di un accordo M5S-Lega».La manovra servirebbe a legittimare altri scenari, ovvero «un patto M5S-Pd, oppure un “governo del presidente”, affidato per esempio a Sabino Cassese», giurista e accademico, giudice emerito della Corte Costituzionale. Lo stesso Cassese, in un editoriale “interventista” sul “Corriere della Sera”, ha lanciato un monito a tutti, dalla Siria all’Italia: la sovranità degli Stati «va tenuta sotto controllo», e inoltre gli Stati «agiscono per la realizzazione di principi globali». Princìpi che il nuovo M5S “atlantista” potrebbe sottoscrivere. «Il disegno è chiaro», dice Becchi: «Far saltare l’accordo del M5S con il centrodestra per evitare il “pericolo” leghista e far nascere un “governo del presidente” con 5 Stelle e Pd, mettendo al posto di un inesperto come Di Maio un ex giudice costituzionale in grado di garantire la collocazione internazionale e la messa in sicurezza del paese». E perché mai Di Maio ci dovrebbe stare? «Perché a quel punto avrà giocato male la sua partita con Salvini e non potrà più tornare indietro», argomenta Becchi. «Dovrà scegliere tra dare un governo al paese o andare al voto. Di Maio ha tirato troppo la corda e alla fine l’ha spezzata. Non se ne è ancora reso conto, ma non farà più il capo del governo». E Renzi? «Darebbe l’okay, perché Di Maio non farebbe più il premier».Di Maio ha detto che vorrebbe governare solo con Salvini? «L’impressione è che alla Lega il governo non interessi» sottolinea Becchi: «L’opposizione è più redditizia e in palio c’è il centrodestra del dopo-Berlusconi». Il professore è ancora convinto che Salvini voglia innanzitutto portare il centrodestra al governo, e che voglia farlo coi 5 Stelle «perché sono le due forze che hanno vinto le elezioni». Ma i due programmi non sono incompatibili? «Non lo credo», risponde Becchi. «Il M5S non ha nessun programma, fa e disfa i programmi a piacimento a seconda delle convenienze. E’ un partito liquido, con a capo un trentenne che si è montato la testa e vuole fare il premier a tutti i costi. E infatti darebbe tranquillamente alla Lega i ministeri di peso». Se la Casellati guadagnasse tempo, aggiunge Becchi, forse prolungherebbe la vita all’ipotesi 5 Stelle-Lega: «Non è stata esplorata fino in fondo, e sono proprio le urne di Molise e Friuli a legittimarla». L’ipotesi della staffetta Di Maio-Salvini «offrirebbe garanzie anche a Berlusconi: gli permetterebbe di avere qualche ministro e soprattutto ci potrebbe stare un accordo per tutelare le aziende».Il veto del Movimento 5 Stelle sul Cavaliere «avvalora l’ipotesi che Di Maio voglia davvero fare il governo col Pd», afferma Becchi». Ma se fosse Berlusconi a continuare a opporsi ai grillini, le elezioni in Molise e in Friuli potrebbero tradirlo: «In questo caso Salvini, più forte grazie al risultato regionale, potrebbe davvero abbandonare Berlusconi, andandosene con Fratelli d’Italia e con metà Forza Italia per fare un centrodestra a propria immagine: se Berlusconi non accettasse, sarebbe il suo funerale politico». Viceversa, un nuovo Patto del Nazareno spaccherebbe il centrodestra: «La Lega e Fratelli d’Italia uscirebbero: Salvini non accetterebbe mai di entrare in un “governo del presidente”». E Di Maio? Perché non si è ancora reso conto del fatto che non farà più il premier? «Per una ragione profonda, non politica», sostiene Becchi. «Di Maio e il gruppo dirigente del M5S, ma la considerazione vale anche per i militanti, sono ormai persone che vivono di rancore, di passioni tristi. Il risentimento li blocca e li bloccherà su tutto. Se non sei più in grado di contemplare una ipotesi politica di governo, se credi che avendo 11 milioni di voti alle spalle ti puoi comportare come vuoi continuando a dire io-io-io, o me o nessuno, se Berlusconi ti dice che non ha veti e tu continui a dire no, allora è finita». Questo lo ha detto, a Di Maio?«Sì, ma non c’è stato verso». Come andrà a finire? «La crisi di governo li sta fregando – chiosa Becchi – perché sta diventando anche e soprattutto colpa loro, di Di Maio soprattutto. E se per caso si vota, i 5 Stelle potrebbero avere brutte sorprese».Sabino Cassese a Palazzo Chigi, con Di Maio come ruota di scorta e il placet di Renzi. Tradotto: come seppellire in poche settimane l’indicazione degli elettori, che il 4 marzo si sono chiaramente espressi per voltare pagina rispetto al passato. Senza contare il 27% di italiani rimasti prudentemente lontani dalle urne, il 55% ha scelto 5 Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Ovvero: fine dei governi-ombra agli ordini di Bruxelles, inaugurati da Monti e proseguiti con Letta, Renzi e Gentiloni, l’uomo “invisibile” che passerà alla storia per aver convalidato il decreto Lorenzin sui vaccini obbligatori in assenza di emergenze sanitarie, terremotando le famiglie italiane. Dopo l’illusione della diarchia Salvini-Di Maio a incarnare il cambiamento invocato dagli elettori (meno tasse, reddito di cittadinanza), secondo Paolo Becchi – a causa del veto grillino su Berlusconi – si fa strada l’ipotesi peggiore: un “governo del presidente” sostenuto dai 5 Stelle ma senza più Di Maio a Palazzo Chigi. Un esecutivo pallido, sorretto anche dal Pd tuttora renziano. Filosofo del diritto, in passato vicino alla leadership grillina, Becchi ora avverte: «Di Maio non può pretendere di mettere Salvini di fronte a un ricatto. A quel punto si assume una gravissima responsabilità: quella di consegnare la volontà degli elettori o a una cattiva alleanza, quella col Pd, o alle ipotesi tecniche».
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Giannuli: i 5 Stelle guastati dal potere che volevano battere
C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.Le critiche di Giannuli si sono fatte più frequenti e forse più aspre, per cui non è stato un caso che nelle recenti elezioni politiche, alla Camera non ha votato 5 Stelle ma “Potere al Popolo”. «Non sono io che mi sono man mano allontanato dal M5S: io sono rimasto fermo, è il M5S che ha preso altre strade». Per esempio, la guida “carismatica” dell’uomo solo al comando. «Il M5S al quale mi ero avvicinato era quello dell’“uno vale uno” che, pur non senza contraddizioni anche evidenti, rifiutava l’idea di un capo politico che decidesse tutto». In quelle “contraddizioni anche evidenti”, Giannuli evita di nominare Grillo, il designatore di Di Maio; non che ai tempi di Beppe, cioè quando sulla scena stava l’ex comico, contasse davvero l’“uno vale uno”: bastava un sospiro del Capo per esiliare chiunque avesse osato ragionare con la propria testa, da Pizzarotti in giù. Comunque la si veda, secondo Giannuli, le cose sono ulteriormente peggiorate: «Oggi, nel movimento vige un regolamento che nessuno ha mai approvato e che dà pieni poteri al capo politico, sino al punto di dargli la possibilità di nominare i capigruppo parlamentari non più eletti (cosa che non ha precedenti nella storia del Parlamento repubblicano)».Aggiunge Giannuli: «Il M5S al quale mi ero avvicinato parlava di democrazia diretta, anche con un’enfasi eccessiva che si traduceva in un discutibile rifiuto della democrazia rappresentativa; oggi di democrazia diretta non si parla più ed è restato solo un antiparlamentarismo ancora più inquietante di ieri». Nostalgia dichiarata: «Il M5S cui mi ero accostato miscelava temi di destra (come l’ostilità verso gli immigrati) con temi di sinistra (come la difesa dell’articolo 18) ma aveva una decisa avversione ai poteri finanziari (ricordiamoci le partecipazioni di Grillo alle assemblee degli azionisti Telecom)». Oggi invece Di Maio «dice che i governi devono tener conto dell’orientamento dei mercati finanziari». Sta cadendo un velo che in realtà esisteva già prima: Giannuli non se n’era accorto? «Il M5S con il quale iniziai a collaborare – aggiunge – si schierò decisamente per la legge elettorale proporzionale e contro la riforma renziana della Costituzione in difesa della Costituzione repubblicana del 1948». L’edizione più recente del movimento, invece, «ha fatto non poche concessioni nel dibattito sulla legge elettorale (in particolare quando si parlò di metodo tedesco) e, con ogni evidenza, si appresta a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario».Quanto alla Costituzione, la pretesa di avere la presidenza del Consiglio sulla base della maggioranza relativa ottenuta nel voto per l’elezione della Camera «è solo la premessa logica di una riforma di indirizzo presidenziale», sostiene Giannuli. «Ma allora, perché ci si è opposti alla riforma di Renzi?». Il professore ha combattuto il ras del Pd in quel referendum perché era «contrario alla sua riforma», non per fini reconditi. «Mi viene il dubbio – dice – che qualche altro ha combattuto quella riforma solo perché voleva togliere di mezzo Renzi». Di fatto, ribadisce Giannuli, cinque anni fa il Movimento 5 Stelle «entrò nelle stanze del potere per ribaltarle», mentre quello oggi capitanato da Di Maio «non si sottrae all’abbraccio mortale del potere consolidato». Non hanno cambiato il potere, scandisce il professore: al contrario, è il potere che ha cambiato loro. «Non sono mai le persone a fare progetti di potere: è il potere che fa progetti sulle persone», sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, altro estimatore della base grillina – ma severo censore del vertice: «Di Maio – dice – era la peggior scelta possibile, per i 5 Stelle: un uomo inconsistente e condizionato dalla finanza anglosassone, sovragestito da un personaggio ambiguo come il politologo statunitense Michael Ledeen, supermassone del B’nai B’rith, legato ad ambienti sionisti del massimo potere mondiale, specialisti in manipolazione geopolitica».Visto dal punto di vista di Giannuli (che, a differenza di Carpeoro, con i 5 Stelle ha interagito direttamente) il paesaggio è ingombro di macerie: «Il M5S con cui ho collaborato – racconta il professore – fece un’epica battaglia parlamentare contro la “riforma” della Banca d’Italia che ne faceva dono alle principali banche nazionali. La legge prevedeva tre anni di tempo per mettere sul mercato le azioni possedute in eccesso dai pochi oligopolisti, il limite è scaduto nel 2017 senza che sia avvenuto niente: e il M5S non dice niente, preferendo posare occhi vogliosi sulla Cassa Depositi e Prestiti, in perfetto stile “spoil system”. Certo, sin qui è stata gestita malissimo, ma quale è il rimedio? Piazzare qualche amico? Non so». Altrettanto preoccupante il rapporto con Bruxelles, capitale dell’austerity: «Oggi non solo non si parla proprio più di uscita dall’euro – scrive Giannuli – ma si fa dell’oltranzismo filo Ue, e si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del Parlamento Europeo, “En Marche”». Il movimento grillino delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, certo, «ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra», rileva il politologo. E oggi? «Quella ambiguità è sciolta», ma nel modo peggiore: «Pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra».Fatemi scendere, dice Giannuli. E spiega: «Io ero e sono sempre rimasto di sinistra», dunque la convergenza verso lo “xenofobo” Salvini sarebbe quanto mai indigesta. «Potevo convivere con l’ambiguità iniziale, ma non con una cosa esplicitamente di destra». Dopo aver lungamente tollerato la non-chiarezza dei grillini, ora Giannuli vota contro la spiacevole franchezza di Di Maio e soci. Per cui, aggiunge, non stupitevi: «Sapete che sono anticonformista». Ovvero: «In un paese in cui (quasi) tutti salgono sul carro del vincitore, io scelgo di scendere». Precisa: «Sarò grato ai conduttori televisivi che non mi presenteranno più come “vicino al Movimento 5 stelle” ma come persona “che è stata a lungo vicina al M5S». Intendiamoci, niente di personale: «Nessuna acrimonia e nessuna ostilità preconcetta». Distacco nel giudizio, serena equanimità: «Quando il M5S farà scelte condivisibili lo difenderò, quando ne farà di segno opposto lo criticherò». Ma sempre nel merito, assicura Giannuli. Perché, «nonostante tutto», cioè malgrado Di Maio, il Movimento 5 Stelle «è ancora oggi una importante risorsa per il paese». E quindi «sarebbe altamente auspicabile che correggesse questa discutibile rotta». Benvenuto tra noi, potrebbero dire a Giannuli alcuni milioni di italiani, tra il 27% degli aventi diritto, che il 4 marzo hanno valutato inevitabile l’astensionismo elettorale, dopo aver visto Di Maio inchinarsi ai santuari della finanza-canaglia.C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.
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Della Luna: noi e il cantiere (zootecnico) del pensiero unico
Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.Il dissenso rispetto all’ortodossia, e la stessa libera indagine scientifica e storica di quelle credenze, scrive Della Luna nel suo blog, sono atteggiamenti inammissibili, «sanzionati con la delegittimazione morale, il boicottaggio della carriera, la discriminazione amministrativa, l’esclusione dei media, dall’insegnamento, dall’editoria, quando non anche da conseguenze penali». I dati di fatto smentiscono l’ortodossia? Non importa: «Vengono taciuti all’opinione pubblica, soprattutto nei campi chiave per l’orientamento del pensiero e della sensibilità collettivi, della concezione generale della realtà, del consenso politico, della legislazione e della giurisdizione». Anche la ricerca scientifica è «condizionata, limitata e incanalata attraverso il controllo finanziario della stampa specialistica, delle università, della ricerca, dell’editoria». Per Della Luna, avvocato e saggista, si è così ottenuta una sostanziale limitazione della libertà di ricerca, di insegnamento, di informazione pubblica – limitazione che, di fatto, «previene grande parte del possibile dissenso». Attenzione: «L’imposizione di un’ortodossia è incompatibile con la scienza, perché la scienza procede proprio per continua revisione, verificazione, falsificazione, ed è incompatibile con l’indiscutibilità». Dunque, l’ortodossia «serve a proteggere dal controllo scientifico le credenze che sostengono posizioni di privilegio e sfruttamento».E’ un sistema basato sul dominio, con i suoi guardiani: «Le posizioni politiche che mettono in luce e contestano il trend di progressivo trasferimento dei redditi e della ricchezza dai lavoratori alla finanza improduttiva – scrive Della Luna – sono tutte etichettate, dalla grande comunicazione, come populiste-estremiste, se non peggio», mentre sono definiti “di sinistra” partiti come il Pd in Italia, che «difendono la concentrazione dei redditi e del potere politico nelle mani dei grandi banchieri, quando non sono addirittura diretti da figli di banchieri molto discutibili o addirittura incriminati». Secondo Della Luna, «l’uomo non è una grande risorsa per i suoi ideali di giustizia, verità, libertà: pur di non guardare in faccia la realtà e non doversi addossare responsabilità, la maggior parte della gente adotta credenze assurde e rinuncia alla libertà, arrivando a pagare, a stordirsi, a compiere cose degradanti». C’è chi vorrebbe suscitare un movimento rivoluzionario e moralizzatore? Vorrebbe puntare sulla diffusione della conoscenza, illuminando decisivi aspetti della realtà? Tutte illusioni, sostiene il pessimista Della Luna.Siamo tornati all’antico potere sacerdotale, avverte il saggista: «I cleri di molte civiltà si arricchivano e acquisivano potere politico facendo credere al popolo che, per far sì che gli dèi mandassero la pioggia e proteggessero dalle pestilenze e dalle carestie, bisognasse fare grandi donazioni in sacrificio ai templi e obbedire ai grandi sacerdoti». Oggi, afferma Della Luna, svolge una funzione analoga «la credenza istituzionalizzata (cioè la religione) della scarsità della moneta e della indispensabilità per gli Stati di indebitarsi per finanziarsi». Nel saggio “Pensare altrimenti”, il filosofo Diego Fusaro scrive che il capitalismo finanziario, per realizzare il proprio sistema di profitto, ha necessità di farsi pensiero totalitario, unico, quindi di eliminare ogni identità umana differenziale e ogni valore diverso da quelli di scambio, così come ogni vincolo morale, comunitario, etnico, culturale e spirituale, insieme a ogni concezione alternativa dell’uomo e dell’ordinamento esistente, perché ostacolerebbero la “onnimercificazione” e la immediatezza del business.Il nuovo business, aggiunge Fusaro, vuole che ogni qualità sia riducibile a quantità, e che tutto e tutti siano costantemente disponibili on line per le operazioni di mercato (e di sorveglianza), in un processo di omogeneizzazione e riduzione del qualitativo al quantitativo che ammette solo i flussi di scambio, non i soggetti che se li scambiano. Questo produce un effetto ultimamente entropizzante e mortifero, cioè nullificante: «Illumina l’accostamento che Fusaro fa di questo processo all’avanzare del Nulla che divora il fantastico mondo del famoso film “La storia infinita”», annota Della Luna. Per compiere questa eliminazione, soprattutto nei cosiddetti “gloriosi 30” (i decenni della grande crescita e redistribuzione economica «apparentemente democratica»), il sistema ha sviluppato in modo pianificato «la demolizione della consapevolezza di classe attraverso il consumismo: col quale le classi subalterne hanno assimilato i valori di quelle dominanti e si sono moralmente neutralizzate nonché politicamente castrate».Al contempo, ha prodotto la relativizzazione e l’inversione dei valori e delle istituzioni tradizionali, «assieme a un complesso processo di censura e “tabuizzazione del dissenso”, del pensiero diverso (circa le cose che contano, soprattutto degli scopi dell’esistenza) e delle stesse parole che servono per esprimere la critica al capitalismo finanziario». Imperialismo, colonialismo, plutocrazia, conflitto servi-padroni: «Sono vocaboli fondamentali per rappresentarsi le operazioni e le realtà del nostro mondo», in cui le guerre di conquista per il petrolio e le altre risorse, e per l’imposizione del dollaro come moneta obbligata degli scambi di materie prime, «vengono legittimate come esportazione della democrazia, lotta al terrorismo e tutela dei diritti dell’uomo». Parole necessarie, continua Della Luna, e quindi «tolte dalla comunicazione per l’opinione pubblica, e sostituite con altre parole opportunamente scelte». E’ la “neolingua” orwelliana: invertire il significato delle parole, restringere il lessico per ridurre i concetti e produrre così il consenso al sistema. Lo si ottiene, oggi, con il lancio mirato di milioni di email e tweet, nonché «campagne di criminalizzazione, di allarmismo, di ottimismo» dirette a manipolare la mente e il comportamento collettivo, in ambito politico e finanziario.«Con quest’arma ci si può liberare di intellettuali dissenzienti e delle loro idee o rivelazioni, come pure di concorrenti commerciali e politici, creando l’apparenza che la società stessa, democraticamente, li condanni o ne diffidi, mentre si tratta dell’attacco di un singolo soggetto, moltiplicato per milioni mediante strumenti tecnologici». Così per tutto. La ricerca scientifica? Vincolata ai finanziamenti del capitalismo privato e del settore militare. Conseguenze: «note e terribili, nei campi sanitario e alimentare». E l’ideologia gender, introdotta sin dal ‘96 anche attraverso l’Ue? «Persino dati di fatto biologici, come la dualità dei sessi, vengono negati e “tabuizzati” in quanto dati di natura, immodificabili, e convertiti in convenzioni-costruzioni volontarie, ossia in prodotti, così da creare il mercato dei trattamenti per sviluppare un gender», ovvero: «Trattamenti ormonali per sospendere la sessuazione nei fanciulli rinviandola a quando potranno scegliere se diventare maschi o femmine», e anche «condizionamenti psicologici per indurre identificazioni e prassi di “gender” divergenti dall’appartenenza sessuale biologica».La “destra del capitale” (come la chiama Fusaro), si serve di una censoria “sinistra del costume” (ottusa o mercenaria) che è stata allocata negli spazi e gli organi “culturali” (sovrastruttura) per oscurare, delegittimare, criminalizzare e attaccare, talvolta persino con la violenza fisica, i critici strutturali del modello capitalista, vantandosi “antifascista” «ma di fatto esercitando, in modo tipicamente fascista, la proscrizione e repressione dei critici del sistema, senza confronto nel merito ma semplicemente mediante accuse di immoralità, estremismo, populismo o irrazionalismo, nonché di fake news». Non sempre funziona: le elezioni del 4 marzo 2018 – aggiunge Della Luna – hanno dimostrato che larga parte dell’elettorato ha rigettato la propaganda istituzionale pro-immigrazione e pro-eurocrazia. Nei suoi saggi, l’autore demistifica soprattutto i dogmi fondanti del sistema capitalistico, della sua legittimazione giuridica e del consenso che lo sostiene: scarsità-costosità della moneta, efficienza-esistenza del libero mercato, “virtuosità” della spesa pubblica e della riduzione dei debiti nazionali (mediamente cresciuti, non calati, proprio per effetto del rigore fiscale Ue). «Ma siccome queste sono una credenza protetta, non possono essere messe a confronto col loro fallimento di fatto».In grande maggioranza, sostiene Fusaro citando Etienne de la Boétie, la popolazione tende ad adattarsi cognitivamente, moralmente ed emotivamente allo stato di fatto della realtà, ai rapporti di potere effettivi, «perché pensare l’ingiustizia del potere che si subisce rende il subirla più afflittivo e tormentoso, senza apportare vantaggi». In altre parole: meglio non guardarla in faccia, una realtà così orrenda. L’industria culturale del capitalismo finanziario aiuta, eccome, a non aprire gli occhi: agisce «analogamente ma assai più efficacemente di ogni altro totalitarismo precedente, teocratico, comunista o fascista che fosse». Ha costruito e imposto una sua ortodossia, ha fabbricato un consenso, una legittimazione democratico-giuridica. E ha ottenuto che il “logos” dissenziente, cioè la consapevolezza dell’ingiustizia (dell’illogicità e dell’infelicità provocata dal sistema in atto, e della progettabilità di sistemi diversi) possa circolare solo tra pochi intellettuali indipendenti, marginali al potere, senza poter alimentare un movimento politico consistente ed efficace. Quand’anche, aggiunge Della Luna, non si andrebbe oltre qualche piccolo attrito, «perché la capacità repressiva del sistema, col suo apparato mediatico-militare-istituzionale, è immensa».Del resto, «la quota di potere reale messa in gioco nelle votazioni popolari è minima». Chi vota, può decidere pochissime cose. Della Luna l’ha spiegato in saggi come “Oligarchia per popoli superflui” e “Oltre l’agonia”: il pensiero unico è pervasivo, fortissimo. «E’ di gran lunga più capace che ogni altro sistema di legare a sé le persone, le aziende, i governi», proprio perché «più di ogni altro sistema produce e distribuisce mezzi monetari», che sono «il motivatore universale», e lo fa «con operazioni contabili che indebitano verso di esso, con interesse composto, le persone, le aziende, i governi (denaro-debito)». E quindi, nel finanziare il corpo sociale – cioè nel dargli volta per volta il denaro di cui questo necessita per funzionare – al contempo lo indebita verso di sé, creandogli la necessità di prendere ulteriore denaro a prestito (il cosiddetto “debito infinito”, i cui leader sono i produttori della moneta, cioè i vertici del sistema finanziario). «E’ un fattore matematico ineliminabile. E questa dipendenza è divenuta non solo economica, nel tempo, ma anche politica». Il vertice finanziario emana le direttive e detta le leggi: è il fondamento del potere politico. L’attività strategica dei “produttori di denaro”, insiste Della Luna, rappresenta «il core business del settore bancario», che opprime le nazioni indebitate.«Siamo evidentemente in presenza di un piano politico di lungo termine, ovviamente non dichiarato e non proposto al pubblico dibattito né menzionato o menzionabile nei programmi elettorali dei partiti politici». Per Della Luna, è in corso da decenni «un piano di indebitamento progressivo a fine di potere politico e di esautorazione delle istituzioni pubbliche». Si basa sul fatto che gli utenti del credito (cittadini, aziende, amministratori, politici) si accontentano di risolvere il problema finanziario immediato ottenendo un nuovo finanziamento, senza considerare «l’effetto cumulativo macroeconomico del finanziarsi ripetutamente a credito nel lungo e lunghissimo periodo». Ed è proprio questo l’obiettivo dell’operazione. Il piano «viene nascosto, dai suoi stessi esecutori, dietro i precetti della lotta al debito pubblico, dell’avanzo primario e della “virtuosità” di bilancio – precetti la cui applicazione ha infatti aumentato l’indebitamento pubblico verso la comunità bancaria internazionale, come volevano i loro fautori». Indebitamento che, su scala mondiale, supera i 260.000 miliardi di dollari. In Europa, un muro insormontabile grazie alla moneta unica (Della Luna ne parla in “Cimiteuro”, “Euroschiavi”, “La moneta copernicana”).E’ il “social control”, sintetizza Della Luna, il vero obiettivo di fondo dell’oligarchia finanziaria globale. Il profitto monetario? «E’ solo uno strumento», benché formidabile e con volumi mostruosi. Invece, «gestire un mondo in preda a squilibri e conflitti crescenti è molto più impegnativo». Secondo l’analista, questo richiede il passaggio già in corso: «Dalla società finanziarizzata alla società amministrata zootecnicamente». E’ drastico, Della Luna: «All’atto pratico – scrive – lo spazio di libertà degli uomini è sempre stato proporzionale alla loro capacità fisica e mentale di conquistarselo e difenderlo, ossia di resistere alla tendenza a controllarli e sfruttarli da parte del potere costituito». La libertà individuale? Non è altro che «un rapporto tra la forza di controllo dall’alto e quella di resistenza ad essa dal basso». Oggi, conclude, la tecnologia sta moltiplicando la prima rispetto alla seconda. In ogni campo: dalla comunicazione all’elettronica, della biochimica alla manipolazione genetica per via farmacologica. Contiamo sempre meno, saremo sempre più in gabbia. Zootecnia, appunto: «Gli spazi di libertà vanno ad azzerarsi».Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.
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Ilaria Bifarini: di rigore si muore. Lo sanno, e così insistono
Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».In pratica, si continua con la stessa ricetta – mortale – che ha ridotto il malato in fin di vita. Secondo uno studio della stessa Oxfam, aggiunge Bifarini, «se le misure di austerità continueranno, entro il 2025 l’Europa potrebbe avere da 15 a 25 milioni di poveri in più». Ma il mainstream politico e giornalistico «preferisce ignorare queste verità che trapelano ogni tanto dai documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali e propagandare quelli conformi al pensiero unico economico». Nel silenzio generale dei media è uscita questa notizia: è ormai a rischio povertà anche chi lavora, quasi 1 su 8. «La colpa è proprio di questo sistema, che premia la disuguaglianza», spiega Bigarini. «Il futuro ci prospetta una società sempre più polarizzata, con una ristretta cerchia di privilegiati sempre più ricchi e il resto della popolazione, lavoratrice e non, che continuerà a impoverirsi». D’altronde, aggiunge, il fenomeno dei “working poors” è già diffuso in Germania, dove il problema della disoccupazione non è “mostruoso” come in Italia. Eppure, anche in Germania «la deflazione salariale è una colonna portante del modello neoliberista».Inversioni di rotta? Siamo alla vigilia di un cambiamento? Fa pensare, sostiene “Lospeciale”, che il Movimento 5 Stelle oggi parli di natalità e soldi alle coppie con figli: dirlo solo cinque anni fa avrebbe creato polemiche su un presunto “ritorno al fascismo”, in relazione al primitivo welfare nazionalista mussoliniano. «Sicuramente è iniziata una svolta nel sentimento della popolazione», sostiene Ilaria Bifarini, secondo cui il voto del 4 marzo «ha dimostrato la forte volontà e speranza di cambiamento da parte dei cittadini». Politicamente parlando, per l’economista «andrà avanti chi manterrà le promesse e non deluderà gli elettori». E questo, aggiunge, «perché c’è più consapevolezza, anche grazie all’informazione indipendente», che si è progressivamente sviluppata sul web. «Lavoro e famiglia sono senz’altro prioritari: il problema della denatalità non può essere risolto né aggirato con l’accoglienza indiscriminata, ma va affrontato seriamente». Proponendo reddito minimo e Flat Tax, Di Maio e Salvini dimostrano di sapere che occorre dare (o lasciare) più soldi a famiglie e aziende: il contrario dei tagli, che l’Ue – al servizio dei grandi oligopoli globalizzati – continua a raccomandare, fingendo di non conoscene le conseguenze.Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».
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Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.
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Pd e Forza Italia sono finiti: i loro elettori non torneranno
Berlusconi è tecnicamente finito: incassato il “no” dei 5 Stelle, sperava di far eleggere Romani al Senato con l’aiuto di Renzi, per poi varare un governo Salvini protetto dall’astensione del Pd. «Un esito del genere della battaglia dei presidenti di Camera e Senato non era lontanamente prevedibile, e il Cavaliere ha fatto di tutto per aggravare la sua posizione», riassume Aldo Giannuli. Salvini e Di Maio «avevano già un accordo alle spalle e hanno reagito alla melina del Cavaliere con brutalità», Salvini votando in prima battuta la Bernini (e con essa, l’illusione del Cavaliere di essere ancora lui il “regista del centrodestra”). «Berlusconi ha perso la testa dichiarando rotta la coalizione, ma ci son volute poche ore per spiegargli che non era cosa che potesse permettersi, perché avrebbe accelerato le nuove elezioni che l’avrebbero visto (e lo vedranno) fatto a pezzi», aggiunge Giannuli. Salvini è comunque quello con più voti, ha più probabilità di tirare dalla sua “Fratelli d’Italia” ed essere il rivale dei 5 Stelle in caso di elezioni, «ma soprattutto ha un vantaggio di 40 anni su Berlusconi e può anche aspettare 4-5 anni per una rivincita, Berlusconi no». Il Cavaliere può “suicidarsi” correndo da solo o in tandem con l’altro sconfitto, Renzi. Invece, 5 Stelle e Lega «andranno avanti come carri armati verso il loro governo di scopo per una nuova legge elettorale e nuove elezioni-plebiscito in autunno».Nonno Silvio resterà solo, profetizza Giannuli: ha continuato a muoversi come se fosse ancora lui il condottiero del centrodestra, «mentre i suoi alleati semplicemente lo ignorano e pochissimi cortigiani continuano ad attorniarlo confermandogli tutte le illusioni: ormai sembra la caricatura di Hitler nel bunker che dà ordini a divisioni inesistenti». Non sta meglio il suo dirimpettaio Renzi, «che continua a sognare improbabili rivincite», cominciando con l’idea di «liberarsi delle sue minoranze». In caso contrario, cioè col Pd unito, nuove elezioni – secondo Giannuli – potrebbero far crollare il partito sotto il 12%. Ma nessuno sembra rendersene conto: «A volte le illusioni sono indistruttibili», scrive Giannuli, ricordando – da storico – che i nostalgici della monarchia italiana fecero un partito che, dopo un momentaneo e modesto successo nel 1953 (40 deputati) finì con appena 6 seggi nel giro di dieci anni. E’ la stessa fine che rischiano di fare Forza Italia e il Pd. «Non riescono ad accettare di non essere più partiti “sovrani” (cioè capi di coalizione) e di essere diventati partiti “cadetti” (cioè “cespugli” minori di fiancheggiamento) e sognano una cosa che non esiste: che gli elettori che li hanno “traditi” tornino, dopo questa momentanea “scappatella”. Non hanno capito niente».«Può darsi che i 5 Stelle e la Lega deludano e perdano i consensi appena presi – e ci sono ottime ragioni per pensare che questo possa accadere – ma gli elettori che li hanno abbandonati probabilmente voterebbero nuovi partiti, forse sceglierebbero quelli più estremi ora esistenti, forse si asterrebbero o preferirebbero il suicidio: tutto, ma non il ritorno alle basi di partenza». Pd e Forza Italia si mettano l’anima in pace, insiste Giannuli: sono defunti. «Il problema è che ogni partito ha una sua “formula base”, che include l’area sociale di riferimento e il suo ordinamento, la soluzione organizzativa e la catena di comando, la cultura politica, l’area di possibili alleanze più o meno allargata, i punti di forza, l’insediamento territoriale». Quando questa formula crolla, «la crisi investe contemporaneamente diversi suoi componenti, non c’è niente da fare: il partito è da buttare via». Per assurdo, aritmetica alla mano, a Pd e Forza Italia converrebbe (si fa per dire) fondersi in un nuovo “partito della “nazione”. «Potrebbero chiamarlo Als, Alleanza Limoni Spremuti». E’ davvero la fine, il capolinea: signori, si scende.Berlusconi è tecnicamente finito: incassato il “no” dei 5 Stelle, sperava di far eleggere Romani al Senato con l’aiuto di Renzi, per poi varare un governo Salvini protetto dall’astensione del Pd. «Un esito del genere della battaglia dei presidenti di Camera e Senato non era lontanamente prevedibile, e il Cavaliere ha fatto di tutto per aggravare la sua posizione», riassume Aldo Giannuli. Salvini e Di Maio «avevano già un accordo alle spalle e hanno reagito alla melina del Cavaliere con brutalità», Salvini votando in prima battuta la Bernini (e con essa, l’illusione del Cavaliere di essere ancora lui il “regista del centrodestra”). «Berlusconi ha perso la testa dichiarando rotta la coalizione, ma ci son volute poche ore per spiegargli che non era cosa che potesse permettersi, perché avrebbe accelerato le nuove elezioni che l’avrebbero visto (e lo vedranno) fatto a pezzi», aggiunge Giannuli. Salvini è comunque quello con più voti, ha più probabilità di tirare dalla sua “Fratelli d’Italia” ed essere il rivale dei 5 Stelle in caso di elezioni, «ma soprattutto ha un vantaggio di 40 anni su Berlusconi e può anche aspettare 4-5 anni per una rivincita, Berlusconi no». Il Cavaliere può “suicidarsi” correndo da solo o in tandem con l’altro sconfitto, Renzi. Invece, 5 Stelle e Lega «andranno avanti come carri armati verso il loro governo di scopo per una nuova legge elettorale e nuove elezioni-plebiscito in autunno».
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Trappola Ue: per cambiare i trattati serve l’ok dei 28 Stati
Rispondo con questo articolo alla domanda di molti lettori che cercano una spiegazione concreta, o quantomeno verificabile, da contrapporre al comune sentito dire, che oscilla tra mito e realtà. Per ottenere maggiore flessibilità nelle regole di bilancio nazionale è necessario proporre modifiche ai trattati europei, che consentano di superare i vincoli comunitari imposti agli Stati membri. Le possibili modifiche sono regolate dall’articolo 48 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, nel quale sono disciplinate due procedure di revisione: quella ordinaria e quella semplificata. La revisione ordinaria parte dalle proposte (progetti) esercitabili da governi nazionali, Parlamento Europeo o Commissione Europea, da sottoporre al Consiglio dell’Unione che potrà decidere di esaminare o meno quanto ricevuto attraverso una convenzione (da convocare), composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, da capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal Parlamento e dalla Commissione europei (anche Bce, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario).I progetti presentati vengono trasmessi dal Consiglio dell’Unione al Consiglio Europeo e notificati ai parlamenti nazionali. Il tutto allo scopo di convocare una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, per stabilire le modifiche di comune accordo da apportare ai trattati. «Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali» e, se, nei due anni successivi dalla firma di un trattato che modifica i trattati, uno o più Stati membri non hanno ratificato, tutto è deferito al Consiglio Europeo. Nella procedura di revisione semplificata, invece, è il Consiglio Europeo che delibera all’unanimità, ma la decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali. Inoltre, la procedura semplificata non può essere estesa a modificare le competenze assegnate all’Unione. Ipotizziamo che il nostro governo chieda di riformare i trattati con una procedura di revisione ordinaria, per realizzare politiche economiche espansive. Sottopone il progetto al Consiglio dell’Unione, anche se non ha alcun alleato tra gli altri Stati membri. Il Consiglio dell’Unione lo trasmette al Consiglio Europeo e lo notifica ai parlamenti nazionali.A seguito di parere favorevole, il presidente del Consiglio Europeo convoca la convenzione. Viene esaminato il progetto e adottata per consenso la raccomandazione alla conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (Cig). Se tutti gli Stati membri ratificano (conformemente alle loro rispettive norme costituzionali), le modifiche entreranno in vigore. Per trasformare quindi le parole in concretezza, quando con facilità si parla di ricevere flessibilità sull’applicazione dei trattati in tema di vincoli di bilancio e politiche economiche e sociali, che consentano di rivedere limiti contabili e di non applicare l’austerity, occorre: 1) essere preparati e competenti, per essere presi in considerazione; 2) proporre modifiche concrete e circostanziate, che possano ricevere parere favorevole; 3) avere l’unanimità da parte degli altri Stati membri. Diversamente è soltanto un’illusione.(Maria Luisa Visione, “Ma i trattati europei sono modificabili?”, da “Siena Oggi” del 13 marzo 2018).Rispondo con questo articolo alla domanda di molti lettori che cercano una spiegazione concreta, o quantomeno verificabile, da contrapporre al comune sentito dire, che oscilla tra mito e realtà. Per ottenere maggiore flessibilità nelle regole di bilancio nazionale è necessario proporre modifiche ai trattati europei, che consentano di superare i vincoli comunitari imposti agli Stati membri. Le possibili modifiche sono regolate dall’articolo 48 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, nel quale sono disciplinate due procedure di revisione: quella ordinaria e quella semplificata. La revisione ordinaria parte dalle proposte (progetti) esercitabili da governi nazionali, Parlamento Europeo o Commissione Europea, da sottoporre al Consiglio dell’Unione che potrà decidere di esaminare o meno quanto ricevuto attraverso una convenzione (da convocare), composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, da capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal Parlamento e dalla Commissione europei (anche Bce, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario).
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Il Grande Fratello sa tutto di noi, soprattutto grazie a noi
Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.Gli utenti di Facebook, poi, sanno benissimo (o dovrebbero sapere) che non sono proprietari dei contenuti delle loro “pagine”: dal punto di vista legale, in base al diritto editoriale, tutto ciò che viene pubblicato – parole e pensieri, immagini e video – non appartiene in nessun caso a loro, ma solo a Facebook. In quanto editore unico e senza vincoli, il social network è liberissimo di rimovere i contenuti quando vuole, senza neppure l’obbligo di lasciarne una copia, privata, a disposizione dell’utente. Quasi un terzo dell’umanità ormai utilizza Facebook, affidando alla piattaforma social la rappresentazione pubblica – più o meno realistica – della propria identità personale. Facebook offre una vasta gamma di servizi – a costo zero per l’utente, ma remunerati in altro modo: è ovvio che faccia gola, al marketing, la più grande banca dati del pianeta. Perché stupirsene? Se si fa una qualsiasi richiesta a Google, il motore di ricerca la registra, classificando subito l’utente e proponendogli – sotto forma di proposta pubblicitaria – merce analoga a quella già cercata. Anche Google “sa” chi siamo e cosa ci piace. Anche Google svolge un servizio gratuito per l’utente. Un servizio prezioso, ormai imprescindibile, e remunerato altrimenti, cioè mettendo il profilo psicologico del potenziale cliente a disposizione del mercato.Con l’avvento degli smartphone, oggi il sistema sa anche – sempre – dove siamo. Attraverso i social, le chat, le email, il sistema sa cosa pensiamo, dove andiamo, chi incontriamo. Anni fa, fece scalpore la rivelazione – esternata dal solo Marcello Foa – del capo dei servizi segreti svizzeri: spiegò che ogni parola in uscita dai nostri computer finisce in due immensi archivi, dislocati a Londra e a Washington. Il Grande Fratello è in ascolto, certo: ma qualcuno può davvero stupirsene? Smentendo il vittimismo complottistico, un osservatore atipico come Paolo Franceschetti (avvocato, autore si studi scomodi sui misteri italiani) offre la seguente riflessione: perché ci illudiamo che in passato la situazione del “popolo” fosse migliore? Fino a ieri non ci voleva molto per rischiare il carcere, bastava mancare di rispetto al sovrano (e l’altro ieri peggio ancora, si finiva sul rogo per il solo fatto di aver manifestato idee difformi dal dogma vigente). Oggi, al contrario, si assiste a una diffusione di opinioni quale mai s’era vista, in migliaia di anni. Circolazione istantanea di idee, libera e planetaria. Osservata e spiata? Vietato meravigliarsene.Quanto a Facebook, parla da sola la sua data di nascita. Serviva un sistema per raccogliere dati e schedare milioni di persone, in modo da trarre d’impaccio l’intelligence Usa, in enorme imbarazzo dopo la storica débacle dell’11 Settembre. Zuckerberg ha offerto la soluzione più brillante, a costo zero per lo Stato: sarebbero stati direttamente i cittadini a raccontare tutto di sé – chi sono, dove vivono, in cosa credono, che amici hanno. Facebook ha raccolto milioni di confidenze, che oggi sono diventate miliardi. Ma non le ha carpite: gli sono state offerte spontaneamente. Il sistema ha solo creato uno spazio (pubblico) per esprimerle e condividerle. Uno spazio che prima non esisteva, e di cui gli Zuckerberg del pianeta avevano intuito il bisogno, la necessità percepita. Parlare, raccontarsi: prima dell’avvento dell’email (non secoli fa: si parla della vigilia del Duemila) le persone avevano smesso di scriversi lettere. Hanno ricominciato a scrivere proprio grazie alla posta elettronica. Milioni di persone hanno ristabilito contatti epistolari frequenti, recuperando anche il gusto della scrittura. Facebook e gli altri social media completano l’offerta, realizzando un diario digitale personale ma condivisibile, arricchito da segnalazioni e link, veicolando in questo modo l’altra grande fonte recente di idee e informazioni: i blog.Nella sua ricostruzione della storia del Cristianesimo, formulata da un punto di vista ruvidamente anticlericale, un’autrice come Laura Fezia sostiene che il “format” cristiano sia stato inoculato come un virus nell’imperialismo romano, per corroderlo dall’interno fino a farlo crollare. Tradotto: se non riesci a battere il nemico in campo aperto, ti conviene infiltrarlo. E’ nemico, oggi, il web? E’ sicuramente padrone: compra, vende, orienta, controlla, manipola. Non è un amico disinteressato: se l’ha fatto credere, bluffava. Ma spesso (quasi sempre) è un alleato di cui non si può fare a meno. E’ un orizzonte sistemico, nel quale vivere, e in cui – come in ogni altra cosa – convivono due modi di intendere e volere. Il bene e il male? Dipende sempre dal punto di vista: il male della gazzella coincide con il bene dei cuccioli della leonessa. Sarà anche una savana, il web, ma non è senza padroni: è anzi un giardino zoologico severamente protetto e custodito dai grandi proprietari dell’infrastruttura strategica, da cui ormai dipende il pianeta, che è diventato infinitamente e istantaneamente manipolabile. Sono infatti tramontate le fiabe ingenue sull’innocenza della Rete, utilizzate anche in Italia a fini politici. Ma la Rete resta, e – con i suoi limiti – è ancora disposizione: per ospitare idee, magari, oltre che immagini delle vacanze e piatti “stellati”, fotografati al ristorante.Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.
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Sarkozy e la Hathor Pentalpha, superloggia del terrorismo
La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.Lo dicono, nell’appendice del bestseller “Massoni” (edito da Chiarelettere a fine 2014), quattro pesi massimi della supermassoneria internazionale, protetti dall’anonimato ma «pronti a manifestarsi, nel caso qualcuno ne contestasse le affermazioni». Non ce n’è stato bisogno: Monti, Napolitano e gli altri si sono ben guardati dal chiedere all’autore del saggio, Gioele Magaldi, di rendere pubblica l’identità di quei quattro “vecchi saggi” del massimo potere in vena di rivelazioni. Accanto a un mediorientale e a un asiatico, a parlare sono uno statunitense (che ricorda da vicino lo stratega Zbigniew Brzezinski, da poco scomparso) e un francese, il cui identikit di eminenza grigia potrebbe benissimo corrispondere a quello di Jacques Attali, già plenipotenziario di Mitterrand e poi “padrino” e king-maker di Emmanuel Macron. La tesi del libro, assolutamente dirompente, è stata oscurata dai media mainstream: da decenni, il mondo sarebbe nelle mani di 36 Ur-Lodges, potentissime superlogge massoniche sovranazionali. Dopo l’iniziale dominio delle organizzazioni di ispirazione progressista, dall’era Roosevelt fino ai Kennedy, il potere sarebbe passato all’ala neo-conservatrice (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) dopo il duplice omicidio di Bob Kennedy e del “fratello” Martin Luther King.A seguire: una guerra segreta senza risparmio di colpi – da un lato il Cile del massone Pinochet e la Grecia dei colonnelli, ma anche i ripetuti tentativi di golpe in Italia con la complicità della P2 di Gelli, e dall’altro la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo scattata non a caso il 25 aprile (del ‘74). Poi, lo sciagurato patto “United Freemanson for Globalization” per spartirsi la torta mondiale sdoganando il neoliberismo. Con in più una scheggia impazzita: la Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, nella quale – secondo Magaldi – figura anche il nome di Sarkozy, accanto a quelli del turco Erdogan, protagonista degli odierni orrori in Medio Oriente, e del britannico Tony Blair, l’indimenticato inventore delle inesistenti “armi di distruzone di massa” di Saddam Hussein, ovvero “la madre di tutte le fake news”. Saddam e la guerra in Iraq, cioè Bush junior, dopo la prima Guerra del Golfo scatenata da Bush senior. Il Rubicone è stato varcato con l’opaco, devastante maxi-attentato dell’11 Settembre (e la conseguente invasione dell’Afghanistan, seguita dalle guerre in Iraq e in Libia, dalla “primavera araba”, dall’atroce conflitto in Siria).Terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera – da Al-Qaeda all’Isis – secondo un copione basato sulla più accurata disinformazione, fotografato alla perfezione dall’immagine di Colin Powell che, alle Nazioni Unite, agita una prova falsa come la celebre “fialetta di antrace” per raccontare che il regime di Baghdad sarebbe pronto a sterminare l’umanità. Non fu solo una drammatica sterzata politica imposta dai “neocon” Usa, sostiene Magaldi: la strategia della tensione internazionale, che produce guerre in Medio Oriente e leggi speciali negli Usa e in Europa per rispondere agli attentati “islamici”, corrisponde alla sanguinosa strategia della “Hathor Pentalpha”, la «loggia del sangue e della vendetta» creata da Bush (padre) dopo la bruciante sconfitta alle primarie repubblicane inflittagli nel 1980 da Ronald Reagan. In questo modo, Magaldi spiega anche i due attentati simmetrici che seguirono, nel 1981: qualcuno sparò a Reagan il 30 marzo, e – per rappresaglia – i sostenitori occulti di Reagan armarono la mano di Ali Agca, che il 13 maggio sparò a Papa Wojtyla, eletto al soglio pontificio con il determinante appoggio di Brzezinski, allora vicino a Bush. Due minacciosi avvertimenti, con firme opposte ma identico stile: né a Washington né a Roma si sparò per uccidere.Fantapolitica? Ne ha tutta l’aria: a patto di rassegnarsi all’idea che sia proprio la geopolitica a esser diventata “fanta”, rendendo possibile l’impensabile. «Dispongo di 6.000 pagine di documenti che comprovano quanto affermato nel mio libro», ribadisce Magaldi, a scanso di equivoci. Il problema? Nessuno, finora, gliene ha chiesto conto: meglio la congiura del silenzio, di fronte a pagine così sconcertanti e imbarazzanti. Le grandi scelte strategiche del pianeta – sottolinea l’autore – sono state messe a punto negli ultimi 30-40 anni da superlogge storicamente neo-aristocratiche come la “Three Eyes” e la “Compass Star-Rose”, insieme alla “Edmund Burke”, alla “Leviathan”, alla “White Eagle”. Sono loro a dominare ministeri, banche, università, istituzioni internazionali finanziarie “paramassoniche” come il Fmi e la Bce. Obiettivo: sdradicare Keynes dalla politica economica dell’Occidente: via il welfare e i diritti del lavoro, guerra alla sinistra sindacale, demonizzazione del debito pubblico, privatizzazione universale, fine dello Stato sociale come garante del benessere diffuso. Svuotare la democrazia, per restituire il potere all’oligarchia – finanza, industria, multinazionali – secondo un modello neo-feudale: solo un’élite “illuminata” ha il diritto di governare il popolo. E la tenebrosa “Hathor Pentalpha”?«Semplicemente, la “Hathor” ha ritenuto che tutto questo non bastasse: il nuovo ordine antidemocratico andava imposto con la guerra e il terrorismo, a partire proprio dall’11 Settembre». Specchietto le allodole, il saudita Osama Bin Laden reclutato dalla Cia in Afghanistan negli anni ‘70, in funzione anti-sovietica. «Bin Laden fu iniziato alla “Three Eyes”: me lo confidò proprio l’uomo che lo affilò, Brzezinski». Lo stesso Brzezinski, aggiunge Magaldi, rimase deluso dalla scelta di Bin Laden di passare poi alla “Hathor Pentalpha”, la superloggia dei Bush. Simboli eloquenti: Hathor è uno dei nomi della dea egizia Iside, cara ai massoni, e il suo nome in inglese è, appunto, Isis. «Anche l’uomo che si fa chiamare Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente rilasciato nel 2009 dal campo di prigionia iracheno nel quale era detenuto, è stato affiliato alla “Hathor Pentalpha”». Al-Baghdadi, il presunto capo del sedicente Isis: organizzazione terroristica che, quando ha perso terreno in Siria sotto il colpi dell’offensiva militare russa, ha cominciato a colpire l’Europa. Charlie Hebdo e Bataclan, Bruxelles, la strage di Nizza. «Tutti attentati spaventosamente stragistici, “firmati” con una simbologia nacosta e nient’affatto islamica, ma saldamente ancorata alle date-simbolo del martirio dei Templari nel 1300».Ne parla nel saggio “Dalla massoneria al terrrorismo” (Revoluzione) l’esperto simbologo Gianfranco Carpeoro, massone come Magaldi, altrettanto critico rispetto al potente mileu “latomistico” globalizzato, pronto anche a fare l’uso più cinico e spregiudicato di vasti settori dei servizi segreti, ridotti a strumenti di una “sovragestione” pericolosa, che sottomette gli Stati (e i governi eletti) ai disegni di una ristretta oligarchia. «Tutto quel sangue, in Europa, è nato da una rottura all’interno dell’ala reazionaria dell’élite supermassonica», ha ripetuto Carpeoro, in trasmissioni web-streaming come quelle di “Border Nights”. Chi ha premuto sul tasto del neo-terrorismo interno – è la sua tesi – l’ha fatto per intimidire quegli elementi che, in seno all’oligarchia, si erano mostrati titubanti di fronte alla “linea dura”, quella delle stragi nelle piazze europee. «E’ in corso un’escalation, prepariamoci al peggio: in Europa potrebbe verificarsi un maxi-attentato come quello dell’11 Settembre». Previsione fortunatamente inesatta: «E’ vero», ammette Carpeoro, «le stragi sono cessate». Ma questo – spiega – dipende dal fatto che, “lassù”, si sono rimessi d’accordo su come agire, a cominciare proprio dalla Francia.Ieri, all’Eliseo c’era Hollande, un politico da intimidire (come socialista ma anche come supermassone “di sinistra”, esponente della Ur-Lodge progressista “Fraternité Verte”), a capo di un establihment incalzato dal “populismo” di Marine Le Pen. Poi invece le elezioni hanno incoronato Macron, «che a differenza di Hollande – sostiene Carpeoro – è espressione diretta di quei circoli, responsabili della “sovragestione”», fino a ieri anche terroristica, all’occorrenza. E’ lo stesso Macron che, a giorni alterni, fa l’amicone dell’Italia, promettendo a Gentiloni – in cambio di cospicue cessioni di italianità – di difendere il Belpaese dai “cattivi” tedeschi. E’ cronaca: soldati italiani spediti in Niger a far la guardia all’uranio per conto dei francesi, voci sul ridisegno delle acque territoriali a favore dei pescatori francesi, vistosa ascesa del management transalpino nel cuore del “made in Italy”. Con Gentiloni e Macron, sostiene Federico Dezzani, l’Italia si auto-declassa al rango di neo-colonia francese, nell’illusione di trovare riparo dal rigore imposto dall’ordoliberismo teutonico. Sta davvero succedendo qualcosa di strano, “lassù”, se un big come Sarkozy finisce sotto interrogatorio in un commissariato di Nanterre? Significa che la superloggia (già terrorista) “Hathor Pentalpha” è in discesa libera, nei piani alti della “sovragestione”? Inutile sperare in spiegazioni esaurienti: il mainstream si limiterà alle fonti giudiziarie sul caso Libiagate, mentre il pubblico assiste alla strana caduta di un ex superpotente come Sarkozy, in una Francia senza più attentati né stragi, dove l’oligarca Jacques Attali ha battezzato il nuovo regno di Macron, l’ex ragazzo prodigio della Banca Rothschild.La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.
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Lega e 5 Stelle illusi: la Germania non negozierà il rigore
Non è questione di massimalismo, radicalismo o settarismo. Ci sono delle fasi storiche (rare, ma necessarie) in cui si deve fare la Rivoluzione, o, ad essere più prudenti, imporre con la forza il proprio interesse. Prenderne atto non è dunque questione di seguire il proprio carattere “fumino”, ma decidere se sopravvivere o no. Quasi ovunque si legge che M5S e Lega ora vogliono negoziare con la Germania un cambiamento delle regole europee, una revisione dei trattati. Ma per Votan, Thor e Odino! – ma voi di tedeschi ne avete mai conosciuto uno che sia uno? La prima qualità di quel popolo – al quale cerco di ispirarmi – è la tenacia. Dunque, è ovvio che i tedeschi non cederanno di un millimetro dalla loro posizione. In Germania mi è capitato – personalmente – di andare in gelateria, vedere un’offerta di cono gelato a solo 1 euro per due gusti e di chiedere se potevo avere solo un gusto. Per tutta risposta mi è stato detto che l’offerta era per due gusti, e che quindi loro mi davano due gusti e che dovevo prendere il cono così, anche se ne volevo solo uno. I tedeschi sono fatti così al 99,99 periodico per cento.Dunque, chi pensa di poter trattare con i tedeschi è solo un povero illuso. I tenaci capiscono solo un linguaggio: quello della paura. Senza quel linguaggio, pregasi astenersi perditempo. Che poi… per quale accidente di motivo dovrebbero negoziare con noi? Come ha appena ricordato il trader Giovanni Zibordi, i discorsi sull’«andiamo a negoziare con la Germania un cambiamento delle regole europee» sono aria fritta perchè in Germania sono contenti dell’economia, per cui non hanno interesse a cambiare niente. Ecco l’ultimo sondaggio Ipsos sul tema “come giudichi l’economia del tuo paese”: in Germania la valutazione è “buona” per il 79%, in Italia solo per il 18% (in Spagna il 17). «Tra l’altro – aggiunge Zibordi – questi sondaggi mostrano che non è vero che la Germania nell’euro ha compresso i salari a causa delle riforme Hartz e dei mini-jobs. Di fatto, in Germania l’80% della gente è contenta dell’economia. Una percentuale che viene superata nel mondo solo dalla Cina!».Un modo per rallentare la tenaglia economica basata sul debito e sulle tasse è di abbattare la regola del 3% di deficit nella Ue. Va detto che questa assurda e demenziale regola è stata ignorata da 8 paesi per ben 5 anni, ma in Italia abbiamo paura che la Germania ci faccia “la bua” e quindi non abbiamo sforato, né sforeremo, neanche di uno zero virgola. I paesi trasgressori (come l’Irlanda o la Spagna) facevano deficit del 10 o 12% l’anno. Ecco perché ora questi paesi in Europa vanno meglio di noi come incremento del Pil e occupazionale… Ma per fare questo dobbiamo avere un premier che come primo atto politico non vada dalla Merkel a parlare e che, anzi, eviti con ogni cura di incontrarla e che poi – in ultima analisi – faccia del deficit sopra il 3 per cento. Insomma, serve un premier che “se me sbatta il cazzo”. Salvini e Di Maio non sono così. Dunque, non illudetevi, che è meglio.(Massimo Bordin, “La Germania non negozierà proprio un tubo”, dal blog “Micidial” del 15 marzo 2018).Non è questione di massimalismo, radicalismo o settarismo. Ci sono delle fasi storiche (rare, ma necessarie) in cui si deve fare la Rivoluzione, o, ad essere più prudenti, imporre con la forza il proprio interesse. Prenderne atto non è dunque questione di seguire il proprio carattere “fumino”, ma decidere se sopravvivere o no. Quasi ovunque si legge che M5S e Lega ora vogliono negoziare con la Germania un cambiamento delle regole europee, una revisione dei trattati. Ma per Votan, Thor e Odino! – ma voi di tedeschi ne avete mai conosciuto uno che sia uno? La prima qualità di quel popolo – al quale cerco di ispirarmi – è la tenacia. Dunque, è ovvio che i tedeschi non cederanno di un millimetro dalla loro posizione. In Germania mi è capitato – personalmente – di andare in gelateria, vedere un’offerta di cono gelato a solo 1 euro per due gusti e di chiedere se potevo avere solo un gusto. Per tutta risposta mi è stato detto che l’offerta era per due gusti, e che quindi loro mi davano due gusti e che dovevo prendere il cono così, anche se ne volevo solo uno. I tedeschi sono fatti così al 99,99 periodico per cento.