Archivio del Tag ‘Il Sole 24 Ore’
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Tutti contro tutti, ecco perché non nasce l’Euro-intelligence
Gli attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma perché non si fa l’Eurointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia di intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali? In effetti, se l’Europa fosse un unico Stato con un unico sistema di intelligence, ci sarebbe un apparato di vastissime proporzioni, secondo solo all’intelligence degli Usa. Sommando i soli dati dei primi 4 paesi dell’Unione (Uk, Francia, Germania e Italia) ci sarebbe un apparato forte di 28.841 uomini e di 8.265 milioni di euro annui (dati “Sole 24 Ore” del 25 novembre 2015). E invece, proprio la vicenda di Parigi ha dimostrato l’assenza o la scarsità anche del semplice scambio di dati fra due paesi vicini geograficamente come Belgio e Francia. Non si riesce neppure a mettere insieme una semplice banca dati, alimentata da contributi volontari delle singole intelligence. Come mai? In effetti, la cosa sembra piuttosto irrazionale e in molti reclamano, del tutto sterilmente, la nascita di una Eurointelligence. Che però non verrà fuori. Perché?Su un piano astratto, possiamo cavarcela con una frase: l’intelligence è una delle funzioni della sovranità più gelosamente custodita da ogni Stato, per cui esige un rapporto esclusivo fra apparato informativo e autorità politica. Un coordinamento sovranazionale avrebbe invece l’effetto inevitabile di autonomizzare i servizi dai rispettivi governi. E già questo spiega il perché i governi non vedano mai di buon occhio questo genere di coordinamenti, consentendone il funzionamento quando proprio non se ne può fare a meno, come nel caso della Nato, e solo limitatamente all’intelligence militare o con mille restrizioni. Per cui, basterebbe chiedere un potenziamento della cooperazione in sede Nato, visto che gli americani sono nostri alleati (o no?!).In concreto, la cosa si presenta di difficile attuazione per i contrasti di interesse fra i diversi paesi europei in particolare nell’area Medio Oriente-Nord Africa (Me-na): la Francia ha interessi forti in Africa occidentale e mal sopporta la concorrenza italiana in Algeria, per non dire della Libia; ha mire sulla Siria e, quindi, è da sempre ostile alla Turchia e si oppone al suo ingresso nella Ue; ha una posizione problematica sul conflitto israelo-palestinese, ha una posizione favorevole ai progetti di gasdotti russi nella zona. L’Inghilterra è ostile all’Italia per le questioni libiche, mentre ha posizioni opposte alla Francia sia per la Turchia sia per la questione dei gasdotti russi. Ha una posizione più sfumata sulla questione arabo-israeliana; ha forti interessi in Egitto, ma non per questo è disposta a rompere i legami con il Qatar che finanzia i Fratelli Musulmani; essendo contraria alla spartizione dell’Iraq, ha una politica prevalentemente filo-sunnita, per cui non vede di buon occhio le rivendicazioni indipendentiste sciite e curde.La Germania è da sempre (con l’Olanda) il paese più filoisraeliano della Ue (per la nota questione del “debito morale” seguito alla Shoah); è molto perplessa sulla questione dell’ingresso della Turchia nella Ue, temendo una valanga di immigrati (sono già 5 milioni i turchi presenti in quel paese); sin qui non ha avuto una presenza significativa nelle questioni mediorientali, ma è interessata alla politica dei gasdotti russi (anche se momentaneamente sospesi per la questione ucraina). L’Italia ha interessi prevalenti in Libia (ora seriamente messi in pericolo) e ha buoni rapporti con gli algerini; ha speranze di consolidare la presenza petrolifera in Iraq oltre che di espandersi commercialmente in Turchia (di cui ha sempre caldeggiato l’ingresso nella Ue); è il paese tradizionalmente più filo-arabo della Ue e, di conseguenza il meno vicino ad Israele; attualmente è il paese più filo-russo dell’Unione, essendo da sempre favorevole ai progetti di gasdotti russi.E potremmo aggiungere altro, ma già questo ci sembra sufficiente a dimostrare quale guazzabuglio di interesse orienti le politiche di ciascun paese e gran parte di queste politiche passano per i canali coperti dell’intelligence. Questo si riflette anche sulla partita del terrorismo, sia perché le questioni petrolifere o di strategia generale non sono così nettamente separabili da quelle del terrorismo, sia perché nella stessa gestione del problema della Jihad ci sono orientamenti opposti: gli italiani hanno sempre trattato per la liberazione degli ostaggi (sempre smentendolo), mentre inglesi e americani no (anche perché gli jihadisti non hanno mai accettato alcun dialogo con loro); i francesi sono molto più intransigenti verso gli integralisti algerini (quello che era il Fis), mentre meno intransigenti sono stati gli italiani; così come è il caso di chiederci come mai Italia e Germania siano state, sinora, risparmiate dai grandi attentati che hanno colpito invece Inghilterra, Spagna, Francia, Danimarca.E allora cosa si può pretendere, che gli italiani dicano agli altri con chi hanno trattato per Mastrogiacomo o la Sgrena? O che gli inglesi ci dicano cosa sanno dei traffici fra Isis e Turchia a costo di rompere con con Ankara? O che i tedeschi ci parlino degli eventuali compromessi per essere risparmiati? O che italiani e tedeschi riferiscano sulle attività delle rispettive industrie produttrici di armi e dei loro giochi proibiti? Se nascesse Eurointelligence, i vari servizi nazionali spenderebbero la maggior parte del loro tempo a spiarsi fra di loro o ad organizzare trappole recioproche. Lo fanno i servizi di uno stesso paese fra di loro, immaginiamoci di paesi diversi come quelli europei. Chi insiste a proporre l’Eurointelligence o non capisce assolutamente nulla del mondo dei servizi o è solo un ipocrita.(Aldo Giannuli, “Perché non si fa l’Euro-intelligence?”, dal blog di Giannuli del 1° dicembre 2015).Gli attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma perché non si fa l’Eurointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia di intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali? In effetti, se l’Europa fosse un unico Stato con un unico sistema di intelligence, ci sarebbe un apparato di vastissime proporzioni, secondo solo all’intelligence degli Usa. Sommando i soli dati dei primi 4 paesi dell’Unione (Uk, Francia, Germania e Italia) ci sarebbe un apparato forte di 28.841 uomini e di 8.265 milioni di euro annui (dati “Sole 24 Ore” del 25 novembre 2015). E invece, proprio la vicenda di Parigi ha dimostrato l’assenza o la scarsità anche del semplice scambio di dati fra due paesi vicini geograficamente come Belgio e Francia. Non si riesce neppure a mettere insieme una semplice banca dati, alimentata da contributi volontari delle singole intelligence. Come mai? In effetti, la cosa sembra piuttosto irrazionale e in molti reclamano, del tutto sterilmente, la nascita di una Eurointelligence. Che però non verrà fuori. Perché?
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Tutto già scritto: disoccupazione all’11% fino al 2019
In milioni chiedono lavoro, ma non sanno che la loro sorte è già segnata: disoccupazione stabile all’11%. «Tutti i disoccupati nel 2019 saranno ancora disoccupati: questo perché lo sviluppo voluto dai tecnocrati europei, liberisti e neomercantilisti, per l’economia italiana, ha bisogno di un tasso strutturale di disoccupazione». Lo spiega Stefano Sanna, citando documenti ufficiali del Tesoro nonché l’ultimo Def del governo Renzi: 11%. Tutto il resto sono chiacchiere, comprese le 154 crisi aziendali tuttora aperte che rappresentano solo «la punta di un iceberg chiamato disoccupazione, che galleggia nel mare del mercato del lavoro». Il resto della montagna di ghiaccio «è fatto di milioni di disoccupati di piccole aziende, che non hanno alcuna possibilità di far valere le loro ragioni davanti al governo come possono fare, invece, le 154 aziende seguite direttamente dal ministero dello sviluppo economico». Tutti quanti però sono accomunati da un fatto: aspettano una risposta. «Ma il governo delle “luci e paillettes” porterà all’infinito la commedia dei tavoli di crisi, o posticiperà la data in cui rispondere ai disoccupati, anche se la risposta è stata già scritta».Lo conferma il documento del Tesoro dell’aprile 2013 sul Nawru, acronimo di “non accelerating wage rate of unemployment”: tasso di disoccupazione d’equilibrio, tarato per non generare pressioni inflazionistiche comprimendo il potere di spesa mediante, appunto, il taglio deliberato dei posti di lavoro. Proprio il Nawru ha un ruolo centrale nella determinazione dei “diktat” che la Commissione Europea rivolge ai singoli paesi membri dell’Ue. Il presidente del Centro Europa Ricerche, l’economista Vladimiro Giacché, sul “Sole 24 Ore” osserva: «Dal punto di vista culturale, è interessante notare come il tasso di disoccupazione di equilibrio sia la leva che viene adoperata per garantire l’iper-contenimento dell’inflazione. In molti, in passato, hanno considerato l’Unione Europea un moloch impregnato di keynesismo. In realtà, anche in questo caso prevale l’egemonia del monetarismo francofortese, che mette davanti a tutto e a tutti l’imbrigliamento dell’inflazione», fino all’asfissia programmata dell’economia reale.Per quanto riguarda il Nawru, conferma il Def del governo Renzi, i parametri sono stati più volte rivisti dalla Commissione, alla luce degli effetti sul mercato del lavoro della prolungata recessione. «Il Nawru è stato pertanto rideterminato verso l’alto, determinando una riduzione nel tasso di crescita del Pil potenziale». Il che significa che il tasso di “disoccupazione di equilibrio”, tale cioè da non generare pressioni inflazionistiche sui salari, «è stato stimato in crescita negli anni della crisi, con una dinamica che, di fatto, ha fatto sì che al crescere della disoccupazione crescesse anche il Nawru». Stefano Sanna esibisce la drammatica proiezione governativa, riassunta in una tabella: la “disoccupazione programmata”, al 12,3% nel 2015, si ridurrà in modo praticamente irrilevante: 11,8% nel 2016, poi 11,4% l’anno seguente, ancora 11,1% nel 2018 e poi 10,9% nel 2019. Non c’è scampo: Bruxelles vuole che i disoccupati, in Italia, restino l’11%. Si tratta di «un piano di distruzione sociale», conclude Sanna: l’obiettivo scritto da questo governo? E’ tecnicamente impossibile da raggiungere, visto che si parla di «contenimento dell’inflazione e crescita del Pil con un tasso di disoccupazione all’11%». Una farsa sfrontata: «E’ la risposta cinica, ma mai comunicata, ai milioni di disoccupati che per anni sono stati (e saranno) presi in giro da ciarlatani di professione».In milioni chiedono lavoro, ma non sanno che la loro sorte è già segnata: disoccupazione stabile all’11%. «Tutti i disoccupati nel 2019 saranno ancora disoccupati: questo perché lo sviluppo voluto dai tecnocrati europei, liberisti e neomercantilisti, per l’economia italiana, ha bisogno di un tasso strutturale di disoccupazione». Lo spiega Stefano Sanna, citando documenti ufficiali del Tesoro nonché l’ultimo Def del governo Renzi: 11%. Tutto il resto sono chiacchiere, comprese le 154 crisi aziendali tuttora aperte che rappresentano solo «la punta di un iceberg chiamato disoccupazione, che galleggia nel mare del mercato del lavoro». Il resto della montagna di ghiaccio «è fatto di milioni di disoccupati di piccole aziende, che non hanno alcuna possibilità di far valere le loro ragioni davanti al governo come possono fare, invece, le 154 aziende seguite direttamente dal ministero dello sviluppo economico». Tutti quanti però sono accomunati da un fatto: aspettano una risposta. «Ma il governo delle “luci e paillettes” porterà all’infinito la commedia dei tavoli di crisi, o posticiperà la data in cui rispondere ai disoccupati, anche se la risposta è stata già scritta».
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Poste Italiane in super-attivo, quindi ora Renzi le regala
La collocazione in Borsa prevista per l’autunno annuncia, di fatto, la rapida privatizzazione di Poste Italiane: l’Italia si appresta così a perdere quasi mezzo miliardo di utile netto all’anno, in cambio di forse 4 miliardi, certo non rilevanti per alleviare il peso del debito pubblico che, una volta denominato in euro, si è fatto insostenibile. L’intento, per la controllata del ministero dell’economia e delle finanze, è di procedere speditamente verso la cessione del 40% del gruppo. In un’intervista rilasciata al “Sole 24 Ore”, Lucia Todini, presidente di Poste Italiane, ha confermato che il prospetto informativo depositato in Consob è già stato integrato con la nuova governance societaria approvata dall’assemblea dei soci. «Lavoriamo perchè il debutto in Borsa avvenga in autunno», conferma la Todini, «possiamo immaginare tra fine ottobre e inizio novembre». La Todini ha rimarcato che la scelta di fissare la soglia al possesso azionario al livello più elevato possibile, pari al 5%, è stata voluta dal Tesoro con l’auspicio di incoraggiare i grandi investitori ad acquistare quote importanti dell’azienda evitando il frazionamento del capitale.Banca del Mezzogiorno (che fa parte del gruppo Poste Italiane) entrerà nel perimetro di quotazione, rinviando ogni decisione su «come valorizzarla al meglio», ha aggiunto la Todini. I conti semestrali di Poste Italiane, scrive Giuseppe Maneggio su “Il Primato Nazionale”, hanno evidenziato un utile netto di 435 milioni di euro, sostanzialmente raddoppiato rispetto ai 222 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi totali, inclusivi dei premi assicurativi, sono in crescita del 7% a 16 miliardi di euro, sospinti dal comparto assicurativo (+10,9% a 11,2 miliardi) e dalla tenuta del comparto finanziario (2,9 miliardi), che hanno più che compensato la flessione dei ricavi per la corrispondenza. «Un’azienda profittevole, Poste Italiane, che conferma il trend di crescita avuto nell’ultimo lustro anche grazie alle strategiche società controllate, tra cui Sda Express Courier».Le intenzioni del governo sono chiare, continua Maneggio: l’esecutivo guidato da Matteo Renzi intente mettere sul mercato il 40% del gruppo postale. Di questa quota circa il 30% andrà al pubblico “retail” con una porzione corposa riservata ai 145.000 dipendenti. Il Tesoro pensa di poter così incassare circa 4 miliardi dalla privatizzazione. «Briciole, nel mare infinito degli oltre 2.000 miliardi del debito pubblico, nel caso fosse questa la ragione sbandierata». Soldi, peraltro, «assolutamente inutili nel caso si volesse racimolare della liquidità per abbassare (forse) qualche imposta o tassa». Intanto, «gli oltre 400 milioni di utile netto che lo Stato incassa oggi, domani non li avrà più. Facile immaginare da dove verranno presi negli anni successivi».La collocazione in Borsa prevista per l’autunno annuncia, di fatto, la rapida privatizzazione di Poste Italiane: l’Italia si appresta così a perdere quasi mezzo miliardo di utile netto all’anno, in cambio di forse 4 miliardi, certo non rilevanti per alleviare il peso del debito pubblico che, una volta denominato in euro, si è fatto insostenibile. L’intento, per la controllata del ministero dell’economia e delle finanze, è di procedere speditamente verso la cessione del 40% del gruppo. In un’intervista rilasciata al “Sole 24 Ore”, Luisa Todini, presidente di Poste Italiane, ha confermato che il prospetto informativo depositato in Consob è già stato integrato con la nuova governance societaria approvata dall’assemblea dei soci. «Lavoriamo perchè il debutto in Borsa avvenga in autunno», conferma la Todini, «possiamo immaginare tra fine ottobre e inizio novembre». La Todini ha rimarcato che la scelta di fissare la soglia al possesso azionario al livello più elevato possibile, pari al 5%, è stata voluta dal Tesoro con l’auspicio di incoraggiare i grandi investitori ad acquistare quote importanti dell’azienda evitando il frazionamento del capitale.
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Della Luna: Germania criminale, utile idiota dello Zio Sam
“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.Tsipras, il doppiogiochista bifronte, ha tradito sia il mandato elettorale che quello referendario del suo popolo, finendo per imporgli condizioni addirittura più schiaccianti di quelle inizialmente richieste dalla Germania, per fare lo sporco gioco di questa, condannando la Grecia a misure incompatibili col risanamento, perché aumentare le tasse sui redditi e l’Iva a un’industria già agonizzante significa voler ammazzare l’economia e peggiorare quindi il rapporto deficit/Pil. E licenziamenti massicci con una disoccupazione al 25% sono un suicidio sociale. L’insostenibilità del debito pubblico greco si ripresenterà entro l’anno, aggravata dal calo della produzione e dell’occupazione. Qual è dunque l’obiettivo di Berlino (e quindi del governo fantoccio di Bruxelles)? Disastrare la Grecia per impadronirsi, o far sì che i capitalisti finanziari franco-tedeschi si impadroniscano dei beni pubblici che il traditore Tsipras col suo Parlamento di nominati (come quello italiano) metterà nel fondo di garanzia da 50 miliardi. E far man bassa nelle privatizzazioni che Atene sarà forzata ad eseguire col peggiorare programmato della sua crisi debitoria.La Grecia ha avuto diversi traditori prima di Alexis Tsipras, a cominciare dal famoso Efialte, che insegnò ai persiani di Serse un sentiero segreto attraverso i monti per prendere alle spalle i difensori delle Termopili. I difensori delle Termopili sono sempre giustamente commemorati e celebrati, mentre Efialte è passato come lo sterco dei muli di Serse. Il governo Merkel, venendo alla luce come il padrone incontrastato e il vero manovratore delle istituzioni europee, ha distrutto l’Europa, o meglio l’illusione del processo di unificazione europea. Ormai il re è nudo, cioè tutti vedono che l’apparato detto “Unione Europea” è una macchina di sottomissione in mano al governo e alla finanza germanici, che non ci sono né democrazia né eguaglianza né solidarietà né giustizia né sane ricette economiche né un progetto costruttivo, ma solo il progetto tedesco di indebitare, indebolire e spadroneggiare in una Lebensraum in via di conquista. Razziare gli assets pregiati e far lavorare la gente in condizione di servitù, senza garanzie e senza progetti di vita, solo per pagare interessi su pretesi debiti contratti in cambio di denaro contabile, generato a costo zero da bancari-usurai.L’opinione pubblica tedesca se ne frega, se la mortalità infantile in Grecia sale del 45%. L’imperialismo genocida tipicamente tedesco riemerge periodicamente per guidare alla vittoria i cancellieri “forti”. I quali sinora hanno poi sempre perso, perché si sono messi contro il mondo. Il problema è però chi sta dietro Berlino e la sua campagna di conquiste: quale potenza consente alla Germania di imporre tutto ciò che vuole senza nemmeno negoziare, ma piegando e umiliando chi osa opporsi? Necessariamente una potenza che dispone di superiori forze non solo economiche, ma anche militari: gli Usa, o meglio la power élite che governa Washington, ai cui disegni globali la Germania, con le sue caratteristiche di efficienza e amoralità, è strumentale. Fu grazie alla I Guerra Mondiale scatenata dalla Germania, alle distruzioni e ai debiti che essa produsse, che gli Usa soppiantarono l’Impero britannico e le potenze europee. Fu grazie ai finanziamenti delle banche e della grande industria americana, che Hitler ricostruì e riarmò la Germania. E fu grazie alla II Guerra Mondiale, che Wall Street impose al mondo il suo ordine monetario, anche col Piano Marshall e la ricostruzione.Storicamente, la Germania è uno strumento con cui lo zio Sam sottomette l’Europa. Anche in questi giorni, dietro il bailamme della crisi greca, sta ottenendo il voto favorevole del Parlamento Europeo al Ttip. Già l’Italia, come la Grecia, ha avuto ed ha governi imposti da Berlino, ma guidati da personaggi della banca americana Goldman Sachs, per fare gli interessi stranieri. Governi che hanno massacrato questo paese, i cui conti reggono oggi solo perché il Qe di Draghi li sostiene, abbassando lo spread; ma quando il Qe finirà, il debito italiano rischia seriamente una crisi di sostenibilità come quello greco. Oggi Brunetta dice «io e Forza Italia non cederemo mai la sovranità a Schaeuble», ma fino a due anni fa hanno votato tutto quello che serviva per cederla!(Marco Della Luna, estratti da “Merkel e Serse, conquistare la Grecia”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2015).“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.
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Lavoratori sotto minaccia, eccoci nel fascismo aziendale
Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” anticipa i contenuti del decreto sul demansionamento, che il governo si prepara a varare. «Non è una notizia – afferma Giorgio Cremaschi – perché è oramai scontato che gli esperti ministeriali di Renzi e Poletti operino sotto la dettatura dei tecnici della Confindustria», il cui quotidiano «ci comunica la gioia delle imprese e dei loro uffici legali per il fatto di poter finalmente fare tutto ciò che era proibito dall’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori, senza dover incorrere in costose e spesso perdenti azioni legali». Un regalo ai profitti d’impresa, ai danni dei diritti e del salario dei lavoratori. Di fatto, «una sanatoria per tutti gli abusi ai danni della professionalità delle persone», e cioè «la licenza di mobbizzare e ricattare». Questa, per Cremaschi, «l’infamia di un provvedimento che realizza un altro sogno della Confindustria e produrrà incubi per chi deve subire il potere dell’impresa», amche perché ora «si potrà degradare il lavoratore per ragioni tecniche e organizzative, cioè quando al padrone serve».In teoria, scrive Cremaschi su “Micromega”, il salario dovrebbe rimanere lo stesso, ma senza le indennità. E un operaio montatore che fa i turni o va in trasferta potrà essere degradato a facchino nei magazzini e si vedrà ridotta la paga del 30%. I lavoratori licenziati per ragioni economiche? Potranno conciliare con l’azienda se accettano di riprendere a lavorare a mansione inferiore. «Questo è proprio il corollario che mancava al contratto senza articolo 18. Una misura che farà risparmiare alle imprese sull’indennità di licenziamento, rispondendo chiaramente ad un calcolo preciso degli uffici studi confindustriali». Come si sa, aggiunge Cremaschi, gli incentivi di 8.000 euro all’anno – che sono alla base delle assunzioni, secondo il Jobs Act – presto finiranno. «A quel punto le imprese si troveranno lavoratori licenziabili sì, ma pagando una indennità. Se però quei lavoratori verranno licenziati e poi riassunti con il demansionamento, l’indennità la pagherà il lavoratore con la qualifica più bassa, e per l’impresa sarà come se gli incentivi continuassero».Infine, conclude Cremaschi, se il padrone può degradare quando vuole, il lavoratore non può rivendicare la promozione. Con l’articolo 13 dello Statuto, se si operava per 3 mesi in mansioni superiori si aveva diritto alla qualifica corrispondente. Con il demansionamento, invece, bisognerà aspettare il doppio del tempo, salvo accordi peggiorativi nei contratti. «Insomma, dopo il diritto alla tutela contro il licenziamento ingiusto salta anche quello alla qualifica, e in ogni azienda le direzioni potranno fare di tutto ai propri sottoposti. E questo è il risultato più importante per i padroni: la licenza di mobbing. Le minacce di licenziamento o degradazione in molti caso saranno sufficienti per imporre di lavorare di più e peggio senza chiedere nulla. Il sadismo di certi capi e capetti avrà piena possibilità di dispiegarsi». Inutile girarci attorno: «Quando si dice che quello di Renzi e del suo sponsor Marchionne è fascismo, per ora aziendale, non si esagera: si descrive semplicemente quello che si sta giuridicamente realizzando misura dopo misura con il Jobs Act».Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” anticipa i contenuti del decreto sul demansionamento, che il governo si prepara a varare. «Non è una notizia – afferma Giorgio Cremaschi – perché è oramai scontato che gli esperti ministeriali di Renzi e Poletti operino sotto la dettatura dei tecnici della Confindustria», il cui quotidiano «ci comunica la gioia delle imprese e dei loro uffici legali per il fatto di poter finalmente fare tutto ciò che era proibito dall’articolo 13 dello Statuto dei Lavoratori, senza dover incorrere in costose e spesso perdenti azioni legali». Un regalo ai profitti d’impresa, ai danni dei diritti e del salario dei lavoratori. Di fatto, «una sanatoria per tutti gli abusi ai danni della professionalità delle persone», e cioè «la licenza di mobbizzare e ricattare». Questa, per Cremaschi, «l’infamia di un provvedimento che realizza un altro sogno della Confindustria e produrrà incubi per chi deve subire il potere dell’impresa», amche perché ora «si potrà degradare il lavoratore per ragioni tecniche e organizzative, cioè quando al padrone serve».
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Renzi completa il Rigor Montis: diktat Ue, ma con l’inganno
Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.Come ha notato eufemisticamente Eugenio Scalfari siamo a una democrazia che affida il potere all’esecutivo. Che è ciò che normalmente avviene in ogni dittatura. Renzi sarà eletto direttamente dal ballottaggio come un sindaco e godrà di un parlamento esautorato, composto da una netta maggioranza di nominati o fedelissimi. Ci sarà una sola Camera che decide su tutto sulla base degli ordini del capo del governo. Camera che nominerà gli organismi di controllo senza, scusate il bisticcio, controlli. E se pensiamo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni sembra sia stata decisa sei contro sei, con il voto determinante del presidente, possiamo tranquillamente concludere che al nuovo Parlamento renziano basterà nominare un solo nuovo giudice costituzionale per cambiare gli orientamenti di tutta la corte.Un potere pressoché assoluto, dunque, per fare che? Quello che sta costruendo Renzi in realtà è un sistema autoritario che non è in proprio, ma è fondato su una sorta di fideiussione bancaria. Il programma fondamentale del governo è sempre quello della lettera del 5 agosto 2011 firmata da Trichet e da Draghi. Che come presidente della Bce continua a vigilare meticolosamente che quel programma stilato assieme al suo predecessore sia scrupolosamente attuato. Il 28 maggio 2013 la Banca Morgan ha presentato un documento politico che metteva sotto accusa la Costituzione italiana assieme a quelle di tutti i paesi europei “periferici” e in crisi. Queste Costituzioni, secondo quel documento, nate dopo la vittoria sul fascismo, sono segnate dal peso eccessivo della sinistra e del pensiero socialista, e per questo ostacolano le riforme liberali che servono a salvare l’euro.Con toni più brutali un editoriale de “Il Sole 24 Ore”, pochi giorni fa, polemizzava con la sentenza della Corte Costituzionale, affermando che con il pareggio di bilancio come vincolo costituzionale, gli obblighi del Fiscal Compact e il primato dei mercati globali, non ha più senso parlare di diritti indisponibili. Non crediate di avere dei diritti, si diceva una volta. I poteri forti, le grandi multinazionali, la finanza e le banche hanno da tempo deciso che il sistema di diritti sociali europeo è, per i loro concreti interessi, insostenibile. La crisi è stata un grande occasione per realizzare compiutamente un obiettivo cui si lavora da oltre trenta anni, e le riforme politiche autoritarie ne sono lo strumento. Renzi si è quindi trovato al posto giusto nel momento giusto. Guai a fare nei suoi confronti lo stesso errore di sottovalutazione compiuto dalla sinistra democratica verso Berlusconi; e non solo per il compatto sostegno che riceve dai poteri forti italiani ed europei e da tutto il sistema dei mass media. Anche Monti aveva questo stesso sostegno, per fare sostanzialmente la stessa politica, ma non ce l’ha fatta.La forza di Renzi sta proprio nella posizione e nella rappresentanza politica assunta. È un errore credere che egli sia un democristiano. No, la sua formazione politica non è tanto rilevante quanto il ruolo che ha deciso di interpretare. È questo ruolo è tutto all’interno della sconfitta e della rassegnazione della sinistra tradizionale. Matteo Renzi ha scalato il Pd, che è bene ricordare inizialmente lo aveva respinto, dopo che il vecchio e inconcludente riformismo era stato sconfitto. Egli ha usato spregiudicatezza e populismo con una classe politica disposta a tutto pur di non perdere il potere. Per capire quello che è successo dobbiamo pensare ad altri fenomeni di trasformismo di massa nella storia della sinistra del nostro paese. Crispi alla fine dell’800, Mussolini, Craxi e naturalmente Berlusconi sono tutti predecessori non casuali di Matteo Renzi.Il nostro è diventato il secondo paese cavia dell’esperimento liberista dopo la Grecia. In quel paese la Troika ha esagerato e ne è consapevole, per questo in Italia il progetto è diverso. Non negli obiettivi, che sono gli stessi, dal lavoro, alla scuola, alla sanità, alle pensioni, a tutti i diritti sociali. Si vuole arrivare alla stessa società di mercato brutalmente imposta alla Grecia, ma evitando la stessa reazione politica. Quindi più furbizia e anche tempo nelle misure da adottare e soprattutto lavoro per costruire un blocco di consenso politico attorno ad esse. A questo serve la mutazione genetica del Pd in partito della nazione. Che in realtà è un partito collaborazionista con la Troika e con tutti i poteri economici finanziari internazionali.Il partito della nazione che collabora costruisce così le sue cordate di consenso, da Marchionne ai sindacati complici, da Farinetti alla nuova Milano da bere, dai presidi a tutto quel mondo politico e sociale proveniente dalla sinistra il cui sentire di fondo può essere così riassunto: abbiamo speso tanto senza risultati, ora si guadagna. Non è vero che Renzi voglia liquidare i corpi intermedi, non è così sciocco sa che sarebbe impossibile. Quello che vuole il segretario del Pd è un corpo di organizzazioni addomesticate e funzionali e a questo sta concretamente lavorando, come dopo il Jobs Act e la “Buona scuola”, mostra il progetto di legge Civil Act sul terzo settore.Renzi è l’espressione di un progetto politico reazionario di adattamento dell’Italia ai più duri vincoli della peggiore globalizzazione, per questo battere lui ed il suo partito della nazione non sarà opera breve, né facile, ma è la condizione perché il paese possa riprendere davvero a progredire. Oggi contro Renzi sta un destra disfatta, nella quale lo stesso sistema mediatico renziano fa emergere il nazista dell’Illinois Matteo Salvini come avversario di comodo. Poi c’è il Movimento 5 Stelle che conduce lotte importanti, ma in evidente difficoltà di fronte al populismo anticasta fatto proprio dal renzismo. E infine c’è l’arcipelago delle forze della sinistra politica e sociale. La forza di Renzi è la debolezza di questo fronte, il che permette alla sua politica di destra di contare su un vasto consenso elettorale nel popolo della sinistra.Gli insegnanti che sfilavano in corteo il 5 maggio gridavano di non votare più Pd. È un segnale importante, ma insufficiente. Occorre un rottura più profonda. Occorre che tutto il corpo sociale e politico della sinistra consideri il renzismo non come un gruppo di compagni che sbagliano, ma come il primo e principale avversario. Le ambiguità ed i compromessi di chi si dichiara contro Renzi ma poi si allea con il Pd nelle elezioni locali, o dei dirigenti sindacali che lo criticano ma poi lo votano, o degli ambientalisti che sostengono Expo, tutto questo opportunismo porta solo fieno nella cascina del partito della nazione. Ci vogliono scelte nette per costruire l’alternativa a Renzi e al suo progetto, la prima e in fondo più semplice è non votare in ogni caso ed in ogni situazione per il Pd ed i suoi alleati.(Giorgio Cremaschi, “Non votare Pd, unico antidoto al potere assoluto renziano”, da “Micromega” del 21 maggio 2015).Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del 50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del ‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo che gli darà un potere praticamente assoluto.
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Mai successo prima: Bot a zero (in attesa del grande botto)
La notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l’altra faccia della medaglia. Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell’Economia) ha collocato Bot a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta. L’Italia non è l’unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell’euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%. Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).Anche la spiegazione tecnica resta semplice: tutto merito della Bce, che da due mesi ha messo in moto il quantitative easing, cominciando ad acquistare sui mercati titoli di Stato dei paesi europei (ma non della Grecia, che invece non può rifinanziarsi perché altrimenti dovrebbe pagare interessi al di sopra del 20%). La domanda che apre la porta sul “lato oscuro” è altrettanto semplice: perché un investitore (una banca, un fondo di investimento, o persino un normale cittadino con qualche risparmio da parte) accetta di prestare i propri soldi sapendo in anticipo che non ci guadagnerà nulla o addirittura ci rimetterà qualcosina? Qui il lettore ci deve perdonare, ma siamo obbligati – come tutti quelli che cercano la risposta a questa domanda – ad addentrarci nei “massimi sistemi”. Non lo facciamo per motivi ideologici o passione teorica, ma per le identiche ragioni addotte da uno degli editorialisti di punta de “Il Sole 24 Ore”, Alessadro Plateroti: «Per gli economisti della scuola classica, il fenomeno è scioccante: non solo è definitivamente tramontato il cosiddetto “Lzb”, o Level Zero Boundary, il livello di supporto dei tassi che si pensava non sarebbe mai stato raggiunto e infranto, ma si è entrati in un territorio finanziario inesplorato, pieno di bolle finanziarie, insidie sistemiche e incognite macroeconomiche».«“Nella storia d’Europa – ha commentato Ambrose Evans Pritchard, noto commentatore economico inglese – dobbiamo tornare al Quattordicesimo secolo, quando il depauperamento delle miniere d’argento provocò una lenta contrazione monetaria, seguita dal default di Edoardo III sul debito contratto con le banche italiane e dall’epidemia della Morte Nera, innescando un devastante processo deflazionistico”. Frasi da apocalisse, certamente esagerate nei toni e negli obiettivi, ma anche suggestive e soprattutto indicative della confusione che regna sui mercati, dei timori sui rischi generati dalle “bolle” (ecco l’analogia con la peste in Europa…) e soprattutto della difficoltà di prevedere gli effetti collaterali della manovra della Bce». Il “livello zero” di rendimento del denaro, in regime capitalistico, è un limite concettuale, una sorta di assioma che non necessita di dimostrazione, anzi serve ad argomentare le dimostrazioni. E le esibizioni di “competenza professionale” di pupazzi come il capo dell’Eurogruppo, Dijsselbloem. Chiunque presti soldi si attende un guadagno da questo impiego, no? Siamo nel capitalismo e dunque può funzionare solo così… O no?Cosa significa? Che nessuno ha studiato cosa possa avvenire quando questo evento impossibile si verifica. Non è avvenuto sul piano teorico (perché era impossibile), tantomeno su quello empirico (non era mai avvenuto, se non nel Trecento, ma era il Medioevo, mica la modernità capitalistica…). Lo stesso sconcerto provato da Plateroti è stato descritto dal più autorevole Martin Wolf, nientepopodimeno che sulla bibbia del liberismo anglosassone, il “Financial Times”, con un titolo che molti avrebbero definito catastrofista se scelto da un marxista: “Ecco perché l’economia globale non brillerà più”. Senza se e senza ma. Renzi e Padoan non lo hanno letto, altrimenti non ciancerebbero di “ripresa in atto” («ma solo dello zero virgola»). Wolf, in particolare, indica come «stranezza incomprensibile» – oltre ai tassi di interesse sottozero – anche il fatto che la produzione reale sia mantenuta al suo livello potenziale solo al prezzo di un indebitamento finanziario crescente. Più precisamente: «La produzione è finanziariamente sostenibile quando i modelli di spesa e la distribuzione del reddito sono tali che il frutto dell’attività economica può essere assorbito senza creare pericolosi squilibri nel sistema finanziario. È insostenibile quando per generare abbastanza domanda da assorbire la produzione dell’economia si deve ricorrere una dose eccessiva di indebitamento, o quando i tassi di interesse reali sono molto al di sotto dello zero, oppure entrambe le cose».Possiamo anche dire che il mercato non riesce più ad allocare in modo ottimale risorse. Ovvero un altro assioma del liberismo teorico (ideologico?) che salta come un birillo davanti a una realtà impossibile. La finanza lavora per conto proprio, indipendentemente dall’andamento dell’economia reale, da molti decenni. Certamente dalla fine degli anni ‘90, quando Bill Clinton abolì il Glass-Streagall Act, ossia il divieto di cumulare nella stessa banca le normali attività di raccolta dei risparmi/prestiti a famiglie e imprese con quelle tipicamente speculative della “banca d’affari”. Era una legge degli anni ‘30, immaginata per limitare ed evitare il ripetersi del grande crack del 1929. Ma ora la realtà della produzione – ferma, non a caso – riprende il volatile per le zampe e lo tira giù. Il capitalismo non funziona più. I fenomeni considerati impossibii avvengono sotto i nostri occhi. I “professionisti” dell’accumulazione sono costretti ad accontentarsi di non guadagnare nulla o di rimetterci solo poco. Per quanto può durare? Non lo sa nessuno, perché si è entrati in un territorio finanziario inesplorato, pieno di bolle finanziarie, insidie sistemiche e incognite macroeconomiche. Allacciate le cinture…(Claudio Conti, “Bot a zero, in attesa del grande botto”, da “Contropiano” del 29 aprile 2015).La notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l’altra faccia della medaglia. Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell’Economia) ha collocato Bot a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta. L’Italia non è l’unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell’euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%. Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).
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Acqua, luce e gas: la fregatura è servita (firmata Renzi)
L’importante, spesso, non è spiegare, ma non far capire. Molte riforme fondamentali passano tra le pieghe di un provvedimento come se fossero marginali. I parlamentari approvano senza nemmeno sapere cosa votano, seguendo le indicazioni del capogruppo mentre i giornalisti ne scrivono senza capire o, ancora meglio, non ne scrivono affatto. Prendiamo la recente riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. I giornali si sono concentrati sugli aspetti più eclatanti come l’abolizione di fatto del Senato e l’aumento delle firme per referendum e iniziative popolari; pochi hanno parlato dell’articolo V della Costituzione, che solo a nominarlo… bah, che noia! Tutti, la settimana scorsa, hanno pubblicato un vademecum sulle riforme. Ecco cosa scrive ad esempio “La Stampa”: «Titolo V. Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”».Caro lettore, cosa hai capito? Nulla, scommetto. Però se riascolti un bel servizio televisivo de “La Gabbia”, mandato in onda il 26 settembre 2013 e ripreso in questi giorni su Twitter da Alessandro Greco, la riforma dell’articolo V assume un altro significativo. Guardalo, ne vale la pena, dura appena 3 minuti. In questo servizio il dirigente generale Lorenzo Codogno, a capo della direzione I analisi economico-finanziaria del dipartimento del Tesoro, del ministero dell’economia e delle finanze, intervistato sulla vendita di partecipazioni Eni, Finmeccanica ed Enel, dichiarò: «Il problema è che non prendi tantissimo perché – ho fatto il calcolo un po’ di tempo fa – sono 12 miliardi, non è una gran cifra, meno di un punto di Pil. La vera risorsa sono le utilities a livello locale. Lì sono veramente tanti, tanti miliardi. Il problema è che non sono nostri, dello Stato, sono dei Comuni, delle Regioni, e quindi bisogna cambiare il titolo V della Costituzione. Ed espropriare i Comuni e le Regioni».Il deputato Simonetta Rubinato del Pd depositò un’interrogazione alla Camera chiedendo spiegazioni al primo ministro. A quanto mi risulta, nessuno ha risposto. E ora, guarda un po’, il Titolo V è stato riformato e prevede, cito il “Sole 24 Ore”, quanto segue: «Il nuovo articolo 117 si caratterizza per l’eliminazione della legislazione concorrente con riattribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di diverse materie, quali quelle relative alla regolamentazione del procedimento amministrativo, della disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, della previdenza complementare e integrativa, del commercio con l’estero, della valorizzazione (oltrechè tutela) dei beni culturali e paesaggistici, dell’ordinamento delle professioni e della comunicazione, della produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia, delle infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; dei porti ed aeroporti di interesse nazionale ed internazionale».Come sempre le leggi italiane sono pasticciate e pare che la norma non si applichi alle Regioni a statuto speciale; però il senso mi sembra inequivocabile: quando sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il nuovo Titolo V permetterà a quel galantuomo di Renzi, che tanto ha a cuore i destini del suo paese, di fare un immenso regalo ai colossi stranieri dell’energia privatizzando i servizi di acqua, luce e gas. Io sono un liberale e, se le privatizzazioni servissero a portare vera concorrenza e servizi e tariffe migliori per tutti, sarei il primo a rallegrarmene, tanto più che le utilities pubbliche non sono certo un modello di gestione e di efficienza. Ma il rimedio rischia di essere peggiore del male. Purtroppo l’esperienza dimostra che, in questo settore, come avvenuto per le autostrade, le privatizzazioni si risolvono nella sostituzione di un monopolio pubblico con uno privato. E a rimetterci sono gli utenti, costretti a far fronte a un’esplosione dei prezzi delle bollette. Insomma, una fregatura su tutta la linea. Prendetene nota e al momento opportuno ricordatevi chi ringraziare.(Marcello Foa, “Acqua luce e gas, la fregatura è servita, firmata Matteo Renzi”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 12 marzo 2015).L’importante, spesso, non è spiegare, ma non far capire. Molte riforme fondamentali passano tra le pieghe di un provvedimento come se fossero marginali. I parlamentari approvano senza nemmeno sapere cosa votano, seguendo le indicazioni del capogruppo mentre i giornalisti ne scrivono senza capire o, ancora meglio, non ne scrivono affatto. Prendiamo la recente riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. I giornali si sono concentrati sugli aspetti più eclatanti come l’abolizione di fatto del Senato e l’aumento delle firme per referendum e iniziative popolari; pochi hanno parlato dell’articolo V della Costituzione, che solo a nominarlo… bah, che noia! Tutti, la settimana scorsa, hanno pubblicato un vademecum sulle riforme. Ecco cosa scrive ad esempio “La Stampa”: «Titolo V. Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”».
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Barnard: fuga dai nostri bond, lo spread tornerà a ucciderci
Dai giorni di Monti, quando Berlusconi fu suicidato dalla Bce, abbiamo tutti visto lo spread e i tassi d’interesse che l’Italia paga sui suoi titoli di Stato abbassarsi man mano. E naturalmente tutti i buffoni del “Corriere” o del “Sole 24” ad attribuire il merito a Mario Macellaio-umano Monti, a Letta, alle riforme, a Renzi, all’Italia che obbedisce al rigore ecc. Pagliacciate, menzogne da conati. L’unico, e ripeto L’UNICO l’unico, motivo per cui lo spread è calato assieme agli interessi sui titoli di Stato in Italia (e altrove), sono state le dichiarazioni del defunto Draghi che promise ai Mercati di intervenire “senza limiti” (“whatever it takes”) per sostenere l’euro e il valore di qualsiasi titolo in euro. Quindi avrebbe fatto sortilegi come il Ltro, Omt, Tltro, Abs Purchases e, alla fine, un bel Quantitative Easing all’americana, il Qe! Ok, hanno detto gli investitori dei Mercati, se questa è la promessa ottima occasione: oggi compriamo un titolo Eurozona a 10, poi quando la Bce spara quelle cartucce il titolo ci va a 30 e ci facciamo su una fortuna!Ok, compriamoli, e tanti, subito, anche quelli italiani, a man bassa. E siccome la regola è che più si comprano titoli di Stato più si abbassano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, allora abbiamo visto scendere lo spread e appunto gli interessi da pagare. La marmaglia di puzze parlamentari o governative italiane non HA NESSUN MERITO non ha nessun merito in questo, ZERO zero. Ma adesso arrivano quelli seri, i Veri Padroni – non le puzzette renziane alla Poletti e Padoan, Serra e scemi assortiti (inclusi i giornalisti) – ma Goldman Sachs e Morgan Stanley a pubblicare un rapporto dove semplicemente si dice che, mentre appunto fino a oggi il Mercato ha dato il lancio di Omt, Tltro, Abs Purchases e Qe (il regalino di Natale ai Mercati) come certo all’80-100%, per cui ci compravano i titoli di Stato a quintalate…… No signori, non sarà così per una bella serie di serissime ragioni (fra cui il “no” della Germania). Firmato Goldman Sachs e Morgan Stanley. Ops.E siccome hanno ragione, quando finalmente i Mercati capiranno che non ci sarà nessun regalino di Natale per la montagna di titoli di Stato italiani e spagnoli che stanno comprando, semplicemente li butteranno al cesso svendendoli come pazzi. E, siccome ho detto che la regola è che più si comprano titoli di Stato più si abbassano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, vale anche la regola contraria: più si svendono titoli di Stato più SI ALZANO si alzano gli interessi che quello Stato ci paga sopra, e schizza su lo spread. Quindi, cari amici che siete tutti attenti alla popò di piccione dello Sblocca Italia, i Vampiri dello spread e dei tassi alle stelle torneranno e ci taglieranno la gola ancora. Disoccupazione, deficit negativo alle stelle, aziende a puttane, agenzie di rating che ci macellano ecc. ecc. Ma come sempre un boato gastrico di Grillo ci salverà. Per non dire gli 80 euro al mese. Knock, knock… is there anybody out there?(Paolo Barnard, “Lo spread tornerà e vi taglierà la gola”, dal blog di Barnard del 1° novembre 2014).Dai giorni di Monti, quando Berlusconi fu suicidato dalla Bce, abbiamo tutti visto lo spread e i tassi d’interesse che l’Italia paga sui suoi titoli di Stato abbassarsi man mano. E naturalmente tutti i buffoni del “Corriere” o del “Sole 24” ad attribuire il merito a Mario Macellaio-umano Monti, a Letta, alle riforme, a Renzi, all’Italia che obbedisce al rigore ecc. Pagliacciate, menzogne da conati. L’unico, e ripeto l’unico, motivo per cui lo spread è calato assieme agli interessi sui titoli di Stato in Italia (e altrove), sono state le dichiarazioni del defunto Draghi che promise ai Mercati di intervenire “senza limiti” (“whatever it takes”) per sostenere l’euro e il valore di qualsiasi titolo in euro. Quindi avrebbe fatto sortilegi come il Ltro, Omt, Tltro, Abs Purchases e, alla fine, un bel Quantitative Easing all’americana, il Qe! Ok, hanno detto gli investitori dei Mercati, se questa è la promessa ottima occasione: oggi compriamo un titolo Eurozona a 10, poi quando la Bce spara quelle cartucce il titolo ci va a 30 e ci facciamo su una fortuna!
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Renzi trucca le carte, meno rigore solo per Confindustria
Renzi archivia Monti e Letta, proni all’euro-rigore, ma lo fa “da destra”: all’autismo suicida dell’euro oppone l’antica ricetta del neoliberismo, senza il coraggio di rompere con la prigione della moneta unica. E intanto trucca le carte, per tentare di imbrogliare Angela Merkel. «E’ noto come Mussolini usasse spostare di continuo i pochi e inefficienti carri armati di cui disponeva per far credere a tutti, e a Hitler in particolare, di avere un esercito ben più potente della misera realtà che la guerra dimostrerà ben presto». Passano gli anni, ma certi vizi restano: «Al posto dei carri armati ci sono ora i miliardi di una manovra economica che ha la stessa credibilità dell’esercito mussoliniano», sostiene Leonardo Mazzei. «Allora Hitler non si fece certo impressionare dal suo alleato italiano, tanto ambizioso quanto subordinato nei fatti». La Merkel? Vedremo. «Ma il “cambiare verso” all’Europa è ormai soltanto un ricordo a cui nessuno più crede». Il prestigiatore Renzi ha da tempo superato il “maestro” Berlusconi, con una finanziaria che doveva essere di 20 miliardi, poi 30, anzi 36.Numeri inventati, replica Mazzei: basta sfogliare le tabelle ufficiali del governo, che parlano di 16,1 miliardi in entrata e 13,2 in uscita. Semplici trucchi contabili, sostiene Mazzei su “Sollevazione”, che consentono a Renzi di arrivare «alla fantasiosa cifra di 36 miliardi, sparati a tutto volume per far credere che la sua sia una manovra largamente espansiva, quando invece non c’è una sola voce di incremento degli investimenti pubblici, quando le misure per il rilancio dei consumi sono più che misere, mentre le riduzioni fiscali sono rivolte soprattutto a lorsignori». Ma la finanziaria di Renzi non è fatta solo di annunci e trovate propagandistiche: ha anche una precisa matrice ideologica, è una finanziaria liberista e confindustriale. «Uno dei dogmi del neoliberismo è quello che si fonda sull’equazione: meno spese + meno tasse = crescita. Naturalmente, per i neoliberisti le spese da tagliare sono innanzitutto quelle sociali, mentre le tasse da decurtare sono principalmente quelle dei ricchi. Tradotto in termini “filosofici”, l’idea è che non debbano esserci (Monti docet) “pasti gratis” per nessuno. Viceversa, la tassazione dovrà essere ridotta soprattutto alle aziende e alle fasce più ricche, quelle che possono investire e consumare maggiormente».Renzi esegue: la parte del leone nel capitolo entrate è rappresentato dai tagli alla spesa pubblica, mentre la più importante novità in materia fiscale è costituita dal taglio dell’Irap, una misura di cui beneficeranno soprattutto le aziende più grandi, quelle con molti dipendenti, come ammette esultante il “Sole 24 Ore”. E chi beneficerà della fiscalizzazione degli oneri sociali? «Sempre i soliti noti, dato che le grandi aziende hanno quasi tutte una quota di lavoratori a tempo determinato, una parte dei quali passano via via, per le stesse esigenze aziendali, a tempo indeterminato». Quel passaggio ora frutterà un guadagno di circa 25.000 euro a lavoratore. Un giusto incentivo alla stabilizzazione del rapporto di lavoro? «Peccato che esso avvenga in parallelo all’introduzione del Jobs Act, che di fatto precarizza anche i contratti in teoria più stabili». E in ogni caso i quasi 2 miliardi previsti ricadranno sulla fiscalità generale, dunque sulle tasche dei soliti cittadini, mentre il minor gettito dell’Irap costringerà le Regioni a nuove tasse o a dolorosi tagli alla sanità, cioè «ospedali chiusi, meno infermiere, esami diagnostici rimandati a quando non servono più, ticket più cari».Lo ha ammesso lo stesso Padoan: le Regioni «potranno aumentare le tasse», agendo sull’addizionale Irpef, e i Comuni faranno la stessa cosa rincarando Imu e Tasi. «Qui siamo semplicemente di fronte a uno scaricabarile dal governo centrale a danno delle autonomie locali». Quanto alle “rendite finanziarie”, sale dall’11,5 al 20% la tassazione sulle pensioni integrative: vero, sono servite soprattutto come alibi per demolire quelle pubbliche, ma ad esserne colpiti saranno quei lavoratori rassegnati a pagarsi anche una pensione privata come «unica alternativa a una vecchiaia da fame». Infine c’è il Tfr, l’ultima trovata propagandistica di Renzi: «Qui la truffa fiscale è completa e garantita a 360 gradi», perché l’offerta di disponibilità mensile della quota Tfr in busta paga serve solo a «nascondere il persistente calo del salario reale, al quale il governo (vedi il Jobs act) lavora alacremente». In cosa consiste la truffa? «Semplice, dal 2015 i lavoratori avranno tre possibilità: mantenere il Tfr così com’è, farselo versare in busta paga, versarlo in un fondo pensione integrativo». Nel primo caso avranno una tassazione della rivalutazione annuale aumentata dall’11 al 17%, nel secondo non solo rinunceranno alla rivalutazione ma si ritroveranno con aliquote fiscali (quelle Irpef ordinarie) assai più alte del trattamento previsto per il Tfr, e nel terzo si vedranno applicare una tassazione quasi raddoppiata rispetto all’attuale.Quindi, la riduzione della pressione fiscale per le fasce popolari è sostanzialmente una bufala, solo parzialmente compensata dai famosi “80 euro”, limitata peraltro solo ai lavoratori dipendenti, esclusi pensionati e lavoro autonomo. Ed ecco spiegata l’insolita gioia di Confindustria per la manovra renziana. Ma si tratta, ancora e sempre, di una manovra recessiva, sottolinea Mazzei. Il presupposto è fragile: i “regalini” ai soliti noti dovrebbero spingerli a investire, producendo crescita e occupazione. Facile immaginare che – a fronte del protrarsi della crisi – la pressione fiscale aumenterà ancora, «magari dispersa nelle mille forme delle tassazioni comunali e regionali». Ma se anche i 15 miliardi di tagli previsti corrispondessero a tagli equivalenti delle tasse, «avremmo un effetto negativo sul Pil di quasi un punto percentuale». Secondo il Fmi, infatti, «per ogni miliardo di taglio alle spese si ha una contrazione del Pil di 1,3 miliardi», mentre «la parallela riduzione fiscale di un miliardo dà invece solo una crescita di 0,3 miliardi».Ne consegue, all’ingrosso, che «per ogni miliardo di tagli si abbia una riduzione equivalente (sempre di 1 miliardo) del Pil», dunque «anche nel 2015 avremo un Pil col segno meno». E il governo «lo sa benissimo». Matematico: «Se la spesa pubblica cala, se quella delle famiglie non potrà certo riprendersi, se gli investimenti pubblici e privati rimangono in calo, pensiamo forse che la luce potrà accendersi solo grazie alle esportazioni?». Nell’idea mercantilista – il modello tedesco – le cose potrebbero in teoria funzionare, ma in pratica non è così: perché i venti di crisi spirano anche fuori dall’Europa, e perché l’euro ha imposto all’Italia un deficit di competitività verso il suo principale competitor, la Germania. «Detto in altre parole, nell’euro non c’è posto per due Germanie. C’è posto, semmai, soltanto per alcune appendici purché subordinate all’economia tedesca». Ma allora, in cosa spera l’ipercinetico Renzi?A differenza di Monti e Letta, il nuovo premier «non appare affatto succube della Merkel», interpretando un liberismo non “targato” Berlino. «E’ normale dunque che Renzi non venga percepito come un servo dell’eurocrazia di Bruxelles». Con l’euro e l’Ue, però, si può “rompere” in vari modi, da destra o da sinistra: nell’interesse delle classi popolari o in quello dei pescecani della finanza, in nome dell’uguaglianza e dei diritti sociali o in quello delle virtù del mercato. E’ dunque neoliberista la critica che Renzi oppone all’eurocrazia austeritaria. La sua manovra? «Non è espansiva come si vorrebbe far credere, ma di certo non è neppure quella che avrebbe voluto la Commissione Europea», perché contiene comunque più deficit e «un netto smarcamento rispetto al tradizionale rigorismo europeo in materia di conti pubblici», in linea con la Francia.«La verità è che lo scontro è iniziato», dice Mazzei, e gli interessi tra i principali paesi europei «sono troppo confliggenti per trovare una vera composizione». Al tempo stesso, «manca ai protagonisti la caratura necessaria per affrontare a viso aperto l’indispensabile processo di uscita dalla moneta unica». Sul versante italiano, questa palese contraddizione ha prodotto una finanziaria che non è né carne né pesce: «E’ così che si spiega il parto di un mostriciattolo ancora recessivo, ma non sufficiente a placare il rigorismo del triangolo della morte Berlino-Francoforte-Bruxelles». Il problema per la triade Merkel-Draghi-Juncker è che «le finanziarie italiana e francese mettono in discussione alla radice (e non solo per il 2015) il Fiscal Compact, vero architrave di quella convergenza dei debiti senza la quale non potrà esservi nessuna unione fiscale e di bilancio, decretando in questo modo la manifesta insostenibilità dell’euro».E su questo – aggiunge Mazzei – non solo i tedeschi, ma la suddetta triade al completo, non possono proprio mollare. Tanto più in considerazione della posta in gioco, «uno scontro non esclude momenti di tregua e di pace armata». Ma una eventuale provvisoria “quadratura del cerchio” «sarà solo il preludio ad uno scontro ben più aspro, quello che porterà alla definitiva resa dei conti». Problema: chi giocherà quello scontro? «Sarà solo interno al blocco dominante, o vedrà finalmente il protagonismo delle classi popolari e quello di una soggettività politica in grado di guardare più avanti, ad una prospettiva di sganciamento dal capitalismo-casinò? Questa è la posta in gioco».Renzi archivia Monti e Letta, proni all’euro-rigore, ma lo fa “da destra”: all’autismo suicida dell’euro oppone l’antica ricetta del neoliberismo, senza il coraggio di rompere con la prigione della moneta unica. E intanto trucca le carte, per tentare di imbrogliare Angela Merkel. «E’ noto come Mussolini usasse spostare di continuo i pochi e inefficienti carri armati di cui disponeva per far credere a tutti, e a Hitler in particolare, di avere un esercito ben più potente della misera realtà che la guerra dimostrerà ben presto». Passano gli anni, ma certi vizi restano: «Al posto dei carri armati ci sono ora i miliardi di una manovra economica che ha la stessa credibilità dell’esercito mussoliniano», sostiene Leonardo Mazzei. «Allora Hitler non si fece certo impressionare dal suo alleato italiano, tanto ambizioso quanto subordinato nei fatti». La Merkel? Vedremo. «Ma il “cambiare verso” all’Europa è ormai soltanto un ricordo a cui nessuno più crede». Il prestigiatore Renzi ha da tempo superato il “maestro” Berlusconi, con una finanziaria che doveva essere di 20 miliardi, poi 30, anzi 36.
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Estulin: vogliono sterminarci, è la cupola dell’apocalisse
«Tutti gli eventi sono tra loro interconnessi. A leggere i giornali sembra che gli scontri in Ucraina siano un problema a sé, completamente slegati dagli scontri razziali di Ferguson o dalle persecuzioni razziali e religiose in Iraq e Siria». Prima di entrare nel merito delle tensioni tra la Russia e la Nato, Daniel Estulin (controverso autore del libro “La vera storia del club Bilderberg”) ci tiene a spiegare che «la Terra è un pianeta piccolo» e che, per andare fino in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché «noi siamo solo burattini». Estulin nasce nel 1966 a Vilnius. Della sua vita non si sa molto. Ma, chiacchierando, è lui stesso a raccontare delle battaglie del padre per una Russia più libera, della fuga in Canada e della passione per la politica, senza divisione tra interni e esteri, perché «la vera politica si svolge a un livello sovranazionale, al di sopra dei governi, tra quelle persone che governano il mondo da dietro le quinte». Li chiama “shadow master”, signori dell’oscurità, e cerca di smascherarli nei suoi libri, da “L’istituto Tavistock” in avanti.Perché la Nato sta alzando i toni con la Russia? «Per capirlo bisogna guardare a Detroit, uno scenario post-apocalittico degno di un film di Will Smith. Le persone che tirano le fila del mondo vogliono le guerre, la crescita zero e la deindustrializzazione, vogliono che ogni città del mondo assomigli a Detroit». Progresso e sviluppo non dovrebbero essere direttamente proporzionali alla densità di popolazione? «Grazie ai progressi tecnologici, le società si sviluppano, creano ricchezza e costruiscono. Ma chi tira le fila del mondo sa che la Terra è un pianeta molto piccolo, con risorse naturali limitate e una popolazione in continua crescita. Ora siamo 7 miliardi e stiamo già esaurendo le risorse naturali. Ci sarà sempre abbastanza spazio sul pianeta, ma non abbastanza cibo e acqua per tutti. Perché i potenti sopravvivano, noi dobbiamo morire». Come intendono fare? «Distruggendo le nazioni a vantaggio delle strutture sovranazionali controllate dal denaro che gestiscono. Le corporazioni governano il mondo per conto dei governi che esse controllano. Così è successo con l’Unione Europea».E Putin non rientra in questo disegno. «Pensavano di poterlo controllare». Perché non ci riescono? «La Russia è una superpotenza nucleare. È questo che la rende tremendamente pericolosa agli occhi di questa gente. La Cina, per esempio, ha una grande popolazione ma non è una potenza nucleare. E per questo non è un pericolo. Mentre l’economia cinese può essere distrutta nel giro di un minuto, le tecnologie russe non possono essere annientate». Dove vogliono arrivare col conflitto in Ucraina? «Togliere il gas all’Europa per farla morire di freddo… Quando parlo di potere, non lo identifico con persone che siedono su un trono, ma con un concetto sovranazionale. L’idea è appunto distruggere ogni nazione». Alla fine non ci sarà più alcuna patria? «L’alleanza è orientata verso una struttura mondiale, che per essere controllata ha bisogno di nazioni deboli». È possibile fare qualche nome? «Christine Lagarde, Mario Draghi, Mario Monti, Petro Oleksijovyč Porošenko. Tutte queste persone sono sostituibili. Prendete Renzi: la sua politica conduce alla distruzione dell’Italia. Perché lo fa, dal momento che dovrebbe fare l’interesse del vostro paese? Non è logico».Non è poi tanto diverso da Monti. «I vari Renzi, Monti, Prodi sono traditori dell’Italia, non lavorano nell’interesse del paese. Renzi non ha mandato politico, nessuna legittimazione, non è stato eletto». L’ultimo premier eletto democraticamente è stato Berlusconi. «E questo è il motivo per cui c’è stato uno sforzo così ben orchestrato per distruggerlo». È il Bilderberg a tirare le fila? «Il Bilderberg era molto influente negli anni Cinquanta, nel mondo postbellico. Ora è molto meno importante di quanto non si creda. Organizzazioni come il Bilderberg o la Trilaterale non sono il vertice di nulla. Sono la cinghia di trasmissione. I veri processi decisionali hanno luogo ancora più in alto. L’Aspen Institute è molto più importate del Bilderberg». Nessuno ne parla. «I giornali mainstream fanno parte di questo gioco. Pensare che media come il “New York Times”, il “Washington Post” o “Le Monde” siano indipendenti, è da idioti. I giornalisti lavorano per azionisti che decidono la linea editoriale del giornale». Vale anche per l’Italia? «Il “Corriere della Sera”, “La Stampa” e “Il Sole 24 Ore” siedono spesso alle riunioni del Bilderberg. Non c’è metodo più efficace che far passare le loro idee nella stampa mainstream».Anche l’estremismo e il terrorismo islamico rientrano in questo disegno? «Certamante. Non è possibile credere che Obama lavori nell’interesse degli Stati Uniti. Come è impensabile credere che un’organizzazione come l’Isis sia passata, nel giro di poche settimane, dall’anonimato più assoluto a rappresentare la peggiore organizzazione terroristica del mondo». Come si “costruisce” un nemico? «Con gruppi come Isis, Hamas, Hezbollah o Al-Qaeda, succede quello che chiamiamo “blow-back”, cioè quello che succede quando soffi il fumo e ti torna in faccia. L’effetto è sempre lo stesso: si costruisce e si finazia un gruppo terroristico, in Ucraina come in Medio Oriente, e dopo un certo periodo di gestazione questo ti torna indietro e ti colpisce. In ogni operazione non c’è mai un solo obiettivo, ma sempre molti obiettivi. Un obiettivo lavora per te, un altro contro di te».Tutto già calcolato? «Un qualsiasi attacco implica l’uso dell’esercito e, quindi, la necessità di investire soldi nell’industria bellica. La formula è la stessa, cambiano solo i giocatori. Oltre alla guerra ci sono modi diversi per ottenere lo stesso risultato: la fame, la siccità, le droghe, la malattie. Li stanno usando tutti. Così da un lato distruggono il mondo economicamente, dall’altro usano i soldi per sviluppare tecnologie così potenti e futuristiche da creare un gap tra noi e loro sempre più marcato». Eppure faticano a contrastare l’ebola… «Macché! È solo un esempio per vedere la reazione della popolazione mondiale. Viene presentata come un’epidemia ma ha ammazzato appena tremila persone negli ultimi dieci anni. Ogni anno raffreddore, tosse e influenza ne uccidono 30.000 solo negli Stati Uniti. La prossima volta che ci sarà una vera epidemia, conosceranno già le reazioni umane».(“Ecco chi tira i fili del terrore per sovvertire l’ordine mondiale”, intervista di Andrea Indini a Daniel Estulin, da “Il Giornale” dell’11 settembre 2014).«Tutti gli eventi sono tra loro interconnessi. A leggere i giornali sembra che gli scontri in Ucraina siano un problema a sé, completamente slegati dagli scontri razziali di Ferguson o dalle persecuzioni razziali e religiose in Iraq e Siria». Prima di entrare nel merito delle tensioni tra la Russia e la Nato, Daniel Estulin (controverso autore del libro “La vera storia del club Bilderberg”) ci tiene a spiegare che «la Terra è un pianeta piccolo» e che, per andare fino in fondo, è fondamentale capire chi tira le fila. Perché «noi siamo solo burattini». Estulin nasce nel 1966 a Vilnius. Della sua vita non si sa molto. Ma, chiacchierando, è lui stesso a raccontare delle battaglie del padre per una Russia più libera, della fuga in Canada e della passione per la politica, senza divisione tra interni e esteri, perché «la vera politica si svolge a un livello sovranazionale, al di sopra dei governi, tra quelle persone che governano il mondo da dietro le quinte». Li chiama “shadow master”, signori dell’oscurità, e cerca di smascherarli nei suoi libri, da “L’istituto Tavistock” in avanti.
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Russian Compact, addio export: l’Italia perde 300 milioni
È forte la preoccupazione tra gli imprenditori italiani dell’agroalimentare dopo il blocco delle importazioni annunciato dalla Russia: le sanzioni di Mosca costeranno almeno 100 milioni di euro per il 2014, e più del doppio – circa 220 milioni – nel 2015, colpendo duramente un comparto che nell’export verso la Russia vale oltre 700 milioni di euro. Un embargo totale su carne di manzo, suina e avicola, frutta e verdura, latte e formaggi provenienti dai paesi dell’Unione Europea, ma anche da Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. Durerà un anno il divieto di importazione disposto dalla Russia in risposta alle sanzioni contro Mosca adottate da Stati Uniti e Unione Europea, spiega Adolfo Marino di “Pandora Tv” in un post ripreso da “Megachip”. «La via delle sanzioni è un vicolo cieco», sostiene il premier russo Dmitrij Medvedev, «ma la Russia è stata costretta a reagire». Stando ai calcoli del “Sole 24 Ore”, in un’economia in recessione come quella italiana le tensioni con la Russia bastano da sole a mettere in ginocchio l’export e il Pil.Le imprese italiane temono «una duplice, pesante ricaduta in un settore già in difficoltà come l’agroalimentare», perché lo stop di Mosca «apre la porta a forniture da Bielorussia, Argentina e Brasile, con la perdita di quote di mercato che l’Italia difficilmente potrà riconquistare». Inoltre, con l’embargo russo, «la produzione ortofrutticola di Grecia e Spagna si scaricherà sull’Europa con effetti drammatici», sottolinea il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini. «L’impressione – scrive Marino – è che la portata della crisi ucraina sia stata molto sottovalutata: le recenti tensioni internazionali rimettono in questione l’Europa nel suo complesso, che dovrà adesso pensare a una politica che superi la ricetta tedesca del rigore». Ovvero: «Non sarà più possibile continuare a mortificare i consumi interni, coltivando l’illusione di una crescita basata sulle esportazioni».Proprio sulla compressione della domanda interna, attraverso il blocco decennale dei salari, si è basato il super-export tedesco di questi anni, agevolato dall’avvento dell’euro e dai conti pubblici “a doppio fondo” della Germania, che attraverso un ente di credito come la Kfw trasferisce denaro al sistema privato: in pratica, “spesa pubblica fantasma” che la Germania effettua sottobanco, aggirando la rigida normativa di Bruxelles. E’ la stessa Germania che poi impone agli altri paesi europei il massimo del rigore, fino alla super-stangata del “Fiscal Compact”. Ora, avverte Marino, che il rischio concreto che ad esso si aggiunga «un altrettanto disastroso “Russian Compact”», col taglio delle esportazioni verso Mosca. Per la prima volta, attraverso la crisi esplosa in Ucraina, si incrociano in modo drammaticamente evidente le due linee di frattura che stanno mettendo in ginocchio la nostra economia: da un lato la pretesa neoliberista di azzoppare lo Stato sovrano come soggetto economico, fondamentale partner di imprese e famiglie, e dall’altro il precipitare della crisi geopolitica accelerata dal declino Usa: molti osservatori internazionali denunciano il pericolo che Washington forzi lo scontro con Mosca per sfuggire alla contabilità della recessione attraverso la peggiore delle scorciatoie, la guerra.È forte la preoccupazione tra gli imprenditori italiani dell’agroalimentare dopo il blocco delle importazioni annunciato dalla Russia: le sanzioni di Mosca costeranno almeno 100 milioni di euro per il 2014, e più del doppio – circa 220 milioni – nel 2015, colpendo duramente un comparto che nell’export verso la Russia vale oltre 700 milioni di euro. Un embargo totale su carne di manzo, suina e avicola, frutta e verdura, latte e formaggi provenienti dai paesi dell’Unione Europea, ma anche da Stati Uniti, Canada, Australia e Norvegia. Durerà un anno il divieto di importazione disposto dalla Russia in risposta alle sanzioni contro Mosca adottate da Stati Uniti e Unione Europea, spiega Adolfo Marino di “Pandora Tv” in un post ripreso da “Megachip”. «La via delle sanzioni è un vicolo cieco», sostiene il premier russo Dmitrij Medvedev, «ma la Russia è stata costretta a reagire». Stando ai calcoli del “Sole 24 Ore”, in un’economia in recessione come quella italiana le tensioni con la Russia bastano da sole a mettere in ginocchio l’export e il Pil.